Tutta colpa della chimica

di Bibi94
(/viewuser.php?uid=192427)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tanto va la gatta al lardo ***
Capitolo 2: *** Soluzioni eccezionali ***
Capitolo 3: *** Risposte contrastanti. ***



Capitolo 1
*** Tanto va la gatta al lardo ***


(Ed eccomi di nuovo qui, a pubblicare il primo capitolo di una storia che è nata durante una classica lezione di chimica. Tanto per intenderci, la trama e i suoi sconvolgimenti sono puramente fantastici, ma devo ammettere che alcuni personaggi del racconto traggono ispirazione da persone reali, che, bene o male - giudicate voi, non saprei dare una giusta risposta :P - hanno influenzato lo sviluppo dell'intreccio. Ok, ok, so che mi sto dilungando troppo in spiegazioni di cui "nun ve ne po' frega de meno", ma ci tenevo a chiarire questo dettaglio. :) Per il resto, vi auguro una buona lettura e, soprattutto, tanti consigli per renderla migliore!! Commentate in molti!! :D :D)

Quell’estate sarebbe stata spettacolare: mari azzurri, brezze marine, bagnini muscolosi. La Puglia si preparava a entrare nella mia vita, per non uscirne più. Almeno fino a settembre, quando il ritorno alla quotidianità avrebbe obbligato anche noi, ingenui diciottenni, ad abbandonare i suoi luoghi da sogno. Ma, tre mesi erano più che sufficienti per vivere quest’avventura, programmata nel corso dell’anno precedente. I biglietti erano già stati comprati: il pullman sarebbe partito il 20 giugno, alle 4.00 di mattina, dall’Autostazione di Piazza XX settembre. Certo, il viaggio si prospettava lungo, ma cosa c’è di più stimolante se non un’attesa trascorsa in compagnia degli amici di sempre? Arrivati, avremmo raggiunto l’albergo per depositare le valigie, pesanti e faticose da trascinare. Poi, voilà lo spasso, la spiaggia e i campi di pallavolo, dove infinite partite ci avrebbero portato a insultarci l’un l’altro. La sera, invece, sarebbe stata dedicata alle sedute nei pub, alle feste e alle discoteche, con litri di sambuca pronti a riscaldare i nostri corpi.
Questa era l’estate. L’estate dei diciotto, la più indimenticabile di tutta la mia vita.
“E i quadri?”. Ci pensò Marilena, in un caldo pomeriggio di metà giugno, a ricordarmi la sfida che, prima della partenza, avrei dovuto affrontare. In verità, non si trattava esattamente di una missione da vincere: la parola più adeguata sarebbe stata “miracolo”. Un miracolo difficile da compiere, ma ugualmente intrinseco nelle mie speranze. Infatti, da lì a poco, il 18 dello stesso mese, la scuola avrebbe pubblicato i quadri di fine anno scolastico, attesi con felicità da chi sapeva di sapere, temuti da chi non poteva negare le proprie lacune in una o più materie.
La sottoscritta, nonostante il grande impegno dimostrato nel corso degli ultimi mesi, si trovava nel secondo gruppo di persone. Tutta colpa della chimica. La causa della mia ansia derivava solo, unicamente, dall’obbligo di studiare atomi, reazioni e sostanze pure. Infatti, a scuola non andavo male: la mia media tendeva a superare l’8, ma, quell’anno, rischiava di essere lasciata in sospeso proprio dalla materia che più detestavo. Purtroppo, matematicamente, la somma dei voti ottenuti da febbraio a giugno – un quattro, un cinque e mezzo e, last but non least, un misero tre – non si avvicinava neanche di un miglio al tanto agognato sei. Inoltre, la già tragica situazione era aggravata dalla professoressa, la quale aveva perso ogni stima nei miei confronti in seguito allo scarso interesse mostrato nel corso di una conferenza sul ruolo quotidiano della chimica. Ammettiamolo: in quell’occasione, mostrai abbastanza esplicitamente il mio menefreghismo, ma l’atteggiamento poteva essere giustificato dalla stanchezza che, da giorni, aveva colpito il mio corpo. A ciò si aggiungeva una nottata trascorsa in bianco, dedicata allo studio delle funzioni esponenziali e dei logaritmi, bestie nere della matematica. In simili condizioni, come si poteva esigere la mia concentrazione? Eppure, a nulla servirono le scuse ripetute più volte alla prof, disgustata all’idea di dover preparare argomenti che non fossero collegabili alla sua materia.
Così, dopo due mesi di Inferno, mi ritrovai a vivere con ansia le mie giornate estive, fino alla fatidica mattina del 18 luglio. Il Sole, riscaldando l’intera città, sembrava presagire buone notizie. Ma, meglio di chiunque altro, sapevo che non sarebbero stati i suoi raggi di luce a capovolgere positivamente i miei tre mesi futuri: tutto dipendeva da quel malefico voto, esposto nell’atrio principale a partire dalle ore dieci. Nonostante la scuola avesse sempre rispettato gli orari, mi presentai davanti all’ingresso mezz’ora prima. Non potevo nascondere una certa vergogna, che nasceva dalla stizza di dover condividere i miei voti con le altre persone, ascoltando commenti e risolini. Osservando i ragazzi che, nel giro di poco tempo, si accavallarono davanti al portone, cominciai a respirare in modo lento e faticoso. Un tentativo di mantenere la calma fallito miseramente.
Poi, ecco il gran momento: le porte si aprirono. Nel giro di un attimo, fui risucchiata dalla folla in corsa. Ognuno di loro superava i più lenti, curioso e impaurito allo stesso tempo. Incontrai sguardi e volti conosciuti, salutai velocemente studenti più grandi, fino a quando fui raggiunta da alcuni miei compagni di classe, che discorrevano sulle vacanze estive. Cercammo di farci spazio nella ressa, ma dovetti convincermi ad attendere il calo della “marmaglia”. Prima o poi, mi sarei trovata di fronte ai quadri. Prima o poi, avrei scoperto il mio destino, mettendo fine a quella lenta agonia che mi trasportava nella tragica fantasia dei poemi epici cavallereschi. Persa in questi pensieri, non mi accorsi del vuoto creatosi davanti a me, il quale mi affriva la possibilità di posizionarmi esattamente di fronte ai tabelloni delle classi quarte. Fu proprio Marilena a prendermi per mano e a spintonare gli sconosciuti per appropriarsi della strategica posizione.
“Pronta?” mi domandò con un sorrisetto così ansioso da far trapelare la mie stesse paure.
“Forse…”.
“Benissimo”. Girò la testa e, avvicinato il naso al foglio pieno di numeri, cercò l’elenco degli studenti di IV D.
Io, non avendo il coraggio necessario, mi limitai a spiare i suoi movimenti, fino a quando notai i suoi occhi prima sgranarsi, poi fermarsi a osservare un punto indefinito del pavimento.
“Mary, allora?”.
Risposta attesa, ma non pervenuta. Tutto ciò non presagiva nulla di buono, ma la speranza non poteva svanire così.
Sospesi la respirazione e mi voltai verso il tabellone.
Scorsi l’elenco dei nomi, trovando immediatamente la lettera M.
Mancini Vittoria.
Mi assicurai di leggere la linea giusta. Non c’erano numeri, ma solo asterischi che nascondevano i voti della pagella. E tre parole nella colonna della media finale: Sospensione di giudizio.
La Puglia aveva rigettato la mia richiesta di iscrizione.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Soluzioni eccezionali ***


“Secondo me, quel biglietto del bus potrebbe essere anche venduto”.
Lo sguardo di mia madre era serio, privo di quella serenità che riusciva a infondermi forza e determinazione. Continuava a guardarmi, in silenzio, mentre le mie mani tracciavano disegni immaginari sulla tovaglia della tavola apparecchiata. Davanti a me, il ticket, acquistato due mesi prima, sembrava attendere un suo movimento improvviso. Avrei giurato che, da un momento all’altro, avrebbe afferrato quel foglio per strapparlo in mille pezzi. Infatti, nonostante i dubbi continuassero a stuzzicarla, di un particolare rimaneva certa: la Puglia mi aveva fatto perdere il senno, esattamente come Orlando. A causa di quella vacanza, il mio impegno e la mia concentrazione erano così calati da avermi provocato un “trasformazione incorreggibile”.
“Io e tuo padre ti abbiamo dato il consenso, e tu hai cominciato a vagare tra le nuvole! Le conseguenze?! Eccole. A ogni modo, scordati i tuoi tre mesi da sballo. Resterai qui, a studiare”.
Le avrei risposto, se non avesse avuto il coltello dalla parte del manico. Infatti, prima dell’uscita dei quadri, avevo promesso di rimanere a Bologna nel caso in cui ci fossero state brutte sorprese. E quelle tre parole, sospensione di giudizio, non rappresentavano per nulla una buona novella. Così, con le lacrime agli occhi, dovetti accettare la sconfitta, avvisando gli amici della buca che avrei dato loro.

“Quindi, non vieni più?”.
Le parole di Gianfilippo, disteso sull’erba del parco, erano velate di una tristezza più che comprensibile. D’altronde, era stato lui, migliore amico dai tempi dell’asilo, a propormi la vacanza in Puglia. Grazie a lui, io e gli altri membri della compagnia avevamo ottenuto i biglietti del pullman a basso costo, concessoci dal padre autista. Aveva tutte le ragioni per sentirsi amareggiato, dal momento che anche Marilena, condividendo la mia stessa sorte, si preparava ad abbandonare il viaggio mai iniziato. Così, nel corso di quel torrido pomeriggio del 18 giugno, dopo la predica impostami dalla mamma, cominciammo a ragionare sulle lezioni estive, indette dalla scuola qualche giorno prima.
“Io penso di andarci, anche se approfondirò ulteriormente gli argomenti da una professoressa di chimica, che abita nel mio quartiere. Ne parlano molto bene” annunciò Marilena, ascoltando la mia risposta, la quale non si fece attendere: “Hai ragione: in effetti, credo che pure io frequenterò corsi privati. A proposito, mica conosci qualcuno disposto a darmi ripetizioni?”.
“No, mi dispiace, Vic. Speravo che la prof da cui andrò, la Malaguti, accettasse qualcun altro, ma mi ha già detto di essere troppo impegnata per seguire più di uno studente”.
Le sue parole mi delusero, ma Gianfi, che aveva ascoltato in silenzio quella tipica discussione da “rimandate”, intervenne per salvarmi. “Vic, io conosco un ragazzo disposto ad aiutarti! E’ un mio vicino di casa e, dato che la zona in cui abiti tu non è lontana dalla nostra, non avresti problemi di spostamento”. Lo guardai, piena di gioia, pregandolo di darmi notizie più dettagliate al riguardo.
“Si è laureato in chimica a pieni voti e ora aspetta di entrare a scuola come supplente. Se la cava e, circa tre settimane fa, mi ha detto di essere disponibile per eventuali ripetizioni. Sai, avevo bisogno di un aiuto per il maledetto compito di chimica del 5 giugno”.
“Quello in cui io ho preso due…” affermò, distaccata, Marilena.
“… e io tre” aggiunsi in modo ancora più amareggiato. “Comunque, grazie Gianfi, credo che prenderò in considerazione la tua proposta”.
“Fai bene, Vic. Chiedi a tua mamma, di sicuro lei lo conosce: è il figlio della panettiera che, quando eravamo piccoli, ci regalava gli ovetti Kinder!”. La sua risposta ci fece scoppiare in una grande risata. Bei tempi, quelli. Ma, ormai, era arrivato il momento di reagire, affrontando con dignità la partenza degli amici di sempre. Così, quando Gianfilippo annunciò l’ora di andare – doveva preparare le valigie quella sera stessa, in quanto avrebbe trascorso la giornata successiva a Maranello, dove i suoi, in occasione della splendida pagella ottenuta, gli avevano promesso la visita al museo della Ferrari - Marilena e io lo salutammo con affetto.
“Mi raccomando, ragazze! Studiate, ma prendetevi qualche giorno di pausa!”
“Gianfi, smettila! Se parli così mi innervosisci ancora di più! Tu, piuttosto, pensa a divertirti!”
“E manda tanti baci anche agli altri, da Carlotta a Stefano. Ah, ricorda a Marica che Claudio è un deficiente: dopo essere tornato con la sua ex, non merita più le sue attenzioni!”
“Lo farò, Vic! Ci vediamo a settembre!”.
Lo osservammo inforcare la bici, per poi allontanarsi velocemente verso la sua abitazione, scomparendo tra i raggi del Sole che, al tramonto, riempivano il parco di un’incredibile malinconia settembrina.

Rientrata, trovai mia madre sulla soglia di casa. Mi attendeva, impaziente e con le braccia incrociate. Dopo essere scesa dalla vecchia Graziella, mi avvisò di non andarmi a vestire in modo più pratico, come ero abituata quando, alla fine di una lunga giornata, desideravo spogliarmi dei jeans e delle scomode maglie.
“Ci aspetta una persona”.
Le chiesi spiegazioni, ma non mi degnò di considerazione.
Solo nel momento in cui fummo sul punto di partire, io muovendo faticosamente i pedali del catorcio, lei esibendo con orgoglio la sua bici nuova e scintillante, scoprii la misteriosa meta. Come avrei dovuto immaginare, la mamma aveva già contattato il vicino di Gianfi, Massimiliano. Da quanto mi raccontò, il ragazzo non si era tirato indietro e le aveva proposto un incontro per parlare della situazione, discutendo sulle ore e sui prezzi.
Così, ci ritrovammo davanti a una grande e moderna villetta. Il giardino, ricco di verde, conduceva a un portone protetto da una tettoia sopra la quale si ergeva uno spazioso terrazzo. Dopo aver suonato il campanello, attendemmo risposta, provando quasi spavento del San Bernardo che, sbucando improvvisamente da un cespuglio, cominciò ad abbaiarci aldilà del cancello.
La mia impazienza non poteva essere negata. Dopo le diverse informazioni ricevute, ero curiosa di conoscere colui che mia madre aveva definito un “ragazzo d’oro, serio e responsabile, con uno strabiliante rendimento scolastico alle spalle”. D’altronde, lei lo conosceva da quando era “piccino, piccino”, da quando la madre lo portava ai giardini pubblici, dove era impegnata a studiare per gli esami universitari.
Finalmente, l’attesa terminò e, dopo aver aperto il portone, sbucò un giovanotto sulla venticinquina, che ci salutò con tono gentile e disponibile. Non potei impedirmi di fissarlo, incantata da quei meravigliosi occhi azzurri che neanche gli occhiali grigi potevano nascondere. Ci invitò a lasciare le bici in giardino: nessuno le avrebbe rubate e il cagnone, Rex, era troppo buono per fare loro dei danni.
Appena entrammo in casa, un corridoio largo e luminoso ci immise nell’enorme salotto, arredato in modo ampolloso ma non pacchiano. A lato, una porta scorrevole mostrava la cucina in legno massello, rischiarata da una grande finestra che lasciava intravedere il giardino.
Non ascoltavo i discorsi della mamma, impegnata a ringraziarlo e a scusarsi per “il disturbo arrecato”. In effetti, mi sentito un po’ in colpa, ma, per la prima volta, individuai il lato positivo della chimica.
Ci sedemmo sui comodi divani e Massimiliano, presentandosi, mi chiese se i miei dubbi cominciavano già dai primi argomenti.
“Bhe, io, insomma, non saprei… credo di sì”.
Era evidente che la mia risposta non poteva essere compresa, tanto che fu necessario l’intervento di mia madre, la quale sottolineò le mie lacune fin dall’inizio.
In seguito, altri discorsi ci tennero occupati: i libri usati, gli esercizi poco chiari, il tipo di spiegazione offerta dalla profe, fino a quando ci concentrammo sui giorni disponibili e i prezzi.
Seguivo il dibattito tra la mamma e il ragazzo, studiando ogni suo minimo particolare e rispondendo confusamente alle domande che egli mi poneva. Mi piacevano i suoi capelli, castani con riflessi rossicci, evidenziati dalla luce che colpiva la sua pelle chiara. Ma, più di tutto, ero attratta dalla sua voce, acuta e particolare, capace di infondermi sicurezza. I movimenti delle mani erano rimarcati quando parlava, osservando negli occhi l’interlocutore.
Dopo aver studiato la situazione, mi diede appuntamento il lunedì successivo, per una prima lezione “di prova”, la quale non sarebbe stata pagata.
La mamma lottò invano per anticiparle i soldi, ma fu tutto inutile: prima, era necessario capire “se ci intendevamo” – condizione che ero pronta a dimostrare al meglio -, poi avremmo potuto parlare dei costi.
Era, senza dubbio, una persona sincera e, quando ci salutammo stringendoci la mano, sfoggiò uno di quei sorrisi che non avrei più dimenticato. Anche la mamma sembrò soddisfatta e, sulla via del ritorno, espresse il suo totale apprezzamento, chiedendo una mia opinione. Ma, al contrario di quanto mi aspettassi, le sue domande non si incentrarono sul tema scolastico:
“E’ carino, vero?”.
“Già, molto”.
In effetti, era proprio molto carino. Così carino che, quasi quasi, la sospensione del giudizio diventava un buon affare.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Risposte contrastanti. ***


Nonostante la singolarità di quelle torride giornate estive, dedicate più allo studio che al divertimento tanto atteso, le ore e i minuti trascorsero velocemente. Le lezioni a casa di Massimiliano si rivelarono alquanto interessanti: mi piaceva ascoltare le sue spiegazioni, chiare e dettagliate. Ogni argomento era trattato con la massima attenzione e il ragazzo si preoccupava di chiedermi se tutto mi apparisse ben comprensibile.
“La chimica è un po’ così: difficile all’inizio, ma, se entri nel sistema, riesci ad apprezzarla”.
Certo, non potevo negare l’esagerazione nascosta nelle sue parole. Era evidente che io e lo studio dell’atomo non saremmo mai andate d’accordo, ma , dopo nove mesi, ero soddisfatta di aver finalmente compreso il significato di orbitale. Nel frattempo, continuavano le mie chiacchierate con Marilena, la quale non riusciva più a negare la delusione di aver rinunciato al viaggio organizzato dai nostri amici: desiderava feste e risate, ma era costretta ad accontentarsi delle mie lunghe paranoie, riguardanti la paura di non rimediare il debito estivo. Anche Bologna aveva cominciato a piangere lacrime amare e solitarie, dovute al caldo asfissiante che costringeva gli abitanti a trasferirsi nelle ben più fresche regioni marittime. Intere famiglie, lungo via Indipendenza, caricavano le valigie nelle auto già stipate di bagagli, mentre i piccoli pulmini partivano dai parcheggi periferici trasportando allegre scolaresche. In tutto questo tran tran, l’unica persona che sembrava non volersi prendere una vacanza era mia madre. Nel corso del mese, si erano intensificate le chiacchierate con lei, tanto che imparai a memoria i nomi dei suoi colleghi, cominciando a capire gli intrighi e i sotterfugi contemplati dai gossip di redazione.
“Tu non hai idea del servizio che mi ha rilasciato il capo!” se ne uscì, improvvisamente, in un caldo pomeriggio di fine giugno, mentre ero intenta a svolgere gli esercizi assegnatemi da Massimiliano.
“Il capo, colui che se la faceva con la novellina, giusto?” chiesi con tono ironico, nel tentativo di distoglierla dal desiderio di raccontarmi affari che non mi interessavano.
“Esatto! Proprio lui. Mi domando che cosa ci trovasse in quella bell’imbusta!”
“… con i capelli arancioni. Sì, mamma, me l’hai già detto. Non è che sei gelosa di lei?”.
La fissai negli occhi, sperando di cogliere la verità nelle sue pupille glaciali. Da quando si era lasciata con papà, avevo riflettuto molte volte sulla possibilità di un flirt con un altro uomo. Eppure, nonostante alcune cene “con gli amici”, in occasioni delle quali era solita vestirsi con abiti eleganti e vistosi, mi facessero sospettare qualcosa, non avevo mai preso seriamente in considerazione la probabilità di imbattermi in una nuova storia. Secondo Marilena, avrei dovuto indagare, al fine di evitare un inaspettato – e imbarazzante - incontro mattutino con un macho mezzo nudo in bagno.
Mamma pareva essere sul punto di abbassare lo sguardo, ma il silenzio fu interrotto dalle sue parole, pronunciate con tono alto e autoritario, quasi come se fossero rivolte più a sé stessa che a me.
“Certo che no, Vic! Ma… ma cosa ti passa per la testa?! Dopo tuo padre, dopo quello stronzo di tuo padre, e rimarco la parola stronzo, non voglio saperne più di uomini! Lo sai”.
Annuìi, con poca convinzione, e sarei stata pronta a supplicarle di raccontarmi la verità se non mi avesse ricordato il suo imperdibile servizio a Platinete e, soprattutto, l’impresa da affrontare. “Basta con tutte queste chiacchiere! Finisci gli esercizi e preparati a domani: la prima lezione dei corsi di recupero ti attende”.
Come dimenticare l’appuntamento fissato alle 9.00 della mattina successiva? Come superare gli sguardi cinicamente soddisfatti della profe di chimica, che aveva annunciato di voler partecipare alle lezioni per ascoltare le conoscenze impartite agli studenti? La Belluni voleva accertarsi della nostra completa preparazione, dato che i corsi sarebbero stati tenuti da un altro insegnante. La sottoscritta, invece, avrebbe preferito sotterrarsi piuttosto che far parte di una nuova classe. Una classe di capre ignoranti nella materia più strana del mondo.
Entrai in aula a testa bassa. Non mi interessava osservare le facce di coloro che avrebbero condiviso con me spiegazioni ed esercizi. Feci solo in tempo a notare la presenza della spilungona di IV A, la bionda che tutti chiamavano Titti per i lunghissimi capelli biondi. Tinti, ovviamente.
Purtroppo, quella mattina era iniziata nel modo peggiore possibile, con un incidente che aveva intasato il traffico e aveva ritardato il mio arrivo a scuola. Così, dopo una corsa tra i sentieri del parco di fronte al liceo, raggiunsi la classe già stipata di gente. Mi resi conto, con amarezza, che Marilena aveva provveduto a sedersi senza lasciarmi libero il banco di fianco a lei, occupato da una ragazza dall’aria svampita intenta a raccontarle la storia della sua vita. Quando Mary mi vide, fece un gesto con la mano, quasi a volermi chiedere dove fossi stata in tutto quel tempo. Io la salutai e, notando che cercava di scusarsi per non aver pensato di procurarmi un posto vicino, mi diressi silenziosamente verso l’unica coppia di banchi rimasta libera, dalla parte sinistra della classe. Si trovava in un angolo poco illuminato dal Sole, i cui raggi sfilavano dalle finestre del lato opposto dell’aula. Seduta nel posto più interno, mi rallegrai rendendomi conto che, perlomeno, non mi trovavo in ultima fila: forse, alle mie spalle, qualcuno mi avrebbe fatto compagnia.
Nonostante ciò, le mie speranze andarono in frantumi quando vidi entrare, dalla porta in legno di cedro, due studenti strambalati. Il primo, poco più basso rispetto al secondo, indossava dei jeans che lasciavano scoperte le gambe dal ginocchio in giù. La maglia, nera e attillata, lasciava intravedere i muscoli non troppo marcati, i quali delineavano la pelle olivastra, come accade con le statue di marmo. Gli occhi, grandi e scuri, gettavano occhiate qua e là, accompagnate da un sorrisetto strafottente che egli sfoggiava osservando i nostri compagni di classe. Anche il secondo si guardava intorno, apparentemente con aria distratta. In realtà, il sorriso appena accennato e i vispi occhi di colore azzurro chiaro evidenziavano la risata trattenuta, dovuta a chissà quale comica visione. I jeans a cavallo basso e la lunga maglia bianca, firmata Nike, non celavano la magra corporatura, che, dal punto di vista estetico, era compensata da un’altezza medio alta, perfetta per il suo fisico. Direttisi verso i banchi alle mie spalle, percepii di sfuggita i sarcastici commenti relativi ad alcune ragazze sedute poco più avanti, udendo chiaramente il mio nome, collegato a quello di mio cugino: “Victoire! La parente di Marco è tra di noi!”.
Mi girai istintivamente, puntando una gelida occhiata al ragazzo dalla pelle olivastra, il quale, disponendo quaderno e astuccio sul banco, continuò a parlare con l’amico fissandomi a sua volta. “E’  proprio come lui, eh. Stesso naso pronunciato, stessi brufoletti sulle guance!”. Gli sghignazzi pronunciati dall’altro mi irritarono ancora di più, fino a quando non domandai loro, in tono scortese, cosa volessero da me.
“Ehy, cuginetta, sei nervosa proprio come il tuo cuginetto! Siamo in classe con lui, ci ha parlato spesso di te!” rispose il ragazzo con gli occhi azzurri, che avvicinò la mano presentandosi: “Io sono Filippo, Philippe alla francese! E questo coglione di fianco a me si chiama Nicholas”.
Avvicinando riluttante la mano, strinsi quelle di entrambe, nel tentativo di ripercorrere i miei ricordi; frequentavo spesso la classe di mio cugino, quel secchione di Marco, che aveva la mia stessa età e si trovava in IV H, ma non avevo mai fatto caso a quelle due buffe facce. Era evidente che parlava spesso di me, e chissà con che tono. D’altronde, lui e io non eravamo mai andati troppo d’accordo: dalla parlantina facile e facilmente irritabile, quando partecipavamo ai pranzi di famiglia dovevo sottostare alle sue lamentele e alle sue frecciatine sui miei gusti e, addirittura, sulle mie amicizie.
Filippo e Nicholas continuarono a parlare, ponendomi le domande più disparate. Per un momento, fui convinta di trovare la salvezza nella professoressa che, entrando con aria altezzosa, ordinò il silenzio.
“Ragazzi, piacere a tutti. Sono Marina Baroni e, da oggi, vi terrò il corso di approfondimento di chimica. Lavoreremo insieme, in modo da arrivare belli e pronti all’esame! Non siete contenti?”. Il silenzio tombale e gli sghignazzi che sfuggirono ai due ragazzi che sedevano alle mie spalle confermarono la risposta, la quale fu ignorata dalla profe. La lezione cominciò immediatamente e, tra soluzioni e miscele, mi sorbii le chiacchiere di Nicholas e Filippo. Sembravano due bambini delle elementari: uno tirava pezzi di gomma agli studenti seduti nei primi banchi, l’altro commentava, in tono volgare, i visi delle ragazze di fronte a me. L’intervallo mi salvò, ma solo per pochi minuti.
Infatti, scendendo le scale che, poco prima, mi avevano portato nei bagni del primo piano, fui conquistata da pensierose riflessioni. Ricordando il viso della mamma nel momento in cui, il giorno precedente, le avevo posto la fatidica domanda, fui sul punto di autoconvincermi dell’esistenza di una nuova storia d’amore. Non ero arrabbiata, non avevo paura: temevo solo che potesse soffrire nuovamente. Dopo le litigate scoppiate con papà, non meritava una seconda delusione. Certo, se la storia con lui era terminata, le colpe dovevano essere individuate anche nella sua lontananza dalla famiglia, che, in quel periodo, era cresciuta fino a intere giornate trascorse in Redazione. Per fortuna, dopo il divorzio, gli impegni erano diminuiti, come se gli articoli e le intervisti fossero elaborate proprio per scappare da un luogo che la opprimeva.
Persa in questi pensieri, non mi resi conto della voce che, da dietro, cercava la mia attenzione. La mano che si appoggiò improvvisamente sulla spalla mi fece sobbalzare. Mi girai istintivamente, senza badare al gradino successivo, convinta di camminare sopra un pavimento liscio e privo di ostacolo. Riuscii solo a incontrare due grandi occhi scuri e, percependo le grida chiamanti il mio nome, tutto scomparve in un vortice lontano, che catturava ciò che mi circondava, mentre io, priva di emozioni, crollavo senza trovare sostegno.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1064031