Diramati e propagati, diffusi come una malattia.

di Dernier Orage
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Come una malattia. ***
Capitolo 2: *** 17 Agosto 1962, Peter. ***
Capitolo 3: *** Cristalli di Boemia ***
Capitolo 4: *** Elle va où elle veut (Noir Désir) ***
Capitolo 5: *** Contrastare l'umidità ***
Capitolo 6: *** La religione insita nell'uomo ***
Capitolo 8: *** Thòlos ***
Capitolo 9: *** Due generazioni ***
Capitolo 10: *** // ***



Capitolo 1
*** Come una malattia. ***

















Niente di particolare, tutto è già stato detto.
Un movimento oscillatorio tra il bene ed il male, la tristezza e l’allegria.
Destra, sinistra; il metronomo sopra il televisore.
Seicentosessantaseiesima visione di Metropolis di Fritz Lang, millenovecentoventisette.
Il cono di luce della torcia di un metronotte dietro le vetrate, in strada.

Il cantante dalla voce da coro della Grammar School fa breccia ancora.
Qui, cuore; qui, testa; qui, inguine.
Intervallo strumentale, elettrico, lacero e perfetto, straziante e sublime.
Le luci stroboscopiche rivestono il tuo corpo, lo avvolgono, delineano i muscoli del petto e delle spalle sotto la camicia sbottonata, diventano fluide ed oleose, fumi rouge-oranges sui drappi blu.

Nastro stropicciato. Ricercare il contatto, ricercare il contatto.
Laser verdi sulla punta delle dita, accecanti come ragnatele di brina e cera, diramati e propagati.
Diffusi come una malattia.

















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Capitolo 2
*** 17 Agosto 1962, Peter. ***






Peter, non sono stato io ad ucciderti.
Peter, ti ricorda una stele rossa, non credo che ti sarebbe piaciuto.
Peter, io ti ho solo preso in braccio, come un figlio.
Avevi solo diciotto anni e lavoravi, costruivi i palazzi che disprezzavi, case per le famiglie, tetti sotto cui dormire.
Sei morto ed eri vestito a festa, dei jeans, una camicia scura a righe, delle scarpe di morbida pelle, o forse erano soltanto vecchie.
Neanche dei guanti per non ferirti col filo spinato.
Io non ti ho sparato, forse avrei dovuto.
Sono rimasto incantato dal tuo cadere scomposto e dal tuo ordinarti su un lato, accovacciarti a difendere il cuore, sentirlo battere sempre più flebilmente.
Piangevi? Non pregavi, quello no.
Mi piaceva vedere gli angoli formati dai gomiti e dalle ginocchia, la curva immaginaria che ricoprivi col tuo corpo.
Peter, eri bellissimo.
Un’ora ad ammirarti, eri lontano, non sentivo i tuoi gemiti.
Un’ora di fermento dall’altro lato. Dal mio? Qualche collega concitato, probabilmente i cecchini.
Io ho attraversato il nulla con la mia squadra, eri rimasto sotto il filo spinato, bellissimo e raccolto su un lato.
Mi hanno aiutato; eravamo in quattro. Cinque, ma tu eri già morto.
Tornati al di qua del muro sei rimasto tra le mie braccia.
Come un figlio.











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Capitolo 3
*** Cristalli di Boemia ***

















Sono i fruscii delle ali contro la tua pelle di cristallo,
Il telaio d'ottone graffia appena.
Piume boeme rimangono incastrate tra i tuoi capelli,
Sulla giacca di tweed nella quale mi hai avvolta.

Fiori, fiori secchi. Lo stropiccío e lo sfrigolìo mentre stringi le dita.
Omaggio greve, porto con le gocce di pioggia raccolte sulle ciglia.
Le sopracciglia increspate, scure e dritte.
Sarai sempre più chiaro della maglietta.

Abbiamo vissuto in quale sogno?
Quello di chi si addormenta piangendo o pregando?
La mattina, sotto il cielo viola, è cambiato qualcosa.
O forse no.



















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Capitolo 4
*** Elle va où elle veut (Noir Désir) ***

















Deve smetterla di causare questo cortocircuito al quale non sai rispondere, non sai respirare.
Sta parlando della morte, lo senti? Sta parlando di te.
Lei va dove vuole. Tu vai dove vuoi.
Quattro grazie. Grazie, grazie, grazie.
L’autore si è perso tra corde.
Vocali o metalliche.
Quatre merci. Merci, merci, merci.
Deve fermarsi. Smettere oppure finire.
Four thanks. Thanks, thanks, thanks.
Brinda, continua a brindare; infrangi ogni vetro.
Infrangi tutti i vetri di questo mondo, danzaci sopra.
Solleva la spirale rossa di sabbia e sangue. A render la pelle bella.
L’anima affascinante, il sorriso leggero, lo sguardo spento.
Sei la femme immateriale nel momento in cui svanisci.
Lo spettro che Lui ha invocato
Evocato
Circondato da fuoco.
Quattro grazie. Merci, thanks, danke.
Percepisci ciò che ha dedicato a noi?
Quando da piccola sottolineavo le parole col suono dell’acqua
e collezionavo storie di oceani ed annegati, ricordi?
E stringevo tra le mani il ventre, comprimendolo.
Non vedevo gli altri, non vedevo niente.
La loro voce ostacolava il mio ascolto
mentre Lui urlava che tu danzavi nel deserto.
E Lui sussurrava che tu dormivi.
Vado dove voglio. È la nostra volontà.
M., ricordi? Io ricordo ogni frammento di conchiglia sulla spiaggia.
Le perle di legno della sua collana, le sue mani grandi.
Cantava i tuoi occhi ma finiva sempre sulle mie labbra.
Cantava per me.
B., quattro grazie ma amo solo te.
Il nulla di tutti i giorni, mentre scivoliamo verso l’inconsistenza.
Diveniamo uno sfondo opaco sul quale proiettare le nostre parole.
Sovrapposti, cancellati, senza memoria di noi è il mondo.
Le chanteur, la vittima e la spettatrice.
La violenza
Esplode.
Sui quotidiani e tra i
Corrispondenti all’estero.
Lei ha osato!
Lui l’ha spinta!
M. è arrivata stanca!
Rimango qui, a possedere nulla.
L’aria, l’acqua, il suono. Il pudore
di celare la mia anima sotto una cifra.
Di fare per non rimpiangere.
Ammetto. I tuoi errori. Le mie azioni.
L’errore conseguente alla tua azione.
Di mancanza di convinzione.
Di sonno estremo tra resina blu.
I papaveri trasferivano il colore sul tuo collo; i miei baci.

M. andò via.
Lo volle.
Fu la sua volontà.



















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Capitolo 5
*** Contrastare l'umidità ***















Il ritorno non era stato lento e languido ma leggero. Non ero commossa, non ero sopraffatta, ma vagamente felice.
Il profumo della veranda era rimasto lo stesso di quando la visitavo in sogno. L’odore dei tappeti arrotolati dalle frange rovinate, i fiori secchi raccolti in bouquet nelle bottiglie o in petali solitari nei barattoli di vetro e sale. Lui accendeva bastoncini di incenso per contrastare l’umidità, rimanevamo tra le coperte sul divano, mi parlava della sua religione ed io scoprivo le parole per esprimere concetti che avevo sempre saputo.
Mi rassicurava. Mancava sempre meno al giorno in cui ci saremmo conosciuti.

Quel lunedì rilessi undici volte il Libro di Rut.

Ariel si sdoppiò mentre facevo suonare i bicchieri con i polpastrelli umidi. Lui era molto bello avvolto nei nastri neri, le labbra morbide e scure; lei danzava leggiadra tra i veli bianchi e mi ricordava altri sogni ai quali avrei dovuto rinunciare.
Aspettammo insieme piccoli cambiamenti.

Quel fulmine che rischiarò il viale alberato nel quadro appeso sopra il caminetto spento.
Che il nastro adesivo si staccasse da solo dalle pareti, facendo precipitare i fiori secchi e le pagine strappate dai libri.
Che a forza di sorridere mi si creassero due solchi agli angoli delle labbra.
Che il Tempio prendesse vita dai soffi delle nostre allegorie.

Mentre Ariel scolpiva sontuoso; Ariel si pettinava i capelli.
A qualcuno avrei dovuto rinunciare.

Come Sofia e il suo appartamento in Bile Street.
O Susanna e i suoi abiti color réglisse.
O David dal cognome di una carestia che aveva fatto un anno di accademia militare.
O Amichai, Velvel, e il loro incenso in grani Opium & Rose, e le loro labbra di gelsomino e il loro danzare spogliati da ogni orpello e richiamare la pioggia e le stelle, un inchino.
O Yakov, Yoel, Yehudi, Yosef e Ystrael e le loro orazioni sulla genesi della resistenza.
O Cinzia dal ventre di luna sotto il peplo.
O tu che canti tutto quello che lei muove. Piccoli cambiamenti.

I nostri piccoli cambiamenti.

«Ama chi ti bacia riflessa nello specchio»
«Perché, Ariel?»
«Perché non lo fa per lussuria ma perché ama il gesto»
«Ama l’amore»
«O ha semplicemente la coscienza pulita»

Il martedì sera fu una sera da vino rosso.

Comunione profonda nell’incenso che si libra nell’aria e nelle antistorie che di tanto in tanto riecheggiano per i corridoi da regine e schiave.
Gli specchi mostrano tutti i velluti e tutte le cicatrici bianche.
Svelano ogni rossore ed ogni pallore. Ogni piccolo cambiamento.

Ariel e Ariel andarono via.

Gea per Antheia asperse la pietra d’olio d’oliva. Creò l’immateriale e forgiò le catene.

Io non volli vedere oltre ed andai a dormire.

Mercoledì davanti a delle diapositive.
Millenovecentosettantanove, capelli fluenti sulle spalle nude.
Millenovecentottanta, sfumatura alta ed occhi pesti.
Si era in Svezia a nuotare nudi e l’anno successivo in crociera in Crimea.

Catherine pasteggiava ad avocado e latte di mandorle, a volte, la sera, quando uscivamo, si concedeva un B-52 sulla Malibu Lagoon State Beach.
Noah dopo l’amore rimaneva confuso.

Con i tronchi di bambù abbiamo portato l’acqua in paradiso.
Kane ha smesso di mordersi le nocche.

Giovedì a sfidare colera e collera sul tatami del ryokan.
Elia Foucault aveva la febbre e gli occhi viola.
Ascoltavamo la nebbia suonare i tamburi e le arpe.
Variazioni d’intensità.


Venerdì prima del tramonto lo conobbi.
Dovevo scegliere tra il lasciarlo andare o lasciare tutto.


Lui accese un bastoncino di incenso per contrastare l’umidità.












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Capitolo 6
*** La religione insita nell'uomo ***

















Ci possiamo anche amare da lontano
O non amare proprio, non fa differenza

E tu lanciasti il bicchiere contro il muro
E una cascata di vetri colò dal bianco
Al rosso
Al nero

Era vino oppure no
Proprio non ricordo

Patti Smith urlava
Ed io non trovai i tatuaggi sulle tue dita
Non li vidi o notai.

Scappai.

Per la mia città che di sera si spegne
Oppure inizia a vivere
Il declino verso la morte.

Era triste
E bella
La consolai con un trench nero
Abbandonato su una panchina

I capelli mi si attaccarono alle tempie
Pioggia multicolore
Le luci.




La religione insita nell'uomo.
Non accetto l’idea di mani interne
Che toccano, spostano, si appropriano di miei pensieri.



















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Capitolo 8
*** Thòlos ***















Sa perfettamente che l’amore è una droga; lei è lì - la sua regina, coricata sulla chaise longue, i capelli inanellati da matrona romana e gli occhi stanchi da impiegata francese.

« Nino, viens près de moi. » Sussurra sonnolenta e lasciva. Con una mano si copre il seno, la depressione nel morbido petto, bianco di latte, corposo e consistente di vita.

Nino la osserva, la venera. La dipinge nella parete anteriore del cranio.

Il volto ovale, opalescente, le palpebre gonfie ed allungate sotto le sopracciglia scure e sottili. Le pupille dilatate perdono la forma e si confondono con le iridi nere. Sulla fronte alta, all’attaccatura, i capelli prendono la parvenza di lanugine castana, i successivi boccoli opachi sono ordinati da fili di perle.

« Dovrei costruire una tomba a thòlos, le pareti d’oro. » La regina ridacchia in un baluginio d’avorio. « Doneresti ed assorbiresti luce e fuoco. »

« Nino, je suis vieille. » Lei affonda le piccole mani nel ventre. Ha soltanto una piccola cicatrice sotto l’ombelico.

« No, non dire così, sei bellissima. » Nino vorrebbe farle notare la sua somiglianza con le donne di Mucha, oppure il risvolto della vestaglia di seta nera che pare un’opera di Aubrey Beardsley.

Lei sorride.











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Capitolo 9
*** Due generazioni ***















Gran colpi giungevano dall'atrio. Il pesante portone risuonava, l’aria vibrava, e sicuramente nella strada della notte qualcuno stava scorticandosi le mani.
Nevio illuminato dai riflessi del vetro colorato sembrava non percepire nulla.
I colpi scandivano i secondi, a volte sincopati, a volte regolari, il mese crudele scorreva ancora ed ancora fino a quell'ora inquietante e fissa, lenta nella notte, lenta a fare giorno.
Le quattro di Majakovskij.
I materassi alle pareti si strappavano aggrappati alle schegge di legno, bolle di noia si sollevavano sotto la mia pelle.
Nevio bianco costellato illuminato dalle lacrime immobile davanti al muro le mani dietro la schiena.
Cadeva sulle ginocchia. Si piegava sul ventre. Abbassava il capo.
L’acqua delle rogge tornava a scorrergli nella gola. La vita per la morte.
I colpi si affievolivano filtrati dalla nebbia, dall'abitudine, dalla stanchezza.

Il sonno.
Il fucile tracciava una diagonale sul torace del milite.
Controllava i documenti – vestito scuro e scialbo il volto, involgarito dalla foga e dall'errore.
I documenti falsi. La fuga. Il freddo. Il caldo. La morte per la vita.
Il risveglio.

L’odore del pane la mattina nella strada, quello del caffè.
Leninisti inni sui pannelli di legno dell’università.
Invocazioni a nordici dèi. Numeri. Indirizzi.

L’odore del caffè che copre l’umidità, ricorda l’infanzia quando nella luce non si sentono parole solo il fischio della caffettiera e i primi passi sul marmo freddo verso i genitori che non parlano, silenti attendono il caffè.

E poi tuo padre metteva su un disco e ti prendeva in braccio e danzavate ondeggiando jazz.

E poi andava al porto. I turni erano tre. Otto sedici ventiquattro.
Era capace a farne due su tre.
E tu temevi la stanchezza.
La tarda notte ritornava con una latta di zucchero di canna.
Carne argentina, caschi di banane. Sigarette e bottiglie senza monopolio.
Tesori sepolti nelle stive. Omaggi dal nuovo mondo.

La città stava crollando come richiamata al suolo e sconfitta dal cielo.

Alcuni nei rifugi portavano pile di materassi. Altri morivano calpestati, la testa contro il pavimento in terra battuta. Soffocati dalla polvere e la vernice fluorescente. Morte calda e scura. Nel ventre della propria madre – terra.

Miro, ti salvò un vecchio? Che fece? Ti strinse a sé, lo sconosciuto, in una nicchia. Come fu quando usciste? Com'era l’aria? Conosci l’odore del nitrile? Tremavi? Le lacrime vi si congelavano sugli zigomi? Conoscevate le vittime? I loro nomi erano sul giornale che trovasti su una scalinata?

Rimane una targa, il marmo si sfoglia.
Dimenticando.











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Capitolo 10
*** // ***















Niklas ballava nel suo cappotto di panno bianco.
Suo padre, il signor Yehoyakim, danzava con un cappello nero in testa.
Le loro dame, Linnéa e Marenica, sorridevano con il viso rivolto a destra.
Dritte sulla colonna vertebrale, sulle punte delle loro scarpette di nastri intrecciati.

Prima un passo, poi un altro. L’uomo guida, la donna di più. Lui si abbassa sui talloni. Non sono giravolte di facile comprensione.

Linnéa era la donna che gli promise la luna.
Ed io strimpellavo il violino barocco che il principe delle correnti mi aveva insegnato ad amare.

Le pareti di legno della stanza si restringevano a due estremità, il rettangolo diventava quadrato.
Il quadrato diventava rombo, il rombo diventava cerchio, il cerchio erano loro che danzavano.

Avevo dipinto lo schienale della sedia con una fantasia tradizionale.
Rosso e verde e bianco e nero e avevo proseguito sulle mie dita.
Sui miei palmi, sui miei polsi, sui miei avambracci, sui miei gomiti e poi nei suoi.
Sulle sue valli e colline vibranti di forza e le sue spalle bellissime.

Niklas nonostante le mandorle nere dei suoi occhi e i suoi capelli bianchi, riusciva a curare la mia gelosia.
Linnéa si armava sbottonando la camicetta pallida e facendo tintinnare i fermagli dorati, un telo le nascondeva i capelli color corteccia.

Roteavano.

Lei non osservava i suoi sguardi assenti. Io dal mio sgabello controllavo tutto.

Yehoyakim e Marenica svanirono al centosettantesimo giro.
Quattro vortici dopo anche Linnéa scomparì.

Niklas lasciò cadere le braccia ai fianchi, poi le risollevò e si tolse il cappotto.
Cadde con un fruscio al suolo e si assestò in spire bianche.
Niklas indossava una camicia di seta e un gilet rigido rosso scuro.

Girava, girava, girava, girava e il mio violino suonava da solo, girava, girava, girava.
Girava la stanza, giravo io, girava, girava.
Girava Niklas, girava, tutto tremava, girava, girava, girava.
Vibrava il mondo, le onde sonore diventavano scariche elettriche, girava, girava, girava. Dato per perso, la stanza si dissolse in fragili scintille.

Niklas mi stava donando un temporale interno.

Niklas sussurrava storie di ultimi baci, grandi spazi, dive dimenticate, corde intrecciate, vele ammainate, distratti ricordi, vite spente, foreste blu, volontà di resa o di morte o di salvezza, prossime volte e scorsi visi.
Battiti del cuore colti. Lui il mio. Io il suo.

Il mio violino suonava da solo.

La tempesta infuriava.











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