Il crimine non va in vacanza

di Legar
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il consulting detective e il suo blogger sì. ***
Capitolo 2: *** O quasi. ***



Capitolo 1
*** Il consulting detective e il suo blogger sì. ***


Mini long-fic: due capitoli.
Per chi è già in vacanza, per chi partirà, per chi non ci andrà...
le "vacanze" di Sherlock Holmes e John Watson.

 

 



Il crimine non va in vacanza




 Il consulting detective e il suo blogger sì.

 

Sherlock osserva, deduce.

John sta usando il suo computer portatile. Sul tavolo, quindi sta scrivendo, altrimenti avrebbe preferito sedersi comodamente in poltrona e tenere il PC sulle gambe, come gli hai visto fare altre volte. Digitare su una tastiera richiede l’utilizzo di due mani; farlo in poltrona, dunque, è complicato, con il rischio che il pc cada se non si usa una mano per reggerlo.
Ogni tanto smette di premere i tasti, distoglie la sua attenzione dallo schermo e si guarda intorno, per poi ritornare a scrivere dopo qualche secondo in cui compie movimenti inconsapevoli, sovrappensiero. Sta riflettendo, dunque è impegnato in un’attività creativa o che comunque richiede inventiva personale.
Conoscendo il tuo coinquilino, non è difficile dedurre.

«John, stai aggiornando il blog?»
«No.»

 

***

 

L’hai spiazzato.

John non credeva che sarebbe mai riuscito a farlo: era Sherlock quello brillante, che sapeva dirti la vita di un individuo dal suo cadavere. O la tua vita sessuale dallo stato delle tue ginocchia – e per loro fortuna non esisteva altro consulting detective al mondo, o la loro relazione sarebbe già finita su pubblica piazza, per la gioia dei redattori di riviste di gossip.
Vedeva Sherlock sconvolto: accadeva così di rado che errasse una deduzione, che sembrava scontata e universalmente nota la sua infallibilità.
«J-john?» Incapace persino di formulare una domanda precisa.
John pensò fosse suo dovere di coinquilino amico fidanzato aiutarlo a ritrovare l’uso della parola – e della loquacità, anche se questo avrebbe attirato su di sé gli improperi di tutti coloro che reagivano con il solito Fuori dai piedi! alla comparsa del detective.[1] «Dimmi, Sherlock.»
Un profondo respiro dopo, Sherlock fu in grado di aprire bocca e dare voce al suo dramma interiore – anche piuttosto esteriore, visto come si rifletteva nei suoi occhi sbarrati, quegli occhi!, e sulle sue labbra corrucciate, quelle labbra! «Stavi usando il computer sul tavolo e non in poltrona per evitare che cadesse, perché avevi bisogno di scrivere, quindi di usare entrambe le mani.»
«Sì.»
«Ogni tanto ti fermavi per riflettere su cosa scrivere.»
«Mmm…»
«John, dimmi dove ho sbagliato» lo implorò Sherlock, con un’aria così tenera e inusuale che fece venir voglia a John di avvicinarsi e baciarlo. Tuttavia, considerata l’aria con cui questo lo guardava, pensò che al momento il detective era più interessato al proprio errore che alla sua bocca, così si risolvette a rispondergli.
«Stavo organizzando una vacanza, per me e per te. Scrivevo una mail per contattare un albergo e pensavo al periodo più adatto. Le tue deduzioni erano corrette, ma la conclusione errata.» Aveva sperato di riuscire a organizzare tutto prima che Sherlock lo capisse – e da un certo punto di vista c’era pure riuscito, visto che il pensiero non aveva neppure sfiorato la mente di Sherlock, che per questo motivo aveva tratto la conclusione sbagliata dalle sue osservazioni –, ma, ora che la sorpresa era sfumata, si rese conto che andava bene anche così. Sorrise all’idea della vacanza che li attendeva, ma il suo sorriso non ebbe neanche il tempo di interessare gli occhi, che Sherlock si era già alzato dalla poltrona di fronte al camino ed era sparito nella sua camera, lasciando dietro di sé solo gli svolazzi della sua vestaglia – che indossava anche nell’estate londinese, che indossava sempre, tranne quando era lui a togliergliela, nel buio della sua camera, quando la razionalità in Sherlock, senza un caso a cui applicarla, lasciava il posto alla brama e i loro corpi avvinghiati parevano essere l’unico rimedio alla sua noia, o l’unico che non interessasse sostanze illegali e di dubbio beneficio per la salute.
John era abituato alle stranezze di Sherlock, ma il fatto che queste si presentassero quando non era occupato in un caso e dopo un suo errore lo mise in allarme, quindi lo raggiunse, dopo avergli concesso un paio di minuti per pensare a quanto accaduto.

 

***

 

La camera da letto di Sherlock – la loro camera da letto, da quando il letto non era più importante quanto il dormire insieme – era scarsamente illuminata dall’abat-jour quando John vi entrò. Chiuse la porta e si sedette vicino a Sherlock, che stava disteso, con gli occhi chiusi.
«Sherlock?»
Senza cambiare la sua posizione, questi rispose: «Avresti dovuto consultarmi, prima. Non posso lasciare il mio lavoro, hai idea di come mi sentirei?»
John comprese il punto di vista del detective, poi si stese quasi su di lui per portare il suo viso vicinissimo a quello dell’altro. «Guardami» gli disse, e, quando Sherlock lo esaudì, gli espose il suo punto di vista – sperando che quell’azzurro così azzurro non lo distraesse più del necessario per comporre una frase, facendolo regredire all’età mentale di un anno, in cui i mormorii e i sospiri sono più efficaci delle parole. «Volevo trascorrere un po’ di tempo solo con te, senza dividerti con niente e nessuno. Volevo avere qualche giorno come una coppia normale, ecco» gli rivelò, e arrossì.
Un ghigno increspò le labbra di Sherlock. «Ma io e te non siamo normali!»
«E a me sta bene così» rivelò John e poi finalmente lo baciò, come desiderava fare da quando aveva aperto gli occhi, da quando era entrato nella stanza, sempre.
Lo baciò e pregò che niente li disturbasse mentre discutevano della sottile arte del compromesso tra le lenzuola.
Sciolse il nodo della vestaglia, notando con piacere che Sherlock indossava solo gli slip. Cominciò ad accarezzarlo – la guancia, il petto, l’elastico degli slip – e continuò a baciarlo, dedicandosi a lui con l’attenzione e la cura che solo un medico sa riservare a un corpo umano e che, a letto, diventavano piacevoli armi di seduzione. Quando gli sfilò le mutande con le mani, facendole scivolare sulle sue cosce, Sherlock chiuse di nuovo gli occhi e, quando John gli diede piacere con la bocca e con la lingua, strinse i pugni e si morse le labbra. Stava quasi per venire, ma John risalì il suo petto di baci e poi diede sollievo alle labbra offese baciandolo.
«Una sola settimana di vacanza?»
Sherlock riaprì gli occhi e nel sorriso di John lesse tutto il suo piano. Allora gli pose le mani sulle spalle e lo spinse sul letto, prima di salirgli addosso e spogliarlo per compiere lo stesso viaggio precedentemente affrontato da John sulla sua pelle. Si impegnò di più, o forse lo aiutò la pratica che aveva fatto Sherlock nel relegare le sensazioni in un posto tendente all’ultimo della sua lista delle priorità, fatto sta che John si arrese molto prima, e questo Sherlock lo vide nel modo in cui spostò le mani sulla propria nuca e lo spinse verso di sé per continuare ciò che il detective aveva interrotto.
«Due giorni.» concesse Sherlock prima di assecondare i movimenti di John e dare piacere anche a se stesso.

 

***

 

«Dunque cosa hai intenzione di fare in questi due giorni?» chiese John sorridente – perché a dispetto di tutto aveva vinto anche lui, anzi non c’erano né vincitori ne vinti[2] in quella partita disputata in un campo così inusuale, solo un unico, meraviglioso premio.
«Quello che abbiamo fatto poco fa, John. Altrimenti, sai la noia…» gli disse, sorridendo maliziosamente.
E guardando l'espressione di Sherlock, John previde due giornate da sogno.


 



[1] È Sherlock stesso a parlare a John delle usuali reazioni degli altri alla sua comparsa, nel primo episodio della prima stagione.
[2] Né vincitori né vinti è tratta dalla canzone La notte di Arisa.

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Capitolo 2
*** O quasi. ***


O quasi.




È universalmente noto che, se ci si impegna a progettare il proprio domani, le cose non vanno mai come previsto.[1] Tutti lo apprendono, prima o poi, e John Watson lo fece in un mese estivo di un anno della sua vita insieme con Sherlock Holmes.
Non aveva mai visto l’aeroporto di Heathrow[2] così affollato, e già questo bastava a John per metterlo in allarme. Ebbe appena il tempo di pensare a tutte le possibili motivazioni che potevano aver spinto quella moltitudine di persone a concentrarsi nell’aeroporto, quando una ben più grave gli piovve addosso. Non sentì Sherlock dedurre «Intensa perturbazione meteorologica, voli cancellati.», ma lesse lo stesso avviso sui volti seccati dei passeggeri e lo ascoltò dal personale dell’aeroporto che cercava di spiegare la situazione e di evitare che qualche passeggero particolarmente infuriato esprimesse chiaramente dove avrebbero potuto mettere le loro spiegazioni.
Sherlock ridacchiò e prese John per un braccio, trascinandolo via. Durante la lunga attesa del taxi e il tragitto fino a Baker Street nessuno pronunciò una parola – John per lo shock; Sherlock si era reso conto che John non l’avrebbe ascoltato, e parlare al vuoto che nel suo palazzo mentale rappresentava il suo John lo aiutava solo durante il ragionamento che portava alla risoluzione di un caso.

Un attonito John si rese conto che era ritornato a casa, che sedeva sulla poltrona e che Sherlock era di fronte a lui, guardandolo fisso. «La tua volontà non può aver influito sulle condizioni meteorologiche, vero?» chiese John, e restò a guardare Sherlock per tutto il tempo che questi realizzò che John aspettava davvero una risposta a una domanda così ovvia – si chiedeva sempre perché gli esseri umani erano soliti affermare o domandare l’ovvio e arrivava alla conclusione che se gli umani non si esercitano in continuazione a parlare, il loro cervello rischia di mettersi a funzionare.[3]
«John, per quanto io sia capace di cose incredibili e straordinarie – parole tue[4] – la scienza meteorologica è fuori dal mio campo lavorativo.»
Il cellulare di Sherlock squillò, evitando a John una risposta, di qualsiasi natura: avrebbe potuto semplicemente annuire, o rimproverarlo per il suo ego smisurato, o concordare nel definire le sue facoltà intellettive incredibili e straordinarie, o baciarlo perché segretamente trovava quel suo atteggiamento adorabile, ma non fece nulla di tutto ciò.
Quando il medico udì il compagno pronunciare «Arriviamo» realizzò definitivamente che la vacanza era finita ancor prima di cominciare, e decisamente a favore di Sherlock. Non ebbe nemmeno bisogno di sentirlo spiegare che Lestrade l’aveva chiamato, che c’era un nuovo caso per lui, l’aveva già capito dall’espressione entusiasta che il suo lavoro riusciva a dargli.
Geloso del suo lavoro. John aveva capito subito che Sherlock era una persona straordinaria e, da quando condividevano anche il cuore e il letto, oltre alla casa, non avrebbe mai desiderato nessun altro al suo fianco. Ma il suo lavoro… John era contento di farne parte, almeno in misura limitata, visto che non contribuiva tanto all’attività del suo cervello, quanto alla sua persona; accompagnarlo sulla scena del crimine, vederlo muoversi alla ricerca di indizi, concentrato nel dedurre la giusta conclusione lo faceva sentire un privilegiato.
Privilegiato. Anche perché l’unico, tra polizia e scientifica, a portarselo a letto.


***


Il caso si era rivelato piuttosto semplice, di basso livello nella scala che Sherlock usava per classificarli, e John aveva ringraziato il cielo per quell’unico segno dell’esistenza di qualcuno che almeno gli voleva bene, lassù, anche se pensava a lui piuttosto raramente. Non voleva rimanere invischiato in chissà quale situazione assurda, che l’avrebbe costretto a girare mezza Londra, seguendo Sherlock: voleva tornare a casa, controllare le previsioni del tempo per farsi del male pensando alla vacanza sfumata, crogiolarsi nelle proprie disgrazie e scopare Sherlock. Si rendeva conto che l’ultima attività non aveva grande attinenza con le altre, ma lo faceva stare bene, e questo gli bastava.
Peccato che Sherlock non fosse dello stesso avviso: tornato al 221B di Baker Street, aveva cominciato a raggruppare l’occorrente per uno dei suoi esperimenti, pieno di nuova energia. Non era difficile immaginare cosa l’avesse messo di così buon umore: il caso, che per quanto semplice gli aveva messo in moto la mente, e il fatto che aveva evitato due giorni di pausa dal suo lavoro, e non era neanche colpa sua! John, nel suo cervello – quale incredibile ossimoro –, avrebbe fatto i salti di gioia.
Ma non era disposto a rinunciare e con determinazione si avvicinò al suo tavolo da lavoro, spinse da una parte provette, fogli di appunti e contenitori – avendo, però, cura di non romperli facendoli cadere, altrimenti avrebbe dovuto dimenticarsi l’attività da lenzuola per tutta la durata del broncio di Sherlock, solitamente tendente all’infinito – e si mise davanti a Sherlock, il quale, sorpreso dall’iniziativa del compagno, non riuscì a respingerlo quanto questi lo baciò.
«John, sono occupato, non puoi distrarmi mettendomi la lingua in bocca» provò a obiettare Sherlock, ma si zittì quando John gli infilò le mani nei pantaloni. Dopotutto, anche se ai più sembrava una macchina geniale priva di cuore, era anche lui un uomo.


***

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John cominciò a spogliarlo in fretta, impaziente, e Sherlock sorrise della sua foga. Quando le sue mani, rese maldestre dall’urgenza, provarono a sbottonargli la camicia, gliele prese tra le sue e le portò all’altezza dei suoi fianchi, poi si affrettò a togliersi l’indumento, mentre John gli sfilava i pantaloni.
Sherlock capì il motivo dell’ostinazione di John per la vacanza cogliendo l’espressione estasiata con la quale lo contemplava, privo di camicia e di pantaloni, i suoi occhi chiari che percorrevano il suo corpo, dalla bocca al collo al petto… «John, vista l’insistenza con la quale mi fissi le mutande, comprendo perché ci tenevi tanto a portarmi in una lontana spiaggia italiana!»
John arrossì, consapevole dell’esatta analisi di Sherlock, e gli chiuse la bocca con un bacio per evitare che continuasse a parlare.
Ed effettivamente nessuno dei due parlò più per un po’, impegnati com’erano a baciarsi e toccarsi e accarezzarsi, e gli unici suoni che riempirono il silenzio della stanza furono i loro sospiri e i loro gemiti.


***


«Natale. Organizzerò una vacanza per Natale» decretò John, facendosi più vicino a Sherlock e abbracciandolo, contento per la decisione. Decisamente il sesso lo ispirava nella pianificazione delle vacanze. Sperò di non avere mai bisogno di un’agenzia viaggi, per evitare di dare spettacolo in pubblico: se solo la foto di Sherlock con uno strano cappello[5] finiva in prima pagina, i giornalisti sarebbero andati a nozze con una che li ritraeva in attività disdicevoli.[6]
«Meglio non prenotare con così tanto anticipo, in modo da poter controllare le previsioni meteorologiche.»
John guardò Sherlock uscire, ridendo, dalla propria stanza – nudo, una costante provocazione, e sapeva di esserlo, si divertiva a vedere il rossore che le sue parole e le sue azioni provocavano sulla pelle di John – e pensò che il qualcuno di Sherlock in quel lassù indefinito lo amasse. E, pensando ai suoi sentimenti per lui, alla tenerezza e al desiderio che gli ispirava, si chiese come fosse possibile non amarlo.







[1] Questa frase è ispirata e rivisitata da un corollario della Legge di Murphy.

[2] Heathrow Airport è uno degli aeroporti di Londra più vicini a Baker Street.

[3] Se gli umani non si esercitano in continuazione a parlare, il loro cervello rischia di mettersi a funzionare è una citazione del romanzo Ristorante al termine dell’universo di Douglas Adams.

[4] John è sempre affascinato dai ragionamenti che Sherlock illustra: ad esempio, definisce incredibile e straordinario il ragionamento che ha portato il detective a conoscerlo tramite solo un’occhiata e che viene spiegato in taxi e dopo è straordinario il ragionamento sulla ‘donna in rosa’ (primo episodio, prima serie).

[5] La foto di Sherlock con uno strano cappello è ovviamente quella che vediamo in The Reichenbach Fall, in cui Sherlock indossa il deerstalker per nascondersi dai giornalisti.

[6] Questa frase è totalmente LOL, ma non ho saputo rinunciare all’inserire un’immagine così divertente, solo immaginarla mi fa ridere!

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