The tango will go out di marguerite_murcielago (/viewuser.php?uid=54789)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Capitolo I ***
The tango will go out
{Roxanne, you don’t have to put on
that red
light
You don’t care if it’s wrong or if it is right}
Anthony
Hoyt e Roxanne Mellinger sedevano a tavoli diversi, mangiavano e
conversavano
con persone diverse. Tutta la sala da pranzo risuonava del tintinnio
delle
posate e dei bicchieri, delle risate dei commensali e dei passi dei
camerieri,
così le parole del passeggero, per quanto Roxanne si
sforzasse, erano
incomprensibili e raramente le capitava di distinguere uno scroscio di
risa a cui
doveva appartenere anche la sua.
«Scusate,
devo assentarmi per qualche minuto.» mormorò.
Tra lei e
la porta c’era il passeggero sconosciuto, indifferente nella
confusione
generale.
Gli passò
accanto e lui si piegò in avanti per consentire al cameriere
un passaggio più
agevole: quasi sorrise, notando una striscia di pelle rosa acceso tra
il
colletto della camicia ed i capelli.
Lentamente,
senza nemmeno guardarlo, sfiorò quella pelle calda con
l’indice abbracciato
dalla seta del guanto e lo tenne sollevato finché non fu
uscita dal ristorante.
Risalì il
corridoio vivacemente illuminato il più silenziosamente
possibile, prestando
ascolto.
«Signorina!»
prima ancora di voltarsi, impallidì e affondò le
unghie nel palmo delle mani.
«Sì?»
chiese, senza chiedergli se si stesse rivolgendo proprio a lei: erano
soli, in
quel corridoio stretto e chiaro ed era stata lei a invitarlo. Il suo
tono fu
più brusco, più infastidito di quanto si fosse
aspettata e perciò si sentì più
titubante di quanto avesse previsto.
L’uomo
venne verso di lei a grandi passi, le prese la mano destra e,
chinandosi un
poco, ne sfiorò il dorso con le labbra sottili. Roxanne
avvampò e distolse lo
sguardo.
«Anthony
Hoyt, per servirla.» proruppe lui, quasi baldanzoso.
«Roxanne
Mellinger.» riuscì a dire, a fatica.
Erano
così vicini, non era naturale che un uomo e una
donna… stessero… così…
vicini.
«Perché
mai una signorina così graziosa e perbene cerca di sedurre
uno sconosciuto in
questa maniera?» le chiese Anthony e, tirato fuori un
orologio da tasca, lo
studiò brevemente.
«Perché,
perché crede che io volessi sedurla? Non so nemmeno di cosa
sta parlando.»
«Davvero?»
Il suo
tono era così ironico, così denso di scherno che
Roxanne dovette alzare gli
occhi verso di lui, che non sembrava preoccuparsi di nulla e anzi
cercava di
farle mettere un piede in fallo.
Lo guardò
fisso negli occhi pallidi, socchiudendo i propri:
«Davvero.» voleva tacere,
eppure le parole che aveva pensato raggiunsero la gola e la lingua:
«Seducetemi
voi, se vi va.»
Anthony fece
una risatina imbarazzata, passandosi le dita tra i capelli fini, ma non
se ne
andò.
Appoggiò
la schiena alla parete e rimase lì, senza guardarla, a
riflettere.
Timidamente,
lei assunse la stessa posizione, a nemmeno un metro dalla sua spalla
destra, e
attese a sua volta, benché non sapesse bene cosa sarebbe
successo da lì a poco.
«Come mai
sei su questa nave?»
«Accompagno
mio padre ad un incontro di affari; ha detto che sarebbe stata una
buona
occasione per farmi scoprire i piaceri dei viaggi per nave.»
sospirò.
«E li hai
scoperti?»
«Ma
questa non è una nave,
è una città!
Non è un possibile comprendere i viaggi comuni.»
Si portò
dall’altra parte del corridoio e gettò uno sguardo
oltre il vetro scuro
dell’oblò, scosse la testa una volta, due, come se
stesse cercando di decifrare
qualche forma nel buio, quando invece cercava di far scivolare qualche
ciocca
di capelli lungo la gola.
Capì di
aver vinto, qualunque fosse la posta in palio, quando il respiro di
Anthony le
fece venire la pelle d’oca sulla nuca e le sue mani
scivolarono sui suoi
fianchi, solo con la punta delle dita.
«Roxanne…»
le mormorò all’orecchio destro. «Cosa
dovrei fare, per sedurti?»
Mentre
riprendeva fiato, continuò ad allargare le dita, fino a
cingerle la vita con le
mani, i pollici che si toccavano sulla sua spina dorsale, i medi che si
sfioravano sul suo stomaco.
«Che vita
sottile, Dio.»
Respirò a
fondo: «Sarebbe meglio se… se… non
qui.» balbettò, picchiettando contro
l’oblò.
«Ogni tuo
desiderio è un ordine.» le mani si allontanarono.
Scappò lungo il corridoio,
senza quasi guardarsi alle spalle.
Aprì in
fretta la porta e si precipitò dentro, i capelli in
disordine, tallonata da
Anthony.
Lasciò
che le arrivasse alle spalle e poi si voltò, finendo con lo
sfiorargli il mento
con il naso.
Di nuovo,
aveva beatamente ignorato la distanza di cortesia tra due
interlocutori.
Aveva le
ciglia arcuate, ma come i capelli erano di un castano così
chiaro da essere
invisibili; la sua espressione era fastidiosa, così
indifferente qualsiasi cosa
succedesse, e sentiva che era prossima a detestarlo, appunto per
quell’aria
superiore.
«E
adesso?» la schernì, in attesa.
Roxanne
rise.
Anthony
Hoyt sembrava incapace di assimilare il semplice fatto che lei non
fosse il
tipo di donna cui era abituato: nel baciarla, continuava a strofinarle
le mani
sulla schiena e a allontanare la bocca per guardarle le gambe pallide e
a
spingerla indietro, facendola inciampare nel mucchio di stoffa color
crema del
suo abito, tolto e caduto malamente sul pavimento lindo.
Si lasciò
sospingere fino a cozzare la testa contro la parete, infilò
le braccia tra loro
due e si fece baciare ancora, ancora e ancora, senza opporre una grande
resistenza, finché Anthony non le premette le labbra sulla
tempia, un paio di
volte, e appoggiò la fronte alla sua.
«Ho
freddo.» si lamentò poco dopo, con la pelle
d’oca sulle braccia nude.
Anthony
stornò con tatto lo sguardo, quando si chinò a
raccogliere il vestito e lo
indossò.
«Posso
riaccompagnarti al ristorante, o sarebbe sconveniente?»
«Direi
proprio di no: non credo che stiano tutti pensando al fatto che ci
siamo
assentati…» rispose e, con un gesto fulmineo, gli
sistemò il colletto della
camicia. Lui la prese per mano con insolita delicatezza e la
accompagnò fuori
dalla stanza, attendendo che la richiudesse a chiave.
Man mano che le porte del ristorante si avvicinavano,
Roxanne fu presa da una leggera sensazione di nausea; strinse
più forte il
braccio di Anthony e si sforzò di camminare in linea retta,
finché lui non si
liberò della sua stretta e le cinse la vita con il braccio.
«Hai una brutta cera. Sei sicura di voler tornare
là
dentro?» i suoi occhi erano ancora sfuggenti, la voce ancora
indecisa, eppure
qualcosa nella tensione del braccio la rassicurò.
«Non è niente, sono solo…»
non sapeva se era stanca, tesa,
se era stato il freddo di poco prima, perciò
lasciò la frase in sospeso e fece
un sorriso timido.
«D’accordo.» la mollò
bruscamente, aspettò che tornasse al
suo tavolo come un fantasma.
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Capitolo 2 *** Capitolo II ***
The tango will go out
{First there is
desire
Then... passion!}
Aveva vinto.
Aveva conquistato Anthony, come si conquista una terra
vergine, o la cima di una montagna; la seconda mattina di viaggio,
stesa sul
divanetto nella sua cabina, si sentiva una regina.
La testa castana e deliziosa dell’uomo era l’unica
cosa
che riusciva a vedere dalla sua posizione, l’unica cosa che
comprendeva assieme
al suo soffio sulla pianta del piede destro.
«Non soffri il solletico?» Anthony le
lasciò la gamba,
così poté rimettersi seduta e fingere un contegno
che aveva già perduto.
Sorrise e scosse la testa, le mani in grembo,
compostissima.
Era immobile e sussultò in maniera visibile quando le dita
fredde di Anthony le sfiorarono la nuca, a ricordarle il gesto della
sera prima:
avvampò e piegò la testa verso quelle dita.
«Ho voglia di uscire, posso?» domandò.
«Tutto quello che vuoi, signorina.» fu la risposta,
quando
già le aveva aperto la porta.
Era una
giornata ventosa e molte delle signore sul ponte dovevano chiudere i
prendisole
e stringere con una mano i cappelli, se volevano fermarsi a conversare.
Tutto
era azzurro e bianco, compresi gli abiti dei passeggeri.
Roxanne
barcollò e si aggrappò con una mano al parapetto,
all’improvviso livida.
«Ho
freddo.» disse con voce atona, gli occhi fissi sulla schiuma
delle onde;
Anthony le passò una mano attorno alle spalle e se la
strinse al fianco
sinistro, con sua enorme sorpresa.
C’era
abbastanza caldo, dopotutto si era in Aprile, perciò non
capiva come potesse
avere tanto freddo, se anche la brezza era tiepida come la primavera.
Sospirò e
mosse un poco la testa, per poggiare la nuca e i riccioli molli sul
petto di
Anthony: se avessero voluto, avrebbero potuto stare lì come
due fidanzati e due
sposi, o come due che si amavano, quando era ancora nervosa nel farsi
toccare.
«Grazie.»
pensò e disse ad un certo punto.
«Prego.
Sicura di non soffrire di mal di mare?»
«No, ne
sono sicura. Non so perché ho sempre…»
un altro brivido «così…» di
nuovo
«freddo.»
«Fatti
vedere da un medico.» suggerì Anthony, parlando
sopra la sua testa.
Roxanne
scosse la testa con aria decisa: «Riposerò e
starò meglio, riposerò oggi.»
Capì che
si era stretto nelle spalle dal movimento del suo fianco. La traversata
continuava, monotona, più di quanto si sarebbe aspettata
prima di partire:
forse la bellezza di quel viaggio stava nell’intrattenersi
con il fior fiore
del bel mondo tra letture, piatti raffinati e balli?
Stavano
in silenzio.
«Ho
voglia di baciarti.»
La voce
di Anthony la spaventò quasi, era strana, complessa, ma non
quanto la sorprese
la richiesta limpida che aveva faticato a comprendere, pronunciata in
tono
quasi infantile.
Lo guardò
dal basso, in fretta e allarmata, scoprendo i suoi occhi sbarrati;
allora
socchiuse le palpebre, inclinò il viso verso il cielo
soleggiato e in fretta,
affondandole le dita nelle spalle come se avesse paura di vederla
fuggire,
Anthony prese a baciarla.
Sembrava
scontento: le schiacciava il naso, le faceva quasi tagliuzzare le
labbra contro
i propri denti, deglutiva come avesse avuto tanta sete e cercasse di
bere la
sua pelle e il suo sangue.
Sembrava
felice: sentiva un sorriso nel suo bacio, un’espressione da
bambino, le spalle
le si scaldavano, dovunque posasse le mani.
«Anche io
avevo voglia di baciarti.» ammise, dopo una pausa studiata ad hoc per riprendere fiato e
gioì delle braccia dell’uomo che le avvolgevano la
schiena e la cullavano un poco.
Provò di
nuovo una sensazione di preoccupazione e torpore, ma in tutta
sincerità non lo
trovò affatto importante, né tantomeno degno di
rovinare la sua perfetta
felicità.
«Come sei
tenero, sembri un bambino di un anno.»
«Ne ho
ventinove, niente male per un bambino.» replicò,
senza traccia di buonumore o
ironia, otto parole di gelo che la fecero sorridere come se non le
importasse
nulla di ciò che diceva.
«No,
niente male.» sibilò.
«Quindi
il viaggio procede bene.»
«Direi
che non c’è male.»
«Ne sono…
contento.»
Irritata
dal blando tentativo di aggiustare le cose, più che il suo
essere tanto
scostante, spostò il suo braccio dalla sua spalla e, dopo
averlo fissato con
occhi di brace per qualche secondo, tornò nella propria
cabina, gonfiando le
labbra e borbottando come una bambina.
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Capitolo 3 *** Capitolo III ***
The tango
will go out
{His eyes upon your face
His hand upon your hand
His lips caress your skin}
Roxanne
si dimenò nelle lenzuola, facendo cadere a terra il libro
ancora aperto sulle
proprie ginocchia. Sbadigliò e si strofinò gli
occhi, prima di piegarsi a
raccoglierlo da terra: la posizione in cui si era addormentata le aveva
lasciato la schiena ed il collo indolenziti.
Annebbiata
dal sonno e prosciugata dalle ultime forze dopo
quell’inaspettata dormita,
prese a sfogliare le pagine alla ricerca del punto in cui aveva
interrotto la
lettura ed aveva cominciato a confondere le parole scritte con i sogni.
Pagina
quarantadue, giusto, si disse con un lieve tentennamento del capo,
sforzando
gli occhi cisposi a distinguere le lettere nere dalla pagina grigia,
incurante
della penombra in cui era immersa la cabina. Sentì una morsa
allo stomaco,
quando riprese la lettura.
«Tende
dal colore indefinibile
chiudevano in parte la cuccetta superiore. La luminosa foschia di
giugno
spargeva una luce fioca su quella scena deprimente. Ah! Come odio
quella
cabina!...
Strofinò
le gambe una contro l’altra, per riscaldarle.
Sotto i
suoi occhi stanchi scorrevano le pagine, una dopo l’altra.
«L’oblò era di
nuovo spalancato e agganciato
alla paratia!...
Portò le
ginocchia al petto, con leggero disagio.
«Qualcuno c’era. ricordo
bene che, appena vi
infilai le mani, ebbi la sensazione d’averle immerse
nell’aria di una cantina
umida, e da oltre le cortine provenne un soffio di vento che portava
con sé
l’odore disgustoso di stagnante acqua salmastra…
Pur senza
volerlo, Roxanne alzò la testa e perlustrò la
cabina silenziosa con gli occhi
ben aperti e le orecchie tese, ma l’unico suono che udiva
proveniva dalle
persone che chiacchieravano nel corridoio; era al sicuro, si disse, ed
era
sciocco farsi suggestionare da un racconto!
«Il letto era stato usato, e
l’odore
salmastro era forte; ma le coltri erano asciutte…
Freddi
ragni di panico le corsero lungo la schiena.
«Era un qualcosa spettrale, orrendo
ogni
oltre dire, e si agitava nella mia stretta.
…
occhi bianchi spenti sembravano
fissarmi dall’oscurità; le aleggiava intorno un
fetore putrido d’acqua
salmastra, i capelli ricadevano in sudici riccioli lucidi e bagnati
sulla
faccia spettrale…
Il
passaggio appena letto le ricordò un sogno,
l’attimo di un lungo incubo: come
tutti gli incubi era articolato e non privo di una certa logica
onirica, ma non
ne ricordava che una minima parte, che anche da sveglia la colmava di
spavento;
ricordava, per esempio, un mostriciattolo che saltellava lungo la
strada del
suo paese e che lei afferrava con forza, senza rabbrividire al contatto
della
sua testa tonda e calva e delle ossa sporgenti sotto la pelle sottile,
e che lo
spezzava e lo frantumava tra le mani, rompeva quegli ossicini.
Schifata
dalle briciole polverose, le lasciava cadere ed esse si ricomponevano a
creare
quell’essere piccolo e orrendo
oltre ogni
dire.
Rinunciò
a leggere il racconto di Crawford fino alla fine, dovendo respirare
pesantemente per mantenere la calma, almeno mentre si vestiva in tutta
fretta,
in attesa di sentire lo scalpiccio di piccoli passi alle sue spalle.
Uscì
dalla cabina quasi di corsa, chiudendo la porta con uno schiocco
sonoro, e
scoprì proprio Anthony, tra tutte le anime che imbarcava
quella nave, appostato
dietro l’angolo.
«Oh.»
«Buongiorno.»
commentò lui, inarcando un sopracciglio.
«Oh.
Scusate.» migliorava, poco a poco.
Si
dondolò sui talloni. Un velo di rossore affiorò
sulle guance pallide di
Anthony, che abbassò gli occhi con disappunto e
cercò la sua mano. Gliela
strinse delicatamente, si chinò e, nella solitudine in cui
sembravano immersi,
lontani dal mondo, le offrì un secondo baciamano.
«Stasera
vorrei avervi a cena con me, se non vi è di troppo
disturbo.» proferì, garbato.
Sentì il
proprio cuore aumentare la frequenza dei battiti: «Se non
disturba voi.» disse a
fior di labbra,
guardandolo dritto negli occhi chiari.
Lui
s’illuminò di un bel sorriso infantile.
«Perché
stavate fuggendo dalla vostra cabina, quando vi ho
incontrato?»
«Perché
stavate aspettando che uscissi dalla mia cabina, quando vi ho
incontrato?» lo
scimmiottò, senza perdere il sorriso. Anthony
accusò il colpo e chinò il capo
per dargliene atto.
«Intanto,
se vi sentite offesa, potreste anche allontanarvi da me.»
osservò, innocente,
mentre Roxanne arrossiva vistosamente e lasciava andare la giacca
dell’uomo,
gli occhi bassi.
«Non mi
sentivo bene.» ammise, ricordando la sensazione opprimente
che l’aveva colta in
cabina e gli incubi di quel pomeriggio. Mise un altro passo di distanza
tra lei
ed Anthony.
«Io
continuo ad essere del parere che la causa del tuo malessere
è il viaggio per
mare.»
Fece per
replicare, ma le parole preferirono sgretolarsi sulla lingua e svanire
nel
nulla, non appena realizzò di sentirsi nuovamente male,
peggio di quanto non le
fosse mai accaduto: barcollò e solo la preda di Anthony le
impedì di cadere ai
suoi piedi; si portò una mano alla bocca, sentendosi
prossima a vomitare, e un
rombo copriva le parole allarmate dell’altro.
«Ti prego
di non preoccuparti.» respirò a fondo, affondando
le dita nella carne
dell’uomo, dopo aver emesso quel cinguettio vergognosamente
sincero,
crogiolandosi per metà nel piacere derivante dalla stretta
di Anthony, e
fremendo per l’altra metà dal desiderio di
scappare da lì, poiché sentiva di
aver bisogno di cercare, trovare, capire cosa la angustiasse,
perché la
risposta doveva essere sotto gli occhi di entrambi.
«Stasera,
stasera mi farò trovare al ristorante.» promise,
risoluta, e si allontanò in
fretta, aggiustandosi in fretta e furia le ciocche di capelli sfuggite
allo
chignon.
Alla fine
si ritrovò sul ponte, senza sapere che fare.
Raddrizzò
le spalle, come se un peso tremendo fosse evaporato, non appena
uscì alla luce
del sole; rimase affascinata dalla struttura immensa della nave, ancora
una
volta: era come se non avesse visto i quattro fumaioli al momento di
salire a
bordo, a Southampton.
Era
felice.
Si
sentiva niente di meno che una privilegiata, per il semplice fatto di
essere
salita sul Titanic; ricordò una bambina, stretta alla gonna
di sua madre, che
aveva incrociato il suo sguardo a bocca aperta, incapace di celare
l’invidia
che la rodeva, prima di abbassare la testa.
Adesso,
ritta sul ponte come un soldato, era dispiaciuta per quella bambina,
che non
avrebbe mai avuto la
possibilità di
salire sulla nave più bella che avesse mai solcato
l’Oceano.
Mai, mai,
mai sarebbe entrata in una cabina, pensò ancora.
Mai, mai,
mai avrebbe gustato le pietanze raffinate servite in prima classe,
né la
morbidezza dei divanetti nella sala di lettura. Mai, mai, mai avrebbe
dormito
tra le coltri morbide, dove lei
aveva
dormito quella stessa notte.
Ebbe un
sorriso triste, a quel pensiero.
La
bambina le parve una bambina fortunata, nonostante tutta la miseria e
la
vergogna in cui poteva vivere, una volta cresciuta. Era una bambina
fortunata,
certamente.
«Una
giornata bellissima, non trovate?» una voce maschile
interruppe il suo rimuginare.
«La
migliore che abbia mai visto.» rispose all’istante,
in nome delle buone
maniere, e si voltò verso l’uomo che per primo le
aveva rivolto la parola.
«Il mio
nome è L. Dichter, per servirla.» si
presentò, accennando una riverenza.
«Solo
L.?» replicò Roxanne, con una risatina ansiosa,
volta a nascondere
l’inquietudine provocatele da quel bizzarro dejà-vu.
Dichter
abbozzò un gesto di scusa, torcendo le labbra:
«Veramente è Lyrik; mia madre
era una letterata; ma preferisco non farlo sapere agli estranei, come
potete
ben capire.»
«Oh, sì,
certamente. Voglio dire, è un nome…
particolare.» balbettò la ragazza,
arrossendo.
«Avete
un’aria molto nervosa, signorina…?»
«Roxanne
Mellinger.»
«Signorina
Mellinger.» completò Dichter e la fece sorridere,
con il suo inglese troppo
duro.
Roxanne
continuò a fissarlo, in barba a tutte le regole della buona
educazione, quasi
non potesse colmarsi della carnagione immacolata di Dichter, del suo
sorriso
ambiguo…
Lentamente,
quasi a malincuore, allungò il braccio e lasciò
andare il parapetto, muovendo
qualche timido passo verso il tedesco: l’unico modo per
superarlo era passargli
accanto.
Lo fece,
mentre Dichter sollevava una mano dalle dita lunghissime e le sfiorava
la
spalla, poi girò la testa e vide Anthony che li osservava
dal ponte superiore,
corrugando la fronte come se si fosse trovato a dover risolvere un
difficile
problema matematico; e s’applicava, certo, ma con una sorta
di pesante
stanchezza che gli scuriva gli occhi azzurri e gli ingobbiva le spalle.
«Anthony…»
mormorò, alzando la mano verso di lui, che sostenne il suo
sguardo senza
significativi mutamenti d’espressione ma poi se ne
andò. Se non
fosse stata certa di sentire i suoi occhi sulla faccia, avrebbe creduto
di non
essere stata notata. Per la prima volta, Roxanne si pose una domanda
sui veri
sentimenti di Anthony.
Un’allegra
musica riecheggiava nel corridoio.
Roxanne
deglutì un paio di volte, sentendosi pronta a scoppiare in
lacrime di
nervosismo ed imbarazzo; stava ancora decidendo cosa fare, quando la
porta a
due battenti si aprì con una certa violenza ed Anthony,
molto elegante e molto
sparuto nel suo completo nero, le rivolse un sorriso abbacinante ed
un’occhiata
ancora più piacevole, molto simile ad una lunga frase di
apprezzamento: quella
sera indossava un vestito rosso sangue, stretto in vita da una cintura
di seta
argentata, con maniche di tulle leggero.
Sorridendo
a sua volta, ma con aria di scusa, gli porse una mano inguantata di
grigio.
«Quel
gioiello vi dona molto.» ammise Anthony, piattamente,
indicando la fascia
argentata che le ornava la gola bianca. Roxanne piegò la
testa di lato e
ridacchiò, felice.
«Semplice
seta. Anche tu sembri molto a tuo
agio, stasera.»
Lui
accettò il complimento con un minuscolo cenno del capo, che
fece barcollare le
intenzioni della ragazza; le studiò le mani,
dopodichè chiese, spiccio: «Chi
era?»
«Un altro
passeggero. Solo un altro passeggero. Stai tranquillo.»
replicò Roxanne nello
stesso tono, ma aumentò un poco la stretta sulle dita
dell’uomo. Alla fine
Anthony sospirò, il capo chino, e le schioccò un
gran bacio sulle labbra
pitturate di rosso.
«Andiamo
a farli morire d’invidia!» esclamò, con
un accenno di riso sulle labbra.
Guardando
quelle labbra ridere, Roxanne sentì l’aria
rarefarsi e il mondo ballare sotto i
suoi piedi; si lasciò stringere e condurre tra gli altri
ballerini e ballò,
ballò, ballò.
Rideva
per chissà quale battuta di Anthony, quando udì
un battere di mano vicinissimo
a loro due e salutò cortesemente Dichter, prima che il suo
compagno di danze se
ne avesse a male.
«Sta’
qua, per favore. Vado a prendere… una cosa.»
Elusivo,
Anthony sparì tra la folla.
|
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Capitolo 4 *** Capitolo IV ***
The tango will go out
{Me dejaste, me dejaste
El alma se me fue, se me fue corazón,
Ya no tengo ganas de vivir,
porque no te puedo convencer }
«Ho fatto
qualcosa di male?» proruppe Dichter, aggrottando le
sopracciglia.
Roxanne
sospirò, abbassando le palpebre con aria scontenta.
«Forse. È possibile.»
Lui
sembrò interdetto, per qualche secondo, dopodichè
batté le palpebre con aria
innocente ed esibì un sorriso stupefacente e privo di
rimorso, mentre le
circondava la vita con un braccio.
«D’altronde,
è nel mio sangue far crollare ai miei piedi tutte le
fanciulle che mi
piacciono.»
Quindi
lei gli piaceva? Sentì
una tale vampa
salirle al volto che temette di sentire il trucco leggero sciogliersi
da un
momento all’altro. Se solo…
Che
sciocchezze!
Stava per
scostarsi, quando un nuovo ballo iniziò e Dichter la
attirò a sé, senza darle
nemmeno la possibilità di replicare. Non che ne avesse
l’intenzione, dopotutto
non stavano facendo niente di male. Avrebbero solo ballato.
«Roxanne!»
Dichter le stava sussurrando qualcosa all’orecchio, ma
ciò non le impedì di
udire la voce di Anthony – e non poteva essere solo una sua
impressione, il
fatto che sembrasse così… affranta, non avrebbe
saputo in che altro modo
descriverla.
Smise di
ballare, all’improvviso.
Qualcuno
la urtò e la rimproverò sottovoce, eppure rimase
lì dov’era, inchiodata a terra
dallo sguardo dell’uomo. Aprì la bocca, senza dire
nulla. I ballerini giravano
loro intorno, eppure c’erano solo loro due che si fissavano
nella sala.
Dichter
la sospinse delicatamente verso di lui.
«Anthony,
scusami. Non puoi essere geloso di Dichter, è molto
stupido.»
«Ma… sei
molto sciocca se lo chiami per nome con questa
familiarità» replicò Anthony,
stizzito. Roxanne assottigliò lo sguardo e lo prese per un
braccio,
conducendolo a forza in un angolo.
«Insultami
in privato, per favore.»
Anthony
la fissò con aria apertamente scortese e irritante e non si
degnò di
risponderle.
All’improvviso
la ragazza sentì il sangue ribollirle e montarle nel sangue,
mentre stringeva
le dita per impedirsi di scrollare quello stupido e di schiaffeggiarlo;
anche
se entrambi erano lo stereotipo del sangue anglosassone, con occhi
chiari e
pelle pallida, le parve logico pensare di discendere da una stirpe di
caldo
sangue spagnolo, tanto la sua furia era bollente e scura!
«Non
rispondi nulla?! Allora posso tornare da Dichter, che saprà
di sicuro
apprezzare la mia compagnia più di quanto tu non
faccia» sibilò, rilassando i
muscoli del volto, ma Anthony le afferrò un polso e le
sfiorò la guancia con le
dita dell’altra mano.
«Non è
necessario» replicò, con voce ferma. «Ma
tu… ma tu… fai male.»
Roxanne
sentì una fitta, come se Anthony fosse davvero stato un
bambino da proteggere;
e allo stesso tempo le fu chiaro che le sarebbe stato impossibile, nel
momento
del bisogno, stringerlo tra le braccia, proprio come un infante,
l’avrebbe
perso. Si sentì male.
Davanti agli
occhi le vorticò una nebbia scura, opprimente, poi rinvenne
tra le braccia di
Anthony, che la scrutava con un’espressione a dir poco
preoccupata. Era
magrissimo, sotto la camicia. Fece del suo meglio per sorridere, per
quanto si
stesse rivelando difficile.
«Bevi
questo» ordinò perentorio e Roxanne
ubbidì, sorseggiando il vino leggero.
Mandò giù
un ultimo sorso e coprì la mano destra di Anthony con la
sua: «Devo ancora un
ballo a Dichter» proruppe, decisa «Non
c’è bisogno che tu sia così geloso,
Anthony. Credimi.»
Lo baciò
sulla guancia, prima di lasciarlo solo.
Dopo mezzo
minuto si fece avanti,
anche se le gambe pesavano come piombo.
Eccola, Roxanne: così
disperatamente rossa
e sanguigna, dalla sfumatura dei capelli
rosso scuro al rossetto di sangue lucido, al vestito che le fasciava i
fianchi…
“Che vita sottile, Dio”
Fuoco, fuoco,
fuoco!
Allentò il nodo del cravattino, socchiuse
gli occhi.
Lei aveva ragione, non doveva
infastidirsi per così poco; eppure… prese la
rincorsa per concludere il
pensiero… eppure sembrava così felice quando quel
tedesco la osservava con gli
occhi neri, il suo sorriso era tanto largo che le sue labbra sembravano
stillare
sangue.
Sangue, sangue, sangue!
Poggiò con troppa forza il
bicchiere su un tavolino, attirando su di sé gli sguardi
degli altri
frequentatori. Che andasse al Diavolo – rosso, rosso, rosso!
– quel tedesco,
non sarebbe rimasto a guardare la donna che stava corteggiando mentre
ballava,
senza neppure considerarlo, con un altro!
Irato, uscì dalla sala e prese la
prima rampa di scale per andare giù, nel ventre della nave.
Abbattuto, si
ritrovò davanti ad
una porta di metallo, verniciata di rosso.
Un cartello bianco, lettere nere: Vietato
l’accesso ai non addetti.
Sorrise,
sprezzante, e abbassò la
maniglia.
Doveva essere il locale caldaie:
assomigliava molto all’Inferno, e quegli uomini in canottiera
che lo fissavano,
straniti, con gli occhi bianchi sulla pelle annerita dalla fuliggine!
Il calore
era tremendo. Una mano lercia gli afferrò la spalla.
«Che cosa ci fate qui?» gridò
l’uomo,
per sovrastare il fragore dei macchinari.
Rosso,
Roxanne! Fece per scostarsi, gli occhi
fissi sui fuochisti – perché non riusciva a
smettere di fissarli? Perché? Aprì la
bocca, ma prima che potesse dire qualcosa…
Uno sparo. O
uno strappo.
Cosa diavolo era stato?
Alzando gli occhi, vide un
bagliore – innaturalmente bianco e freddo
nell’Inferno delle caldaie – e il
metallo si ripiegò all’interno come un paio di
labbra e un’onda nera piovve
loro addosso.
Delle gocce d’acqua gli arrivarono
sul viso, facendolo riscuotere dal torpore in cui stava cadendo; si
liberò
della presa del fuochista, indietreggiando.
Un passo, due passi.
Il rombo dell’acqua vomitata
dentro sempre, costante come la corrente di un fiume, coprì
le urla e le
indicazioni: imboccò la scala instabile da cui era arrivato
solo pochi minuti
prima, fradicio, con un solo grido angosciato:
«Roxanne!»
Scale, scale,
scale, pianerottoli
a cui si affacciavano facce assonnate e perplesse, che corrugavano la
fronte e
inarcavano le sopracciglia, domandandosi se fosse caduto qualcosa al
piano
superiore. Urtò una donna robusta che lo maledì
in italiano, il tutto senza
smettere di chiamare, ora più piano, la ragazza.
Aveva così poco tempo!
Rallentò solo al ponte di prima
classe, respirando pesantemente.
Chi si attardava a rientrare in
cabina lo notò con stupore: fradicio, rosso in volto.
Contrariamente a quanto lui stesso
si aspettava non imboccò il corridoio che conduceva alla
sala da ballo, ma salì
le scale, diretto alla cabina di Roxanne. Barcollava, a causa della
morbida
moquette che rivestiva il pavimento, poi vide il numero di cabina: 104.
Si gettò sulla maniglia,
abbassandola con foga.
Da dentro, la voce di Roxanne.
«È aperto, sciocco.»
Anthony
rimase
sulla soglia, come inebetito; e come dargli torto? Roxanne sorrise,
abbassando
gli occhi sul proprio corpo e sulla camicia da notte, gettata davanti a
lei
come uno straccio.
«Cos’era
quello che ho sentito?» chiese a bassa voce, nervosa.
«Sembrava… uno strappo.»
Lui si accasciò
contro lo stipite: «Acqua. Annegheremo, se non ti sbrighi a
rivestirti!»
«Anthony…»
lo chiamò: chissà se fu il suo tono di voce, o la
disperazione che lesse nel
suo sguardo, fatto sta che la porta della cabina si richiuse alle sue
spalle e,
prima ancora che potesse rendersene veramente conto, premeva la schiena
nuda
contro la parete.
«Anthony…»
affondò i denti nel suo labbro inferiore, con forza,
finché una goccia di
sangue non le colò sul mento. Lui gettò indietro
la testa e la baciò sulla
bocca, gemente. Il labbro ferito era già gonfio. Roxanne
stava per dirgli
qualcosa, quando udirono entrambi qualcosa che rotolava, ed un
cofanetto cadde
a terra.
Solo allora
vide che tutto pendeva verso sinistra, compresa la cravatta sciolta di
Anthony.
«Muoviti,
muoviti» le ordinò lui, ansioso, e si
rivestì in tutta fretta, dopo essersi
brevemente asciugato l’inguine con l’asciugamano
del bagno adiacente.
Afferrò un
vestito autunnale, grigio e informe come la paura che la attanagliava,
e si
gettò addosso uno scialle: Anthony le afferrò la
mano – le sue dita erano
sempre gelide – e la trascinò di malagrazia,
faticando per l’inclinazione della
nave, fino alla scialuppa 14, a cui l’aveva condotto
l’inconfondibile suono di
un colpo di pistola.
«C’è un’altra
donna da far salire a bordo!» gridò
all’ufficiale, che porse le mani a Roxanne
per aiutarla a salire; lei, però, si aggrappò con
entrambe le mani alla giacca
di Anthony.
«E tu?»
balbettò, improvvisamente livida.
Lui la
scrutò in volto per alcuni secondi, impassibile, poi si
voltò da un’altra
parte: stretta in un abito liso e troppo leggero per quelle
temperature, una
donna lo fissava con aria implorante, stringendosi al petto un bambino
piangente.
Anche Roxanne
la vide, ma spostò subito gli occhi su di lui, quando lo
sentì sospirare.
«Devo
lasciare il posto a lei» mormorò, le palpebre
socchiuse, e fece per
allontanarsi; i piedi di Roxanne colpirono il bordo della scialuppa.
«Ti prego,
Anthony…»
Lui sospirò
ancora, più forte, e le forzò le mani.
La donna
con il bambino salì a bordo, in lacrime.
«Anthony!»
lo richiamò, bianca come un cencio.
«Posso
parlarle un attimo?» chiese all’ufficiale, ancora
intento ad accogliere bambini
e donne a bordo. Quello annuì, senza neppure guardarlo.
Abbastanza lontano da
renderle impossibile toccarlo, le disse: «Mi
dispiace.»
«Anthony,
c’è posto… siamo in prima
classe… ce lo meritiamo…»
«Credi
che sia così vigliacco?! Mi dispiace, Roxanne, ti amo» ripeté,
implacabile.
Il sangue
le rimbalzava nelle tempie, mentre la scialuppa cominciava a scendere,
inesorabile; rimase senza fiato, vedendo il viso pallido di Anthony
allontanarsi sempre più, farsi sempre più piccolo
nella notte. Prima che
fossero tutti fuori vista, lo vide allontanarsi dal parapetto.
Solo allora
si premette una mano sulla bocca, mentre le lacrime le inondavano le
guance.
Mi
dispiace… solo allora
pensò che non l’avrebbe
rivisto mai più.
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Capitolo 5 *** Capitolo V ***
Mi
dispiace… solo allora
pensò che non
l’avrebbe rivisto mai più.
The tango will go out
{Why does my heart cry?
Feelings I can't fight}
Anthony
sospirò, anche se gli occhi di Roxanne non potevano certo
averlo notato.
Sospirò e
si allontanò dal parapetto, tuffando una mano in tasca; sul
ponte, aggrappato
ad una cima, un gentiluomo stava fumando una sigaretta.
«Scusi, ne ha una?» e
fu tanto cortese da donargliene e accendergliene una.
Esalò una
boccata di fumo, la mano tremante.
Oltrepassò
i componenti dell’orchestra, sorprendentemente pallidi e
sorridenti, schivò
scatole e altri oggetti che rotolavano verso di lui:
l’inclinazione della barca
aveva ormai del disumano e solo facendo leva sulle sporgenze che
incontrava
lungo il tragitto riuscì a camminare in pendenza. Nearer, my God, to Thee, nearer to Thee!
Diede un
ultimo sguardo indietro, verso la prua della nave: l’acqua
nera dell’Atlantico
lambiva quasi il ponte. Respirò a fondo e riprese la sua
salita, sfidando la
folla che scivolava verso il basso. Ah! Il suo cuore non aveva mai
battuto così
forte!
«Dio,
spero che Tu abbia pietà della mia
anima…» mormorò, sedendosi contro una
cassa,
poco dietro il pennone di poppa. Poi, le luci si spensero.
Alla
fioca luce delle stelle, estrasse l’orologio dal taschino e
lo studiò: le due.
«Oh»
sussurrò, senza un filo di voce – fece un sorriso
tremante, poi la poppa sembrò
tremare e volgersi fino al cielo – e mille e più
persone cominciarono a
gridare.
Roxanne, che
fino ad allora aveva
voltato le spalle allo spettacolo del Titanic che affondava, ebbe un
sussulto e
guardò lo scafo della nave che si sollevava, mentre la
nausea le si agitava in
gola. Si coprì gli occhi con i palmi delle mani.
Lo scafo
andava inclinandosi pericolosamente sotto i suoi piedi; Anthony
cercò di
rialzarsi, ma quello si piegò in avanti, facendogli
picchiare la testa sul
rivestimento del ponte. Doveva raggiungere la ringhiera, era il punto
più alto
di tutta la nave, l’unico posto in cui avrebbe potuto
sopravvivere all’acqua. E non
indosso neanche un giubbotto
salvagente, maledizione!
Qualcosa
di caldo gli scivolò lungo il viso, ma non se ne
curò molto.
La
sigaretta ancora accesa gli cadde, ma non si curò molto
neanche di quello.
Afferrò
il parapetto con la mano destra, mentre ascoltava le urla degli altri
passeggeri.
«Aiuto!
Salvatemi!» una ragazzetta annaspava poco lontano, affondava
le unghie per non
scivolare giù. Anthony gemette e le tese la mano. Lei lo
vide e la afferrò,
affondandogli le unghie nel palmo: i suoi occhi erano enormi e lucidi
per le
lacrime.
«Sta’
assieme a me, per l’amor di Dio!» le persone
scivolavano o si gettavano in
mare.
Gettò uno
sguardo in direzione delle scialuppe, o almeno così sperava:
«Roxanne!» chiamò,
più e più volte. Se solo l’avesse
sentito… se solo avesse saputo che l’aveva
sentito sarebbe anche potuto morire in pace.
Roxanne
alzò la testa di scatto,
come se avesse udito un richiamo.
Impossibile,
come potrei sentirlo?
«Anthony!»
urlò con voce stridula
e si infilò le mani nei capelli.
Uno schianto tremendo e il
Titanic…
Uno
schianto tremendo, che spedì sia Anthony che la ragazzetta
contro la ringhiera.
Prim’ancora
che potessero riprendere fiato, la poppa ebbe un sussulto nel senso
opposto,
così che entrambi si ritrovarono a fissare l’acqua
scura e gorgogliante sotto i
loro piedi: penzolavano nel vuoto.
Il
braccio sinistro cominciava a fargli davvero male, e non conosceva un
modo per
evitare di precipitare sotto il relitto del Titanic – e stava
perdendo la
presa. Respirando a fondo, guardò in faccia la ragazza:
«Arrampicati.» Lei
sgranò gli occhi: «Cosa?»
«Passami
sopra, non preoccuparti!» le gridò, nel tono
più rassicurante che gli riuscì.
Lei gli ficcò
un piede nello stomaco, ma riuscì ad issarsi sulla
ringhiera, accoccolata come
un animale spaventato; lui la seguì, la prese per mano e
tentò di raddrizzarsi.
Aveva davanti a sé lo scafo della nave, alle sue spalle una
folla di disperati.
«Spero
che tu voglia fidarti di me» mormorò e si
lasciò scivolare in avanti.
Scesero
veloci come pioggia, puntando i piedi per non rotolare in altre
posizioni;
l’acqua schiumava in vortici sotto le eliche, agitava figure
con il giubbotto
salvagente come pupazzi.
Sì,
sì, sì! ce l’abbiamo fatta!,
pensò esultante, poi arrivò il pezzo di
metallo, la sua testa che batteva contro lo scafo con un rintocco secco.
Seduta in
scialuppa, Roxanne volse
di nuovo gli occhi alla nave, ma non c’era più una
nave, ma una chiazza di
spuma e urla terribili, troppo lontane per loro. Qualcuno
cominciò a pregare.
L’acqua
salata era talmente fredda che bruciava, quasi, sulla pelle e in
particolare
sulla ferita alla fronte. Anthony riemerse quasi subito, sbatacchiato
qua e là
dai vortici. La ragazzetta era ancora aggrappata al suo braccio e
tossiva.
«Signore,
sta sanguinando!» gli disse, scostandogli i capelli dalla
fronte con le dita
bagnate.
«Come
potevo immaginare che la nave si sarebbe attorta su se
stessa?» si scusò lui,
accecato dal sangue che gli copriva gli occhi.
«Io mi
chiamo Hilda» disse ad un certo punto la ragazza, e subito
osservò: «Non avete
un giubbotto salvagente, signore?» sostenendolo per un
braccio. Anthony scosse
la testa.
«I-Io mi
chiamo Anthony.»
Non
vedeva nulla, la ferita continuava a sanguinare.
Hilda lo
abbracciò, quasi, mentre lui continuava a muovere le gambe
intorpidite per
restare a galla; le onde che li spostavano come pezzi di legno erano
dure e
fredde, come se il ghiaccio le avesse trasformate. Inghiottì
un sorso d’acqua e
lo sputò subito, scuotendo la testa.
«Anthony…»
la voce di Hilda tremava, «dovete continuare a muovervi, o
annegherete!»
Avrebbe
voluto replicare che non era uno stupido, che lo sapeva di doversi
muovere, ma
quell’acqua era così fredda e pesante, faticava
così tanto a rimanere a galla
senza giubbotto salvagente, continuava a non vedere nulla, il dolore
gli
bombardava la testa…
«Ah!» le
mani piccole e magre – troppo piccole e troppo magre
– di Hilda lo sostennero,
ma finì lo stesso con il tuffare la testa
sott’acqua. Non voleva annegare!
Alzò di
nuovo la testa, inspirando a pieni polmoni, ma era sempre
più difficile opporsi
al mare.
Hilda gli
circondò la testa con un braccio e avvicinò le
labbra cadaveriche alla sua
guancia.
«Anthony,
non tema, la sosterrò io.»
Lui fece un minuscolo sorriso, la testa reclinata
all’indietro.
«N-non… si preoccupi, Hilda… torneranno a prenderci.»
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Capitolo 6 *** Epilogo ***
The tango will go out
{Your free to leave
me
Just don't deceive me
And please believe me
When I say, I love you}
«Può
reggermi la lanterna,
signorina?»
Lo sguardo dell’ufficiale Lowe
era carico di pietà e orrore, alla luce della lanterna.
Roxanne soffiò sulle proprie
mani per riscaldarle e afferrò la lanterna, sporgendosi
oltre la fiancata della
scialuppa per illuminare la distesa piatta del mare. Decise che, non
appena
fosse finito quell’ingiusto giro di salvataggio, avrebbe
riconsegnato la
lanterna a Lowe e avrebbe vomitato tutto – comprese le
lacrime per Anthony
e tutti i corpi che illuminava.
«Qui non c’è nessuno da
salvare» ammise l’ufficiale e la scialuppa
cambiò direzione; anche lei sembrava
muoversi con una certa titubanza, come una donnicciola che cammini in
punta di
piedi per evitare di calpestare degli insetti. Solo che erano su una
scialuppa
che scivolava sul mare liscio come l’olio e gli insetti erano
decine, centinaia
di corpi.
«Sentite
questo suono?»
Lowe aveva fatto tacere tutti;
nel silenzio della notte, oltre al suono leggero delle onde contro le
fiancate
della scialuppa, si udiva solo un’altra cosa: un richiamo
indistinto, non
dissimile da quello di una sirena.
«Può essere qualcuno che ha
visto la luce della lanterna» osservò Roxanne, in
tono piatto.
La barca si avvicinò alla
sorgente del rumore: era una donna, che sbatteva follemente le mani
nell’acqua
per attirare l’attenzione e li chiamava: «Aiuto!
Aiuto! Per favore, tiratelo
fuori dall’acqua, io non riesco più a
sostenerlo!» esclamò, quando Lowe fu a
portata d’udito.
Lui afferrò qualcosa che
assomigliava ad un manichino di stoffa, gonfio d’acqua, e lo
stese sul fondo
della scialuppa. Roxanne dovette spostarsi per far posto ai due
naufraghi, così
ebbe occasione di guardarli solo quando entrambi furono a bordo e
tornò alla
sua postazione sulla prua, simile ad una polena scarmigliata e svuotata.
Perciò, fu con un estremo balzo
del cuore, di sollievo più che altro, che spostando la
lanterna nell’altra mano
riconobbe il naufrago disteso sul fondo della scialuppa come Anthony
Hoyt.
«Oh, Signore!» strillò, con
voce acutissima.
«Anthony,
ti prego…»
La luce della lanterna illuminò
il volto livido di Anthony; lui si portò l’indice
alle labbra, intimandole di
tacere. Roxanne si inginocchiò al suo fianco, il sorriso
raggelato.
«Ma sei vivo, Anthony, ti sei
salvato!» protestò, senza poter controllare la
voce tremante, e si piegò ancora
di più su di lui, finché alcune ciocche di
capelli non gli sfiorarono le guance.
Finse di non aver visto le
tracce di sangue che aveva tra i capelli e sulla fronte –
finse di non aver
notato il tremore delle sue mani, quando le sollevò
– finse di non aver
prestato ascolto al battito leggero e irregolare del suo cuore
– ma non finse
di non soffrire, quando Anthony le prese il viso tra le mani e
l’avvicinò al
suo.
«Anthony, ti prego…»
ripeté, lacerata dalla sensazione di aver nutrito una
speranza inutile fino a
quel momento; non poteva succedere, non di nuovo.
Nonostante il
nervosismo l’avesse irrigidita al pari di una statua,
sentì il sangue affluirle
alle guance.
«Sono una stupida! Sì, sono
stata una sciocca a credere che tutto si sarebbe risolto!»
Non aggiungere nulla, perché Anthony
la baciò.
Lei chiuse gli occhi, singhiozzante.
La pelle di Anthony sapeva di sale.
«Ti amo» gli disse, pianissimo,
come se avesse appena confessato un orribile segreto.
«Ti ho amato anche io» replicò
lui, stirando il volto in un sorriso forzato.
«Ti ho amato? Non mi ami più?»
Roxanne fece finta di scherzare, stringendogli le braccia attorno alla
vita. Anthony
sbuffò, premette il volto contro la sua spalla, come se non
fossero necessarie
altre parole, altre spiegazioni, quelle che Roxanne invece desiderava
ardentemente.
Indecisa, scrutò il suo volto
da annegato, così pallido e così tranquillo, e
lui inarcò le sopracciglia. Piano,
come per non darle un eccessivo dispiacere, chiuse gli occhi.
Si addormentò e non riprese più
conoscenza.
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