Oh Raperonzolo, sciogli i tuoi capelli, che per salir mi servirò di quelli

di Nimel17
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Via di qua ***
Capitolo 2: *** Deal ***
Capitolo 3: *** Libertà ***
Capitolo 4: *** Rivelazioni ***
Capitolo 5: *** Al palazzo ***
Capitolo 6: *** Sorrow ***
Capitolo 7: *** Non si può sempre cambiare il destino ***
Capitolo 8: *** Nightmare ***
Capitolo 9: *** Does he know? ***
Capitolo 10: *** Evil ***
Capitolo 11: *** Al ballo ***
Capitolo 12: *** True Love ***
Capitolo 13: *** Friendship ***
Capitolo 14: *** Close a door, open a window ***
Capitolo 15: *** Nuovo arrivo ***
Capitolo 16: *** Troubles ***
Capitolo 17: *** Of children and deals ***
Capitolo 18: *** The most powerful magic of all ***
Capitolo 19: *** He's odd ***
Capitolo 20: *** Il giorno d San Valentino ***
Capitolo 21: *** Cos'hanno in comune un corvo ed una scrivania? ***
Capitolo 22: *** Another helper ***
Capitolo 23: *** Confessions of broken hearts ***
Capitolo 24: *** Revenge and Nightmares ***
Capitolo 25: *** Magic is back ***



Capitolo 1
*** Via di qua ***


Non ne poteva più. Posò il carboncino sul foglio e si alzò dalla sedia, con gli occhi lucidi. Si guardò allo specchio e odiò quello che vide: non perché fosse brutta, ma ogni giorno vedeva sempre la solita se stessa, con le solite cose che si riflettevano alle sue spalle. I soliti occhi verdi la guardarono, delusi e sconfortati. Provò a sorridere, tirandosi le labbra con le dita. In fondo, poteva fare tantissime cose. Disegnare, leggere, suonare l’arpa, cantare, danzare, scrivere, improvvisarsi attrice. Ma non poteva fare l’unica cose cui tenesse: uscire, vedere il mondo. Si risedette e prese a spazzolarsi i lunghi capelli biondi, desiderando per un momento essere qualcun altro. Essere fuori. S’immaginò la conversazione tra lei e sua madre:
“Madre, ti prego, lasciami uscire dalla torre! Solo una volta, solo un giorno!”
“No, Rapunzel, non sei ancora pronta. Tesoro, tu non sai quanto sia terribile il mondo là fuori. Qui sei protetta.”
Sospirò. Quante volte aveva affrontato l’argomento? Quante volte le era stato negato il permesso di uscire? Solo pochi minuti….ma neanche quello poteva. Era un uccello in gabbia che desiderava uscire e volare fuori. Si affacciò alla finestra. Il cielo era azzurro, il sole splendeva, il verde della foresta si estendeva infinita, ma quel giorno lei non notò nulla di tutto questo. Vide solamente il volto sorridente di sua madre, la sua voce che le diceva È proibito, Rapunzel, è proibito, è proibito..
Si tappò le orecchie per non sentire più quelle voci e si accucciò sotto il davanzale, stringendosi le ginocchia al petto e nascondendo il viso tra le pieghe della gonna. Perché sua madre non condivideva con lei il suo esilio eterno? Certo, doveva lavorare, era un’importante tessitrice e con il suo lavoro sfamava entrambe, ma desiderava disperatamente un’altra persona, una creatura qualsiasi con cui parlare. Quando riaprì gli occhi, la prima cosa che vide fu un fiume di capelli che si riavvolgeva a spirale lungo la stanza come un serpente che fingeva di dormire per poi acchiappare la preda. I suoi capelli, che la madre amava tanto spazzolare mentre lei cantava la loro canzone. Rimase così, ferma, con gli occhi che le divennero vacui, osservando senza vedere veramente la stanza che si oscurava, assumendo una tinta grigia-blu, gli oggetti diventarono masse informi che incombevano minacciose su di lei, il vento fuori fischiava e non si sentiva altro che il suono delle civette e dei gufi. Un alone della luna entrò dalla finestra, illuminando un dipinto che Rapunzel aveva fatto su una parete della torre. Un mare di stelle, che salivano nel cielo in una scia fino alla luna bianca, con sotto delle case, un bosco e infine la sua torre. Oh, perché sua madre non era con lei? Si alzò e guardò fuori. La foresta era diventata nera, gli alberi esibivano i loro rami al vento in una sorta di danza d’omaggio, la sola cosa visibile era la collina che sottostava alla luna. Si mise a cantare senza accorgersene.
Sola in queste mura imprigionata vivo io
E per ore io sto qui a guardare
Io mi chiedo sempre che emozione mai sarà
Stare un giorno là fuori,
che darei non so
solo un giorno fuori, so che basterà
Una civetta bianca le volò davanti. Gli occhi di Rapunzel si spalancarono. Se un uccello poteva volare, poteva uscire anche lei dalla sua gabbia. Certo, i suoi capelli non avrebbero retto il suo tuffo nel vuoto, si sarebbe schiantata sul terreno erboso, ma persino questo era meglio della sua vita. Vita? Chi voleva prendere in giro? Solo così poteva scappare a madre Gothel. Emise un profondo sospiro, poi salì risoluta sul davanzale, stando china per stare nel piccolo spazio della finestra.
“Fossi in te non lo farei, dearie.”
Rapunzel si spaventò moltissimo. Non aveva mai udito altra voce se non quella di sua madre. Cercò di voltarsi, ma perse l’equilibrio e in un attimo si ritrovò fuori, avvicinandosi sempre di più al suolo, col vento che le schiaffeggiava il viso, la bocca aperta senza riuscire ad urlare. 

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Capitolo 2
*** Deal ***


Non toccò mai il terreno. Rimase sospesa dolcemente nel vuoto per qualche istante, poi iniziò piano a risalire, fino a raggiungere la finestra. Si aggrappò ai battenti con tutta la sua forza e, in un momento che le sembrò durare ore, riuscì ad entrare nella torre e si appoggiò alle pareti, la cui freschezza non le era mai sembrata tanto benvenuta. Tremava così tanto che fu costretta a sedersi per terra. Alzò gli occhi, cercando timorosa la persona a cui doveva appartenere quella voce.
“Forse è meglio fare un po’ di luce in questa lugubre torre, non trovi cara?”
Delle candele apparvero dal nulla, rischiarando notevolmente la stanza. Rapunzel guardò sbalordita l’uomo…ma era davvero un uomo?...che le stava davanti. Non assomigliava a nessuna delle illustrazioni dei suoi libri, questo era certo. La pelle variava dal giallo-verde a tinte più grigiastre, capelli castano-grigi e mossi che gli arrivavano al mento incorniciavano un viso appuntito, sogghignante. E gli occhi…sembravano non avere pupille, non fosse stato per dei bagliori ambrati. E come diamine era entrato nella sua torre? Si alzò di scatto e si allontanò da lui il più possibile, le mani che tastavano il muro alla ricerca di qualsiasi cosa con cui difendersi. Trovò un bastone per la legna e lo brandì davanti a sé.
“Chi sei? Come hai fatto ad entrare? Cosa vuoi?”
“Oh-oh, quante domande! Abbiamo davvero un uccellino curioso, qui, in questa gabbia!”
Rapunzel sentì gli occhi inumidirsi, ma strinse più forte il bastone.
“Una alla volta, allora. Chi sei?”
Lo strano uomo s’inchinò.
“Rumpelstiltskin, per servirti.”
Rumpelstiltskin…Rumpelstiltskin…il vento sembrava ripetere quel nome. Persino lei, chiusa da diciannove anni in quella torre, sapeva chi fosse. Madre Gothel l’aveva usato come uno dei numerosi spauracchi per impedirle d’uscire. Non c’era da stupirsi, che fosse riuscito ad entrare. Ma questo non spiegava…
“Perché ti trovi qui?”
L’altro si guardò le unghie affilate con aria annoiata.
“Oh, passavo di qui. Posso sentire i desideri delle persona, dearie. E te ne hai uno bello importante, vero dearie?”
Mentre diceva ciò gli occhi gli si erano illuminati, il sorriso si era allargato e aveva iniziato a gesticolare in modo tanto buffo che Rapunzel avrebbe riso, se non fosse stata così spaventata.
“Non stringerò mai un patto con te.”
“Mai è un tempo estremamente relativo, tesoro. Non vuoi sentire cos’ho da proporti, prima?”
Lei socchiuse gli occhi. Non si fidava nemmeno un po’.
“Ti ho appena salvato la vita, dearie. Che motivo avrei per farti del male, uccellino?”
“Da quello che dicono di te, mi aspetto di tutto.”
“E cosa dicono del terribile Rumpelstiltskin?”
Si girò di scatto, sollevando una mano di scatto come per richiamare l’attenzione.
“Sentiamo, cosa sa una ragazzina chiusa in una torre di Rumpelstiltskin.”
Rapunzel s’irrigidì. Le spalle del folletto erano scosse dalle risate e gli occhi erano diventati di un dorato fuso.
“Dicono che nessuno può rompere un patto con te. Che il prezzo per i tuoi servigi è troppo alto, che mangi i bambini di coloro che non rispettano i patti e che sacrifichi le vergini nel tuo laboratorio oscuro.”
Ora l’altro non si sforzava nemmeno più di trattenersi.
“Oh, è tutto così vero e così divertente! Sissì, nessuno può rompere un patto con me. Ma prima di rompere un patto, dearie, devi farne uno. Ascolta: ti offro la tua libertà. Basta torre, basta madre iperprotettiva, basta scorci di panorama dalla finestra, invece potrai viaggiare e vedere il mondo. Non è generoso?”
Rapunzel aveva lasciato cadere il bastone e si era avvicinata.
“Cosa vuoi in cambio?”
“Diciamo…sì, diciamo che mi dovrai un favore.”
Lei abbassò lo sguardo.
“No. Voglio che la mia parte sia ben chiarita, se devo dare la mia anima al diavolo.”
Rumpelstiltskin agitò scherzosamente un dito.
“E cosa me ne farei della tua anima? Non sono poi il diavolo. Va bene, va bene. Dopotutto, ogni tipo di magia ha un prezzo. Allora: la tua libertà in cambio di…”
Rapunzel lo guardava, gli occhi che s’ingrandivano speranzosi. Cosa poteva aspettarsi da lei?
“In cambio, tu diventerai il mio menestrello personale.”
Lei era esitante.
“Ma la mia libertà non sarà completa…”
“Oh, non sono poi un padrone così esigente. Ci sono volte in cui non sopporto un suono per anni…in tal caso tu sarai più libera di ora.”
Un lungo rotolo di pergamena comparve nella mano di Rumpelstiltskin. Rapunzel prese la piuma che le porgeva, la rigirò due o tre volte tra le dita, poi firmò. Cos’aveva da perdere?
“È un patto, allora, dearie.”

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Capitolo 3
*** Libertà ***


Alle prime luci dell’alba, Rapunzel scese dalla torre con una scala fatta apparire dal nulla dal folletto. Far scendere i suoi capelli fu tutt’altra storia: dovette tirare tre volte perché cadessero nel prato intorno a lei. Fece lentamente due passi. L’erba era così…soffice. Un po’ pizzicava, ma era un piacevole solletico per i suoi piedi, che non conoscevano che la pietra dura e fredda. Respirò profondamente il profumo di fiori e d’aria aperta. L’aria era frizzante, le portava intorno al viso petali e foglie. Iniziò a fare passi sempre più veloci, roteando su se stessa. Si sdraiò per terra, godendosi la vista del cielo e del sole. Non c’erano nuvole e quello che aveva visto da una piccola finestra ora si estendeva, rivestendo il mondo d’un azzurro luminoso e infinito. Il sole era una piccola sfera d’oro bianco, calda e sprigionante grande energia. Gli uccelli erano molto più numerosi di quanto pensasse, colorati e cinguettanti, strani insetti giallognoli striati di nero volavano vicino ai fiori emettendo un ronzio di sottofondo e bellissime farfalle blu, arancioni, gialle e bianche sbattevano le loro ali in colpetti piccoli e veloci. Una di loro le si posò persino sul naso, creandole un paio d’occhi in più. Si mise a sedere e iniziò a raccogliere sulla gonna quanti più fiori poteva, annusandoli ad uno ad uno: margherite bianche, fiori selvatici color pervinca, tenere violette, campanule rosa, papaveri delicati, lillà e milioni di piccolissimi fiori azzurri che perdevano i loro petali non appena li toccava.
“Scoperto un nuovo passatempo, dearie?”
Per lo spavento, Rapunzel lasciò cadere i fiori a terra. Rumpelstiltskin era appoggiato al tronco di un albero ed era quasi completamente in ombra. Fece per andargli incontro, ma dovette camminare a saltelli per non pestarsi i capelli.
“Oh, sembra che qualcuno abbia qualche problemino con i capelli. Perché non li tagli, cara? Giusto perché non li pesti.”
“Non posso. Mia madre non lo permetterà mai.”
“E a chi mai può importare cosa ne pensa lei, dearie? Tu sei libera, ormai.”
Le si avvicinò e lei indietreggiò d’istinto. Lui sembrò non badarci e le prese in mano una ciocca.
“E vedo pure perché. Qui c’è magia allo stato puro.”
Rapunzel lo guardò.
“Magia? I miei capelli?”
“Certamente, dearie. Scommetto la mia bacchetta che tua madre non è mai invecchiata di un giorno in diciannove anni.”
Lei si morse il labbro.
“La…la gente…invecchia? Madre Gothel mi ha detto che ad una certa età non s’invecchia più.”
Rumpelstiltskin rise, buttando indietro la testa.
“Se si può contare su capelli come i tuoi, certo, dearie, che non s’invecchia. Comunque non possiamo permetterci di portarci dietro come uno strascico la tua bella capigliatura bionda, anche se convengo che sarebbe un terribile – oh, si, terribile – spreco tagliarli.”
Schioccò le dita e Rapunzel prima vide i suoi capelli avvicinarsi a lei, poi le sia alzarono e s’intrecciarono fino a formare una treccia che toccava quasi il terreno, ma almeno non li pestava più. Se li toccò e sentì morbidi petali sotto le dita.
“Vuoi vederti, dearie?”
Magicamente era apparso uno specchio davanti a loro. Lei fece una giravolta di felicità, vedendo la sua lunga treccia fissata con i fiori che aveva lasciato cadere poco prima.
“Grazie, è molto più comodo così.”
“Dovere, dearie. Sei il mio menestrello, dopotutto. La tua arpa ti aspetta già al castello.”
“Siamo molto lontani?”
“Io ho la magia, dearie. Dov’è il problema?”
La presa per braccio e prima che potesse sbattere le ciglia si trovarono davanti ad un palazzo di pietra, senza torri per fortuna, con grandi finestre e un immenso lago laterale che brillava per i riflessi del sole. Rumpelstiltskin fece un piccolo inchino, facendo roteare la mano e indicando il maniero.
“Questa è la mia piuttosto grande dimora, dearie. Ora è anche casa tua.”
L’interno non era molto diverso dalla sua torre, ma era molto più luminoso. I tappeti erano rossi bordati d’oro e le porte erano grandi, di un legno dal colore scuro con sfumature color rubino e avevano un aspetto molto massiccio.
“Ora tocca a te, dearie, rispettare il patto. La magia ha un prezzo, ricordalo.”
 
 

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Capitolo 4
*** Rivelazioni ***


“Molto bene. Dov’è la mia arpa?”
“Arpa? Suonerai più tardi, dearie. Non è quello il
 prezzo di cui ho bisogno ora.”
 Rapunzel incurvò le spalle e socchiuse gli occhi. “Ma…maledizione, è quello il prezzo che abbiamo stabilito!”
Rumpelstiltskin spalancò gli occhi con aria innocente.
“Oh, non mi dire che non ti avevo avvisto della seconda parte del nostro accordo…quale imperdonabile dimenticanza da parte mia!”
Era come se il sangue si fosse trasformato in ghiaccio, come se non riuscisse a mandare giù un boccone troppo grande. La sua prima reazione fu il panico più assoluto. Cos’aveva mai fatto? Cosa mai aveva consentito a fare? Sarebbe stato meglio schiantarsi sul prato. Poi subentrò la rabbia. Quel viscido imbroglione l’aveva spudoratamente ingannata ed ora si stava godendo il suo successo. Non l’aveva detto lui stesso che lei aveva un po’ di magia? Proprio mentre pensava alla sua mossa da fare, la treccia si sciolse e i suoi capelli iniziarono a strisciare verso di lui come tanti serpenti.
“Oh, dearie, questa non è una cosa saggia da fare.”
I capelli gli afferrarono le caviglie e lo fecero cadere, mentre altre ciocche gli agguantarono i polsi e lo avvolsero come un bruco in un bozzolo. Si sentiva…potente.
“Ora dimmi. Cosa dovrei fare?”
“Non serviva legarmi per sapere questo, dearie.”
 “L’assaggio di libertà è stato troppo forte per rinunciarvi subito, Rumpelstiltskin, ma non voglio neanche sacrificare troppo solo perché ti sei approfittato della mia inesperienza. Allora?”
 I capelli aumentarono leggermente la stretta.
“Ricordami di tagliarteli, magia o no. Non c’era bisogno di arrabbiarsi, dearie, davvero, è solo una sciocchezza. Voglio che tu diventi un menestrello, ma al servizio della Regina. Sarai i miei occhi e le mie orecchie per una faccenda molto, molto delicata.”
“Cioè?”
“Dovrai tenere d’occhio la cara principessa Biancaneve in modo che non finisca avvelenata da una delle mele della sua dolce matrigna. Quando si troverà in difficoltà, dovrai persuaderla a rivolgersi a me.”
 “In modo che potrai averla bloccata nella tua ragnatela, folletto crudele?”
 “Niente di così definitivo dearie. Dovrà solo farmi un piccolo favore.”
Fu in quel momento che Rapunzel si avvide che le dita di Rumpelstiltskin si avvicinavano alla bacchetta. Stupida, stupida, perché non l’aveva presa? La presa un momento prima di lui, sfiorandogli le dita. Erano molto fredde. Lo sciolse dalla trappola e, dopo un momento d’indecisione, gli restituì la sua arma.
“Va bene. Dopotutto, ho firmato.”
 Lui s’inchinò, massaggiandosi i polsi con un sorriso che si apriva in una fessura ghignante. “Onorato dalla tua decisione. È un piacere vedere che hai deciso di rispettare l’accordo. Ricorda: nessuno, dearie, nessuno rompe un accordo con me.”
 Con la bacchetta, le toccò i capelli. Rapunzel spalancò la bocca in un grido silenzioso quando vide le ciocche cadere ad una ad una. Il processo si fermò all’altezza dei fianchi.
“Non posso rischiare che tu mi rifaccia lo scherzetto di prima, dearie. Inoltre, saresti stata troppo riconoscibile.”
 Lei digrignò i denti.
“Hanno perso la loro magia?”
“Temo di sì. Così tua madre non avrà più motivo di portarti di nuovo con sé nella torre, nel caso vi rincontriate.”
La freccia colpì il bersaglio. Rapunzel si girò e marciò decisa verso l’uscita, ma appena aperta la porta, si scontrò con un muro invisibile. Tastò davanti a sé, spaventata.
“Cos’hai fatto, folletto malefico?”
“Non potrai uscire senza il mio permesso, dearie.”
“Mi terrai prigioniera, dunque? Perché io non ho venduto i miei servigi solo per uscire dalla torre, ma per la libertà. E se tu violi l’accordo, posso farlo anch’io.”
 Seppe di tenerlo in scatto, ma seppe anche che era veramente arrabbiato. L’uomo scanzonato, ironico e impudente era scomparso: la pelle era diventata ancora più grigia, gli occhi erano di un verde vitreo e il sorriso era fisso. Riprese a respirare quando la metamorfosi cessò.
“Mi hai preso con la mia trappola, dearie. Ammirevole, sono davvero impressionato. Dopotutto, sei la persona più adatta per vedertela con Sua Maestà.”
La barriera era scomparsa. Rapunzel sospirò e ritornò sui suoi passi.
“Dovrò informarti su alcune cosette, dearie. Incomincerai il lavoro oggi stesso. Ti dovrai presentare alla regina sostenendo di essere in difficoltà per via di un patto con me. Per liberarti di me, ti affiderai a lei.”
 “Perché non farlo davvero?”
“Perché lei è malvagia. Ricordati, piccola, le donne sono sempre più pericolose e crudeli. Lei ha strappato il cuore a molte persone per tenerle sotto il suo controllo.”
 Rapunzel impallidì e involontariamente si portò le mani al petto.
“Oh, non preoccuparti di quello. Il tuo ruolo non sarà così importante da spaventarla. Comunque, lei verrà da me per patteggiare la tua libertà, poi in apparenza apparterrai a lei. Conoscendola, non ti chiederà subito dei favori. Per chiedere intendo ordinare, naturalmente.”
“E se ti sbagliassi?”
 “Rimedierò. Il tuo compito sarà essere convincente, dearie. Maledettamente convincente. Ma non mentire: se ne accorge in nove casi su dieci.”
 Rapunzel annuì. Cos’altro poteva fare? Si sentiva come un topo nell’angolo, con le spalle al muro.

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Capitolo 5
*** Al palazzo ***


Se Rapunzel aveva avuto paura di Rumpelstiltskin, la Regina le metteva i brividi. Molto più alta di lei, dai capelli nerissimi raccolti in uno chignon che lasciava cadere una folta ciocca quasi fino alla vita, pelle dorata, occhi grandi e scuri contornati da pesante trucco e una bocca generosa dalla tinta violacea. Aveva un vestito nero e lungo, scollato con ricami di pizzo, pure nero. Al collo aveva un nastro di velluto, da cui pendeva una pietra oscura che sprigionava riflessi rossastri. Se gli occhi erano lo specchio dell’anima, quella donna non ne aveva una.
Le fece segno di alzarsi con un lieve cenno della mano.
“Tu chi saresti, mocciosa?”
Rapunzel ingoiò l’appellativo.
“Sono un’umile menestrello, mia Regina. Per gran parte della mia vita sono stata prigioniera in una torre e una notte mi è stato proposto un patto.”
La risata dell’altra donna risuonò per tutta la sala, così tagliente da sembrare scalfire persino la pietra delle pareti.
 “Così, hai fatto un patto con Rumpelstiltskin, povera sciocca. Ed ora vuoi liberarti delle sue condizioni?”
 “Sì, Maestà. Mi ha ingannata e mi ha estorto una promessa che non ho mai fatto.”
“Qual è il tuo nome?”
Lei non voleva darglielo. Non voleva che la regina avesse potere su di lei. Bastava già Rumpelstiltskin per quello.
“Rosaspina, Maestà.”
“Molto bene, Rosaspina. Finché non avrò deciso cosa fare con te, sarai il menestrello di Biancaneve, la mia figliastra. Ho bisogno di qualcuno che la sorvegli, in modo che non scappi. Posso fidarmi?”
“Certo, Maestà. Ma Rumpelstiltskin…”
 “Non sarà più un problema.”
Lei chinò la testa.
“Seguimi. Ti porto da Biancaneve.”
Lei si chiese come sarebbe stata la sua vita al palazzo reale. Doveva ammetterlo, le ombre che si stagliavano sulle sale avevano forme talmente strane da farle paura. Sembravano tanti uomini infilzati sui pali. Rabbrividì.
 “Ci siamo. Comincia il lavoro, mocciosa, o avrò il tuo cuore nella mia collezione.”
Rapunzel entrò. Una giovane donna si era alzata di scatto guardandola. Aveva lunghi capelli neri, occhi verdi e un volto che esprimeva dolcezza e decisione al tempo stesso. Era talmente bella che per un attimo non riuscì a parlare. Poi s’inchinò.
“Principessa. Sono Rosaspina, il vostro menestrello.”
“Sei la sua spia, vorrai dire.”
Lei scosse la testa.
“Non siete obbligata a rivelarmi niente, così non ci sarà niente da riferire.”
Biancaneve la guardò, diffidente ma sorpresa. Chiunque altro avrebbe negato. Rapunzel si sedette sul tavolo dove c’era la sua arpa e chiese:
“Avete preferenze, principessa? Ballate d’amore, o di guerra, o religiose? Volete che canti per voi?” “Suonate ciò che volete. Non cantate, preferisco che ci sia solo un sottofondo per i miei pensieri.” Lei annuì e iniziò a suonare una vecchia canzone che parlava di un amore infelice. Dopo un po’, la principessa si voltò dalla finestra e la osservò. Rapunzel la ignorò. In quei momenti le sembrava di essere ancora nella torre. Ma c’era qualcosa che la disturbava. Biancaneve sembrava triste e scoraggiata, gli occhi erano quelli di una persona che aveva sofferto. Come poteva consegnarla dalla regina a Rumpelstiltskin? L’avrebbe rinchiusa dalla gabbia del leone a quella della tigre. No, doveva trovare una soluzione alternativa.
“Siete molto brava. Dove avete imparato a suonare?”
“Nella mia torre.”
“Torre?”
 “Mia madre mi ha tenuto rinchiusa in una torre per tutta la vita. I miei capelli la mantenevano giovane.”
 “Come se riuscita a scappare?”
 “Ho stretto un patto.”
Biancaneve impallidì.
“Con…?”
“Rumpelstiltskin. La regina mi libererà dal patto con lui.”
“Sei pazza! Lei può essere molto, molto peggio!”
“Conosci Rumpelstiltskin?”
“No…ma so come stipula i patti. Non ti ha fatto certo firmare a occhi chiusi.”
Rapunzel rise.
“Oh, avevamo stabilito il prezzo. Ma quello che ho firmato prevedeva di più. Mi sono ritrovata a dover pagare un costo troppo alto.”
Ma la principessa non la ascoltava più. Guardava fuori, pensierosa. Rapunzel si sentì stringere il cuore. Sapeva bene cosa stava passando nella mente della principessa. Si alzò di scatto, attirando su di lei l’attenzione.
“Cosa c’è?”
 “Niente. Non c’è niente.”
Ritornò a sedersi e riprese a suonare, ma venne interrotta da qualcuno che bussava.
“Avanti.”
 Era una guardia.
 “La presenza della principessa è richiesta dall’Alto Consigliere.”
 Biancaneve uscì con l’uomo e Rapunzel fece per seguirli, ma venne bloccata.
“Non è necessario, Rosaspina. Puoi restare qui, non tarderò.”
 Lei socchiuse le labbra e s’inchinò, timorosa che fosse un qualcosa di maligno ordito dalla Regina. Dalla sua sacca prese la spazzola e iniziò a pettinarsi. Ci mise molto meno tempo, naturalmente, ma sentiva il vuoto come se fosse nel cuore.
 “Com’è andato il primo giorno di lavoro, dearie?”
Lei lasciò cadere la spazzola, ma Rumpelstiltskin la riprese al volo e gliela porse.
“La principessa non si fida di me.”
“Ti sbagli. Ha paura d fidarsi, ma le ispiri simpatia. Le dispiace per te e la tua vita.”
“Allora saprai anche che ha in mente di venirti a cercare.”
 “Non te l’ha detto.”
“Mi pare evidente.”
Si rigirò la spazzola tra le mani.
“Cosa vuoi che faccia per te?”
Rumpelstiltskin la guardò, socchiudendo gli occhi. La spinse senza violenza contro il muro e avvicinò il viso, scrutandola nelle iridi verdi.
 “Forse che la povera Rapunzel si è già affezionata a Biancaneve? Pensa forse di tradire il patto?” Lei scosse la testa. Il cuore le era salito in gola e batteva freneticamente.
“No. Ma non voglio che soffra. Ha già patito abbastanza.”
Lui la lasciò e incrociò le braccia.
“Deve aiutarmi a distruggere Sua Maestà. Contenta?”
“La sua vita sarà in pericolo?”
 “No. Lei non sarà che uno strumento. Sarà la madre di colei che sconfiggerà la regina.”
Rapunzel lo guardò a bocca aperta.
“Mi ha chiesto di produrre una maledizione che tolga a tutti il loro lieto fine. Ho accettato, ma ho fatto qualcosa in più: la maledizione durerà solo ventotto anni, ma sarà la futura figlia di Biancaneve a farlo.”
Lei aveva la bocca secca.
“Sei pazzo.”
 “Forse, dearie. Ma c’è di più: nessuno, con il maleficio, avrà più magia o memoria di ciò che è accaduto in questo tempo.”
“Come hai potuto accettare, folletto?”
“Ho i miei motivi.”
 Rapunzel si accasciò al suolo. Era troppo da sopportare.

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Capitolo 6
*** Sorrow ***


Erano due mesi ormai che Rapunzel lavorava a palazzo. Aveva iniziato a considerare Biancaneve un’amica e sapeva di dover prendere una decisione: si sentiva una traditrice, nei confronti della Regina, cui ometteva gli spostamenti della figliastra (anche se non ne era affatto dispiaciuta), verso Biancaneve, cui non aveva detto di essere una spia di Rumpelstiltskin e verso Rumpelstiltskin stesso, sapendo che non gli avrebbe mai consegnato l’amica.
Un giorno Biancaneve le chiese di uscire e di accompagnarla in giardino. Rapunzel la seguì. Intuì che la principessa aveva qualcosa in mente. Probabilmente voleva fuggire. Esitante, le propose di sedersi in una panca di pietra.
“Sapete, principessa, ci vogliono dieci minuti per il cambio della guardia. In dieci minuti potete raggiungere il bosco.”
 Biancaneve la guardò, con gli occhi socchiusi.
“Te l’ha detto Sua Maestà di dirmelo, Rosaspina?”
Lei la guardò in faccia. “Rapunzel. Il mio nome è Rapunzel.”
 L’altra la guardò. Lei continuò a parlare, a bassa voce.
“Ti ho mentito, principessa. Il pagamento del prezzo di Rumpelstiltskin prevedeva che io ti proteggessi e ti spingessi a stringere un patto con lui una volta fuggita.”
“Ma…tu mi hai sempre dissuasa, non hai mai…”
“Lo so. Conosco bene le conseguenze di un patto con lui e hai già sofferto abbastanza nella tua vita. La regina non sa niente dei tuoi piani, non le ho mai mentito ma nemmeno detto tutta la verità. Non potevo più continuare così, almeno adesso sono sincera. Ora scambiamoci i mantelli, così la guardia crederà che io sia te.”
 Fece quasi tutto lei. Biancaneve era troppo sorpresa per muoversi.
“Vai. Se vai adesso, abbiamo una possibilità. Se fallisci, saremo perdute entrambe.”
La principessa le strinse le mani.
“Grazie.”
 Una volta che l’amica scomparve in fondo al sentiero, Rapunzel sospirò. Non sapeva cosa fare. Aspettò un’ora, poi si fece coraggio e andò dalla regina. La trovò che si fissava compiaciuta davanti allo specchio, aggiustandosi i capelli e la parure di rubini.
“Entra, Rosaspina.”
“Mia regina, Biancaneve è scomparsa.”
Ecco, l’aveva detto. La regina si era irrigidita e una densa nube nera iniziò a marciare verso di lei. L’avvolse completamente e le impedì di respirare.
“Sciocca mocciosa! Te la sei lasciata scappare!”
Almeno non credeva l’avesse aiutata. La vista le si oscurò e stava per perdere conoscenza, quando la nebbia si dissolse. Lei iniziò a tossire disperatamente, le gambe tremanti. Si appoggiò al muro per non cadere, ma fu una pessima scelta. La regina la bloccò e, prima che Rapunzel potesse rendersene conto, con un pugnale le aveva fatto una lunga incisione sul petto e con una mano le estrasse il cuore, rosso e pulsante. Per un attimo non sentì niente. Poi il dolore le esplose come uno sparo e lei si portò le mani al petto. La ferita non c’era già più, ma il vuoto dentro di sé non era immaginario. “Vattene, sciocca. E, se oserai rimettere piede nel mio castello…”
 Strinse il cuore con più forza tra le sue dita e Rapunzel cadde a terra, contorcendosi e rannicchiandosi. La regina mollò la presa e il dolore si attenuò. La ragazza poté respirare liberamente, pallida, gli occhi stravolti. Si alzò a fatica e raggiunse la porta, poi cercò di uscire reggendosi stentatamente al muro. Quando fu fuori prese il sentiero che aveva percorso Biancaneve poco prima e, una volta entrata nel bosco, si sedette all’ombra di un albero, inspirando profondamente. La regina le aveva preso il cuore. La regina le aveva preso il cuore. Il suo cuore. “Ma come siamo stati bravi, dearie.”
No. Non lui. Non in quel momento.
“La piccola Biancaneve è venuta da me. Ha stretto un patto. Sei libera.”
Lo guardò. Era chiaramente felice e soddisfatto e per un istante Rapunzel si sentì dispiaciuta al pensiero di separarsi dalla sua strada. Come poteva provare sentimenti anche se era senza cuore? Era stato di compagnia quando lei era sola al palazzo reale ed ora lei non aveva più conoscenze al mondo. Fece per girarsi verso di lui, ma se n’era già andato. Lei si rialzò e riprese a camminare. Per un attimo fu tentata di stipulare un nuovo patto con lui, ma poi si diede della stupida. Quel patto le era costato il cuore. Prese delle more da un cespuglio e iniziò a masticare pensosa. Ora era libera. Non aveva più padroni. Poteva organizzare la sua vita come meglio voleva. Chissà come stava sua madre? La stava cercando? Probabilmente no. Le parole di Rumpelstiltskin le tornarono in mente. Non aveva più magia. Deviò il suo percorso, dirigendosi alla fine del bosco. Poteva, anzi doveva andare al villaggio e cercare un lavoro per sopravvivere.
Ma ora era troppo stanca e la notte stava iniziando a calare. Faceva molto freddo e lei si strinse nel mantello che era stato di Biancaneve. Fu allora che incappò in qualcosa di strano. Era una mantella rossa, molto bella, con un cappuccio sempre scarlatto. A chi poteva appartenere? All’improvviso si sentì un ululato e Rapunzel si guardò intorno, spaventata. Non aveva preso in considerazione i lupi. E quell’ululato era così vicino… Corse senza sapere dove stava andando, sempre reggendo la mantellina tra le mani. Cos’erano quei tonfi così ravvicinati dietro di lei? Si voltò e si coprì la mano con la bocca per frenare un uro. Un lupo, un enorme lupo stava annusando il terreno dove lei si era trovata poco prima. Un rumore e si sarebbe accorto di lei. L’avrebbe sbranata e divorata. Indietreggiò piano, ma non fece abbastanza attenzione a dove metteva i piedi. Pestò un ramo. Il lupo alzò di scatto il suo muso coperto di sangue e i suoi occhi rossi la fissarono famelici. Scoprì le zanne in un ringhio e lei pensò che erano molto, molto lunghe e molto, molto appuntite. Si voltò e inizi a scappare da quella visione infernale, ma non fece che pochi passi che la belva la superò con un balzo e si bloccò davanti a lei, preparandosi ad attaccare. Rapunzel agì senza pensare e gli gettò contro la mantella, per guadagnare tempo. Fece per fuggire, ma vide che la sagoma che la stoffa aveva ricoperto non era più animale. Un braccio sbucava da sotto l’abito ed era senza dubbio umano. Lei si avvicinò esitante e scostò lentamente il panno. Al posto del lupo c’era una ragazza dai lunghi capelli neri e dal bellissimo viso statuario. Chi era? Non poteva che essere un licantropo, ma Rapunzel ne ebbe pietà e le avvolse il mantello sulle spalle. Si inginocchiò al suo fianco e la vegliò, pronta ad esserle d’aiuto quando si fosse svegliata.

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Capitolo 7
*** Non si può sempre cambiare il destino ***


“Chi sei tu?”
Rapunzel aprì gli occhi di scatto e si alzò a sedere. Si era addormentata, maledizione! La ragazza che aveva soccorso era già in piedi e la guardava spaventata.
“Il mio nome è Rapunzel. Io…ti ho trovata stanotte. Volevo aspettare che ti svegliassi, ma a quanto pare ho dormito.”
L’altra arrossì e abbassò lo sguardo.
“Scusa, è che…non mi piace che qualcuno di estraneo sia a conoscenza del mio segreto.” “Dev’ essere difficile per te. È un fardello pesante. Per tutta la famiglia Lucas. A quanto pare la licantropia è un fattore genetico.”
Invece non avere cuore non era certo ereditario.
 “Come ti chiami?”
“Puoi chiamarmi Cappuccetto Rosso.”
Rapunzel sorrise.
 “Dimmi, Rapunzel, cosa ci facevi nella foresta da sola e di notte?”
“Dovevo raggiungere il villaggio. Sto cercando lavoro.”
“Ti andrebbe di venire con me da mia nonna? Lei sa sicuramente se qualcuno ha bisogno di un paio di braccia in più.”
“Grazie.”
Camminarono fianco a fianco, in silenzio. Cappuccetto Rosso era davvero una bellissima ragazza. Le dispiacque per la sua situazione. Ritrovarsi ad essere un’assassina, contro la sua volontà, la sua mente…perdere ogni freno, ogni controllo e svegliarsi coperta di sangue, con gli occhi vitrei di persone che magari conosceva che la fissavano senza vederla. Rapunzel rabbrividì. Il bosco era meno minaccioso di giorno.
 “Seguimi, conosco il sentiero.”
 Arrivarono ad una casetta di legno, piccolina ma bella. Ad aspettare fuori c’era un’anziana signora con gli occhiali, dall’aspetto forte e sano. Le portò dentro in casa, ascoltando le loro avventure ed offrendo loro del the.
“Ci sarebbe Johan, il fioraio, che ha bisogno di un aiuto al villaggio. Non ce la fa a fare consegne e badare al negozio contemporaneamente. Prima aveva suo figlio, ma ora che si è sposato ed andato a vivere altrove….”
Rapunzel accettò grata il suggerimento, chinando la testa. Raccontò anche la sua storia, censurando alcune parti importanti come il fatto che la regina l’aveva privata fisicamente del cuore. Quelle persone le ispiravano fiducia. Gli occhi azzurri della nonna di Cappuccetto Rosso la squadravano senza paura, la sua carnagione arrossata faceva molto contrasto con i soffici capelli biondo-grigi raccolti e le sue mani non stavano mai ferme. Si vedeva che non era il tipo da lasciarsi intimorire. Probabilmente aveva stretto un patto con Rumpelstiltskin per ottenere il mantello rosso della nipote e l’ammirò all’istante per il suo coraggio. Su un braccio aveva evidenti cicatrici di morsi, piuttosto antichi, quindi la sua nuova amica non doveva essere stato l’unico caso nell’albero genealogico Lucas. La cena fu molto semplice, una zuppa di funghi con del pane e delle mele cotte. C’era un senso di affetto, di famiglia che Rapunzel non aveva mai provato con sua madre. Per quella notte avrebbe diviso il letto con Cappuccetto, poi il giorno dopo sarebbe andata al villaggio con la nonna di lei. Le avevano detto di andare intanto, mentre loro dovevano discutere di una faccenda privata. Mentre si spazzolava i capelli biondi, sentì una voce molto familiare.
“Temo non si possa fare niente, piccola Cappuccetto. Non sei stata morsa, è un fatto genetico.” Rumpelstiltskin! Socchiuse la porta e sbirciò. Poteva vederlo chiaramente, seduto sulla sedia con le gambe distese in avanti e le dita delle mani unite in un gesto che aveva imparato a riconoscere come di soddisfazione.
 La nonna supplicò.
“Ci deve essere qualcosa!”
“È impossibile. Se ci fosse una soluzione, vi proporrei un patto.”
Richiuse la porta. Le sembrava passato un anno, non un giorno da quando si erano separate le loro strade. Forse perché erano successe così tante cose nel frattempo. Attese qualche minuto, poi uscì dalla finestra.
“Rumpelstiltskin!”
Si guardò attorno. Doveva sbrigarsi, non aveva che pochi minuti di tempo.
“Rumpelstiltskin! Rumpelstiltskin!”
 “Eccomi qui, dearie. Non urlare, non è necessario.”
Si voltò verso di lui. Non riusciva a scorgerlo bene nel buio.
“Vorrei aiutare Cappuccetto Rosso.”
“Come ho già detto loro, non c’è niente che possa spezzare la maledizione.”
Lei prese coraggio.
“Neanche il bacio del vero amore?”
 Lui stette in silenzio per un po’.
“Forse. Cosa ne sai te, piccola Rapunzel?”
“Poco. Ma anche tanto. Sono stata diciannove anni chiusa in una torre, avevo tempo da perdere.” “Non funzionerà mai. Oh, lei ci proverà, ma ucciderà il suo vero amore nel tentativo, perché si trasformerà troppo presto in lupo.”
Rapunzel si coprì la bocca con la mano.
“Oh, non c’è proprio niente che io possa fare?”
 “Per aiutarla? No. Lascia vivere. Non si può sempre cambiare il destino, dearie. Torna dentro, ora, o si accorgeranno della tua assenza.”
 Lei scavalcò rapida il davanzale della finestra e rientrò. Le parole di Rumpelstiltskin le riecheggiavano nella mente. Cappuccetto Rosso avrebbe ucciso il suo amore. Povera ragazza, no riusciva ad immaginare un fato peggiore.

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Capitolo 8
*** Nightmare ***


“Rapunzel, porta questo mazzo di girasoli a casa della signora Zimmer. È quella in fondo alla via principale, sulla destra, con un melo davanti.”
“Subito, signore.”
“Questo invece portalo alla signora Gordon. Attenta, le giunchiglie sono delicate.”
“Si, signore.”
La ragazza si caricò sulle braccia i mazzi e uscì velocemente dal negozio. Doveva camminare di buon passo per completare le ordinazioni, visto che le due case erano dalla parte opposta del villaggio. Non le sembrava vero di essere libera da ogni obbligo, da sua madre, dalla regina, da Rumpelstiltskin…no, un po’ le mancava quell’uomo bizzarro e divertente. Certe volte credeva di sentire la sua voce che la sbeffeggiava chiamandola “dearie”, altre di udire la sua risatina riecheggiare nella foresta. In ogni caso, era contenta del suo lavoro, in due mesi aveva già messo da parte qualcosa e il signor Johan era un po’ il nonno che non aveva mai avuto, burbero ma buono e affettuoso. Gli piaceva intagliare il legno e le aveva fatto diversi ciondoli portafortuna, due bracciali e una statuina che la raffigurava, che però non trovava più. Eppure era sicura di averla lasciata sul suo comodino…
“Ahia!”
Rapunzel si trovò a terra, i mazzi miracolosamente salvi per esser caduti su di lei, dopo essersi scontrata con un qualcosa di molto solido.
“Scusami, scusami, non ti avevo visto.”
Un ragazzo dai capelli castano chiaro, una barbetta appuntita e dolci occhi castani le stava porgendo una mano. Lei richiuse la bocca e accettò il suo aiuto, le guance rosse per l’imbarazzo.
“Grazie dell’aiuto…”
“Flynn. Flynn Rider, aiuto-vetraio. Tu sei Rapunzel, vero? Ti avevo già vista al negozio di fiori, ma tu eri troppo occupata per notarmi, non che tu dovessi notarmi, ma sai, ecco…”
Rapunzel sorrise, trovando assai tenera la sua confusione.
“Perdonami, sono di corsa, devo consegnare questi mazzi, ma sono le mie ultime consegne per oggi. Se vuoi, possiamo fare una passeggiata dopo.”
“Oh, certo che sì! Voglio dire, sono entusiasta, felice, ehm…”
Lei non si trattenne più e corse via, coprendosi il viso ridente con i girasoli. Com’era carino, quel ragazzo! E aveva due occhi così belli…sembravano quelli adoranti di un cagnolino. Bussò dalla signora Zimmer.
“Ecco i girasoli, signora. Sono contenta che li abbia scelti, sono così rallegranti!”
Si voltò e iniziò a correre dalla signora Gordon senza aspettare ringraziamenti. Prima avrebbe finito, prima avrebbe incontrato Flynn. Oh, com’era contenta di essere uscita da quella maledetta torre! Ora viveva, non aveva più il ruolo di spettatrice, ma di attrice vera e propria. Quando tornò dal signor Johan era già pomeriggio inoltrato. Fece per entrare, ma si bloccò e si nascose dietro un albero, il cuore che batteva forte e la fronte piena di sudore gelido. Come non riconoscere la carrozza nera che attendeva fuori dal negozio? Cosa voleva la regina? Cercava lei? La vide uscire sorridente, ma il suo era un sorriso di soddisfazione crudele. Solo quando i cavalli scomparvero dalla sua vista si arrischiò ad uscire e a respirare più lentamente. Entrò nella bottega sforzandosi di sorridere.
“Per oggi ho finito. Cosa voleva la regina, signore?”
“Le sue solite rose nere per un suo incontro. Non aver paura, Rapunzel, non dovrai conoscerla. Quella donna è pura malvagità, perfidia. E pensare che una volta non  era così.”
“In che senso?”
“Sono solo storie. Ma si dice che, prima di sposare il re, fosse la figlia di un nobile e di una strega di umili origini e che perse per mano della madre il suo Vero Amore. Francamente, penso siano tutte frottole. Quando una nasce cattiva, lo rimane.”
“Eppure si dice anche che il male non è nato, ma che è stato creato.”
“Non ha più importanza, immagino. Ci vediamo domani, Rapunzel. Sei una brava ragazza.”
“Grazie, signore.”
Gli diede un abbraccio e un bacio sulla guancia.
“L’ultima volta che mia figlia ha fatto così, stava per incontrarsi con il suo futuro marito.”
Lei rise e salutò, decidendo che era meglio non rispondere. Trovò Flynn vicino al negozio, che aspettava sbilanciandosi sui piedi con le mani dietro la schiena. Lo raggiunse e fu ricompensata da un sorriso che andava da orecchio ad orecchio.
“Ciao. Pensavo che il vecchio ti tenesse in ostaggio.”
“Pessimista.”
Camminarono insieme, parlando della vita al villaggio, delle persone che non sopportavano e dei loro amici, risero insieme quando vennero superati da dei bambini con un cane e dopo un paio d’ore si sedettero in riva ad un piccolo lago per riposarsi.
“Mio padre è stato due settimane a palazzo.”
“Ah sì? Ha riportato qualche pettegolezzo?”
“La regina è furibonda perché Biancaneve ha trovato il suo principe. Il Principe Azzurro, nientemeno. È molto forte e valoroso ed è il più adatto a proteggerla.”
“Sono felice per lei.”
Cara amica! Finalmente un po’ di felicità anche per lei!
“Inoltre, sembra abbia trovato un altro alleato.”
“Chi? Biancaneve?”
“Sì. A quanto pare, si è rivolta a…”
Abbassò la voce e avvicinò la bocca al suo orecchio.
“Rumpelstiltskin!”
Rapunzel sobbalzò. Sembrò che quel nome rimanesse nelle sue orecchie e nella sua mente, ripetendosi come un piacevole ronzio.
“Pazza!”
Si alzò di scatto, turbata. Si strinse le braccia e rabbrividì. Flynn le si avvicinò e le posò le mani sulle spalle.
“Hai freddo, Rapunzel?”
Fece per abbracciarla, ma lei si scostò. Si sentiva come se si fosse appena svegliata da un sogno.
“Non ora, Flynn, ci siamo conosciuti poche ore fa…”
Lo lasciò lì, con un’espressione talmente stupita da essere quasi comica stampata sul suo bel viso. Certo, aveva fatto un bel sogno per un po’, aveva passato qualche momento con un ragazzo molto carino, ma ora era tornata alla vita reale. Lei non era una ragazza innamorata, Flynn era bello ma superficiale, il loro era stato un incontro che avrebbe potuto essere magico, che lo era stato per pochissimo tempo, ma che non aveva portato a niente. Stupida, stupida! Non faceva altro che rimuginare sul periodo al castello. Rumpelstiltskin le aveva parlato di una maledizione. Quando l’avrebbe messa in atto la regina? Poteva dirlo, avvisare Biancaneve? Quando, quella sera, si sdraiò sul suo letto, non le riuscì di prendere sonno. Fissò a lungo il soffitto, poi iniziò a vedere strane immagini. Sua madre che le pettinava i capelli, intrecciandoli con fiori colorati. Sua madre che la faceva uscire dalla torre per portarla ad uno spettacolo di marionette, e all’improvviso si ritrovava ad essere lei stessa un burattino. I suoi arti erano collegati a dei fili, vicino a lei c’erano Biancaneve con un giovane sconosciuto molto bello che le stava accanto, Cappuccetto con la nonna, il signor Johan con dei fiori in mano, la Regina con il suo abito nero, il Cacciatore, sua madre Gothel, Flynn, un giovane dai capelli rossi e gli occhiali, una giovane dal vestito blu e bianco con i capelli castani e gli occhi chiari e un vecchio dalle folte basette, basso e pingue. Il burattinaio era immenso, ghignante ma allo stesso tempo rassicurante, dai capelli mossi e gli occhi dorati, lunghe mani che reggevano tutte le bambole insieme.
“Siete tutte mie marionette, dearie. Tutte pedine.”
Poi tutti gli altri sparivano, eccetto lei e Rumpelstiltskin. Non era più un pupazzo, ma erano insieme nella foresta, di notte, vicino al lago dov’era stata quel pomeriggio.
“Hai trovato il vero amore, dearie? Ma come puoi averlo trovato, se ti manca…”
Estrasse dalla tasca il suo cuore, rosso e pulsante.
“…Questo?”
Rapunzel si svegliò con un grido soffocato in gola. Era lì. Quella era la sua stanza. La stanza che aveva affittato alla locanda a basso prezzo due mesi prima. Se avesse acceso un lume, avrebbe riconosciuto le pareti di legno, il tavolino vicino al letto, l’armadio che lei stessa aveva ridipinto d’azzurro. Ma ora vedeva solo ombre minacciose che s’insinuavano dalla finestra, la luce lugubre della luna e strani scricchiolii in lontananza. Lo sguardo le cadde sull’ombra di un ramo davanti a sé. Un momento, era troppo in alto. E sembrava di più la sagoma di un essere umano, che non di un albero. Invece del panico, si diffuse in lei una strana calma. La voce le uscì in un sussurro.
“Rumpelstiltskin.”

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Capitolo 9
*** Does he know? ***


Stette lì a fissarlo, incerta se stesse ancora sognando. Riconosceva i capelli mossi, la posa scanzonata, ma non riusciva a vederlo chiaramente. Stava per chiedergli se fossero ancora nel sogno, ma qualcosa la bloccò: doveva dire che l’aveva sognato? Sussurrò:
“Perché non parli? Fatti vedere.”
La sagoma avanzò e i raggi di luna la investirono completamente, rivestendola di una strana patina argentata.  Come al solito, sorrideva beffardo e gli occhi erano allegri e amichevoli, come al loro primo incontro. Doveva essere soddisfatto di qualcosa…di un patto ben riuscito, probabilmente.
“Devi scusarmi, dearie. Non mi sembrava giusto svegliarti. Dimenticavo che voi umani avete bisogno di dormire.”
Rapunzel serrò le labbra, offesa.
“E tu cosa sei? Non sei un essere umano?”
Il ghigno si allargò.
“No, dearie. Io sono Rumpelstiltskin.”
Lei sollevò il mento.
“Bene, umano o no, dovrai voltarti mentre esco dal letto. Puoi aspettarmi nell’altra stanza, se devi parlarmi così urgentemente. Sbrigati, però, devo tornare a dormire. Domani lavoro.”
“Un gattino che sfida un lupo. Esilarante.”
Con uno schiocco di dita scomparve. Cosa gli sarebbe costato aprire la porta, lei non lo sapeva davvero. Si chiese se non se la fosse presa troppo…no. Già un numero esorbitante di gente aveva paura di lui. Mise in fretta una camicetta e una gonna che le era lunga, tanto che camminando non poteva evitare di pestarla. Cercò di fermarla il più possibile con un nastro abbastanza ampio che le serviva da cintola e si passò le mani tra i capelli per riordinarli un poco. Uscì e lo trovò seduto su una sedia, le gambe distese in avanti e le braccia conserte. Aveva fatto apparire dal nulla un fuoco che illuminava la stanza che fungeva da cucina e salotto e i bagliori rossastri esaltavano i riflessi dorati dei capelli e della pelle. Rapunzel non potè fare a meno di chiedersi se lo facesse apposta per mimetizzarsi con l’ambiente. L’orologio appeso al muro, un regalo di Johan, segnava mezzanotte passata. Lui seguì il suo sguardo e inclinò la testa.
“Mezzanotte. L’ora delle streghe, si dice.”
Lei voleva ribattere con una battuta sarcastica sul fatto se lui fosse diventato una strega, ma vi rinunciò, ben sapendo che avrebbe solo prolungato la sua visita impedendole di tornare a letto.
“Vuoi una tisana? Ne tengo sempre qualcuna di pronta di riserva. È al biancospino.”
“Volentieri, dearie.”
Lei ne versò in due tazze di porcellana, le più belle che aveva, un regalo della vedova Lucas. Erano decorate con petali violetti, frutti di bosco e foglie d’erica dipinti da un bravo artigiano del paese. Le portò in tavola e si sedette, fissandolo negli occhi mentre beveva. Ora che era completamente sveglia, le si era accesa una grande curiosità. Lui finì di bere e agitò una mano.
“Non guardarmi così, dearie. Non sono qui per svelarti i grandi segreti della vita o l’ubicazione del Graal.”
Lei arrossì.
“Sto aspettando. Mi hai tirata giù dal letto per cosa?”
Lui fece un semicerchio con la punta dello stivale.
“Hai incontrato Sua Maestà, oggi? O ieri, per meglio dire.”
Lei scosse la testa.
“So che è venuta nel negozio di lavoro, ma io mi sono nascosta.”
“Ah.”
Quel monosillabo sembrava intendere molte cose, ma Rapunzel non riusciva ad afferrarle. Come sempre quando si sentiva imbarazzata, iniziò a parlare rapida.
“Cosa intendi dire? Non sto mentendo, è la verità, ho voluto evitarla..”
Lui alzò una mano.
“Ti prego, dearie, non ho mai pensato niente del genere. Hai troppo buon cuore per questo.”
Lei trattenne il respiro.  Rumpelstiltskin si agitò per un istante sulla sedia.
“Ecco, la verità è che sono quasi sicuro fosse venuta per te.”
Rapunzel si portò una mano al petto.
“P-per me?”
“Temo di sì, dearie. Non è mia abitudine sentirmi in colpa, ma in fondo sono io che ti ho messa nel cerchio delle sue…conoscenze. Voglio offrirti un patto.”
Se all’inizio del discorso lei si era sentita commossa da ciò che diceva, alla fine impallidì e si alzò di scatto, facendo quasi cadere la sedia.
“Un patto? Un patto è quello che mi proponi? Dove trovi il coraggio di ripetermi quella parola?”
“Io non esisto senza patti, dearie.”
Lei si voltò e corse alla finestra. Doveva calmarsi. Cercò di farlo, ma non ci riuscì. La voce le uscì più rancorosa di quanto intendesse.
“Qui ho trovato un barlume di felicità. Ho un lavoro che mi piace, un dolce vecchietto che mi fa da nonno, degli amici…”
“E un innamorato che ti fa battere il cuoricino, dearie?”
Lei vacillò per un attimo, ma si mantenne ferma.
“Sì. Si chiama Flynn. Non rimpiango di aver stretto il primo patto che mi ha liberato, ma non voglio dannarmi una volta di più. Se la Regina mi minaccerà, farò il possibile per difendermi, ma senza accordi.”
Lui la guardava con gli occhi così scuri da rendere impossibile distinguere l’iride dalla pupilla, gli angoli della bocca piegati all’ingiù in un’espressione compassionevole.
“Sai cosa rischi, dearie? Quella donna può ucciderti quando vuole.”
“Perché dovrebbe? Non ha mai saputo che sono stata io a far fuggire Biancaneve e …”
Lui alzò la testa di colpo, come se fosse attaccata ad un filo e qualcuno l’avesse tirato bruscamente verso l’alto.
“Tu? Sei stata tu?”
Rapunzel si morse il labbro. Non sapeva se ne fosse arrabbiato o contento. Scosse la testa. Cosa le importava?
“Sì, sono stata io.”
Si fissarono per qualche istante, poi Rumpelstiltskin si alzò, facendo cadere la tazza sul pavimento. Lei si precipitò a raccoglierla, preoccupata. Il bordo aveva una piccola spaccatura, ma non aveva riportato altri danni visibili.
“Spiacente, dearie. Non angustiarti, è solo una tazza dopotutto. Il tuo rifiuto, piuttosto…è la tua ultima parola? Ne sei davvero certa nel cuore?”
Lei annuì, stringendosi l’oggetto al petto come se fosse un tesoro. Lui sospirò e scomparì voltandosi verso la porta. La stanza era immersa nel buio adesso e lei rimase seduta a terra per qualche minuto, incapace di muoversi. Si sentiva male. Le faceva male un cuore che non aveva, ma lei sentiva lo stesso un fastidioso dolore nascente dentro di sé. Era stata ingiusta. Lei non gli aveva detto quello che le aveva fatto la regina, non poteva dunque saperlo…eppure, irrazionalmente, voleva che lui si comportasse come se ne fosse al corrente. Guardò le schegge sul pavimento di legno, sconsolata, lasciando che i capelli le ricadessero sul viso, coprendole gli occhi. A voce bassissima, parlò a se stessa sinceramente.
“Ammettilo, hai agito così perché eri ferita. Ti aspettavi che lui offrisse il suo aiuto come un cavaliere delle fiabe dal cavallo bianco e l’armatura scintillante, che volesse proteggerti perché voleva farlo. Cosa ti rende diversa da tutti gli altri suoi…patti? Hai mentito su Flynn senza motivo, perché ti sei sentita colpita dalle sue parole, perché hai capito che lui sapeva che non è tutto oro quel che riluce.”
Sentì un piccolo groppo alla gola, ma si rifiutò di lasciar scendere le lacrime che iniziavano a formarsi negli occhi. Si rialzò, lavò e asciugò le tazze, dopodichè le rimise a posto. Mentre giaceva a letto, guardando un punto che non poteva vedere, ripensava al passato come non le era più successo da quattro mesi, riviveva mentalmente alcune scene e sorvolava su altre. Inevitabilmente, ripercorse la conversazione appena avuta e all’improvviso afferrò la coperta in una presa di ferro, come un predatore che aveva tra i suoi artigli una vittima che non voleva lasciar scappare.
Come mai Rumpelstiltskin aveva ripetuto così tante volte la parola cuore? Erano allusioni? Era il caso?
Lui sapeva?

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Capitolo 10
*** Evil ***


“Rapunzel…”
Lei allontanò le mani del ragazzo dalle sue spalle.
“No, Flynn, il mio è un no definitivo. Posso essere la tua migliore amica, una sorella, ma non il tuo vero amore. Questo no, perdonami.”
“Ma io, pensavo…dopo quel nostro primo pomeriggio…”
Lei gli volse le spalle e fece due o tre passi per allontanarsi. Dopo si girò e gli, disse, guardandolo dritto negli occhi:
“Quel pomeriggio è stato un modo per evadere dalla realtà, da me stessa. Ma ci sono cose, persone che non posso lasciarmi indietro. Tu sei un brav’uomo, Flynn, non ti merito.”
Lui levò la mano verso l’alto, un gesto d’insofferenza.
“Non prendermi in giro, Rapunzel. Non tirarmi fuori la storia che non vuoi stare con me perché ti senti inferiore. Ti conosco. C’è qualche persona che non vuoi lasciarti indietro, è questo il motivo?”
Lei sussultò, impallidendo. Poi scosse la testa.
“Ti prego, non rovinare tutto…noi possiamo essere…”
Lui ridacchiò, ma i suoi occhi erano freddi.
“Amici? No. Non voglio accontentarmi. Se non puoi indossare per me il ruolo di moglie, non ne indosserai nessun altro.”
Flynn si girò e si allontanò ad ampie falcate, le braccia rigide lungo i fianchi e i pugni serrati. Rapunzel sentì gli occhi inumidirsi, ma sapeva che era la cosa giusta da fare. Sarebbe stato crudele illuderlo ulteriormente. Si addentrò nel bosco, sperando di trovarvi un po’ di pace. Voleva lasciarsi il litigio alle spalle, voleva confidarsi con qualcuno. Voleva dei consigli. Parole amiche. Nell’ultimo mese si era isolata dal mondo esterno, schiacciata da paure invisibili ma non per questo meno forti.
Si guardò attorno: il bosco le parve assumere le sembianze spaventose che aveva assunto la notte che era fuggita da palazzo e si era imbattuta in Cappuccetto Rosso, nonostante fosse pieno giorno. Gli scorci che si intravvedevano dagli alberi mostravano un cielo azzurro-grigiastro, privo di nubi, non c’erano raggi di sole a illuminare le acque del torrente, che sembravano di un grigio ferro che poco aveva a che fare con la loro naturale limpidezza. Non c’erano uccelli a cantare, nessuno scoiattolo si affacciava curioso dai rami. Stanca, si sedette sulle radici di un albero dalla corteccia raggrinzita, che assieme alle ombre dava l’impressione di avere un volto urlante in agonia. Rabbrividì. Sentì qualcosa di leggero sfiorarle la spalla, ma quando si voltò non vide niente. Probabilmente erano i suoi stessi capelli. Rigirò la testa davanti a sé e urlò, con quanta più forza aveva. Davanti a lei c’era un ragno, il ragno più grosso che avesse mai visto, quasi come il suo avambraccio. Quelli che le sembravano mille occhietti rossi la fissavano, spiccando nel pelo che variava dal nero più denso fino a sfumare in un marrone scurissimo, sporcato di quello che sembrava sangue rappreso. Due delicate tenaglie tintinnavano in aspettativa, ma la cosa più spaventosa non era il suo aspetto animalesco, quanto il suo aspetto umano: la bocca dell’essere aveva un labbro superiore e uno inferiore, entrambi carnosi e ben disegnati. La testa aveva lineamenti quasi fini, ma la forma ovale del viso era senza dubbio quella di una donna umana.
Rapunzel si sentì unire le caviglie, le braccia e avvolgere il capo da qualcosa di morbido ma appiccicoso. Fasce intere di ragnatele la rivestirono, nonostante lei si dibattesse con forza. Non riusciva a vedere, a sentire niente, riusciva a malapena a respirare. Brividi incessanti si alternavano nella schiena, il suo corpo aveva iniziato involontariamente a tremare. Si sentì sollevare verso l’alto, mentre una voce le risuonava, fragile come carta e stridente come le posate di ferro sui piatti sulla ceramica. Solo sentirla era una tortura.
“Non avere paura, ragazzina. Sei stata davvero incauta a finire nella tela di Aracne, ma presto le tue sofferenze avranno fine. Sembri proprio appetitosa, una volta conservata per un po’ nel mio bozzolo sarai un piatto da re. Quando tornerò da te, la tua carne rosea sarà diventata grigia, il tuo calore ti avrà abbandonato e il tuo corpo sarà nido di vermi e larve…più cibo per me, bellissima.”
Non doveva vomitare. Non sarebbe morta soffocata dal suo stesso vomito, questo era certo. Non poteva aprire gli occhi, ma forse era meglio. Era la sua immaginazione, o tante miriadi di cosine leggere stavano salendo sul suo corpo? No. La realtà era già abbastanza orribile senza che ci si mettesse anche la fantasia. Il sibilo che sentì vicino alle sue orecchie non fu immaginario, però, e neanche la caduta sul duro terreno. Si sentì come se le sue ossa si fossero schiantate sulla pietra e rotte come se fossero di vetro. Qualcosa stava tagliando le ragnatele che l’avvolgevano, e appena potè spalancò gli occhi ed emise un profondo respiro, annaspando come se fosse reduce da un’apnea durata giorni, invece di pochi minuti. Il viso era pieno di lacrime secche, in bocca sentiva il sapore di sale delle lacrime e del sangue di quando si era morsa la lingua,  i capelli erano appiccicaticci per i fili bianchi impigliati in essi.
“Rapunzel! Ti prego, dì qualcosa…”
Cappuccetto era china su di lei, il viso preoccupato. Con il suo coltello da caccia la stava liberando pian piano, cercando di trascinarla contemporaneamente lontano dall’albero. Quando finalmente le gambe furono libere, Rapunzel si alzò e indietreggiò più che potè.
“C-che cos’era?”
“Aracne. Una volta era una strega…e non una qualunque. Era la madre della Regina, Cora.”
Lei guardò l’amica, inorridita.
“Chi mai condannerebbe la propria madre ad una vita così?”
“Non intenerirti. Diciamo che la Regina ha preso tutto dalla sua dolce mamma.”
Rapunzel continuava a rabbrividire, così Cappuccetto la portò nella sua casa.  Le fece lei stessa il bagno, perché la ragazza era ancora sotto shock. Le passò più volte l’acqua tra i capelli per liberarli dalla sostanza grigiastra che l’impigliava e glieli spazzolò lei stessa. Rapunzel si sentì portata indietro nel tempo, a quando la madre passava il pettine tra la lunga chioma…per restare giovane.
Si riscosse, rifiutandosi di lasciarsi abbattere ancora. Aveva passato una brutta avventura, ma non era la sua prima e nemmeno sarebbe stata l’ultima.
“Grazie. Sto bene, ora.”
Cappuccetto Rosso sospirò.
“Sono felice di averti trovata. Non avrei sopportato di perdere un’altra amica.”
Lei la guardò, sorpresa e preoccupata.
“Cos’è successo?”
L’amica sospirò, guardando il pavimento.
“Una ragazza che conoscevo come Mary, ma che non si chiamava davvero così, è cambiata. Tutto ad un tratto è diventata un’altra persona. E temo sia colpa mia.”
“Qual era il suo vero nome?”
“Biancaneve.”
Rapunzel la fissò a bocca aperta.
“La principessa? Come può…era la ragazza più dolce del regno, non ha senso.”
“La conoscevi?”
“L’ho conosciuta quand’era a palazzo e abbiamo stretto amicizia.”
“Sai di lei e Azzurro?”
“Mi ha informata Flynn.”
“Purtroppo, lui è già promesso alla figlia di Mida. Il loro amore non può realizzarsi.”
“Nulla può ostacolare il Vero Amore.”
“Non hai sentito il peggio. Il mese scorso l’ho incontrata: era a pezzi. Voleva liberarsi del suo dolore, a qualunque prezzo. Io volevo aiutarla, così le ho parlato di…”
“Cappuccetto, no! Aveva già stretto un patto con lui, era libera!”
“Non mi ha detto di conoscerla. Fatto sta che lui le ha dato una pozione che le avrebbe fatto dimenticare Azzurro. Lei l’ha bevuta, ma ora è come se il suo lato oscuro avesse vinto su quello buono. È piena d’odio, rancore anche verso i suoi amici.”
Rapunzel si prese la testa tra le mani.
“Pazza, pazza…”
“Rapunzel, tu…conosci Rumpelstiltskin?”
Lei annuì. L’amica le prese le mani.
“Vuoi parlarne?”
Lei sospirò. Le raccontò ogni cosa, dalla sua vita nella torre fino al lavoro al castello. Quando arrivò alla fuga di Biancaneve, però, tacque.
“Santo cielo, Rapunzel…cos’è capitato dopo?”
La ragazza deglutì.
“Hai mai sentito della collezione della Regina?”
“Dei cuori strapp- ..”
Cappuccetto sgranò gli occhi.
“Oh. Mio. Dio. Come…come fai…?”
“Non lo so. Continuo a provare emozioni, c’è solo un grandissimo vuoto nel petto, molto dolore.”
Le due amiche si abbracciarono.
“Portami da Biancaneve. Dobbiamo parlarle.”
Rapunzel porse a Cappuccetto la sua mantella e uscirono in fretta. Era già pomeriggio inoltrato e il bosco di notte non era particolarmente piacevole.
“Non avere paura, Rapunzel. Dopotutto, hai un lupo a proteggerti.”
“Se non mi mangi prima.”
Cappuccetto ridacchiò.
“Ho imparato a controllarmi un po’ di più, da quando…”
Smisero tutte e due di sorridere. Non era passato molto tempo da quando Peter era morto.
“Ecco. Quella è la casa dei nani. Biancaneve vive con loro da un pezzo.”
Bussarono alla porta. Un nano calvo e barbuto, dall’espressione imbronciata, aprì uno spiraglio, poi le fece entrare.
“Buongiorno, Cappuccetto.”
“Brontolo. Questa è Rapunzel, quella che ha fatto fuggire Biancaneve. Siamo preoccupate per lei.”
“A ragione. Tutta colpa di quel maledetto folletto…”
Rapunzel sottolineò:
“Se Azzurro avesse avuto il coraggio di seguire il Vero Amore, lei non sarebbe mai andata da Rumpelstiltskin.”
“Tutta colpa di quel principino e del maledetto folletto, allora.”
La casa era piuttosto piccola, se le ragazze fossero state solo qualche centimetro più alte avrebbero sbattuto la testa contro il soffitto, ma era ben pulita. Biancaneve stava spazzando quella che doveva essere la stanza dove dormivano i nani, visti i letti piccoli e vicini. Rapunzel la trovò ancora più bella di quanto ricordasse. Indossava un lungo vestito bianco e i capelli corvini erano trattenuti lontano dalla fronte da un nastro rosso. Tuttavia negli occhi chiari non c’era traccia della sua usuale dolcezza, anzi erano freddi, erano come pezzi di vetro.
“Rapunzel. Che piacere rivederti. E anche te, Cappuccetto.”
Un uccellino blu svolazzò vicino a loro e Biancaneve tentò di colpirlo con la scopa.
“Maledetti parassiti, mi libererò di voi!”
Cappuccetto Rosso, Rapunzel e Brontolo si guardarono.
“Dobbiamo trovare Rumpelstiltskin e fargli annullare l’effetto della pozione.”
“Abbiamo già provato. Il folletto dice che la scomparsa dell’amore per Azzurro nel suo cuore ha provocato un vuoto troppo grande, che è stato occupato dal Male. Non si può riavere la vecchia Biancaneve indietro.”
“Allora, dobbiamo avvisare Azzurro. Il bacio di Vero Amore può rompere qualsiasi maledizione.”
“Ma in questo caso sarebbe vero amore solo da parte del principino. Forse.”
“Hai qualche idea migliore?”
Biancaneve urlò di soddisfazione. L’uccellino era a terra, immobile. Brontolo sospirò.
“No. Ma bisogna fare in fretta. Presto lei partirà perché vuole uccidere la Regina.”
Rapunzel borbottò:
“Non sarebbe una cattiva idea, ma immagino che in quel caso tutto il suo cuore sarebbe occupato dal male.”
Si guardarono di nuovo. Cappuccetto disse:
“Avviserò io il principe. Viene spesso a cacciare vicino alla casa dove vivo con la nonna.”
Si volse verso Rapunzel.
“Te non devi in nessun caso richiamare Rumpelstiltskin. Potrebbe essere pericoloso anche per te.”
Lei annuì.
“Non me lo sognerei mai.”
“E non penso che lui verrebbe.”

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Capitolo 11
*** Al ballo ***


Rapunzel guardò orgogliosa la composizione che aveva appena fatto. Le rose rosse erano al centro, dal gambo lungo e  senza spine; intorno c’erano tulipani sempre rossi, ma di una tonalità più delicata. In mezzo c’erano rami di bacche e di foglie di menta. Non era stato facile dare quell’impressione di naturalezza e di selvatico, ma ci era riuscita. Aveva utilizzato rose di tutti i colori, persino azzurre per il matrimonio del principe Thomas. Sulla futura sposa c’erano dicerie di ogni genere: secondo alcuni era la principessa di un regno lontano, secondo altri una preda di pirati, una fanciulla addormentata per cento anni…tutti concordavano però sulla sua bellezza e sulla sua bontà. Johan le batté una mano sulla spalla, sorridendole incoraggiante.
“Forza, ci mancano solo pochi mazzi. Vedo che ormai sei diventata più brava di me.”
Lei arrossì, ma non potè negare che si trovava bene con i fiori e che riusciva a piegarli alla sua fantasia. Passò ai giacinti, prendendone di color violetto, poi li unì con interi grappoli di glicine profumato e posò attorno orchidee bianche. Dopo avere osservato l’insieme per qualche istante, ci aggiunse delle foglie di edera rampicante al centro, in modo che non cadessero verso il basso. Aiutò il vecchio Johan con la sua corona di girasoli, pregandolo di inserire anche piccoli fiori di campo, sempre gialli. Legarono il tutto con un nastro piuttosto grande, arancione e poi si asciugarono la fronte. I preparativi andavano avanti da una settimana e i due avevano dovuto fare il doppio del loro lavoro usuale per rispettare le consegne. Il fiorista le versò dell’acqua fresca, mentre lui buttava giù un sorso del suo liquore preferito dalla fiaschetta che teneva appesa alla cintura. Gli aveva detto più volte che così si sarebbe avvelenato, ma lui rispondeva sempre che in lui c’era qualcosa da uccidere. Cappuccetto bussò alla porta e Rapunzel la fece entrare, abbracciandola. L’amica si guardò intorno con la bocca dischiusa e gli occhi spalancati.
Voi avete fatto tutto questo?”
Lei annuì, orgogliosa. L’altra sospirò triste e si guardò le scarpe.
“Mi dispiace tanto non andare al ballo, stasera, ma è notte di luna piena e non penso che sarei molto gradita ai padroni di casa.”
“Non preoccuparti, non ci andrò nemmeno io.”
“Ma tu devi andarci!”
Rapunzel sbuffò.
“Certo. Un’apprendista fioraia che partecipa alla festa per il matrimonio del principe. Mi ci vedo proprio.”
Cappuccetto le tirò una gomitata.
“Pessimista.”
Le due uscirono insieme per andare nel bosco. Era l’unica cosa che riusciva a rendere felice Rapunzel, nell’ultimo periodo. Era tutto così noioso, normale…aveva bisogno di qualcosa che succedesse all’improvviso. Biancaneve era guarita e ora stava con il suo principe Azzurro, Cappuccetto si controllava perfettamente come lupo mannaro, la regina non si era più fatta vedere e neppure Rumpelstiltskin. In compenso vedeva passare Flynn ogni giorno davanti al suo negozio, fermarsi, guardare dentro e poi proseguire. La nonna della sua amica l’aveva aiutata con i suoi consigli di tanto in tanto, ma si sentiva comunque dispiaciuta per il suo amico. Cappuccetto da parte sua l’aveva incoraggiata a lasciarlo perdere, visto che lo considerava uno stupido e per di più nemmeno bello. Rapunzel portò l’amica nella sua nuova casetta, che apparteneva al figlio di Johan ma il suo datore di lavoro gliel’aveva offerta volentieri, visto che nessuno comunque l’avrebbe mai comprata essendo nel bel mezzo del bosco e un po’…inquietante, in effetti, vista dall’esterno. Le pareti erano di un legno molto scuro, le cui schegge sembravano formare misteriosi disegni. La porta aveva una cornice fatta con piume di corvo dipinte in un andamento che faceva pensare al movimento ondeggiante causato dal vento e intorno alla casa, parzialmente nascosti dall’erba, c’erano simboli molto antichi, forse rune. Lei aveva comunque fatto il possibile per rallegrare l’ambiente appendendovi corone di foglie e file di fiori, freschi ed essiccati. Davanti all’entrata c’erano due nani, Brontolo e Dotto. Reggevano un pacco piuttosto lungo sulle spalle e Cappuccetto rise, battendo le mani.
“Volevano dare anche a me un pacco simile, ma ho dovuto declinare visto che serata sarà per me.”
“Cosa….”
Brontolo le regalò un raro sorriso, mentre Dotto la guardava incoraggiante.
“Biancaneve vorrebbe che venissi al ballo, stasera. Lei e la nuova principessa hanno stretto amicizia, quindi vorrebbe farvi conoscere. Non ha dimenticato il debito che ha nei tuoi confronti. Non che possa essere estinto con un vest-“
Dotto aveva tirato una gomitata al compagno.
“Doveva essere una sorpresa!”
Rapunzel aveva preso il pacco tra le mani e l’aveva portato in casa, appoggiandolo sul tavolo. I suoi tre amici stavano alle sue spalle, sbirciando con aria di aspettativa. I due nani saltellavano sulle punte dei piedi, Cappuccetto Rosso si mordeva l’interno delle guance e aveva la schiena inclinata in avanti. Il vestito che uscì tra le sue mani sembrava destinato ad una regina piuttosto che ad una fioraia. Il fruscio della seta era l’unica cosa che si sentiva nella stanza quando Rapunzel fece aderire l’abito alla parte anteriore del suo corpo e andò davanti allo specchio. La ricchezza maggiore era nella stoffa, di cui non bastava dire che era semplicemente verde: si potevano vedere le diverse sfumature tendenti al verde smeraldo, al verde delle foglie estive, al verde dorato dell’erba illuminata dal sole fino al verde che acquistavano gli stagni nell’ombra di una radura. La veste era fermata sotto il seno da una sottilissima cordicella dorata, da cui poi partiva una gonna non ampia ma ricoperta da una sopra vesta di velo che si dipartiva fluente al centro. Gli orli erano ricamati d’oro, mentre il tessuto era adornato da piccole roselline pure d’oro. Le maniche erano ampie, senza pizzi o gioielli cuciti, proprio come piacevano a lei. Nella scatola c’erano anche una coroncina di uno strano tipo di cristallo che mandava strani riflessi, che componeva foglioline verdi e rose ambrate, e un paio di scarpette d’oro.
Cappuccetto la spinse verso la camera da letto.
“Provatelo, forza!”
Le dita tremanti le ritardarono il lavoro, si sentiva intorpidita, come in un sogno. La corona se la mise lentamente, terrorizzata dall’idea di farla cadere. Per un attimo vide intorno a sé minuscoli pezzi di vetro colorato, ma appena sbatté gli occhi il pavimento era pulito e sentiva sulla testa il peso del piccolo diadema. Appena uscì dalla camera, i suoi tre amici la fissarono, Brontolo a bocca aperta, Dotto con gli occhi umidi che gli appannavano gli occhiali e Cappuccetto sorrideva radiosa. Le girò intorno e le proibì di vedersi allo specchio, sostenendo che mancava qualcosa. Si rivolse ai due nani ed esibì il suo miglior tono perentorio.
“Andate da Johan e chiedetegli un mazzo di rose gialle, prestoprestopresto!”
Quando i due scomparvero dalla porta, l’amica le prese la spazzola, ma Rapunzel la fermò. Le suscitava ricordi che preferiva rimanessero seppelliti.
“Voglio solo acconciarti i capelli. Non manca molto al ballo, sai.”
“Ma se…”
“Il pomeriggio è volato mentre eravamo nel bosco, si vede già il sole che comincia a scendere.”
Sapendo che ogni resistenza era inutile, sospirò e lasciò che Cappuccetto raccogliesse la sua capigliatura in un semplice chignon sulla nuca.
“Hai dimenticato questi due ciuffi davanti. Mi arrivano alla vita.”
“Lasciali lì. È un tocco in più.”
Quando arrivarono le rose, avevano già trovato ago e filo e ben presto (ma non senza numerose punture)  i fiori furono appuntati sulla scollatura e su fermagli per fermare la crocchia. Finalmente, Cappuccetto la portò davanti allo specchio. Sono davvero io? Il riflesso rimandava l’immagina di una fanciulla che poteva essere una fata, una creatura dei boschi, dai capelli color platino che, raccolti, facevano sembrare gli occhi più a mandorla e gli zigomi più alti. Solo dallo sguardo sorpreso si riconobbe. Ci fu un educato picchiettare alla finestra e Brontolo lasciò entrare una piccola fata dall’aura e dall’abito blu.
“Buonasera, Rapunzel. Sono la Fata Turchina.”
“C-come mai siete qui? Voglio dire, io…”
“Per farti andare al ballo, naturalmente. Tieni questa piccola ambra: per tornare non dovrai che gettarla a terra. Per andare, ti ci manderò io con un piccolo incanto.”
Le consegnò la gemma e Rapunzel abbracciò i suoi amici, mentre la fata, muovendo appena le labbra, recitava qualcosa ad occhi chiusi. Senza saperne il motivo, li chiuse anche lei e sentì una leggera brezza sfiorarle le guance. Quando li riaprì era davanti ad una scalinata di marmo bianco che conduceva ad una grandissima entrata sorvegliata da guardie dal portamento eretto e solenne. Iniziò a salire, sollevando la gonna dell’abito per paura di calpestarla. Prima ancora che potesse dire il suo nome, le asce vennero sciolte dall’incrocio e venne lasciata passare. Si mosse cauta lungo il lungo corridoio, lasciandosi guidare dall’eco della musica, delle risate e delle voci. Si trovò molto presto all’entrata della sala da ballo e lì rimase ferma per qualche minuto, lasciando che gli occhi registrassero la meraviglia che vedevano. Il pavimento era di marmo rosa, così lucido che v si poteva specchiare, le colonne erano di marmo verde, terminanti con splendidi capitelli in forma di foglie e fiori. Il soffitto era affrescato da scene bucoliche, in cui fanciulle leggiadre danzavano con i capelli al vento al suono del flauto di alcuni giovani pastori, e le pareti erano adornate da arazzi così fini da essere quasi trasparenti, ricamati con pietre preziose. Riconobbe la leggenda della Dama con l’Unicorno, come pure la storia della Dama di Shalott o della regina Ginevra. La cosa che più la rapì fu il lampadario, d’oro e cristalli, che doveva essere grande più o meno quanto lei a giudicare frettolosamente.
“Rapunzel!”
Si guardò attorno per vedere chi l’avesse chiamata e vide Biancaneve che le si stava avvicinando sorridente. Fu impossibile non risponderle a sua volta con un sorriso.
“Ogni volta che ti vedo diventi sempre più bella, Neve.”
Era vero. Il vestito della sua amica non aveva spalline, aveva lo stesso colore del glicine appena sbocciato ed era arricchito da perle e diamanti che tuttavia non potevano competere con i suoi occhi. I capelli neri erano raccolti in un’acconciatura elaborata, il cui culmine era raggiunto dalla tiara che le adornava la fronte.
“Ti sei vista allo specchio? Sembri una regina delle fate silvestri.”
Rapunzel arrossì.
“Nel mio caso è solo merito del tuo meraviglioso vestito. Tu, dopotutto, sei la più bella del reame.”
Risero insieme, stringendosi le mani. Le raggiunse un giovane alto, dai capelli e la barba castano ramati, dallo sguardo sincero e sorridente. S’inchinò davanti a loro e Rapunzel rispose con una piccola riverenza.
“Questo, amica mia, è James, il mio Principe Azzurro.”
James le baciò la mano.
“Ti ringrazio per quello che hai fatto per Neve, standole vicina e rimanendo sua amica nel pericolo. Hai avuto molto coraggio, a sfidare la Regina e Rumpelstiltskin nello stesso tempo.”
Biancaneve la trascinò lontano da lui, verso una donna più o meno della loro età. Rapunzel pensò che le ricordava una bambola di porcellana: grandi e limpidi occhi azzurro cielo, i boccoli biondi raccolti in modo da lasciar scoperta la nuca, una bocca a forma di cuore e guance rosate. Era l’unica vestita di bianco.
“Rapunzel, questa è Cenerentola. Lei è l’esempio di come chiunque può cambiare la propria vita.”
Lei s’inchinò subito.
“Maestà.”
Cenerentola la fece rialzare, ridendo.
“Fino a poche settimane fa ero una serva e dormivo nella cenere del focolare. Non servono formalità tra amiche.”
Nonostante l’aspetto di bellezza superficiale, il sorriso era dolce e senza doppi fini e Rapunzel iniziò ad apprezzarla di più. Si separò da loro quando il primo cavaliere le chiese di danzare, e ballò con molti nobili presenti nella sala, fingendo per una volta di essere qualcun altro, civettando e chiacchierando. Non sapeva se a metterle allegria era il turbinio colorato di fluenti gonne rosse e blu, d’oro e d’argento, viola e rosa, oppure il vino dolcissimo che le aveva portato uno dei suoi accompagnatori. Ne sentiva ancora le bollicine pizzicarle la lingua.
“Posso avere l’onore?”
Si sentì afferrare la vita e voltare, mentre una mano s’intrecciava con la sua. La sua vista era un po’ annebbiata e per un primo momento non mise a fuoco che dei capelli castani mossi e un completo d’oro. Dopo qualche volteggio tuttavia la sua vista migliorò anche troppo. Provò a gridare, ma non le uscì che un sussurro.
“Non temere, dearie, la tua voce tornerà prestissimo. Non vorrai rovinare questo ballo, vero?”
Non aveva mai visto Rumpelstiltskin così soddisfatto.
“Cosa ci fai qui?”
“Quello che faccio sempre, dearie, mi diverto.”
“Non penso che tu sia stato invitato.”
“Oh, dettaglio insignificante.”
“Con chi vuoi stringere un patto, stavolta?”
Si guardò intorno.
“Quella fanciulla infelice vestita di blu? O quel povero giovane che è appena stato abbandonato da quella donna dai capelli rosso fiamma?”
Erano davvero molto vicini, lei poteva vedere la pelle di lui scintillare e i suoi capelli vicino al viso assumere una tonalità quasi bionda.
“Non sono venuto per stringere un patto, dearie. Sono qui per raccogliere il pagamento.”
Lei rabbrividì e lui se ne accorse. Gli occhi ambrati si allargarono come il suo ghigno.
“Non essere spaventata, dearie. Dopotutto, il nostro accordo ha funzionato alla perfezione.”
Le parole seccate le uscirono prima che il cervello completasse di dirle No non dirlo no ferma…
“Sono le conseguenze che non hanno funzionato per niente.”
Maledizione al vino. Gli occhi di Rumpelstiltskin erano un po’ più scuri e lei sapeva bene cosa ciò volesse dire.
“Qualcosa che non mi hai detto, dearie?”
Lei cercò di alleggerire il tono.
“Oh, temo che il vino mi faccia dire delle sciocchezze e mi metta di cattivo umore.”
“Sai cosa si dice, dearie? Nel vino si nasconde la verità.”
“Non ho mai sentito una cosa tanto insensata.”
La musica finì e lei fece un breve inchino, allontanandosi per scappare dalle sue domande. Andò in una delle terrazze e si nascose dietro la colonna, respirando affannosamente come se avesse corso.
“Rapunzel.”
Mi ha seguita. Non riuscì a frenare un sorriso e nemmeno il tremolio delle gambe. Si voltò e il sorriso le morì come sabbia spazzata dal vento.
“Flynn?”
Cosa ci faceva Flynn, davanti a lei? No, è la persona sbagliata.
“Hai… hai ripensato alla tua decisione? Su di noi?”
“Mi dispiace, Flynn. Non è cambiato niente. Quello che provo per te non è che amicizia.”
Il ragazzo divenne rosso di rabbia.
“È colpa di quell’uomo con cui ballavi prima di venire qui, vero?”
La bocca le si spalancò a quelle parole a tradimento.
“Non gli ho visto il volto, ma ho visto il tuo.”
“Flynn, ascoltami…”
 “Ho ascoltato anche troppo…”
“Hai preso un gigantesco abbaglio, lui non c’entra…”
S’interruppe. Era inutile cercare di convincerlo. Ma perché la sua voce era così incerta e vacillante? Rientrò prima di lui nella sala da ballo, arrabbiata con Flynn perché non voleva capire. Si fermò di colpo, la sua mente rifiutandosi di tradurre ciò che vedeva. Un momento Rumpelstiltskin ballava con Cenerentola, il colore spariva dalle gote di lei e alla fine lui la lasciava nel mezzo del salone facendola piroettare. I suoi occhi cercarono quelli di Biancaneve, trovandovi lo stesso orrore che sicuramente c’era anche nei suoi. Insieme si diressero verso di lei, la presero per le braccia e la portarono, quasi trascinandola a peso morto, in una stanza vicina.
“Il mio bambino, il mio bambino…”
Cenerentola non faceva altro che ripetere queste parole. Tutte e due le strinsero le mani.
“Cenerentola, qui entrambe abbiamo stretto un patto con Rumpelstiltskin. Cos’hai pattuito con lui?”
“Di poter venire al ballo. La mia fata madrina stava per trasformarmi in una principessa, ma lui l’ha uccisa e allora ho dovuto stringere con lui l’accordo.”
Solamente Rapunzel aveva firmato con lui un contratto. Biancaneve aveva concordato con lui a voce.
“Hai letto tutta la pergamena che ti ha fatto firmare?”
“N-no, ho solo firmato.”
Rapunzel sospirò.
“Si è approfittato in modo vergognoso della tua inesperienza e ingenuità. Non sei stata la prima e nemmeno l’ultima. Cosa vuole?”
“Mi disse che avrebbe preteso da me qualcosa di prezioso. Io pensavo a ricchezze, potere…invece vuole il mio primogenito, che è ancora nel mio grembo.”
Biancaneve si portò la mano davanti alla bocca, orripilata.
“Un bambino?”
Cenerentola piangeva, le spalle scosse da singhiozzi così forti che il suo corpo sembrava non poterli contenere. Cercò di rincuorarla.
“Non disperarti. Possiamo proporgli un altro patto, riusciremo a salvare tuo figlio.”
 
 

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Capitolo 12
*** True Love ***


I quattro mesi che seguirono furono i peggiori che Rapunzel avesse mai vissuto. Non ci fu più un giorno di sole, pioveva spesso, il gelo era sceso prima del tempo…era come se tutto fosse un inverno perenne, non fosse stato per gli alberi ancora dotati di chiome verdeggianti. La notte faceva fatica a dormire, con la mente intenta a cercare una soluzione per Cenerentola. Un bambino non avrebbe dovuto crescere senza madre. E poi, cosa ne voleva fare Rumpelstiltskin di un neonato? Non riusciva a credere che lo avrebbe ucciso. Doveva fare tutto parte di un piano più grande, che conosceva solo lui. Come per la questione della maledizione, altra sua angoscia. Era convinta che le terribili condizione climatiche fossero un anticipo della tragedia che stava per avere origine per mano della Regina. No. Per volere della regina, ma la mano che l’aveva originata era quella di Rumpelstiltskin. Rinunciando a dormire, Rapunzel si alzò e si preparò una tisana calda. Avrebbe potuto evocarlo, ma aveva paura di rivederlo e di chiedergli spiegazioni, perché sentiva che l’avrebbe attaccato come quando era venuto quella notte ad avvisarla del pericolo che correva. Inconsapevolmente, prese la tazza scheggiata. L’altra era ricoperta da uno sottile strato di polvere. Con la fronte corrugata, prese uno straccio e la pulì. Da quanto tempo non la utilizzava? Il vento soffiava fortissimo e portava con sé un eco sibilante che le faceva venire la pelle d’oca. Sobbalzava ogni volta che il ramo di un albero sbatteva contro la finestra, solo la pioggia al momento le era risparmiata. La porta si spalancò di colpo, colpendo con un tonfo la parete. Lei urlò. Il fuoco si era spento e tutto era immerso nel buio. Rapunzel fu incapace di muoversi per quello che le sembrò un tempo lunghissimo, poi si riscosse quando sentì una voce lontana che pronunciava il suo nome.
Prese il mantello, dirigendosi verso il richiamo. Si sentiva stordita, come se camminasse nel sonno. I rami sottili sul terreno le ferivano i piedi nudi e i sassolini la pungevano, ma proseguì lo stesso. Il vento si era calmato ed ora era solo un sussurro inquietante, la luna era alta e luminosa e ricopriva parte del bosco di una luce argentea che rendeva tutto ancora più innaturale. Si fermò in una radura che le era sconosciuta e improvvisamente la sua mente era libera dal precedente torpore. La voce taceva. Poco distante da lei c’era una figura femminile incappucciata, il mantello scuro la faceva sembrare una creatura dell’oscurità. Si sentì impallidire. Era la Regina? La donna avanzò e lei indietreggiò.
“Perché ti allontani da me, Rapunzel?”
Lei si addossò ad un albero. Il cappuccio scivolò via e il mantello si aprì.
“Non riconosci più la tua mamma?”
“Non può essere…”
Sua madre Gothel era molto cambiata da quando era scappata. No, era invecchiata. I folti riccioli neri erano abbondantemente spruzzati d’argento, il collo e il viso erano pieni di rughe, leggere come ragnatele, ma innegabili. La bocca era piegata in una linea sottile.
“Torna con me, tesoro. Hai avuto la tua libertà per quasi un anno.”
“Come hai fatto a trovarmi?”
“Mi ha aiutata Sua Maestà la Regina. Mi ha contattata lei personalmente.”
Rapunzel si coprì il viso con le mani. Gothel si avvicinò ancora di più.
“Mi ha spiegato come quel demonio di Rumpelstiltskin ti abbia ingannata. È tutto dimenticato, tesoro, ti ho già perdonata. Non puoi immaginare com’ero preoccupata quando ho trovato la torre vuota. Vieni, torna a casa.”
“Rumpelstiltskin non è un demonio. Tu lo sei. Mi volevi solo per la magia nei miei capelli.”
La madre s’irrigidì. Il sorriso che le uscì non raggiunse gli occhi.
“Ah…le cose stanno così. Quella creatura ti ha mentito.”
“No. Lui è stato l’unico ad essere sincero con me.”
“Ah…”
Gothel fece un gesto come per scacciare una mosca.
“Ma certo. Rapunzel non sbaglia, Rapunzel non perdona, e il suo cuore è un po’ in tempesta.”
“Non è vero. Io…”
“La doppiezza di un folletto scaltro presto ti sbalordirà, tesoro mio.”
“Madre, ascoltami…”
“Ma Rapunzel non sbaglia, lei crede a questo tipo. Perché lui aspetta solo te, non è vero?”
“No…”
Rapunzel tremava. Le guance erano rosse di rabbia e gli occhi verdi erano fiammeggianti.
“È tutto inutile, madre. Non ho più magia. Rumpelstiltskin mi ha tagliato i capelli.”
“Ne ho già parlato con la Regina, tesoro. Lei te la restituirà.”
Lei impallidì. Sentì un ronzio sempre più forte e per un attimo non vide più niente. Si avventò contro sua madre e la spinse più forte che poteva. Non aspettò che si rialzasse, ma si voltò e iniziò a correre, senza guardare dove andava. La voce di Gothel la perseguitava, le rimbombava nella testa. Quando arrivò ad un punto nel bosco abbastanza lontano e conosciuto, si fermò, crollando sulle ginocchia e appoggiandosi con le mani sull’erba umida mentre recuperava il fiato. Gocce di sudore freddo cadevano sul volto. O erano lacrime?
“Rumpelstiltskin.”
Aspettò, ma non sentì nulla, né i suoi passi né la sua risatina folle.
“Rumpelstiltskin! Rumpelstiltskin!”
“Non può venire, piccola.”
Rapunzel si guardò intorno, spaventata. Non c’era nessuno.
“Guardi dalla parte sbagliata.”
Lei alzò lo sguardo e si coprì la bocca con la mano per soffocare un urlo di sgomento. Poco più sopra di lei, pigramente stesa su un ramo, c’era una figura nebulosa che ricordava la forma di un gatto. Due occhi che sembravano sospesi nell’aria la fissavano incuriositi, le pupille verticali leggermente dilatate. La cosa più stupefacente era il larghissimo sorriso dell’animale: andava da parte a parte, scoprendo una lunga serie di dentini appuntiti.
“C-chi….che cosa sei?”
Il gatto prese pian piano consistenza, fino a sembrare quasi un normale soriano, non fosse stato per le dimensioni eccessive.
“Io sono il Gatto del Cheshire. Sono venuto a fare una visita qui con un mio amico cappellaio.”
“Come fai a conoscere Rumpelstiltskin?”
“Non lo conosco.”
“Ma tu hai detto che non sarebbe venuto.”
“Questo non vuol dire che lo conosca. Attenta a rivolgermi le domande giuste.”
L’animale si distese a pancia in su, poi ritornò alla posizione originaria senza smettere di sorridere.
“Molto bene. Cosa sai al riguardo?”
Il corpo del gatto era sparito, ma la testa era rimasta e annuiva compiaciuta.
“Ci siamo, ci siamo. Sai, tu mi ricordi moltissimo una bambina che era riuscita ad arrivare dove vivevo. Alice, si chiamava. Comunque mi trovavo a fare un giro nelle prigioni del castello reale e ho dato un’occhiata ai prigionieri…Rumpelstiltskin era tra loro. È il risultato degli sforzi uniti di Biancaneve, del Principe Azzurro, di Cenerentola e del suo Thomas.”
“No!”
Rapunzel non riusciva a immaginarsi la situazione. Come avevano fatto a catturarlo? Non con la forza, certo. Dovevano averlo ingannato in qualche modo. Eppure, lui era troppo astuto, dopotutto era l’avversario più temuto della Regina. Razionalmente, non poteva dare torto ai sovrani. Solo una piccola parte di lei si ribellava al fatto. Fece per parlare, ma il gatto era scomparso. Chiuse gli occhi e pensò, rannicchiata con le ginocchia al petto e la testa nascosta tra di esse. Dopo poco, si alzò di scatto con la mascella serrata e gli occhi pieni di risolutezza e corse verso casa. Si cambiò, si mise un mantello più pesante e uscì quando il cielo cominciava ad albeggiare. Fermò una diligenza che si dirigeva a palazzo.
“Ci vorranno ore, ragazza.”
“Non importa. Ecco qui, dieci monete d’oro. Sono tutto quello che ho, basta che non faccia altre fermate.”
Gli occhi avidi dell’uomo brillarono e le sue mani grassocce afferrarono il danaro.
“Monti su. Con questi soldi ha comprato il mio tempo andata e ritorno.”
“Non mi interessa. Si sbrighi, è urgente.”
L’uomo incitò i cavalli e Rapunzel dovette aggrapparsi per non cadere. Aveva appena dato via i suoi pochi risparmi, ma non le importava. Il petto era oppresso da presentimenti affatto rosei. Un forte mal di testa le cingeva il capo e quel viaggio le avrebbe sicuramente riservato parecchie ammaccature. Sembrava che il conducente si facesse punto d’onore di centrare tutte le buche e le pozzanghere che trovava. Finalmente, nel primo pomeriggio, raggiunsero il castello. Lei balzò giù con un salto e congedò l’uomo, stringendosi di più nel manto come se fosse la più sacra delle protezioni. Si diresse verso il portone, facendo fatica a camminare a causa dei piedi gelati, delle mani intirizzite e delle gambe intorpidite. Sbatté due volte il battente sulla porta. Dopo un tempo insolitamente lungo, le aprì la porta un soldato. La guardò con la fronte corrugata e scosse la testa.
“Mendicanti. Vieni, ti porto nelle cucine, lì troverai qualcosa da mangiare e con cui scaldarti.”
Le lacrime le pizzicarono gli occhi per la mortificazione, ma alzò il mento e assunse la sua aria più decisa.
“Devo parlare con la regina Biancaneve.”
“C’è una riunione in corso tra importanti regnanti.”
“Rapunzel!”
Cappuccetto Rosso stava correndo verso di lei, le braccia spalancate.
“Oh, amica mia, è il Cielo che ti manda. Vieni, presto.”
La trascinò per un braccio sotto lo sguardo incredulo della guardia, che alzò le spalle e richiuse il portone. Le due giovani salirono due rampe di scale e arrivarono davanti ad una porta solida e di legno scuro. Cappuccetto la spalancò senza troppi riguardi.
“Guardate chi c’è!”
Seduti ad una tavola rotonda come quella delle favole nei libri che aveva sulla torre, dando le spalle ad un grande specchio ovale coperto, c’erano Biancaneve, James, Cenerentola, la Fata Turchina, un grillo, la nonna di Cappuccetto e un anziano signore dall’aria benevola. Tutti si alzarono e presto si ritrovò stretta tra le braccia delle amiche.
“Mio Dio, Biancaneve, aspetti anche te un bambino!”
“Sarà una bambina. La chiamerò Emma. Rapunzel, cara, non so come mai tu sia qui, ma la tua presenza è utilissima. Conosci tutti, tranne il Grillo Parlante..”
“Puoi chiamarmi Jimmy.”
“…E questo è Geppetto, un ottimo falegname.”
James le aveva gia procurato un posto vicino a Cenerentola. Rapunzel fece per toccarle il pancione sorridendo, poi ritrasse la mano preoccupata.
“Posso?”
L’altra sorrise, le prese la mano e se l’appoggiò sul ventre. Ci furono dei forti calci per tutta risposta.
“Mio Dio, è davvero energico. Thomas sarà così orgoglioso.”
Il sorriso scomparve dal volto dell’amica e molti chinarono il capo. Cenerentola strinse le labbra.
“Lo sarebbe, se fosse qui.”
Rapunzel la guardò, confusa.
“Eravamo riusciti a realizzare un piano di cattura per imprigionare Rumpelstiltskin e costringerlo a ritrattare il patto. La fata Turchina ha stregato una piuma d’oca con cui dovevo fargli firmare un nuovo falso patto, in cui mentivo dicendo di aspettare due gemelli e che glieli avrei dati entrambi in cambio di sicurezza per il regno. La magia ha funzionato, neutralizzandolo. Purtroppo, nello stesso momento, Thomas è scomparso. Quel folletto ha detto che non lo rivedrò più finchè non gli darò mio figlio.”
Rapunzel si portò le mani al viso. Come poteva Rumpelstiltskin essere così crudele? James prese parola.
“Abbiamo un altro problema. La Regina attiverà presto una maledizione che toglierà a tutti noi il lieto fine e che ci renderà prigionieri di un mondo senza magia, del tempo e dell’oblio.”
Lei scosse la testa.
“Purtroppo non posso esservi d’aiuto su questo. Una volta avevo un po’ di magia nei miei capelli, ma adesso non ho nulla.”
Tutti, tranne Cappuccetto, la guardarono. Rapunzel fornì le spiegazioni che desideravano.
“Potevano rendere momentaneamente la giovinezza a chi li spazzolava e guarire coloro i quali li toccavano.”
Il Grillo parlò precipitosamente.
“Come mai nessuno ne ha mai sentito parlare? Questo potere straordinario…”
“Non ce l’ho più. Se n’è andato quando i capelli sono stati tagliati, quasi un anno fa.”
“Ma comunque…”
“Nessuno sa nulla perché mia madre mi ha tenuta prigioniera in una torre per diciannove anni, in modo da potermi usare solo lei.”
Nella stanza calò il silenzio. Non volendo essere compatita, proseguì:
“Ad ogni modo, non conosco i piani della regina e non la vedo da quando ho fatto fuggire Bian…”
Improvvisamente, la Fata Turchina urlò:
“Lo specchio! Il telo è scivolato!”
Cappuccetto Rosso e Geppetto si precipitarono a coprirlo, ma prima che riuscissero a farlo Rapunzel sentì un dolore lancinante al petto. Urlò, portandosi le mani dove avrebbe dovuto esserci il cuore, e cadde dalla sedia, contorcendosi sul pavimento di pietra. Biancaneve era già al suo fianco, ma ormai era solo un insieme di macchie sfocate. Brividi e spasmi le si trasmisero in tutto il corpo, la pressione non aumentava ma nemmeno diminuiva. Lei singhiozzava, a denti stretti, non volendo dare soddisfazione a quella strega. Il dolore si allentò per qualche istante, in cui lei distese la gambe, poi scoppiò più forte di prima. Rapunzel soffocò il grido premendo il viso sulla pietra, poi sibilò:
“Non ti darò la soddisfazione che cerchi, Regina. Mai.”
Dopo averlo detto, fu come se mille spilli l’avessero trafitta completamente in un solo luogo. Non aveva voce per quella sofferenza, così il grido le uscì muto, trasfigurandole i lineamenti. Si contorse come un pesce fuori dall’acqua, poi tutt’un tratto il male svanì. Lei chiuse gli occhi, senza fiato sufficiente per respirare. Era così, dunque, morire. Tutto era così bianco…isolato….luminoso. non c’era nessun rumore. Non c’era spazio, né prospettiva, o volume. 
“Rapunzel! Rapunzel!”
Il bianco si riempì di colori. Assumeva l’aspetto della sala di un castello. C’erano voci, figure in movimento.
“Rapunzel!”
Qualcosa di freddo e bagnato le si riversò sul viso e lei respirò come dopo una lunga apnea, alzando di scatto la schiena. Cappuccetto l’abbracciò, stringendola forte, mentre una voce maschile protestava.
“Ferma, è stata anche troppo senza respirare.”
Altri due abbracci si aggiunsero al primo.
“Insisto, è meglio per lei se la lasciate andare.”
Rapunzel abbracciò le amiche.
“Oh, perfetto. Non sta bene ignorare la coscienza, sapete.”
Biancaneve stava piangendo.
“Perché non mi hai mai detto cosa ti aveva fatto la Regina?”
“Perché sapevo che ti saresti sentita in colpa inutilmente.”
“Inutilmente! Potevi morire!”
Rapunzel si morse il labbro e guardò tutte le persone presenti.
“A proposito…come mai non sono morta?”
Tutti si strinsero le spalle. Decise di ignorare il dettaglio.
“Oh, non importa perché, l’importante è che si sia fermata.”
Aggrappandosi a Cappuccetto, si alzò vacillante. Dei servitori entrarono con dei vassoi. Sentì un conato di vomito al pensiero, nonostante non avesse mangiato nulla. Biancaneve afferrò al volo il suo stato d’animo.
“Vieni, ti accompagno in una stanza dove tu possa riposare.”
Appena fuori dal corridoio, fermò l’amica.
“Ascolta, Neve, ho pochissimo tempo. Devo parlare con Rumpelstiltskin.”
L’altra la guardò, sconvolta.
“Hai appena rischiato di morire e vuoi vedere quel demonio?”
“Devo. Non chiedermi perché, non te lo posso dire.”
I suoi occhi verdi erano supplicanti, le mani artigliate al braccio della principessa.
“Immagino sia per la questione del tuo…cuore.”
Lei chinò la testa, sentendosi in colpa per lasciarle credere quella menzogna.
“Ti do la mia parola che non lo libererò.”
“Non è quello che mi preoccupa. Mi fido di te e lui se ne infischia della libertà. Passa il giorno a prendere in giro le guardie e la notte a stipulare patti con quelli abbastanza sciocchi da venire da lui. Oh, non intendevo…dopotutto, ho fatto parte anch’io della lista. ”
Quella fu la cosa che calmò di più Rapunzel. Sapere che c’era qualcosa di normale e prevedibile nella sua vita.
“Vedrò se posso fare qualcosa per Cenerentola.”
Biancaneve la portò fino alla guardia che le aveva aperto il portone.
“Conducila dal prigioniero in isolamento. Se lei te lo chiede, lasciali soli e aspettala fuori.”
L’uomo s’inchinò. Rapunzel lo seguì giù per parecchie rampe di scale. Dovevano trovarsi almeno tre piani sotto terra. Prima di aprire una porta con diversi chiavistelli, il soldato le parlò.
“Volete essere lasciata sola? Dovete fare molta attenzione.”
“Ho già trattato con lui in passato.”
Le serrature si aprirono ad una ad una e lei entrò in un lungo corridoio umido, oscuro che doveva far parte di una grotta sotterranea. Il portale si richiuse alle sue spalle con un tonfo. Fece qualche cauto passo in avanti, fino a vedere una cella delimitata da una grata. Non riusciva a scorgere il prigioniero, però. Sussurrò più piano che potè.
“Rumpelstiltskin.”
Un’umbra si staccò dal soffitto della segreta e atterrò sul terreno. Lei sobbalzò, ma si avvicinò di corsa, inginocchiandosi. Era proprio lui. Più magro, sporco, lacero e con gli occhi più folli che mai, ma lei si sentì felice per la prima volta da mesi.
Lui fece passare una mano attraverso le sbarre.
“La mia piccola Rapunzel. Proprio stanotte sei venuta a trovare il tuo vecchio amico Rumpel, tra tutte le notti che potevi scegliere…”
Lei lo zittì.
“Non sono venuta qui per parlare di maledizioni, o di magia.”
“Neanche del contratto di Cenerentola?”
“No. Se avessi voluto, avresti liberato lei e la sua famiglia dal fardello.”
“Fardello! Ascolta, dearie, lei ha firmato quella pergamena. Per avere la sua felicità….senza fare nulla per ottenerla.”
“Ha fatto da serva alla sua matrigna per anni.”
“Poteva farsi un vestito, o rubarlo ad una delle sue sorellastre e andare al ballo in diligenza. Poteva scappare e guadagnarsi da vivere lavorando duramente ma guadagnandosi la libertà, una nuova vita con i suoi sforzi. Invece, ha voluto farsi servire la cosa già fatta su un piatto d’argento, poi si rifiuta di pagare il prezzo e non contenta complotta per imprigionarmi.”
Rapunzel sospirò. Non avrebbe mai vinto in una discussione con lui.
“Come hai fatto a sapere che ero qui, dearie? Te l’ha detto la tua amica lupacchiotta?”
“No. Me l’ha detto un gatto fatto di nebbia o vapore.”
“Chissà perché ha lasciato il Paese delle Meraviglie, lo Stregatto. O Gatto del Cheshire, come si sarà probabilmente presentato.”
Rumpelstiltskin si stiracchiò le gambe.
“Stanotte ho incontrato mia madre.”
Lui sogghignò.
“Immagino che sia stato un incontro caloroso.”
“Quando ha detto di volermi portare dalla Regina, l’ho spinta e sono scappata.”
“Ottimo.”
Lui percorse la linea della sua guancia con un dito.
“Hai pianto, dearie. Cos’è successo?”
Lei gli sorrise.
“Facciamo un patto, Rumpelstiltskin. Io ti dico perché ho pianto e tu mi risolvi una mia piccola curiosità, cioè dove si trovi una statuina di legno che mi ritrae e che non trovo da mesi.”
“Affare fatto.”
“Ho avuto dei forti dolori.”
“E?”
“E niente. È a causa loro che ho pianto. Tocca a te.”
“Questo si chiama imbrogliare legalmente. Molto bene, siamo in due che possiamo giocare a questo gioco. La statua che cerchi si trova nella mia tasca destra.”
Rapunzel sussultò.
“Ma…. E io che credevo me l’avesse rubata Flynn!”
Rumpelstiltskin sbuffò.
“Il tuo innamorato?”
Lei introdusse la mano attraverso le grate e gli prese la sua.
“Non c’è mai stato niente da parte mia. Lui voleva che diventassimo qualcosa di più che amici, ma io no.”
Lui avvicinò il viso alle inferriate e Rapunzel lo imitò. Il suo primo bacio era disturbato dalla ferraglia e le labbra del suo folletto erano screpolate e secche, eppure non riuscì a immaginarne uno migliore. Le dita di lui corsero fra i suoi capelli biondi e le carezze sulla sua pelle di quelle mani che non toccavano acqua da chissà quanto non avrebbero potuto essere più tenere. Lui si staccò da lei, lasciando solo la sua fronte contro quella di lei.
“Facciamo un altro patto, dearie.”
“Quello che vuoi.”
“Tu mi dici per filo e per segno cos’è successo alla riunione – devi aver partecipato, o non saresti qui- , precisamente chi e perché ha urlato come se stesse per morire. Io, dal canto mio, obbedirò ad ogni tua richiesta. Hai la mia parola.”
Lei si ritrasse. Le mani di Rumpelstiltskin le afferrarono le braccia e la riavvicinarono, riuscendo ad abbracciarla. Rapunzel sapeva di aver taciuto anche troppo. Doveva parlargli onestamente, soprattutto dopo il loro bacio….che doveva significare qualcosa.
“Ricordi quando ero a palazzo della Regina?”
“Come dimenticarlo, dearie, ma non svicolare su quello che ti ho chiesto, anche se ti adoro.”
Lei fece un piccolo sorriso.
“Davvero?”
Lui l’ammonì scherzosamente col dito, e lei gli rivolse il suo sorriso più bello, accompagnato dal rossore sulle guance, prima di tornare seria.
“Non posso non partire da quel periodo. Tu sai che avevo il compito di sorvegliare Neve per conto della regina. Sai anche che la aiutai a scappare. Ebbene, dopo averle dato abbastanza tempo per allontanarsi, andai da quella strega, e…”
La stretta sulle braccia divenne di colpo dolorosa. Gli occhi di Rumpelstiltskin erano scuri come il fondo di un pozzo, la sua voce era sibilante.
“Ma non hai il minimo istinto di autoconservazione? Cosa ti era saltato in mente? Pensavo che fossi fuggita subito anche tu!”
“Mi fai male!”
Lui la lasciò subito, ma solo per lasciar scorrere le mani sul petto. Lei fece per protestare, ma non era piacere quello che stavano cercando. Si fermarono dove avrebbe dovuto esserci il cuore e stettero ferme, premendo leggermente.
“Tutto questo tempo e non mi hai detto nulla. In nome di qualsiasi divinità, perché? Avrei costretto quella puttana a ridarmi il tuo cuore e dopo le avrei tolto il suo e pestato fino a ridurlo in polvere.”
Lei non tentò di frenare le lacrime. Lui le accarezzò il viso, di nuovo tenero.
“Il mio cuore è già tuo, anche se non fisicamente.”
“Ti ha torturato nella Sala del Consiglio, vero? Qualche stupido non ha coperto attentamente gli specchi e così è potuta arrivare a te.”
Lei annuì. Rumpelstiltskin le baciò la fronte, gli occhi, il naso, le gote, fino a che lei non risollevò la testa per rispondergli.
“Ascoltami…”
Lei fece per baciarlo ancora, ma lui le posò un dito sulle labbra.
“Proprio in questo momento, la maledizione sta raggiungendo e probabilmente entrando nel castello.”
Rapunzel gemette.
“Tu sei il mio Vero Amore, Rapunzel.”
“E tu sei il mio, Rumpelstiltskin.”
“Questo quella sgualdrina non può cambiarlo con la sua maledizione, perché il Vero Amore è la magia più potente di tutte. Può togliere la nostra memoria, ma non i nostri sentimenti. Ti giuro solennemente che, nel nuovo mondo, non importa quanto tempo ci vorrà, io ti ritroverò. Riavrai il tuo cuore e noi avremo il nostro lieto fine.”
Si baciarono di nuovo, consapevoli della nebbia violacea che stava filtrando attraverso la porta.
I will cross the oceans of time to find you.
 
 
 
 
 
Angolo dell’autrice: un capitolo un po’ lungo, ma mi dispiaceva lasciarlo a metà. D’ora in poi la vicenda sarà ambientata a Storybrooke. Ringrazio Sylphs per recensire regolarmente, AleXyloto per averla inserita tra le preferite e x_LucyLilSlytherin per averla inserita tra le seguite. Per chi non conosce Rapunzel, il dialogo con Gothel è tratto dalla canzone “Resta con me- Ripresa”

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Capitolo 13
*** Friendship ***


 
“Non ho bisogno di tagliarmi i capelli.”
“Henry, devi farlo. Non ho intenzione di ripetertelo un’altra volta. Stai facendo perdere tempo inutilmente a me e alla signorina.”
Il bambino sbuffò. Poi alzò gli occhi chiari verso la ragazza che aspettava paziente con lo shampoo in una mano e le forbici nell’altra.
“Scusa, Em.”
“Oh, non preoccuparti, Henry. Non ho mai conosciuto un bambino che fosse disposto a farsi tagliare i capelli.”
Regina Mills, sindaco di Storybrooke e madre del piccolo ribelle, intervenne ancora.
“Non hai scelta, tesoro. Devi regolarti il taglio.”
Proprio quando Henry stava per protestare, Emilie sorrise gentilmente a Regina.
“Sono certa che lei è una donna molto impegnata, signor sindaco. Oggi è sabato, perché non lascia Henry da me e quando è pronto mi occupo di lui senza sprecare il suo tempo e traumatizzare lui?”
Regina s’inginocchiò.
“Comportati bene, Henry. Che questo non diventi un’abitudine, è solo perché oggi ho un’importante riunione. Manderò qualcuno a prenderti alle 3, dopo devi fare i compiti.”
Emilie la guardò ad occhi spalancati:
“Il sabato pomeriggio?”
Regina strinse la bocca in una linea sottile.
“Tra lei e me c’è una linea divisoria piuttosto marcata, signorina Rampion. Non la sorpassi, anzi, non ci si avvicini nemmeno.”
Detto questo, le voltò le spalle e lasciò che la porta si chiudesse piuttosto violentemente. Emilie sospirò e tornò dietro la cassa, sistemando i guadagni della mattinata. Henry le andò vicino e le diede dei leggeri colpetti sul braccio.
“Tu sei molto meglio di lei, Em.”
Sorrisero tutti e due.
“Potremmo fare un club. Qualcosa del tipo Liberateci Dalle Nostre Madri.”
Henry la fissò, incuriosito.
“Non ho mai visto la tua mamma. Com’è?”
“Tu non vuoi davvero sapere.”
“Oh, sì invece.”
La porta si aprì e Mary Margaret entrò, sorridendo come al solito.
“Ciao Em, ciao Henry. Disturbo? Avrei bisogno di dare una scalata alla frangia.”
“Accomodati. Finchè il signorino non si deciderà a farsi potare la chioma, sono libera.”
Henry le fece una linguaccia, che lei ricambiò prontamente. Mary Margaret alzò gli occhi al cielo.
“Em, perché non sei nella mia classe?”
“Perché ho diciannove anni. Stai attenta a quello che dici, perché i tuoi capelli sono nelle mie mani.”
“Non lo faresti mai.”
“Oh, non lo so….”
Le porse una rivista.
“Adoro i tuoi capelli, Mary. Sono così facili da pettinare…anche se penso dovresti lasciarteli crescere.”
“Questo suggerimento viene dalla parrucchiera di Storybrooke?”
“Acqua calda, fredda o tiepida?”
“Calda.”
“Shampoo?”
“Mi affido a te.”
Emilie aprì un armadietto.
“Estratto di mora e karitè. Ti renderà i capelli lucenti e morbidissimi.”
Mentre lei si occupava della sua migliore amica, Henry si era tirato fuori dallo zaino un fumetto. Mary Margaret lo sbirciò con la coda dell’occhio.
“Henry, lo sai che tua madre non vuole che tu legga fumetti.”
“Solo perché dice che costano troppo.”
Emilie scoppiò a ridere.
“La prossima volta rinfacciale quanto spende per le sue creme e prodotti per capelli.”
“Quanto?”
“Ah-ah. Non te lo dirò finchè non ti lascerai tagliare la tua criniera da leoncino che sei.”
Mary Margaret rabbrividì.
“Santo cielo, Em, mi sembra di sentire il signor Gold.”
Risero entrambe, mentre Henry la guardava con gli occhioni supplicanti.
“Perché io mi intenerisca devi essere davvero il Gatto con gli Stivali e farmi il suo sguardo implorante a comando.”
“Va beeene.”
Emilie stava pettinando la nuova frangia di Mary.
“Sei bellissima. Sembri una fatina.”
Henry trattenne il respiro.
“Non è una fata! Lei è Biancaneve!”
Corse vicino a loro, reggendo un libro piuttosto grande che doveva pesare più di lui e che spiegava come mai non portasse lo zaino da sé.
“Guarda. Questa è Biancaneve.”
Emilie la osservò, critica.
“Potrebbe essere qualsiasi donna dai capelli neri, la pelle bianca e gli occhi verdi.”
Tuttavia, doveva ammettere che i lineamenti assomigliavano parecchio a quelli della maestra di scuola.
“La regina cattiva è la mia matrigna.”
“Beh, questo è il sogno di ogni bambino.”
“Lo sceriffo Graham è il Cacciatore.”
“No, è troppo carino.”
“Nel libro, è l’amante della regina.”
Salutarono Mary e il bambino si lasciò condurre a sistemarsi il taglio. Questo non bastò a farlo stare zitto.
“Per caso, la tua è una madre iperprotettiva, ha legami con la mia matrigna e non vuole che tu esca dal nido? Scusa, da casa vostra.”
Emilie lasciò cadere il flacone di shampoo.
“Come fai a saperlo?”
“Allora sei Rapunzel. Non sapevo che personaggio delle fiabe potessi essere. Cenerentola è Ashley Boyd, Ruby è Cappuccetto Rosso, potevi essere o Aurora o Rapunzel.”
“Perché no Ariel o Belle? O Tiana? O Esmeralda?”
“Perché la Sirenetta ha i capelli rossi e le altre sono brune. Rapunzel e Aurora sono bionde tutte e due, ma Rapunzel ha un rapporto complicato con sua madre. E inoltre hai i capelli lunghissimi.”
Lei si voltò per controllarli.
“Mi arrivano ai fianchi. Potrebbero arrivarmi a terra.”
“Come dici tu.”
Alle due mangiarono due panini, discutendo di film e libri fantasy. Quando Emilie si sdraiò sul divano sul retro, Henry la imitò e l’abbracciò.
“Vorrei che tu fossi la mia sorellona.”
“E tu il mio fratellino.”
“Vorrei avere ancora sei anni, quando mi facevi da babysitter.”
Lei gli accarezzò i capelli, guardando fuori dalla finestra. Non era una bella giornata e il negozio non era molto illuminato. Sembrava il momento giusto per schiacciare un pisolino, ma sia lei sia Henry rischiavano di cadere. Il cellulare vibrò. Lo tirò fuori dalla tasca. Un nuovo messaggio. Il mittente era Mum. La rimproverava perché non le aveva detto che si sarebbe trattenuta al lavoro e lei si era preoccupata. Come sempre. Emilie mise via il telefonino sbuffando. Henry stava dormendo beato. Allungò una mano per prendere il libro di musica che aveva sul tavolino vicino al divano. Doveva tenere in negozio quei libri, perché sua madre disapprovava il suo interesse per gli strumenti musicali di qualsiasi genere. A causa delle sue paure esagerate, non l’aveva nemmeno mandata all’università, dicendo che non era necessaria una laurea per diventare parrucchiera. A Storybrooke, almeno. Henry socchiuse un occhio.
“Mi canti la nostra canzone?”
Emilie mise giù il libro e finse di non stare al suo gioco.
“Quale canzone?”
“Lo sai. Quella dei bambini.”
“No, non lo so.”
“Dai…quella del nostro film.”
“Che film?”
Henry iniziò a farle il solletico.
“Va bene, va bene, piccolo mostriciattolo, mi arrendo alla forza bruta!”
Lui si accoccolò soddisfatto contro la sua spalla.
Come little children, I’ll take thee away
Into a land of enchantment…
Come little children, the time’s come to play
Here in my garden of shadows.
Follow sweet children, I’ll show thee the way
Through all the pain and the sorrows…
Weep not poor children….
“Dolente d’interrompervi, ma Regina mi ha mandato a prendere Henry.”
Emilie saltò su dal divano, seguita dal bambino. Si sentiva le guance rossissime per l’imbarazzo. Henry le strinse la mano, solidale. Se esisteva un Dio, ora Emilie si rivolgeva a lui: tra tutti gli abitanti di Storybrooke, perché doveva essere proprio il signor Gold a sentirla cantare canzoncine di film fantasy ad un bambino di dieci anni mentre erano stesi sul divano? E perché non aveva sentito il suo dannato bastone? Si mise nervosamente una ciocca dietro l’orecchio, sentendosi in netto svantaggio con la sua camicia verde a fiori piuttosto larga, i suoi jeans strappati sul ginocchio, contro il completo d’alta sartoria di quell’uomo.
“B-buongiorno, signor Gold. Mi scusi per…”
Ehi. Perché doveva scusarsi per cantare nel suo negozio?
“…Per il disordine.”
Altra solidale stretta di mano. Henry guardò l’ospite, imbronciato.
“Hai interrotto la nostra canzone. E poi, perché mia madre ha mandato te?”
Il signor Gold sorrise, scoprendo i denti bianchi. Emilie aveva scommesso che avrebbe visto canini appuntiti, ma perse la scommessa con se stessa.
“Mi dispiace moltissimo, Henry. In quanto alla tua domanda,  non pretendo di sapere come funziona la mente di Regina, ma immagino che il mio sia il primo numero capitatole sul cellulare. Dubito che avesse tempo di pensare… mentre è così impegnata.
“Vorrei che rimanesse bloccata in quella riunione.”
Gold fece un mezzo sorrisetto, mentre gli occhi brillavano maliziosi. Emilie intervenne prima che potesse sconvolgere il bambino.
“Henry, ti prego, vai a prendere il tuo libro e il tuo fumetto. Non voglio che te li dimentichi qui il giorno prima della chiusura.”
Henry scomparve nell’altra stanza. Gold si appoggiò al bastone con entrambe le mani, spostando il peso sulla gamba sana.
“Non avrei turbato il piccolo, signorina Rampion.”
“Meglio non averlo scoperto.”
Mise i giornali al suo posto, desiderando di essere molto indaffarata per non sostenere quella chiacchierata. Quell’uomo era parecchio inquietante, come se sapesse tutto quello che pensava e soprattutto come usarlo a suo favore. Lui parve non accorgersi dei suoi sforzi, perché proseguì a parlare come se niente fosse.
“Inoltre, sono convinto che Henry sappia già tutto di Regina e Graham. È un bambino molto perspicace.”
Emilie sospirò. Quanto ci metteva Henry a prendere le sue cose? Il suo cellulare squillò. Lei lo prese e rifiutò la chiamata di sua madre.
“Ancora Barbara?”
Lei voltò la testa di scatto.
“Come sapeva che era mia madre?”
“Diciamo che sono un tipo osservatore e che ho già visto questa scena.”
Emilie rise amara.
“Già. Chi non l’ha vista?”
Il telefonino ricominciò a squillare, ma lei semplicemente lo spense. Il signor Gold sembrava sinceramente preoccupato.
“Mi ha frainteso, signorina Rampion. Non intendevo…”
“No, forse no, ma questo non cambia le cose. Questo negozio è uno dei pochi immobili che lei non possiede, che è mio. Quindi, non si permetta di psicanalizzare la mia vita familiare.”
“Non me lo sognerei mai, dearie.”
Henry arrivò, correndo.
“Scusascusascusa, non trovavo più il fumetto.”
Vide Emilie con le labbra strette e le unghie piantate sui palmi delle mani e lanciò un’occhiataccia a Gold. Lui rispose con uno sorriso che lo fece assomigliare ad uno squalo in procinto di guadagnarsi la cena. Henry abbracciò forte Emilie e sussurrò:
“Non hai pendenze con lui, vero?”
“No, non ti preoccupare. Vieni a trovarmi.”
Il telefono del negozio suonò insistentemente mentre i due erano alla porta. Emilie alzò la cornetta.
“Pronto, qui Emilie Rampion. In cosa posso servirla?”
Emilie! Perché non rispondi alle mie chiamate? Torna subito a casa, sono le tre e mezza e dobbiamo fare tantissime cose! Non fermarti per strada.”
“Sì, mamma. Ci vediamo a casa.”
Stasera rimarrai a casa. Ho noleggiato un film per me e per te, che ne dici?”
“Ma dovevo uscire con Ruby…”
Per andare ad ubriacarti in qualche bettola e rischiare un incidente d’auto? Ma ti diverti a pensarle tutte per farmi preoccupare?”
“No, certo mamma. Sono certa che sarà divertente passare la serata da sole, io e te.”
Sei una brava figliola. Lo sai che ti adoro, ma non sei ancora pronta per la vita notturna…”
“Lo so, lo so. Ci vediamo fra una mezz’ora.”
Interruppe la chiamata e si passò le mani tra i capelli. Le sue lacrime caddero come gocce di pioggia sul suo registro dei conti e lei si coprì gli occhi, perché le risultava più facile piangere al buio.
Non vide lo sguardo preoccupato di Henry, né quello rigido del signor Gold mentre spingeva in avanti il bambino.
 
 
Angolo dell’autrice: Rampion è la traduzione inglese del fiore raperonzolo. La canzone invece è tratta dal film “Hocus Pocus”  ed è cantata da Sarah Jessica Parker (almeno, mi sembra fosse lei). Nei prossimi capitoli, ci saranno più sviluppi tra Emilie e Rumpel… alcuni non esattamente rose e fiori, ma si vedrà Jringrazio Sylphs e Samirina per aver recensito, Samirina e ANIMAPERSA per aver messo la storia tra le preferite. Buona giornata!
 
 
 
 

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Capitolo 14
*** Close a door, open a window ***


Emilie entrò in casa, stampandosi un sorriso forzato sul viso.
“Mamma?”
“Sono in cucina, tesoro, sto preparando la cena.”
“Ma è ancora presto.”
“Lo so tesoro, ma ci tra frigo e forno...”
Lei ne approfittò per salire in camera sua. Chiuse la porta a chiave e si stese sul letto, affondando nel copriletto rosa. Dio, quanto odiava quel colore. Si raggomitolò su se stessa e lasciò che le lacrime uscissero liberamente dagli occhi. Aveva diciannove anni, eppure la sua vita non era che uno spettacolo di marionette il cui burattinaio era sua madre. Sconsolata, mandò un messaggio a Ruby. Lei sapeva quanto difficile fosse la sua vita familiare e infatti le inviò tutta la sua solidarietà e l’offerta di ucciderla personalmente, visto che nessuna delle due aveva abbastanza soldi per pagare un killer. Emilie sorrise. Era per quello che adorava la sua amica. Si sedette sul letto e prese la spazzola. Pettinarsi i lunghi capelli aveva un effetto quasi terapeutico su di lei. La sua mente si rilassò al ritmo lento e scandito dei suoi gesti e chiuse gli occhi, astraendosi dalla sua vita. Non era più Emilie Rampion. Era un’anima libera, da lavoro, dalla madre, da Regina. Poteva vedere tutto da una sfera che la proteggeva. Squillò il telefono e lasciò cadere la spazzola, spaventata. Lo prese sperando che non fosse ancora il dottor Whale chiedendole un appuntamento.
“Pronto, Em, sono Mary Margaret. Mi dispiace che tu non venga stasera, mi sono liberata anch’io per la partita.”
“Vedrò se riesco a venire all’ultimo. Dove vi trovo?”
“Al pub vicino a casa di Ashley. Spero che tu venga, è da tanto che non abbiamo una serata tra noi ragazze.”
“Mi dispiace tantissimo.”
Riappese. Rimase con gli occhi fissi per qualche secondo, poi si mosse come un automa e accese il computer. Digitò su Google la ricerca di un numero e lo chiamò, prima di potersene pentire.
Non dovette attendere nemmeno tre squilli.
“Qui parla il signor Gold.”
Lei si sentì la gola secca.
“Ascolti…”
“EMILIE! SCENDI, HO BISOGNO CHE TU VADA AL SUPERMERCATO!”
Lei maledì l’intempestività della madre.
“Emilie, sei tu?”
“La richiamo dopo.”
Scese di corsa le scale e fece del suo meglio per apparire sorridente.
“Cosa devo prendere?”
“Solo delle zucchine, sciroppo di menta e rosmarino.”
“Vado subito.”
Non era mai stata così felice di andare a fare la spesa. Fece per prendere il cellulare dalla tasca dei jeans, quando si accorse di averlo lasciato in camera sua. Pazienza, avrebbe potuto richiamare dopo il signor Gold. Non se la sentiva di riaffrontarlo apertamente. Al supermercato cercò della verdura fresca, quando qualcuno la urtò e le fece cadere il sacchetto.
“Derek!”
Il ragazzo le sorrise.
“Scusa Em, sono così sbadato…”
L’aiutò a raccogliere il sacchetto (intatto per una qualche grazia divina) e poi si passò la mano sulla nuca.
“Come va al lavoro?”
“Come al solito. Te?”
“Bene. Mi piace lavorare nell’officina di mio padre, anche se lui ne approfitta per pagarmi metà stipendio.”
Emilie rise.
“Scusa Derek, ma devo scappare. Ho lasciato il telefonino a casa e se mia madre chiama e non rispondo… verrai a trovarmi alla tomba di famiglia, vero?”
“Ti porterò anche dei fiori e parlerò con la tua lapide, te lo prometto.”
Lei gli diede un bacio frettoloso sulla guancia e pagò rapidamente. Erano già le sei e mezza quando arrivò a casa.
“Mi dispiace mamma, c’era fila alla cassa.”
“Mi stavo preoccupando. Tra un’ora è pronto. Ti va di aiutarmi in cucina?”
“Volentieri, mamma.”
“Taglia le zucchine. E attenta al coltello. È molto affilato.”
Sua madre era ancora una bella donna a trentanove anni. I capelli neri avevano pochi fili grigi e i suoi occhi verdi erano ancora luminosi. Purtroppo la rete di rughe che si stava formando sul collo la faceva sembrare più vecchia della sua età ed Emilie sapeva che questo la terrorizzava.
“Che film hai preso?”
“Il giardino delle vergini suicide.”
Emilie sospirò.
“L’abbiamo già visto tre volte.”
“Perché? Non ti piace forse?”
Il tono gelido della madre la fece sussultare e il coltello le ferì la mano. Lei guardò come ipnotizzata alcune gocce di sangue cadere sul pavimento. Barbara le disinfettò subito il taglio e vi pose un cerotto, baciandole un dito.
“Ecco. Ora non senti più la bua, vero?”
Emilie rabbrividì.
“No, mamma. E poi, quel film è il mio preferito.”
Apparecchiò la tavola, sentendosi più triste di prima, se possibile. Le pareva di essere uno di quegli orribili pupazzi stile spaventapasseri assassini che il signor Gold teneva in bella mostra nel suo negozio, godendosi lo spettacolo dei suoi clienti essere sempre più a disagio con il presentimento che quei burattini li seguissero con gli occhi.  Lei e sua madre mangiarono la minestra quasi in silenzio, ascoltando le notizie del telegiornale. Come secondo, le venne orgogliosamente presentato un arrosto profumato, guarnito con patatine fritte.
“Guarda, tesoro, ho preparato il tuo piatto preferito. Non sei contenta?”
Ad Emilie sembrava un gatto con un sorriso da zucca di Halloween e provò una forte paura all’improvviso. Cercò di parlare, ma la voce le uscì strozzata.
“Cosa? Oh, ti senti senza fiato per la premura della tua mammina, vero? Ora ti darò un bel piatto pieno. Mangi troppo poco. Non dare ascolto alla tv che dice che vanno di moda le anoressiche, a nessun uomo piace accarezzare le ossa che sporgono dalla pelle. Anzi, adesso la spegniamo, la televisione, così non ci rovinerà la serata.”
“Mamma, sono vegetariana da due anni.”
Ecco, l’aveva detto.
“Non… non te lo ricordavi?”
La madre impallidì e le sue mani si strinsero sul vassoio come per distruggerlo. La bocca non era nemmeno più visibile e gli occhi erano vuoti. Senza preavviso, alzò le braccia e ruppe violentemente la portata ai piedi della figlia. Emilie tentò di proteggersi il viso, ma alcuni frammenti di ceramica riuscirono a ferirle la guancia. Le patatine erano schizzate per tutta la cucina e Barbara stava pestando rabbiosamente il pollo.
“Dopo tutto quello che ho fatto per te! Non ho fatto altro che sacrifici per te!”
La prese per i capelli e la trasportò di peso davanti allo specchio in salotto. Per un attimo, la ragazza fu terrorizzata dall’idea che le avrebbe fatto battere la testa addosso al vetro, ma la madre si bloccò a pochi millimetri di distanza e avvicinò anche il suo viso. Era pallidissima, ad eccezione di chiazze rosse sul collo e sulle guance.
“Se non fosse stato per te, non avrei dovuto abbandonare il mio sogno di studiare a Boston per diventare qualcuno. Se non fossi nata, avrei potuto avere tutto. Tutto.
Le strinse con forza il mento, imprimendo le unghie nella carne tenera.
“Guarda la tua bellezza, il tuo viso, la tua pelle liscia. Ed ora guarda la mia. Guarda le mie rughe, il grasso. È colpa tua, costringendomi a prendermi cura di te mi hai succhiato a poco a poco tutta  la mia avvenenza.”
La spinse per terra ed Emilie sbatté la tempia contro il tavolino. Sentì un rivolo di sangue scendere lungo il volto, ma quando tastò piano con la mano scoprì che il aveva solo una piccola ferita. La madre si chinò e la schiaffeggiò, insultandola con tono sibilante.
“Tu mi hai rubato la vita.”
Quelle parole colpirono la ragazza come se qualcuno avesse suonato un gong. Si alzò e la fronteggiò, per la prima volta nella sua vita.
“Vita? Vivo ai tuoi ordini da sempre, mi stai facendo vivere la tua vita, con la tua volontà. Lo chiami vivere? Sei patetica. Andare a Boston? Diventare ricca e famosa? Ma se sei una donna ignorante e stupida, priva di qualsiasi inventiva o furbizia! Dovresti ringraziare che io sia nata, almeno ti sei risparmiata l’umiliazione di scoprirlo da te e ti sei permessa di vivere con le tue illusioni attribuendo a me colpa!”
Si voltò e salì le scale a due a due. Prese la giacca e il cellulare.
“Dove credi di andare?”
Emilie spinse via la madre dalla porta.
“Via. Da. Te.”
“Non te lo permetterò!”
Le afferrò il braccio e la tirò indietro, ma la ragazza aveva dalla sua parte la forza della gioventù e una rabbia più grande che la animava. Le chiuse con forza la porta sulla mano, e quando la donna urlò la spinse lontano da sé e uscì, correndo. Solo quando fu arrivata al ponte, si fermò per guardare indietro. Non c’era nessuno. Cercò freneticamente un fazzoletto nella tasca del giubbino leggero e se lo passò sula fronte e sulla tempia per togliere via il sangue. Sapeva cosa doveva fare. Non le piaceva affatto, ma qualunque cosa era meglio della sua attuale situazione. Prese il cellulare e compose l’ultimo numero che aveva chiamato.  Stavolta dovette aspettare molto più di tre squilli, tanto che si sentì spaventata all’idea che il suo piano fallisse.
“Pronto? Sono il signor Gold.”
Lei sospirò di sollievo.
“Signor Gold, sono Emilie Rampion. Devo assolutamente parlarle.”
“Confesso che sono stato in pensiero quando non mi ha più chiamato. È sola?”
“Sì.”
“Preferisce parlare al telefono?”
“No. Sto venendo al suo negozio.”
Mise giù e camminò più in fretta che potè. Aveva paura che la madre comparisse alle spalle, afferrandola con la sua stretta violenta. Aveva paura di cosa stava per fare, ma scacciò quei pensieri. Doveva essere decisa. Come per voler annullare la sua nuova risolutezza, si mise a piovere. Al diavolo. Percorse la distanza che la separava dalla bottega di Gold in tempo record, ma ciò non le impedì d’essere bagnata fradicia quando si catapultò all’interno.
“Ce l’ha fatta. Non abbastanza in tempo, ma ce l’ha fatta.”
Il signor Gold avanzò con il suo bastone fino a raggiungerla, piegata in due e col fiatone. Le porse un asciugamano.
“Grazie. Ho sempre odiato correre.”
“Nell’atrio troverà degli abiti asciutti. Non saranno di Macy, ma potranno andare per un po’.”
Lei annuì in segno di ringraziamento e indossò grata (ma veloce) la camicia e i jeans. Tornò da lui strofinandosi i capelli per asciugarli almeno in minima parte e si lasciò cadere su una sedia a caso.
“Dovrei venderla, non è un mobile d’arredamento del negozio.”
“Ci si saranno sedute altre diecimila persone prima di me, da quando è stata costruita. Non penso che nessuno scoprirà che mi sono aggiunta alla lista.”
“Cosa vuole da me, signorina Rampion? Immagino che voglia qualcosa da me.”
Emilie si arrotolò una ciocca sul dito. Inspirò e le parole le uscirono tutte d’un fiato.
“Vorrei trasferirmi in un appartamento. Almeno, finchè posso permettermi di pagare l’affitto.”
Il signor Gold la scrutò, con gli occhi più scuri del solito.
“Ha litigato con sua madre un’altra volta?”
Lei rise, prima piano poi sempre più isterica, lasciando cadere l’asciugamano a terra. Non voleva piangere davanti a lui, davvero, ma i singhiozzi la stavano scuotendo tutta, come se volessero uscire dal suo corpo. Sentì una luce che si accendeva e delle braccia stringerla. Gold era l’ultimo che si sarebbe immaginata in quella veste, e per la sorpresa fermò quasi il suo pianto. Quasi.
Un fazzoletto di seta, certamente non suo, le asciugò le lacrime e le accarezzò il viso.
“Ssh, va tutto bene, dearie. Un litigio con un genitore è una cosa normalissima, sono certo che Barbara ti starà cercando preoccupatissima.”
La sua voce sembrò poco convincente persino a lei.
“Tieni, dearie. Usalo pure. Vuoi un po’ di the?”
“Sarebbe fantastico.”
Sentì i passi di lui allontanarsi e si passò le dita tra i capelli, respirando profondamente. Alzò la testa per alleviare l’emicrania che le stava serrando la tempia ferita e tolse con il fazzoletto gli ultimi residui di lacrime dalle ciglia. Gli occhi le bruciavano e se li sentiva gonfi come palline da ping pong.
“Ecco il tuo the. È al biancospino, sono certo ti piacerà.”
Lei prese la tazza sorridendo, ma vide i lineamenti di Gold indurirsi e la bocca serrarsi.
“Vieni un po’ più alla luce, dearie. Spero davvero che la vecchiaia mi stia bussando alla porta togliendomi parecchi decimi, perché l’alternativa m’infastidisce alquanto.”
Lei obbedì, sapendo che doveva aver visto i lividi lasciati dalle dita della madre, forse qualche taglio.
“Non è la vecchiaia, signor Gold, e non ha bussato alla sua porta. È mia madre che ha bussato sulla mia faccia.”
Lui le mise della pomata, mentre lei sentiva qualcosa dentro di sé tremare. Le scostò i capelli e mise un cerotto sulla tempia, mentre lei gli raccontava la sua odissea.
“Dovevo andarmene molto tempo fa, ma sono sempre stata prigioniera di sensi di colpa immaginari.”
“Sempre stata la sua specialità.”
Lo guardò, turbata.
“Conosce mia madre così bene?”
“Non serve conoscerla bene per capirlo, dearie.”
Lei bevve la bevanda calda e si sentì un po’ meglio.
“Buono. Me lo prenderò anch’io.”
Lui la guardava, in piedi dietro il bancone. Emilie sentì che davanti a sé non aveva più un uomo preoccupato e gentile, ma il solito signor Gold, il Signore dei Patti.
“Torniamo al nostro…accordo. Cosa vuoi esattamente, Emilie?”
Lei si avvicinò.
“La libertà da mia madre.”
Lui appoggiò i gomiti sul legno e sorrise lentamente. Emilie lo fissava, con gli occhi grandissimi.
“Cos’hai da dare in cambio? Do ut des, Emilie, do ut des. "
“So bene che lei non fa mai niente per niente. Mi dica il suo prezzo. Vuole denaro?”
“No. Non me ne farei niente.”
I suoi occhi castani la guardavano dritti su di lei, fermi e implacabili. Avvertì come una sensazione di deja-vu. Si sentiva un groppo in gola. Il signor Gold non le sembrava quel tipo d’uomo e inoltre non aveva mai sentito che avesse preteso pagamenti…in natura. Tuttavia, iniziava a provare parecchio disagio.
“Mi dovrai un favore. Dovrai adempiere alla tua parte del patto in qualunque momento lo chieda e qualsiasi cosa chieda.
Lei si morse il labbro.
“Non potremo definire tutto subito?”
Lui sorrise scoprendo i denti.
“Temo di no. Naturalmente, puoi rifiutare.”
“No!”
Si strofinò i palmi delle mani sui jeans.
“Non…non dovrò uccidere nessuno, o comunque fare del male a nessuno, vero?”
Il signor Gold rise, sinceramente divertito. Emilie si diede della stupida per aver pensato così male di lui, e ringraziò Dio di non averlo offeso.
“Pensi che farei fare questo genere di lavoro ad una ragazza inesperta che un soffio di vento potrebbe portare via?”
Lei non riuscì a fare altro che guardarlo a bocca aperta. Non aveva negato.
In cosa si era andata a cacciare?
 
 
Angolo dell’autrice: per la madre di Emilie mi sono chiaramente ispirata alla madre di Nina Sayers del Cigno Nero. Ringrazio Sylphs per aver recensito e Lily8 per aver inserito la storia tra le preferite. Buona giornata!  

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Capitolo 15
*** Nuovo arrivo ***


“La colazione è pronta.”
Emilie mugolò, premendo la faccia contro il cuscino.
“Cinque minuti, mamma, ti prego.”
Si tirò le coperte sopra la testa e si rannicchiò sotto, lasciandosi avvolgere dal dolce tepore delle lenzuola di seta. Tre secondi dopo si rizzò a sedere, gli occhi sgranati.
“Merda!”
Lei non era una che aveva molte certezze, ma una di queste era che lei non aveva lenzuola di seta. Si prese la testa tra le mani, ricordando cos’era successo la sera prima. Quando sentì bussare la porta, guardò la maniglia come se fosse un serpente velenoso. Tra tutte le persone cui poteva chiedere aiuto, cosa le era saltato in mente di andare da lui?
“Un attimo, un attimo.”
Era vestita, grazie a Dio, a parte le scarpe. Tuttavia, non riuscì a farsi venire in mente come fosse arrivata su quel letto.
“Emilie..”
Gli aprì la porta di scatto, senza guardarlo. Si vergognava da morire. Lui le sorrise e fece per prenderle la mano, ma lei la ritrasse, spaventata. Non ricordava la seconda parte della serata e questo la preoccupava.
“Cos’ha messo nel the, ieri sera?”
Il signor Gold alzò un sopracciglio, fissandola con occhi leggermente più scuri del solito.
“Mi hai scoperto.”
Lei impallidì e vacillò impercettibilmente. Lui le si avvicinò e le sussurrò all’orecchio:
“Ti ho messo un sonnifero nella tisana senza che te ne accorgessi, ti ho portata qui su questo letto e ho approfittato vergognosamente della tua incoscienza. Dopodichè, ti ho scritto nella lista delle ragazze drogate e stuprate nel sonno e sono andato a dormire.”
Emilie guardò terrorizzata il suo sogghigno, poi arrossì e rise.
“Mi dispiace moltissimo. Mi sono lasciata prendere dalla fantasia.”
Lui l’accompagnò al piano di sotto.
“Oh, so che la mia reputazione non è esattamente lusinghiera…a ragione. E ieri sera ti ho spaventata intenzionalmente, con quei discorsi sui delitti su commissione. Non è successo niente d’increscioso, ti ho fatto vedere quest’appartamento sopra il negozio e sei andata a letto con le tue gambe, te lo assicuro.”
Emilie avrebbe voluto sprofondare. Cosa le era saltato in mente?
“Ho alcuni giri da fare, oggi.”
“Anch’io…dovrei dire a Ruby le novità.”
Gold storse la bocca.
“Tanto vale scriverlo sul cartello di benvenuto in città. Lo sapranno tutti nel giro di dieci minuti.”
“Uno, Ruby è molto discreta quando vuole esserlo. Due, non c’è niente che gli altri non dovrebbero sapere. Mi hai solo affittato un appartamento.”
Gold sospirò.
“Diciannove anni in questa città e non hai ancora capito come funzionano le piccole menti dei suoi abitanti?”
Emilie lo guardò male. Lui sorrise semplicemente.
“Non è gentile dire questo.”
“Io non sono una persona gentile, Emilie.”
Certo, lo sanno tutti.
“Tuttavia, sarebbe meglio se tu rimanessi qui, per oggi. Questo è l’ultimo posto dove tua madre verrebbe a cercarti. Posso dire a Ruby e a Mary Margaret di venire qui, a patto che non mi distruggiate il negozio.”
“Grazie.”
Gli sorrise, più rilassata di quanto fosse mai stata in sua presenza.
“Questo è un pensiero gentile.”
“Non dirlo a nessuno, o tutta la fatica che ho fatto per costruirmi la mia cattiva fama andrà in fumo.”
Emilie rise piano.
“Spiacente deluderti, Emilie, ma non sono diventato cortese abbastanza da lasciarti sedere sul bancone. Scendi, ti prego.”
Lei obbedì, pensando soddisfatta di essere stata probabilmente l’unica ad avere il coraggio di farlo e di essere sopravvissuta per raccontarlo.
“Mentre resti qui, ci sono alcune regole che devi seguire. Non rompere niente e non toccare nessun oggetto esposto.”
“Sissignore.”
“E non sederti ancora sul bancone appena volto le spalle.”
Maledizione. Leggeva nel pensiero adesso? Trovandosi da sola fece due o tre volte il giro del negozio. La curiosità le bruciava le mani. Si trovava nel famigerato covo del signor Gold e non poteva approfittare della situazione? Era probabilmente la prima, visto che chiunque avesse la necessità di andare a trovarlo non lo faceva senza portarsi dietro aglio, paletto di legno, croce e acqua santa. Si sedette sulla sedia dietro la cassa, sbuffando. Accarezzò l’idea di mettere i piedi sulla cassa, ma poi ebbe l’Illuminazione. Il signor Gold non le aveva detto di non guardare dentro i cassetti. Ne aprì uno, trepidante. C’erano parecchie carte, riposte ordinatamente.
“Em!”
Sobbalzò, spaventata. La voce femminile decisamente non apparteneva a Gold, ma non poteva credere di essere stata così sprovveduta da non chiudere la porta a chiave.
“Ruby! Mary! Entrate, presto e chiudete la porta.”
Loro fecero come lei aveva detto e si avvicinarono, guardandola con occhi avidi.
“Cos’è successo?”
“Sei andata a letto con Gold?”
“Oddio, davvero?”
“Com’è? Essendo un bastardo, deve per forza essere una bomba.”
“Ma, Emilie, come hai…voglio dire, perché proprio lui?”
Emilie le guardò a bocca aperta.
“Ma che cosa avete capito?”
“Non ci sei andata a letto?”
“No, nel modo più assoluto!”
Raccontò loro per filo e per segno gli eventi della sera prima. Mary Margaret le prese le mani, solidale. Ruby non fu altrettanto incoraggiante.
“Secondo me, sei andata dalla padella alla brace. Tutti sanno che chi fa un accordo con Gold è fottuto.”
“Eppure tutti continuano a farne. Senti, lo so, ma al momento non vedevo vie d’uscita.”
Ruby l’abbracciò e Mary si unì a loro, come facevano sempre da quando erano piccole.
“Comunque, cosa stavi facendo quando siamo entrate? Sembravi abbastanza scioccata.”
“Beh…. Gold mi ha detto di non toccare gli oggetti esposti, di non rompere niente e di non sedermi sul bancone…”
Il sorriso dell’amica era talmente malizioso e ampio da farla sembrare ad un folletto malefico.
“Ma non ha detto niente riguardo ai cassetti, no?”
Mary Margaret sussultò.
“Non mi sembra l’idea migliore, ragazze…”
“Pensa, potremo farci le foto di noi tre sulla cassa di Gold!”
Emilie e Ruby sollevarono Mary e scattarono una foto con il cellulare.
“Sidney pagherebbe il nostro peso in oro per averla.”
“Ruby, quello che avviene in questo negozio resta qui, o il mio accordo con lui va a farsi benedire.”
“Tranquilla. Non la metterò neanche come sfondo dello schermo. Dunque, vediamo cosa nasconde il Joker di Storybrooke.”
Facendo estremamente attenzione, sollevarono i fogli per leggerli.
“Ma…sono intonsi! Completamente bianchi!”
“No.. c’è un biglietto qui.”
Emilie lo lesse ad alta voce.
“La curiosità uccise il gatto…o la gatta.”
Rabbrividirono.
“Dio mio, cos’ha quell’uomo che non va?”
 “Guardate quei burattini… non sembra che ci stiano guardando?”
Mary Margaret stava indicando timorosamente due piccoli fantocci, dai visi rugosi come le teste vodoo. Uno era un maschio, dai capelli neri e ricci, l’altro era una femmina dai capelli lunghi e biondi. Entrambi avevano un’espressione di orrore agghiacciante. Emilie si avvicinò esitante e sfiorò la chioma della bambola. Emise un piccolo urlo e indietreggiò, orripilata.
“Ragazze, forse sto diventando pazza, ma… quei capelli… mi sembrano umani.”
Ruby la prese in giro.
“Sei solo suggestionata.”
“Sono una parrucchiera, maledizione! Vuoi che non riesca a distinguere la differenza?”
Ruby e Mary si guardarono, deglutendo.
“B-beh, forse glieli hanno già venduti così… voglio dire, avranno usati quelli tagliati da un qualche parrucchiere. Scusa, Em, non mi riferisco a te.”
Rimasero tutte e tre un po’ in silenzio, inquiete.
“Che ne dite, ordiniamo una pizza?”
Emilie non era mai stata tanto grata a Mary.
“Ottima idea, ma è meglio se la mangiamo nel mio nuovo appartamento, di sopra.”
Ruby la guardò, scandalizzata.
“Vuoi dire niente foto di pizza sulla cassa di Gold?”
“Esatto.”
 “Togli sempre tutto il divertimento. Guastafeste.”
Mentre le sue amiche salivano, Emilie si voltò a guardare i pupazzi. Spinta da un impulso che la stava mettendo sotto pressione da un po’, si avvicinò e strappò loro un capello ciascuno, riponendoli tra le pagine della sua agenda personale.
Il pomeriggio trascorse tranquillo, mangiando pizza sul suo letto e scambiandosi gli ultimi pettegolezzi. Emilie era sempre stata convinta che fare la parrucchiera era un po’ come fare la psicologa e non si era ingannata: sembrava che, con la chioma bagnata o sotto un casco caldo, le donne si sentissero più portate a fare confidenze.
“Sean ha deciso di assumersi qualche responsabilità e aiutare Ashley e il bambino?”
“No, figurati, quell’idiota è manovrato dal suo ricco paparino. Non muove un dito senza il suo permesso.”
“Dimmi, Em, Regina ha davvero una relazione con Graham?”
“Non lo sapevi?”
“Non è che Regina lo gridi esattamente a tutti i venti. Anche se non capisco perché no, io lo farei se fossi riuscita ad accalappiarlo.”
“Persino il signor Gold lo sapeva. E non è che lui vada a spettegolare.”
“Non vuol dire niente. Secondo me lui mette delle cimici in tutti gli appartamenti che affitta per farsi gli affari degli altri e avere potere su di loro.”
“Em, Ruby, non state parlando di un agente del Chaos.”
Le due si guardarono.
“Ma certo! È nel Chaos!”
“Purtroppo no.”
Il signor Gold era lì, sulla porta, appoggiato con entrambe le mani al bastone. Aveva un paio di piccoli occhiali da sole e sorrideva. Com’è che si chiamava quella canzone? The devil on the doorstep?
“Spiacente di dovervi congedare, ragazze, ma ci sono problemi in paradiso. Regina vuole parlarti, Emilie.”
“Regina?”
“Sembra che Henry sia scappato di casa.”
Emilie si alzò e lo seguì.
“Henry ha solo dieci anni! Perché scappare di casa?”
“Seriamente, non lo faresti anche tu se avessi Regina come madre?”
La casa di Regina era sempre stata monumentale, ma quel giorno le parve ancora più intimidatoria, forse perché presagiva che quello non sarebbe stato un incontro sereno. Il signor Gold bussò alla porta.
“Apri la porta, Regina, per favore.”
Il sindaco li fece entrare, reggendo un bicchiere di quello che sembrava sherry. La mascella era serrata e gli occhi sprigionavano lampi.
“È molto importante che risponda, signorina Rampion. Ha più visto Henry dall’appuntamento di ieri?”
“No, no.”
“E sentito?”
“Non mi perdo in sottigliezze, signora Mills. Non mi ha contattata in nessun modo e non avevo la più pallida idea di quello che aveva in mente di fare.”
“Si rende conto che lei è stata l’ultima persona ad averlo visto, vero? Potrei farla accusare per  rapimento.”
Emilie stava per ribattere, le guance rosse di rabbia, ma il signor Gold intervenne.
“Penso tu stia esagerando, cara. E poi, se parliamo di sottigliezze, sono io l’ultimo ad aver visto Henry e lo sai benissimo. E tuttavia, non mi hai accusato di avertelo rapito.”
Lei arrossì un po’. Non si aspettava che lui prendesse le sue difese. Regina la fissò, come a volerle leggere dentro. Strinse leggermente di più il bicchiere di vetro come se volesse spezzarlo.
“Molto bene. Immagino possa andare, signorina Rampion, se non può essere più utile di così.”
“Non sono io che ho spinto mio figlio a scappare di casa.”
Si fece mentalmente un facepalm. Il sorriso del sindaco non aveva nulla di rassicurante.
“Mi saluti sua madre, a proposito.”
Emilie uscì più in fretta che potè, seguita da Gold.
“Non è stata una mossa saggia, rinfacciare a Regina i suoi errori.”
“Tanto mi odia da quando facevo la babysitter al piccolo Henry.”
Erano già le sette di sera quando rientrò nel suo nuovo appartamento. Il signor Gold era andato a raccogliere i pagamenti degli affitti e lei era rimasta sola, preoccupata. Chiamò sia Ruby sia Mary Margaret, ma nessuna delle due aveva visto il bambino. Ashley non rispondeva al telefono e per un attimo prese in considerazione l’idea di chiamare sua madre, ma vi rinunciò vigliaccamente. Non se la sentiva di affrontarla ancora, nemmeno per telefono. Si affacciò alla finestra, guardando il cielo stellato. La faceva sentire meglio, anche se ogni volta provava la stessa sensazione di deja-vu. Il suo cellulare squillò ed Emilie sobbalzò, vedendo che si trattava di un numero sconosciuto.
“P-pronto?”
“Emilie! Emilie, mi senti? Sono Henry!”
“Henry! Da dove stai chiamando? Ci hai fatto preoccupare tutti?”
“Sto ritornando a Storybrooke. Con la mia mamma!”
“Regina ti ha trovato?”
“No, Em, la mia vera mamma”
Ad Emilie per poco non cadde il telefono di mano. Ora stava parlando una voce femminile, sconosciuta.
“Pronto? Signorina Rampion, sono Emma Swan. Non ho idea di come abbai fatto, ma Henry mi ha rintracciata a Boston e ha insistito perché venissi con lui qui a Storybrooke. Siamo arrivati e lo sto riportando dal sindaco Mills.”
“Buona fortuna, allora, ne avrà bisogno.”
Disse una veloce preghiera di ringraziamento. Henry era la cosa che più si avvicinava ad una famiglia per lei, gli voleva molto bene. Passò solo una mezz’ora prima che Gold rientrasse. Emilie aveva sempre pensato che avesse molto coraggio a riscuotere l’affitto di notte, considerando quanti in città lo odiavano.
“Emilie, Henry sta bene, è tornato a casa.”
“Mi ha chiamata poco fa. Ha detto di aver portato qui la sua madre biologica.”
“Emma Swan. Alloggerà dalla signora Lucas per una settimana. Una giovane donna molto decisa, da quanto ho visto.”
“Buonanotte, signor Gold. È molto tardi e dovrebbe tornare anche lei a casa. Domani per me è giornata di lavoro.”
“Buonanotte, Emilie. Ci vediamo domani per precisare qualche dettaglio riguardo al nostro…accordo.”
La prima cosa da cui fu svegliata, la mattina dopo, erano i rintocchi dell’orologio della torre, che aveva ripreso a funzionare.
 
Angolo dell’autrice: Scusate il ritardo lunghissimo! Causa piccolo incidente, ma adesso riprenderò a scrivere regolarmente Jgrazie a Sylphs e Samirina per aver recensito e delphs per aver messo la storia tra le ricordate. Buona domenica a tutti! 

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Capitolo 16
*** Troubles ***


Per Emilie era stato facile abituarsi alla nuova routine; quando tornava a casa il signor Gold aveva già chiuso il negozio e la mattina quando andava a lavorare lui stava sempre intrattenendo clienti. L’unica nuvola nel suo cielo felice era Regina, che le aveva comunicato di attendere notizie da parte sua e di sua madre. Non aveva nemmeno più visto Henry ed era probabilmente l’unica in tutta Storybrooke a non aver conosciuto Emma Swan. Oh, aveva letto anche lei i giornali, ma sapeva anche quanto perfida poteva essere Regina se qualcosa minacciava la sua felicità. E non importavano i suoi innumerevoli difetti, nessuno poteva negare quanto volesse bene a Henry.
“Ehi, Em, come va?”
Lei arrossì. Derek Prince era secondo lei il ragazzo più carino del paese e al liceo si era presa una cotta spaventosa per lui.
“Derek, posso esserti d’aiuto?”
“Non puoi prenderti una pausa?”
Guardò l’ora. Erano solo le undici.
“Ok. Vuoi una tazza di the?”
“Preferirei del succo, se ce l’hai.”
“Pompelmo, vero?”
“Azzeccato, come sempre. Ti ricordi sempre tutto di tutti, Em.”
Emilie arrossì ancora. Gli versò il succo e lei bevve un po’ del suo the rimasto nel thermos. Derek guardava in basso e strascicava i piedi, rigirandosi il bicchiere tra le mani.
“Dimmi… è vero quello che si dice in giro?”
“Cioè?”
“Che… che vivi con il signor Gold.”
Ecco cosa intendeva quel giorno parlando delle piccole menti dei paesani.
“No, non è affatto vero. Mi ha affittato un appartamento sopra il suo negozio, ma non ci vediamo quasi mai.”
“Perché? Voglio dire, conosci la sua fama…”
“Non potevo permettermi il lusso di non ricorrere al suo aiuto, Derek. Le cose tra me e mia madre si sono deteriorate del tutto.”
“Mi dispiace. Certo, me la ricordo al liceo, era l’unica madre che andava a prendere la figlia.”
Emilie arrossì ancora, ma per l’imbarazzo questa volta.
“Scusa, Em, non volevo offenderti. È tutta colpa sua.”
Lei gli sorrise. Lui le prese la mano e gliela strinse tra le sue.
“Se ti può essere d’aiuto, sei bellissima quando arrossisci.”
Inutile dire che diventò ancora più rossa. Lui avvicinò il viso al suo e le diede un bacio veloce sulle labbra. Emilie stava per abbracciarlo, quando qualcuno bussò insistentemente alla porta del negozio.
“Aspetta, vado a vedere chi è.”
Rimpianse di averlo fatto non appena aprì. Davanti a lei c’erano Graham, che appariva dispiaciuto e a disagio, e Regina, che sfoggiava un sorriso soddisfatto.
“Sono molto spiacente, Em, ma temo dovrai venire con me alla stazione di polizia.”
Emilie sussultò.
“È uno scherzo?”
“No. Come ti ho già detto, mi dispiace moltissimo, ma ti sono state accuse piuttosto pesanti.”
Derek la raggiunse, prendendole le spalle.
“Che accuse?”
“Aver picchiato tua madre e rubato i suoi gioielli.”
Lei sgranò gli occhi. 
“Sono false bugie!”
Tuttavia, almeno in parte, aveva fatto del male alla madre.
“La mano non se l’è fratturata da sola, e nemmeno quei tagli.”
Derek la guardò, come se la vedesse per la prima volta. Emilie sentì una piccola puntura al petto.
“Vi seguirò, ma solo per difendermi.”
Graham fece per condurla sulla sua macchina, ma Regina parlò per la prima volta.
“Non dimentica qualcosa, sceriffo?”
Emilie si morse il labbro. Come se tutti non sapessero cosa succedeva tra loro. Nemmeno lui parve molto felice, ma controvoglia le ammanettò i polsi con le manette. Da qualche parte dietro di loro, lei sentì diversi clic di una macchina fotografica. Gli occhi le si inumidirono, ma quando vide Regina che la guardava, alzò la testa e le scoccò la sua occhiata più orgogliosa. Non si sarebbe lasciata mettere i piedi in testa.  Una piccola parte di lei voleva stendersi sul sedile dietro perché nessuno potesse vederla, ma si ripetè che non aveva niente di cui vergognarsi. Ignorò le espressioni di sorpresa sui volti di Archie, lo psicologo di Storybrooke, di Ashley e di Mary Margaret. Voleva solo che Graham accelerasse e arrivasse presto. Come se le avesse letto nel pensiero, lui premette il piede sull’acceleratore.
“Non puoi immaginare…”
“Quanto ti dispiace, lo so. Me l’hai già detto.”
“Sei stata tu?”
“Mi rifiuto di rispondere al giocattolino di Regina.”
Lui sembrò ferito, ma non replicò. Evidentemente, era abbastanza onesto da non negare.
All’ufficiò di Graham c’era una donna alta, bionda, con una giacca in pelle rossa.
“Sei tornato! Ti ha dato problemi?”
Emilie sentì qualcosa dentro di sé che si spezzava.
“Non si permetta di giudicarmi.”
Entrambi si voltarono a guardarla. Lei si sedette su una delle sedie e disse ferma:
“Sono pronta a rilasciare una deposizione su ciò che è accaduto sabato notte.”
La porta si aprì e Regina entrò, come una dea entrava in un sordido bar a Brooklyn.
“Sono ansiosa di sentire le sue giustificazioni, signorina Rampion.”
Emilie fece per protestare, ma la donna bionda la precedette.
“Da quando il sindaco assiste ad un interrogatorio senza essere invitato?”
“Oh, ma io sono stata invitata.”
Regina sorrise a Graham, ma lui rivolse gli occhi altrove.
“Temo che Emma abbia ragione, sindaco. Questo non è un caso così grave da richiedere la sua supervisione.”
Il sorriso di Regina si dissolse come le scritte sulla sabbia una volta sopraggiunte le onde del mare.
“Molto bene. Non vi imporrò la mia presenza. I miei saluti, sceriffo, signorina Swan.”
Il modo in cui voltò le spalle e se ne andò lasciava intendere che era tutt’altro che contenta. Tuttavia, qualcosa in quello che aveva detto colpì Emilie.
“Lei è la madre biologica di Henry?”
L’altra donna annuì.
“Abbiamo parlato al telefono, domenica sera.”
Gli occhi chiari di Emma si accesero.
“Oh, era lei… non avevo riconosciuto la sua voce.”
Graham tossicchiò.
“Devo rivolgerti qualche domanda, Em.”
“Non ho nessun posto in cui debba andare, sceriffo.”
“Sabato sera hai litigato con tua madre?”
“Sì.”
“Aspramente?”
“Sì.”
“A che proposito?”
Emilie esitò. Il motivo della loro discussione sarebbe sembrato loro così stupido, che non le avrebbero creduto.
“Lei aveva preparato una cena in grande stile. Per secondo aveva fatto del pollo arrosto, e quando le ho ricordato che ero vegetariana… ha rotto per terra il piatto e ha iniziato ad urlare.”
Graham la guardò scettico. Emma la fissò dritta negli occhi.
“Non sta mentendo, Graham.”
Emilie le rivolse un’occhiata grata.
“E dopo? Cos’è successo?”
“Mi ha presa per i capelli e mi ha trascinata davanti allo specchio, dicendo che le avevo rubato la vita. Mi ha gettata per terra e ho sbattuto la testa contro il tavolino.”
Sollevò una ciocca per far vedere la piccolissima cicatrice sulla tempia.
“Mi ha schiaffeggiata, allora io mi sono alzata e le ho urlato contro. Volevo andarmene, ma lei mi tratteneva per il braccio, e allora… ho perso la testa per un attimo e le ho chiuso la porta sulla mano.”
Emma e lo sceriffo si guardarono. Graham fece per parlare, ma il telefono squillò. Rispose lui, senza smettere di osservarla.
“Pronto? Ufficio dello sceriffo.”
Lui rimase in silenzio qualche istante, poi riappese.
“Era Regina. Qualcuno ha tentato di irrompere a casa sua.”
Emilie sospirò.
“Posso andare?”
“Ho paura di no. Dobbiamo verificare la tua deposizione…”
Emma lo interruppe.
“Diceva la verità. Sai che io capisco quando uno mente.”
“Ma rimane in sospeso l’accusa di furto. Mi dispiace, Em, ma dovrai rimanere in cella fino al nostro ritorno, in cui raccoglieremo la tua versione riguardo alla tua seconda accusa.”
Lei protestò, ma entrò senza fare troppo storie.
“Per favore, chiudete la porta a chiave. Non voglio che qualcuno entri.”
“Chi dovrebbe entrare?”
“Non so. Regina? E non dovrei chiamare un avvocato?”
“Ce ne occuperemo quando torneremo, non ti preoccupare.”
Si distese sulla brandina, sospirando. Sapeva che sarebbe successo qualcosa di brutto, ma non così presto. Attese fissando il soffitto per ore, ma ad un certo punto strabuzzò gli occhi. Le sembrava… no, doveva essere la sua immaginazione. Il soffitto non stava scendendo verso di lei. Guardò di lato. La parete destra stava avanzando lentamente verso di lei. Sentiva un rumore come di mattoni smossi. Si alzò di scatto e si aggrappò alle sbarre. Urlò, guardandosi le mani che si riempivano di vesciche per l’insopportabile calore del ferro.
“Aiuto!”
I muri si fermarono. Lei guardò indietro, sollevata. Quando si rivoltò davanti a sé, però, vide Regina. Arretrò, terrorizzata. La donna era vestita di nero, con un vestito lungo e simile a uno di quelli che si trovava nel libro di Henry. I capelli erano assai lunghi ma lo sguardo diabolico era lo stesso.
“Mocciosa!”
Le infilò una mano nel petto e ne estrasse il suo cuore, rosso e pulsante. Emilie si portò le mani sulla ferità e la fissò a bocca aperta, prima di cadere come una bambola di stracci.
“Emilie! Emilie!”
La ragazza aprì gli occhi di scatto. Era rannicchiata sul letto della cella, le mani sul petto. Come aveva fatto ad addormentarsi? Riportò lo sguardo su Graham.
“Ho… ho avuto un incubo.”
“L’ho capito. Devi esserti addormentata.”
Una voce sgradevole arrivò alle sue orecchie.
“Si dice che solo i colpevoli dormano in prigione.”
Un’altra voce, più rassicurante.
“La smetta, Regina. Non deve tormentarla così. Ognuno è innocente sino a prova contraria e si è già rivelata giustificata per la sua prima accusa.”
Quella donna… era la madre di Henry, ricordò. Emma Swan. La fece uscire dalla cella e la fece sedere davanti alla sua scrivania.
“Che ore sono?”
“Le sei.”
“Mi avete lasciata qui sette ore?”
Graham intervenne.
“Te la senti di proseguire l’interrogatorio?”
“Dov’è il mio legale?”
Regina le sorrise.
“Sono sicura che, se hai detto la verità, non avrai bisogno dei cavilli di legge per uscire di qui.”
Emilie strinse le labbra.
“Allora, Em, che ore erano quando sei uscita dalla casa di tua madre?”
“Non so… dopo le undici, mi pare.”
“Undici e un quarto, per essere precisi.”
Quattro teste si voltarono verso l’uomo che era entrato nella stanza. Il signor Gold si avvicinò a loro, appoggiandosi sul bastone.
“La signorina Rampion mi ha telefonato a quell’ora, dicendo che se n’era andata di casa e chiedendo di poter venire al mio negozio.”
Regina scattò.
“Cosa ci fa lei qui?”
“Potrei rivolgerti la stessa domanda, Regina. Ho sentito di quello che è successo a casa tua… meno male che il piccolo Henry non era a casa. Comunque, la tua presenza qui non è necessaria… per favore.”
La donna irrigidì ed Emilie la guardò stupefatta prendere la sua borsa e uscire. Il signor Gold si voltò verso di loro, sorridendo.
“Posso testimoniare i lividi che aveva la signorina Rampion quando è venuta da me…”
“Non è quello che c’interessa. La madre l’ha accusata di averle rubato beni preziosi.”
Gold si guardò distrattamente i guanti di pelle nera.
“Strano, sono passato da lei poco fa… e mi ha detto di averli ritrovati in un diverso portagioie da quello in cui pensava si trovassero.”
Emilie lo fissò, speranzosa. Emma Swan incrociò le braccia sul petto.
“Ne è sicuro?”
“Lo zelante sceriffo Graham può telefonarle per accertarsene, mentre le dico due parole, signorina Swan.”
Graham colse al volo l’antifona e iniziò a comporre il numero. Il signor Gold si appoggiò al suo bastone, ondeggiando impercettibilmente.
“Lei è nuova di qui, signorina Swan, quindi non può conoscere la madre di Emilie. Non è un’esagerazione da parte mia sostenere che dovrebbe essere rinchiusa in un manicomio criminale. Una volta ha sgridato la figlia davanti al cinema perché non voleva vedere il film che voleva lei e per punirla gliel’ha fatto vedere tre volte di seguito. Ad una festa del liceo ha voluto esser presente anche lei per sorvegliare meglio Emilie. E tutta Storybrooke ha assistito alle sue continue telefonate alla ragazza in qualsiasi momento.”
Emilie cercò di trattenere le lacrime di umiliazione e vergogna per essersi fatta trattare così.
“L’elenco potrebbe continuare. Mi creda, una madre così è meglio perderla che trovarla. Se fosse stata trovata morta, nessuno potrebbe condannare moralmente Emilie.”
Emma li guardò, osservando prima l’uno poi l’altro. Graham le sussurrò qualcosa.
“Non so come mai sia venuta a dirlo proprio a lei, ma aveva ragione, Gold, la madre di Emilie ha ritirato le accuse. È libera.”
Il signor Gold l’aiutò ad alzarsi.
“Fossi in lei, signorina Swan, in futuro mi guarderei da ogni accusa proveniente da Regina. E ignorerei i suoi suggerimenti di non fornire un avvocato all’interrogato.”
I due uscirono e lei si fermò a respirare l’aria fresca.
“Grazie. Come ha saputo?”
“Te lo dirò quando saremo saliti in macchina, Emilie. Hai fame? Hai pranzato oggi?”
“No. Ma non serve, ho lo stomaco chiuso.”
“Come vuoi.”
Salirono nella Cadillac nera e non servì nemmeno che il signor Gold le fornisse spiegazioni. Sul cruscotto c’era il giornale spiegazzato con una sua foto in bella mostra. Il titolo dell’articolo era “Picchia la madre all’incoscienza e la deruba.” Il giornalista era Sidney Glass e la cosa non la stupì, visto che era il cagnolino di Regina.
“Mi dispiace, Emilie. Ora è tutto finito.”
Lei annuì, ma voltò il giornale in modo da non vederne la prima pagina.
“Grazie ancora di avermi aiutata.”
“Proteggo sempre i miei investimenti.”
Per qualche ragione, lei si sentì irritata da quelle parole, pur essendo perfettamente tipiche del signor Gold. Rimase sorpresa quando, arrivati davanti al negozio, scese anche lui dalla macchina.
“Non vorrei che stasera tua madre o Regina si facessero vive.”
Stavano per entrare, quando Emilie sentì qualcuno che la chiamava. Si voltò e vide Derek, arrivare trafelato.
“Em, grazie a Dio stai bene, cosa…”
Prima che il suo cervello potesse fermare il suo braccio, lei schiaffeggiò forte il ragazzo.
“Come hai potuto?”
Derek la guardò a bocca aperta, la mano sulla guancia.
“Non capisco…”
Lei lo colpì sull’altra guancia.
“Come hai potuto credere che io avessi malmenato mia madre senza ragione e dopo che l’avessi derubata? Come hai potuto, sacco d’immondizia, tu, razza di stronzo vigliacco!”
“Em, non ho mai detto…”
“Ho visto come mi hai guardata, stamattina. Hai creduto subito che fosse vero. Perché?”
“Le prove…”
Emilie vide rosso davanti a sé.
“Ficcatele in quel posto, le tue prove, Derek Prince!”
Entrò in negozio, lieta che Gold fosse già dentro. Sbatté la porta e la chiuse a chiave. Derek se ne stava andando, eppure lei non rimpianse nemmeno una parola di ciò che gli aveva detto.
“Allora ce li hai anche tu gli artigli.”
Il signor Gold la raggiunse, sorridendo.
“Quel bastardo credeva…”
Emilie sentì un groppo in gola. Gold le circondò le spalle con il braccio.
“I ragazzi alle volte possono essere molto stupidi. Tuttavia, devo dire che un simile comportamento da parte del giovane Prince era prevedibile. È sempre stato un debole ignavo.”
Lei sorrise, nonostante le lacrime avessero già iniziato a bagnarle le guance. Per la seconda volta nel giro di una settimana, lei gli pianse sulla spalla mentre lui l’abbracciava. Sentiva una sensazione di… casa, in un certo senso. Il signor Gold le scostò i capelli dalla fronte e lei sentì le sue dita sulle tempie, prima che le catturassero il mento. Le alzò il viso e lei sentì il mondo fermarsi. Non c’erano rumori, movimenti, era come se loro due fossero in una sfera di cristallo.
“Ascoltami bene, Emilie, adesso ti sei sfogata, ma è il momento di riprendere in mano la tua vita. Tu forse non lo sai ancora, ma dentro di te c’è un lato coriaceo e fiero che non aspetta altro che mostrarsi. Hai passato il peggio, ma devi sempre stare pronta alle future evenienze.”
Lei annuì e lui la lasciò andare.
“Ora telefonerò alle tue amiche. Erano molto preoccupate per te.”
Emilie annuì ancora. Lo guardò scomparire sul retro del negozio e, dopo un istante di esitazione, si sedette dietro la cassa. Era stata una giornata lunga, ma si sentiva come in un sogno. Le sembrava un tempo lontanissimo quello in cui era stata interrogata, arrestata e liberata, anche se non era passata neanche mezz’ora dalla fine di tutto. Non si mosse finchè non sentì il rumore del bastone del signor Gold che si avvicinava.
“Domani verranno a farti visita. Naturalmente, farai come vorrai, ma ti consiglio di andare lo stesso al lavoro, domani.”
“Non sarò io a nascondermi. Non  ho fatto nulla di male.”
“Questo è lo spirito.”
L’aiutò ad alzarsi.
“Vai a dormire. È presto, ma hai passato un brutto giorno.”
“Non ho sonno. E poi, ho paura di rifare quell’incubo.”
“Che incubo?”
Lei esitò.
“Mentre ero in cella, mi sono addormentata. Ho sognato in un primo momento che la stanza si chiudeva attorno a me, ma la seconda parte è stata peggio. È assurdo, riderà di me, ma ho sognato Regina.”
“Regina Mills?”
“Sì… e no. Voglio dire, era lei, ma con i capelli lunghi ed era vestita con un abito nero come quelli medievali. Ho sognato che mi strappava il cuore, chiamandomi mocciosa.”
Lui si lasciò scivolare il bastone. Lei glielo raccolse, rossa per l’imbarazzo.
“Lo so, lo so, è una cosa inverosimile…”
Gold la fissava come se avesse visto un fantasma. Poi, si riscosse e parlò piano, più a se stesso che a lei.
“Naturale… ora che lei è arrivata, tutto sta cambiando… prima l’orologio, e adesso…”
“Cosa?”
Il signor Gold fece un cenno di diniego.
“Non è importante. Dormi tranquilla, qualcosa mi dice che stanotte non farai brutti sogni.”
Le sorrise, mentre lei saliva le scale.
“Buonanotte, signor Gold.”
“Buonanotte, dearie.”
Lei si fermò davanti alla porta. Per un attimo sentiva come se stesse per ricordare qualcosa, ma nella sua mente c’era solamente il buio. Entrò in camera, dandosi della sciocca. Eppure… aveva una strana sensazione. Lui l’aveva già chiamata dearie in passato, ma questa volta aveva sentito come…un eco, di una voce più maliziosa e giocosa. Come se qualcun altro, oltre al signor Gold, l’avesse chiamata così. Scosse la testa. Erano solo sciocchezze. Stesa sul letto, attendendo il sonno, lei si portò due dita alle labbra, chiedendosi perché si sentiva come se non fosse successo qualcosa che doveva accadere.
 
 

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Capitolo 17
*** Of children and deals ***


“Sei impazzita?”
Emilie tossì, la cioccolata le era andata di traverso.
“Henry, ti sembra il modo?”
“Il fine giustifica i mezzi.”
“Smettila di parlare come tua madre, il sindaco Mills. Perché sarei impazzita?”
“Senti, lo so che hai un rapporto difficile con la tua mamma, ma dovevi proprio fregarti con un patto con il signor Gold?”
Lei posò la tazza, stanca. Il piccolo non era il primo a porle quella domanda e non aveva nemmeno torto, ma era così difficile far vedere agli altri come la pensava lei stessa.
“Ascoltami, Henry. È vero che ho chiesto al signor Gold la libertà da mia madre in cambio di un favore…”
“Un favore? Non ha specificato cosa vuole?”
“Ha detto che me lo farà sapere quando lo saprà.”
“È ancora peggio di quanto pensassi! Sei in pericolo, Em!”
“Perché sarebbe in pericolo?”
Emilie si voltò e sorrise ad Emma. Nonostante il loro primo incontro, avevano stretto amicizia piuttosto facilmente.
“Henry è convinto che prima o poi il signor Gold mi ucciderà e mi seppellirà nel bosco.”
“Non dico questo, ma…”
Emma si mise le mani sui fianchi e scosse la testa.
“Non conosco bene Gold. L’ho visto solo la sera del mio arrivo, ma devo ammettere che mi è sembrato maledettamente inquietante.”
Emilie sorrise.
“Oh, lo è. Non sarò io a negarlo.”
Per cambiare argomento, guardò la vistosa macchia sulla maglia di Emma.
“Cos’è successo?”
“Un piccolo incidente. Adesso vado alla lavanderia per fare lavare via questo disastro e mi farò prestare una camicia di ricambio.”
Mentre la donna si allontanava, Emilie tornò a rivolgersi al bambino.
“Posso considerare chiuso l’argomento della mia sicurezza?”
Henry la guardò con quegli occhi così simili a quelli di Emma e annuì, sapendo che era una battaglia persa.
“Piuttosto, a proposito dell’Operazione Cobra…”
Lei inarcò un sopracciglio.
“Operazione che?”
“Operazione Cobra. Riguarda la mia teoria sul fatto che la città sia vittima della maledizione.”
“Oh, già, ricordo. Io sarei Rapunzel, vero?”
“Esatto! Tuttavia, c’è una persona che non riesco ad inquadrare.”
“Cioè? Ah, lasciami indovinare…”
“Il signor Gold. Non so che personaggio delle fiabe possa essere e questo è seccante.”
“Mangiafuoco?”
“Naa, non penso.”
“Ha due burattini, nel suo negozio.”
“Non può essere Mangiafuoco. Non starnutisce quando si commuove.”
“L’hai mai visto commosso?”
“Una volta. Dopo che ti aveva chiamato tua madre.”
Emilie si ritrovò incapace di parlare.
“Il Visir Jafar?”
“No. Avrebbe un ruolo secondario, di consigliere invidioso. Il signor Gold ha già potere.”
“Il lupo cattivo di Cappuccetto Rosso?”
“Ma se ignora completamente Ruby!”
“Basta, mi arrendo.”
“Deve essere uno a cui piaccia contrattare.”
Lei guardò l’ora.
“Henry, sono già le sei. Se non sbaglio, il tuo coprifuoco è alle sei e mezza.”
Controvoglia, il bambino prese il suo zainetto.
“A domani, Em. Pensa al nostro problema, sei ufficialmente reclutata insieme ad Emma dentro l’Operazione Cobra.”
“Farò del mio meglio, lo prometto.”
Mentre tornava a casa, ridacchiò divertita. La teoria di Henry era completamente stramba, ma affascinante. Si ritrovò senza volerlo a pensare ad un possibile alter ego per il signor Gold. Oh, basta, erano solo sciocchezze. Aprì la porta del negozio e lo vide al bancone, assorto nel suo registro dei conti.
“Buonasera, signor Gold.”
“Buonasera, Emilie. È andata bene la tua giornata?”
“Purtroppo il numero delle mie clienti è diminuito da quando sono stata arrestata. Ma ce la faccio lo stesso a sbarcare il lunario.”
“Vedrai che fra un po’ di tempo avranno qualcosa di nuovo di cui spettegolare. E dove farlo meglio che dalla parrucchiera?”
Lei rise.
“Ufficialmente, lei è molto cinico, signor Gold. Ma la penso come lei.”
Lui le si avvicinò.
“Mi fermerò qui altre due o tre ore, Emilie, spero non ti dispiaccia.”
“Assolutamente no, il negozio è suo.”
Si diresse verso le scale.
“Atten…”
Troppo tardi. Un tappeto era comparso dal nulla sulla sua strada e lei ci inciampò subito. Si aspettava di colpire il pavimento, ma venne trattenuta da due braccia comparse quasi dal nulla. Si sentì portare indietro e fissò intensamente una cravatta rossa, troppo spaventata per alzare gli occhi e manifestare a lui un qualcosa che era più forte di lei e che la confondeva. Sentiva che quelle braccia l’avevano già abbracciata, ma ciò non poteva essere possibile.
“Gra-grazie.”
Lui la mollò di colpo. Emilie vide che aveva le sopracciglia un po’ corrugate e si dispiacque per aver fatto la figura della goffa sbadata davanti a lui.
“Di niente, dearie. Stavo per avvertirti che avevo comprato un tappeto nuovo, ma a quanto pare non è stato necessario.”
Lei iniziò a salire le scale, facendo esageratamente attenzione ai suoi passi.
“Buonanotte.”
“Buonanotte, signor Gold.”
Emilie si stese sul letto, coprendosi  gli occhi con le mani. Anche se era giovane e relativamente ingenua, aveva paura di sapere anche troppo bene cosa stava succedendo. Si stava prendendo una cotta enorme per il Cattivo del paese. Certo, indossava sempre completi di alta sartoria. Certo, sapeva mettere tutti gli altri in posizione d’inferiorità. Certo, aveva una personalità talmente carismatica da surclassare quella degli altri uomini. No, così non andava bene. Doveva enumerare i suoi difetti, non i suoi pregi. Era insensibile. Un bastardo. Non era affatto bello. Zoppicava. Non che questo fosse importante. Aveva almeno vent’anni più di lei. Aveva già detto che era un bastardo? Questo però non era completamente vero. Lui era giusto nei suoi patti, erano gli altri che si affidavano esclusivamente alle proprie idee e prospettive, senza considerare i loro patti obiettivamente… Rendendosi conto di quello che stava pensando, Emilie si mise il cuscino sopra la testa e se lo premette sulle orecchie, cercando di far smettere le voci che sussurravano nel suo cervello. Si immaginò di parlarne ad Archie, un vero tesoro nel suo lavoro.
“Chiaramente sei in cerca di una figura paterna, Emilie. Tuo padre se ne andò di casa prima che tu nascessi, tua madre non si è più risposata, così hai incominciato a cercarlo in altre persone. Da bambina adoravi Sandokan, perché ti sembrava fantastico essere la figlia di un pirata. Da adolescente hai perso la testa per David Bowie, avevi persino la statuina di Jareth sulla tua scrivania. Ed ora, superando la fase della fantasia, riversi le tue emozioni sul signor Gold, un uomo più grande di te, circondato da un alone mistero, né buono né malvagio, come uno degli antieroi delle sorelle Brontë…”
Alla voce di Archie si sostituì la voce del buon senso.
“Dì la verità, credi che lui possa provare qualcosa per te perché hai creduto stupidamente che stesse per baciarti, quella sera, e perché per tre volte è stato il tuo cavaliere dal’armatura scintillante. Ti ha salvata da tua madre, da Regina e ti ha impedito di cadere stasera. Ma non significa proprio niente. Pensi che potresti essere il suo tipo? Una ragazzina più ossa che pelle, con gli occhi grandi metà viso e che se la tira tanto solo perché ha i capelli lunghi e biondi? Non sei niente di speciale. Torna sui banchi di scuola, bimba.”
Sbuffò e si portò una mano alla fronte. Non aveva senso continuare a crearsi problemi che non esistevano. Lei non provava assolutamente niente per lui e lui di certo non provava niente per lei. Chiuso. Tutto lì. Rinunciando a dormire, si prese un libro giallo dal comodino. Era la terza volta che rileggeva Il mistero della Camera Gialla di Gaston Leroux, ma era passato almeno un anno dall’ultima volta, quindi mise il libro sul cuscino, lei si posizionò a pancia in giù, con le gambe per metà alzate e ricominciò a leggere le disavventure di Mathilde Stangerson, la figlia di uno scienziato che aveva subito un tentativo di omicidio ma che sembrava favorire ogni circostanza per l’arrivo del suo assassino. Quando aveva comprato il libro, a sedici anni, era rimasta incantata dalla doppia identità del colpevole, al tempo stesso Ballmeyer, genio del crimine e primo amore della signorina Stangerson, e il commissario Larsan, incaricato delle indagini sui suoi stessi crimini. Quante volte aveva ripetuto lei stessa la famosa frase “Il presbiterio non ha perso il suo fascino, né la canonica il suo splendore?” Se l’era persino annotata nel diario scolastico, forte del fatto che nessun altro l’avrebbe riconosciuta. Alla fine del libro, era rimasta male quando Mathilde aveva scelto il buono della situazione, il suo fidanzato Darzac, invece dell’affascinante criminale. I buoni erano sopravvalutati, secondo Emilie. Erano personaggi piatti, stereotipati e poco interessanti. Spesso l’autore sviluppava di più la psicologia dell’antagonista per giustificarne gli atti, ma così facendo gli creava una personalità più attraente, complessa e realistica.
Nel flusso dei suoi pensieri s’interpose il rumore di una porta che sbatteva. Rabbrividì. Ecco cosa succedeva a leggere thriller prima di dormire, si diventava suggestionabili. Il grido soffocato che sentì non era certo frutto della sua fervida immaginazione. Si alzò a sedere di scatto. Sentì subito dopo un tonfo. Erano le undici. Prese la mazza da baseball che le aveva regalato Henry quando gli faceva da babysitter e scese silenziosa le scale. Era buio, ma poteva vedere la porta del negozio che sbatteva e una figura stesa per terra, circondata da pezzi di scacchi. Dimenticando ogni prudenza, s’inginocchiò di fianco al signor Gold, lasciando cadere la mazza. C’era del sangue per terra. Per un attimo, si sentì ronzare le orecchie e il panico prese pieno possesso di lei. Lo prese per le spalle e lo scosse.
“Signor Gold! Signor Gold! Resista, chiamo un’ambulanza!”
Si alzò per prendere il cellulare, ma una mano le prese la caviglia.
“Non serve, Emilie.”
“Ma è stato aggredito!”
“Lascia stare. Preferisco risolvere la questione a modo mio.”
Imprecando a mezza voce, lei prese dell’alcool, del cotone e dei cerotti di varie dimensioni.
“Stia fermo, le disinfetto la ferita. Cosa diamine è successo?”
“Un cliente insoddisfatto.”
Quando passò il cotone bagnato sulla ferita, per fortuna piccola e meno grave di quanto sembrasse, il signor Gold fece una smorfia.
“Brucia.”
Lei sorrise senza accorgersene.
“Non faccia il bambino.”
Gli scostò i capelli dalla fronte e gli mise un cerotto. Provò l’assurdo impulso di dargli un bacio, ma ricacciò quel pensiero nella lista delle ultimissime cose da fare.
“Come si sente?”
“Non è niente, Emilie. È solo un graffio. Mi passeresti il bastone?”
Lei si mise un suo braccio intorno alle spalle e lo aiutò ad alzarsi, visto che era atterrato proprio sulla gamba malata, poi gli passò il suo bastone.
“Chi è stato? L’ha visto?”
“Era Ashley.”
Lei lo guardò a bocca aperta.
“Mi prende in giro? Non farebbe mai una cosa simile. Oltretutto, non metterebbe mai in pericolo il suo bambino, ora che è incinta.”
Lui non rispose, ma andò alla sua cassaforte, aperta.
“Cos’ha rubato?”
“Una cosa molto importante per me.”
La raggiunse di nuovo, zoppicando.
“Fammi un favore, Emilie, vai sul retro del negozio e versa due bicchieri di scotch. Poi, riportali qua.”
“Ma io non bevo.”
“Hai ricevuto anche te una brutta scossa, per stanotte farai un’eccezione.”
Lei obbedì, ma non sapendo come berlo lo buttò giù tutto d’un fiato. La gola sembrò prendere fuoco e iniziò a tossire disperatamente. Il signor Gold ghignava come un folletto malefico, battendole una mano sulla schiena.
“La prossima volta, un sorsetto alla volta, Emilie.”
“Col cavolo- cough – che ci sarà – cough, cough – una prossima volta – cough -.”
Lui la guardò fissa negli occhi, sedendosi vicino a lei.
“Grazie per quello che fai fatto, Emilie. Non sono in molti in questa città che mi avrebbero soccorso.”
Emilie arrossì.
“L’avrei fatto per chiunque. Era mio dovere.”
Lui annuì, distrattamente. Le prese la mano e lei si meravigliò della rudezza di quella di lui. Era tuttavia di un piacevole calore.
“Grazie lo stesso.”
Lei tentò di sorridere, poi si alzò, per paura di quello che avrebbe potuto fare.
“Penso che ora andrò a letto. Buonanotte.”
“Buonanotte. Domattina sarò via, voglio parlare con la signorina Swan e chiederle aiuto per trovare Ashley. Non voglio che succeda qualcosa al suo bambino.”
Emilie non potè fare a meno di notare che aveva omesso eventuali incidenti della ragazza stessa. Lui parve leggerle nel pensiero.
“Nemmeno a lei, ovviamente. Mi ha spruzzato dello spray al peperoncino perché l’ho spaventata, io sono caduto sbattendo la testa contro la scacchiera.”
Lei si sentì sollevata al pensiero che la sua amica non aveva assalito il signor Gold nel suo negozio con una chiave inglese o qualcosa del genere.
“Non vuole proprio dirmi cosa le ha rubato? La conosco, non è una ladra.”
“Era qualcosa d’importante per lei, senza dubbio.”
Doveva essere qualcosa che aveva impegnato perché non riusciva a pagare l’affitto. Si sentì all’improvviso arrabbiata.
“Se solo Sean si decidesse ad assumersi le sue responsabilità! Ma no, non può perché papà ha detto di no. Vigliacco!”
Lui alzò le spalle.
“Non giudicarlo così severamente. Ha fatto il possibile per lei.”
“Certo, le avrà dato un po’ di soldi come benservito, non lo metto in dubbio.”
Il signor Gold sospirò.
“Non ti si addice questa crudeltà, dearie.”
“La riservo per chi la merita.”
Lui fece ondeggiare per un po’ il bastone, poi si alzò e si voltò.
“Sarà meglio che vada a casa. Vai a letto anche tu, Emilie. È tardi.”
“Sì, mamma.”
Il signor Gold sorrise, anzi, se non lo avesse conosciuto meglio, avrebbe giurato stesse ridendo.
 
 
Per tutta la notte, non fu capace di dormire. Ogni volta che chiudeva gli occhi, le sembrava di sentire rumori sinistri, di vedere una gigantesca pozza di sangue per terra e persino Ashley con il bastone del signor Gold. Si fece del the, sperando che la rilassasse. La prima volta che aveva conosciuto Ash lei era già incinta e le aveva riversato tutti i suoi dolori mentre le tagliava i capelli. Il loro era stato un grande amore, era tutta colpa del signor Herman, che la riteneva “inferiore”. Emilie era sempre stata una buona ascoltatrice, e mentre Ruby voleva andare a pigliare a calci padre e figlio (cosa che aveva approvato persino la candida Mary Margaret) lei le aveva offerto un secondo lavoro finchè ce l’avesse fatta con il bambino. Ora, veniva a sapere che aveva aggredito il signor Gold, derubandolo. La verità era che, per quanto potesse essere prezioso l’oggetto impegnato, Ashley non era tipo da agire così. Che il signor Gold le avesse mentito? La domanda la turbò, ma rifiutò di crederci. Non ne avrebbe avuto alcun motivo.  Passò le ore seguenti guardando la tv e sonnecchiando di tanto in tanto, e quando arrivò la mattina non era mai stata tanto contenta di andare a lavorare. Si mise la sua camicia verde preferita, un paio di orecchini tondi e si raccolse i capelli in una treccia. Stette per qualche minuto con il rossetto davanti allo specchio, indecisa. Non le piaceva truccarsi, ma le sembrava di doverlo fare per forza quella mattina. Seccata, lo gettò in un angolo e andò al suo negozio. La prima cliente fu la nonna di Ruby.
“Signora Lucas, che piacere vederla. La solita tinta?”
“Grazie, Emilie. Il solito andrà bene, penso.”
Lei prese il suo catalogo e lo porse alla vecchia signora.
“Mi è arrivato un nuovo prodotto che darebbe questa nuova tonalità di biondo. È leggermente più chiara delle altre, quindi farà meno contrasto. Inoltre, ha una sfumatura che ricorda molto la crema chantilly.”
La donna rise.
“Come resistere? Fai pure, cara. Ruby può fare a meno di me per la mattinata.”
Mentre applicava la tinta, due donne che erano state sue clienti per un po’ si fermarono davanti alla sua porta, la guardarono disgustate e sprezzanti, poi passarono oltre. Era uno spettacolo cui aveva già assistito. Mentre aspettava che la signora Lucas finisse di rimanere sotto il casco, fece la piega a Jodi, una delle poche ragazze di Storybrooke ad avere i capelli rosso naturale. Suo padre aveva una pescheria e lei cantava nel coro della chiesa, Emilie assisteva alle funzioni solo per sentirla cantare. Tuttavia, la rimproverò.
“Jodi, cos’hai fatto a capelli?”
La ragazza arrossì.
“Ho provato ad arricciarli da sola. Volevo avere dei bei boccoli per la festa della scuola, così magari Christopher mi invitava a ballare.”
Era stata anche lei così a sedici anni? Erano passati neanche quattro anni, eppure non riusciva a ricordarselo.
“Christopher ti muore dietro anche con i capelli dritti, Jodi, fidati.”
La voce brusca della nonna di Ruby emerse dal casco.
“Non ascoltare le voce su lui e Pat, Jodi cara. Quel ragazzo ha occhi solo per te, me l’ha detto il disonore della mia famiglia e lei queste cose le sa sempre.”
Emilie e Jodi ridacchiarono. Ruby e la nonna litigavano spesso e volentieri, ed erano uno spettacolo da vedere. La ragazza era permalosissima, la nonna si limitava a farsi rimbalzare le critiche addosso e a sistemare i suoi conti, inserendo di tanto in tanto qualche commento sarcastico sui vestiti succinti della nipote.
Fece alla signora un bello sconto, e rimase sorpresa quando ricevette un abbraccio, perché non era mai stata una donna espansiva.
“Non preoccuparti per quelle arpie, Emilie. Sei un tesoro di ragazza, e se c’è qualcuno che non lo crede, non merita le tue attenzioni.”
Lei le sorrise, grata. Se c’era qualcuno che poteva rincuorarla, era la signora Lucas con la sua obiettività. Fu molto occupata fino all’ora di pranzo, aveva ricevuto persino una visita di Regina, che voleva regolarsi il taglio. Aveva accarezzato per un momento l’idea di usare uno shampoo che le avrebbe fatto diventare i capelli rosa shocking, ma decise di vendicarsi in modo più sottile. Le presentò un nuovo balsamo ammorbidente, e quando le passò un conto triplicato rispetto al solito, se la godette un mondo nel vedere il sorrisetto di superiorità svanire dalla faccia di quella strega. Era primo pomeriggio quando ricevette la telefonata di Emma.
“Pronto?”
“Emilie, ho bisogno di te. Ho ritrovato Ashley, è all’ospedale. Voi due siete più o meno della stessa taglia, ho bisogno che mi porti un ricambio per lei.”
“Sta male? È ferita?”
“Ha partorito. È una bella bambina, hanno detto i dottori. E… Em?”
“Sì?”
“Hai visto il signor Gold, oggi?”
“No, perché?”
“Te lo spiegherò quando sarai qui.”
Per arrivare il più presto possibile, superò due semafori rossi e non rispettò nessun diritto di precedenza. Trovò Emma in sala d’attesa.
“Ecco i vestiti. Cosa….”
Emma chiamò un’infermiera asiatica, che prese gli abiti e si diresse verso l’ascensore.
“Siediti, Emilie. Non è facile quello che ti sto per dire.”
Lei si sedette accanto a Henry, che le sorrise.
“Stamattina è venuto da me il signor Gold, incaricandomi di trovare Ashley e quello che gli era stato rubato, senza però dirmi di cosa si trattasse.”
“Non l’ha detto neanche a me… ha solo detto che era qualcosa di prezioso per Ash.”
“Immaginavo non lo sapessi. Era un contratto, Em. Un contratto per comprare il nascituro.”
La bocca di Emilie si seccò. Guardò la sua amica, cercando di deglutire.
“Ascolta, Emma, so che il signor Gold non è un santo, ma di qui a credere che comprerebbe un neonato…”
“Perché no? È stato lui a portare Henry da Regina.”
Come se richiamato, l’oggetto della loro discussione comparve dalla porta, dirigendosi verso la macchinetta del caffè. Diede un colpo per fare uscire la bevanda, poi iniziò a bere. Emma si girò verso Emilie.
“Vado a parlargli. Devo convincerlo a rompere il contratto.”
Emilie non ebbe abbastanza voce per rispondere. Dopo qualche minuto che i due stavano parlando, si avvicinò anche lei. Emma aveva voltato le spalle a Gold, che stava sorridendo.
“Allora?”
“Il signor Gold ha rinunciato alla bambina, ma in cambio gli dovrò un favore.”
Lei si sentì gli occhi che stavano per inumidirsi, ma annuì.
“Ci vediamo, Emma.”
“Non vai a vedere la piccola?”
“Non ce la faccio, adesso. Andrò questa sera.”
Si girò e tornò alla sua macchina. Le chiavi le caddero per terra a causa del tremore delle dita, e lei s’inginocchiò per terra, imprecando.
“Emilie…”
Ignorò quella voce.  Al momento le sembrava peggiore del suono delle unghie sulla lavagna. Era colpa sua. L’aveva messo su un piedistallo, l’aveva paragonato ai suoi eroi dell’infanzia e ora sapeva la verità. Tanto meglio.
“Non ha altri bambini da comprare, signor Gold? Sono spiacente, ma io non ne ho da offrirne. A meno che non voglia il mio futuro primogenito.”
Entrò nella macchina senza dargli il tempo di replicare e partì, sgommando. Stava andando troppo veloce, ma se ne infischiava, le mani strette sul volante e il piede esageratamente premuto o sul freno o sull’acceleratore. Si fermò al supermercato a prendersi una bottiglia di vino per ubriacarsi, e quando tornò al negozio andò al suo appartamento salendo i gradini a due a due. Tirò fuori da sotto il letto la sua valigia e ci mise dentro tutte le sue cose, alla rinfusa.
“Emilie, cosa stai facendo?”
Non si voltò.
“Me ne vado.”
“Perché?”
Le sue mani si bloccarono, lasciando cadere la maglia. Si girò cercò di non sentire troppo dolore, quando lo vide vicino alla porta.
“Stava per comprare un bambino. Un neonato, per l’amor del Cielo!”
“Cosa pensi che facciano le agenzie di adozione?”
“Non pensi nemmeno di giustificarsi così!”
“Inoltre, Ashley Boyd poteva a malapena mantenere se stessa, figuriamoci una figlia.”
Lei chiuse la valigia con un colpo secco e lo superò, scendendo le scale. Era troppo arrabbiata per andarsene e basta, così continuò a insultarlo.
“Questo è troppo persino per lei, signor Gold. Annullo il mio patto con lei, lascio  l’appartamento.”
“Mi devi ancora un favore, Emilie.”
Stava per dirgli di metterselo in quel posto, il favore, ma lei non era mai stata una persona volgare.
“Quando ne vorrà uno, mi venga a trovare in negozio o al Bed and Breakfast di Ruby.”
Prese il sacchetto col vino che aveva lasciato vicino alla porta e si mise il giubbino in jeans.
“Non dovresti bere, Emilie, ora che sei da sola.”
Fu l’ultima goccia. Le sue guance erano così rosse che sembravano sul punto di prendere fuoco da un momento all’altro, gli occhi mandavano scintille i denti erano serrati ferocemente.
“Come vuole, signor Gold.”
Prese la bottiglia di Pinot e la lasciò cadere. Mai il rumore di vetri infranti le fu più caro, né la vista del liquido che si spargeva nel pavimento, raggiungendo il prezioso tappeto e le preziose scarpe di Gold.
“Mi ha delusa, signor Gold.”
Si voltò e chiuse la porta alle sue spalle, sbattendola più forte che potè.
 
 
 
Angolo dell’autrice: Finalmente un nuovo capitolo! Ringrazio tutti quelli che leggono la mia fiction, anche se non recensiscono. Un grazie particolare va a Sylphs, Samirina e AleXyloto per aver recensito, morgenrot per averla messa tra le seguite e xtaylorshug per averla messa tra le ricordate. Spero che stasera saremo tutti a vedere Once Upon A Time su rai 2! :-D Un saluto a tutti!  

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Capitolo 18
*** The most powerful magic of all ***


Emilie stava aspettando Emma per bere qualcosa. L’amica ne aveva bisogno, dopo l’improvvisa morte di Graham. Aveva raccontato a tutti che aveva avuto un infarto in ufficio, ma lei era certa che ci fosse qualcosa di più, visto come piangeva spesso. Non le voleva fare domande, sapeva l’importanza di rispettare la privacy altrui, ma era preoccupata. Emma arrivò, gettando la giacca sulla sedia e sedendosi sbuffando come una mantice.
“Successo qualcosa?”
“A parte che Regina vuole togliermi l’incarico di sceriffo mettendo al mio posto Sidney Glass? No, niente.”
“Cosa? Glass?”
“Ha bisogno di burattini, Em, e io non sono esattamente una sua fan.”
Stettero a guardare i loro caffè per qualche istante, poi Emma alzò gli occhi e chiese a bruciapelo:
“E tu? Come stai?”
Emilie sospirò.
“Ho voglia di camminare. Andiamo verso casa tua, nel frattempo ti spiego.”
Fuori c’era parecchio vento e le due donne dovettero fare attenzione alle foglie che s’impigliavano nei capelli.
“Il signor Gold ti ha più cercata?”
Lei scosse la testa.
“No. Ero molto arrabbiata quando me ne sono andata, gli ho persino rotto una bottiglia di vino sul pavimento.”
Emma rise.
“Immagino che molti vorrebbero stringerti la mano, se lo sapessero. Ma non hai risposto alla mia domanda.”
Emilie guardò per terra e parlò a voce molto bassa, le mani infilate nelle tasche.
“Certo che sto bene.”
“Ti ho mai detto del mio superpotere?”
“Solo un trilione di volte.”
“Sei dimagrita. Hai le occhiaie. Cosa ti succede?”
Lei si morse il labbro e non rispose. Non sapeva cosa dire. Che una cotta per un uomo di oltre vent’anni più vecchio di lei, che comprava bambini e faceva paura a tutta la città l’aveva ridotta in quello stato?
“Lascia stare, non ci capisco niente nemmeno io.”
Notò che Emma non la stava più ascoltando. Stava guardando Mary Margaret con un uomo dai capelli chiari.
“Chi è?”
“Non sei uscita molto ultimamente, vero?”
“….No.”
“David Nolan. Alias John Doe.”
“Scherzi? Ma cosa mi sono persa?”
“Guarda davanti ai tuoi occhi.”
E quello che vide non aveva bisogno di spiegazioni. Mary Margaret stava ridendo e David le sorrideva, gli occhi azzurri persi in un’espressione instupidita. Erano molto vicini, i loro gesti erano sincronizzati e fra loro c’era come un filo invisibile che li univa.
“Non sei contenta?”
“Lui è sposato.”
Emilie si voltò, trattenendo il respiro.
“Cosa?”
“Sua moglie si chiama Kathryn, è venuta all’ospedale poco tempo dopo il suo risveglio dal coma. Lo aveva dato per scomparso.”
“Mary Margaret lo sa?”
“Sì. Questo non migliora certo la situazione. Non dovrebbe perdere tempo con lui.”
“Perché no? Se è quello che vuole, perché dovrebbe preoccuparsi di quello che dicono gli altri, anche se disapprovano?”
Emma la fissò, come se stesse incominciando a capire. Emilie si morse la lingua per la veemenza con cui aveva risposto. Chinò il capo e le prese una mano.
“Non chiedere.”
Andò dritta nella sua nuova casa, consistente in una piccola stanza con bagno e vista sulla foresta. Si preparò un bagno caldo e bevve del succo di mela direttamente dal cartone. Che idiozia, nominare Sidney Glass sceriffo. Mentre stava a mollo nell’acqua profumata, pensava a quanto la sua vita fosse cambiata in pochi mesi. Emma aveva fatto in modo che sua madre non la infastidisse più grazie ad un’ordinanza restrittiva, aveva recuperato tutte le sue clienti, convenientemente dimentiche del fatto che fosse stata arrestata quando la loro ricrescita aveva iniziato a farsi vedere, riusciva a pagare l’affitto sia a Ruby sia al signor Gold e Derek si era scusato abbondantemente del suo comportamento. Ci era uscita insieme un paio di volte, tentando di provare qualcosa di più forte per lui dell’amicizia, ma niente da fare. L’unica cosa che però le aveva fatto davvero piacere era la piccola Alexandra, la figlia di Ashley. Emilie le faceva da babysitter praticamente un giorno sì e uno no, deliziandosi nel tenerla in braccio e portarla in giro, prendendole giochini e gingilli colorati e tintinnanti. Si stava asciugando i capelli con l’asciugamano quando qualcuno bussò alla porta. Doveva essere Ruby, si fermava spesso a chiacchierare con lei durante i suoi momenti di pausa. Aprì la porta e finse di essere seccata.
“Ruby, sai sempre scegliere i momenti migliori, devo proprio…”
Le cadde l’asciugamano. E richiuse la porta, girando la chiave a doppia mandata.
“Questo mi sembra decisamente esagerato.”
Maledizione, aveva ragione.
“Non è un buon momento.”
“Per la signorina Lucas sì, invece, vero?”
“Noi ragazze siamo abituate a queste cose.”
“Aprimi, Emilie.”
Lei obbedì, un po’ a disagio e un po’ arrabbiata per non riuscire a resistere. Il signor Gold entrò, vestito interamente di nero. Era la sua immaginazione, o la ciocca d’argento tra i suoi capelli era più evidente del solito?
“Posso fare qualcosa per lei, signor Gold?”
“Cosa vi siete dette, tu e la signorina Swan, prima?”
“Non sono affari suoi.”
“Temo di sì. Almeno, quello che riguarda la morte del povero Graham e il suo nuovo ruolo.”
Perché non poteva comportarsi con lui come faceva con chiunque altro? Cercò di sorridere.
“Vuole qualcosa da bere, signor Gold? Temo di avere solo dell’acqua e succo di mela, ma…”
“Niente, grazie.”
Il diavoletto sulla sua spalla istigava Emilie a chiedergli se voleva del vino bianco, ma il suo istinto di sopravvivenza le tenne la bocca ben chiusa sull’argomento.
“Regina le ha tolto l’incarico e l’ha dato a Sidney Glass.”
Il signor Gold fischiò.
“Il sindaco non perde tempo.”
La guardò, soffermandosi sulle ombre che le circondavano gli occhi, sulla maglia troppo larga. Fece per parlare, ma poi si diresse verso la porta.
“Fortunatamente, nemmeno io. Buona giornata, Emilie.”
Appena dieci minuti dopo che se n’era andato, Ruby arrivò con due cornetti caldi.
“Ti va?”
“Perfetto. Mi ci vuole, dopo la visita del signor Gold.”
“Cosa voleva?”
Emilie alzò le spalle. Mangiarono in silenzio per circa tre minuti, dopodichè l’amica iniziò a parlare.
“Come vanno i tuoi incubi?”
“Vacci a capire qualcosa. Prima sognavo che ero rinchiusa in una stanza in cui potevo solo guardare fuori, ora sogno anche un lupo enorme che cerca di attaccarmi, un uomo di cui non vedo il volto ma che ha la pelle verde-oro che ride.”
“Wow. Forse devi smetterla di bere tutte quelle tisane prima di dormire.”
“Inizio a pensarlo anch’io.”
“Sapete io, invece, cosa penso?”
Le due ragazze sobbalzarono. La signora Lucas se ne stava sulla soglia della porta, l’espressione decisa.
“Penso che Ruby Lucas deve portare la sua poco vestita persona giù dabbasso e servire i tavoli.”
La ragazza eseguì senza fiatare. L’anziana signora cambiò tono, rivolgendosi ad Emilie.
“Come stai, tesoro?”
Le sollevò il mento e la esaminò con aria critica.
“Che ti sta succedendo, ragazza mia?”
“Non è la prima che me lo chiede. Non lo so. Sto facendo dei brutti sogni ultimamente, che mi tengono sveglia la notte.”
“Prova a dormire un po’ adesso. Almeno recupererai in parte il sonno perduto.”
“Ci proverò, signora Lucas.”
Quando la donna richiuse gentilmente la porta alle sue spalle, Emilie si sentì segretamente sollevata. In quei momenti preferiva stare da sola. Prese le sue solite pastiglie per stare sveglia. Era quasi una settimana che non dormiva per più di due ore a notte, terrorizzata dai sogni che poteva fare. Le squillò il telefonino.
“Pronto?”
“Emilie, sono io, Emma. Il signor Gold è appena venuto da me.”
Scioccata, il cellulare le sfuggì quasi di mano.
“Come? Perché?”
“Ha trovato un cavillo nel regolamento usato da Regina per licenziarmi. Ci saranno delle elezioni tra me e Sidney, vincerà chi otterrà più voti.”
“Ma è fantastico!”
“Dimmi, quanta gente pensi che voterà per me, andando contro Regina? A parte te, Ruby, Mary Margaret e il signor Gold?”
Emilie realizzò che aveva ragione. In città gli abitanti avevano paura solo di due persone: Regina e Gold.
“Ci sentiamo.”
Lei stette per qualche secondo a fissare il vuoto, poi si alzò e si rivestì. Non avrebbe permesso che Regina togliesse ad Emma quel lavoro, era perfetto per lei. Prese la giacca e scese le scale di corsa. Ruby la guardò, sorpresa.
“Em, dove…”
Non le badò. Corse senza salutare nessuno, senza rispondere a nessuno, senza curarsi delle macchine che si fermavano con uno stridio di freni per non investirla. Si gettò letteralmente dentro il negozio cercato, aggrappandosi al muro per respirare.
“Emilie?”
Lei si voltò verso di lui, le mani sulle ginocchia.
“Voglio stringere un altro patto.”
Lui rise, per la prima volta da quando l’aveva conosciuto.
“Non sembravi poi così soddisfatta dal nostro primo accordo.”
“Al diavolo. Non si tratta di me.”
Lui la scrutò.
“No?”
“Voglio che faccia qualcosa perché Emma vinca le elezioni.”
“Mi devi già un favore, dearie.”
“Se non trova qualcosa di meglio, gliene dovrò due, allora.”
Il signor Gold le si avvicinò, posando una mano sulla sua spalla.
“In effetti, c’è qualcosa che voglio da te, Emilie.”
Lei deglutì ma sostenne il suo sguardo senza sbattere le palpebre.
“Avanti.”
“Perdono.”
Emilie si sentiva il ritratto dello Stupore. Non riusciva nemmeno a muoversi. Era accaldata, tremava, ma non protestò quando le braccia del signor Gold si chiusero attorno a lei.
“Tu sei l’unica la cui opinione mi possa importare, Emilie. Ho bisogno del tuo perdono. Non vivi bene nella rabbia e nell’odio, lo sai. Guardati, sei diventata l’ombra di te stessa. Lascia che mi prenda cura di te.”
Lei gli prese le mani, che erano arrivate sul suo viso bagnato inconsapevolmente di lacrime. Stava per parlare, ma venne interrotta dal campanello del negozio.
“Signor Gold! Signor Gold!”
Emilie non aveva mai visto sul viso di lui un’espressione più omicida. E, in qualche modo, sapeva che lei stessa stava rivolgendo pensieri sanguinosi al dottor Hopper.
“Mi dica, Archie.”
Gold uscì dal loro angolino per andare incontro allo psichiatra.
“C’è stato un incendio all’ufficio del sindaco. La signora Mills è stata salvata da Emma Swan, che era con lei quando è avvenuta l’esplosione. Hanno chiesto di lei.”
“Vengo.”
Nell’atto di chiudere la porta, il signor Gold lasciò senza farsi vedere dall’altro una copia della chiave del negozio sul bancone, e sorrise ad Emilie. Lei aspettò qualche secondo, poi uscì lei stessa e si diresse verso il luogo dell’incendio. Non appena Ruby la vide, le fece segno di unirsi a lei e a Mary Margaret. Emma e Regina avevano il viso semicoperto da fuliggine, ma sembravano illese. Emilie corse ad abbracciare l’amica.
“Dio mio, Emma, come stai?”
“Sto meglio, adesso.”
Ruby le sussurrò all’orecchio:
“Ti faccio una proposta irresistibile: passa la notte con me.”
Lei fece un mezzo sorriso.
“Pensavo non me l’avresti mai chiesto.”
“Facciamo tanti poster e cartelli di sponsorizzazione. Emma è la salvatrice del sindaco, questo le porterà parecchi voti.”
“Come rifiutare?”
Lei, Archie, Ruby, Ashley e Mary Margaret fecero volantini e manifesti per tutta la notte. Chi sarebbe riuscito a dormire, con tutta l’eccitazione che aveva dato come una scossa elettrica a Storybrooke? Inoltre, quel lavoro impediva ad Emilie di pensare a cosa stava per succedere nel negozio del signor Gold. Non riusciva a ricordare l’ultima volta che si era sentita così… euforica.
 
Alle elezioni c’era tutto il paese. Lei notò Gold seduto tra le ultime file, e dovette sforzarsi per non sorridergli. Regina appariva soddisfatta, Henry invece sembrava diviso tra la preoccupazione e la speranza. Sul palco c’erano Emma e Sidney, mentre Archie li presentava al pubblico facendo qualche sciocca battuta sui loro cognomi per rompere il ghiaccio. Parlò per primo Glass, aggiustandosi il papillon e sorridendo apertamente.
“Signore e signori…”
Emilie non lo ascoltò nemmeno, concentrandosi su Emma. L’amica non sembrava per niente felice. Cosa poteva essere accaduto per buttarla giù così? Era l’eroina della città, avrebbe dovuto essere almeno soddisfatta. Eppure, mentre andava verso il microfono, sembrava piuttosto voler essere dovunque tranne che lì. Fece due respiri profondi, prima di cominciare.
“Signore e signori, so che siete qui per votare per me o per Sidney Glass. Prima che comincino le elezioni, voglio essere completamente sincera con voi.”
Non era il discorso che si aspettavano di sentire. Emilie guardò Ruby, ricambiando lo sguardo confuso dell’amica.
“Immagino voi tutti sappiate che il signor Gold mi ha appoggiata durante la mia corsa.”
Emma strinse le nocche.
“Ma non sapevo che fosse disposto a provocare un incendio per farmi vincere.”
Emilie pensò di aver sentito male. Ma tutti avevano sul volto la stessa espressione di orrore. Si voltò cercando Gold, i suoi occhi sorpresi e indignati da quell’accusa. Ma il suo posto era vuoto. Infischiandosene del fatto che Emma continuava a parlare, delle proteste dei suoi vicini, si alzò e uscì dalla sala comunale. Sembrava proprio che dovesse vivere nella rabbia e nell’odio, dopotutto. Per la seconda volta in poche ore, si catapultò dentro il negozio di antiquariato.
“Farai meglio a dirmi che Emma ha preso un granchio gigantesco.”
Lui la guardò, la faccia impenetrabile.
“Non mento mai, dearie.”
Lei impallidì e vacillò. Il signor Gold fece per sorreggerla, ma lei si scostò.
“Avresti potuto ferire o uccidere qualcuno!”
“Sapevo esattamente, ciò che facevo, dearie.”
La sua sicurezza incrollabile la fece andare in bestia ancora di più
“E hai avuto la faccia tosta di chiedermi perdono? Sapendo cosa stava per succedere?”
“La gente ha paura di Regina, ma teme ancora di più me. La sua accusa in pubblico era prevista. Solo sfidandomi apertamente avrebbe potuto vincere il lavoro. Non era sufficiente il suo eroico gesto di stanotte.”
“Non me ne importa niente. Ho sprecato anche troppo tempo con te.”
Fece per voltarsi, ma lui l’afferrò e la rivoltò bruscamente verso di sé. La strinse con un braccio per impedirle di andarsene e la baciò, sfruttando la sua rabbia e la sorpresa. Emilie era divisa in due. Una parte di lei voleva arrendersi ai suoi desideri, l’altra voleva schiaffeggiarlo e spingerlo via. Prima che una delle due potesse prendere il sopravvento, la sua mente fu invasa da immagini. Una torre. Sua madre. Le sue amiche, chiamate con altri nomi. L’uomo dei suoi sogni, dall’aspetto strano, inquietante, ma familiare. Il suo nome non le apparteneva più. Non era più Emilie con il signor Gold, era Rapunzel con Rumpelstiltskin.
 
 
Angolo dell’autrice: Un capitolo duro da scrivere, ma eccomi qui e scusate per il ritardo Jrullo di tamburi…. Surprise! Grazie a Sylphs, Samirina e LauraSwanA per aver recensito, Himawari Chan e Ruta per averla messa tra le seguite. Un saluto a tutti!

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Capitolo 19
*** He's odd ***


“Rumpelstiltskin!”
Lei lo abbracciò forte, sentendola come la prima, vera volta in cui lo faceva.
“Non sei più in quell’orribile cella.”
“No, dearie.”
Lei lo fissò. Gli occhi di Emilie conoscevano bene quei lineamenti, ma quelli di Rapunzel non cessavano di fare confronti. Gli occhi erano semplicemente castani, di una tonalità più chiara rispetto a quelli di una volta, senza le sfumature dorate, ma non erano meno profondi o espressivi. Sembrava più giovane, più umano. Gli sfiorò i capelli, sorridendo.
“Cos’è successo ai tuoi riccioli?”
“Non vanno di moda qui a Storybrooke.”
Lei rise piano, lasciando che lui le baciasse il collo.
“Ne abbiamo di tempo da recuperare.”
Rapunzel finse di pensarci.
“Oh, non saprei. Non è che ti sia comportato molto bene, anche senza magia.”
“Non ho più trasformato nessuno in una lumaca. Questo conta a mio favore?”
Lei gli prese il viso tra le mani e lo baciò, non credendo al miracolo che stava vivendo. Quando ripresero fiato, Rapunzel gli rivolse un sorriso malizioso.
“Lascia che mi riprenda, Rumpel.”
“Hai avuto ventotto anni di tempo.”
Lei gli sfuggì dalle braccia, ridendo.
“Ah-ah.”
Rumpelstiltskin la bloccò con il bastone e la riavvicinò.
“Dove pensi di andare, dearie?”
“Ho una mezza idea di andare da Flynn.”
“Anche il mio bastone, che coincidenza.”
Le mordicchiò il collo, e lei lo lasciò fare, rovesciando la testa all’indietro per lasciargli più spazio. Fece un mugolio di protesta quando lui smise e si allontanò.
“Perché hai smesso?”
“Devo andare da Emma Swan.”
Rapunzel socchiuse gli occhi.
“Vengo anch’io.”
Rumpelstiltskin fece un mezzo sorriso, ma scosse la testa.
“Sarebbe troppo sospettoso. Emilie Rampion non stava volentieri con il signor Gold. Senza contare come hai lasciato la sala comunale.”
Lei incrociò le braccia, sforzandosi di non pensare alla bellezza della madre di Henry.
“Cosa devi dirle?”
“Devo spiegarle, come ho già spiegato a te, le mie vere intenzioni. Non sono un piromane.”
Rapunzel si ammorbidì, ma subito si sentì impallidire.
“Rumpelstiltskin…come facciamo con Regina?”
Lui l’abbracciò e parlò lentamente.
“La cosa più importante è che non scopra che tu ricordi. Ha già forti sospetti su di me, quindi…”
“Perché?”
Lui sogghignò.
“In un nostro accordo, il suo pagamento era acconsentire ad ogni mia richiesta in questo mondo ogni volta che avrei detto per favore.
“Ma era impazzita?”
“Non credeva che avrei ricordato. Non appena la maledizione sarà spezzata dalla Salvatrice, faremo in modo che il tuo cuore ritorni al suo posto.”
Lei rabbrividì.
“Immagino che sia così che Graham è morto.”
“Non pensarci. Non ce l’ha più lei, ce l’ho io.”
“Ma…”
Rumpelstiltskin le mise un dito sulle labbra.
“Troppe domande, dearie. Ora vai a casa, se Regina venisse qui per sfogare la sua rabbia per la perdita delle elezioni di Sidney, la copertura salterebbe.”
“Come fai a sapere che ha perso?”
“Emma Swan ha dato prova di grande coraggio sfidandomi davanti alla città, quindi non ho dubbi sul risultato.”
Lei gli diede un breve bacio, poi uscì. Faceva piuttosto freddo, e immaginò che per festeggiare sarebbero stati tutti da Granny’s. Ci arrivò in più tempo del necessario, visto che Rapunzel assorbiva un mondo che per lei era del tutto nuovo. Appena entrò, venne accolta da urla festanti. Stavano tutti bevendo intorno ad Emma e all’inizio fu grata che nessuno badasse troppo a lei, perché se Emilie era abituata al nuovo aspetto dei suoi amici, Rapunzel rimase scioccata. Dov’erano finiti i lunghi capelli mossi di Neve? E Cappuccetto indossava un paio di shorts a malapena decenti, senza contare i capelli dritti e con alcune brillanti ciocche rosso scuro, il viso molto truccato… almeno  la sua passione per il rosso era rimasta intatta. Anche Cenerentola era cambiata, più magra e dalla chioma più corta e liscia. Charming non era cambiato per niente, invece. Richiamò alla mente un’immagine della nuova Regina: sembrava che tutte avessero i capelli corti in questo mondo.
“Em!”
Cappuccetto- no, Ruby, doveva abituarsi ai loro nomi- le gettò le braccia al collo.
“Hai fatto un occhio nero al signor Gold?”
“No, mi ha ignorata bellamente. Dal nervoso sono andata fino a Toll Bridge.”
“Emma ha vinto! Emma ha vinto! Persino Sidney ne è contento.”
Rapunzel andò dalla sua amica, stringendole le mani.
“Congratulazioni, sceriffo.”
“Non ci potevo credere, quando me l’hanno detto.”
Mary Margaret intervenne, porgendo a tutte e due un bicchiere di liquore.
“Regina ha fatto una faccia…sembrava avesse bevuto succo di limone.”
Leroy si fece avanti, la voce già abbastanza strascicata e l’andatura oscillante.
“Ehi, - hic – evviva, un brindisi – hic – al nuovo sceriffo!”
Buttò giù il suo boccale di birra in due sorsi, poi aggiunse:
“Hai tutta la mia stima – hic – sorella.”
Povero Brontolo, Regina non era stata clemente con lui in questo mondo. Archie le andò vicino e sussurrò:
“Sembra che Sidney abbia avuto solo due voti. Quello di Regina…”
“E quello di mia madre?”
“Esatto.”
Tossicchiò imbarazzato.
“Come ti senti, Emilie? Hai ancora problemi con quei sogni?”
Lei fece un largo sorriso.
“Penso proprio che non avrò più problemi, grazie Archie.”
Ricordando l’ultima volta che aveva bevuto una bevanda alcolica, appoggiò il bicchiere sul tavolo e si avvicinò a Henry, che le stava lanciando segnali misteriosi.
“Che c’è, Henry?”
Lui la prese per mano e la portò in un angolo.
“Forse ho scoperto chi è il signor Gold.”
Lei si morse il labbro. Aveva paura che il bambino si sarebbe lasciato sfuggire qualcosa, se avesse capito che lei ricordava.
“Anch’io ho una teoria.“
Lui la guardò, incuriosito.
“Prima te.”
“Ma sei stato tu a dirmi di averlo scoperto.”
“Voglio sentire la tua ipotesi per prima.”
“Secondo me è il Pifferaio di Hamelin.”
Henry scosse la testa.
“Non credo.”
“Voleva il bambino di Ashley. Va bene, per te chi è?”
“Barbablù.”
“Ma non è sposato e non ha niente di blu.”
“Nessuno sa se sia stato sposato, è diverso. Barbablù era ricchissimo e anche il signor Gold.”
Rapunzel trattenne una risata e gli scompigliò i capelli.
“Spero che tu non abbia ragione, o noi povere ragazze saremo tutte in pericolo.”
Henry acquistò un’aria solenne.
“Non temere, proteggerò io te, mia madre, Ruby, Mary Margaret e Ashley.”
“Proteggerle da cosa?”
Il dottor Whale era dietro di loro, sfoggiando un sorriso a quaranta denti.
“Da Barbablù.”
“Aah, capisco. Beh, piccolo, ti sollevo dall’incarico di difendere la signorina qui presente, ci penserò io a lei.”
La prese per un braccio mentre lei rivolgeva uno sguardo disperato a Henry, che non aveva gradito l’aria di sufficienza del medico. Rapunzel si ritrovò proprio in mezzo alla folla e stava iniziando a stancarsi del casino.
“Guardi dottor Whale, non è necessario…”
“Non chiamarmi così. Puoi chiamarmi tesoro, o amore.”
Lei sentì una vaga nausea incipiente.
“Penso che declinerò l’offerta. Adesso devo andare.”
“Ma la festa è appena iniziata!”
Festa? Era una parola grossa. Cercò di catturare lo sguardo di Ruby, sillabandole il nome dell’ammiratore troppo tenace. Ruby rise, e non accennò a muoversi di un passo. Anzi, le alzò il pollice. Credeva che si stesse divertendo, con quell’idiota che le stava appiccicato?
Approfittando di un momento in cui Whale stava guardando una stangona dai capelli ossigenati, sgusciò via tra la folla e fuggì verso la porta. Le mancò il fiato quando vide sua madre che avanzava per entrare. Si voltò e si rituffò nella massa. Si mosse un po’ a zigzag, cercando di trovare un modo se non altro per arrivare alle scale e salire in camera sua, se non poteva uscire a camminare.
“Eccoti!”
Gemette. Il dottore l’aveva trovata. Si sentì tirare indietro e abbracciare, mentre lui le sussurrava all’orecchio:
“Balliamo questo lento?”
Schiacciata dalla coppia dietro di lei, fu costretta a ballare, accontentandosi di spostare sempre la mano di Whale che scivolava sempre più in basso.
“Tu vivi qui, vero, in affitto? Che ne dici di portarmi a vedere camera tua?”
Il livello di sopportazione di lei raggiunse il limite e traboccò. Lo afferrò per la maglia e lo trascinò in disparte, poi lo affrontò.
“Ascolta, in dieci minuti hai mostrato tutti i peggiori difetti di un uomo. Il tuo fiato puzza di alcool, sei rozzo, di quoziente intellettivo non pervenuto, presuntuoso e assillante.”
Gli pestò il piede con tutta la forza che aveva e si sentì pienamente soddisfatta quando Whale imprecò, chinandosi e sollevando la gamba. Andò al paino di sopra e volò dentro camera sua, chiudendosi a chiave la porta. Grazie a Dio perveniva poco del casino della festa e lei potè spogliarsi in santa pace, mettendosi una tuta. Si spazzolò i capelli, turbata, non tanto dal dottor Whale quanto dalla vista della madre dopo tanto tempo. Mise una sedia sulla porta, per paura che potesse venire a minacciarla. Si sedette sul letto, abbracciandosi le ginocchia. Si mise una mano sul petto e lo sentì vuoto, inesorabilmente vuoto. Le tornò involontariamente in mente l’atroce dolore provato durante la riunione nel salone reale del castello di Neve. Immaginò il volto irato e crudele di Regina stringere fino a ridurre in polvere il cuore pulsante di Graham perché aveva osato innamorarsi di Emma. Tremò piano, pensando alla crudeltà della maledizione. Biancaneve e Charming erano separati dal matrimonio di lui, Geppetto non aveva più al suo fianco Pinocchio, la regina aveva spezzato tutti i legami che la minacciavano con la loro forza.
Qualcuno bussò. Rapunzel si avvicinò alla porta, sbirciando dalla serratura. Vide solo un vecchio dai capelli bianchi. Aprì uno spiraglio.
“Sì?”
“Sono Lewis Tenniel, signorina, vengo da parte di sua madre.”
Lei esitò.
“Mi assicura che lei non c’è?”
“Glielo giuro.”
Rapunzel tolse la sedia e lo fece entrare. Aveva ciuffi di capelli grigi e bianchi che stavano per conto loro, brillanti occhi verde-blu, naso adunco e il corpo molto magro, ma elegante. I suoi vestiti erano piuttosto ordinari, ad eccezione della giacca più stramba che avesse mai visto, rossa con ampie righe viola.
“Cosa vuole mia madre?”
Lui si sedette sulla sedia, picchiettando le unghie piuttosto lunghe e appuntite sul tavolo.
“Le dirò tutto, signorina, ma prima non avrebbe per caso del latte da bere? Giù servono solo alcolici.”
Sorpresa, lei obbedì. Il vecchio bevve a piccoli sorsi, poi sospirò soddisfatto.
“Così va meglio.”
Sorrise e Rapunzel strinse le mani sul bordo della sedia per non alzarsi in piedi di scatto. Lewis Tenniel aveva un sorriso insolitamente ampio, con denti piccoli e un po’ appuntiti, che creava rughe fitte e sottili sugli zigomi. Lo guardò fisso negli occhi, cercando una risposta. Non si aspettava il suo cenno d’assenso.
“Dunque, ricorda anche lei. Ci siamo già conosciuti… tempo fa. Le fornii una piccola informazione.”
Lei annuì. Quello che era stato il Gatto del Cheshire proseguì, con aria d’indolenza.
“Noi del Paese delle Meraviglie non siamo stati trattati molto bene da Sua Maestà. Il povero Cappellaio ha perso sua figlia. Noi due siamo gli unici che ricordiamo, a parte lei e Rumpelstiltskin. E Regina, naturalmente.”
“Viene davvero da parte di mia madre?”
“No, piccola, era solo una scusa, temo. L’argomento di cui devo parlarti è molto più serio che una insignificante lite domestica.”
Rapunzel si sentì molto irritata dal sentire così definire i rapporti con sua madre, ma si trattenne.
“Allora perché è qui?”
“La regina ha qualcosa che mi appartiene. Vorrei che lei andasse a riprenderla.”
Lo guardò, inarcando un sopracciglio.
“Ha perso la testa?”
“Il Cappellaio sa cosa mi serve. Abbiamo già un piano, agirete il giorno della festa dei minatori.”
“Ma è fra un bel po’.”
“Il Cappellaio deve mettere a punto alcuni suoi piccoli piani per riprendersi la piccola Grace, prima di allora rifiuterà qualsiasi aiuto.”
“Ma perché io?”
“Perché è quella che ha ricordato per prima e che sia ancora in vita, quindi può riconoscere eventuali oggetti magici da evitare. Il Cappellaio non conosce molto bene i beni di Regina, ma lei ha lavorato al castello. Inoltre, cosa ancora più importante, è perfettamente ricattabile.”
“Ricattabile?”
“Se rifiuta, qualcuno potrebbe mettere a Regina una pulce nell’orecchio riguardo a una certa persona che ha riacquistato la memoria.”
“Non me la ricordavo così spregevole.”
“E, beninteso, Rumpelstiltskin non dovrà sapere nulla. Solo una qualche divinità può sapere se lui ha ancora la magia o no in questo mondo, e non ci tengo a finire come lumaca sotto il tacco delle sue scarpe.”
Lei riflettè. All’improvviso, si alzò e sorrise.
“Guardiamo l’altra faccia della medaglia. Potrei riferire tutto a Rumpelstiltskin prima che lei si metta in contatto con Regina.”
Un brevissimo lampo d’incertezza passò negli occhi luminosi dello Stregatto.
“Ma sono anch’io contro la signora Mills, così potrei decidere di aiutarvi. Ma voglio sapere esattamente cosa devo recuperare.”
“Il mio cuore. Sono ventotto anni che vivo nella paura che decida di uccidermi, come ha fatto con lo sceriffo Graham.”
Rapunzel provò molta pietà per quella povera sagoma. Nessuno meglio di lei poteva capire la sua situazione.
“Molto bene. La aiuterò, ma non posso promettere di poter tenere Rumpelstiltskin all’oscuro.”
“Immagino di dovermi accontentare.”
Il vecchio uscì con leggerezza invidiabile, mentre lei rimaneva a pensare, insicura di aver fatto la cosa giusta oppure no.
 
 
Angolo dell’autrice: Ciao a tutti e scusate il ritardo! Problemi d’ispirazione :-D spero che questo capitolo sia di vostro gradimento, a me non piace moltissimo, ma spero di rifarmi alla prossima occasione! Ringrazio tutti quelli che hanno letto la mia storia senza recensire, Sylphs e Samirina per aver recensito, LauraSwanA per averla messa tra le preferite e tutti quelli che l’hanno inserita tra le preferite, le ricordate o le seguite. 

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Capitolo 20
*** Il giorno d San Valentino ***


Rapunzel
 
“Ruby, sei uscita di testa? Devo andare ad un appuntamento, non ad un’audizione di Playboy!”
Il vestiti che l’amica reggeva con un ghigno malizioso era senza spalline e arrivava a parecchi centimetri sopra le ginocchia; si apriva inoltre ai fianchi, fermato da dei grossi bottoni chiari.
“Ma è stupendo! Se proprio non ti piace stare scoperta, puoi coprire i buchi con i capelli!”
Rapunzel prese mentalmente nota di non usare più Ruby come personal shopper. Ma non voleva nemmeno farla rimanere male. Così, finse di prenderlo in considerazione, poi sorrise.
“Sai, Ruby… a me non starebbe poi così bene il bianco. Mi farebbe sembrare anemica…”
“Di tutte le balle che potevi sparare…”
“Ma starebbe benissimo a te. Avresti gambe più lunghe delle mie da mostrare, la tua pelle non è cadaverica come la mia e per di più farebbe risaltare i capelli scuri con quei magnifici tocchi rosso scuro che ti ho ritoccato.”
Ruby stava chiaramente per cedere.
“La nonna mi ucciderà.”
“Non se non lo scoprirà.”
“Ma non lo sai che perlustra i miei armadi e cassetti?”
“Puoi tenerlo da me, dirle che uscirai con me e cambiarti da me.”
Ruby le gettò le braccia al collo.
“Graziegraziegrazie!”
Rapunzel cercò di sciogliersi dalla morsa.
“Ora però aiutami per davvero.”
Alla fine, ridussero la scelta a due vestiti: uno verde chiaro a maniche lunghe, aderente e di lunghezza decente, ed uno con le maniche ondulate a sbuffo fino ai gomiti, aderente in vita e con la gonna anch’essa a sbuffi e balze, di un bel dorato scuro e senza brillantini. Il secondo abito costava almeno il doppio, ma Rapunzel se n’era innamorata a prima vista. Le due si guardarono, Ruby incerta e lei supplicante. Poi l’amica annuì.
“Quello d’oro, decisamente. È San Valentino, non un appuntamento normale.”
Rapunzel non fu mai tanto felice di pagare un conto così salato come duecento dollari. Mentre portavano tutto a casa, Ruby si fissò le unghie laccate di rosso con aria innocente.
“Chi è il tuo Valentino?”
La macchina sterzò bruscamente, poi Rapunzel la rimise nella giusta corsia. La sua compagna di viaggio la guardò ad occhi sbarrati e una mano sul cuore.
“Ma dico, ci sei o ci fai?”
“La tua domanda mi ha sorpresa.”
“Ho visto. Allora, chi è? Ci siamo sempre dette tutto.”
Rapunzel le lanciò uno sguardo obliquo piuttosto eloquente.
“Beh, o quasi.”
“Mi dispiace, ma per ora è un segreto.”
“Oddio, non ti sarai invischiata con uno sposato?”
“Ma no!”
“È Derek?”
“No.”
“Il dottor Whale?”
“Noo!”
“Bene, ho escluso gli impossibili. Passiamo agli improbabili. Sean?”
“Non sono così stronza!”
“Billy il meccanico?”
“No, è gay.”
“Cosa? Ma… ok, lasciamo stare. Christopher?”
“No, sta con Jodi fisso.”
“David?”
“No, no e no!”
“Il signor Gold!”
Rapunzel frenò. Stava già preparandosi una serie di scuse e giustificazioni, ma Ruby le diede un colpetto sul braccio.
“Non il tuo Valentino, sciocchina! Là c’è il signor Gold, che sembra stia portando via il furgoncino di Moe French. Dev’essere ancora indietro con l’affitto, poverino.”
Lei trattenne un sospiro di sollievo e guardò fuori. Rumpelstiltskin aveva lasciato il fiorista basito e arrabbiato nel mezzo della strada ed era stato intercettato da Regina. La donna stava cercando di parlare, ma poi si fece improvvisamente da parte e lo lasciò passare. Rapunzel sorrise. Lui doveva aver detto uno di quei magici “per favore”.
“Perché sorridi?”
Ruby la stava guardando insistentemente. Rapunzel optò per una mezza verità.
“La signora Mills sembra abbia inghiottito un rospo. Mi chiedo cosa le abbia spiattellato Gold.”
L’amica allungò il collo, poi sogghignò.
“Hai proprio ragione! La mia simpatia va tutta a quel figlio di puttana, al momento.”
Rapunzel la fece scendere, elevando una preghiera di ringraziamento per il discorso interrotto e promettendole ad alta voce di avere buona cura del suo vestito. Aveva traslocato per la terza volta, sistemandosi in un appartamentino isolato e non troppo lontano dalla magione di Rumpelstiltskin. Lui all’inizio le aveva presentato una sola opzione: convivere con lui lasciando intendere di dover pagare un debito. Solo tirando in ballo Regina lei lo aveva convinto a desistere, in quanto riteneva fosse troppo presto e tremava al pensiero di cos’avrebbe detto poi alle sue amiche. La seconda proposta era una specie di villa a due case di distanza da quella sua principesca. Lei aveva obiettato che non era certo così ricca. Alla fine, le aveva lasciato la scelta. Aveva fatto una smorfia alla vista delle dimensioni ridotte della sua nuova casa, ma lei preferiva così e non gli aveva concesso proteste, soprattutto visto che loro due dividevano lo stesso la medesima via.
Davanti alla sua porta trovò un uomo alto, dagli occhi chiari e vestito in pelle nera. Strabuzzò gli occhi, ma non le riuscì di attribuirgli un nome in nessuno dei due mondi.
“Posso fare qualcosa per lei?”
Lui le tese la mano, sorridendo.
“August Booth, sono uno scrittore da poco arrivato a Storybrooke. Tu sei Emilie, vero?”
Lei annuì, circospetta. Quell’uomo non aveva un viso affidabile. Gli fece cenno di spostarsi dalla sua porta.
“Posso? Ho parecchie cose da fare.”
“Posso avere un’intervista? Sono molto interessato a questo paese. Se vuoi, posso offrirti un caffè da Granny.”
Rapunzel aprì la porta e si voltò verso di lui.
“Mi dispiace, ma oggi proprio non è giornata. Magari un’altra volta.”
Lui bloccò la porta col piede.
“Solo qualche domanda.”
Lei sentì un brivido correrle lungo la spina dorsale.
“Aspetti qui, può accompagnarmi durante il tragitto per andare al lavoro. È il massimo che posso concederle.”
“Me lo farò bastare.”
Rapunzel andò in camera sua e appoggiò i vestiti sul letto, poi entrò in cucina per prendersi il thermos col the. Mentre stava avvitando il tappo, sentì una serie di fruscii provenire dal salotto. Rimase ferma qualche istante, poi sentì un rumore di passi attenti. L’occhio le cadde sulla pentola appesa alla parete e la prese senza pensarci due volte, cautamente per non sbatterla contro le altre. Socchiuse la porta della cucina e vide Booth, di spalle, che frugava nei cassetti del tavolino. Si avvicinò in punta di piedi, poi lui fece per voltarsi e lei gli diede un colpo deciso alla nuca, che risuonò con un bel gong.
Rimase immobile per qualche istante a fissare il corpo disteso. Si fece forza e si chinò a sentirgli il polso. Riprese a respirare liberamente solo quando sentì delle pulsazioni sotto le dita. Prese il telefono e stava per chiamare Rumpelstiltskin, ma poi cambiò idea. Non odiava lo straniero al punto da volerlo morto, così compose invece il numero di Emma.
Stava aspettando l’amica rispondesse, quando si sentì afferrare il polso. Sobbalzò, vedendo Booth in piedi vicino a lei che si tastava la nuca.
“Maledizione, che botta. Non serve che chiami lo sceriffo, Emilie – posso chiamarti così, vero?- non stavo facendo nulla di male.”
La rabbia le fece volare via dal cervello ogni prudenza e sbatté giù la cornetta del telefono.
“Niente di male? Stava curiosando nel mio tavolino, per derubarmi per quel che ne so!”
“Non sono un ladro. Ammetto però che stavo cercando qualcosa.”
“Ammesso e non concesso che le creda, perché non mi ha chiesto il permesso?”
“Andiamo, hai rifiutato un incontro in pubblico e hai cercato di scaricarmi in tutti i modi.”
“Forse perché oggi è San Valentino e, oltre ad avere qualcuno che potrebbe essere dannatamente geloso a vedermi a bere con uno sconosciuto, sono anche una misera parrucchiera che oggi si deve fare il mazzo per accontentare tutte le donne di Storybrooke?”
Questo gli tappò la bocca. Rapunzel rimase a braccia conserte.
“Allora, che cosa stava cercando?”
“Informazioni.”
“Su chi? O cosa? E perché da me?”
“Sul signor Gold.”
Vedendo la sua espressione impaurita, si affrettò ad aggiungere:
“Non ho cattive intenzione. Ma potrebbe essere una persona che sto cercando da tempo, ed essendo questo uno degli appartamenti da lui affittati, ho pensato potesse esserci qualcosa di nascosto che poteva essermi utile.”
Lei lo squadrò, poi annuì.
“Non m’interessa se sia vero o no. Facciamo un patto. Io non dirò nulla al signor Gold della sua visita e lei in cambio mi farà il favore di smettere di curiosare nella vita degli abitanti di Storybrooke. Compreso Gold.”
“E se non accettassi?”
“Potrebbe avere un incidente contro il bastone o la Cadillac di Gold, stando alla sua fama.”
Booth considerò la proposta, ma lei non gli lasciò spazio.
“E, se scopro che in realtà è un investigatore assunto da mia madre per farmi tornare, prima la stordisco con la padella e poi le infliggerò il dolore più terribile che abbia mai provato. Se voglio so essere più cattiva di Gold.”
Lui annuì e le tese la mano.
“Patto.”
Lei gli fissò fredda la mano.
“Non tiri troppo la corda, Booth. Lei è sempre un tizio entrato senza invito in casa mia a rovistare.”
La mano gli ricadde sul fianco. Rapunzel prese la borsa e lo spinse via.
“Non scherzavo sul fatto che avrò diecimila teste da sistemare, oggi. Fuori.”
Scese le scale di corsa e accelerò il suo solito passo per arrivare in tempo al negozio. Booth le era ancora alle calcagna.
“Certo che lei ha una faccia tosta! Perché mi segue?”
“Voglio farle qualche domanda su Storybrooke. Non era una scusa la mia.”
“Spari, ma faccia presto.”
“Mi hanno detto che la città è divisa praticamente in due schieramenti. È vero?”
“Più o meno, anche se è un po’ esagerato. La signora Mills, il sindaco della città, non ama dividere il potere, e il signor Gold le è rivale da questo punto di vista, essendo ricco al punto da possedere metà Storybrooke. Inoltre, in molti gli devono dei favori.”
“Lei da che parte sta?”
Rapunzel fece attenzione alla risposta.
“Direi neutrale, ma questa zona non penso esista in questa zona. Entrambi sono individui piuttosto privi di scrupoli, ma ho un’avversione personale contro Regina e non dirò altro al riguardo.”
Giunsero a destinazione e lei gli fece un cenno di saluto.
“Siamo arrivati. Arrivederci, Booth.”
Gemette involontariamente. Davanti alla porta c’erano già dalle cinque alle otto donne, compresa Ruby, ed era solo mezzogiorno. Anche la sua nemesi inarcò un sopracciglio.
“A che ora chiude?”
“Alle sei e mezza.”
Lui le rivolse un’occhiata solidale, ma lei non lo guardò e si diresse coraggiosamente ad aprire il negozio.
 
Alle sette, l’ultima cliente se n’era andata e Rapunzel voleva solo starsene a mollo con i polsi sul lavello. Previdentemente, durante un piccolo momento di stasi dell’attività aveva avvisato Rumpelstiltskin di rimandare il loro appuntamento alle nove. Lui aveva sogghignato, chiaramente prendendosi gioco delle sue clienti, ma non gli aveva dato tempo di tirare una delle sue frecciatine.
Pensando al bellissimo vestito che l’aspettava a casa, si costrinse a muoversi e a tornare.
Si fece un bagno bollente, pieno di schiuma, raccogliendosi i capelli per non bagnarli, poi si vestì. Quando si vide allo specchio, le tornò in mente la vestizione prima del ballo per le nozze di Cenerentola e sorrise, sentendo un’acuta nostalgia per la sua vera casa.
L’unico gioiello che mise era un medaglione d’oro finemente lavorato con foglioline in rilievo di ossidiana verde, giada e persino uno smeraldo, piccolo ma pregiato. Era stato il primo regalo di Rumpelstiltskin e quello a lei più caro.
Si spazzolò i capelli, lasciandoli sciolti, contenta del contrasto tra il loro biondo chiaro e il dorato scuro dell’abito, sottolineò gli occhi con una riga di eye-liner e utilizzò un mascara dai riflessi verdi, mentre sugli occhi pose solo un leggerissimo ombretto d’oro.
Indossò le scarpe di velluto nero intonate alla borsetta da sera e alle nove meno un quarto partì da casa, aspettando la strada assolutamente libera.
Bussò alla porta di lui tre colpi, come concordato in precedenza. Dentro di sé, avrebbe preferito che lui non tenesse le cose sempre così dannatamente sotto controllo, ma un po’ lo amava anche per la sua capacità di prevedere tutto. Rumpelstiltskin le aprì e l’attirò dentro in un abbraccio prima che lei potesse rendersene conto.
“Sei favolosa. Troppo per un vecchio bastardo come me.”
Lei conosceva troppo bene quel gioco per non ribattere.
“Forse hai ragione. Forse dovrei cercarmi qualcun altro.”
Lui la zittì con un bacio, come si aspettava.
“Non ci provare. Ormai sei bloccata con me. Il patto è sigillato.”
Rapunzel arricciò il naso.
“Che brutta frase da dire il giorno del romanticismo per eccellenza.”
Rumpelstiltskin la condusse in sala da pranzo, e lei si accorse di qualcosa che la sconvolse.
“Dove sono i tuoi pezzi da collezione?”
“Sono stato derubato oggi, dopo il mio giro di visite. Ho già avvisato da tempo Emma Swan, che ha recuperato quasi tutta la refurtiva.”
“Nessuno avrebbe il coraggio di rubare a te.”
“Moe French la pensa diversamente.”
“Sarebbe quello cui hai requisito il furgone stamattina?”
“Ti trovavi lì?”
“Ero in macchina con Ruby e ho assistito anche al piccolo teatrino con Regina.”
“Il miglior accordo che abbia mai stretto.”
Le mordicchiò il lobo dell’orecchio.
“Anzi, il secondo miglior accordo.”
Lei rise e dimenticò l’incidente del fioraio. La tavola era adornata da un vaso con due rose rosse e da una lunga candela fioca. Rumpelstiltskin le offrì il suo vino preferito, senza staccarle gli occhi di dosso. Rapunzel sorseggiò il Pinot d’annata, rivolgendogli uno sguardo tra l’allusivo e il malizioso, ricordando quando glielo aveva versato sul pavimento. Lui finse di non cogliere il riferimento e si posizionò alle sue spalle, dandole piccoli baci sul collo.
“Ho una sorpresa per te, dearie. Tieni gli occhi chiusi fino a quando ti dirò di aprirli.”
Lei obbedì. Sentì il rumore del bastone che si allontanava e si riavvicinava varie volte, poi percepì  un buon profumo di basilico.
“Puoi aprire gli occhi, dearie.”
Rapunzel li aprì e aprì la bocca, cercando qualcosa d’intelligente da dire. Davanti a lei c’era un tortino di melanzane e mozzarella circondato da una salsa di pomodori e basilico, zucchine e carote fritte, verdure grigliate e un bel piatto di tagliatelle al pesto.
“Ti sei ricordato…”
“Non pensare che abbia toccato i fornelli. Quello è un piacere che riserverò solo a Regina Mills, per vederla agonizzare mangiando i miei tentativi culinari.”
“Non importa. È meraviglioso.”
Gli stampò un bacio breve ma molto intenso sulle labbra, poi tornò a sedersi.
“Se farai sempre così, dearie, a casa mia terrò sempre un reparto vegetariano per te. Anche se non capirò mai che cos’hanno le tue verdure che non ha un bella costata ben cotta.”
“Sei ancora un bambino fondamentalmente, amore mio. Hai lo stesso pregiudizio dei piccoli verso le verdure, allontani il piatto e ti rifiuti di mangiarle.”
“Non lo sai che nella bocca dei bambini c’è sempre la verità, dearie?”
Lei roteò gli occhi, poi attaccò una forchettata di pasta.
“A fine serata non entrerò più nel vestito.”
“Ti aiuto subito a toglierlo, così il problema non si pone.”
Da quando anche lei aveva recuperato la memoria, lui si comportava sempre più da Rumpelstiltskin e sempre meno da signor Gold. Fu una serata perfetta, ad eccezione di un rumore di tonfo pesante.
Rapunzel s’irrigidì.
“Cos’è stato?”
Rumpelstiltskin le accarezzò una mano, anche se gli occhi erano parecchio più scuri del solito.
“Sarà un ragazzino deluso dal mancato appuntamento a San Valentino che ha pensato di sfogarsi lanciando sassi nel mio giardino o contro la porta del garage. Vado a controllare.”
Lei attese per una decina di minuti, pensando se poteva essere August Booth. In ogni caso, lui tornò abbastanza presto.
“Non c’era nessuno, dearie. Immagino abbia avuto il buon senso di non farsi scoprire.”
Rapunzel accantonò il problema e ripresero a festeggiare, bevendo champagne, assaggiando dei cioccolatini belgi ordinati appositamente per l’occasione e finendo entrambi svestiti sul divano. Tutte le favole però finiscono di solito a mezzanotte, e nemmeno la sua fece eccezione. Era la loro regola: mai oltre mezzanotte per non essere scoperti. Lei si rivestì, ma non riusciva a trovare una scarpa. Rumpelstiltskin ce l’aveva in mano, sorridendo in modo maledettamente malefico.
“Potrei farti andare a casa con una scarpa sola.”
“Non sono Cenerentola.”
“No, non direi.”
Lei saltò per prenderla, ma lui alzò il braccio e la strinse con l’altro, finendo di nuovo sul divano per lo slancio.
“Facciamo un patto, dearie. Una scarpa per un bacio.”
Rapunzel gli prese il viso tra le mani e lo baciò sulla fronte.
“Ora dammi ciò che è mio. E intendo la scarpa.”
Rumpelstiltskin sospirò.
“Hai preso una brutta piega frequentandomi.”
Gliela restituì e lei gli diede un vero bacio.
“Ci vediamo domani?”
“Come sempre, dearie. Voltati e sarò dietro di te.”
Lei fece il tragitto verso casa con un sorriso sognante stampato sul viso. Rimase incantata davanti allo specchio a pettinarsi senza badare a quello che stava facendo finchè i capelli non le diventarono elettrizzati. Cercò di calmarsi. San Valentino era finito. Si stese a letto e si addormentò proprio mentre pensava che non sarebbe mai riuscita a dormire quella notte.
 
 
 
 
 
Rumpelstiltskin
 
La porta del furgone sbatte troppo rumorosamente. Rumpelstiltskin aprì il retro del furgone e sorrise. Vedere Moe French legato e imbavagliato come un salame gli dava un strano piacere. Gli puntò la pistola addosso, senza smettere di sorridere.
“Non è stato carino interrompere il mio appuntamento. Scendi.”
L’uomo si rimise in piedi a fatica, ma riuscì a scendere senza intoppi. Rumpelstiltskin lo spinse dentro il rifugio e lo mandò disteso come un sacco di farina in un angolo. Tolse bruscamente il nastro adesivo dalla bocca di French, che emise un urlo soffocato, poi posò la pistola e si mise a cavalcioni su una sedia davanti al prigioniero. Il fiorista era pallido, sudava copiosamente e gli occhi chiari erano vacui.
“La… la prego, mi lasci spiegare. Mi lasci spiegare, va bene?”
 “È affascinante…davvero affascinante.”
Afferrò saldamente il bastone e lo premette sulla gola di French. Le mani grassocce dell’uomo si strinsero intorno ad esso per cercare di liberarsi, emettendo suoni strozzati, ma non ci riuscì. Rumpelstiltskin sapeva quello che faceva.
“Te lo toglierò fra qualche istante, e allora tu mi dirai due frasi.”
Gli occhi di Moe erano sbarrati dal terrore e il volto era congestionato.
“La prima, sarà quella di dirmi dove si trova l’oggetto che la signorina Swan non è riuscita a trovare.”
Spinse leggermente di più la punta del bastone.
“La seconda, sarà dirmi chi ti ha detto di prenderla. Lo so già, naturalmente, ma lo voglio sentire da te. Mi capisci, vero Moe? Bene, iniziamo.”
Liberò l’uomo dalla pressione e lasciò che rantolasse qualche secondo. Gli occhi di Rumpelstiltskin sembravano pozzi oscuri, ma il suo ghigno non si era incrinato una sola volta. Era a suo agio come se stesse ordinando dei fiori, a parte la rabbia che traspariva di tanto in tanto dalle pupille dilatate.
“Avevo bisogno di quel furgone.”
Qualcosa dentro Rumpelstiltskin si spezzò. Rise.
“Ora, vedi, questa non è una buona frase d’inizio.”
Ritrasse il bastone, poi colpì French sul braccio. Non abbastanza forte da romperglielo, ma abbastanza da fargli molto male. L’uomo urlò di dolore e si rannicchiò sul fianco.
“Mi ascolti, la supplico…”
Dimmi dov’è.
Lo colpì un’altra volta. Se non agiva al più presto, Rapunzel sarebbe stata in serio pericolo.
“Basta, la prego!”
“Dimmi dov’è!”
“No, no, si fermi…”
E lui si fermò. Se le mani non fossero state coperte dai guanti, si sarebbero potute vedere le nocche sbiancare. French respirò a tratti.
“Non è stata colpa mia….”
Il volto di Rumpelstiltskin cambiò. Gli occhi socchiusi, stanchi, le labbra arricciate.
“Colpa mia? Perché parli della mia colpa?”
Era stata solo colpa sua. Avrebbe dovuto prevedere che Regina avrebbe tentato di riprendersi il cuore di Rapunzel. Era la sua unica arma contro di lui. Maledizione, avrebbe dovuto nascondere lo scrigno meglio. L’immagine di Regina stringere il cuore pulsante nella mano, il suo sorriso felice e gli occhi crudeli mentre lo riduceva in polvere, mentre Rapunzel si accasciava a terra senza vita gli ottenebrò la mente di panico. Gli sembrò che il sangue gli si fosse gelato nelle vene e piccoli brividi gli scendevano lungo la schiena. Un gemito lo riportò alla realtà e guardò con odio l’uomo raggomitolato su se stesso.
“È colpa tua, non mia!”
Il colpo che gli diede suonò secco. Stavolta gli aveva rotto un osso. French urlò. Il viso di Rumpelstiltskin era completamente alterato dall’ira, arrossato, i denti digrignanti e gli occhi accesi di follia.
“Tua! È stata colpa tua, non mia!”
Continuò a ripetere quelle parole mentre picchiava Moe French con il suo bastone più forte che poteva. Non sentiva la stanchezza del braccio, né le suppliche e le grida dell’uomo. Solo quando una mano fermò l’ennesimo colpo riprese coscienza di quello che stava succedendo.
“Basta, si fermi.”
Emma Swan lo fissava inorridita e scioccata. Lui cercò di sorridere, ma non gli riuscì. Si sentiva di nuovo il Signore Oscuro, per la prima vera volta in ventotto anni.
La donna s’inginocchiò accanto a French e chiamò un’ambulanza, mentre lui aspettava fuori. Lo raggiunse quasi subito, controllando che il ferito venisse portato in ospedale.
“È stato fortunato. Non gli ha leso organi vitali.”
“Lei ha uno strano concetto di fortuna, signorina Swan.”
“Perché, Gold? Perché ha picchiato un uomo quasi fino ad ucciderlo? L’avrebbe fatto se non fossi intervenuta.”
Oh, sì. L’avrebbe ucciso. Il fantasma del Signore Oscuro dentro di lui era dispiaciuto di non averlo fatto.
“Era un ladro e mi aveva derubato.”
“Nessuna cosa avrebbe potuto essere così importante da spingerla a questo. Mi ha detto che mancava solo un oggetto dalla sua collezione, ieri nel mio ufficio.”
“Se ricorda bene, le ho detto anche che era quello più prezioso.”
“Le credo. Ma non stiamo parlando di denaro, vero?”
Rumpelstiltskin non rispose, lo sguardo perso nel vuoto. Prese in considerazione l’idea di rivelare ad Emma il pericolo che correva Rapunzel, ma qualcosa gli diceva che non avrebbe preso bene il fatto che lui tenesse un cuore umano in salotto, anche se per proteggere la donna che amava.
“Lei è in arresto, signor Gold.”
Lui guardò con un debole sorriso le manette che lei gli strinse attorno ai polsi.
Entrò nella macchina della polizia senza esservi spinto e indossò la sua migliore maschera noncurante. Arrivati alla stazione di polizia, l’unico piacere che provò fu di essere rinchiuso nella stessa cella in cui era stata Rapunzel. Non dormì per tutto il resto della notte, stando seduto sul lettino.
Doveva prepararsi per il suo incontro con Regina. Perché non aveva dubbi che lei sarebbe venuta, ricattandolo. Cos’avrebbe voluto in cambio del cuore? Lui accarezzò per un attimo l’idea di chiederle, per favore naturalmente, di gettarsi nel fiume con delle scarpe di cemento addosso, ma questo non gli avrebbe restituito niente e non avrebbe nemmeno spezzato la maledizione.
 
 
“Non ha dormito, stanotte? Bisogna rivedere il detto secondo cui solo i colpevoli dormono in prigione, allora.”
Emma Swan lo fissava soddisfatta dalla scrivania. Sapeva di non esserle troppo simpatico, come darle torto. Ma non gliene importava niente. Lui era un uomo difficile da amare, e preferiva essere temuto che amato…ad eccezione di Rapunzel. Il pensiero di lei lo riscaldò e preoccupò al tempo stesso. Avrebbe dovuto farla avvertire, ma confidava che sarebbe uscito di prigione di lì a poco. Era pur sempre l’uomo più potente di Storybrooke.
“Sa, questo sandwich è delizioso. Ne vuole metà?  Le devo un favore, dopotutto.”
Rumpelstiltskin sorrise.
“Quando le chiederò di ripagare il debito che ha nei miei confronti, Emma, sarà ben più della metà di un sandwich.”
Vennero interrotti dalla porta che si apriva. Regina entrò con Henry. Parlò ad Emma, ma guardò solo lui.
“Signorina Swan, devo parlare con il signor Gold, da sola. Le concedo mezz’ora con Henry.”
Lo sceriffo li guardò, poi prese il bambino per mano. Lui la richiamò.
“Può portarmi un cono gelato, dearie?”
La porta sbatté con veemenza. Rumpelstiltskin si rivolse a Regina, facendole un cenno di saluto.
“Siediti, Regina, per favore.”
Lei obbedì, come sapeva sarebbe successo. Ma non mostrava il fastidio e la paura che di solito seguivano ad un suo ordine.
“Facciamo un patto, Gold.”
“Chissà perché, me lo aspettavo.”
Regina sorrise.
“Lei mi dice qual è il suo vero nome e io la faccio uscire di qui.”
Lui rise.
“Ora, Regina, sembra che ci siamo dimenticati qualcosa. Dimmi dov’è ciò che mi appartiene…per favore.”
Lo sguardo trionfante di lei lo colse segretamente alla sprovvista.
“Le dirò una cosa. Io non so dove sia, né chi ce l’ha, visto che ho lasciato la scelta di tenerlo a cinque miei collaboratori.”
Se Rumpelstiltskin avesse ancora avuto il suo bastone sotto mano, l’avrebbe colpita attraverso le sbarre. Se avesse avuto ancora i suoi poteri, l’avrebbe trasformata in una lumaca e pestata, ma non per ucciderla, solo danneggiarla.
“Qual è il suo nome?”
Lui riprese il controllo di sé e riuscì a mettere insieme un sorriso.
“Ma è  signor Gold.”
“Il suo vero nome.”
“In questa Terra, in questo tempo, il mio nome è sempre stato Gold.”
Regina avvicinò il suo viso alle sbarre.
“Che mi dice allora di un nome in un altro mondo e in un altro tempo?”
Sapeva. A che pro negare?
“Rumpelstiltskin.”
Si aggrappò alla sua cella.
“Ora mi faccia uscire.”
Lei annuì e si voltò per andarsene. Ma lui aveva pur sempre il suo asso nella manica.
“Regina…”
Il sindaco si fermò.
“Tu non toccherai mai né lo scrigno, né il cuore, né farai in modo lo faccia nessun altro dei tuoi…collaboratori per farle del male, per favore. Inoltre, lo seppellirai vicino al fiume, e né tu né altri sotto tuo ordine o suggerimento ci andrete più lontanamente vicino…per favore.”
La donna non era più così soddisfatta quando la porta venne sbattuta per la seconda volta in meno di un’ora.
 
Rapunzel
 
La notizia che il signor Gold aveva quasi ucciso Moe French aveva fatto il giro del paese a tempo record. Rapunzel si sentì svenire quando lo sentì a sua volta da Emma con Henry al suo fianco. Afferrò il bordo del tavolo per non cadere.
“Ruby, il conto per favore.”
Uscì da Granny e si diresse alla polizia come se fosse sonnambula. Continuava a sentire quel tonfo della sera prima, gli occhi quasi febbricitanti di Rumpelstiltskin… sciocca, sciocca, era stata così accecata dall’idea di stare con il suo amore a San Valentino da non accorgersi che stava tramando qualcosa? Sembrava di sì.
Lo trovò nell’ufficio dello sceriffo, chiuso nella sua stessa cella.
“Rumpelstiltskin!”
Sentì una sensazione di deja-vu vedendolo in prigione. Tutti i suoi propositi di rimproverarlo aspramente si dissolsero e cercò di abbracciarlo attraverso le sbarre.
“Che ti è saltato in mente, se diventato matto?”
Lui le baciò le dita.
“Sei la cosa più bella che abbia visto oggi.”
“Sarò anche la più terribile se non mi dai una spiegazione plausibile sul perché hai rapito e picchiato un uomo.”
Le sue parole non ebbero l’effetto sperato a causa del tremore della sua voce mentre Rumpelstiltskin le accarezzava il viso. Ascoltò tutto quanto, passando in poco tempo dalla rabbia al terrore, dal terrore alla rabbia, dalla rabbia al sollievo.
“Non dovevi farlo per me. Avremmo trovato un altro modo.”
“Con Regina non si può giocare pulito, dearie.”
Si baciarono nonostante l’ostacolo, condividendo nelle loro teste lo stesso ricordo.
 
Angolo dell’autrice: Eccomi con un altro capitolo direttamente dal casino della mia mente! Ringrazio jarmione per aver messo la storia tra le preferite, Sylphs e Samirina per aver recensito. Inizialmente non avevo intenzione di menzionare l’episodio Skin Deep, ma Rumpel è talmente eccezionale in quella storia che non ho potuto fare a meno di dedicarle un capitolo, anche se l’ho parecchio riadattata alle esigenze della mia fan fiction. Buona domenica!

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Capitolo 21
*** Cos'hanno in comune un corvo ed una scrivania? ***


“Mary Margaret!”
Raggiunse l’amica col fiatone.
“Se vuoi, ti aiuto io a vendere le candele. Oggi non ho niente da fare.”
Rapunzel notò il cambiamento avvenuto nella maestra di scuola nell’ultimo periodo. Certo, c’erano segni di occhiaie ed era dimagrita, ma quello che la preoccupava era che gli occhi di Neve non sorridevano più. Come Charming aveva tradito la sua fiducia nel loro vecchio mondo, così era successo nuovamente a Storybrooke.
“Mi dispiace, Em, ma adesso non è il momento. Se vuoi venire alla scuola fra un po’, adesso… non ce la faccio.”
Guardandola andare via, Rapunzel si sentì stringere il cuore.
“È inutile, sorella. Lei ha bisogno della gente giusta per aiutarla, ma ora è lei stessa un paria.”
Leroy era al suo fianco, truce come sempre.
“Perché non sarei giusta?”
“Ascolta, sorella, io non ho niente contro di te. Ma, come ho detto alla tua amica, già l’ubriacone e la sgualdrina del paese non avrebbero concluso niente, se poi ci si mette anche la criminale che ha picchiato sua madre, non riusciremmo a vendere neanche un pezzo di sapone.”
Lei si sentì arrossire di rabbia, ma poi cercò di calmarsi, ricordando a se stessa che lui era così in parte per la maledizione.
“Beh, anche questo è meglio di niente, Leroy. Scusami ora, vado a cercare di fare qualcosa di utile.”
Brontolo fece spallucce e proseguì per la sua strada. Rapunzel infilò le mani in tasca e seppellì la parte inferiore del viso nella sciarpa, rabbrividendo. Si pentì di avergli risposto così duramente, ma quella era una giornataccia, per lei. Quella sera l’aspettava il suo primo furto con scasso, e doveva convincere Rumpelstiltskin a prestarle la sua pistola. Già quando gli aveva detto del piano aveva dovuto sottrargli il bastone per impedirgli di andare dallo Stregatto e dal Cappellaio e punirli per quello che lui aveva definito “un’assurda minaccia da fare al Vero Amore del Signore Oscuro.” Alla fine, aveva acconsentito a patto di aspettarla con la sua macchina vicino alla casa del sindaco. Aveva paura che, se gli avesse menzionato la sua necessità, avrebbe ritenuto che il suo compito fosse troppo pericoloso.
Forse, avrebbe potuto trovare altrove, la sua arma. Ma a chi chiedere? Emma avrebbe voluto vedere una licenza che non aveva. Sentì squillare il telefonino e verificò che non fosse sua madre. Era un numero sconosciuto, così esitò per qualche istante, prima di rispondere.
“Pronto?”
“Signorina Rampion, sono Regina Mills.”
Rapunzel deglutì.
“Come ha avuto il mio numero, sindaco?”
“Me l’ha dato sua madre. Mi ha chiesto di fare da intermediario tra voi due.”
“Non ho niente da dire, né a lei né a mia madre.”
“Forse non ci siamo spiegati. Sono io ad avere qualcosa da dire a lei signorina Rampion. L’aspetto fra dieci minuti a casa mia.”
Regina riattaccò prima che lei potesse declinare. Maledizione. Considerò l’ipotesi di chiamare Rumpelstiltskin, ma sarebbe sembrata troppo sospettosa la sua presenza. Anche affrontare Regina da sola, però, le faceva paura. Non tanto per lei di per sé, ma perché temeva di lasciare intendere che ricordava. Bussò ugualmente da sola alla porta dell’enorme casa vittoriana, seconda per dimensioni solamente a quella di Rumpelstiltskin. Regina le aprì, sorridendo.
“La prego, signorina Rampion, entri.”
Lei si sforzò di sorridere e la seguì. Il sindaco la portò nel suo studio, facendo frusciare eccessivamente la gonna del tailleur.
“Scotch? Sherry? Cognac?”
“Niente, grazie. Sono astemia.”
Regina si sedette di fronte a lei, sulla sua scrivania. Rapunzel si accorse che continuava a guardare la porta.
“Aspetta qualcun altro, signora Mills?”
“Pensavo avesse chiamato il signor Gold.”
Lei dovette trattenere a stento un sorriso di soddisfazione. Aveva visto giusto.
“Non sono accusata di qualche reato, non è vero? Inoltre, preferirei non avere più contatti con quell’uomo, dopo quello che ha fatto.”
Regina si appoggiò del tutto alla sedia e rise.
“Ha ragione, il signor Gold non è un uomo facile con cui trattare. Ora, veniamo a noi. Vorrei che facesse una cosa per me.”
“Cioè?”
“Si riappacifichi con sua madre. L’ho vista, è completamente distrutta. Lei era la luce della sua vita.”
Rapunzel si rialzò subito.
“Se è questo quello che voleva dirmi, possiamo anche finire qui.”
“Si sieda. Non ho finito. O preferisce che affrontiamo la questione con sua madre?”
Lei obbedì, controvoglia.
“Molto bene. Certo non avrà il cuore così duro da negarle una seconda possibilità.”
“Oh, invece penso proprio di sì. Non si tratta della seconda possibilità. Quella l’ha già sprecata. No, mia madre ha perso tutta la magia… proprio come lei.
Regina impallidì e afferrò i braccioli della sedia.
“Magia?”
Rapunzel lasciò che le sue labbra si rilassassero, scoprendo i denti.
“La magia tra una madre e suo figlio. Lei l’ha persa da un pezzo, o non se n’è accorta? Lei allontana tutti da lei. Vuole bene a Henry, ma lui è andato a cercare Emma. Si portava a letto Graham e lui prima di morire è andato da Emma. Dev’essere difficile per lei.”
“Lasci stare la signorina Swan dalla nostra discussione.”
“Penso che abbiamo finito, signora Mills. Non si disturbi, conosco la strada.”
Si girò e uscì senza voltarsi. La vista di Regina con le guance rosse in contrasto con il pallore del viso, gli occhi lampeggianti, furibonda l’aveva appagata completamente. Si sentiva libera, potente. Certo, Rumpelstiltskin non ne sarebbe stato troppo contento. Voleva che lei fosse sempre protetta sotto una campana di vetro, ma Rapunzel no. Arrivò al negozio dei pegni sorridente e felice. Lui era dietro la cassa a roteare pensoso un mappamondo.
“Stai cercando un posto adatto alla luna di miele?”
Rumpelstiltskin alzò la testa verso di lei e avanzò fino ad abbracciarla.
“No. Ho già in mente il luogo perfetto… spezzata la maledizione.”
Lei gli accarezzò i capelli.
“Stai avendo una cattiva influenza su di me. Mi sto prendendo troppe vacanze dal lavoro.”
“Voglio averti tutta per me.”
Rapunzel lo guardò, facendo del suo meglio per sembrare commovente.
“Cosa c’è, dearie? Sembri un gatto che ha appena ridotto a brandelli le tende.”
“Avresti una pistola per me?”
Lui inarcò un sopracciglio. Percorse con il dito la curva delle guance e del naso.
“E perché vorresti una pistola, se non ci sarà pericolo stasera?”
“Non si sa mai.”
“Dovrei tenerti a casa. Ci divertiremo di più.”
“Rumpelstiltskin, amore mio, odio dover ricorrere a questo.”
Gli allacciò le braccia dietro la nuca e avvicinò il suo viso fino a pochi millimetri di distanza.
“Puoi ricorrere a questo quanto vuoi, dearie, non mi dà fastidio.”
“Zitto. Tu non rompi mai un accordo, vero?”
“Mai. Ma….”
“Mi ricordo benissimo che tu mi hai promesso, se non sbaglio con queste esatte parole, che avresti obbedito ad ogni mia richiesta se avessi fatto la mia parte. Io l’ho fatta, tu no.”
Gli occhi di lui diventarono dello stesso colore della cioccolata fondente.
“Questo è un colpo basso, dearie.”
“Ho imparato dal migliore.”
“Va bene, avrai la tua arma. Ma non ti aspettare che ne sia contento. Se avessi lasciato la faccenda nelle mie mani…”
Lei lo zittì con un bacio. Lui lo approfondì, tenendole il viso tra le mani e accarezzandole il collo.
“Ho paura per te, dearie.”
Le cinse la vita con un braccio e seppellì il viso tra i suoi capelli.
“Non voglio perderti ancora.”
Rapunzel gli baciò la piccola cicatrice sulla tempia.
“Non ci perderemo più, amore mio. Regina sta perdendo.”
Le loro dita s’intrecciarono, mentre rimanevano lì, semplicemente, fermi. Il negozio si era oscurato a causa delle nuvole che coprivano il sole, e Rapunzel preferiva così. Nella penombra poteva quasi vedere il Rumpelstiltskin di un tempo, e un poca della nuova vulnerabilità appartenente al signor Gold. C’era più di una ciocca d’argento tra i suoi capelli castani e gli occhi erano circondati da piccole rughe che prima non c’erano, ma tutto questo le faceva battere il cuore e lei non trovava parola sufficienti per dirgli quanto lo amasse. Gli slacciò la cravatta e iniziò a sbottonargli la camicia. Lui la strinse più forte, lasciando scendere le mani sui suoi fianchi sottili, per poi sollevare il maglione quanto bastava per entrare in contatto con la sua pelle nuda. Rapunzel accolse le dita calde nella sua schiena infreddolita con un piccolo gemito, sentendole vagare sul suo ventre.
“Non è questo il momento, dearie.”
“Nessuno viene qui spontaneamente, lo sai.”
“Qualche volta sì. Dopotutto, so riconoscere a prima vista un’anima disperata.”
Lei sbuffò.
“Evidentemente, non abbastanza.”
Tuttavia, gli dovette dare ragione. Se fosse capitata lì il sindaco, sarebbero sorti guai a non finire.  
“Dove mi aspetterai stasera? La tua macchina vicino a casa sua desterebbe delle chiacchiere che non mi piacerebbe sentire.”
Lui rise, mentre rifaceva il nodo alla cravatta.
“E noi non lo vogliamo, vero dearie?”
“Puoi aspettarmi qui.”
“Non mi fido del Cappellaio. Non lo chiamano matto per niente, sai.”
“So difendermi da sola. E poi, avrò la pistola.”
Rumpelstiltskin aprì un cassetto e ne tirò fuori una Derringer con il calcio in madreperla.
“Questa può andare, per te.”
Rapunzel la prese, emozionata.
“Sai come usarla?”
“Basta premere il grilletto, no?”
Rise, vedendo la sua espressione preoccupata.
“Scherzavo. Certo che lo so, mi sono sempre piaciuti i telefilm polizieschi.”
“Preferirei almeno venire con te.”
“Tre persone sarebbero troppe.”
“La tua vena per il crimine è affascinante, dearie.”
Lei controllò il suo viso nello specchio, poi si diresse verso l’uscita.
“Devo andare a ritirare degli ordini per il negozio. Ci vediamo stasera.”
Rumpelstiltskin la guardò dritto negli occhi e non ebbe bisogno di parlare perché lei capisse quello che intendeva.
Sii prudente.
 
Stava bevendo la sua cioccolata da Granny, quando Ruby le fece cenno di avvicinarsi.
“Senti, Em, avrei un favore da chiederti. Potresti portare ad Emma nel suo ufficio il suo ordine? C’è troppo tran-tran stasera e non ce la faccio.”
“Certo, non c’è problema.”
Erano solo le quattro e lei aveva tempo per prepararsi per la sua avventura notturna.
“Ehi, Em, stai andando dalla mamma?”
Lei si chinò e scompigliò i capelli di Henry.
“Vuoi accompagnarmi?”
“Sì, devo dirle qualcosa d’importante sull’Operazione Cobra.”
“Come procedono le cose?”
“Beh, secondo me c’è qualcun altro in questa città che ricorda.”
“E perché mai?”
“La regina non è proprio in forma in questo periodo, quindi la maledizione si sta indebolendo. E questo vuol dire che altri hanno raggiunto il loro Lieto Fine. Ashley e Sean, Mary Margaret e David, anche se loro hanno ancora diversi passi da fare. Non bastano per il cambiamento che è avvenuto a Storybrooke.”
Rapunzel si sentì arrossire.
“E perché non direbbero niente?”
“Forse per paura che la regina lo scopra.”
Era sempre stato un bambino perspicace. Arrivarono alla stazione di polizia e lei lasciò che Henry si precipitasse dentro. Aspettò che lui ed Emma si abbracciassero, poi entrò anche lei.
“Ehi, servizio a domicilio.”
Lo sceriffo non sorrise.
“Emilie, ti devo parlare.”
“Ora?”
“Se non ti dispiace. Henry, torna a casa. Regina ti starà cercando e non la voglio qui.”
Il bambino le guardò, confuso. Anche Rapunzel si sentiva indecisa. Emma sembrava così seria…
“Cosa sta succedendo?”
“Devi essere tu a dirmelo.”
“Di che parli?”
“Stamattina dovevo parlare con Gold. Indovina?”
Lei sgranò gli occhi e si dovette sorreggere alla scrivania.
“Cos’hai visto?”
“Abbastanza.”
Emma si alzò dalla sedia e le pose le mani sulle spalle.
“Hai fatto un patto con lui, Emilie?”
“No!”
“Ti sta obbligando? Ti ha ricattata? È il favore che gli devi?”
Rapunzel la fissò inorridita.
“Ha preteso favori sessuali da te? Puoi dirmelo e lo sbatto dentro, dopo avergli spaccato la faccia.”
“Non c’è niente di tutto questo! Hai frainteso tutto, Emma, te lo giuro!”
“Ho frainteso cosa? Non ti stava certo mostrando qualche rarità del negozio.”
“Non sono affari tuoi.”
Emma le prese le mani.
“Ascolta, sei giovane, hai solo diciannove anni…”
Rapunzel si liberò dalla sua presa.
“Mi stai facendo una paternale? Tu?”
L’altra parve presa in contropiede, e non riuscì a continuare.
“Lo ammetto, ho una relazione con il signor Gold. Lo amo e lui mi ama.”
Gli occhi di Emma diventarono tristi.
“Tesoro, ti sta usando, non lo capisci? Lui è un uomo pericoloso, subdolo e manipolatore.”
“Sei tu che non capisci, Emma Swan! Tu credi che ci sia solo un uomo ricco che intreccia qualcosa di sordido con una ventenne, vero? Ti sbagli, c’è molto di più, ma sei così cieca e piena di pregiudizi che non vuoi vedere la verità. Ogni cosa si deve adeguare alle tue idee. Beh, io non lo farò, e non osare giudicarmi!”
“Emilie, ti prego…”
“Vai al diavolo. Non sei nessuno per criticare le mie scelte.”
“Non ti ricordi cos’ha fatto ad Ashley? O per farmi vincere le elezioni? Poco tempo fa ha picchiato un uomo col suo bastone, per l’amor del cielo! Sei tu la cieca.”
“Tu conosci solo la superficie, non l’abisso, Emma. Lasciami stare, e lascia stare anche lui.”
“Non posso. È contro la mia coscienza.”
Rapunzel cercò di frenare le lacrime.
“Per la prima volta nella mia vita, qualcuno mi ama per quello che sono. Lui mi completa, anticipa i miei desideri, mi rende felice. Non  ti permetterò di portarmi via tutto questo per le tue teorie assurde!”
Ormai stava piangendo e si stava allontanando a grandi passi.
“Emilie! Mi dispiace…”
Ignorò il richiamo di Emma. Se non accettava le sue scelte, non la capiva e non meritava ulteriori spiegazioni. Se non poteva credere all’amore, non avrebbe creduto neanche alla maledizione e tutti sarebbero rimasti bloccati a Storybrooke per l’eternità, alla mercé di Regina, ignari della loro vera identità e dei loro veri amori.
“Emilie!”
“Va’ via Henry, non sono dell’umore giusto.”
“Di cosa avete parlato te e mia madre?”
“Di cose che non la riguardavano assolutamente.”
“Non prendertela, vuole solo aiutarti, ne sono certo.”
“La mia vita sentimentale non è affar suo.”
“Eppure, ha fatto incontrare ancora Ashley e Sean.”
“Henry, io amo una persona che tua madre disprezza. Non accetto che mi imponga i suoi gusti.”
“Parli di Derek?”
“No.”
Henry l’affiancò, correndo per starle al passo.
“Vieni con me al castello? Ci vado sempre quando mi sento giù.”
“Regina non ti cercherà? Ho già litigato con lei, stamattina.”
“Crede che io sia a giocare a calcio. Non mi cercherà per un’altra ora.”
Si sedettero sul molo, lasciando ciondolare le gambe. Rapunzel si lasciò circondare dalle braccia corte del bambino e inspirò con il naso. Voleva parlare con qualcuno di tutto quello che le stava succedendo, voleva qualcuno che le dicesse che stava agendo giustamente. Respirò il profumo di pulito e dolcetti che Henry aveva sempre avuto, stringendolo con un braccio.
“Hai ragione, sai.”
Il piccolo lanciò un sassolino in acqua e guardò le onde moltiplicarsi e allontanarsi.
“Su cosa?”
“Mi ricordo tutto. Della mia vita precedente.”
Henry trattenne il respiro, emozionato.
“Davvero? Avevo ragione?”
“Sì. Sono Rapunzel.”
“Ho sempre desiderato sapere la fine della tua storia. Eri davvero innamorata di Rumpelstiltskin?”
“Proprio tu ignori che esiste un unico Vero Amore nelle fiabe?”
“E dimmi, è lui che la mia vera madre non vuole che tu frequenti?”
“Esattamente.”
“Anche nel mondo delle fiabe lui non era ancora molto apprezzato. Chi è? Non sono ancora riuscito a trovarlo.”
“Solo se giuri di non dirlo a nessuno.”
“Giuro, giuro!”
Lei gli prese il naso tra l’indice e il medio.
“Ma davvero non ti viene in mente nessuno? Pensa bene, com’è Rumpelstiltskin nel tuo libro?”
“Non è né buono né cattivo. È molto potente, gli piacciono gli accordi e a causa di essi è stato catturato da Cenerentola, Biancaneve e i loro principi.”
“E non c’è nessuno di cui Regina abbia paura, o odi, qui a Storybrooke?”
“Ma sì, ovvio, tutti sanno…”
Henry corrugò le sopracciglia e aprì la bocca.
“Che stupido! Non so come ho fatto a non pensarci! Era così ovvio… il tuo lieto fine è con il signor Gold, allora?”
“Oserei dire di si. Lui ricorda da molto prima di me, da quando Emma è arrivata qui.”
“Dovrei reclutare anche lui allora nell’Operazione Cobra.”
“Ci puoi provare.”
Tentò d’immaginarsi Rumpelstiltskin discutere con fare cospiratorio su come destabilizzare Regina con Henry e rise.
“Non penso accetterà, però.”
Si alzò e si spolverò i pantaloni.
“Dobbiamo andare. Mi devo preparare per andare con Ruby a cercare una stampa di un lupo e poi stasera ho da fare.”
“Ok. Ma ti devi far perdonare per non avermi detto niente durante tutto questo tempo. Mi hai lasciato credere che Gold fosse Barbablù!”
Rapunzel sghignazzò.
“Non mi sono mai divertita tanto come in quel momento.”
Henry la colpì con lo zaino e lei lo prese in braccio per qualche secondo.
“Uff, ma quanto pesi?”
“Sei te che hai le mani di pastafrolla.”
 
 
 
 
 
 
Rapunzel aspettava, nervosa, il Cappellaio. Non sapeva come avrebbe potuto riconoscerlo, ma Rumpelstiltskin le aveva assicurato che non era difficile da capire. Emma aveva tentato più volte di chiamarla, ma lei non aveva risposto. Non era disposta a lasciar passare quello che aveva detto sul suo legame con Gold.
“Un buon non compleanno.”
Quella era la frase codice.
“A chi?”
“A te.”
Lei alzò gli occhi e osservò l’uomo che si faceva chiamare Jefferson. Era più alto di lei, vestito di nero, elegante e con gli occhi chiari. Non sorrideva e sembrava non lo facesse da un po’.
“Cappellaio?”
“Tu sei Rapunzel, vero? Non ti ho mai vista nel nostro mondo.”
“Sarebbe stato difficile.”
Jefferson la fece entrare in una Porsche nera e lei entrò senza perdere tempo.
“Vedo che sei vestita per l’occasione.”
Rapunzel arrossì. Rumpelstiltskin l’aveva presa in giro, sostenendo che sembrava una rapinatrice di fortuna, con i capelli raccolti e completamente coperti da un berretto nero e il bavero della giacca che la nascondeva praticamente fino agli occhi.
“Non preoccuparti, è piuttosto tenero.”
Lei stava per ribattere, quando vide la strada che stava facendo.
“Non dobbiamo andare per di qua!”
“Cambio di programma, principessa. Fonti affidabili mi dicono che quello che stiamo cercando è nascosto nella cripta di famiglia della signora Mills.”
Rapunzel arricciò le labbra.
“Disgustoso. Perché dobbiamo andare di notte in un cimitero?”
“Saranno tutti alla festa, non saremo disturbati.”
“Non cambia il fatto che è raccapricciante. Scassinatrice passi, ma profanatrice di tombe!”
“Non hai scelta.”
“No, è vero.”
Lasciarono la macchina poco distante e arrivarono al cimitero a piedi. Il cancello era ovviamente chiuso.
“E adesso?”
“Tu sai cos’hanno in comune un corvo ed una scrivania?”
Lei gli rivolse un’occhiata di disapprovazione.
“Immagino che dobbiamo scavalcare.”
“Bravissima, molto intuitiva.”
Rapunzel sospirò e si afferrò con le mani alle sbarre, issandosi un piede dopo l’altro. Jefferson era molto più veloce di lei, ma lei atterrò dall’altro lato con più grazia.
“Fatto? Caviglie a posto?”
“Sto bene, grazie.”
Lo seguì tra gli alberi e rabbrividì. Sembrava Halloween: nebbiolina, cielo senza stelle, luna piena, ombre allungate e minacciose. In lontananza, si sentivano scricchiolii.
“Cos’è stato?”
“Probabilmente un gatto. Si dice che i gatti randagi dormano nei cimiteri di notte.”
Rapunzel inciampò e cadde a terra.
“Maledizione, è troppo buio!”
Indietreggiò terrorizzata. Era caduta vicino a una lapide. Jefferson l’aiutò ad alzarsi.
“Appropriato, davvero.”
“Zitto, ti prego. È orribile.”
La portò davanti ad un mausoleo.
“Allora? Cos’hanno in comune un corvo ed una scrivania?”
Questo indovinello gliel’aveva già fatto Henry, ma non era sicura di ricordare la risposta.
“Entrambi hanno le penne?”
Jefferson batté  sonoramente le mani.
“Complimenti! Ingegnoso! Ma  no, non è la risposta esatta.”
Lei gli bloccò le mani.
“Shh! Vuoi che ci senta qualcuno? Sei pazzo?”
“Sì, sono il Cappellaio Matto!”
Rapunzel sospirò.
“Come entriamo nel mausoleo?”
Jefferson s’inginocchiò e tirò fuori un grimaldello.
“Se dobbiamo essere criminali, lo saremo come si deve.”
Uno scatto e la porta si aprì dopo una decina di minuti. Entrarono cautamente, accolti dal buio. Il Cappellaio fece luce con l’accendino. Era un posto spoglio, con una grande bara al centro e due o tre vasi. Rapunzel si avvicinò ad un’iscrizione.
“Henry? Il padre di Regina si chiamava Henry?”
“Il cuore del padre è stato il prezzo per la maledizione. Il cuore di ciò che si ama di più.”
“Non credevo che lei fosse capace di amare.”
Iniziarono a cercare un passaggio segreto, tastando le pareti. Rapunzel cercò di non pensare a tutti i ragni che poteva inavvertitamente toccare.
“Sei molto legato al Gatto del Cheshire, vero?”
“È la cosa più vicina ad un amico che ho. La maledizione mi ha strappato mia figlia e io sono solo un povero Cappellaio Matto.”
Lei si girò.
“Hai una figlia?”
“Grace. Ha dieci anni. In questo mondo si chiama Paige.”
“Paige Wharton?”
“I Wharton non sono i suoi genitori! È tutta colpa della regina, che mi ha costretto ad abbandonarla per svolgere un lavoro per lei. Quel lavoro mi ha bloccato nel Paese delle Meraviglie fino alla maledizione. Ed ora non sa nemmeno chi sono. La guardo, ogni sera, ogni giorno, posso solo fare questo. Ho bisogno che la salvatrice vinca.”
“Sarà difficile spingere Emma a credere.”
Gli strinse una mano guantata.
“Mi dispiace. Io sono cresciuta senza aver mai conosciuto mio padre, mia madre mi ha tenuta chiusa in una torre per diciannove, lunghi anni per la magia dei miei capelli. Avrei voluto avere un padre come te.”
Jefferson stava piangendo. Grosse lacrime gli cadevano dagli occhi, lasciando solchi sulla pelle.
“La mia Grace…”
Rapunzel lo abbracciò. Non c’era da meravigliarsi che fosse impazzito, vedendo sua figlia crescere in un’altra famiglia, senza poterla avvicinare.
“Allora, Cappellaio, perché un corvo assomiglia ad una scrivania?”
Jefferson fece una pallida imitazione di un sorriso.
“Nessuno dei due ha la lettera M.”
Lei rise e il Cappellaio sorrise per davvero.
“Cosa ti ha detto, esattamente, la tua fonte?”
“Ci deve essere un passaggio per una stanza segreta.”
“Ma abbiamo guardato le pareti, il pavimento…”
Entrambi si volsero contemporaneamente verso la bara. Jefferson posò le mani sul coperchio.
“Sei sicuro?”
“Dev’essere da qualche parte.”
Iniziò a spingere, e Rapunzel soffocò un urlo di sgomento. Non c’era nessun corpo, dentro la bara, ma c’era una rampa di scale a chiocciola.
“Non poteva che essere qui.”
Rapunzel entrò per prima, morendo dalla curiosità. Le scale le sembrarono infinite, ma al tempo stesso troppo poche, perché non mancò molto prima che si trovasse davanti ad una stanza piccola, piena di cassetti come una banca.
“Questa è la sua collezione?”
“Immagino di sì.”
Mentre Jefferson cercava il nascondiglio del cuore dello Stregatto, lei si portò le mani al petto. Rumpelstiltskin le aveva assicurato che la regina non poteva farle del male, non in quel modo almeno. Il suo corpo talvolta, però, riviveva ancora il dolore serrante che aveva provato nella Sala del Consiglio.
“Mi aiuti?”
Si riscosse.
“Sì, sì, subito.”
Nel marmo c’erano piccoli rilievi. In uno c’era quello che sembrava un gatto striato.
“Può essere questo?”
Il Cappellaio portò la fiamma vicino alla figura.
“Direi di sì, biondina. Tieni l’accendino.”
Jefferson aprì il cassetto e tirò fuori uno scrigno in legno. Dentro c’era un cuore opaco, semitrasparente, verde smeraldo.
“L’abbiamo trovato.”
Rapunzel si guardò intorno, mentre le veniva un attacco di panico.
“Andiamo. Siamo qui da troppo tempo, qualcuno potrebbe cercarmi.”
Lui l’aiutò a salire le scale, visto che le gambe le tremavano. Quando tornarono fuori dalla bara, lei si lasciò cadere sul pavimento, respirando affannosamente.
“Grazie a Dio. Avevo un bruttissimo presentimento. Dev’essere lì che ha ucciso Graham.”
“Perché hai accettato di aiutarci, Rapunzel? Non eri obbligata, le minacce del mio amico erano insignificanti rispetto alle reazioni del Signore Oscuro.”
Rapunzel si strofinò le mani sudate nei jeans e prese tempo.
“La regina aveva preso anche il mio cuore. Se n’è servita, una volta, per vendicarsi dell’aiuto che avevo dato a Biancaneve.”
“Possiamo ancora cercarlo.”
“L’ha seppellito. Rumpelstiltskin le ha fatto giurare che non l’avrebbe toccato. È piuttosto…persuasivo.”
Jefferson le strinse una spalla.
“Prima o poi, io riavrò la mia Grace e tu la tua vita felice con il folletto.”
“Non chiamarlo così. Lo odia.”
“Io e lui non siamo amici per la pelle.”
Entrambi si fermarono fuori all’aria aperta per qualche minuto, a respirare profondamente.
“Perché non vieni a prendere una tazza di the?”
“Adesso?”
“Perché no?”
“Non posso. Rumpelstiltskin mi aspetta.”
“Vorrà dire che dovrò invitare anche lui. Ma hai ragione, adesso non è il momento. Ma verrete, me lo prometti?”
Lei gli strizzò l’occhio.
“Volentieri. Riuscirò a trascinare anche il mio folletto, ma ti avviso, beve litri di the.”
“Io ho arsenico a sufficienza.”
Rapunzel si fermò e socchiuse gli occhi.
“Cappellaio, mi stai simpatico, ma se fai del male a Rumpelstiltskin, Regina sarà l’ultimo dei tuoi problemi.”
Jefferson gettò la testa all’indietro e rise. Il viaggio del ritorno trascorse in silenzio, ma lei sentì ad un certo punto il bisogno di dirgli qualcosa.
“Sai, qualche anno fa ho fatto da babysitter a Grace.”
L’altro frenò all’improvviso. Si voltò verso di lei, gli occhi iniettati, e le strinse la gola con la mano.
“Tu! Anche tu mi hai rubato i miei pochi momenti con lei!”
La presa si fece più forte, e Rapunzel provò a divincolarsi. La vista le si stava appannando, vedeva milioni di puntini colorati, ma Jefferson la liberò quasi subito.
“Scusa. Non volevo.”
Chinò la testa.
“Dopotutto, sono Matto.”
Lei lo fissò, le pupille ancora dilatate dalla paura. Tossì.
“Portami al negozio dei pegni, Cappellaio. Rumpelstiltskin mi aspetta lì.”
Nessuno dei due salutò, quando lei sbatté la portiera della macchina. Si sentiva ferita. Aveva creduto che fosse migliore. Tuttavia, una parte di lei lo capiva. Semplicemente, da troppi anni la voce razionale in lui taceva, dominato dall’amore per la figlia e dall’odio verso Regina.
Rumpelstiltskin stava camminando avanti e indietro, colpendo il pavimento col bastone con tanta forza da lasciare dei segni. L’attirò a sé e la strinse con tanta forza da toglierle il respiro.
“Ehi, ti avevo detto che sarebbe andato tutto bene, non è neanche servita la pistola.”
Lui le premette con urgenza le labbra sulla bocca, emettendo respiri brevi e rapidi.
“Non ti azzardare mai più a farmi preoccupare così. La prossima volta, ti lego e ti tengo con me.”
 
 
Angolo dell’autrice: Scusate il tremendo ritardo, l’esame della patente mi ha portato via più tempo di quel che pensavo! Spero che questo capitolo sia di vostro gradimento, finalmente entra in scena Jefferson, il mio secondo personaggio preferito dopo Rumpel! È semplicemente fantastico, spero che torni nella seconda serie! Quanti decessi avvenuti per il bacio tra Rumpelstiltskin e Belle? Su le mani! Grazie a Sylphs e Samirina per le recensioni, mi fanno sempre moltissimo piacere, Jarmione per esprimere sempre i suoi apprezzamenti in privato su Rumpel <3 e sosia, jessypuzz, a_lena per aver messo la storia tra le seguite. Alla prossima (non dovrete aspettare molto per il prossimo capitolo) :-) 

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Capitolo 22
*** Another helper ***


Rapunzel si trovava fuori dall’ufficio di Emma. Erano le due di notte, ma era accorsa non appena David l’aveva chiamata, sapendola amica di Neve. Con un po’ di fortuna, Emma sarebbe stata ancora lì. Bussò alla porta.
“Emma, aprimi se non vuoi che svegli tutta Storybrooke!”
Le nocche le facevano male dalla forza che ci aveva messo, ma alla fine la porta si aprì. Emma aveva i capelli spettinati, gli occhi lucidi e la maglia spiegazzata.
“Em, è notte fonda…”
“Voglio vedere Mary Margaret.”
“Non puoi. Non è l’ora delle visite.”
“Preferisci che lei parli prima con Regina?”
“Naturalmente no. Ma non posso davvero farti parlare con lei adesso. Regina o no, sono lo sceriffo.”
Rapunzel aveva una gran voglia di ricordarle grazie a chi aveva ottenuto quella carica, ma si morse la lingua.
“Ti dispiace spiegarmi cosa sta succedendo, allora?”
Emma sospirò e si fece da parte.
“Parliamo piano, Mary Margaret sta dormendo.”
Si sistemarono sul divano del corridoio e Rapunzel strinse i denti. Era chiaro che quella era tutta una montatura di Regina, probabilmente lo immaginava anche Emma, anche se non per le sue stesse ragioni.
“Ruby ha trovato nel bosco uno scrigno, seppellito nella riva del fiume.”
Quelle parole fecero suonare un campanellino nella mente di Rapunzel, ma spinse lo stesso l’altra a continuare.
“C’era un cuore umano, in quello scrigno, assieme alle impronte di Mary Margaret. Si pensa che possa appartenere a Kathryn Nolan, visto che è scomparsa.”
Un cuore. Umano. Si sentì assalire dalla nausea e dai sudori freddi. Quella strega aveva trovato il modo di aggirare gli ordini di Rumpelstiltskin.  Ed ora stava usando il suo cuore per incastrare la sua migliore amica.
“Che bastarda.”
Emma rimase sorpresa dal tono rancoroso di Emilie. Non l’aveva sentito nemmeno quando l’aveva assalita per aver contestato la sua relazione con Gold.
“Come?”
Rapunzel si alzò, marciando avanti e indietro, facendo ondeggiare la chioma attorno alla vita.
“Forza Emma, chi vuoi che ci sia dietro tutto questo? Mary Margaret non è il tipo da strappare cuori alle rivali in amore.”
“Che vorresti dire?”
“Chi è che la odia con tutta l’anima?”
“Non esagerare, Regina non vincerebbe mai il premio Bontà, e sicuramente non le sta simpatica Mary Margaret, ma da qui a dire che la odia così tanto…”
“Tu non sai.”
Emma la fissò, più attenta.
“Non so che cosa?”
“Di cos’è capace Regina.”
Rapunzel si fermò di colpo.
“Non chiedermi di più. Promettimi solo d’indagare accuratamente.”
Le parole su Regina rimasero silenziose, ma chiare come se fossero state gridate.
“Lo prometto. Farò il mio dovere.”
“Ricordati anche che, come direbbe Henry, i cattivi giocano sporco. Sappi prevedere eventuali carognate da parte del sindaco.”
Voltò le spalle e se ne andò, nonostante sapesse che Emma stava per parlare. All’improvviso si sentiva svuotata. Per un po’ aveva creduto fosse possibile contrastare Regina. Aveva addirittura immaginato la vittoria, grazie a Rumpelstiltskin. Lui poteva vincere, ne era sicura. Ma questa notizia le gettò un macigno sulle spalle che le impedì di continuare a testa alta. Continuava a sentire la voce della regina, irata e folle, mentre le strappava il cuore.
 Sorpassò la sua casa, andando a quella di Gold. Aveva bisogno di lui, di sfogarsi, di sentire la sua voce che la rassicurava. Entrò con la copia delle chiavi che le aveva dato, sentendosi una ladra. Rimase nell’atrio, al buio, indecisa. Fare rumore per svegliarlo ed evitargli un po’ di spavento, o salire silenziosamente alla sua camera da letto e svegliarlo lei stessa? Optò per la seconda soluzione, desiderosa più che altro di vederlo dormire. Non l’aveva mai visto, essendo lui sempre sveglio prima di lei. Aprì la porta della sua stanza, meravigliandosi del chiarore lunare che entrava. Di solito a Rumpelstiltskin piaceva il buio assoluto, scherzando sul fatto che si accordava bene al colore della sua anima.
Rapunzel si sentì presa dalla tenerezza. Il temibile Signore Oscuro dormiva prono, abbracciato al cuscino come un bambino. I capelli erano in disordine, simili a quelli che aveva quando si erano conosciuti, e sembrava calmo, sereno.
Lei si tolse le scarpe, appoggiandole senza far rumore vicino alla porta, buttò la giacca sulla sedia e si sdraiò, vestita, al suo fianco. Poteva contare le tracce d’argento sulle tempie e osservare la vaga ombra della barba che si doveva ancora rasare, tanto che gli sfiorò i capelli con una mano, scostandoglieli dalla fronte.
“Ti piace quello che vedi, dearie?”
Lui stava sorridendo, senza aprire gli occhi.
“Quando mi hai sentita?”
“Quando hai sbagliato tre volte ad inserire la chiave nella serratura. Mi hai fatto pensare ci fosse un ladro.”
“Potresti illuminare la soglia di casa. È buio fuori.”
“Certo, faccio sempre del mio meglio per facilitare il compito agli scassinatori. Al negozio ho come antifurto due orribili pupazzi, ora devo far vedere la via a chi viene rubare in casa mia, che dici, lascio anche del caffè pronto, dearie”
Lei aveva iniziato a ridacchiare, non tanto per quello che le stava dicendo, ma per le sue mani che avevano iniziato a farle il solletico.
“Ora, vediamo, che punizione merita questa criminale?”
Le bloccò le mani e le lasciò una scia di piccoli baci dagli occhi al collo, soffiandole via di tanto in tanto i capelli dall’orecchio. Rapunzel tentò di riprendere il controllo, ma Rumpelstiltskin era sorprendentemente forte per essere così snello.
“Non sono venuta qui per capriccio, amore mio. Dovevo parlarti.”
Lui la liberò, accontentandosi di arricciarsi qualche ciocca sulle dita.
“Alle due e mezza di notte? Sto perdendo il mio charme, dunque?”
Lei gli prese la mano e se l’appoggiò sulla guancia.
“No, ma era urgente. Mary Margaret è stata arrestata con l’accusa di avere ucciso Kathryn.”
Lo sentì sospirare, ma la reazione mancava di qualsivoglia sorpresa. Si girò di scatto e si alzò a sedere.
“Lo sapevi?”
“Ho collaborato anch’io a questo progetto, dearie.”
Bloccò con una mano le sue proteste.
“Se non fossi intervenuto, Mary Margaret sarebbe stata uccisa. Kathryn è viva e vegeta, e al momento opportuno la lascerò libera, quando sembrerà che per la signorina Blanchard sia tutto perduto.”
Rumpelstiltskin sorrise, gli occhi accesi dell’antica malizia.
“Che colpo sarà per Regina…”
Rapunzel si prese la testa tra le mani, indecisa se ringraziarlo o buttarlo giù dal letto.
“Lo sai che cos’ha incastrato Neve?”
“No, Regina ha omesso questo particolare.”
“Uno scrigno contenente un cuore umano.”
Non ebbe bisogno di voltarsi per sapere che si era irrigidito. La sua stretta sulle lenzuola si era fatta spasmodica.
“Me la pagherà. Oh, sì, dearie.”
Rumpelstiltskin si alzò e iniziò a vestirsi.
“Dove vai?”
“A casa di Regina.”
“Cosa vuoi fare?”
“Non ti preoccupare.”
Si alzò anche lei, afferrandolo per le spalle.
“Non fare pazzie. Torna a letto, risolveremo la faccenda parlandone. Ho diritto anch’io di parola.”
A malincuore, lui si lasciò trascinare sul letto, mentre Rapunzel gli faceva scorrere le mani sulla schiena.
“Ti prego. Non agire da Signore Oscuro. C’è un modo in cui puoi vendicarti della regina ed esaudire un mio piccolo desiderio.”
“Dimmi, dearie. quello che vuoi.”
“A Storybrooke non ci sono molti avvocati. Regina ne assegnerà a Neve uno dei suoi. Ma c’è anche qualcun altro esperto di legge, qui.”
“Vuoi che difenda Mary Margaret?”
Lei annuì.
“Ti prego. Significherebbe molto per me.”
Lui si ridistese all’indietro, passandosi una mano tra i capelli.
“Molto bene, dearie, se è quello che desideri. Ma questo non pareggia minimamente i conti tra me e Regina.”
Rapunzel si sentì impallidire. Non voleva che lui rischiasse così…non per causa sua. Dispiaciuta per quello che stava per fare, gli diede le spalle.
“Molto bene. Vedo che io non sono altro che un’occasione per accapigliarti con la regina.”
Come previsto, Rumpelstiltskin le cinse la schiena e seppellì il viso tra i suoi capelli biondi.
“Lo sai che non è vero. Ma se davvero lo vuoi, la mia vendetta aspetterà.”
Lei si rilassò e gli diede un bacio veloce.
“Grazie.”
“Puoi fare una cosa per me, dearie?”
“Vedremo.”
“Puoi dirmi perché vieni a letto con così tanti vestiti addosso? È tempo prezioso sprecato.”
Rapunzel gli mise il cuscino sulla faccia, ma lui si scansò in tempo e le fece perdere l’equilibrio, finendo per metà fuori dal letto.
“Sei mia prigioniera, dearie.”
 
Un paio di settimane dopo, stava bevendo tranquilla la sua cioccolata al diner. Sarebbe andato tutto bene. Sarebbe andato tutto bene.
“Santo cielo, Em, che t’è successo? Sono ripresi gli incubi?”
La signora Lucas le prese il viso tra le mani, preoccupata dalle occhiaie sul suo viso.
Ruby, che stava passando in quel momento a servire ai tavoli, sogghignò. Rapunzel le gettò un’occhiataccia. Granny fraintese.
“Ruby ti ha tenuta sveglia tutta la notte a mandare quei suoi sms, vero?”
Ruby si voltò, gli occhi grandi assassini.
“Perché dev’essere sempre colpa mia? Non sono io che vado a..”
Rapunzel ritenne opportuno intervenire.
“Non è stata lei, signora Lucas. È tutto quello che è successo a Mary Margaret che mi ha sconvolta.”
“Credi che sia stata lei?”
“Assolutamente no. Sono certa che Emma scoprirà chi è stato.”
Ruby le si sedette accanto, gettandosi dietro le spalle la chioma lasciata sciolta. Incastrò i tacchi nelle gambe della sedia e si tenne il viso tra le mani.
“Dobbiamo fare qualcosa, Em.”
“Cosa? E in che senso?”
“Mi sento in colpa perché sono io che ho ritrovato il… quella cosa.”
Rapunzel le prese la mano, confortandola.
“L’avrebbe trovata qualcun altro, prima o poi.”
“Sì, ma…”
“Non aver paura. Mary Margaret sarà ben difesa.”
“Sì, da uno di quei leccaculi di Regina.”
La voce della vedova Lucas si levò da dietro il bancone.
“Eliza Lucas, porta su quelle gambe scoperte e torna a servire da bere, prima che dia la tua stanza al primo che passa e il tuo lavoro al secondo che vedo.”
Ruby sbuffò. Odiava che la chiamassero con il suo vero nome.
“Vai pure, Ruby, devo andare anch’io a guadagnarmi il pane.”
Prese la giacca e s’incamminò verso il suo negozio. Si sentiva meglio. Rumpelstiltskin avrebbe sistemato tutto. Bisognava solo tenere buona Regina fino a che Neve non fosse stata libera. Stava per aprire la porta, quando una mano abbronzata le si posò sul polso.
“Emilie Rampion?”
Lei si liberò il polso e fece un mezzo giro per affrontare faccia a faccia quel maleducato, ma non riuscì a far uscire la voce. Quello non era il tipo d’uomo che Rapunzel avrebbe desiderato incontrare di notte in una strada buia: piuttosto alto, magro, la pelle dai riflessi ramati dei meticci, una zazzera di capelli neri mal tagliati e due occhi verdi come fondi di bottiglia. Il viso era rovinato dalla tempia al mento da una lunga cicatrice rosea che gli attraversava l’occhio destro e imponeva alla bocca una specie di ghigno perenne.
“Chi è lei? Come fa a sapere il mio nome?”
“Mi chiamo Jack Scarglow. Il signor Gold mi ha assunto per proteggerla.”
A bocca aperta, lo fece entrare. Poi, sbatté la porta.
“Chi si crede di essere per mandarmi una guardia del corpo senza dirmelo? Se mi viene tra le mani…”
Imbarazzato, l’uomo si grattò la testa.
“No, non guardia del corpo. È esagerato.”
“E come la spiego agli altri, la sua presenza?”
“Il signor Gold mi ha detto che sarei stato il suo assistente.”
Rapunzel rimase per la seconda volta senza parole.
“No, ucciderlo sarebbe troppo poco. Come si permette…”
“La regina non è un tipo con cui scherzare, signorina.”
“Ricorda anche lei?”
“Probabilmente perché ero in forma animale, nel Mondo delle Fiabe. La maledizione non ha avuto completamente effetto.”
“Che cos’era?”
Vennero interrotti dalla porta che si spalancava.
“Emile, Emilie, hai…”
Henry si bloccò, fissando lo sconosciuto.
“E lui chi è?”
“Un amico mio e del signor Gold.”
Il bambino continuò a squadrarlo, con gli occhi socchiusi. Tirò fuori il libro e lo sfogliò rapidamente.
“Ci sono! Tu sei Scar, vero?”
L’altro mostrò per un istante i denti, con fare poco amichevole.
“E tu chi saresti, ragazzino?”
Henry non parve per nulla intimorito.
“Sono Henry Mills, il figlio della Salvatrice. Scusa, è che non ti avevo mai visto prima, ma nel mio libro c’eri.”
Rapunzel lo interruppe, non volendo sapere se questa giustificazione avrebbe placato o irritato quell’uomo.
“Cosa volevi dirmi, Henry?”
“Hai saputo che la regina ha incastrato Biancaneve?”
“Stanotte. Ma non preoccuparti, Rumpelstiltskin risolverà tutto. Ha già un piano.”
Scar sbuffò.
“E quando non ce l’ha?”
Ora sia lei sia Henry lo fissavano pieni di curiosità.
“Non volete sapere.”
Lei incrociò le braccia sul petto.
“Questo non cambia che lei non ci può stare da una parrucchiera per signore.”
“Non è che sia la mia ambizione più sfrenata, ma ho fatto un patto con Rumpelstiltskin più di ventotto ani fa e lui stabilì che gli dovevo un favore. E nessuno rompe un patto con lui.”
La porta si aprì di nuovo e Rapunzel aprì le braccia, rassegnata.
“Sembra che sia più ricercata di Elvis Presley oggi.”
Ruby entrò, le gambe inguainate in un paio di pantaloni in pelle nera, un maglione rosso e i capelli tirati all’indietro. Agli occhi aveva messo il suo nuovo eye-liner verde e sembrava rinata rispetto a neanche venti minuti prima.
“Ciao Em, mi ha chiamata Emma, possiamo andare a trovare Mary Margaret prima dell’ora di visita. La nonna mi ha dato libera uscita.”
I suoi occhi fecero un controllo completo allo sconosciuto, dopodichè gli rivolse un sorriso smagliante.
“Ehi, sei nuovo di Storybrooke? Pensavo che non venisse nessuno spontaneamente in questo posto dimenticato da Dio. Io sono Ruby, lavoro al Bed and Breakfast di Granny’s.”
Scar non disse niente per i primi due o tre secondi, poi riuscì ad articolare qualche parola.
“Sono sempre stato qua.”
Henry intervenne, abbracciando Ruby.
“Sarà l’assistente di Em per un po’. Posso venire anch’io da Mary Margaret?”
Rapunzel lo prese per le spalle e lo spinse verso la porta.
“Dovresti essere a scuola. E se Regina non lo scopre, lo scoprirà Emma.”
“Uffa. Te non hai mai bruciato?”
“Non a dieci anni.”
Ruby la prese per un braccio.
“Dai, dobbiamo andare. Come mai viene anche il tuo assistente? Pensavo restasse al negozio.”
Scar si fermò di botto, ma Rapunzel riuscì a rimediare.
“Henry si è sbagliato. L’ho ingaggiato per tenere d’occhio mia madre, se la vede nei paraggi.”
Mentre Ruby la precedeva, lui le sussurrò:
“Come mai dovrei proteggerti da tua madre?”
“Non sottovalutarla. È la migliore amica della regina, ed è tutto dire.”
“E la tua amica? Non mi pare di averla mai vista nel nostro mondo. Me la ricorderei.”
“Si chiamava Cappuccetto Rosso.”
“Che nome ridicolo.”
“La sua mantella le impediva di trasformarsi con la luna piena.”
“Che forma felina assumeva?”
“Nessuna. Era un lupo mannaro.”
Scar emise un verso di disprezzo.
“Ti sbagli. I lupi sono solitari, non predatori come i leoni o le tigri. La tua amica è una predatrice.”
“Avresti dovuto incontrarla di notte, nel bosco con la luna piena.”
Questo lo zittì. Emma le aspettava fuori dalla stazione di polizia, discutendo con Archie. Quando le vide, spalancò le braccia.
“Regina è decisa a mettere i bastoni tra le ruote. Sta cercando di contattare il Pubblico Ministero, perché interroghi Mary Margaret.”
Rapunzel si rivolse al suo accompagnatore.
“Vuoi entrare o aspettare fuori?”
Aveva iniziato a piovere. Gli occhi verdi dell’uomo erano pieni di fastidio.
“Suppongo che entrerò. Odio la pioggia.”
Prima che potesse pensarci due volte, lei lasciò trapelare la sua curiosità.
“Eri un felino? Prima?”
“Ero un leone.”
Sogghignò quando lei rabbrividì.
“Forse era meglio non saperlo.”
“Che cosa?”
Emma li aveva attesi, rigida e piena di tensione. Lo sguardo posato su Scar era tutt’altro che amichevole. Probabilmente, si stava chiedendo se dovesse metterlo dentro.
“Emma, questo è Jack Scarglow. Diciamo che ci sono problemi con mia madre.”
Fantastico. Ora Emma era arrabbiata con lei.
“Pensavo mi avresti informata, visto che sono lo sceriffo.”
Li superò, andando incontro a Sidney Glass. Scar la seguì con gli occhi.
“Quella donna è tutto un mio, mio, mio.”
Ruby era già davanti a Mary Margaret. La sua amica era pallida, i capelli non completamente in ordine, i primi bottoni della camicia erano aperti sulla gola e il cardigan rosa era abbandonato dietro le spalle. Gli occhi erano abbassati e increduli, addolorati. Ruby si voltò verso di lei.
“Anche David la crede colpevole.”
Rapunzel strangolò mentalmente quell’idiota. Se solo avesse avuto ancora la magia, gli avrebbe stretto il collo con i capelli e lasciato appeso dall’antenna parabolica.
“Stai tranquilla, Mary. Cosa ti ha detto Gold?”
“Che mi devo preparare per il colloquio con il PM. Sarà nel pomeriggio. Naturalmente, ho intenzione di dire tutta la verità. Non so mentire.”
Ruby pestò il piede per terra.
“Ma com’è possibile che tutti ti credano così stupida?”
Entrambe si volsero verso di lei.
“Come stupida? Colpevole, vorrai dire.”
“Dai ragazze, come se chiunque lascerebbe l’arma del delitto così mal nascosta nella sua stessa camera.”
Rapunzel strinse il braccio di Neve.
“Proprio quello che non dovrai dire. Lascia che ti ritengano un’ingenua. Chi t’interrogherà?”
“Il signor Spencer.”
Lei cercò di rievocare un’immagine dell’uomo, ma non se lo ricordava.
“Stai attenta a quello che dici. Non dire quello che si aspetta.”
“Sceriffo Swan, cosa significa questa folla davanti alla prigioniera?”
Regina era in piedi davanti alla porta, i lineamenti duri e contratti. Le mani che stringevano la ventiquattr’ore erano serrate da sbiancare le nocche. Rapunzel le andò davanti.
“Ce ne stavamo andando. Ma non mi pare che il sindaco possa limitare ulteriormente il numero di visitatori, o sbaglio?”
Regina strinse gli occhi.
“L’ ho già avvisata una volta, signorina Rampion, di non sorpassare il limite tra me e lei. Non sono tipo da ripetermi.”
“So che c’è lei dietro a tutto questo.”
“Ha delle prove?”
Emma le toccò il braccio.
“Meglio se ve ne andate. Fra poco più di un’ora arriverà il signor Spencer a firmare delle carte, dopodichè nel primo pomeriggio procederà con l’interrogatorio.”
Rapunzel annuì e oltrepassò Regina senza degnarla di uno sguardo. Ruby e Scar la seguivano, faticando a starle dietro.
“Santo cielo, Em, perché non ho fatto un video per metterlo su You Tube? Sei stata fantastica col sindaco! Ho visto solo Emma trattarla così, prima d’ora.”
Scar le parlò a voce bassa, in modo da non essere sentito da altri che da lei.
“Capisco perché ha bisogno di una guardia del corpo. La regina non è tipo da accettare questi atteggiamenti. Ma saresti stata una magnifica leoncina, che tira fuori gli artigli di fronte alla leonessa per difendere i suoi amici.”
Lei si sentiva ancora piena di adrenalina. Scar la osservava divertito. Mentre riordinavano il negozio, o meglio, mentre lei lo faceva, visto che lui si era limitato a spostare delle riviste per riviste dal divano per sedersi, le fece alcune domande sulla sua vita.
“Chi eri nell’altro mondo? Rumpelstiltskin mi ha accennato qualcosa, ma ero troppo impegnato a smaltire la sbornia.”
“Il mio nome è Rapunzel. Ho vissuto in una torre per quasi un ventennio, rinchiusa lì da mia madre. Sosteneva di volermi proteggere dalla crudeltà della vita al di fuori, ma in realtà sfruttava la magia nei miei capelli per mantenersi giovane.”
Gli occhi verdi di Scar erano pieni d’interesse, come se avesse visto un’antilope.
“Magia?”
“Potevo ritornare la giovinezza e dare guarigione. Ma, quando Rumpelstiltskin mi ha tagliato i capelli, la mia magia è sparita.”
“Vuoi dire che prima non li avevi mai tagliati?”
Lei scosse la testa.
“E non avresti rivoluto indietro la magia?”
“No. Almeno non ero più di alcuna utilità per mia madre e potevo essere libera.”
Poco dopo lei stava ordinando su Internet alcuni prodotti e Scar stava bevendo un bicchiere di latte, quando Henry entrò, buttando lo zaino per terra.
“Sono riuscito a evitare le ultime due ore. Ho detto che stavo male.”
L’uomo rise, mentre Rapunzel lo guardava esasperata. Il bambino tirò fuori dallo zaino il suo libro di fiabe e un volumetto sottile, che tese a Scar.
“L’Amleto di Shakespeare. Sono certo che la troverai una lettura interessante.”
L’altro lo prese e lo sfogliò. Arricciò le labbra in un sorriso crudele.
“Sono certo di sì. Senti, posso dare un’occhiata all’altro tuo libro? Sono curioso di conoscere altri personaggi come me.”
Henry glielo diede e Scar iniziò a girare pigramente le pagine. Rimase molto interessato dalla storia del Grillo Parlante.
“Ma perché mai un umano vorrebbe diventare un animale? Uno insignificante come un grillo, poi. Avrei potuto mangiarlo senza accorgermene.”
Rischiò di strozzarsi con il latte quando giunse alla storia di Rapunzel.
“Ma li avevi davvero così lunghi?”
Eccitato, il bambino voltò la pagina.
“Pensa che, quando sua madre arrivava, si arrampicava sui capelli che Rapunzel gettava giù dalla finestra.”
Lei fece una smorfia, bevendo la sua tazza di the, ma all’improvviso la tazza le cadde dalle mani e si portò le mani al petto. Era diventata pallida e non riusciva a respirare per il dolore. Scar imprecò e la condusse con Henry nel retro, facendola distendere sul divano. Le fitte erano sempre più forti, tanto che dovette rannicchiarsi, poi si ridistese e si premette un cuscino dove le faceva male.
Il bambino cercò di farle un massaggio.
“È stata la regina! Sta maneggiando il suo cuore.”
Rapunzel riuscì a scuotere la testa.
“Rumpelstiltskin le ha proibito… di farlo, a lei… o ai suoi uomini, grazie… al suo potere su di lei.”
“Ma se devono stabilire se il cuore appartiene o no a Kathryn, dovranno analizzarlo! Non dev’essere necessariamente lei.”
Scar telefonò al signor Gold, ma lei non sentì niente. I dolori tornavano ad intermittenza, facendola rantolare. La vista era annebbiata, ma non sentiva i terribili spasmi di quel giorno nella Sala del Consiglio. Il viso era imperlato da goccioline di sudore e a tratti le salivano conati di vomito. Si sentì meglio, almeno come stato d’animo, quando sentì il rumore del bastone che si avvicinava.
“Cosa significa questo, Scar? Fallisci il primo giorno di lavoro?”
Rapunzel gli fece un debole cenno con la mano e Rumpelstiltskin si avvicinò, stringendogliela tra le sue.
“Nemmeno… lui può impedire… le… analisi.”
Gold annuì, passandole le dita fresche sulla fronte.
“Ha ragione. Ti devo delle scuse, Scar.”
I suoi occhi scuri trovarono Henry.
“Dovresti andartene, ragazzino. Regina potrebbe venire ad ammirare la sua opera, e non sarebbe contenta di trovarti qui. Scar, accompagnalo a casa, per favore.”
Entrambi obbedirono senza protestare. Sapevano riconoscere quando si poteva obiettare e quando era meglio filare. Rumpelstiltskin le baciò le tempie.
“Mi dispiace di non aver saputo proteggerti.”
Lei non potè rispondere, inarcando la schiena per una scossa più violenta rispetto alle altre. Lacrime salate le uscirono suo malgrado, scivolando lungo il viso e il collo.
“Di… distraimi, dimmi qualcosa… come procedono… i tuoi piani.”
Lui le passò un fazzoletto bagnato sulla pelle e parlò con voce più bassa del solito.
“Regina è velenosa. Aveva teso una trappola a Mary Margaret, dandomi una chiave da mettere sotto il suo cuscino per spingerla ad evadere, spinta dal panico. Io ho fatto in modo che non riuscisse ad arrivare ai confini di Storybrooke facendola intercettare dal tuo amico Cappellaio, che avrebbe dovuto limitarsi a drogarla e a riportarla il mattino dopo in cella in tempo per la visita di Regina. Purtroppo l’incontro con Emma gli ha fatto perdere la bussola definitivamente, e le ha tenute prigioniere, minacciandole con una pistola perché la tua amica facesse funzionare il portale con il suo cappello, rovinando quasi tutto. Fortunatamente, sono riuscite a scappare e ad arrivare in tempo.”
“E il… il signor Spencer?”
“Era il padre di Charming nel Mondo delle Fiabe, il Re George. Ha sempre voluto tenere separati James e Biancaneve. Ha messo in crisi Mary Margaret all’interrogatorio, imbeccato da Regina. L’unica cosa da fare ora, è operare un’altra piccola magia e liberare la signora Nolan, facendola sembrare vittima di un crudele rapimento. Le ho già parlato. Stasera sarà tutto finito.”
Si chinò per abbracciare Rapunzel, che stava tremando. Digrignando i denti, gli occhi vitrei come quando era stato arrestato, compose il numero sul suo cellulare.
“Pronto, Regina? Il tuo piccolo show è durato abbastanza. Le analisi devono essere interrotte subito… per favore. Emilie era sola in negozio prima che arrivassi e non sa ciò che le sta accadendo. Non si ricorda che tu hai il suo cuore. Quindi, per favore, ottienilo come prova in custodia e aspetta che passi a ritirarlo. Grazie, dearie, sapevo che avresti capito.”
Rapunzel sentì la morsa sul petto cessare a poco a poco. Dopo una decina di minuti riuscì ad alzarsi, con l’aiuto di Rumpelstiltskin.
“Devo aprire il negozio nel pomeriggio, o dovrò chiudere definitivamente per cessata attività.”
“Aspetta a riprenderti.”
“Nessuno arriverà prima di un’altra mezz’ora. Va’ a fare un occhio nero alla regina da parte mia.”
Poco tempo dopo, Emma e Ruby trovarono Kathryn Nolan, viva.
 
 
Angolo dell’autrice: Eccomi con un altro capitolo della storia. Ormai non ne mancano molti e finirò di tediarvi ulteriormente….almeno per un po’. :-D ringrazio Sylphs, Samirina e jarmione per le recensioni, che mi fanno sempre molto piacere e sempre ridere, Chihiro per averla messa tra le ricordate, Silvie de la nuit per averla messa tra le seguite. Buon weekend a tutti, e che Rumpel venga a fare un patto con voi :-P!

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Capitolo 23
*** Confessions of broken hearts ***


Rapunzel si era rannicchiata sulla poltrona di Rumpelstiltskin, disegnando su un blocco schizzi delle persone che conosceva, persone del mondo delle fiabe. La nostalgia di casa si faceva sentire, ma al tempo stesso si sentiva a disagio. Che casa aveva in fondo? Non certo la torre, anche se vi aveva vissuto per diciannove anni. La piccola abitazione nel bosco? Non aveva avuto abbastanza tempo per farla sua, si era sempre sentita un po’ estranea. Nemmeno dove era stata con la madre a Storybrooke per ventotto anni poteva essere proposta. Disegnare le alleviava quelle brutte sensazioni. Guardando il viso di Neve nel ritratto, i capelli lunghi e corvini, le labbra color ciliegia e lo sguardo fiero, le tornavano in mente i momenti passati insieme. Il sorriso malizioso di Cappuccetto le ricordava quando aveva avuto per la prima volta persone che l’avevano accolta per quello che era. Gli occhi diretti e la bocca atteggiata ad una smorfia sarcastica di Rumpelstiltskin le ricordava la prima persona che le aveva letto dentro e amata per questo. Sfiorò con le dita i lineamenti che aveva disegnato, sporcandosi i polpastrelli di mina.
“Qualcuno sente la mancanza del mio vecchio me?”
Rapunzel lasciò cadere il blocco sul tappeto e sbirciò dalla poltrona. Non c’era nessuno. Fece per guardare dall’altra parte, ma si trovò il viso de Rumpelstiltskin a pochi millimetri.
“Ti diverti a spaventarmi?”
Lui le passò un dito sul naso, come per calmare un bambino dispettoso, poi le diede un bacio veloce sulle labbra. Lei incrociò le braccia sul petto e finse di essere arrabbiata.
“Chi sono, tua cugina?”
Lo vide ghignare e si sentì afferrare per la schiena e attirare verso di lui, mentre la bocca di lui cercava la sua, impaziente, più intensa e forte del solito. Rumpelstiltskin le prese la testa tra le mani e la spinse verso di sé, per approfondire il loro bacio.
Rapunzel gli passò le mani tra i capelli e strinse le braccia intorno alla sua nuca per non farlo indietreggiare. Quando si separarono, si sentì incerta. Ormai conosceva il modo in cui le sue emozioni si trasmettevano al suo corpo, e lui era in tensione eccessiva. Gli occhi erano velati dal desiderio, come sempre quando erano molto vicini, ma in fondo avevano una certa determinazione che mancava prima. Gli accarezzò una guancia.
“Ti senti bene? È successo qualcosa di grave?”
Lui trattenne la sua mano sul viso, premendovi la fronte.
“Sei bollente! Stai male…”
Fece per prendere il termometro, ma lui la fermò.
“Sto bene. Devo… devo stabilire se una persona che ho conosciuto stamattina è chi io penso che sia.”
“E questo ti preoccupa?”
Il suo silenzio la spaventò. Lui aveva sempre una risposta pronta, un piano in mente. Ora sembrava… scosso. Sperduto.
“Sono più di trent’anni che aspetto questo momento, eppure ora non so cosa fare.”
Rapunzel si sentì un nodo in gola nel vederlo così insicuro, bisognoso. Lo abbracciò forte e poi gli strinse le mani.
“Mi hai tirata fuori dalla torre. Mi hai fatto innamorare prima ancora che io sapessi cosa volesse dire, mi hai amata anche tu, hai creato una maledizione potentissima e sei l’unico di cui Regina abbia paura. Tu puoi fare quello che vuoi.”
“Ho deluso questa persona, in passato.”
“Le insegnerai che sei diverso ora. Che ognuno ha diritto ad una seconda possibilità.”
Rumpelstiltskin annuì e ricambiò l’abbraccio. La tensione si era sciolta in parte e lui aveva recuperato tutta la sua panache.
“Sarò via per tutta la giornata, dearie. Forse anche  la notte.”
Lei lo afferrò per la cravatta.
“Dimmi, è una donna?”
“Decisamente no.”
“Allora va bene. Mandami un messaggio, se puoi.”
“Non stare in pensiero.”
Rumpelstiltskin scomparve dalla sua vista, allontanandosi con la sua macchina. Questo le diede da pensare: lui non guidava quasi mai, per via del suo ginocchio e della vicinanza della sua casa al negozio. Non sarebbe stato così pazzo da provare a uscire da Storybrooke, di questo ne era certa.
Si risedette sulla poltrona, fissando il vuoto. Chi poteva essere quella persona così speciale? Aveva detto che non era una donna… ma a lui veniva naturale giocare con le parole. Se fosse stata una sirena, ad esempio, o una ninfa silvestre, non ci sarebbe stata menzogna. Si sentì assurdamente gelosa, di qualcuno che non conosceva e di cui non sapeva niente. Rimpianse che fosse sabato: se fosse stato un giorno normale, avrebbe potuto distrarsi con il lavoro. Invece adesso era sola, e mancava ancora una mezz’ora prima che arrivasse Scar ad assolvere il suo compito. Da un po’ passava tutti i weekend a casa di Rumpelstiltskin, arrivando presto e tornando tardi per riuscire a mantenere un po’ di segretezza. Solo Emma e Henry erano al corrente dell’identità del suo amore, Ruby sapeva solo che si vedeva con qualcuno e si arrabbiava perché non riusciva a capire chi fosse. Decise di spazzolarsi i capelli, per tranquillizzarsi. Si morse il labbro e rimase con ferma qualche istante: i capelli erano più lunghi di qualche centimetro. E li aveva avuti della stessa lunghezza per ventotto anni. La maledizione era davvero agli sgoccioli, dunque? Fu distratta dal bussare alla porta. Contenta che Scar fosse venuto in anticipo a distoglierla dai suoi pensieri, volò ad aprire.
“Ciao, sei venuto…”
Non riuscì a continuare e nemmeno a muoversi. Davanti a lei, come un fantasma maligno richiamato per errore, c’era sua madre. Era più bella di quando l’aveva lasciata: le ciocche grigie erano state coperte di tintura nera, le rughe si erano attenuate, persino il collo sembrava più liscio. Gli occhi erano freddi come il suo sorriso, nonostante sembrasse l’emblema della cortesia nel suo tailleur rosa.
“Emilie. Non sei più venuta a trovarmi.”
All’improvviso, quella caricatura di sorriso evaporò e gli occhi si strinsero.
“Allora è vero. Non ci volevo credere che tu… che tu…”
Rapunzel tentò di richiudere la porta, ma aveva aspettato troppo. Gothel l’aveva già spinta dentro, chiudendosi la porta alle spalle.
“Madre, non puoi stare qui. Non ho più niente da dirti.”
L’altra la ignorò e le strinse i polsi, ferendole la pelle con le unghie laccate.
“Non posso stare nella casa in cui mia figlia fa da prostituta?”
Lei riuscì a liberare una mano per schiaffeggiarla, ma la madre si scostò e la ricatturò, stringendola ancora più impietosamente.
“Immagina cos’ho provato quando mi hanno detto che mia figlia andava ad aprire le gambe per… per Gold!”
Sputò fuori quel nome come se sputasse veleno.
“Chi? Chi te l’ha detto?”
“Come sei potuta cadere così in basso? Fino a poco tempo fa eri il mio tesoro, la mia bambina…”
“Fino a quando sono riuscita a sottrarmi alle tue manie, o forse è meglio dire quando volevi uccidermi?”
Gothel trattenne il respiro, riuscendo ad apparire ferita e oltraggiata.
“Come puoi pensare questo? Volevo solo darti una piccola lezione, ma non ho mai volutamente desiderato di farti del male. Come potrei? Sei la mia piccola.”
Rapunzel sentì di dover vomitare. Ora la madre le aveva lasciato una mano per accarezzarle il viso.
“È stata tutta colpa di quell’uomo orribile, vero? Ti sei rivolta a lui dopo quella sera che è stata causa di tutti i nostri guai…”
“Non è stato lui a farmi arrestare per furto e aggressione.”
“Tesoro, non avrei mai portato avanti la cosa. Dovevi solo stare dallo sceriffo qualche ora, per renderti conto che non puoi stare senza di me, non protetta, nel mondo. Ma è stato quel mostro a portarti via da me. Ti ha ricattata in qualche modo e ti ha obbligata a… a fare quelle cose. Ma ti libererò dalle sue grinfie, tesoro, perché è quello che fanno le mamme…”
“Mi state dando i brividi. Ed è difficile darli a me.
Rapunzel stava per mettersi a piangere dal sollievo. Non le importava come avesse fatto Scar ad entrare, era solo contenta che fosse lì. L’uomo fissava sua madre come se fosse un raro esemplare di tarantola. Da parte sua, Gothel alzò la testa e continuò a rivolgersi sprezzante a lei, pur senza perdere di vista l’intruso.
“La tua cerchia di amici si è molto allargata, Emilie. Torna a casa con me.”
“Quella non è casa mia. Non con te.”
Scar avanzò di qualche passo.
“Sono stato assunto per impedirle di ossessionare sua figlia, signora. La invito ad andarsene il prima possibile: non ho molti scrupoli, nemmeno con le donne.”
Entrambe gli credettero, tanto che la madre si diresse verso la porta, facendola sembrare come una sua scelta. Quando giunse alla porta, si voltò verso di lei per scagliarle un’ultima freccia avvelenata.
“Sei davvero caduta in basso. Non riconosco più mia figlia. Sei solo la nuova sgualdrina del paese, dopo che la tua cara amica Mary Margaret ti ha ceduto il titolo.”
Rapunzel si scagliò verso di lei, le dita arricciate per poter graffiare meglio, ma Scar la trattenne. Gothel, che si era appiattita sulla porta, aveva gli occhi sbarrati e uscì senza mai voltare le spalle, lentamente. Scar richiuse la porta a doppia mandata, poi tornò da lei e la fece sedere, spingendole bruscamente le mani sulle spalle.
“Vado a prenderti qualcosa di forte.”
Lei non si disturbò a correggerlo e se ne stette lì, le mani sulle ginocchia. Bevve senza fiatare lo scotch che le venne dato e non tossì nemmeno una volta.
“Volevo ucciderla.”
“Non ho niente contro l’omicidio, personalmente, ma in casa di Rumpelstiltskin… gli rovinerebbe i muri. E poi mi squarterebbe per averti permesso di ucciderla, mentre avrei dovuto farlo io.”
Rapunzel non poté fare a meno di sorridere.
“Hai ragione. È proprio quello che farebbe.”
Scacciò con un dito la lacrima che minacciava di scendere, poi si alzò e strinse la mano di Scar.
“Mi hai salvata. Grazie, ero davvero… in difficoltà.”
Lui fece un cenno con la mano, poi la ricacciò in tasca.
“Non è niente. È il mio lavoro.”
Lei gli puntò l’indice sul petto.
“Dì quello che vuoi, ma non cambia niente. E poi, lo so che non sei davvero cattivo.”
Scar sbuffò.
“Sì che lo sono. Ma che avete voi principesse da credere che siamo tutti buoni e altruisti?”
“Uno, non sono una principessa. Due, non è affatto vero. Biancaneve è un’arciere molto migliore di Charming e non si è mai fidata di nessuno senza motivo valido, ad esempio.”
“Come dici tu.”
“E Rumpelstiltskin ha promesso di insegnarmi bene come sparare.”
“Mi meraviglio. Pensavo che non volesse farti fare niente di pericoloso.”
“Io e lui non siamo sempre d’accordo.”
Scar si distese sul divano, sospirando.
“Rumpelstiltskin ha dei cuscini fantastici. Dovrò portarne a casa, finita la maledizione.”
Lei si risistemò sulla poltrona, portandosi le ginocchia al petto per far stare stabile il blocco.
“Non mi hai mai parlato della tua vita, prima.”
“Non è che mi piaccia spiattellare i fatti miei.”
“Potrei semplicemente leggere il libro di Henry, ma so per esperienza che c’è di più.”
Vedendo che lui serrava significativamente le labbra, lei trattenne uno sbuffo infastidito e capì che avrebbe dovuto cominciare lei, se voleva farlo aprire un po’. Ma che cos’avevano gli uomini con i loro segreti?
“Per esempio, il libro non ha mai detto su di me che la prima volta che sono uscita dalla torre, i miei capelli erano così lunghi che li calpestavo, così Rumpelstiltskin me li ha intrecciati con i primissimi fiori che avevo raccolto. Oppure che la prima volta che ho visto una città non avevo più il coraggio di andare avanti perché avevo paura. O che mi facevo sempre la tisana al biancospino per calmarmi.”
Scar la guardò con gli occhi socchiusi, ma non disse niente. Rapunzel allora si portò una mano al petto.
“O che cos’è successo quando la regina mi ha strappato il cuore e mi ha torturata nella Sala del Consiglio.”
Lui si passò una mano tra i capelli, arruffandoseli ancora di più.
“A proposito, come… voglio dire, sei innamorata di Rumpelstiltskin, vuoi bene al ragazzino, si vede, ma… come fai? Senza…”
“Non lo so. Io provo emozioni, ma sento un grandissimo vuoto dentro di me. Qualche volta mi fa male, quando la regina decide di farmi soffrire. Non posso darti una risposta.”
Gli occhi verdi di Scar diventarono tristi.
“Spesso mi hanno definito senza cuore. Ma immagino avessero torto, materialmente parlando.”
Lei lo fissò, con le sopracciglia corrugate.
“Non ti definirei né buono né cattivo. Sei nel mezzo, come Rumpelstiltskin. Talvolta pendi di più da una parte, talvolta dall’altra.”
“Io ero il secondogenito della famiglia reale della savana. Mia madre non la ricordo bene, morì quando ero ancora un cucciolo, così mio padre crebbe sia me sia mio fratello maggiore, Mufasa. Lui era l’erede, il leone perfetto. Valoroso, giusto, buono, continua fonte d’orgoglio, forte, sempre vincitore nei combattimenti. Io avevo perso già in partenza. Non potevo eguagliarlo agli occhi di mio padre. Le uniche cose in cui potevo distinguermi erano la pazienza e la strategia. Già allora iniziai a provare rancore verso Mufasa, ma le cose peggiorarono quando…”
“C’era di mezzo una donna, vero?”
“Una leonessa, per essere precisi. Anche lei di sangue reale. Si chiamava Sarabi ed era meravigliosa. Arguta, saggia, coraggiosa. Indovina chi conquistò il suo cuore? Non certo il fratello reietto.”
Rapunzel si sentì scoraggiata, incapace di consolarlo. Non sapeva cosa dire.
“Giurai di portare via a mio fratello tutto ciò che lui aveva portato via a me. Il suo regno, la sua famiglia. Passai anni a progettare, a stringere alleanze con iene e altri leoni esiliati. La nascita di mio nipote, Simba, fu un imprevisto. Inizialmente lasciai da parte i miei piani per vederlo crescere, ma era così maledettamente simile a Mufasa… decisi che sarebbe diventato una mia pedina. Uccisi mio fratello, esiliai Simba convincendolo di essere responsabile della morte di suo padre, sacrificatosi per salvarlo da una mandria di bufali in corsa. Ovviamente, il mio breve periodo di regno fu caratterizzato da tutte le possibili sciagure possibili immaginabili. Carestie, epidemie, lotte interne… Mufasa mi malediva persino da morto, dannazione a lui. Fui quasi felice quando Simba tornò a rivendicare il trono. Ti lascio indovinare chi vinse la battaglia.”
Rimasero in silenzio per un po’. Poi lei sospirò.
“E io che pensavo di avere una vita complicata. Non ti invidio.”
Scar la sbirciò con un occhio chiuso e uno aperto.
“Tutto qui? Niente rimproveri, recriminazioni disgustate o robe simili?”
“Non ti ho convinto a parlare per giudicarti. Sei un uomo… anzi un leone che ha fatto le scelte sbagliate. Adesso sei diverso. Almeno, in parte. Hai cominciato una nuova vita. Starà a te decidere cosa fare nel futuro.”
Lui rabbrividì.
“Sembra di sentire parlare mia madre.”
Rapunzel rise.
“Due decenni in una torre fanno pensare molto. Non è che avessi infinite possibilità su come passare le giornate.”
Mentre si dirigeva in cucina lo sentì borbottare, ma non ci fece caso. Tornò in salotto con due tazze.
“Che cos’è quella roba?”
“Tisana al biancospino.”
Scar annusò con prudenza.
“È velenosa?”
Lei roteò gli occhi.
“Certo. Ho sempre desiderato assaggiare carne di leone.”
Lo vide inghiottire un sorso, cauto. Poi un altro.
“Bevibile, ma preferisco il mio Martini.”
“Anche Ruby lo adora.”
Non riuscì a trattenersi quando il the gli andò di traverso e fu costretta a dargli pacche sulla schiena per farlo smettere di tossire.
“Ne ho visti nella tua situazione, conosco i sintomi di Rubyite. E poi tu le piaci.”
“Cosa stai… davvero?”
“Davvero.”
“Ne sei sicura?”
“Assolutamente si.”
Impietosita nel vederlo in quell’imbarazzo, cambiò argomento.
“Sai dove sia andato Rumpelstiltskin? Era molto strano oggi.”
“Non è che io e lui siamo proprio amiconi. Più sul tipo io non uccido te e tu non uccidi me.”
“Non mi hai risposto.”
“No, non so dove sia andato. Ma era irritabile come me quando da leone cadevo in acqua.”
Rapunzel si passò le dita sulle tempie e premette per scacciare l’emicrania che minacciava di venire. Sperava che almeno con Scar lui avesse rivelato qualcosa, ma a quanto pare Rumpelstiltskin preferiva morire prima di dire qualsiasi cosa di utile al prossimo. Si tormentò tra le dita la sua collana, cercando di trovare rassicurazione nel freddo metallo. Stare nell’angoscia, nell’inazione, era ciò che la distruggeva. Da quel poco che sapeva, non sembrava una situazione pericolosa, ma non si poteva mai dire con lui. Quello che poteva essere un incontro casuale con lui poteva diventare un intrigo internazionale.
“Si romperà, sai, il tuo ciondolo se te lo rigiri ancora per molto in quel modo.”
Lei smise subito e levò i suoi grandi occhi verdi e spaventati su Scar, come a supplicarlo di dirle qualcosa.
“Rumpelstiltskin ha la pellaccia dura. Non è mica facile farlo fuori, ci hanno già provato in molti.”
“Dovrei sentirmi rassicurata?”
“Si.”
 
 
Alle undici di quella sera, il suo stato d’animo era molto cambiato. Era peggiorato al punto che persino Scar l’aveva rimbrottata aspramente. Lo aveva convinto ad andarsene qualche ora prima, nonostante le sue proteste di non volerla lasciare sola. Solo quando sentì la porta d’ingresso aprirsi riprese a respirare normalmente. Volò ad accoglierlo, abbracciandolo. Aveva avuto un presentimento orribile per tutto il giorno, ed ora era magicamente sparito.
“Sei tornato. Sei tornato.”
Lui accese la luce e si lasciò cadere sul divano. Rapunzel prese paura al suo aspetto. Gli occhi erano torbidi, arrossati dal pianto, il viso pallidissimo, la mascella rigida e le mani strette intorno al suo bastone come se volessero spezzarlo. Alla cintura portava un lungo pugnale dalla lama dai bordi curvilinei, con sopra un’incisione che non riusciva a leggere. I pantaloni erano sporchi di erba e terra e le scarpe erano piene di fango. Era evidente che era stato nel bosco. Senza dire nulla gli diede un bicchiere di scotch, che lui buttò giù come se fosse acqua.
“Ancora.”
Lei obbedì, sperando che l’alcool migliorasse le sue condizioni. Le mani gli tremavano tanto che dovette prendergli il bicchiere e posarlo sul tavolo perché non cadesse a terra.
“Cos’è accaduto? Dove hai preso quel pugnale? E perché sei andato nel bosco di notte?”
Rumpelstiltskin non rispose, ma la prese invece tra le braccia e iniziò a baciarla come se volesse rubarle l’anima.
“Dimmi che sei qui, almeno te. Che sei reale.”
Lei gli tenne la testa ferma tra le mani e lo scrutò.
“Cosa ti ha ridotto così?”
“Non è lui. Non è Baelfire.”
“Chi non è Baelfire? E chi è Baelfire?”
“Mio figlio.”
Rapunzel si ritrasse. La sorpresa le intorpidì i muscoli e per un attimo vide confuso davanti a sé.
“Tuo… tuo figlio?”
Rumpelstiltskin si lasciò cadere all’indietro, coprendosi il viso tra le mani.
“Prima di diventare il Signore Oscuro ero un uomo qualunque. Un povero tessitore. Avevo una moglie, Milah, e un bambino. Il mio Bae. Lui era tutto il mio mondo, visto che Milah mi disprezzava perché… perché avevo disertato dalla guerra contro gli Orchi. Ero fuggito ed ero tornato dalla mia famiglia, ma lei non mi  perdonò mai.”
Lei si morse la lingua per trattenere le sue parole di rabbia. Come aveva potuto, quella donna? Gli Orchi non erano esseri umani, erano massacratori per natura. E se suo marito fosse tornato dalla guerra, anche scappando, avrebbe dovuto considerarla una benedizione. Avrebbe dovuto ringraziarlo, accoglierlo piangendo e a braccia aperte.
“Dopo poco tempo, iniziò a frequentare una cattiva compagnia di tagliagole, capeggiata da Killian Jones. Tu ora probabilmente lo conoscerai come Uncino. Milah lasciò me e Bae per unirsi a loro, alla loro nave di pirati e io rimasi da solo con mio figlio. Fu un bene, in realtà. La catastrofe avvenne anni dopo, quando dei soldati arrivarono per reclutare i quattordicenni nella nuova guerra. Bae li avrebbe compiuti di lì a pochi giorni e io non potevo permettere che portassero via il mio bambino. Tentammo di scappare una notte, ma i soldati ci scoprirono. Quella che allora mi parve una benedizione mi arrivò da un mendicante. Mi parlò di un pugnale magico con cui il Duca teneva in scacco il Signore Oscuro dell’epoca. Se lo avessi rubato, avrei potuto controllarlo io e salvare mio figlio. Diedi fuoco al castello del Duca e rubai il pugnale, poi invocai quel demone. Tuttavia, ero troppo spaventato per imprigionare al mio volere un essere così potente, così… lo uccisi.”
Le mostrò il pugnale. Sbalordita, Rapunzel lesse il suo nome scritto nel metallo: Rumpelstiltskin.
“Il demone si rivelò essere il mendicante. Mi aveva manipolato perché stanco della sua vita di malvagità. Infatti, mentre lui spirava, io stavo diventando il nuovo Signore Oscuro, legato per sempre a questo pugnale. Con i miei nuovi poteri, potei salvare Bae, riportare a casa i ragazzi costretti a combattere. Ma mio figlio si accorse che col tempo il potere mi aveva cambiato. Ero diventato assetato di vendetta, avido, spietato, così fece un patto con me. Se avesse trovato un modo per riportarmi com’ero prima senza uccidermi, lo avrei assecondato. La Fata Turchina gli diede un fagiolo magico che avrebbe aperto un portale per un mondo senza magia, ma quando il vortice si aprì sotto di me e Bae, non ebbi abbastanza coraggio. Cercai di impedire che io e mio figlio scivolassimo in quel gorgo, troppo attaccato al mio maledetto potere, piantando il pugnale nel terreno come ancora, ma il turbine del varco era troppo forte. Io… ho perso la presa di Bae e lui è scivolato nel passaggio, gridando il mio nome … poi il portale si richiuse, dopo aver inghiottito mio figlio.”
Rumpelstiltskin aveva chinato la testa e Rapunzel sentì le lacrime pungerle gli occhi. Gli posò una mano sulla spalla.
“Pensavi che qui ci fosse Baelfire?”
“C’erano alcuni indizi che lo lasciavano supporre. Per esempio, sapeva com’era fatto il mio pugnale e ti assicuro che non sono molti quelli che l’hanno visto.”
Fece una pausa. Il viso era duro, scavato nel legno. Lei si accorse che la sua non era semplice delusione, la disillusione di una speranza. Era pura ira.
“L’uomo di cui sto parlando ha detto di chiamarsi August Booth.”
Rapunzel si sentì impallidire e si portò una mano alla bocca. Per fortuna, Rumpelstiltskin era troppo preso a rivivere gli eventi di quella sera per accorgersene.
“Ha detto di essere il mio Bae. Io gli ho creduto: chi altro poteva sapere che avevo un figlio? Nemmeno Regina l’ha mai saputo, grazie al Cielo. Io gli ho chiesto perdono e gli ho detto di distruggere questo pugnale, in modo da togliermi quel potere che l’aveva allontanato da me. Una volta avevo scelto il potere e me ne sono pentito sempre.”
“E l’avevi seppellito nel bosco?”
“Sì.”
Rumpelstiltskin fece un mezzo sorriso, così amaro che se lei avesse avuto ancora un cuore, si sarebbe spezzato.
“Solamente che non voleva distruggerlo. Voleva evocare il Signore Oscuro per avere la magia. E questo è stato il suo errore. Bae non l’avrebbe mai fatto, perché sapeva che questo era un mondo senza magia, e anche se ci fosse stata, la aborriva. Non me l’ha mai lasciata usare su di lui, neanche per curarlo.”
Rapunzel esitò, timorosa di fare la domanda che era sulla punta della lingua.
“Dobbiamo… dobbiamo nascondere un cadavere?”
Lui rise, secco, ma divertito.
“Non l’ho ucciso. L’ho costretto a dirmi che cosa l’avesse spinto ad essere tanto pazzo da sfidarmi, visto che conosceva la mia fama. Mi ha detto che stava per morire e che solo la magia l’avrebbe salvato. Perché disturbarmi a sporcarmi le mani, quando la natura mi stava già dando una mano? L’ho lasciato andare e sono tornato da te.”
Lei gli gettò le braccia al collo e lo riempì di carezze.
“Non è stata colpa tua. Quella Milah non era degna di essere moglie e madre, se ha agito così. Sei tornato perché non c’era nulla per cui combattere e una famiglia da cui tornare. Riguardo agli inizi da Signore Oscuro… sei solo un uomo che ha fatto scelte sbagliate.”
Restarono stretti sul divano, mentre di tanto in tanto Rapunzel sentiva le lacrime di Rumpelstiltskin bagnarle la chioma.
“Ti amo, Rapunzel. Farò il possibile per essere degno di te.”
“Non devi essere diverso. Dopotutto, mi sono innamorata di te quando volevi strangolarmi e io imprigionarti con  i miei capelli.”
“Era destino.”
Quella notte, mentre ascoltava il respiro di Rumpelstiltskin vicino a lei, Rapunzel provò una sensazione del tutto nuova. Qualcosa di freddo, calmante, rinforzante.
Vendetta.
Booth si sarebbe pentito di aver giocato quel tiro mancino al suo amato e lei avrebbe restituito il dolore che gli aveva inflitto con gli interessi.
 
 
Angolo dell’autrice: Buonasera a tutti; il fatto che la puntata di domenica della seconda stagione sia su Rumpelstiltskin, Belle e Milah mi ha ispirata. Vi prometto una Rapunzel assetata di sangue, Booth dovrà stare attento e guardarsi le spalle. Per quelle innamorate di Rumpel come me, consiglio di vedere il trailer di California Solo, un film uscito quest’anno negli Stati Uniti con protagonista il sexyssimo Robert Carlyle, in cui suona anche la chitarra <3. Ringrazio tutti quelli che seguono le mie storie, Sylphs, jarmione e Samirina per recensire sempre regolarmente e quelli che mettono la mia storia tra le seguite/preferite. Mi rendete davvero felice! Buon weekend a tutti 
 
 

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Capitolo 24
*** Revenge and Nightmares ***


Rapunzel si mise gli occhiali da sole. Booth era uscito dal diner e stava camminando per la strada, tranquillo come se non avesse infranto da pochi giorni le speranze di un uomo. Notò che trascinava leggermente una gamba e tamburellò le dita sul volante, trovando impossibile restare ferma in quel frangente. Era il suo primo pedinamento.
Premette il piede sull’acceleratore e seguì a distanza l’impostore. Aveva iniziato a piovigginare, proprio come aveva pensato. Poche persone escono con la pioggia. Le arrivò un messaggio di Rumpelstiltskin: si sarebbe fermato in negozio, visto che qualcuno gli aveva fatto uno scherzo di pessimo gusto spostando tutti i suoi articoli in posti differenti. Lei sorrise. Le dispiaceva aver rovinato il suo lavoro, ma questo l’avrebbe tenuto impegnato per un po’. Aveva detto a Scar di aspettarla nel centro commerciale di Storybrooke alle tre, l’ora in cui c’era così tanta gente da risultare faticoso spostarsi. Con il brutto tempo, poi, tutti sarebbero corsi al riparo. Sarebbe stato così facile poi sgranare gli occhi, preoccupata, sostenendo di non esser riuscita a trovarlo e di esser tornata a casa.
Quando lo vide dirigersi verso il bosco fermò la macchina e scese. Le sue scarpe non facevano rumore sul sentiero e lei conosceva il posto meglio di lui. Aveva l’esca perfetta per attirarlo in trappola. Tirò fuori dalla giacca un pugnale… preso in prestito dal negozio, ricurvo come quello di Rumpelstiltskin e lo nascose malamente tra le foglie, ai piedi di un albero, facendo in modo che fosse ben visibile agli occhi di chiunque fosse passato. Si nascose dietro il tronco e attese che gli occhi di Booth registrassero qualcosa d’insolito, mentre tirava fuori la sua arma. Le pupille dell’uomo erano dilatate per l’interesse, e dopo essersi guardato intorno lui iniziò ad avvicinarsi a lei e alla trappola. Quando lo vide chinarsi a spostare il fogliame, strinse con forza il sacchetto di sabbia e lo calò sulla nuca dell’altro, senza esagerare il colpo.
Booth cadde a terra e Rapunzel gli tastò il polso per precauzione. Sorrise, soddisfatta. Era ancora vivo.
Gli aprì la giacca e lo perquisì velocemente, togliendogli la pistola. Grazie alle piccole informazioni di Rumpelstiltskin, aveva imparato a riconoscere i posti più probabili dove trovare armi nascoste. Quando gli controllò le gambe, corrugò le sopracciglia. Un arto era troppo duro. Tirò su un poco i pantaloni e li lasciò ricadere subito, frastornata. Una gamba di legno. Legno. Si passò una mano fra i capelli e si rialzò, recuperando l’equilibrio. Chi….? Ma non c’era tempo. Lo trascinò faticosamente alla macchina, procedendo più lentamente di quanto avrebbe voluto. Sperò ardentemente che l’altro non si risvegliasse. Tirò fuori dal bagagliaio le funi che aveva ottenuto da Leroy e legò le mani dell’uomo dietro la schiena, per poi passare ai piedi. Quando era sulla torre aveva letto talmente tanti libri sul mare e sulla navigazione, che fare un nodo resistente era uno scherzo per lei. Mise Booth nel sedile del passeggero davanti e gli allacciò la cintura, sapendo che chiunque avrebbe semplicemente visto una persona addormentata. Inserì le chiavi e le girò bruscamente, accendendo il motore con più forza di quanto fosse necessaria, ma il rumore le diede nuova energia. Prese il cellulare e compose un numero.
“Pronto?”
“Stiamo arrivando.”
“Magnifico. Ho proprio bisogno di compagnia.”
Rapunzel partì, guidando prudentemente per la città, fino ad allontanarsi e a risalire per una collinetta. Si fermò davanti ad una grande casa bianca, simile a quella di Rumpelstiltskin. Il suo compagno di viaggio si mosse leggermente e lei lo prese come un segno di doversi sbrigare. Scese e fece un cenno all’uomo alto che stava sotto il portico, il quale le andò incontro sorridendo.
“Rapunzel, sei puntualissima. Sbrighiamoci, o ci bagneremo come gattini. È questo il nostro ospite?”
“In carne e ossa. Anche se sembra più esatto dire carne, ossa e legno.
“Spiegherebbe perché pesi così tanto.”
Lo portarono dentro, Jefferson reggendolo per le spalle e lei per le gambe.
“Grazie per aver offerto la tua casa come rifugio di delinquere, Cappellaio.”
“Te lo dovevo. Inoltre, mi annoio. Ho bisogno di diversivi.”
Lo mollarono sul divano e Rapunzel si sedette anche lei, le guance rosse e la fronte sudata.
“ ’Ccipicchia, che faticaccia.”
“Coraggio, biondina. Ce n’è ancora da fare. Allora, hai pensato a cosa fare al Bello Addormentato?”
“Ho un’idea. Ma ti chiederei di non essere nella stanza, mentre lo faccio.”
“Come vuoi.”
Jefferson si alzò e schiaffeggiò senza troppa delicatezza il prigioniero sulla guancia.
“Su, su! È tardi, è tardi! Siamo in tremendo ritardo! Sorgi e brilla, Bella Addormentata!”
Booth aprì piano gli occhi.
“Che cosa…?”
Rapunzel lo interruppe.
“Non cosa, ma chi.
Lo sguardo nebuloso dell’uomo si posò su di lei, passando dalla confusione alla consapevolezza, poi di nuovo alla confusione.
“Emilie? Che cosa ci fai tu qui?”
“Sono io che ti ho portato qui.”
Jefferson si tolse il cappello in un inchino ironico.
“Con il mio aiuto. Sei piuttosto pesante, sai, come un tronco di legno.”
Booth s’irrigidì e lei lo osservò attentamente. Per quanto cercasse di mascherare la sua inquietudine,  quell’uomo era preoccupato.
“Cosa ci facevi nel bosco, Booth? E perché eri tanto interessato a quella cosa nascosta ai piedi dell’albero?”
Lui si schiarì la voce.
“Non sapevo fosse così preziosa… pura curiosità. Era qualcosa che brillava, è ovvio che mi abbia subito attirato, no?”
Diede loro un sorriso che voleva sembrare affascinante. Rapunzel e Jefferson lo guardarono, poi si guardarono a vicenda.
“Jefferson, che ne dici di iniziare a preparare il the? Ho molta sete.”
“Giusto, giustissimo. Tra poco arriveranno anche due ospiti.”
“Oh? Non me l’avevi detto. Chi arriva?”
“Il mio amico del Cheshire e il nostro terzo compagno di quando eravamo a casa. Ti piacerà, vedrai.”
“Mi fido.”
Jefferson richiuse la porta alle sue spalle, canticchiando una vecchia filastrocca. Rapunzel sorrise dolcemente a Booth e si tolse l’impermeabile. Ora che aveva capito chi fosse veramente, si sentiva più sicura, più potente. Comprese in quell’istante perché Rumpelstiltskin avesse quella piccola ossessione sui nomi. Perché nel suo vecchio mondo sapere il nome di qualcuno dava potere.
“Molto bene, caro il mio Pinocchio. Immagini perché sei qui?”
“Come…?”
Lei gli lanciò un’occhiata tagliente.
“Non insultare la mia intelligenza. Di bugiardi fatti di legno ce ne sono pochi.”
Booth deglutì, poi recuperò la sua disinvoltura e il suo charme.
“Dimmi, Emilie, che affari hai con il Cappellaio?”
“Diciamo che abbiamo qualche cosa in comune. Ma hai sbagliato domanda, prova ancora.”
“Ti ha chiesto Rumpelstiltskin di portarmi qui, vero? Sapevo che era troppo bello che mi lasciasse andare così. Me lo vedrò arrivare fra poco e mi picchierà col suo bastone come ha fatto con quel poveraccio di French?”
“Lui sarà l’ultima delle persone che vedrai oggi, te lo assicuro.”
Gli occhi chiari dell’uomo erano, se prima confusi, completamente disorientati.
“Non capisco…”
“Vedi, Rumpelstiltskin era piuttosto alterato quella famosa sera in cui hai preso le sue speranze e ridotte a brandelli, così ha mancato alcuni punti essenziali della tua storia.”
L’altro sussultò.
“Che cosa ne sai tu? Chi sei?
“Emilie Rampion.”
Rise, prendendosi gioco di lui.
“Facciamo un patto, dunque. Alla fine di tutto, ti dirò il mio nome. Ma ho due cose importanti da fare prima.”
“Cioè?”
Rimasero a fissarsi per qualche secondo. August sembrava intimidito da quegli occhi verdi e non avrebbe commesso due volte l’errore di sottovalutarla. La sua nuca aveva recato un bernoccolo delle dimensioni di una puntura di vesta dopo il suo incontro con lei.
“Sapere cosa sai esattamente di Baelfire e vendicare Rumpelstiltskin.”
Gli occhi le si riempirono di lacrime, che però non scesero. Rapunzel non voleva mostrarsi troppo debole.
“Voglio sapere anche perché hai ritenuto necessario distruggerlo come hai fatto.”
L’uomo era diventato pallido. Era difficile dire se provasse davvero rimorso oppure no, ma a lei non importava molto in realtà. Il pentimento sarebbe sicuramente venuto dopo.
“Mentre rifletti sulle risposte da darmi, vado a vedere a che punto è il the.”
Jefferson stava disponendo sei tazzine e una teiera su un vassoio.
“Avevi detto che avevi solo altri due ospiti.”
“Il sesto è per mia figlia Grace.”
Rapunzel si sentì triste per lui, ma gli sorrise incoraggiante.
“Dovevo immaginarlo.”
“Ehi, Jefferson!”
“Cappellaio!”
Lei si voltò. Aveva riconosciuto la voce dello Stregatto, ma era curiosa di vedere chi fosse l’altro. Era piccolo di statura, dai capelli biondi spettinati, orecchie lunghe, viso stretto e la bocca un po’ deformata da incisivi sporgenti. Era sicura di non averlo mai incontrato.
“Emilie, ti ricordi del Gatto del Cheshire, immagino.”
“Indimenticabile.”
“Questo è il mio amico Leprotto Marzolino, ma a Storybrooke si chiama Roger Liddle.”
Liddle scoppiò in una risata isterica e le strinse entusiasticamente la mano, tirandola con forza su e giù.
“Piacere, piacere, ma è l’ora del the o sbaglio?”
Mentre lei teneva aperta la porta, Jefferson sussurrò:
“Allora, hai deciso cosa fare del nostro Pinocchio?”
“Non ancora. Immagino di dovermi affidare all’ispirazione del momento.”
“Eccellente, biondina, eccellente.”
Quando rientrarono nel salotto, i due amici erano seduti ai lati di Booth e gli facevano domande con vivo interesse.
“Davvero stai tornando di legno?”
“Sei stato nella pancia di una balena?”
“Che cos’è una balena?”
“È un uccello, sciocco.”
“Ti sbagli, sono certo che sia un felino.”
Rapunzel intervenne.
“Il the è pronto.”
Entrambi lasciarono perdere Booth e si versarono da bere.
“Festeggiamo il Non Compleanno del nostro nuovo amico!”
Dopo essersi schiarito la gola, August riuscì ad articolare qualche parola.
“Il mio che?”
Il Leprotto lo guardò con la bocca e gli occhi spalancati.
“Non sa cos’è un Non Compleanno? Dunque: trenta dì conta novem... no! Né di Venere né di Marte non si spo..”
Jefferson gli batté la mano sul ginocchio.
“Stai farfugliando ancora, Roger. Un Non Compleanno, caro il mio Pinocchio, è un giorno in cui non compi gli anni.”
“Ma questo vuol dire che ci sono 364 Non Compleanni.”
“Appunto! È questo il bello!”
Jefferson, lo Stregatto e il Leprotto guardavano delusi il nuovo ospite.
“Non sei divertente.”
“Non sa cos’è un Non Compleanno!”
“Dovrebbe andare dalla Regina di Cuori!”
Il poco colore rimasto sul viso di Booth svanì.
“La Regina di Cuori?”
Liddle gettò in aria la sua tazza di the, per fortuna vuota, che s’infranse sul lampadario, mentre lo Stregatto guardava l’amico con aria in parte compassionevole e in parte disinteressata.
“Tagliategli la testa! La testa, la testa, LA TESTA!”
August deglutì vistosamente e Rapunzel ebbe un’idea. Si rivolse a Jefferson e sorrise dolcemente.
“Si dice che la Regina di Cuori abbia una collezione di teste tagliate per ogni giorno dell’anno, vero Cappellaio?”
“Probabilmente di più, biondina.”
“Dev’essere veramente sanguinaria.”
“Non l’ho mai vista in faccia: quando l’ho incontrata era tutta vestita di rosso e il volto era coperto da un lungo velo di pizzo.”
“Magari si mette le teste che fa tagliare.”
Il Leprotto si strofinò le mani, agitato.
“Ha un labirinto con siepi altissime, piene di rose bianche.”
Lo Stregatto si guardò le unghie con aria annoiata.
“E che le rose le faccia tingere di rosso dai malcapitati che cattura, prima di tagliare loro la testa.”
“Con vernice?”
“Alcuni dicono con il sangue. Come memento, sai.”
Rapunzel vide che la pelle del suo prigioniero aveva assunto una tinta verdognola. Si alzò e uscì dalla stanza. Come aveva previsto, Jefferson la seguì.
“Dove vai?”
“Ho bisogno di un tuo cappello. Uno qualsiasi.”
“Non funzionano qua, i cappelli.”
“Posso convincere Pinocchio di sì, però.”
Il Cappellaio, sorrise, alzando le sopracciglia e sgranando gli occhi.
“Aveva davvero paura, vero?”
“Era terrorizzato.”
“Aspetta qui.”
Dopo cinque minuti, lui tornò con in mano un vecchio cilindro.
“Ecco qui. Spaventalo per bene.”
Tornarono dai loro amici e Jefferson si fece gioviale e quasi istrionico.
“Venite, amici, andiamo a fare altro the.”
I due non aspettarono altro, e Rapunzel venne lasciata sola con Booth. Lei si sedette sul divano di fronte a lui, stendendo le gambe e appoggiando la schiena. Fece in modo di tenere il cappello in bella mostra sulle sue ginocchia.
“Allora? Hai qualcosa da dirmi?”
“Avevo bisogno della magia. Sto morendo.”
“Morendo?”
“Va bene. Non sono stato un bravo ragazzo, in questo mondo, e adesso mi sto ritrasformando in burattino. Speravo che la magia potesse impedirlo.”
“Emma è la Salvatrice. Lo sai, vero?”
“Sì, ma è impossibile indurla a credere. Ci ho provato, le ho persino mostrato la gamba, ma lei vede solo quello che vuole vedere.”
“E come hai saputo di Baelfire? Lascia stare quello che ti aveva detto la Fata Turchina. C’è dell’altro, vero?”
“Slegami e te lo dirò.”
“Non sei nella posizione di trattare, Booth.”
“E va bene. Ero in orfanotrofio, qui nel Maine. Mio padre Geppetto aveva scongiurato Reul Ghorm di dire a Biancaneve che la teca magica che avrebbe trasportato Emma in questo mondo, salvandola dalla maledizione, poteva ospitare solo una persona. Non era vero, ma lui voleva salvare anche me. Sarei stato la guida della Salvatrice.”
“Ma tu non lo sei stato, immagino.”
“No. L’ho abbandonata nell’orfanotrofio e sono scappato. Ti risparmio la storia della mia vita, ma ad un certo punto ho conosciuto un ragazzo, Ben. Ho capito subito che veniva dalla Foresta Incantata: aveva un atteggiamento, un certo sguardo che è inconfondibile. Siamo andati a bere una birra insieme e lui si è ubriacato e mi ha raccontato la sua storia. Da quella sera non l’ho più visto. Non potevo pensare…”
“No, non hai pensato. In che città eri?”
“Boston.”
Boston, Boston.. si arrivava sempre in o da quella città, in un modo o nell’altro.
“Il cognome di Ben?”
“Non ricordo.”
“Tu provaci.”
“Davvero, non ricordo esattamente. Era Danvers, o Dermott. Mi ricordo però che lavorava come illustratore saltuario alla Sperling di Boston.”
“Sicuro?”
“Assolutamente.”
“Molto bene, ora veniamo alla seconda parte del mio compito.”
Mise il cappello per terra, davanti a lui.
“Il mio nome è Rapunzel. Dubito che tu abbia mai sentito parlare di me nel mondo delle fiabe.”
“Sei quella che aveva i capelli lunghissimi e magici?”
“In persona. Immagino che la mia storia in questo posto non sia quella che è accaduta veramente.”
“Dicono che tua madre ti teneva prigioniera per sfruttare la magia dei tuoi capelli, ma un giorno un principe ti ha sentito cantare e ti ha supplicato di mostrarti. Vi siete incontrati e innamorati, e…”
“Basta così, mi viene la nausea. Non c’era nessun principe. Ho fatto un patto per uscire da quella torre.”
Booth la guardò, incuriosito. Stava muovendo un po’ troppo le braccia legate, ma a quel punto lei aveva quasi finito.
“Io e Rumpelstiltskin ci siamo innamorai, lì come qui a Storybrooke. È stato il primo ad amarmi per quello che ero e tu l’hai spezzato come un vecchio bastone. Questo non posso perdonartelo, Booth.”
L’espressione dell’uomo era quasi inorridita.
“Tu e lui?”
“Sei a corto di domande, Pinocchio? Perché questo è un cliché persino per te. Sai cos’è questo cappello?”
“Immagino che ci siano poche probabilità che la risposta sia ‘un cappello’.”
“È un portale per altri mondi.”
“Non funziona qua. Me l’ha detto anche il Signore Oscuro che qui non c’è magia.”
“Ma questo viene dalla collezione privata della regina. Il Cappellaio se l’è ripreso, avendolo creato lui. E indovina dove posso mandarti?”
“Dimmelo tu.”
“Nel Paese delle Meraviglie. Lì l’erba è più alta d’un uomo, potrai mangiare cose che ti fanno diventare più grande o bere qualcosa che ti farà rimpicciolire, fumare un narghilè con un Brucaliffo tutto blu, ma soprattutto fare una partita a croquet con la Regina di Cuori. Certo, se vincerai ti taglierà la testa, e se perderai lo farà ugualmente, ma non sarà una gran perdita per te, vero?”
“Stai bluffando.”
“E sai quel è la cosa più bella? Non potrai più tornare a casa. Nessuno verrà a salvarti, perché se una persona entra nel cappello, una ne esce. Questa è la regola del cappello.”
“Non lo faresti.”
Rapunzel avvicinò il suo viso e sorrise.
“Dimentichi che ti ho steso con una padella e che la regina ha preso il mio cuore. Ho imparato a lasciarmi indietro certi scrupoli.”
Booth sembrava troppo shockato per parlare. Gocce di sudore freddo gli scendevano dalle tempie, le labbra erano più chiare del viso pallido, le pupille dilatate e il corpo era scosso da un tremore impercettibile, ma innegabile.
“No, non puoi farlo. Diventeresti malvagia come Regina.”
“Liberarsi di un parassita impostore non vuol dire essere malvagi.”
Lo afferrò per il bavero e lo fece inginocchiare per terra, davanti al cappello.
“Comunque, una volta tagliata la testa non è detto che tu muoia. Ti sei chiesto perché Jefferson porti sempre quel foulard intorno al collo?”
Iniziò a ruotare il cappello, senza mai lasciarlo con le mani.
“Tagliategli la testa!”
Lo lasciò di colpo e Booth chiuse gli occhi. Quando Rapunzel vide che continuava a non voler guardare, si posizionò dietro di lui e iniziò a slegargli le mani.
“Paura, vero Pinocchio?”
Lui aprì gli occhi e mosse piano la testa, come se non riuscisse a credere a quello che vedeva.
“Come… non era vero?”
“Oh, quello che ti ho raccontato sì, a parte la questione della magia del cappello. Non mi piace far del male alla gente, ma uno spavento era la punizione minima che potessi pensare di infliggerti.”
Jefferson entrò, aprendo le braccia e ridendo incontrollato.
“Il tuo Rumpelstiltskin sarebbe fiero di te, biondina. Certa sottigliezza ce l’hanno solo lui e le donne.”
Batté una mano sulla spalla di Booth, aiutandolo ad alzarsi e porgendogli una tazza di the.
“Tieni, amico, adesso hai imparato a non toccare mai le persone care di una ragazza che è la metà di te ma con una mente deliziosamente vendicativa.”
“Non so chi tra voi due sia più matto.”
Rapunzel lo spinse in avanti.
“Forza, Pinocchio, dobbiamo andare. Se Rumpelstiltskin non mi trova a casa, saranno guai anche per me. E se scopre quello che ho fatto, se la prenderà con te perché a causa tua mi sono messa in pericolo.”
“Direi che ero io quello in pericolo.”
“Credi che a lui importi?”
“….No. Non proprio.”
Fuori stava ancora piovendo. Lei lo fece accomodare, poi partì.
“Dove ti lascio?”
“Da Granny può andare.”
A metà strada, lui s’irrigidì.
“Che succede?”
“La trasformazione… si sta espandendo. Se Emma non assolverà in breve il suo compito, io tornerò un burattino.”
Rapunzel lo guardò con la coda dell’occhio.
“Dovresti parlare con Marco… scusa, Geppetto.”
“E cosa gli dico? Ciao papà, sono tuo figlio, quello che hai creato da un tronco d’albero; ero stato un bambino vero per un po’, ma poi non mi sono comportato bene e ora sto tornando di legno. Non preoccuparti, non ti ricordi niente perché la regina cattiva ci ha scagliato una maledizione, ma Emma è la figlia di Biancaneve e Charming e ci salverà tutti.”
“Tu hai la fortuna di avere un padre che ti voleva bene al punto da anteporre il tuo benessere a quello del mondo delle fiabe.”
“E tu hai un Vero Amore per cui hai minacciato di farmi tagliare la testa.”
“Non ho mai avuto un genitore che si prendesse cura di me. Ho passato diciannove anni chiusa in una maledettissima torre!”
Lui esitò.
“Ascolta, Rapunzel. Forse non saranno affari miei, ma mi dispiace davvero per quello che ho fatto a Rumpelstiltskin. A mia difesa posso dire solo che non credevo che qualcuno che si chiama Signore Oscuro potesse provare buoni sentimenti. La Fata Turchina mi ha insegnato a rimediare. La tua fiaba, quella conosciuta qui nella Terra…”
“Non è che un mucchio di fandonie.”
“Forse non del tutto. Dice che Gothel ti rapì quando eri in fasce dalla tua vera casa. Non si dice chi fossero i tuoi genitori, solo che erano un re e una regina.”
“Certo. Sono una Principessa Perduta. Come ho fatto a non pensarci prima?”
“Riflettici. Una madre non ti avrebbe mai usata come ha fatto Gothel.”
“Se parliamo di madre cattive, direi di sì.”
Lei non disse più niente per tutto il viaggio. Arrivati davanti al diner, tenne lo sguardo fisso sul volante.
“Vai. Scendi.”
“Ripensa a quello che ti ho detto.”
Arrivò a casa di lì a pochi minuti. Non c’era nessuno. Si stese sul divano, massaggiandosi le tempie. Non si era mai sentita così stanca, era come se qualcuno le avesse soffiato via ogni energia. Prese il cellulare e mandò un messaggio a Scar, dicendogli che non lo aveva trovato e che era sana e salva a casa. Fuori, l’ambulanza stava passando ad alta velocità, ma lei non ne sentì la sirena perché si era addormentata sul divano, raggomitolata su se stessa.
 
 
Fu svegliata da una gentile scossa alle spalle. Rumpelstiltskin era vicino a lei, seduto sull’orlo del sofà. Rapunzel gli gettò d’istinto le braccia al collo, ricordandosi che era tutto quello che aveva.
“Rumpelstiltskin, che giornata orribile.”
“Temo di doverti dare una brutta notizia, dearie.”
“Cos’è successo?”
“So quello che hai fatto oggi a Booth.”
“L’ho fatto per te.”
“Questo gesto ti ha reso malvagia, dearie. Sei diventata come Regina.”
“Non ho fatto niente, l’ho solo spaventato un me. Non avevo intenzione…”
“L’intento è ininfluente, dearie. Sono i risultati che contano. Tu non sei più la Rapunzel che amavo. Mi dispiace.”
“Ti prego…”
“Sei diventata un pericolo, come la regina. Mi dispiace.”
Le dita di Rumpelstiltskin si strinsero attorno alla sua gola, e lei non poteva muoversi, né parlare.
 
 
Rapunzel si svegliò di soprassalto e cadde dal divano, sbattendo la spalla sullo spigolo del tavolino. Se la massaggiò, grata tuttavia che il dolore la stesse svegliando e distogliendo da quell’incubo orribile. Era piena di brividi e le veniva da vomitare. Si alzò e corse al bagno più vicino, rigettando quel poco che aveva mangiato a pranzo. Si pulì la bocca con una salvietta e si sciacquò il viso con acqua gelida. Sarebbe rimasta lì a respirare profondamente per ore, se non fosse squillato il cellulare.
“Pronto?”
“Tesoro, stai bene? Ti sento male.”
“Rumpelstiltskin, torna a casa, ti prego.”
“Sono sulla via del ritorno. Cos’hai?”
“Niente. Ho fatto un brutto sogno. Ti devo dire una cosa importante.”
“L’hai saputo?”
“Cosa?”
“Di Henry.”
Lei si sentì vacillare e si resse al divano per non cadere.
“No. Cosa gli è successo?”
“Regina aveva preparato per Emma un dolce di mele, l’ultima mela avvelenata che le era rimasta. Solo che non l’ha mangiata lo sceriffo.”
“Oddio, allora l’ambulanza di poco fa…”
“Henry è in coma. Nessuno sa se ce la farà. Il prezzo della magia l’ha pagato la persona sbagliata.”
 
 
 
Angolo dell’autrice: Scusate, scusatemi tutti per il ritardo! Spero che questo capitolo ricompensi l’attesa e le aspettative. Ormai ne rimane uno solo, ma… contrariamente a tutte le mie previsioni e a quello che pensavo di fare, ci sarà un sequel ambientato durante la seconda stagione! Ringrazio tutti quelli che leggono la mia storia e alla prossima!

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Capitolo 25
*** Magic is back ***


Non appena sentì la porta di casa aprirsi, Rapunzel corse incontro a Rumpelstiltskin e lo abbracciò, tremando.
“Ti prego, dimmi che Henry sta meglio.”
“Non ne ho idea, dearie, ma la maledizione usata da Regina è la stessa che aveva usato per Biancaneve.”
“Quindi c’è speranza…”
“Sì, ma Emma deve capire cosa fare. Deve credere.”
Lei allargò le braccia e le lasciò ricadere lungo i fianchi.
“Sarebbe più facile convincere Regina a diventare buona.”
Lui le accarezzò una guancia, serio.
“Vedremo.”
“Henry è come un fratello per me. Non volevo che gli succedesse questo.”
Rumpelstiltskin la fissò, come se stesse soppesando probabilità più appropriate.
“L’ho visto, Rapunzel. Emma crederà, ricorderà. Ma non so quando, voglio essere onesto con te.”
Rapunzel si lasciò cadere sul divano, non sentendosi più la forza di restare in piedi.
“Se solo avessi ancora la mia magia… forse potrei guarire Henry.”
“Nemmeno i tuoi capelli avrebbero potuto fare niente contro una maledizione, dearie.”
Sentì Rumpelstiltskin sedersi vicino a lei e circondarle le spalle con un braccio, mentre le baciava la testa.
“Eri sconvolta quando ti ho chiamata. Cos’è successo?”
Lei rise piano, un po’ istericamente.
“Mi sembra una sciocchezza adesso. Un brutto sogno.”
Alzò lo sguardo e lo guardò dritto negli occhi, stringendogli una mano.
“Sono stata io a spostare gli articoli del tuo negozio per farti perdere tempo. Ho ingannato Scar e ho rapito Booth. Volevo farlo soffrire come lui aveva fatto soffrire te.”
Strinse le labbra e una lacrima le scese sulla guancia.
“Non pensi che io sia diventata malvagia, vero Rumpelstiltskin?”
Il viso di lui non era mai stato più aperto: tutta la sua sorpresa era evidente. Gli occhi spalancati, le sopracciglia corrugate, la bocca dischiusa… solo quando le aveva parlato di Baelfire aveva perso così il controllo. Rumpelstiltskin avvicinò il suo viso come per leggerle le iridi, ma poi lo sguardo si rischiarò delle sue solite pagliuzze dorate e rise.
“Malvagia? Dearie, dearie…”
L’abbracciò e le fece posare la fronte sulla spalla, continuando a ridere.
“Perdona la mia reazione, dearie, ma non ho mai avuto nessuna damigella che mi difendesse così agguerritamente.”
Lei sospirò di sollievo e lo abbracciò a sua volta, nascondendo la sua espressione nel suo petto.
“Cosa hai fatto a quel povero disgraziato?”
“Volevo usarlo come legna per il fuoco, ma mi sono accontentata di raccontargli una storia paurosa.”
Lui le sorrise, addolcendo lo sguardo. Rumpelstiltskin sembrava particolarmente intenerito.
“La mia bellissima Psycho.”
All’improvviso, lei si sciolse dalla stretta e smise di sorridere.
“Non ce la faccio a starmene qui seduta, senza fare niente. Anche se per uccidere Regina, devo agire.”
“Come desideri, dearie. Ma tieni a freno i tuoi nuovi istinti sanguinari. Uccidere Regina non risolverebbe niente.”
“Mi sentirei meglio ed eviterei problemi per il futuro.”
L’espressione di Rumpelstiltskin si addolcì ancora come poco prima e lui si alzò, appoggiandosi pesantemente al bastone.
“Ti dirò una cosa, dearie. Non l’ho vista, ma scommetto che Regina verrà presto a contattarmi per chiedere aiuto. Lei, o Emma.”
“Posso accompagnarti in negozio?”
“Stavo giusto per proportelo, dearie.”
Uscirono insieme e Rumpelstiltskin le cinse la vita con un braccio, avvicinandosela il più possibile. Dall’altro lato della strada il dottor Whale li guardava, raggelato. Rapunzel gli rivolse un sorriso luminoso e circondò anche lei le spalle di lui, appoggiando la testa.
“Non mi avevi detto che uscivamo allo scoperto.”
“Non pensavo ti dispiacesse.”
Lei ridacchiò.
“A Whale è dispiaciuto di certo.”
Avrebbe voluto picchiarsi la testa contro un muro per la sua stupidità. La stretta di Rumpelstiltskin si accentuò e la sua voce era come un coltello ricoperto da un panno di velluto.
“E perché avrebbe dovuto dispiacergli, dearie?”
Rapunzel sbuffò.
“E va bene, tanto vale che te lo dica. Alla festa dell’elezione di Emma ci ha provato con me, ma l’ho fatto desistere quasi subito.”
Il sorriso di Rumpelstiltskin la fece rabbrividire.
“Davvero, non c’è bisogno di picchiarlo.”
“No?”
“No. Per favore.”
Lei rallentò e non sollevò più lo sguardo da terra.
“Non sapevo che ci tenessi tanto a Whale, se proprio vuoi…”
“Mi sembra ingiusto stare qui a scherzare, mentre Henry è in coma.”
Arrivati al negozio, Rumpelstiltskin le tenne la porta aperta, poi le scostò una ciocca di capelli dalla fronte.
“So che gli eri molto affezionata, e so cosa vuol dire perdere un figlio. Non augurerei mai a Emma Swan un tale dolore. Ma per poterlo salvare, dovrà essere davvero disperata.”
“Cosa intendi dire? Ti prego, Rumpelstiltskin, non posso sopportare i tuoi enigmi in questo momento. Non ce la faccio.”
“Se verrà da me a chiedere aiuto, le farò recuperare una pozione importante per me. Tu verrai con me nel pozzo della vecchia collina e vedrai cosa succederà. Quando Emma Swan sarà davvero convinta d’aver perso Henry per sempre, allora gli darà un ultimo bacio.”
“Il bacio del Vero Amore. Mi dispiace, ma non verrò con te. Voglio essere lì per assicurarmi che Henry viva. Quando vedrò che si riprenderà, ti raggiungerò ai piedi della collina.”
“ È un patto, dunque, amore mio.”
Dopo nemmeno mezz’ora il campanello del negozio suonò, ma non era né Regina né Emma. Era Scar.
“Sta succedendo qualcosa, ‘Stiltskin.”
Rapunzel gli lanciò un’occhiata divertita, ma il viso di Gold era impassibile.
“Hai sentito di Henry?”
Il viso di Scar si allungò. Lei sapeva che non lo avrebbe mai ammesso, ma si era affezionato al bambino.
“Regina merita di essere divorata. Appena si spezzerà la maledizione, potrebbe venirmi fame.”
Rumpelstiltskin uscì da dietro il bancone e alzò il bastone con fare amichevole verso il petto di Scar.
“Ho sentito che non hai ben compiuto il tuo lavoro, oggi.”
Rapunzel scattò vicino a lui.
“Non osare, Rumpelstiltskin! L’ho ingannato io e lo sai.”
“In quel lasso di tempo, anche se per tua iniziativa, eri incustodita. Regina avrebbe potuto rapirti, ucciderti…”
Scar tossì.
“Non è questo il nostro problema.”
Rumpelstiltskin sospirò e rilassò le spalle. Fissò intensamente Rapunzel, che non abbassò il suo sguardo.
“Ragazzi… ci sono anch’io.”
“Ancora qui? Sei libero per il momento, Scar. Baderò io a lei. Tieni gli occhi aperti, fra poco succederà qualcosa di grande.”
L’uomo uscì e lei notò che la sua andatura era molto più felina di quella che aveva sempre visto in lui. Rumpelstiltskin la prese per le spalle e la fece appoggiare sulla cassa, sfiorandole i capelli con la bocca.
“Sai che voglio che tu sia sempre al sicuro. Se Regina ti facesse del male…”
Rapunzel gli sorrise e gli scostò i capelli dagli occhi.
“Lo so. Ma non mi va che fai pagare gli altri per me.”
“Non gli avrei fatto niente. In fondo, come hai preso in giro lui hai ingannato anche me. Nessuno riusciva a farlo da molto tempo, dearie.”
Lei gli prese il viso tra le mani e lo baciò, passando dalla fronte, agli occhi, scendendo fino alla bocca.
“Mi dispiace. Ti amo.”
“Sai che non potrei mai stare arrabbiato con te.”
La porta del negozio si spalancò bruscamente e loro due si separarono. Emma e Regina erano quasi di fronte a loro, entrambe con gli stessi occhi arrossati e l’espressione decisa e disperata.
“Sbaglio, o quello è lo sguardo di chi crede?”
“Emma, mi dispiace tanto per Henry.”
Regina sbatté la mano sul bancone, sibilandole contro.
“Se ne vada, signorina Rampion. Non abbiamo bisogno delle sue scuse.”
Gold la guardò con gli occhi socchiusi.
“Regina, fossi in te misurerei le parole.”
Ma Rapunzel si era già chinata in avanti, il viso a pochi centimetri da quello della regina. Gli occhi verdi erano freddi e la bocca era ridotta ad una linea sottile.
“Cos’altro potete farmi, Maestà? Il cuore me l’avete già strappato.”
Regina scattò indietro, inorridita.
“Come fa a ricordare?”
Emma le stava guardando, scioccata. Rumpelstiltskin ritenne opportuno intervenire: c’erano tre donne arrabbiate nel suo prezioso negozio.
“Immagino vogliate aiuto per Henry. Ti avevo avvisato, dearie, che la magia ha sempre un prezzo.”
“Non doveva essere lui a pagarlo!”
“No, doveva essere lei, Maestà, su questo siamo tutti d’accordo, ma questo non cambia ciò che è successo.”
Emma appoggiò una mano sul bancone.
“Può aiutarci?”
Lui sorrise.
“Ovviamente. Il Vero Amore, signorina Swan, è la chiave di tutto. Dai capelli dei suoi genitori ne ho imbottigliato un po’ e ne è bastata una singola goccia sulla pergamena della maledizione perché ricordassi al momento opportuno. Lei, Emma, è il frutto della magia.”
“Per questo sono la Salvatrice, vero?”
“Esattamente.”
Regina continuava a fissare Rapunzel, furente.
“Come mai lei ricorda, Rumpelstiltskin?”
“Te l’ho già detto, dearie, il Vero Amore è la magia più potente di tutte.”
“Tuttavia non è servito per Biancaneve e gli altri.”
“Io non sono Charming e lei ha avuto a che fare con tutti noi. Inoltre senza di lei Emma non sarebbe mai nata.”
Emma sussultò.
“Perché?”
“Fece fuggire tua madre quando era ancora al castello della regina.”
Rapunzel le sorrise.
“Fu il prezzo del primo patto che firmai con lui.”
Regina strinse le mani contro il legno, facendo sbiancare le nocche.
“Ora basta, diteci come salvare Henry.”
“Ditemi, Maestà, la nostra amica è ancora nel sotterraneo?”
Sia Emma sia Rapunzel lo guardarono, incuriosite.
“Tu, piccolo folletto contorto, hai nascosto la pozione con lei?”
“No, non con lei, in lei.”
Gli occhi di Rapunzel si strinsero e lui si sentì in obbligo di spiegare.
“Misi la pozione in un uovo d’oro e strinsi un patto con Charming: in cambio del mio aiuto per ritrovare Biancaneve, avrebbe spinto l’uovo dentro il corpo della nostra amica.”
Emma sbottò.
“Begli amici! Dove si trova esattamente?”
“Il problema non è arrivarci, ma superare la prova. Fortunatamente, ho qualcosa che potrà essere d’aiuto.”
Spolverò con un vecchio straccio una scatola sottile che stava a poca distanza da loro, poi la aprì, sorridendo. Dentro un cuscino di velluto rosso stava una lunga spada, antica e pregiata.
“Apparteneva a suo padre. L’ho conservata per ventotto anni ed ora appartiene a lei, Emma.”
Emma prese la spada e la esaminò.
“Immagino che dovrà bastarmi.”
Regina si mise le mani sui fianchi.
“Lei non sa come maneggiare una spada. Lo farò io.”
“No, Maestà, sarà lei a svolgere il compito. È la Prescelta.”
“Henry è mio figlio!”
“Con tutto il rispetto, ma è suo figlio. Ora sapete.”
Emma lo fissò per qualche istante,  senza espressione. Rapunzel appoggiò la mano sulla sua.
“Lo so che non ti fidi di lui, ma di me puoi farlo, lo sai che non lascerei che accadesse niente a Henry.”
Regina la guardò, disgustata.
“Che valore potrebbe avere la parola della sgualdrina di Rumpelstiltskin?”
Gold scattò in avanti, prendendola per la gola.
“Attenta, dearie, alle tue parole, per favore.”
“Gold, si fermi!”
Rumpelstiltskin la lasciò andare, gli occhi pericolosamente scuri. Emma prese Regina per un braccio e insieme si diressero verso l’uscita. Rapunzel aspettò qualche istante, dopodichè prese la giacca.
“Vado a vedere Henry.”
“Ricordati il nostro appuntamento.”
Prima di uscire, lei rimase per qualche secondo ferma davanti alla porta, spaventata.
“Dimmi, Rumpelstiltskin, non vuoi che Henry muoia, vero?”
“Come puoi pensarlo, sapendo di Bae?”
“Non serve a lui quella pozione. Serve a te, vero?”
“Lo sceriffo non ha inteso le mie parole. Le ho detto che il Vero Amore è la chiave di tutto. Ma ti giuro, amore, che se anche le sue condizioni sembreranno perdute, lui non morirà. La tua amica Ruby aveva provato a vedere se Biancaneve fosse ancora viva verificando il respiro e la credette morta, ma è tutto previsto dalla maledizione.”
“Ma la magia è imprevedibile, qui.”
“Non a questo punto. Fidati di me.”
Lei non riuscì a fare altro che annuire e si diresse verso l’ospedale, frastornata. Era la prima volta che la sua fiducia verso Rumpelstiltskin vacillava così e il fatto la terrorizzava.
Tutto il personale sembrava in subbuglio, le infermiere correvano agitate. Ne fermò una, trattenendola per il braccio.
“Mi scusi, la stanza di Henry Mills?”
“La 114, povero piccolo.”
La lasciò andare e cercò la camera, pregando che tutto si sistemasse. Cos’avrebbe detto Henry? Che prima della vittoria dell’eroe, c’è sempre il momento più nero e disperato. Dovette trovare la forza per entrare: il bambino era disteso sul letto, pallido, con le labbra bluastre. Soffocò le lacrime e si sedette sul letto, vicino a lui, prendendogli la mano. La sua pelle era fredda, e mai la manina le era parsa più piccola e indifesa. Gli accarezzò i capelli, fissando il vuoto.
“Che ne dici, Henry, ti canto la nostra canzone?”
Iniziò ad intonare a bassa voce, vicino al suo orecchio, la sua melodia preferita, sperando che riuscisse a sentirla nel suo sonno profondo.
“Vuoi che ti racconti una storia? Con Neve e James ha funzionato, l’avevi detto. Sei un bambino così bravo, così intelligente.”
Stette in silenzio per qualche secondo, come se stesse aspettando una risposta. Prese il libro, abbandonato sopra il suo zaino, e lo aprì alla sua storia.
“C’era una volta, in un regno molto lontano, una fanciulla che viveva rinchiusa in una torre. Una donna malvagia e perfida, di nome Gothel, la teneva lì per servirsi della magia contenuta nei capelli della povera ragazza: potevano guarire e ringiovanire e la vecchia egoista non voleva condividere con nessuno quel magico dono. La giovane si chiamava Rapunzel e non le era mai permesso uscire, né tagliarsi la chioma, che col passare degli anni divenne talmente lunga che, calandola giù per la torre, serviva da fune a Gothel per venirla a trovare. La fanciulla era talmente stanca di stare rinchiusa, che strinse un patto con Rumpelstiltskin, il Signore Oscuro…”
Si bloccò, non riuscendo più a proseguire normalmente. Le spalle vennero scosse dai singhiozzi,
mentre lasciava scivolare via il libro dalle mani e premeva la testa contro i capelli del ragazzino.
Le lacrime stavano bagnando entrambi, me lei non se ne accorgeva.
“Henry, ti prego, Henry… grazie a te Emma crede e spezzerà la maledizione. Torna da noi.”
Continuò a piangere, stringendo forte la mano del bambino. Henry era sempre stato tranquillo, calmo, ma gli bastava così poco per sorridere e le guance gli si arrossavano sempre per l’emozione quando parlava di qualcosa che gli interessava. La prima volta che l’aveva visto le si era seduto vicino mentre beveva la sua cioccolata e le aveva messo davanti il suo libro di punto in bianco, chiedendole quale fosse la sua storia preferita.  
“Em, sei anche tu qui?”
Rapunzel alzò lentamente la schiena, sbattendo gli occhi per mettere a fuoco la persona che stava in piedi sulla soglia.
“Ne… Mary Margaret, sei qui anche tu.”
La sua amica la cinse per le spalle e  rimasero per qualche secondo a guardarsi, sconsolate, senza bisogno di comunicare a voce alta ciò che pensavano.
“Sei un disastro, Em. Vai a prenderti un caffè, starò io con Henry.”
Rispettando il desiderio dell’amica di passare un po’ di tempo con suo nipote, Rapunzel si alzò e si asciugò le lacrime con il dorso della mano, inspirando.
“Hai ragione. Torno subito.”
Diede un’ultima carezza ad Henry, dopodiché uscì, guardando dal riflesso della porta trasparente Neve chinarsi per toccare la fronte del piccolo, grande bambino. Chiuse piano la porta, appoggiandosi per non cadere. Passo dopo passo raggiunse la macchinetta e si prese un the, prendendolo con tutte e due le mani per non farlo cadere. Restò lì, a bere, gli occhi vuoti. Voleva che Rumpelstiltskin fosse lì, a rassicurarla. Era come se solo con lui si sentisse sicura, reale.
Vide il dottor Whale attraversare la sala e si mosse verso di lui, chiamandolo a gran voce.
“Whale! Dottore, cosa può dirmi di Henry Mills?”
“Ho paura di non poter pronunciarmi, signorina Rampion. È in condizioni critiche e potrebbe anche non svegliarsi.”
Lei strinse il bicchiere vuoto tra le dita, stringendo i denti.
“Cosa intendete fare?”
“Non si può fare niente. Stiamo attendendo sviluppi.”
Rapunzel era così frustrata che avrebbe volentieri scosso il medico per il bavero, ma sapeva che non era colpa sua se Henry era in quello stato e la scienza non poteva superare la magia. Si accontentò di allontanarsi a grandi passi e andò in sala d’attesa, semivuota. Si prese la testa tra le mani e pregò una qualsiasi entità di salvare la vita al bambino. Voleva che i suoi capelli avessero ancora il loro antico potere per poter fare almeno un tentativo.
“Camera 114, camera 114, presto!”
Rapunzel sollevò il capo, impallidendo. Whale, la Madre Superiora e qualche infermiera stavano correndo dentro e fuori dalla stanza di Henry, mentre Neve teneva aperta la porta. Non si accorse nemmeno di averli raggiunti, ansimando.
“Che succede?”
“Sta peggiorando. Abbiamo già chiamato sia il sindaco sia lo sceriffo. Vorranno dirgli addio, immagino.”
Lei vide rosso di fronte all’estraneità di Whale e lo schiaffeggiò più forte che poté.
“Stiamo parlando di un bambino! Fingi almeno di esserne colpito, codardo!”
L’altro la guardò, esterrefatto.
“Le do subito un sedativo, signorina Rampion. Nelle sue condizioni….”
Furono interrotti da passi affrettati ed energici. Emma e Regina li spinsero di lato per avvicinarsi ad Henry.
“Si dia da fare, Whale, faccia il suo dovere, prenda delle apparecchiature, qualcosa!”
Nessuno osava disobbedire a Regina quando parlava con quel tono e Reul Ghorm lo seguì per parlargli. Le infermiere erano affaccendate attorno al lettino di Henry e non si accorsero di quando la regina prese Rapunzel per la gola, stringendo e graffiando la pelle con le unghie.
“Maledetta, è tutta colpa tua e del tuo miserabile folletto. Ci ha mentito ed ora mio figlio sta morendo per colpa sua!”
Lei reagì e graffiò il viso di Regina, irata, poi le diede una ginocchiata sul ventre.
“Non è stato lui a dargli una mela avvelenata, Maestà.”
Emma afferrò il sindaco per le spalle e la tirò indietro.
“Basta! Henry…. Non lo vorrebbe. Regina, Emilie e Gold non sono un’unica persona. Lui ha fatto uno sporco doppiogioco, ma lei non ne ha colpa.”
Rapunzel si massaggiò la gola e cercò di trovare la voce.
“Non ti ha mentito, Emma. Il Vero Amore è la chiave di tutto…. Vi ha usate per arrivare alla pozione, ma vi ha anche detto cosa fare per salvare Henry. Non lascerebbe mai che un innocente, un bambino morisse.”
Emma la guardò, disorientata.
“Non serviva la pozione?”
“Sai che tutti credevano Biancaneve morta, mentre in realtà era caduta in un sonno profondo? Con Henry è la stessa situazione.”
La regina sobbalzò, come se fosse stata scottata. Corse di fianco al figlio adottivo e lo baciò sulla fronte, sulle guance, singhiozzando.
“Non è vero, non è vero, non si sta svegliando! È una bugia, tutta una bugia!”
Rapunzel prese le mani di Emma.
“Non va bene un amore qualsiasi. Devi farlo tu.”
La sua amica indietreggiò, senza smettere di fissarla come se si fosse trasformata in un’Idra. Emma si lasciò cadere vicino al figlio e iniziò a piangere, singhiozzando quasi senza emettere rumori. Sia Whale sia la fata erano tornati e assistevano impotenti sulla porta.
Emma posò la bocca sulla fronte di Henry, sussurrando parole che nessun altro poteva sentire. Fu come se qualcuno avesse aperto le finestre, facendo entrare la luce dopo il buio assoluto: ci fu un respiro trattenuto da tutti, una ventata luminosa li avvolse e Rapunzel seppe che anche gli altri avevano iniziato a ricordare.
Henry annaspò, all’improvviso, sollevando la testa, respirando profondamente. I suoi occhi chiari erano fissi sulla madre, stanchi ma esultanti.
“Hai creduto…”
Regina corse da lui e lo abbracciò, piangendo. La fata Turchina l’apostrofò, gelida.
“Se fossi in lei, Maestà, inizierei a trovarmi un nascondiglio sicuro, perché ora il popolo ricorda quello che gli avete fatto.”
La regina la ignorò, guardando solo il bambino.
“Henry, ricorda, qualunque cosa ti dicano, io ti voglio bene.
Anche Rapunzel si avvicinò, trattenendo le lacrime.
“Principe Henry.”
Lui fece una pallida imitazione di una risata e lei lo strinse forte. Ora sapeva che era tutto a posto. Lo lasciò e uscì, ignorata da tutti. L’ospedale era diventato di colpo quasi deserto e lei non ebbe difficoltà ad uscire indisturbata. Fuori c’erano persone che si abbracciavano, che piangevano, che cercavano qualcuno. Si poteva quasi vedere l’agitazione fluttuare nell’aria.
Trovò Rumpelstiltskin nella collina, come promesso. Stava picchiando il suolo coperto di foglie con il bastone ma la sentì arrivare prima che lei potesse parlare.
Rapunzel gli corse incontro, stringendolo così forte da farlo quasi cadere per terra.
“Henry è salvo, è salvo.”
“Ma certo, dearie. Ma certo.”
“Tutti hanno cominciato a ricordare.”
“La Salvatrice ha spezzato la maledizione, come previsto.”
Lei lo baciò, affondandogli le dita nei capelli.
“Rumpelstiltskin, è finita. È finita, ti rendi conto? Ora possiamo realizzare i nostri progetti: sposarci, uscire da Storybrooke e cercare tuo figlio…”
“Ci sarà tempo per tutto, amore mio, ma mi resta un’ultima cosa da fare.”
Le mise un braccio intorno alle spalle per tenerla vicino a sé e la condusse davanti ad un pozzo a pochi metri di distanza.
“Si dice che l’acqua di questo pozzo riporti a tutti ciò che è perduto.”
Lui tirò fuori dalla tasca una piccola ampolla di cristallo, con dentro quelli che sembravano tanti minuscoli atomi violacei che si agitavano impazziti.
“É…”
“Il Vero Amore, dearie.”
Rumpelstiltskin aprì la pozione e ne versò il contenuto nel pozzo. Rapunzel si sporse un poco, eccitata e intimorita al tempo stesso. Vide una nube viola risalire e contemporaneamente si sentì tirare indietro.
“Cos’è?”
“Magia, dearie.”
La magia uscì dal pozzo e si espanse, sfiorando le loro gambe e dirigendosi verso la città.
“Rumpelstiltskin, perché?”
“La magia è potere, amore mio. Senza di essa, non sarò mai in grado di trovare Bae e proteggerti da Regina.”
Tutto il cielo era ora coperto dalla nube, che stava avanzando sempre più veloce.
“Non è pericoloso, vero?”
“Non preoccuparti.”
Gli occhi di Rumpelstiltskin scintillavano e il suo sorriso ricordava quello del Signore Oscuro, poco più di una fessura. L’attirò a sé e la strinse fino a quasi farle mancare il respiro.
“Ora anche tu hai di nuovo la magia e potrai curare tutti quelli che vorrai.”
La riempì di baci nel viso, lungo il collo, ma lei lo fermò, ponendogli una mano davanti alla bocca.
“Hai detto che ci sarà tempo. Dobbiamo controllare gli effetti del tuo piano, amore mio.”
“Possiamo farlo dopo.”
Lei salì più in alto sulla collina e rimase a guardare la magia che avvolgeva Storybrooke, rabbrividendo per la fascinazione che stava subendo. Era come osservare una tempesta, o vedere un lupo selvatico passarti accanto. Rumpelstiltskin l’abbracciò da dietro.
“Lo senti anche tu, vero? È come se l’aria fosse diventata elettrica.”
Rapunzel alzò lo sguardo e lo vide, euforico, con i capelli al vento che lo rendevano ancora più bello ai suoi occhi.
“Avevi ragione, Rumpelstiltskin. Il Vero Amore è davvero la magia più potente di tutte.”
 
 
 
FINE… PER IL MOMENTO
 
 
 
Angolo dell’autrice: Finito entro il weekend!!! Ma non sarà la vera fine, no? Il seguito arriverà presto, nel frattempo ringrazio tutti quelli che hanno seguito questa storia fino in fondo, incoraggiandomi a proseguire con le loro recensioni o note, il loro contributo è stato di tre quarti buoni preponderante per la scrittura di questa ff. Un grazie ancora, e a prestissimo!

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