Al Paletto D'Argento

di Sigyn
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: Al Paletto D'Argento ***
Capitolo 2: *** Capitolo Uno: La Cameriera ***
Capitolo 3: *** Capitolo Due: La Mary Sue ***
Capitolo 4: *** Capitolo Tre: L'Eroe ***



Capitolo 1
*** Prologo: Al Paletto D'Argento ***


Prologo: Al Paletto D’Argento

 

 

C’era una locanda, nella Capitale della Regione Occidentale, alla periferia della città umana, nei Quartieri Interrazziali. L’immigrazione in quelle terre era massiccia e costante, ma quella zona della città non era particolarmente sviluppata, né particolarmente sicura, né particolarmente pulita: la locanda si adattava, e sembrava fare uno sforzo costante per essere sempre più scalcinata, più pericolosa e più sporca del resto dei Quartieri.

Non aveva una cattiva fama, perché avere un qualsiasi tipo di fama sarebbe stato già troppo, per quel locale. I quartieri ricchi, borghesi e poveri ma dignitosamente umani ne ignoravano l’esistenza; il colorato e bizzarro misto di razze ed etnie che popolava i Quartieri – benché nessuno avrebbe mai ammesso di appartenere a quel luogo e di non essere solo in cerca di un alloggio e un lavoro migliore – ci si recava solo perché gli alcolici erano decenti e soprattutto abbastanza forti da far dimenticare di esserci stati la mattina successiva. Nelle loro vite, era solo una presenza costante ma abbastanza discreta, come la muta consapevolezza che il Sole sorge ad est e che se una splendida donna nuda dalla voce suadente su uno scoglio invita una ciurma di marinai mezzi morti per la fame e le intemperie a raggiungerla la nave farebbe meglio a cambiare rotta immediatamente. 

Il nome della locanda era Al Paletto D’Argento, e si diceva che fosse stato scelto in omaggio alla sua variegata ed eccentrica clientela, nonostante qualunque vampiro scaraventato dai piani alti della società alla miseria dei Quartieri avrebbe potuto guardare per ore con aria perplessa l’insegna traballante e non afferrarne completamente il senso.

In realtà, le cose era andate un po’ diversamente.

- Quella gente paga bene per qualsiasi tipo di alcolico, mi piace ... però non voglio vampiri, eh! Poi va a finire che spaventano gli altri clienti, va a finire. Potremmo metterci un avvertimento, nel nome, sai ... tipo, che ne so, il paletto qualcosa ... si usano i paletti per ammazzarli, no, Frank? - aveva chiesto una sera – o una notte, o forse un’alba: le circostanze dell’evento non erano del tutto chiare – il leggendario Primo Proprietario del Paletto D’Argento ad un compagno di bevute, in un’osteria dalla quale entrambi sarebbero stati più tardi cacciati per rumori molesti e danze sfrenate sui tavoli. Frank aveva annuito con aria pensosa, cercando nel frattempo di ricordare dove avesse messo la borsa con i suoi soldi ed interrogandosi pigramente sul perché il Primo Proprietario sembrasse così insolitamente felice di pagare il conto per entrambi.

- Certo che sì, Frank, certo che sì! - aveva ripreso l’altro con entusiasmo ubriaco, interrompendosi per una lunga sorsata di birra. - I paletti, proprio loro, di ... di ... cos’è quella robaccia, Frank? -. Corrugò la fronte piena di rughe, sforzandosi di pensare: era un’azione incredibilmente difficile, quando ci si sentiva come se si avesse una palude nella testa e i pensieri emergessero lenti e volatili dalle nebbie sopra di essa, constatò sentendosi improvvisamente molto poetico.

Frank distolse i suoi pensieri dai vaghi dubbi sulla borsa e il Primo Proprietario appena prima che questi avessero la possibilità di diventare veri sospetti. Si sfregò gli arruffati baffi neri striati di grigio con una mano, poiché era gesto che lo aiutava a riflettere. - Bronzo, o qualcosa del genere. Ferro? No, aspetta, era più qualcosa come, come ... argento, sì. O quello era per i lupi mannari ... ? - rimuginò, un dito che scendeva dai baffi a un taglio sul labbro.

L’altro uomo lo guardò con gli occhi un po’ lucidi spalancati, vagamente perplesso.

- Avrei detto qualcosa tipo frassino ... o un qualche altro legno. Non so, sembrano adatti per costruire paletti - ribatté. Frank scosse la testa, concorde con lui sull’ottusità e l’avventatezza dei costruttori di paletti: qualcosa diceva anche a lui che avrebbero dovuto usare il legno, anche se non era esattamente sicuro del perché.

- Oh, beh. E allora Al Paletto D’Argento sia! - esclamò trionfalmente il Primo Proprietario, sbattendo sul tavolo il suo boccale. Frank si chiese se sarebbe stato saggio tentare di leccare le gocce cadute: l’ultima volta, il suo amico gli aveva quasi mozzato la lingua con il pugnale che si portava sempre dietro.

Questa è la vera storia della nascita del Paletto D’Argento.

Generalmente, i pochi che hanno la fortuna – o semplicemente la voglia – di ascoltarla alla fine del racconto scoprono di aver improvvisamente capito un sacco di cose sul locale.

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** Capitolo Uno: La Cameriera ***


Capitolo Uno: La Cameriera

 
 

Gernann Rog Grothing era una donna troll, ma non per questo una selvaggia.

Al momento, infatti, era soprattutto una cameriera, pagata male e trattata peggio. Il Proprietario non poteva permettersi una flessuosa ninfa dal sorriso ammiccante e gli abiti – nell’eccezionale caso in cui avesse deciso di indossarli – leggeri e provocanti, lei non poteva permettersi di rimanere senza un qualunque tipo di stipendio: non era necessario che si piacessero, ed effettivamente dovevano sopprimere ogni giorno l’istinto di uccidersi l’un l’altro. In realtà, Gernann aveva già quasi ceduto una volta, ritrovandosi in mano un coltello piuttosto affilato e di fronte un Proprietario che ignaro le voltava la schiena. Poi aveva realizzato che non sarebbe stato molto furbo uccidere il proprio capo il primo giorno di lavoro.

Già, il lavoro: il motivo che l’aveva spinta a partire per quella città così vasta e al medesimo tempo così soffocante, così piena di umani e di caos. Lei veniva dalle montagne del Nord, con le loro cime aspre e solitarie e le loro piccole valli isolate e verdeggianti, e, se avesse potuto, ci sarebbe volentieri rimasta: quello era il posto giusto per un troll, tra le alte sorgenti d’acqua cristallina e le grandi caverne che si aprivano come ferite nella roccia.

I veri troll erano diversi dagli stereotipi delle barzellette umane. Avevano una cultura vecchia di secoli, una religione, una scrittura, organizzazioni che permettevano la cooperazione tra i vari villaggi e un Capo Comune e dei consiglieri eletti ogni anno tra i saggi delle comunità dell’intera zona.

Poi, un giorno, qualcuno si era accorto che qualcun altro comprava i voti in cambio di favori e che qualcun altro ancora appena eletto proveniva da un villaggio da cui non proprio casualmente erano venuti quasi tutti i Capi Comuni dell’ultimo decennio. Un altro, poi, aveva rifiutato di dimettersi, e, allora, un altro ancora aveva organizzato una guerra civile su piccola scala. Come gran finale, alcune masnade di elfi nomadi avevano deciso che quello era il momento perfetto per intromettersi e razziare le loro terre senza essere fermati da gente non completamente focalizzata sul conflitto in corso.

E Gernann si era ritrovata in un luogo in cui la sua cultura era barbarie, la sua scrittura erano scarabocchi e la sua religione idiozie su falsi dei. E riguardo all’organizzazione politica, guai ad insinuare che un saggio armato di anni di esperienza e buon senso potesse fare meglio di qualche signorotto dall’eredità ricca e la vita facile.

Nemmeno la sua pelle coriacea e grigiastra, dalle sfumature verde cupo, aveva mai fatto effetto sul Proprietario o su chiunque altro. Non che Gernann si aspettasse di più. In fondo, anche al Nord non era mai stata considerata una bellezza: non era mai stata abbastanza alta, o abbastanza massiccia, e i suoi lineamenti erano troppo poco severi e marcati. Almeno la sua pelle, però, aveva ricevuto qualche complimento, quando abitava ancora nel suo villaggio: dura come pietra! usava dire con orgoglio sua madre al malcapitato del giorno, che l’arzilla donna puntualmente – ed invariabilmente – definiva un così buon partito, tesoro, un troll da sposare.

Gernann non rimpiangeva spesso la sua terra, comunque: era una donna troppo pratica per concederselo. Andava avanti con la consapevolezza di dover fare un buon lavoro e di non dover uccidere il capo, e con la certezza che quello era molto più di quanto tanti altri immigrati avevano. E allora serviva i clienti, ribatteva alle battute del Proprietario con sguardi duri e frecciate sprezzanti ma abbastanza sottili perché lui non perdesse il controllo e la licenziasse e passava le sue giornate di lavoro sola e taciturna, concentrata su ciò che faceva ed estranea e indifferente alle eccentricità della clientela abituale del Paletto D’Argento. Aveva imparato subito che era meglio non fare troppe domande, senza alcun bisogno che l’esperienza né tanto meno il Proprietario glielo insegnassero.

Quella ragazza, però, non pareva essere della stessa opinione.

- Ed è vero che la tua pelle è fatta di marmo? E che i tuoi capelli sono licheni? E che mangi carne umana cruda? – continuò, infatti, i grandi blu brillanti sotto le lunghe ciglia bionde.

Gernann si toccò istintivamente i capelli – corti, lisci e scuri: non esattamente facili da confondere con erbe montane, insomma – e le lanciò una lunga occhiata d’avvertimento.

Era bassa perfino per la media umana, minuta, con un viso ovale e allegro, incorniciato da ricciuti capelli dorati, in cui spiccavano una piccola bocca dalle labbra rosse e carnose e un naso un po’ troppo lungo. Aveva una pelle molto chiara e tempestata di lentiggini, ma il suo pallore non si avvicinava nemmeno lontanamente a quello di certi elfi o ninfe. Umana, decisamente. E molto carina, per quanto Gernann sapeva sugli standard di quella razza.

Carina quanto sciocca, pensò la troll mentre la giovane la fissava incantata, facendole decine di domande con quella sua vocina acuta ed eccitata. Gernann poteva quasi già sentire le urla del Proprietario che le ordinava di smettere di perdere tempo e tornare a servire gli altri clienti.
Quel pensiero fu abbastanza per farle venire il mal di testa.


- Sì, mangio carne umana. Specialmente ragazzine -. Una donna troll sottopagata, vagamente asociale, bombardata di domande impertinenti e con il mal di testa non è generalmente l’essere più cordiale di tutta la Regione Occidentale ... o di una Regione qualsiasi. L’umana spalancò ancora di più gli occhi, ammutolendo improvvisamente.

Gernann si chiese se l’alzare gli occhi al cielo e l’invocare la benedizione di una o due divinità troll sarebbe stato un indizio sufficiente per farle capire che stava scherzando. Alla fine preferì non rischiare e represse quell’impulso.

- Ora, per favore, potresti dirmi cosa prendi? – domandò invece, sforzandosi di usare un tono gentile e un’espressione distaccata. Non dovette riuscirle molto bene, perché la ragazza sembrò improvvisamente a disagio.

- Oh – disse, sorridendo nervosamente e rigirandosi tra le dita una ciocca di capelli biondi. – Oh? – le fece eco Gernann, impaziente, inarcando un sopracciglio.

- Ehm ... – riprese l’altra, arrossendo. Fu in quel preciso istante che la troll capì che il resto della frase – se mai l’umana fosse riuscita a completarla – non le sarebbe piaciuto.

- In realtà, non bevo, sono venuta qui solo per farti qualche domanda ... non ho mai visto un vero troll ed ero curiosa, e ... – mugugnò la cliente, fissando insistentemente il tavolo davanti a lei. Gernann non ascoltò nemmeno la sua lunga lista borbottata di giustificazioni e scuse: era troppo occupata a tentare di distrarsi dall’improvviso desiderio di scoprire se il collo della ragazza era così fragile come sembrava.

Fu solo quando le urla del Proprietario arrivarono davvero e il suo mal di testa si intensificò ancora di più, però, che la cameriera comprese quanto le mancassero veramente le montagne del Nord.

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** Capitolo Due: La Mary Sue ***


Capitolo Due: La Mary Sue

 

Nella Regione Occidentale, la vita può essere piuttosto difficile se si ha la sfortuna di chiamarsi Lucy. Non che questo sia un brutto nome, certo, ma può causare una discreta quantità di disagio, quando il tuo cognome è Hirnadim, i tuoi genitori Zandruzum e Xianna e gran parte delle tue coetanee si chiama Xizieyzena.

Fortunatamente, Lucy Hirnadim non aveva mai avuto modo di confrontarsi con troppo disagio alla volta: lei proveniva da una ricca famiglia di mercanti e aveva un aspetto grazioso e un po’ di sangue non-umano nelle vene grazie a sua madre, la responsabile del bizzarro nome della ragazza. In città si credeva, infatti, che Xianna Hirnadim fosse per metà una ninfa: in realtà, era per un ottavo nana, ma la donna era troppo astuta ed ambiziosa per correggere certi pettegolezzi – anche perché, secondo molti, la fonte era lei stessa.

Ninfa o meno, Xianna proveniva da una delle poche famiglie che avesse l’onore di fare da anni parte del Sacro Ordine di Mary Sue Drusyllah Krystal Leana Sparkle, la celeberrima associazione di sacerdotesse guerriere, veggenti, maghe e Salvatrici del Mondo assortite.

Lucy non sarebbe mai riuscita a sostenere un dibattito teologico, maneggiare una spada, sognare qualcosa di più importante della morte di uno dei polli del vicino o completare un incantesimo per far bollire l’acqua senza cavare un occhio a suo fratello. Però, nel caso in cui un vecchio stregone dall’aria saggia e antica avesse deciso di arruolarla in una spedizione per salvare il mondo e la civiltà dalle orde barbare che sembravano essere sempre incombenti, avrebbe fatto del suo meglio per non deluderlo: poteva non essere particolarmente abile o intelligente o scaltra, ma in compenso era molto volenterosa, anche se con scarsi risultati.

Sua madre ne era assolutamente deliziata: molte Mary Sue famose avevano cominciato come complete inette, prima di sviluppare il pieno potenziale di un dono innato o di scoprire un potere segreto, diceva sorridendo in quel modo che aveva sempre vagamente turbato sua figlia.

Lucy non si offendeva molto per l’essere definita un’incapace: lo era davvero, in fondo, e inoltre riponeva la più cieca fiducia nelle parole di sua madre.

Un po’ più seccante era l’essere spesso e volentieri rinchiusa in torri altissime, rapita da briganti, punta da arcolai e spilli stregati, salvata da giovani e presuntuosi cavalieri erranti e proposta come nuova eroina ad ogni Compagnia della Regione Occidentale. Ma, in fondo, Lucy amava l’avventura, il vedere nuovi posti, l’incontrare nuove persone e nuove creature.

Forse era per questo che, di nascosto da suo padre e soprattutto da sua madre, aveva cominciato a frequentare il Paletto D’Argento, anche se non aveva mai bevuto una birra in vita sua e non aveva certo bisogno di una delle tante camere in disuso ai piani superiori. Forse, invece, era stato solo per la terrorizzata fascinazione che aveva provato quando aveva saputo che in quel locale avevano assunto una donna troll – uno di quei minacciosi, brutali mostri da favola, con i denti forti e appuntiti, la pelle di roccia e la bizzarra propensione a rapire fanciulle umane benché perfino tra i loro i più pensassero che tra le loro razze non ci potesse essere alcuna unione.

Magari, però, era perché Gernann – era riuscita a strapparle il suo nome durante la loro terza conversazione, quando si era finalmente decisa ad ordinare il suo primo boccale prima di venire cacciata fuori dalla locanda dalla cameriera – non era affatto un mostro, anche se a volte le incuteva ancora un certo timore, con quella sua altezza imponente e quei suoi occhi neri freddi e infastiditi. Perché era alta e forte e in un certo senso quasi bella, e aveva un senso dell’umorismo abbastanza cupo, una lingua tagliente e un sorriso – quando sorrideva: non succedeva spesso, e forse per questo ogni volta che lo faceva a Lucy sembrava la prima – fin troppo aperto e spontaneo per qualcuno chiuso e scontroso come lei.

E perché sorrideva solo quando parlava con Lucy, ed in un certo senso la faceva sentire molto più speciale di tutto il tempo che tutti i paladini che aveva incontrato negli anni avevano speso per liberarla da qualche prigionia improvvisata.

Oppure, forse, era perché, mentre le visite al Paletto D’Argento di Lucy si facevano sempre più frequenti, gli sguardi seccati e condiscendenti di Gernann si facevano sempre più rari e i suoi sorrisi non erano più così inusuali.

 

 

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Capitolo 4
*** Capitolo Tre: L'Eroe ***


Capitolo Tre: L’Eroe

 

Zendrom Kadrim era, in tutto e per tutto, un eroe.

Aveva profondi e misteriosi occhi azzurri, soffici capelli ricciuti e dorati e diverse cicatrici dovute tanto ad epiche battaglie contro creature mostruose e spietate quanto alle molte volte in cui qualche vecchio saggio dall’aria antica e imperturbabile aveva deciso per qualche oscura ragione di trascinarlo in un bosco ed impartirgli svariati tipi di addestramento che spesso si rivelavano sospettosamente simili l’uno all’altro. Non gli mancava nemmeno la famiglia adottiva, alla quale l’aveva affidato in una notte tenebrosa la bella e caritatevole moglie di un re barbaramente detronizzato da un manipolo di infidi traditori oppressori del popolo.

Beh, in realtà si trattava della cortigiana preferita di un re,che in un pomeriggio come qualsiasi altro l’aveva spinto tra le braccia di sua cugina con un’esclamazione sulla falsariga di toh, prenditelo, io non so che farmene! appena la poveretta si era azzardata a dire che bambino carino ...  ma il vecchio monarca vedeva più lei che sua moglie ogni giorno, in fondo. E il manipolo di traditori era in verità una fazione dagli intenti rivoluzionari capeggiata da alcuni nobili e appoggiata da buona parte del popolo che aveva tentato per anni di trasformare il regno in una repubblica e si era infine dovuta accontentare di una monarchia regolata dalle leggi di una costituzione e in cui il re veniva tenuto costantemente sotto controllo da un parlamento di aristocratici.

Le ragazze, comunque, preferivano la prima versione della storia. Zendrom le accontentava.

Era proprio per via di una ragazza che quella sera era stato costretto ad avventurarsi coraggiosamente e con fiero sprezzo del pericolo nelle buie profondità dei Quartieri Interraziali, fino all’ancora più buia e più profonda locanda chiamata Al Paletto D’Argento.

Non che lei glielo avesse espressamente chiesto. E, in effetti, non sembrava molto in pericolo, o perlomeno spaventata.

Ma Lucy Hirnadim per quanto carina era sempre stata una ragazza un po’ strana, in fin dei conti, ed aveva comunque lunghi capelli biondi e grandi occhi blu. Ergo, era in pericolo ed era spaventata, solo che probabilmente non se ne rendeva ancora conto. E poi, nel tragitto fino alla locanda, Zendrom aveva avuto modo di sconfiggere un feroce e selvaggio orco ed un ancora più agguerrito venditore ambulante: un ottimo allenamento e una doppia vittoria, considerando che i due nemici erano la stessa detestabile persona. Era stata una battaglia lunga e terribile, soprattutto quando l’infido avversario aveva sfoderato armi temibili come le riproduzioni sottovetro della Capitale e i bracciali a prezzi stracciati al posto di normalissime e rassicuranti asce e mazze chiodate.

Per fortuna – nonché per la sua ineguagliabile abilità nel lanciare piazze e palazzi in miniatura -, ora il pericolo era passato. Ma Zendrom, seduto al tavolo più vicino all’entrata, vigilava ancora, i sensi all’erta e ogni fibra del suo corpo pronta a scattare al primo segnale di pericolo.

Quel posto non gli piaceva, pensò. Era vecchio, e sporco, e buio, e frequentato da gente strana. Lanciò uno sguardo diffidente ad un uomo – o. almeno, Zendrom supponeva fosse un normale uomo – incappucciato in un angolo particolarmente oscuro del locale e una rapida occhiata ad un gruppetto di folletti vicino alle scale che portavano alle camere per i clienti, e non guardò nemmeno l’uomo robusto e pieno di capelli qualche tavolo alla sua destra – probabilmente un lupo mannaro, o qualcosa del genere.

Il suo sguardo si posò ancora una volta sulla figura minuta della ragazza a qualche passo da lui. Lucy non sembrava notare niente che avrebbe innervosito qualsiasi altra persona normale, dall’aspetto sgradevole degli avventori agli aloni scuri delle vecchie macchie sui tavoli al vetro opaco e la ceramica crepata dei boccali. Invece, sembrava perfino eccitata.

Zendrom si sporse un po’ oltre il tavolo per osservarla, e notò che anche qualche altro avventore stava facendo la stessa cosa. La sua mano destra corse rapida al pugnale che teneva sempre in una tasca, mentre un’espressione sospettosa si dipingeva sul suo volto.

Si preparò a scattare dalla sedia appena avesse visto uno sguardo troppo intenso o un gesto minaccioso, pronto a difendere l’onore di Lucy. Gli sembrava che ogni suo muscolo fosse teso come una corda di violino.

Forse sta finalmente per succedere qualcosa!, si disse speranzoso. Si sentiva ribollire di eccitazione. Un litigio, o una rissa, o un duello, o ...

- Avete deciso cosa prendere? – giunse una voce seccata alle sue spalle, facendolo sobbalzare. In un attimo, Zendrom estrasse il pugnale e si voltò con un gesto fulmineo, pronto a colpire.

La cameriera alzò gli occhi al cielo, ma non sembrò particolarmente turbata, come se fosse abituata a certi gesti violenti e li considerasse solo una banale seccatura. Ripeté la domanda, impassibile. Zendrom quasi si ritrovò ad arrossire, mentre si rilassava e riponeva lentamente nella tasca il coltello.

Poi si ricordò che non aveva motivo di sentirsi in imbarazzo per il giudizio di un essere inferiore – una cameriera troll, per di più: la corporatura massiccia e il malsano colorito verdastro erano indizi sufficienti per stabilirlo.

- Un birra, sguattera – borbottò, tornando subito a rivolgere la sua attenzione a Lucy. Avrebbe potuto giurare di aver sentito la troll mormorare qualche parola dall’aria non molto lusinghiera nella sua lingua barbara, ma non vi badò. Era lì per qualcosa di più importante della maleducazione di una straniera ignorante che probabilmente non l’aveva nemmeno riconosciuto per il guerriero valoroso ed eroico che era.

Fu proprio in quel momento che quel qualcosa di più importante decise di voltarsi verso di lui e prestargli attenzione per la prima volta in tutta la serata.

Il grazioso viso candido della ragazza parve illuminarsi, risplendere di una luce abbagliante nell’insopportabile penombra del locale, e i suoi limpidi occhi blu divennero, se possibile, ancora più grandi. Zendrom fu quasi certo di averla vista sbattere le lunghe ciglia dorate in un gesto che avevo un che di ingenuo e di civettuolo allo stesso tempo. L’eroe gonfiò il petto e le regalò il più smagliante dei suoi sorrisi – il Numero Quarantatre, per la precisione, quello che faceva arrossire come mele mature le locandaie e sospirare le fanciulle di buona famiglia.

- Gernann! – esclamò Lucy, entusiasta, lo sguardo fisso sull’imponente donnone troll.

- Cosa? – riuscì a dire Zendrom, dopo un attimo di completo disorientamento, il sorriso svanito dalla sue labbra senza aver provocato nemmeno uno svenimento.

Gernann, da parte sua, rimase in silenzio e fece un cenno con la testa verso la ragazza, prima di avvicinarsi al suo tavolo. – Stavolta mi lascerai prendere le ordinazioni in pace? – chiese, inarcando un sopracciglio con aria severa. Lucy rise – una risata spontanea, argentina, come una tra buoni amici – e perfino la serva troll si concesse un breve sorriso, qualcosa simile a un misto di rassegnazione e riluttante affetto nell’espressione ad addolcire i lineamenti di pietra del suo viso.

- Cosa? – ripeté Zendrom. Entrambe lo ignorarono.

C’era decisamente qualcosa di anormale in Lucy Hirnadim, Zendrom l’aveva sempre detto. Magari dipendeva dal frequentare troppo quel locale – chissà quante tempo aveva passato con vampiri e licantropi e gente del genere, per avere una simile confidenza con una selvaggia troll!

Sì, dovevano aver sfruttato la sua ingenuità, il suo buon cuore, il suo ostinarsi a vedere qualcosa di buono in tutti ... beh, anche se in questo caso qualcosa di buono doveva essere stato difficile da trovare anche per lei.

Lucy, ignara del suo sguardo, salutò candidamente la troll agitando una mano mentre la cameriera riprendeva a fare il suo lavoro.

O forse Lucy era solo strana.

Ma questo non significava che Zendrom non avesse il dovere o almeno il diritto di proteggerla – almeno fino a quando non fosse arrivata in città un’orda di orchi o una vecchia megera piena di decotti di erbe e amuleti dall’aria inquietante. Qualcosa di interessante, insomma.

Sarebbe tornato, si disse l’eroe, frastornato ma deciso, prima di affrettarsi ad uscire dalla locanda.

 

 

 

 

 

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