Il crimine non va in vacanza di Legar (/viewuser.php?uid=95662)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il consulting detective e il suo blogger sì. ***
Capitolo 2: *** O quasi. ***
Capitolo 1 *** Il consulting detective e il suo blogger sì. ***
Mini
long-fic: due capitoli.
Per
chi è già in vacanza, per chi partirà,
per chi non ci andrà...
le
"vacanze" di Sherlock Holmes e John Watson.
Il
crimine
non va in vacanza
Il
consulting detective e il suo blogger sì.
Sherlock
osserva, deduce.
John
sta usando il suo computer portatile. Sul tavolo, quindi sta scrivendo,
altrimenti avrebbe preferito sedersi comodamente in poltrona e tenere
il PC
sulle gambe, come gli hai visto fare altre volte. Digitare su una
tastiera
richiede l’utilizzo di due mani; farlo in poltrona, dunque,
è complicato, con
il rischio che il pc cada se non si usa una mano per reggerlo.
Ogni
tanto smette di premere i tasti, distoglie la sua attenzione dallo
schermo e si
guarda intorno, per poi ritornare a scrivere dopo qualche secondo in
cui compie
movimenti inconsapevoli, sovrappensiero. Sta riflettendo, dunque
è impegnato in
un’attività creativa o che comunque richiede
inventiva personale.
Conoscendo il tuo
coinquilino, non è difficile dedurre.
«John,
stai
aggiornando il blog?»
«No.»
***
L’hai
spiazzato.
John
non credeva che
sarebbe mai riuscito a farlo: era Sherlock quello brillante, che sapeva
dirti
la vita di un individuo dal suo cadavere. O la tua vita sessuale dallo
stato
delle tue ginocchia – e per loro fortuna non esisteva altro
consulting
detective al mondo, o la loro relazione sarebbe già finita
su pubblica piazza,
per la gioia dei redattori di riviste di gossip.
Vedeva Sherlock
sconvolto: accadeva così di rado che errasse una deduzione,
che sembrava
scontata e universalmente nota la sua infallibilità.
«J-john?» Incapace
persino di formulare una domanda precisa.
John pensò fosse suo
dovere di coinquilino amico fidanzato aiutarlo a ritrovare
l’uso della parola –
e della loquacità, anche se questo avrebbe attirato su di
sé gli improperi di
tutti coloro che reagivano con il solito Fuori
dai piedi! alla comparsa del detective.
«Dimmi, Sherlock.»
Un profondo respiro
dopo, Sherlock fu in grado di aprire bocca e dare voce al suo dramma
interiore
– anche piuttosto esteriore, visto come si rifletteva nei
suoi occhi sbarrati, quegli occhi!,
e sulle sue labbra
corrucciate, quelle labbra! «Stavi
usando il computer sul tavolo e non in poltrona per evitare che
cadesse, perché
avevi bisogno di scrivere, quindi di usare entrambe le mani.»
«Sì.»
«Ogni tanto ti
fermavi per riflettere su cosa scrivere.»
«Mmm…»
«John, dimmi dove ho
sbagliato» lo implorò Sherlock, con
un’aria così tenera e inusuale che fece
venir voglia a John di avvicinarsi e baciarlo. Tuttavia, considerata
l’aria con
cui questo lo guardava, pensò che al momento il detective
era più interessato
al proprio errore che alla sua bocca, così si risolvette a
rispondergli.
«Stavo organizzando una
vacanza, per me e per te. Scrivevo una mail per contattare un albergo e
pensavo
al periodo più adatto. Le tue deduzioni erano corrette, ma
la conclusione
errata.» Aveva sperato di riuscire a organizzare tutto prima
che Sherlock lo
capisse – e da un certo punto di vista c’era pure
riuscito, visto che il
pensiero non aveva neppure sfiorato la mente di Sherlock, che per
questo motivo
aveva tratto la conclusione sbagliata dalle sue osservazioni
–, ma, ora che la
sorpresa era sfumata, si rese conto che andava bene anche
così. Sorrise
all’idea della vacanza che li attendeva, ma il suo sorriso
non ebbe neanche il
tempo di interessare gli occhi, che Sherlock si era già
alzato dalla poltrona
di fronte al camino ed era sparito nella sua camera, lasciando dietro
di sé
solo gli svolazzi della sua vestaglia – che
indossava anche nell’estate londinese, che indossava sempre,
tranne quando era
lui a togliergliela, nel buio della sua camera, quando la
razionalità in
Sherlock, senza un caso a cui applicarla, lasciava il posto alla brama
e i loro
corpi avvinghiati parevano essere l’unico rimedio alla sua
noia, o l’unico che
non interessasse sostanze illegali e di dubbio beneficio per la salute.
John era abituato
alle stranezze di Sherlock, ma il fatto che queste si presentassero
quando non
era occupato in un caso e dopo un suo errore lo mise in allarme, quindi
lo
raggiunse, dopo avergli concesso un paio di minuti per pensare a quanto
accaduto.
***
La
camera da letto di
Sherlock – la loro camera
da letto,
da quando il letto non era più importante quanto il dormire
insieme – era scarsamente
illuminata dall’abat-jour quando John vi entrò.
Chiuse la porta e si sedette vicino
a Sherlock, che stava disteso, con gli occhi chiusi.
«Sherlock?»
Senza cambiare la sua
posizione, questi rispose: «Avresti dovuto consultarmi,
prima. Non posso
lasciare il mio lavoro, hai idea di come mi sentirei?»
John comprese il
punto di vista del detective, poi si stese quasi su di lui per portare
il suo
viso vicinissimo a quello dell’altro.
«Guardami» gli disse, e, quando Sherlock
lo esaudì, gli espose il suo punto di vista –
sperando che quell’azzurro così
azzurro non lo distraesse più del
necessario per comporre una frase, facendolo regredire
all’età mentale di un
anno, in cui i mormorii e i sospiri sono più efficaci delle
parole. «Volevo trascorrere
un po’ di tempo solo con te, senza dividerti con niente e
nessuno. Volevo avere
qualche giorno come una coppia normale, ecco» gli
rivelò, e arrossì.
Un ghigno increspò le
labbra di Sherlock. «Ma io e te non siamo normali!»
«E a me sta bene
così» rivelò John e poi finalmente lo
baciò, come desiderava fare da quando
aveva aperto gli occhi, da quando era entrato nella stanza, sempre.
Lo baciò e pregò che
niente li disturbasse mentre discutevano della sottile arte del
compromesso tra
le lenzuola.
Sciolse il nodo della
vestaglia, notando con piacere che Sherlock indossava solo gli slip.
Cominciò
ad accarezzarlo – la guancia, il petto, l’elastico
degli slip – e continuò a
baciarlo, dedicandosi a lui con l’attenzione e la cura che
solo un medico sa
riservare a un corpo umano e che, a letto, diventavano piacevoli armi
di
seduzione. Quando gli sfilò le mutande con le mani,
facendole scivolare sulle
sue cosce, Sherlock chiuse di nuovo gli occhi e, quando John gli diede
piacere
con la bocca e con la lingua, strinse i pugni e si morse le labbra.
Stava quasi
per venire, ma John risalì il suo petto di baci e poi diede
sollievo alle
labbra offese baciandolo.
«Una sola settimana
di vacanza?»
Sherlock riaprì gli
occhi e nel sorriso di John lesse tutto il suo piano. Allora gli pose
le mani
sulle spalle e lo spinse sul letto, prima di salirgli addosso e
spogliarlo per
compiere lo stesso viaggio precedentemente affrontato da John sulla sua
pelle.
Si impegnò di più, o forse lo aiutò la
pratica che aveva fatto Sherlock nel
relegare le sensazioni in un posto tendente all’ultimo della
sua lista delle
priorità, fatto sta che John si arrese molto prima, e questo
Sherlock lo vide
nel modo in cui spostò le mani sulla propria nuca e lo
spinse verso di sé per
continuare ciò che il detective aveva interrotto.
«Due giorni.» concesse
Sherlock prima di assecondare i movimenti di John e dare piacere anche
a se
stesso.
***
«Dunque
cosa hai intenzione
di fare in questi due giorni?» chiese John sorridente
– perché a dispetto di
tutto aveva vinto anche lui, anzi non c’erano né
vincitori ne vinti
in quella partita disputata in un campo così inusuale, solo
un unico,
meraviglioso premio.
«Quello che abbiamo
fatto poco fa, John. Altrimenti, sai la noia…» gli
disse, sorridendo maliziosamente.
E guardando l'espressione
di Sherlock, John previde due giornate da sogno.
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Capitolo 2 *** O quasi. ***
O quasi.
È
universalmente noto che, se ci si impegna a progettare il
proprio domani, le cose non vanno mai come previsto.
Tutti lo apprendono, prima o poi, e John Watson lo fece in un mese
estivo di un
anno della sua vita insieme con Sherlock Holmes.
Non aveva mai visto l’aeroporto di Heathrow
così affollato, e già questo bastava a John per
metterlo in allarme. Ebbe
appena il tempo di pensare a tutte le possibili motivazioni che
potevano aver
spinto quella moltitudine di persone a concentrarsi
nell’aeroporto, quando una
ben più grave gli piovve addosso.
Non
sentì Sherlock dedurre «Intensa perturbazione
meteorologica, voli cancellati.»,
ma lesse lo stesso avviso sui volti seccati dei passeggeri e lo
ascoltò dal
personale dell’aeroporto che cercava di spiegare la
situazione e di evitare che
qualche passeggero particolarmente infuriato esprimesse chiaramente
dove
avrebbero potuto mettere le loro spiegazioni.
Sherlock ridacchiò e prese John per un
braccio, trascinandolo via. Durante la lunga attesa del taxi e il
tragitto fino
a Baker Street nessuno pronunciò una parola – John
per lo shock; Sherlock si
era reso conto che John non l’avrebbe ascoltato, e parlare al
vuoto che nel suo
palazzo mentale rappresentava il suo John lo aiutava solo durante il
ragionamento che portava alla risoluzione di un caso.
Un
attonito John si rese conto che era ritornato a casa, che
sedeva sulla poltrona e che Sherlock era di fronte a lui, guardandolo
fisso.
«La tua volontà non può aver influito
sulle condizioni meteorologiche, vero?»
chiese John, e restò a guardare Sherlock per tutto il tempo
che questi realizzò
che John aspettava davvero una risposta a una domanda così
ovvia – si chiedeva
sempre perché gli esseri umani erano soliti affermare o
domandare l’ovvio e
arrivava alla conclusione che se gli umani non si esercitano in
continuazione a
parlare, il loro cervello rischia di mettersi a funzionare.
«John, per quanto io sia capace di cose incredibili e
straordinarie – parole tue
– la scienza meteorologica è fuori dal mio campo
lavorativo.»
Il cellulare di Sherlock squillò, evitando a John una
risposta, di qualsiasi natura: avrebbe potuto semplicemente annuire, o
rimproverarlo
per il suo ego smisurato, o concordare nel definire le sue
facoltà intellettive
incredibili e straordinarie, o baciarlo
perché segretamente trovava quel suo atteggiamento
adorabile, ma non fece nulla
di tutto ciò.
Quando il medico udì il compagno pronunciare
«Arriviamo»
realizzò definitivamente che la vacanza era finita ancor
prima di cominciare, e
decisamente a favore di Sherlock. Non ebbe nemmeno bisogno di sentirlo
spiegare
che Lestrade l’aveva chiamato, che c’era un nuovo
caso per lui, l’aveva già
capito dall’espressione entusiasta che il suo lavoro riusciva
a dargli.
Geloso del suo lavoro.
John aveva capito subito che Sherlock era una persona straordinaria e,
da
quando condividevano anche il cuore e il letto, oltre alla casa, non
avrebbe
mai desiderato nessun altro al suo fianco. Ma il suo lavoro…
John era contento
di farne parte, almeno in misura limitata, visto che non contribuiva
tanto all’attività
del suo cervello, quanto alla sua persona;
accompagnarlo sulla scena del crimine, vederlo muoversi alla ricerca di
indizi,
concentrato nel dedurre la giusta conclusione lo faceva sentire un
privilegiato.
Privilegiato. Anche
perché l’unico, tra polizia e scientifica, a
portarselo a letto.
***
Il
caso si era rivelato piuttosto semplice, di basso livello
nella scala che Sherlock usava per classificarli, e John aveva
ringraziato il
cielo per quell’unico segno dell’esistenza di
qualcuno che almeno gli voleva
bene, lassù, anche se
pensava a lui
piuttosto raramente. Non voleva rimanere invischiato in
chissà quale situazione
assurda, che l’avrebbe costretto a girare mezza Londra,
seguendo Sherlock: voleva
tornare a casa, controllare le previsioni del tempo per farsi del male
pensando
alla vacanza sfumata, crogiolarsi nelle proprie disgrazie e scopare
Sherlock.
Si rendeva conto che l’ultima attività non aveva
grande attinenza con le altre,
ma lo faceva stare bene, e questo gli bastava.
Peccato che Sherlock non fosse dello stesso avviso: tornato
al 221B di Baker Street, aveva cominciato a raggruppare
l’occorrente per uno
dei suoi esperimenti, pieno di nuova energia. Non era difficile
immaginare cosa
l’avesse messo di così buon umore: il caso, che
per quanto semplice gli aveva
messo in moto la mente, e il fatto che aveva evitato due giorni di
pausa dal
suo lavoro, e non era neanche colpa sua!
John, nel suo cervello – quale incredibile ossimoro
–, avrebbe fatto i salti di
gioia.
Ma non era disposto a rinunciare e con determinazione si
avvicinò al suo tavolo da lavoro, spinse da una parte
provette, fogli di
appunti e contenitori – avendo, però, cura di non
romperli facendoli cadere,
altrimenti avrebbe dovuto dimenticarsi l’attività
da lenzuola per tutta la
durata del broncio di Sherlock, solitamente tendente
all’infinito – e si mise
davanti a Sherlock, il quale, sorpreso dall’iniziativa del
compagno, non riuscì
a respingerlo quanto questi lo baciò.
«John, sono occupato, non puoi distrarmi mettendomi la
lingua in bocca» provò a obiettare Sherlock, ma si
zittì quando John gli infilò
le mani nei pantaloni. Dopotutto, anche se ai più sembrava
una macchina geniale
priva di cuore, era anche lui un uomo.
*** <
John
cominciò a spogliarlo in fretta, impaziente, e Sherlock
sorrise della sua foga. Quando le sue mani, rese maldestre
dall’urgenza, provarono
a sbottonargli la camicia, gliele prese tra le sue e le
portò all’altezza dei
suoi fianchi, poi si affrettò a togliersi
l’indumento, mentre John gli sfilava
i pantaloni.
Sherlock capì il motivo dell’ostinazione di John
per la
vacanza cogliendo l’espressione estasiata con la quale lo
contemplava, privo di
camicia e di pantaloni, i suoi occhi chiari che percorrevano il suo
corpo,
dalla bocca al collo al petto… «John, vista
l’insistenza con la quale mi fissi
le mutande, comprendo perché ci tenevi tanto a portarmi in
una lontana spiaggia
italiana!»
John arrossì, consapevole dell’esatta analisi di
Sherlock, e
gli chiuse la bocca con un bacio per evitare che continuasse a parlare.
Ed effettivamente nessuno dei due parlò più per
un po’,
impegnati com’erano a baciarsi e toccarsi e accarezzarsi, e
gli unici suoni che
riempirono il silenzio della stanza furono i loro sospiri e i loro
gemiti.
***
«Natale.
Organizzerò una vacanza per Natale»
decretò John,
facendosi più vicino a Sherlock e abbracciandolo, contento
per la decisione. Decisamente
il sesso lo ispirava nella pianificazione delle vacanze.
Sperò di non avere mai
bisogno di un’agenzia viaggi, per evitare di dare spettacolo
in pubblico: se
solo la foto di Sherlock con uno strano cappello
finiva in prima pagina, i giornalisti sarebbero andati a nozze con una
che li
ritraeva in attività disdicevoli.
«Meglio
non prenotare con così tanto anticipo, in modo da poter
controllare le previsioni meteorologiche.»
John
guardò Sherlock uscire, ridendo, dalla propria stanza
–
nudo,
una costante provocazione, e sapeva
di esserlo, si divertiva a vedere il rossore che le sue parole e le sue
azioni
provocavano sulla pelle di John – e
pensò che il qualcuno di Sherlock in quel lassù
indefinito
lo amasse. E, pensando ai suoi sentimenti per lui, alla
tenerezza e al desiderio che gli ispirava, si chiese come fosse
possibile non
amarlo.
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