Centocinque giorni alla maturità - Cronaca di un’esperienza coercitiva

di Lely1441
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Mercoledì 9 marzo 2011 ***
Capitolo 2: *** Venerdì 11 marzo 2011 ***
Capitolo 3: *** Domenica 13 marzo 2011 Lunedì 14 marzo 2011 ***
Capitolo 4: *** Lunedì 28 marzo 2011 ***
Capitolo 5: *** Venerdì 15 aprile 2011 ***
Capitolo 6: *** Lunedì 30 maggio 2011 ***
Capitolo 7: *** Venerdì 3 giugno 2011 ***
Capitolo 8: *** Mercoledì 8 giugno 2011 ***
Capitolo 9: *** Lunedì 11 luglio 2011 ***



Capitolo 1
*** Mercoledì 9 marzo 2011 ***


Centocinque giorni alla maturità - Cronaca di un’esperienza coercitiva
 
 
 
You don’t waste no time at all,
don’t hear the bell but you answer the call:
it comes to you as to us all…
We’re just waiting for the hammer to fall
 
What the hell we’re fighting for?
Just surrender and it won’t hurt at all.
You just got time to say your prayers
while you’re waiting for the hammer to fall.
(*)
 
 
Mercoledì 9 marzo 2011
 
«Ti prego, abbassa quel volume», implora mia cugina, entrando nella stanza e lasciandosi pesantemente cadere sul mio letto. «Ho un mal di testa allucinante, stanotte per finire studiare mi sono ridotta alle due di mattina…»
Mi volto appena, colpito dalla corrente d’aria prodotta dalla porta che è rimasta aperta. «EH?»
«Abbassa quel volume!»
«COSA?»
Mia cugina rotea gli occhi al cielo, si alza e spegne le cuffie del computer. «Ti ho detto di abbassare il volume, prima che tu diventi irrimediabilmente stupido. Non che ci manchi poi troppo…»
«Ah, ok, ok», borbotto, l’attenzione rivolta al 99% al mio videogioco e all’1% a lei. Dopotutto è mia parente, non ci guadagno niente a forzare i miei istinti vitali (cioè continuare a giocare fino all’esaurimento delle mie energie… o dei miei punti vita, che dir si voglia) per darle retta.
Tanto si tratta sempre del solito blablabla.
«Hai finito di studiare storia?»
Storia, storia… Cosa c’era da studiare?
«Ah-ha», rispondo, sparando all’ennesimo idiota che mi si è parato contro. Ma te guarda ‘sti imbecilli. Sai che ho un fucile ultimo modello in mano, puoi farti ammazzare così?!
«Bravo! E scienze?»
Ma che cazzo! Pure scienze?! Ma i professori non hanno nulla di meglio da fare che sfogare le loro frustrazioni sessuali su di noi?
«Ho fatto, ho fatto, piantala di preoccuparti», sibilo infastidito. Se c’è una cosa che mi irrita, è quando mia cugina si comporta come mia madre (per fortuna che piantarsi davanti ad un computer è più difficile che farlo quando sto giocando con la wii in salotto, perché altrimenti avrei già dovuto dire addio alla mia tranquillità).
Lei si zittisce immediatamente - e già questo dovrebbe insospettirmi -, occhieggia lo zaino che è rimasto chiuso da quando sono tornato a casa all’1.30 - troppo faticoso anche fingere di aver fatto qualcosa - e si avvicina diffidente.
«Hai già messo dentro i libri per domani?»
«Uh-hu», bofonchio io, mentre l’1% delle mie cellule cerebrali rimaste sul chi va là strilla impazzito e infastidisce le altre, le quali tentano disperatamente di finire questo maledetto livello per battere il record di Vanni.
«’Sti, se tu mi hai detto anche una sola mezza verità in tutto questo discorso, giuro che mi faccio i capelli blu», afferma convinta, aprendo lo zaino e trovando conferma ai suoi dubbi. Dubbi piuttosto chiassosi, devo dire. «Non hai neanche tolto il dizionario per l’esercitazione di latino!», boccheggia avvilita, come se avesse scoperto nell’armadio il cadavere di un gattino scuoiato.
Forse con il gattino sarebbe andata meglio, dato che è allergica al loro pelo… Non poteva esserlo alla carta?!
La ignoro, sperando che mi vengano concessi quei due minuti che mi servo-
«MELISSA!», strillo orripilato, mentre lei mi fissa accigliata e con il cavo d’alimentazione in mano. «Come, come… No, stavo per finire il livello, non puoi davvero essere così stronza!»
«Stammi bene a sentire, Cristiano Cammareri», attacca, avvicinandosi e assumendo l’aria da Furia che la contraddistingue quando si altera per davvero. «Non me ne frega niente se i professori ti portano in palmo di mano perché sei giusto un po’ bravo in qualche sport: per quanto tu possa essere il nuovo profeta salvatore del basket questo non ti porterà a fare traduzioni da otto, e si dà il caso che tua madre, ovvero la sorella di mia madre, ovvero la persona più dolce e tenera del mondo, mi abbia chiesto una mano per riuscire a farti diventare un uomo e smettere di essere un… un…»
«Un cosa?», chiedo stupidamente. Lei mi guarda e lancia un acuto degno della Callas.
«Un cazzaro!», tuona, in una riproduzione abbastanza realistica della Galadriel cinematografica tentata dal potere dell’Anello. Mi appiattisco contro lo schienale della poltroncina e la fisso ad occhi sbarrati.
A volte dimentico che anche lei ha ereditato parte dei geni Visconti, che si trasmettono solo da madre a figlia, ignorando bellamente il ramo maschile.
«Mela…»
«Mela un cazzo», sibila, e se inizia ad essere volgare è sul serio un problema. Apre l’armadietto dei libri di scuola, trova quello di storia e me lo lancia addosso, rischiando di ammazzarmi. «Il capitolo sulla Rivoluzione Russa. Ora».
«Ma Mel, sono le 11! Non puoi davvero pretendere che inizi a studiare ades-»
Taccio davanti alla sua espressione, e apro rassegnato lo strumento della mia tortura.
«Non ti alzerai da qui finché non avrai finito di studiare. Tutto», conclude con tono sadico. Arrischio una sola occhiata al foglio affisso sotto il calendario della Roma, creato per segnare il countdown che mi separa dal primo giorno degli esami, e sospiro afflitto. Ancora centocinque giorni di supplizio.
La maggior parte delle persone teme la maturità in sé per sé, ma questo solo perché non hanno la famigerata Melissa Florenzi come cugina di primo grado…
«Cristiano! Concentrati!»
Non vedo l’ora di uscire da questo campo di concentramento.
 
 
(*)
Non perdi affatto tempo,
non senti la campana ma rispondi alla chiamata:
giunge per te come per noi tutti…
Stiamo solamente in attesa che si abbatta il martello.
 
Per cosa diavolo stiamo combattendo?
Solo arrenditi e non ti sarà fatto del male.
Hai giusto il tempo per dire le tue preghiere
mentre aspetti che si abbatta il martello.
 
Queen - Hammer to fall
 
 
Note dell’autrice: questa raccolta si è classificata prima al contest “Notte prima degli esami” indetto da Maeve e Mizar19; ringrazio ovviamente i giudici (con mesi di ritardo… XD), e faccio i miei complimenti alle altre partecipanti e podiste ^^
Secondariamente, questa raccolta è uno spin-off di un’altra mia raccolta sulla maturità, ovvero “Centosei giorni alla maturità - Diario di un lager”, rimasta inconclusa perché dopo il mio orale mi sono letteralmente data alla pazza gioia (roghi di appunti, bamboline voodoo di miei insegnanti, sacchi pieni di quaderni di matematica di cinque anni… Scherzo, ovviamente, non ho fatto veramente tutto questo. Dopottutto, faceva troppo caldo per accendere il camino). Sono tutt’ora incerta su come (e se) continuarla, perché sono rimasta fregata dal mio stesso aggiornare in base ai giorni in cui l’azione del capitolo veniva ambientata. Insomma, non posso postare a marzo la descrizione dell’orale di Nadia ò_ò Ci devo pensare su. Non mi dispiacerebbe neanche fare una raccolta universitaria, ma vedremo.
In comune con l’altra raccolta c’è soprattutto il personaggio di Melassa Melissa. Qualcosa alla ‘vediamo cosa si nasconde dietro ad una secchiona’, in pratica. Ovviamente è già del tutto scritta, quindi non sparirò nel nulla, tranquilli.
È ambientata durante l’anno scorso, quindi siamo ancora alla seconda prova di latino per il Classico e così via… Spero non crei alcun problema esistenziale o chissà cosa.
Ho terminato da poco una chiamata con una maturanda, quindi i miei migliori auguri per tutti coloro la cui apocalisse è anticipata a quest’estate. Pensate a godervela bene, o avrete sprecato mesi con l’angoscia di quattro stupide giornate. Non ne vale la pena ;)
Ci risentiamo l’11 marzo, alla prossima!

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Capitolo 2
*** Venerdì 11 marzo 2011 ***


Centocinque giorni alla maturità - Cronaca di un’esperienza coercitiva



Here I stand (here I stand…),
look around around around around
(Around around around around…)
but you won’t see me (you won’t see me…).
Now I’m here (now I’m here…),
now I’m there (now I’m there...):
I’m just a, just a new man,
yes, you made me live again!
(*)
 
 
Venerdì 11 marzo 2011
 
«Ti giuro, è stato un parto. Avrei preferito alzarmi in piedi, gettare i fogli al vento, spogliarmi e correre nudo per l’aula piuttosto che scrivere un altro rigo con la Mengoni appostata davanti a me… È stata un’ora intera a fissarmi, capisci? Non sono neppure riuscito a tirar fuori mezzo bigliettino, dato che me li ero lasciati per la fine… Quella vacca».
Io e Vanni siamo fuori in cortile, sfidando il freddo che non vuole saperne di andarsene, io per fare la seconda merenda e lui per fumarsi la terza sigaretta della giornata. Giovanni Palma, al secolo Vanni, è il mio migliore amico da quando siamo all’asilo: avevamo litigato su quale dei Biker Mice fosse migliore, se Turbo o Pistone, e non venendone a capo ci eravamo lanciati contro il pranzo. Amore dal primo istante. Abbiamo frequentato le stesse scuole fino alla scelta del liceo, dato che lui si è venduto alla concorrenza scientifica, ma, poiché l’edificio è lo stesso per entrambi gli indirizzi, approfittiamo delle pause per sfogarci delle prime tre terribili ore di scuola, oppure, come in questo caso, ci diamo un orario e con una scusa usciamo per farci gli affari nostri.
«Come pensi sia andata, nonostante tutto?», gli domando, a bocca piena. Lui scrolla nervosamente le spalle e sibila un:
«Sarà tanto se prendo la sufficienza, ma niente che non possa sopportare».
La differenza tra noi due è che io, pur non riuscendo ad avere il sei sicuro in tutte le materie, bene o male non ho mai avuto un debito - questo è dovuto al fatto che sì, essere lo sportivo migliore di un liceo Classico ha ed avrà sempre i suoi vantaggi -, mentre lui è avanzato con difficoltà e non è riuscito spesso a farla franca. Solo che si tratta dell’ultimo anno, e vedo quanto questo lo agiti.
«Vedrai che andrà bene», mormoro, con convinzione. «È pur sempre la prima simulazione di terza prova, saranno sicuramente più morbidi».
Lui scrolla le spalle e si accende un’altra sigaretta. Me ne offre una, ma come sempre la rifiuto: se voglio continuare a basare il mio futuro sulla mia prestanza fisica, non posso ridurmi ad avere due polmoni raggrinziti come quelli di un ottantenne.
All’improvviso si blocca e seguo il suo sguardo fino ad intravvedere, dietro le vetrate, mia cugina che scende le scale, visibilmente seccata.
«Quella di inglese si domanda se ti stai cibando di un cinghiale, e se magari te lo sei dovuto persino procurare cacciando», esordisce, piazzandosi davanti a me a braccia incrociate. Ormai i professori non fanno neppure più finta di credermi, quando chiedo di andare in bagno e sparisco per venti minuti.
«Arrivo, arrivo», ciancico, facendo di tutto il panino un solo morso e masticando a bocca aperta. Sia lei che Vanni mi guardano disgustati.
«Sei proprio un maiale», sbotta lui, e solamente allora Mela sembra accorgersi della sua presenza.
«E tu, che ci fai qui fuori?», domanda accigliata.
«La sua classe ha un’ora buca, dopo la simulazione», spiego io, evitando sul nascere qualsivoglia litigio. Questi due non vanno affatto d’accordo, e non capisco neppure il perché. Mia cugina s’era presa una bella cotta per lui, ma avevamo dieci anni… Dovrebbe esserle passata, no?
Vanni getta il resto della sigaretta per terra e la calpesta, limitandosi ad un ringhiato: “Ci vediamo all’uscita”, e andandosene senza salutare. Mia cugina resta in silenzio, finché strilla, orripilata:
«Oh, Dio! Già la simulazione? Siamo così indietro con lo studio, e il nostro tempo sta finendo, il nostro tempo sta finendo *!»
«Mela, mancano più di due settimane, evita di fare l’isterica come tuo solito», sospiro, alzandomi dal muretto su cui mi ero seduto e guadagnandomi un’occhiata truce.
«Immagino che tu abbia l’intenzione di preparare quattro poderosi programmi di metà anno in un solo pomeriggio».
Le regalo un sorriso smagliante.
«Come hai fatto ad indovinare?», chiedo, mentre torno in classe e la lascio fumante di collera repressa. Non vedo l’ora di andare agli allenamenti di basket, così da smaltire la tensione di mia cugina. Dovrebbe correre un po’ anche lei, ma se glielo proponessi temo mi ridurrebbe in un sacco da boxe…
 
 
(*)
Sono qui in piedi (sono qui in piedi…),
guardi intorno, intorno, intorno, intorno
(intorno, intorno, intorno, intorno…)
ma non mi vedrai (non mi vedrai…).
Ora sono qui (ora sono qui…),
ora sono lì (ora sono lì…):
sono solo un, solo un uomo nuovo,
sì, tu mi hai fatto vivere ancora una volta!
 
Queen - Now I’m here
 
* And our time is running out, our time is running out
Muse - Time is running out
 
 
 
Prossimo aggiornamento: 14 marzo

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Capitolo 3
*** Domenica 13 marzo 2011 Lunedì 14 marzo 2011 ***


Centocinque giorni alla maturità - Cronaca di un’esperienza coercitiva



This thing called love I just can’t handle it,
this thing called love I must get round to it…
I ain’t ready!
Crazy little thing called love.
(*)
 
 
Domenica 13 marzo 2011 Lunedì 14 marzo 2011
 
«Stai ferma lì, vado a prenderti un bicchiere d’acqua», borbotto a Mel, seduta in stato catatonico sul mio letto. Il problema di avere una cugina incapace di reggere un misero bicchiere d’alcol è che poi sei tu a doverla riportare a casa oltrepassando i controlli di tua zia… Ecco perché ho optato per ospitarla da me, dato che i miei - per grazia divina! - non sono ancora rientrati.
Dovrei farmi qualche domanda sullo squallore della vita di un diciottenne che rientra prima dei suoi genitori, ma ora sono più preoccupato per la figlia segreta di Courtney Love che minaccia di vomitare l’anima sopra la mia divisa da calcio da un momento all’altro.
«Tieni», sospiro, allungandole anche un pacchetto di biscotti trovato sulla credenza. Lei mi fissa con gli occhi socchiusi, e mi tira un debole calcio contro il ginocchio.
«Idiota, l’acqua e gli zuccheri peggiorerebbero solamente la situazione», biascica, e io le restituisco il calcio.
«Idiota, sei l’ultima persona in grado di sapere come si affronta una sbornia. Inoltre, è acqua calda con limone, o ti calma lo stomaco o ti aiuta a buttar fuori tutto», le spiego, sedendomi al suo fianco. Lei prende in mano il bicchiere che si inclina pericolosamente verso il pavimento, ma riesce a bere un po’ prima di appoggiarlo per terra.
«I biscotti però non li mangio», bofonchia, appoggiando il capo sulla mia spalla. «Non mi sono mai sentita più brutta e stupida e goffa in vita mia», continua, e mi rendo conto allarmato che si tratta di un Codice Giallo: l’anticamera dell’inferno per qualsiasi ragazzo.
«Mela, tu sei piuttosto carina, e sicuramente non stupida… Vorrei smentire per il goffa, ma non ti ho ancora perdonato il fatto di aver versato l’intera moka di caffè bollente dritta dritta sulle mie scarpe da tennis, due anni fa…»
Sento che ridacchia piano, e già mi sento su un terreno più sicuro.
«Quelle scarpe erano orrende…», bisbiglia, e mi inalbero:
«Assolutamente no! Erano stupende! Non ne ho mai trovate di più belle».
«Sei serio? Erano gialle. Fosforescenti».
«Sono serissimo».
«Con delle strisce blu elettrico e verde acido ai lati… Dai, erano assolutamente inguardabili».
«Ancora una parola e confermerai il mio sospetto che non si sia trattato di un incidente».
Mela si zittisce immediatamente, e ritorna alla cupezza di poc’anzi.
«’Sti, non mi guarda mai, non sa neanche che io esisto…», riprende il discorso, e per poco non mi schiaffo una mano sulla faccia.
«Chi, Mel?»
«Lo sai chi».
Qualcuno ricordi a mia cugina che, in quanto proprietario di un cromosoma Y, sono geneticamente impossibilitato ad entrare nella mente delle donne, e che la diretta conseguenza è che non ho la benché minima idea di chi stia tirando in ballo.
«Mela…»
«Capisci?! Proprio quest’anno, quando mi ero ripromessa zero distrazioni, dovevo… dovevo…»
La sua voce s’incrina e ho paura che alzi il tono, svegliando tutto il condominio. Le passo un braccio dietro alla schiena, e la stringo a me.
«Non sono cose che puoi governare, e comunque se non ti ricambia è proprio un coglione».
Lei mi guarda, sorpresa, e scoppia a ridere. E continuerebbe all’infinito se io non le avessi tappato la bocca con una mano, intimandole di fare piano.
«È che sei troppo… troppo…»
«Piantala di balbettare».
«Troppo stupido», singhiozza esilarata, gettandosi sul letto e continuando a ridacchiare tra sé e sé. «Fammi un bicchiere di latte caldo, va’. Quella schifezza è imbevibile».
Roteo gli occhi al cielo, tornando in cucina ed eseguendo gli ordini. Ripenso alle ultime interazioni con il genere umano maschile avute da mia cugina, e il cerchio si restringe subito: Vanni.
No no no, Vanni no, ti prego. Lui la detesta!
Rientro in camera e trovo la signorina già addormentata, stesa di traverso e totalmente incurante della mia povera divisa che mi ero stirato giusto qualche ora prima. Perfetto, si prospetta una notte sul divano: bel modo di trascorrere i cento giorni dall’esame!
Osi ancora una volta dire che non le voglio bene…
 
 
(*)
Questa cosa chiamata amore non riesco proprio a maneggiarla,
Questa cosa chiamata amore devo riuscire ad aggirarla…
Non sono pronto!
Piccola pazza cosa chiamata amore.
 
Queen - Crazy little thing called love
 
 
 
 
Prossimo aggiornamento: 28 marzo

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Capitolo 4
*** Lunedì 28 marzo 2011 ***


Centocinque giorni alla maturità - Cronaca di un’esperienza coercitiva



By flash and thunder fire I’ll survive
(I’ll survive, I’ll survive!),
then I’ll defy the laws of nature
and come out alive.
(*)
 
 
Lunedì 28 marzo 2011
 
Our time is running out, our time is running out; you can’t push it underground, you can’t stop it screaming out…*
«Appropriata la suoneria, ‘Sti», ridacchia Vanni al mio fianco, mentre finiamo i nostri dieci giri del campo.
«Me l’ha cambiata Mel, dice che questo dovrebbe aiutarmi a rendermi conto dello scorrere inesorabile del tempo che ci resta», spiego, ringraziando l’accigliato piccoletto di dodici anni che mi ha rincorso per metà del percorso per riuscire a consegnarmelo. Quello mi manda bellamente a quel paese - bastardo ingrato, io alla sua età avrei pagato oro persino per allacciare le scarpe ad un campione del mio livello! -, ma lo ignoro, preoccupato dal “Mela” che appare lampeggiante sul display. Che cos’ho dimenticato di fare stavolta…?
«Pezzo di deficiente!», tuona lei, «Si può sapere dove cazzo ti sei cacciato, eh?!»
Il tono è talmente alto che lo sente persino Vanni, lo capisco dal suo sorrisino malcelato.
«Mel, è lunedì… Ho gli allenamenti di calcio, ricordi?»
«Tu hai sempre qualche tipo di allenamento! Ma ti ricordo che domani c’è la nostra prima simulazione, e devi ancora ripassare due intere materie!», sfiata, e io mi chiedo perché la gente finisca sempre ad urlarmi contro e ad insultarmi. Sono un bravo ragazzo, bevo solo quando non devo guidare, non fumo, non mi drog- «Mi stai ascoltando?!»
«Sì, Mela, sarebbe impossibile non udire la tua soave voce da tre chilometri di distanza, temo», rispondo rassegnato, cominciando a rallentare il passo e a camminare per riprendere fiato. «Posso studiare quando torno a casa, dai».
Un silenzio di tomba cade tra noi, e io mi preparo all’ennesimo urlo. Invece, mi sorprende con un tono volutamente controllato.
«’Sti, ragiona. Finisci alle otto, con doccia e tutto torni a casa alle nove… Non mi risulta che tu possegga il dono dell’ubiquità».
«Mel, ho già saltato l’altra volta…»
«Passami Vanni».
Sia io che lui sgraniamo gli occhi, mentre mi fa cenno di non passarglielo per nessun motivo.
Mi spiace, sarai anche il mio migliore amico, ma non penso sia ancora nata la creatura che oserebbe mettersi contro mia cugina arrabbiata.
“Ti odio” sillaba silenziosamente, prima di afferrare il cellulare come se fosse un ordigno alieno. «Dimmi».
Segue una conversazione di cui non comprendo assolutamente nulla, ma lo sguardo di Vanni non mi piace affatto. «Va bene. Ci… Ci vediamo dopo», conclude.
«Allora?»
Lui sospira, e io lo guardo senza capire.
«Qualsiasi cosa farò, ricordati che ti voglio bene».
«Cosa…»
Scorgo la sua testa avvicinarsi a velocità supersonica alla mia, poi una botta e vedo tutto nero.
 
«Non pensavo m’avresti presa sul serio, sai?», sta dicendo mia cugina, e io socchiudo gli occhi in tempo per focalizzare lei e l’altro bastardo negli spogliatoi, seduti vicini.
«”Dagli una testata, se è il caso”… Ti ho solamente preso in parola. Come si dice, sopra lo scudo o sotto lo scudo, no? In qualche modo dovevo fartelo portare a casa».
«Non sapevo che anche voi Scientifici utilizzaste certi metri di paragone…»
«Non lo fanno mai, infatti», borbotto arrabbiato, cercando di raddrizzarmi. «Cosa diavolo è successo?»
«È successo che sono le cinque, ho il permesso di portarti a casa per un improvviso quanto devastante malore e così, forse, riuscirai a combinare qualcosa», cinguetta allegra Mel, alzandosi in piedi e aspettando che io la segua.
«Peccato che ora la mia testa non sia in condizione nemmeno di ricordarsi la filastrocca di Fra’ Martino, grazie al vostro prezioso aiuto», replico, non so se più sconvolto o seccato.
Fisso velenosamente Vanni, che fa spallucce. Tu quoque…
«Smettila di fare la vittima e vai a studiare, su», ridacchia lui, mentre Mel lo abbraccia, grata.
«Per una volta tanto hai fatto qualcosa di decente in vita tua, me ne ricorderò».
Ma guarda che faccia strana che fa quel lurido traditore… Mia cugina si avvia verso l’uscita e io lo blocco con un braccio.
«Da quant’è che ti piace Mel, Bruto?»
Purtroppo non ricevo altra risposta che un suo sorriso da sfinge, perché l’altra adorabile creatura che vuole il mio sangue minaccia di tornare dentro e trascinarmi via con la forza. E ne sarebbe capace.
«Buon Fichte!», è l’ultima cosa che mi dice quel criminale, prima che me ne vada con un’orrida sensazione di vuoto allo stomaco. Preferirei tifare Milan piuttosto che affrontare anche una sola pagina di filosofia…
 
 
(*)
Tra il fuoco e le fiamme del tuono sopravvivrò
(sopravvivrò, sopravvivrò!),
poi sfiderò le leggi della natura
e ne uscirò vivo.
 
Queen - Seven seas of Rhye
 
 
* Il nostro tempo sta finendo, il nostro tempo sta finendo, non puoi spingerlo sottoterra, non puoi farlo smettere di urlare…
Muse - Time is running out
 
Prossimo aggiornamento: 15 aprile

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Capitolo 5
*** Venerdì 15 aprile 2011 ***


Centocinque giorni alla maturità - Cronaca di un’esperienza coercitiva



I had a dream
when I was young,
a dream of sweet illusion,
a glimpse of hope and unity
and visions of one sweet union…
But a cold wind blows
and a dark rain falls
and in my heart it shows…
Look what they've done to my dream, yeah
(*)
 
Venerdì 15 aprile 2011
 
«Tesoro, per caso hai visto dove ho lasciato la mia borsa?»
«È qui, mamma, sulla sedia», mormoro, concentrato sull’ennesimo schema di storia che sono costretto a fare. Mia madre si affaccia dalla porta e quasi strilla dall’emozione.
«Cristiano! Stai davvero studiando?»
«Ho deciso di mettere fine alla mia vita tramite un bel suicidio neuronale, così non sporco in casa», ribatto, inacidito. C’è un buon motivo se è praticamente impossibile vedermi seduto a fare qualcosa per scuola: tira fuori il peggio di me. Fin da piccolo, tenermi fermo era impossibile; quando le mie maestre mi hanno trovato a cavalcioni del davanzale del quarto piano, mia madre mi ha iscritto il giorno stesso a tutti i corsi sportivi della città: calcio, basket, tennis, nuoto e judo. So che sembra impossibile, ma sono riuscito quasi sempre a far coincidere gli orari, con il risultato che tutte le mie energie vengono incanalate verso l’attività fisica per una media di circa cinque ore al giorno (purtroppo ho dovuto lasciare nuoto e judo in quarta ginnasio, tennis quest’anno, ed è un altro dei motivi per cui penso che la scuola sia fondamentalmente inutile).
Non c’è di cui stupirsi, quindi, che per un professore di ginnastica il cui motto è: “siete Classicisti, non preoccupatevi se siete penosi, almeno provateci” uno stacanovista dello sport come me sia quasi un Messia sceso dall’alto per rassicurarlo e fargli vedere che sì, tutte le sue frustrazioni e le sue pene saranno ben ricompensate, prima o poi.
Ciò che mia cugina odia del sistema (o Sistema, come lo chiama lei) è il fatto che, poiché da quando ci sono io non abbiamo mai perso una partita di nulla, e dato che Turaccioli è il genero della preside, io non possa essere bocciato. È matematicamente certo, assolutamente sicuro, nonostante il mio impegno pari a zero, mentre lei si fa un “culo così, ‘Sti, mi faccio un culo così!” per mantenere la sua media del nove.
Tante care cose, Mela, mi hai costretto tu ad iscrivermi al Classico per non rimanere sola. Poi, a dispetto di tutte le sue lamentele, si è sempre fatta in quattro per aiutarmi (un po’ perché si sente ancora in colpa del suo capriccio da tredicenne, un po’ perché mia madre gliel’ha chiesto piangendo), ma questa è un’altra storia.
«Tua cugina dov’è?», chiede mia madre, mentre controlla la lista della spesa attaccata all’anta del frigorifero.
«Boh… Ha detto che doveva studiare con altri nostri compagni di classe, penso sia a casa di uno di loro».
Mia madre mi scruta, sospettosa.
«È qualche settimana che questa storia vai avanti… Non avrete mica litigato?»
Roteo gli occhi al cielo. Io e Mela discutiamo un giorno sì e l’altro pure.
«No, mamma».
«Uhm, ok… Allora perché non le domandi se puoi aggiungerti a loro? Sempre meglio che studiare da solo, dopo un po’ so che ti deconcentri e inizi a fissare il soffitto…»
Adorabili genitori che cercano di farsi gli affari tuoi.
«Ricordi quando sono tornato a casa da scuola, tre anni fa, con la faccia e le braccia piene di graffi e morsi, zoppicando?»
Lei annuisce, aggrottando le sopracciglia, non capendo dove voglia arrivare. Sospiro.
«È successo perché avevo domandato a Silvia - quella bionda, quella carina - se volesse uscire con me. La sua migliore amica, Nadia, mi è saltata addosso e mi ha intimato di star loro lontano almeno trenta metri, fuori dalla nostra classe. Melissa è con loro e qualcun altro».
«Oh… In effetti, lo studio di gruppo solitamente è una scusa per non fare niente», aggiunge velocemente lei, cercando di non sorridere. Possibile che non capisca che sì, io posso aver seriamente paura di una ragazza schizzata quanto Nadia? Ci tengo alla mia incolumità!
«Mamma, non ridere».
«Non sto ridendo!», ghigna apertamente lei, avvicinandosi e lasciandomi un bacio sulla guancia. «Studia tutto, da bravo».
Dato che sembra essere in una modalità tanto positiva, arrischio la mia mossa finale.
«Ma’, vero che mi vuoi bene?», domando in tono piagnucoloso, tecnica affinata dopo anni di duro allentamento.
«Certo, tesoro».
«E quindi non fa niente se prendo meno di settanta all’esame…?»
«Provaci e di te non resterà che polvere», annuncia lei con tono soave, aprendo la porta di casa e uscendo. Sbatto ripetutamente la fronte contro il tavolo, dandomi dello stupido per aver nutrito qualche speranza.
Maledetti, maledetti tedeschi che hanno deciso di invadere la Polonia… È tutta colpa loro!
 
 
(*)
Avevo un sogno
quando ero piccolo,
un sogno di dolce illusione,
uno scorcio di speranza e unità
e visioni di una dolce unione…
Ma spira un vento gelido
e cade una pioggia scura
e nel mio cuore si mostra…
Guarda cos’hanno fatto al mio sogno.
 
Queen - One Vision
 
 
Prossimo aggiornamento: 27 aprile

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Capitolo 6
*** Lunedì 30 maggio 2011 ***


Centocinque giorni alla maturità - Cronaca di un’esperienza coercitiva



When you’re feelin’ down and your resistance is low
light another cigarette and let yourself go.
This is your life,
don’t play hard to get;
it’s a free world,
all you have to do is fall in love.
Play the game ev'ryone play, the game of love!
(*)
 
 
Lunedì 30 maggio 2011
 
«Tutto bene?», mi chiede Matteo, sorprendendomi in uno dei miei attacchi di morte cerebrale, che ultimamente si stanno riproponendo con una frequenza allarmante. Sembro sotto sedativi, costantemente.
«Voglio morire», proclamo con aria funebre, facendolo scoppiare a ridere. «È stata la lezione più… insostenibile e pallosa di tutto l’anno», concludo, accasciandomi sul banco.
«La Barberini non è mai stata leggera, ma ritengo che il suo massimo l’abbia raggiunto con Kant a ottobre».
Rabbrividisco, ringraziando il cielo che molti sabati, almeno quelli che non sono costretto a saltare per colpa di mia cugina, siano dedicati all’allenamento di basket di serie B, cosa che mi ha sempre fatto evitare degli incontri indesiderati di terzo tipo con filosofia, italiano e fisica… Ma quale immenso dolore.
«Dovrebbero rendere illegale permettere di insegnare a simili elementi, dovrebbe esserci una legge che lo vieti…»
«Dovrebbero vietare anche l’idiozia umana, ma Marika è ancora con noi e non in carcere», ribatte, riferendosi alla stupida della classe che ha posto domande sciocche ed inutili per tutta la lezione, rendendo una totale agonia il già terribile supplizio. Eppure, Matteo non è tipo da frecciatine, quindi lo guardo, ammirato.
«Ti facevo più uno stinco di Santo, sai?», gli confido. Lui mi fissa sorpreso e scoppia a ridere, alzandosi dal banco sul quale si era seduto.
«Solitamente lascio per me certe opinioni, tutto qui. Comunque volevo chiederti se ti andava di unirti a noi, questo pomeriggio, per il Grande Ripasso di fisica».
«Ho gli allenamenti di calcio, poi l’interrogazione è sabato… C’è tempo», rispondo, con la solita indolenza da “sono uno sportivo e lo studio non sarà mai il mio mestiere”. «Ma grazie lo stesso. Sbaglio o questi incontri stanno cominciando ad assomigliare ai ritrovi di una setta? Ieri addirittura mia cugina è uscita dopo cena…»
Lui mi rivolge uno sguardo perplesso, e capisco che la cara Melissa mi ha raccontato una balla.
«Ieri non avevamo in previsione nulla… Forse è semplicemente uscita, o hai capito male», tenta, incerto.  Dato che mi è stato insegnato che i panni sporchi si lavano in famiglia, gli rivolgo un sorriso rassicurante.
«Sì, scusa, mi stavo confondendo con un’altra cosa», rispondo, ma so già di non averlo convinto. Fortuna che la D’Agostino sceglie quel momento per entrare e incominciare ad abbaiarci contro, quindi c’è un fuggi fuggi generale verso il proprio posto. Fisso sovrappensiero Matteo, seduto come sempre accanto ad Anna, e mi chiedo chi sia stato tagliato fuori dalla vita di chi, se io da quella di mia cugina o lui da quella della ragazza di cui è palesemente innamorato fin dalla quarta ginnasio…
Anna si volta e mi sorprende a guardarli, così mi rivolge un sorriso radioso. Ricambio mentre il mio stomaco fa una capriola all’indietro - nessuna sorpresa, con lei di mezzo si è fortunati se non si hanno reazioni di ben altro tipo - e mi chiedo sconsolato perché debba essere così irreducibilmente lesbica. Non che io possa nutrire qualche speranza, dato che prima di me ci sarebbe una lista infinita di ragazzi, ma è uno spreco troppo grande per l’universo maschile…
«Cammareri, ci puoi degnare della tua attenzione o devo compilare un modulo di richiesta scritta da farti consegnare più in là?»
Che bocciolo di rosa, quest’insegnante.
Bagascia frigida.
 
 
(*)
Quando ti senti giù e la tua resistenza è bassa
accendi un’altra sigaretta e lasciati andare.
Questa è la tua vita,
non giocare duro per riuscire ad ottenere qualcosa;
è un mondo libero,
tutto ciò che devi fare è innamorarti.
Fai il gioco che fanno tutti, il gioco dell’amore!
 
Queen - Play the game
 
 
Prossimo aggiornamento: 1 giugno

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Capitolo 7
*** Venerdì 3 giugno 2011 ***


Centocinque giorni alla maturità - Cronaca di un’esperienza coercitiva



I hang my head and I advertise:
“A soul for sale or rent”.
I have no heart, I’m cold inside,
I have no real intent.
Save me, save me, save me,
I can’t face this life alone!
Save me, save me, save me...
I’m naked and I’m far from home.
(*)
 
 
Venerdì 3 giugno 2011
 
«Il moto apparente del Sole».
Guardo mia cugina sbattendo gli occhi.
«Il moto apparente…»
«Del Sole, sì».
«Uhm…»
Lei mi fissa per qualche istante, prima di chiudere il libro con un gesto secco.
«Basta, sono ufficialmente sei ore che studiamo senza interruzioni. Fonderebbero il cervello di chiunque», afferma, dirigendosi verso il mio frigo e frugando al suo interno, emergendone con la vaschetta di gelato delle Emergenze.
Mio. Dio. Questa non è mia cugina.
«Mela, sicura di stare bene?», domando, aspettandomi di vederle spuntare all’improvviso altre due teste dal collo per sbranarmi meglio. Alieni, demoni, qual è l’oscura forza impadronitasi del suo corpo?
«Benissimo, perché?», domanda lei, aggredendo con violenza la vaschetta. Ma non le ha insegnato nessuno che bisogna lasciarlo un po’ a temperatura ambiente per farlo ammorbidire…?
«Perché nessuna Melissa di mia conoscenza si sarebbe mai dichiarata sconfitta da un misero pomeriggio di studio…»
Assume il suo classico sguardo da folle, un po’ allucinato e un po’ omicida, ma invece di cominciare a gridare scoppia a piangere.
Possibile che quel gelato sia così duro?
«Non ce la faccio più! Continuano a dirci “studiate, studiate, perché se lo farete andrà tutto bene!” e io sto studiando, ma non credo che ci sarà qualcosa che riuscirà ad andare bene! Ho la sensazione di stare affogando, mi sento soffocata, voglio solo rompere questo… questa cosa che hanno creato*», singhiozza, lasciandomi basito. Una crisi isterica per il suo studio e non per il mio?
«Mel…»
«Fammi finire!», strilla, e io chiudo gli occhi per l’acuto. «Passi la vita a farti prosciugare l’esistenza da quei cosi, per avere uno straccio di possibilità per il futuro, poi ti dicono che stai studiando troppo e che non puoi lasciarti rovinare in questo modo! Ma facessero pace con il cervello!»
Uh, ora capisco. Ieri quello di italiano l’ha presa da parte per farle un discorso, preoccupato dal suo aspetto. In effetti avrà perso minimo cinque chili nell’arco di due settimane, ed un vampiro ha una carnagione più scura della sua - e meno occhiaie.
«Mela, tu sei sempre stata quella che amava studiare. Non lasciare che diventi un peso», le suggerisco, mentre le lacrime continuano a scorrere sul suo viso. «Non sei la ragazza che si danna per arrivare da qualche parte, lo fai perché ti piace, e penso che manca ancora un mese… Non fartelo rovinare». Lei annuisce, sfregandosi le mani sugli occhi. «La carta assorbente è dietro di te», borbotto, vedendola strappare rabbiosamente qualche foglio dal rotolo.
«Scusa».
«Figurati. Tutti stiamo dando segni di cedimento».
«Tutti tranne te», dice, con tono quasi risentito.
«Sono un totale incosciente, non ricordi?»
Lei sbuffa e sorride.
«Per fortuna che poi te ne vai a studiare Scienze Motorie e non Medicina…»
«Ammettilo che ti mancherò».
«Ma se mi toccherà aiutarti anche con delle materie che non sono mie!»
Scoppio a ridere e approfitto del momento per domandarle quello che voglio chiederle da un bel po’.
«Ehi, Mela. Non stai male solo per questo, vero?»
Lei torna a dedicarsi all’opera di disintegrazione del suo gelato, con una solerzia sospetta.
«No».
«E…?»
«E niente, non posso parlartene», chiude il discorso. Conosco quel tono, e so che non c’è verso di farle cambiare idea.
«Ti voglio bene, Mel».
E stavolta le lacrime che si affacciano dai suoi occhi mi fanno stringere lo stomaco in una morsa dolorosa.
 
 
(*)
Chino la testa e annuncio:
“Anima vendesi o affittasi”.
Non ho cuore, sono freddo dentro,
non ho nessun vero scopo.
Salvami, salvami, salvami.
non posso affrontare questa vita da solo!
Salvami, salvami, salvami...
Sono nudo e sono lontano da casa.
 
Queen - Save me
 
* I think I’m drowning, asphyxiated, I wanna break this spell that you’ve created
Testo in parte rimaneggiato, Muse - Time is running out
 
 
Prossimo aggiornamento: 8 giugno

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Capitolo 8
*** Mercoledì 8 giugno 2011 ***


Centocinque giorni alla maturità - Cronaca di un’esperienza coercitiva



Yesterday my life was in ruins,
now today I know what I’m doing.
Got a feeling I should be doing all right,
doing all right.
(*)
 
 
Mercoledì 8 giugno 2011
 
Quando rincaso sono ormai le nove di sera, e i miei sono sicuramente fuori. Sono euforico perché a calcio ci hanno spremuti come limoni, quindi sono troppo stanco per pensare che oggi è stato l’ultimo giorno di scuola, che non entrerò più in quella struttura se non per gli esami (che, porca miseria, è un ritorno di merda, lasciatemelo dire) e che la vera sfida inizia ora.
Per fortuna che sono troppo sudato persino per pensare di sprecare altro liquido corporeo per qualcosa tipo “piangere”.
Faccio in tempo ad appoggiare il borsone per terra, che il campanello squilla.
«Arrivo… Anna?»
Anna sbatte le palpebre, perplessa.
«Al citofono aveva risposto Melissa, aveva detto interno sei…»
«Questo è l’interno quattro, il sei è di sopra», spiego, non raccapezzandoci più nulla.
«Grazie!»
«Niente, figurati».
La osservo salire le scale di corsa, e mi chiedo che razza di mostri siano quelle due per studiare persino la sera dell’8 giugno. Roba maniacale.
L’unica cosa che voglio è farmi una doccia e… cavolo, mi sono dimenticato che lo scaldabagno è rotto, potevo lavarmi negli spogliatoi! Pazienza, chiederò a Melissa di poter usare il bagno degli zii, dopotutto non è la prima volta che succede. Prendo un cambio di biancheria pulita - scegliendo i pantaloni della tuta meno usurati; dopotutto c’è Anna in casa, non voglio fare la figura dello straccione -, il mazzo di chiavi in cui ci sono quelle della porta d’ingresso di Mela, e salgo. Entro senza suonare e urlo, a metà del corridoio:
«Mel, uso il tuo bag-»
Oh.
Mio.
Dio.
«Cristiano!», urla mia cugina, staccandosi dalle labbra di Anna.
«Voi due vi stavate… Cosa? Perché?», balbetto. «Ma a te piaceva Vanni!»
«Forse dieci anni fa, ‘Sti», risponde, mentre trattiene con una mano Anna, che vorrebbe solamente andarsene. «Resta», le sussurra, prima di accompagnarmi alla porta per un braccio.
«’Sti, ti prego, non dire niente a nessuno. Devo prima… abituarmici, ok?»
Annuisco, stordito. Sa benissimo che non la tradirei mai, ma questo non è un buon motivo per avermelo tenuto nascosto tanto a lungo…
«Mela, dovevi dirmelo. Come hai potuto far finta di niente? Non ti fidi abbastanza di me?»
«Non è che non mi fido, ‘Sti… È che so che anche la persona più buona del mondo può mostrare… remore… per questo».
«Ma io non sono la persona più buona del mondo! Sono Cristiano, sono tuo cugino, sono praticamente tuo fratello! Sono quello che è stato più a contatto con i tuoi pannolini di chiunque altro».
Sono arrabbiato. E deluso. Vedo che è sull’orlo delle lacrime, ma onestamente non mi interessa.
«Ti prego…»
«Non dirò niente, promesso», sibilo, tornando nel mio appartamento. Chiudo la porta con un calcio e decido che la doccia me la farò gelida, così magari riuscirò a placarmi un po’.
 
Sms da: Mela
Ricevuto alle: 21.38
Del: 08/06/11
 
Ti prego, scusami. Solo è già tanto difficile così e prima ho dovuto accettarlo io, volevo aspettare la fine degli esami per dirvelo, così da essere sicura di avere abbastanza tranquillità per studiare…
 
Sms a: Mela
Inviato alle: 22.57
Del: 08/06/11
 
Sei stata male per mesi e non mi hai permesso di aiutarti, anzi, non l’hai permesso a NESSUNO. Come credi che possa sentirmi? Quando ho rotto con Marta non hai fatto altro che stressarmi finché non mi sono sfogato, dicendomi che il male più grande che avrei potuto farti era quello di soffrire senza parlartene, che noi due ci saremmo sempre stati l’uno per l’altra… Era solo retorica?
 
Sms da: Mela
Ricevuto alle: 23.01
Del: 08/06/11
 
Ti prego, scusami.
 
Sms a: Mela
Inviato alle: 23.35
Del: 08/06/11
 
Buonanotte.
 
Sms da: Mela
Ricevuto alle: 23.39
Del: 08/06/11
 
Ti voglio bene.
 
 
(*)
Ieri la mia vita era in rovina,
oggi so ciò che faccio.
Sento che sto facendo tutto bene,
facendo tutto bene.
 
Queen - Doing all right
 
 
 
Prossimo aggiornamento: 8 luglio

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Capitolo 9
*** Lunedì 11 luglio 2011 ***


Centocinque giorni alla maturità - Cronaca di un’esperienza coercitiva



Too late, my time has come,
sends shivers down my spine ,
body’s aching all the time.
Goodbye everybody - I’ve got to go,
gotta leave you all behind and face the truth.
Mama ooo- (any way the wind blows),
I don’t want to die,
I sometimes wish I’d never been born at all.
(*)
 
 
Lunedì 11 luglio 2011
 
«Ti prego, ‘Sti, mangia qualcosa… Almeno un po’ di frutta».
«Vomito».
«Ma se poi non mangi e hai un calo di zuccheri e nel mentre dell’orale svieni e devi ridare tutto?»
Dovrebbero far lavorare mia madre a contatto con gli anoressici. Il solo pensiero di dover ricominciare daccapo mi fa salire un’ondata di nausea, di malavoglia prendo in mano il cucchiaio e affronto la tazza di latte (ormai fredda) con i cereali. Mi alzo in piedi e comincio a camminare intorno alla tavola, con gli occhi spiritati e due occhiaie lunghe fino ai piedi.
Inutile dire che stanotte non ho dormito assolutamente nulla, e che ho tentato un mega ripasso dell’ultima ora, del tutto inutile.
«Farò scena muta, ma’».
«Oh, non dire sciocchezze, tesoro», dice mia madre, smettendo di osservarmi preoccupata dalla porta e venendo ad abbracciarmi. «Hai studiato tanto questi ultimi mesi, puoi farcela».
«Non. So. Niente», sillabo, ed è vero. Il sorriso di compatimento che mi rivolge mi fa venire un urto di nervi. «Porca puttana, dico sul serio! E che cazzo, possibile che nessuno mi creda mai? Vaffanculo, io non ci vado».
«Cri, ti lascio passare la volgarità solo perché è oggi. Ma tu ci andrai, e farai vedere di cosa sei capace, d’accordo?»
Di niente, sono capace, di niente. Torno a girare intorno alla tavola, mangiando quello che mi sembra cemento, finché non mi sento davvero male, corro in bagno e rimetto.
«Questa è l’ultima volta che ti do retta».
Il resto poi passa come se fosse dannatamente veloce e dannatamente lento nello stesso tempo. Mi ritrovo davanti alla classe in cui devo dare il mio orale come dentro ad un sogno. Sono il primo, e Vanni è già lì che mi aspetta.
«Avanti, vedrai che è una cazzata», tenta di rassicurarmi, aggiungendo una pacca sulla spalla. Lui se n’è liberato tre giorni fa, e ancora ho nelle orecchie le sue urla di vittoria.
Vorrei rispondere, ma la voce mi si blocca in gola. In quel momento esce l’esterna di scienze, che viene a chiamarmi.
«Signor Cammareri? Possiamo cominciare».
Passo davanti a Chiara e Francesca, pallide quanto me e in attesa del loro turno, ed entro nella classe. I banchi sono disposti a ferro di cavallo; il Presidente mi sorride gentile e mi fa segno di mettermi seduto sulla sedia posta al centro, di lasciare per terra lo zaino pieno di libri.
«Allora, signor Cammareri, abbiamo visto che la sua tesina parla del doping… Ce la vuole esporre?»
Annuisco, e il mio è un inizio balbettante ed incerto. Poi però mi rilasso e procedo spedito, finché non iniziano le domande vere e proprie: Seneca, Euripide, il ciclo di Carnot… Stento a crederci, ma riesco a rispondere - quasi - a tutto. Il tempo non passa così velocemente quanto mi avevano promesso tutti quelli che hanno già provato l’esperienza, ma sicuramente non è un’ora che sembra un’eternità.
È una banalissima lunga interrogazione, e nemmeno paragonabile a quelle a cui mi sottoponeva la mia prof di italiano, storia e geografia del ginnasio… Stento a crederci, ma erano più difficili.
Concludo il mio orale e mi lasciano andare, dopo avermi chiesto per quale squadra di calcio abbia fatto i provini. Glielo dico, e scoppiano a ridere.
«Se riesci a entrare, Cristiano, puoi anche ritirarti dall’università… Sarebbe solo uno spreco di tempo», mi fa l’occhiolino quello di italiano. Io sorrido, e faccio spallucce.
«Mia madre vuole un figlio laureato in qualcosa, quindi temo che dovrò proprio cercare di non deluderla…»
Mi volto e vedo che sono entrati dentro, mentre non vedevo - e non mi sono accorto di nulla! -, anche Sebastiano, che sarà l’ultimo domani, Anna e Melissa. Mia cugina cerca di parlare, ma io la blocco, bisbigliando un “fuori”.
«’Sti…»
«Lascia perdere. Mi sei mancata troppo questo mese perché me ne importi ancora qualcosa, ma prova a rifarlo e vedi», le dico, sorridendo. Lei mi abbraccia di slancio, e vedo che anche Anna sorride, in disparte. «Oh, avanti, vieni qui: ormai devo considerarti una di famiglia, no?»
«Oddio, ‘Sti, non ti sembra affrettato?», ride mia cugina, soffocata dal mega abbraccio che ci scambiamo noi tre.
«Taci».
Poi vado da Vanni, che mi guarda perplesso, e ammetto che mi dispiace un casino per lui.
«Sei andato alla grande», dice, quando capisce che non posso spiegarglielo. Non abbiamo mai avuto bisogno di grandi discorsi, al massimo ci esprimiamo tramite il lancio di oggetti.
«Grazie di tutto. Sei il migliore amico che si possa desiderare».
La sua faccia schifata mi ripaga di tutto lo stress provato oggi.
«Non ci provare neanche», dice, quando faccio per abbracciarlo. «Non ci pensare neanche».
Faccio spallucce e mi avvio verso l’uscita, con mia cugina a braccetto.
Dio, è finalmente finita.
E del voto, onestamente, non me ne frega niente. Non sarà quello a delimitare chi siamo realmente.
 
 
 
 
Cammareri Cristiano: 72 Scansafatiche Futuro milionario
Florenzi Melissa: 100 e lode Secchiona Lesbica Chirurgo
Palma Giovanni: 68 Senza futuro Laureato in Ingegneria Biomedica
 
 
(*)
Troppo tardi, è giunta la mia ora,
mandandomi i brividi lungo la mia colonna vertebrale,
il corpo mi fa male in continuazione.
Addio a tutti - devo andare,
devo lasciarvi tutti indietro e affrontare la verità.
Mamma ooo- (in qualsiasi modo spiri il vento),
non voglio morire,
qualche volta vorrei non essere mai nato.
 
Queen - Bohemian Rhapsody

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