Frost at Midnight

di Opalix
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Drowning in the night ***
Capitolo 2: *** Hell's Bells ***
Capitolo 3: *** Stairway to hell ***
Capitolo 4: *** Frozen flower ***
Capitolo 5: *** Frost at midnight ***



Capitolo 1
*** Drowning in the night ***


CAPITOLO 1: DROWNING IN THE NIGHT

“The frost performs its secret ministry
Unhelped by any wind. The owlet’s cry
Came loud – and hark, again! Loud as before. […]
‘Tis calm indeed! So calm, that it disturbs
And vexed meditation with its strange
And extreme silentness.”
Samuel Taylor Coleridge
“Frost at midnight”

Si sollevò a sedere di scatto, sudando freddo. La sensazione della maglietta bianca appiccicata alla schiena era orribile e viscida, come la pelle gelida di un serpente. Respirò per ingoiare quel nodo alla gola che sembrava bloccargli il respiro, le dita immerse nei capelli neri e ribelli e la fronte appoggiata alle palme umide e scivolose. Ancora loro, ancora incubi. Ancora ricordi. Gettando indietro la testa, si concesse una smorfia amara nel buio della stanza. Gli incubi non erano che la moneta in cui si paga il vitalizio a chi ha salvato il mondo due volte, uno stipendio giornaliero che non arriva mai in ritardo.
Si tolse la maglietta con un unico movimento rapido, e la gettò sul pavimento; rabbrividì violentemente non appena l’aria fredda accarezzò la pelle bagnata. Ogni cosa sembrò rivivere in quell’unico, doloroso, brivido che voleva ricordargli che l’incubo era finito. Mezzanotte. Il buio della stanza, inquinato dall’oscurità fumosa di ricordi dolenti conficcati nell’anima, si tinse della luce soffusa e bluastra delle notti invernali di luna.
La sagoma rannicchiata sotto il piumone, al suo fianco si agitò nel sonno, lamentandosi, con quel mugolio debole dei bambini che sognano, quasi fosse partecipe del tormento notturno di lui. La mano ruvida e segnata corse automaticamente a carezzare i riccioli scuri, sciolti sul cuscino in una cascata di seta… l’oscurità nascondeva i vaghi riflessi di rame che il sole era in grado di accendere in quelle ciocche.
Rame. Lo stesso riflesso della luce, amata ed odiata, che illuminava i ricordi incapaci di restare confinati nel loro legittimo reame. Il passato.
Il tremore inconsapevole si calmò sotto quella carezza dolce, e un bacio posato sulla fronte bianca sigillò il ritorno della principessa addormentata tra le braccia del Principe del Sonno.
Senza far rumore Harry si alzò dal letto, e uscì dalla stanza.

“Non hai mai provato, amico, a perderti in un’alba cristallina, a bussare ad un portone smarrito, a restare più solo di prima?”
Sergej Luk’janenko
“I guardiani della notte”

Attaccarsi alla bottiglia del bourbon era quasi un riflesso automatico, specialmente quando gli incubi colpivano più a fondo, proprio là tra una costola e l’altra. Le notti serene, quando la luna splendeva nel cielo e illuminava un lembo di pelle bianca immobile, là in fondo, nella palude ristagnante dei suoi maledetti ricordi.
“Piantala di distruggerti il fegato, idiota.”
Harry a malapena sollevò la testa; la sensazione del tavolo di formica sotto i gomiti, il tintinnio del ghiaccio nel bicchiere, erano rassicuranti, tranquilli… perché degnare di attenzione chi era perfettamente in grado di intrattenersi da solo?
“Che ci fai qui?” chiese, stancamente, rispettando il copione. Visto alla luce, il volto dell’intruso avrebbe mostrato un ghigno di trionfo per il raggiungimento dello scopo che si prefiggeva ogni dannato giorno della sua esistenza: poter raccontare ciò che il destino gli aveva riservato durante la giornata. Incapace di lasciare all’oscuro l’umanità intera dei brillanti pensieri che attraversavano la sua mente, trovava nell’insonnia di Harry una perfetta occasione per allenare la propria stupefacente dialettica. Fortunatamente, l’amore di Draco Malfoy per il suono della propria voce prescindeva dal fatto che chi aveva di fronte lo stesse davvero ascoltando: parlava perché amava sopra ogni cosa sentire se stesso parlare.
“Ti salvo da te stesso.”
Harry doveva comunque ammetterlo: le sue frasi erano d’effetto.
“Ah si?” fece, distratto.
Draco si alzò dalla poltrona, entrando nel raggio di luna che filtrava dalla finestra come un attore nel cerchio dell’occhio di bue. La luce argentea illuminò i suoi capelli biondi e la seta brillante che foderava il colletto del cappotto scuro.
“Affogare i ricordi nell’alcol non ti restituirà il passato” declamò con enfasi.
D’effetto.
Non fosse stato per il fatto che Draco stesso era ubriaco fradicio – ma lo nascondeva bene, questo bisognava concederglielo – gli avrebbe quasi dato ascolto.
“Puzzi di whisky più un marinaio…” gli fece presente.
“Beh… allora versa un po’ di quella roba anche per me, capitan Potter!”
Non sia mai che il grande Malfoy debba restare interdetto. Sogghignando amaramente, Harry prese un altro bicchiere e lo riempì di liquido ambrato. “Alla salute…”

Per quel che ne sapeva Harry, Draco era tormentato dagli incubi quasi quanto lui.
Tutti loro – loro, loro che avevano combattuto, loro che avevano sofferto, loro che avevano perduto amori ed amici in quella guerra infinita – erano tormentati da incubi. Tutti loro, che ora vivevano una vita dimezzata, sorridendo al sole del nuovo mattino, nato da una notte insonne avvelenata dal raggio maligno di quella luna d’argento. Tutti loro, ognuno col suo modo diverso di affrontare il buio. A ciascuno il suo veleno, pensò, facendo tintinnare il bicchiere contro quello di Draco, che intanto aveva ripreso ad esercitare la propria abilità oratoria.
“…allora ho pensato… forse potremmo aprire un ristorante… mi piacerebbe… hai presente quei posti in cui suonano dal vivo…”
Tutti loro. Ognuno aveva trovato una strada per scappare, un angolo di mondo in cui fingere di ricominciare. Tutti loro, che Harry aveva amato più di ogni cosa, loro che avevano condiviso tutto, tutto, nell’accezione materiale o immateriale del concetto, durante gli anni di quella dannata guerra.
Tutti.

Eppure Draco era l’unico che sopportava ancora di avere intorno.

Draco. L’ultimo ad unirsi a loro, il cattivo ragazzo riportato tra i buoni da colui che si era finto cattivo e che aveva ucciso il grande mentore. Silente. Ricordi sfumati di se stesso, ragazzino ossuto e disperato, che si lanciava contro il viscido professore di Pozioni, invecchiato di vent’anni nel giro di poche notti, non aspettandosi di vedere lacrime incrostate sulla sua pelle pallida e tirata. Urla e strepiti, dolore, richieste di perdono, offerte di aiuto. Voci che imploravano… andare avanti, non arrendersi, perdonare. Già… quanto c’era da perdonare. Un ragazzino altrettanto ossuto ed ostile, dal viso sciupato e i capelli biondi sugli occhi che avevo visto troppo, usciva dall’ombra e chiedeva, senza proferire parola: chiedeva perdono con gli occhi abbassati, offriva se stesso con la sola presenza.
Tutti loro parlavano poco all’epoca. Draco parlava meno di tutti. Eppure c’era, orfano di madre, il padre perduto nei meandri dell’oscurità, era con loro, cercava e combatteva, difendeva i vecchi nemici col dolore di un drago dalle ali strappate, prestava un’intelligenza che nessuno aveva mai conosciuto.
Ragazzi di tutte le case, di tutte le età, avevano combattuto insieme. Gli Horcrux erano stati trovati – tutti tranne uno – e distrutti – tutti tranne uno.
Voldemort, alla fine, era stato distrutto – ma non la sua minaccia, non per intero… finchè Harry sopravviveva.
Harry stesso era un Horcrux. Ovvio. Tutti l’avevano sospettato – nessuno aveva avuto il coraggio di crederci. Tutti avevano dovuto accettarlo. Ma tutto quadrava, e perché no?… un pezzo dell’anima di Voldemort, cresciuta per distruggere Voldemort stesso, lasciando in vita quello stesso pezzo restante finchè l’uccisore non fosse morto a sua volta – un amaro gioco di parole impresso sulla ruota chiodata del destino, minaccia e monito, perché il male in fondo era sempre pronto a tornare.
Era quel pezzo, quell’ombra, quel fantasma malandato e incompleto che si portava dentro, parassita e simbionte, a fare di Harry l’uomo malato che era. Ed era quel pezzo, forse, che gli rendeva sopportabile la presenza di Draco, e di Draco soltanto… lui tra tutti, il Serpeverde, il bastardo arrogante che gli aveva fatto penare l’inferno da ragazzino. Crudele scherzo del destino… l’ennesimo.
Uno ad uno li aveva allontanati – tutti loro, tutti tranne lui – non sopportando la loro compassione, il loro dolore, la condivisione degli incubi, celati ma palesi, nascosti da un sorriso forzato e sbandierati nelle occhiaie bluastre che al mattino ognuno notava sul viso dell’altro, foss’anche il proprio riflesso nello specchio. Non sopportava di sapere che sapevano, e di sapere che non avrebbero mai potuto capire… capire cos’era avere in se stessi quel frammento di spettro, sapere di doversi ammazzare e non avere il coraggio di farlo. Non sopportava che fossero in grado di concedergli il lusso della codardia, ma non avessero la più pallida idea del suo dannatissimo prezzo.
E così se n’erano andati, uno ad uno, i migliori amici di sempre, la sua famiglia, fratelli nel sangue, se non di sangue – tutti loro, tutti tranne lui.
Lui, Draco, che nascondeva gli incubi dietro quella maschera dorata di novello Casanova della notte, celando le occhiaie nel buio di camere da letto e lenzuola sconosciute… per poi trovarsi a bere come un dannato tombino appena sturato, con lui, a quel tavolo, raccontando avventure costruite su spiagge di verità sepolte da una marea di stronzate che a nessuno dei due importava smascherare. Lui, Draco, l’unico che conosceva da tempo il prezzo amaro della vigliaccheria.
Le lettere di Ron ed Hermione – pergamene umide e profumate dell’acqua salmastra dell’oceano, contenenti fotografie di un matrimonio, di una casa americana e bambini dai capelli rossi che giocavano attorno ad uno steccato bianco, bambini che di Hogwarts non avrebbero nemmeno sentito parlare – giacevano non lette in qualche cassetto, aperte, sfogliate, macchiate di whisky caduto che ne aveva sbavato l’inchiostro e cancellato il ricordo nella mente di Harry. Cartoline che Neville mandava dai suoi viaggi (Dove? Come saperlo se nemmeno le guardava?), fotografie di Fred, biglietti di natale parlanti e semoventi che Luna inviava, ogni anno, puntuale come il fisco, e che Harry si affrettava a strappare e nascondere perché Rachel non li vedesse o sentisse strillare.
Lettere e biglietti a cui di rado aveva risposto.
Nascondere tutto. Nell’impossibilità di dimenticare, cercare almeno di non vedere – non durante il giorno, non da sveglio.
Tenere tutti fuori – tutti loro, tranne lui.

“Si crederebbe, dopo tutto quello che avevamo passato, che noi superstiti ci saremmo tenuti più in contatto, nel corso degli anni. Invece fu come se il filo che ci aveva uniti fosse stato tagliato di colpo e ben presto cominciammo ad allontanarci l’uno dall’altro.”
“In passato forse avevo amato quell’idea, che la nostra azione fosse servita ad unirci: non eravamo amici normali, bensì amici per la vita e per la morte. […] Ora mi dava la nausea il sapere che non c’era via d’uscita, ero legato a loro, a tutti loro, in modo definitivo.”
Donna Tartt
“Dio di Illusioni”

“Insomma, fare il ricco mi piace… sai com’è, un po’ di noia… e poi mi piace l’idea…. Ma hai presente o no?”
Harry guardò Draco, che passeggiava avanti e indietro, gesticolando teatralmente, le mani bianche muoversi con eleganza nella luce blu della luna, riflessa negli occhi grigi che brillavano come cristalli di ghiaccio. Sogghignò, gli occhi semichiusi.
“Sembri il fantasma dell’opera.”
Draco fece un inchino, agitando nell’aria un immaginario cappello piumato, attento a non versare nemmeno una preziosa goccia di liquore.
“A proposito, ti ho raccontato di quella ragazza… a teatro… la Bohème… allora lei ha risposto… fantastico… ‘violetta mia’, l’ho chiamata…”
Harry aveva di nuovo smesso di ascoltare.

La vita era andata avanti. Certo. Come no.
Per tutti, anche per lui, anche per loro due. Così diversi eppure così uguali… ricchi senza merito, eredi di fortune di cui il mondo babbano non immaginava la provenienza e il mondo magico evitava come la peste. Erano tormentati da un passato di cui non parlavano, recitavano una vita da babbani che non apparteneva loro più di quel nome falso che usavano senza il minimo ritegno. Comprare case e proprietà, farle restaurare, rivenderle, costruire ville da favola… far crescere la montagna di quel denaro maledetto, spenderlo in assurdità e non vederlo mai finire, in un circolo vizioso di rendite ed interessi di cui a nessuno dei due importava l’ammontare. Nemmeno i loro amministratori, profumatamente retribuiti, conoscevano di persona i loro volti di ragazzini cresciuti troppo presto.

Una mano fresca apparsa dal nulla gli tolse dalle mani il bicchiere e vuotò il liquore nell’acquaio. Alzando il volto, Harry distinse gli occhi assonnati di Rachel che lo guardavano con un velo di rassegnato rimprovero.
“Dorian…” disse la ragazza, dissimulando graziosamente uno sbadiglio, “chissà perché, sto perdendo le speranze di vederti per casa ad un’ora normale.”
Draco rispose con un inchino sorridente al sarcasmo di Rachel; non un battito di ciglia sottolineava più l’incertezza nel rispondere ad un nome fasullo.
“Ah, quanto del mio fascino perderei se divenissi così orribilmente prevedibile, mia cara!”
Rachel scosse le spalle.
“Sarà… se un giorno ti presenterai per cena, saprò che sei più ubriaco del solito. Dammi quel bicchiere, avanti.”
Draco – Dorian – si arrese con un disarmante sorriso e rese gli alcolici.
“A te, angelo custode, rendo le armi…” mormorò con fare drammatico.
“Ma piantala. Dovresti andare a casa… mi chiedo come facciate a sopravvive senza dormire mai.”
“Siamo uomini temprati, tesoro…”
Anche Harry, se sufficientemente ubriaco, era in grado di sfornare battute di amaro umorismo.
“Non farmi preoccupare, Henry…” mormorò la ragazza, per nulla divertita, “torno a letto. Cerca di venire a dormire un poco, ti prego.”
“Arrivo, Rachel” la rassicurò lui, stringendole dolcemente la mano, “sul serio.”
La vestaglia chiara di Rachel sparì nel corridoio e i due ragazzi furono di nuovo soli, preda del passato e del presente che, in quelle notti così dolorose, sembravano non avere nulla a che fare l’uno con l’altro.
Rachel, che non faceva mai domande. Rachel, che viveva la propria vita lasciando ad Harry – Henry – lo spazio per la propria disperazione, per un passato che non poteva condividere, per un mondo di cui lei non faceva parte. Rachel, che non pretendeva rinunce o promesse e nemmeno le offriva per non metterlo davanti ad un bivio senza uscita d’emergenza. Rachel… un delicato petalo di ciliegio incapace di appassire, che una notte gli era caduto tra le braccia, scivolando silenzioso sull’impronta di sangue lavato da tempo.

“Prima o poi qualcosa verrà a galla. La distruggerai.”
Una frase stranamente sensata per un alcolizzato.
“Sto cercando di evitarlo.”
Draco rise, barcollando verso la porta.
“Non siamo più fatti per le cose che durano, Henry… tutto quello che prendiamo in mano si sbriciola in un secondo.”
Harry sorrise con un’amarezza.
“Buona giornata. Dorian.”
Assaporò tra le labbra il suono di quella parola mentre la porta si chiudeva alle spalle di Draco. Dorian. L’ennesimo amaro giochetto di quel compagno di vita, che si affacciava sul mondo col fare scherzoso di un joker triste, un disperato burlone, travestito da recidivo dandy mondano in quella Londra che sembrava rinascere ogni dannata alba, sempre lei, sempre uguale a se stessa. Insopportabile, eppure adorata.
Dorian… un nome che si portava appresso una maledizione, un’illusione senza speranza, la promessa di un tragico epilogo. Dorian Gray era l’uomo che aveva imprigionata la propria anima in un ritratto per restare giovane in eterno, mai sfiorato dal tempo e dall’infamia. Draco Malfoy aveva lasciato la propria anima nel passato per passare la vita a scappare da essa, senza mai liberarsene, nascondendo la paura di essere raggiunto dietro una maschera di bellezza, raffinatezza e joie de vivre.
A ciascuno il suo veleno, ripeté a se stesso. Chi era lui per sindacare sul modo che avevano gli altri di dannarsi l’esistenza? Chi era lui per discutere il diritto di rovinare ciò che a loro stessi apparteneva… quando lui andava distruggendosi senza pietà con ogni ignobile mezzo che la vita gli offriva giorno dopo giorno?

Volse lo sguardo al corridoio, sussurrando in silenzio una scusa che Rachel non avrebbe udito, e uscì dalla porta d’ingresso, abbracciando Londra e il Tamigi, addormentati nella luce debole dell’aurora, con un’unica occhiata. Nella nebbia del mattino, Londra aveva il fascino sciupato di una cortigiana scarmigliata, che fa ritorno alle sue stanze dopo una notte di duro lavoro… pigra e indolenzita, faticava a svegliarsi, forse ormai troppo vecchia per quel mestiere che, tra tutti, era il più antico.
Rabbrividì, fermo davanti al cancelletto di casa, sentendo i fumi dell’alcol dileguarsi nel brivido di freddo. Immobile. L’ombra di un respiro gli accarezzò l’orecchio.
Sapeva dove guardare e, soprattutto, dove non guardare, non direttamente. Con la coda dell’occhio individuò ciò che cercava e che sapeva benissimo avrebbe trovato: una macchia confusa di capelli rossi che spiccava sul grigio della città, in un punto indefinito ai margini del suo campo visivo. La macchia sfumata si dimenava nell’aria mattutina – ricordo sfocato di quanto quei capelli erano leggeri e morbidi sotto le dita – aria che gli portò alle narici un flebile odore di fiori di campo.
Sapeva che se l’avesse guardata sarebbe corsa via, immediatamente, perciò rimase fermo, accontentandosi di quell’immagine imprecisa, là dove i ricordi erano assai più definiti e pungenti di quanto avrebbe voluto.
Un rumore di passi che si allontanava rimbombò nella sua mente annebbiata e si confuse nel trillo mattiniero di un pettirosso che si era posato su un pilastrino. La macchia color rame al margine del campo visivo era sparita.
Buona giornata, Gin.

“I know I'm alone, but somebody's watching me
Follows me everywhere I go
A cold flow surprised me again, I shiver
The presence of something, I can hear it's breathing”
After Forever
“Beyond Me”

******

Contrariamente alle mie abitudini riporto il testo in italiano dei versi della poesia di Coleridge, “Gelo a mezzanotte”.
“Il gelo persegue i suoi segreti intenti
Senza aiuto dei vento. Il grido del gufo
Giunge qui acuto – ascolta! E ancora, come prima, acuto. […]
Che calma, certo! Quasi mi turba e opprime
I pensieri stessi col suo strano, con questo estremo silenzio.”

Declaimer: Hogwarts e tutti i personaggi non li ho inventati io, non mi appartengono, e non me ne farei comunque niente a meno che non fossero vivi e funzionanti. Rachel è invece un parto della mia mente malata.

Dedica: per il momento questa storia la dedico a me. So che questo genere di storia, triste e complesso, attira poche persone, ma io sono testarda e insisto su questa linea, perché mi piace e mi viene così. So per certo che qualcuno vorrebbe vedermi riprendere lo stile spensierato di Dangerous feelings, ma so che ci sono anche ragazze che hanno apprezzato quel mattone da ulcera di Trapped, quindi è in particolare a loro che ho pensato quando ho iniziato a scrivere “Frost at midnight”.

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Capitolo 2
*** Hell's Bells ***


CAPITOLO 2: HELL’S BELLS

Harry si appoggiò allo stipite della porta; Rachel non si era nemmeno girata per guardarlo.
“Scusa. Sono andato a fare un giro.”
Come sempre, Rachel non insisteva.
A volte Harry la trovava quasi snervante, con quel suo accettarlo senza remore, quel non insistere se lui non voleva dirle qualcosa. Quasi. Scrollò le spalle: in ogni caso non avrebbe potuto risponderle. E se anche rabbia, delusione, amarezza, passavano negli occhi della ragazza alle sue risposte evasive, Harry era quasi sempre troppo lontano, troppo ubriaco o troppo preso da se stesso per accorgersene.
Rachel si alzò dalla sedia e gli andò incontro, abbracciandolo.
“Dai, vieni un po’ di là… è solo l’alba…” mormorò contro la pelle calda del collo di lui, appoggiata al suo petto.
Harry strofinò la guancia contro i riccioli morbidi, e abbracciò quel corpo che si appoggiava a lui con una fiducia mai meritata. Si allontanò dal sostegno sicuro dello stipite, barcollando per la stanchezza, e la seguì in camera da letto, lasciandosi accarezzare le spalle, baciare il collo, il viso, la bocca… chiuse gli occhi, e si lasciò cullare, arrendevole ed egoista.
Mentre cadevano sul letto, riusciva quasi a sorriderle, mettendo nei baci tutta la dolcezza che provava per lei e la passione che lei riusciva a risvegliare. Quella pelle morbida, bianca come una droga in polvere fine, dolce da baciare come il bordo caldo di un bicchiere pieno di liquore… quella pelle dalla quale avrebbe voluto staccarsi, ma a cui non riusciva, non poteva rinunciare. Era troppa quella dipendenza, era troppo pensare di allontanarsi dall’unica cosa che lo faceva ritornare umano, sentire vivo, non un pallido fantasma perso nei ricordi di una vita che gli era sfuggita, sciogliendoglisi tra le mani come neve impotente al calore del suo corpo.
Era Rachel che lo aspettava, Rachel che lo accudiva, Rachel che fingeva di non sentire quel puzzo asfissiante di alcol, Rachel che rispondeva al telefono dicendo che si, il signor Evans stava ancora male, no, non se la sentiva proprio di venire al telefono, e si, vendete, comprate, restaurate, affittate, fate esattamente quel cazzo che vi pare con i miei soldi, tanto non me ne potrebbe fregare di meno, grazie. Era Rachel.
E allo stesso tempo, mentre l’aveva tra le braccia, non era lei. Così come non lo era nessuna delle donne che aveva conosciuto prima di incontrarla. Nella sua mente malata, per alcuni istanti intermittenti, erano qualcun altro, la loro faccia, la loro voce, il loro corpo svaniva, sfumava nella penombra per diventare quel corpo che invece non aveva mai conosciuto davvero, se non nei sogni tormentati di ragazzo. In tutte vedeva lei… per qualche istante, nella frazione di secondo necessaria per capire che era vivo, sveglio e non stava sognando tra i fumi dell’ultimo litro di scotch che aveva bevuto, tutte le donne diventavano lei.
Mentre slacciava i bottoni della vestaglia, sapeva che gli sarebbe bastato alzare lo sguardo per vedere un viso riflettersi nell’ombra, nei raggi di luce rosata. Un viso dagli occhi splendenti, che lo guardava accettare da altri corpi, da altre bocche, quello che non aveva voluto da lei. Per questo teneva gli occhi chiusi: per non vederla, per non avere la conferma che c’era, per non sentire quello sguardo su di lui, per… perché non era giusto, per Rachel, per lui, non era giusto per nessuno fare l’amore con una donna e avere davanti agli occhi il viso di un’altra, sulle labbra il nome di un’altra. Non era giusto.
Non parlava mai mentre facevano l’amore. Non la chiamava per nome, non le diceva di amarla: la amava e basta… come poteva, nel modo i cui era in grado di farlo, nell’unico modo che conosceva di amare: donarle la parte di se stesso che non le avrebbe fatto del male, Henry. E nascondere nelle profondità del suo essere la parte di se stesso che l’avrebbe picchiata, insultata, che le avrebbe fatto del male perché - perché non era lei, ecco perché! Perché darle tutto se stesso, anche quella parte, Harry Potter, avrebbe significato farla scappare, restare da solo, vederla inorridire davanti a ciò che era, ciò che lei non credeva nemmeno possibile. Henry amava Rachel, la amava, davvero… e questo era tutto ciò che Rachel avrebbe avuto, che avrebbe dovuto farsi bastare.

“…a lei che spazza via la tua malinconia per me
facendoti l'amore, togliendoti il bicchiere, lo so. […]
A lei che a luci spente confondi nella mente con me.
Dietro lei cammini tu, senza lei non vivi più
dillo a lei, lei che non sa com'eri prima di incontrare lei.
Lei che sogna, lei che dà, lei che viene, lei che non va
lei che vive, lei che c'è tutte le volte che cercavi me.”
Anna Oxa
“A lei”

La luce del tramonto lo metteva sempre di cattivo umore. Una giornata era scivolata via, languida come le acque melmose di un fiume, senza lettere da nascondere prima che Rachel le notasse, senza gufi sospetti appollaiati troppo vicino per essere considerati figli degeneri di una coincidenza, senza volti sgraditi, individuati tra la folla come se rilucessero di luce propria… volti da cui scappare, volti da ignorare, perché lui di quel dannato mondo che aveva salvato non ne voleva più sapere.
Volti piacevolmente sconosciuti e indifferenti gli passavano accanto, sui sentieri che si snodavano tra i tronchi scheletriti dall’inverno degli alberi del parco. Bambini che non volavano su scope, ma calciavano palloni, sembravano fare di tutto per farlo inciampare, strappandogli un sorriso di rassicurazione rivolto alle madri preoccupate, forse per la maleducazione dei figli, forse per la sua aria pallida e smunta. Una bambina accennava una sciocca cantilena, spingendosi sull’altalena al ritmo della filastrocca… la nebbia biancastra che iniziava a scendere sulla città sembrava smorzare quella vocina stonata. O forse era l’allegria della canzone in sé a sembrargli stonata in una giornata come quella, in cui tutto sembra fatto di fumo armonioso.
Passi sicuri alle proprie spalle, identici ad altri mille passi cadenzati che gli erano scivolati accanto invisibili, lo indussero a voltarsi.
“Henry.”
“Dorian.”
Il riflesso opaco della cravatta di seta aveva lo stesso colore della nebbia, lo stesso dei suoi occhi, nascosti da un paio di occhiali quadrati, alla moda, da intellettuale. Finti. Draco ci vedeva benissimo. A ciascuno il proprio veleno, rammentò Harry a se stesso. A ciascuno il modo che preferisce di nascondere le cicatrici di troppe notti passate a ricordare.
Harry si riavviò lungo la strada, Dorian al suo fianco, troppo stanchi e troppo persi nei fantasmi dei propri sogni spezzati per spiccicare anche una singola parola.
Una palla infangata finì tra i piedi di Draco, che sogghignò in direzione del bambino che se l’era venuto a riprendere; palleggiò per un paio di secondi prima di calciare il pallone al marmocchio, che ora lo guardava ammirato e gli sorrideva.
Anche Harry sorrise, affogando il mento nel colletto del cappotto.
Anche il viso incorniciato dai capelli rossi, là a sinistra, proprio dove l’occhio non riusciva più a mettere a fuoco, sogghignò divertito, con dolcezza.
Draco si chinò a spazzolare via il fango dall’orlo dei pantaloni con una manata distratta, poi si guardò la mano bianca e curata… Dorian gli avrebbe comprato altri pantaloni, altre scarpe firmate, un altro fazzoletto di seta con cui pulire via la terra dalle mani. Ma c’era stato un tempo in cui quelle mani si erano sporcate di fango e sangue, sporcate delle vite che avevano rubato, troppo giovani per rendersi conto che una giusta causa non fa di un assassinio una medaglia al valore da portare sul petto. C’era stato un tempo in cui quelle mani avevano asciugato lacrime sul viso di un antico nemico, sporcando quelle guance del sangue stesso che le aveva provocate.
Gli occhi dei due ragazzi si incontrarono per un istante, attraverso due paia di lenti appannate dall’umidità, ma fu solo un istante, e poi la nebbia continuò a scorrere accanto a loro, lasciandoli a vagare di nuovo in quel limbo di nulla tra un incubo e l’altro che erano le loro giornate.

Rumore di passi sicuri nel freddo corridoio di Grimmauld Place numero 12.
Harry alzò il volume dello stereo, la voce di Alice Cooper gracchiò ancora più forte che la scuola era finita per l’estate (*). L’eco di uno strillo deliziato riuscì a superare quel frastuono e Harry alzò ancora, portando al limite di resistenza l’apparecchio già duramente provato dall’interferenza della magia. Non ci teneva proprio a sentire gli acuti sdilinquimenti con i quali la vecchia mammina di Sirius elogiava il passaggio dell’unico, biondo, essere vivente che secondo lei era degno di calcare quelle vecchie assi.
Nonostante il baccano, lo schianto della porta aperta da una mano nervosa fece voltare Harry… la chioma nera spettinata emerse dallo schienale del divano, seguita dal viso assonnato, imbronciato, pronto a mandare l’intruso molesto esattamente dove meritava. L’espressione cambiò immediatamente, raffreddandosi.
“Oh, sei tu…” borbottò.
Draco si appoggiò alla porta chiusa, ignorandolo, i capelli biondi altrettanto spettinati e l’aria di chi avrebbe preferito ascoltare le campane dell’inferno piuttosto che quegli strilli di compiacimento.
Nel corridoio qualcuno lanciò incantesimi rabbiosi contro il ritratto urlante e, quando gli strilli si placarono, la voce della signora Weasley strillò a sua volta attraverso la porta, ordinando ad Harry di abbassare quella dannata musica.
Draco scivolò giù lungo la porta con un sospiro esasperato, trovandosi seduto, e battè la testa contro il legno. I suoi occhi grigi si scoprirono, stanchi, cerchiati, e incontrarono quelli verdi di Harry, stanchi e cerchiati.
Harry sospirò a sua volta e alzò una mano stretta attorno al collo di una bottiglia di firewhisky. Draco annuì, si alzò in piedi e aggirò il divano per buttarcisi sopra, accanto al vecchio nemico… agguantò la bottiglia e ingoiò rumorosamente una lunga sorsata…

La macchia rossastra al limite del campo visivo sospirò tristemente – un alito di vento profumato sulla nuca – quasi fosse partecipe dei suoi ricordi. Harry volse lo sguardo quel tanto che bastava per vederla allontanarsi, come portata via da un soffio di brezza.
“Devi lasciarla andare.”
Draco lo stava guardando di sottecchi, con un’espressione di triste rassegnazione che faceva diventare i suoi occhi del colore delle nubi durante un temporale.
“Sei ubriaco, Dorian” gli rispose, calcando su quel nome – reale, nella vita fasulla che stavano vivendo – per troncare ogni discussione.
Dorian sorrise, celando la tristezza di Draco dietro la sua maschera di beato disincanto.
“Stranamente no. Non ancora, per lo meno. Ma pensa quello che credi…” mormorò, per poi tramutare il proprio accento in quello strascicato e musicale del proprio alter ego, “Hai bisogno di bere e mangiare, amico mio, hai bisogno di vivere! Ma guardati… sei praticamente un cadavere!” declamò, enfatizzando ogni affermazione con ampi movimenti delle mani.
Il fazzoletto di seta cadde nel fango in uno di quei gesti teatrali, e Dorian lo lasciò dov’era.

“Tell me now, you sinner, you run for a better world
Tell me why you'd leave her despite all the hurt.
Don't deny that you once tried to mend the circumstances now out of hand
And don't deny your life's a living hell, you're a shadow of your own self.”
Sirenia
“A shadow of your own self”

“Queste ultime settimane con te sono state come… come la vita di un altro. Ma io non posso, noi non possiamo… Devo fare delle cose da solo, ora.”
“E se a me non importasse?”
(**)
Ginny… intrepida, testarda, Ginny. Non le era mai importato di nulla e di nessuno, di chi o cosa fosse Harry. Lui era soltanto Harry, e lei non aveva mai rinunciato, non avrebbe mai rinunciato a lui. Lo avrebbe seguito fino alle porte dell’inferno, aspettato fino alla fine del mondo… ma la fine del mondo aveva colpito proprio chi stava aspettando.
Harry scese dal letto in silenzio, come faceva sempre, come se avesse paura che la malattia incurabile del ricordo del proprio passato contaminasse anche Rachel.

Sbattè forte un pugno chiuso contro le piastrelle della cucina.
Era al sicuro, ora, poteva farlo, lontano da Rachel e dal suo sonno leggero.
Era un modo come un altro per svegliarsi, per far svanire gli incubi, quel genere di incubi che si attaccano alla gola e non se ne vogliono andare nemmeno quando non stai più dormendo. Farsi del male fisico, sbattere quelle nocche sul muro fino a farle sanguinare, per sentire un dolore che col tempo sarebbe guarito, a differenza del senso di colpa che non se e sarebbe mai andato.
“Sapevo che sarebbe successo, alla fine. Sapevo che non saresti stato contento se non fossi andato a caccia di Voldemort.” (**)
Il suono di quella voce gli pulsava sulle tempie, come se ogni battito del cuore pompasse nuovamente quel retaggio di passato in avanti, verso il presente. Non aveva pensato a lei. Con quel nobile e stupido intento di proteggerla non aveva fatto altro che abbandonarla, lasciarla a se stessa, lasciare che lo amasse in silenzio, che restasse nell’ombra a preoccuparsi quando lui se ne andava, a piangere se ritardava, a sorridere tra sé, nascosta dietro qualche angolo, quando lui tornava sano e salvo. E lui… lui era rimasto ad amarla in silenzio, a spiare la sua figura nell’ombra, a dirle addio in silenzio tutte le volte che se ne andava a salvare il mondo, a pensare a lei, mormorare il suo nome ogni volta che stava rischiando la vita e ad essere felice perché avrebbe potuto guardarla in silenzio per un altro giorno ancora ogni volta che riusciva a tornare indietro intero.
Un amore vissuto a metà, solo perché lui aveva voluto dare ascolto a… a cosa, dannazione, a cosa! Cos’era che gli aveva fatto credere di proteggerla, cos’era che gli aveva fatto pensare che quella sofferenza lancinante nel non poterla avere, avesse uno scopo. Salvarla… da cosa?!? Da cosa, quando Voldemort gli aveva letto negli occhi quell’amore infelice senza faticare un istante? Da cosa credeva di potersi nascondere, quando lei lo seguiva a distanza come un angelo custode porta fortuna, aspettando solo di sacrificarsi per il suo amore?!?
…Ron, con le lacrime che gli colavano dalla punta del naso, stringere a sé Hermione e accarezzarle i capelli mentre lei gli singhiozzava contro la spalla. (**)
Loro almeno avevano avuto quello, ognuno di loro aveva l’altro da proteggere, aveva qualcuno da abbracciare per dire a se stessi e all’altro “è finita, anche stavolta è finita, siamo salvi, per oggi”. Lui si era negato perfino quello.
Cosa gli aveva messo in bocca quelle parole – devo fare delle cose da solo, ora (**) – quando avrebbe solo voluto dirle che, per quel poco che valeva la sua vita… beh, era sua, che ne facesse quello che voleva, perché comunque lui l’avrebbe amata, per sempre, fino alla fine del mondo, con un amore che andava oltre ogni altra cosa che sarebbe successa… sempre. Perché aveva creduto che gli sarebbe bastato amarla in silenzio per sempre?
Longer than always is a long long time… (***)
Già… “per sempre” può diventare un periodo incredibilmente lungo quando sei costretto a viverlo da solo… quando ti sei costretto, senza nemmeno ricordarne più il motivo. Prima era stata la paura, il desiderio di proteggerla, poi era stata la testardaggine su quella decisione già presa, e infine quella notizia che un po’ di Voldemort viveva e sarebbe sempre vissuto dentro di lui… cosa gli aveva fatto credere che quel frammento di passato malvagio che si portava appresso avrebbe finito per farle del male? Tutti questi motivi insieme erano valsi la rinuncia a quel poco di tempo che avrebbero potuto passare insieme, a quel conforto che avrebbe potuto ricavare dall’averla accanto?

Harry sbattè la fronte contro le piastrelle, questa volta, gli occhi chiusi impastati di lacrime salate che non voleva far scendere…
“Più forte”, mormorò una voce dietro di lui, celando una risata amara nella pausa tra le due parole.
Harry si voltò e si trovò davanti il sorriso disincantato di Dorian, appoggiato accanto alla finestra, le caviglie incrociate e le braccia conserte, l’immagine stessa della bella vita, scarmigliata dagli amori di infinite donne di cui non ricordava mai nemmeno il viso, rovinata dalla consapevolezza che niente è reale, tutto è una recita, una commedia in cui l’attore principale lascia la scena prima dell’ultimo atto.
“Non ti ho sentito materializzarti.”
Draco scrollò le spalle e iniziò a rovistare nel frigo e negli sportelli della cucina, alla ricerca di qualcosa. Harry lo seguì con lo sguardo; mentre voltava la testa la vide, come sempre, là dietro alla sua sinistra, i capelli rossi mossi da un vento che non esisteva.
“è lei che non se ne vuole andare” sussurrò, quasi senza accorgersene, lo sguardo fisso sulla collezione di CD di Rachel. La copertina di un disco degli AC/DC giaceva aperta sullo stereo ed Harry ricordò che Rachel lo stava ascoltando proprio quel pomeriggio, quando era rientrato, mentre preparava la cena. Le note iniziali e lugubri di “Hell’s Bells” gli risuonarono nella testa, attutite dalla nodo di ricordi che sembrava legargli stretto il cervello.
“Lei non voleva lasciarmi. È rimasta a guardarmi combattere la mia battaglia finchè non le è costato la vita. Si sta vendicando. È lei che non vuole lasciarmi in pace. Mi sta aspettando all’inferno…”
La testa di Draco uscì dal frigorifero e lo osservò attentamente. Non disse nulla, anche perché in fondo non c’era niente da dire… lui c’era, osservatore silenzioso delle magagne di persone che non gli erano mai state amiche ma nelle quali si era trovato, suo malgrado, invischiato. Mentre Weasley e Miss Granger dispensavano consigli, occhiate di ammirata compassione per quel sacrificio idiota e amichevoli pacche sulle spalle, Draco Malfoy si limitava ad osservare, fregarsene, stravaccarsi sul divano accanto a Potter, e combattere i fantasmi di un’altra vita passata con le labbra attaccate al collo della stessa bottiglia.
“Dove cazzo hai infilato lo scotch, si può sapere?!”

“In qualità di tuo avvocato ti consiglio di dirmi dove hai messo quella cazzo di mescalina.”
Hunter S. Thompson
“Fear and Loathing in Las Vegas”

********

NdA
(*) Alice Cooper, “School’s out for summer”
(**) J.K.Rowling, estratti da “Harry Potter e il Principe Mezzosangue”, cap. 30
(***) Frank sinatra, “More (Theme from Mondo Cane)”

Grazie per le recensioni incoraggianti!
Le mie tre “brede” in primis: quella che ama Ron e non se ne vergogna (l’importante è credere nei propri ideali, tesoro, non preoccuparti non te ne faremo una colpa. Sei una beta stratosferica!), quella che esulta perché una volta tanto Ron non è cadavere già dal prologo (è bello veder apprezzati gli sforzi per guarire da una turba psicologica come la mia… grazie per aver appoggiato la Dichiarazione di Indipendenza) e ovviamente Savannah, che è un mito anche quando recensisce: grazie, darling!
Grazie anche a Ramona55 e Saty, che mi seguivano già in Trapped (oddio, Saty in realtà mi sopporta ormai già da tempo immemore), immuni al mio pericolosissimo effetto-gastrite. Spero davvero che questa storia vi coinvolga un po’ come l’altra, anche se, come vedrete è molto diversa.
In ultimo, ma non per importanza, grazie a WithoutEstel, che non conoscevo da prima ma è sempre bello vedere nuovi nomi: spero di non deluderti. Tralasciando il fatto che Risalita dall’Inferno, in mia opinione, è scritta coi piedi, comunque si, hai ragione, il clima è più simile a quello, piuttosto che a quel delirio dark di Trapped. Ciao e grazie!
Alla prossima settimana!!!

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Capitolo 3
*** Stairway to hell ***


CAPITOLO 3: STAIRWAY TO HELL (*)

“…e canterò la storia delle sue mani che erano passeri di mare,
e gli occhi come incanti d'onde scivolanti ai bordi delle sere;
e canterò le madri che accompagnano i figli verso i loro sogni,
per non vederli più, la sera, sulle vele nere dei ritorni;
e canterò finché avrò fiato, finché avrò voce di dolcezza e rabbia
gli uomini, segni dimenticati, gli uomini, lacrime nella pioggia,
aggrappati alla vita che se ne va con tutto il furore dell'ultimo bacio,
nell'ultimo giorno dell'ultimo amore!”
Roberto Vecchioni
“Euridice”

Pioveva. Pioveva a dirotto, proprio come quel giorno di primavera.
Nelle giornate di pioggia la macchia rossa ai bordi del campo visivo diventava più scura, come i capelli ramati di lei quando si bagnavano mentre lo aspettava. E lo aspettava sempre, anche quel giorno, in cui pioveva talmente forte che era difficile tenere gli occhi aperti.
I suoi erano spalancati: pozzi neri come l’oceano di sera, in cui si agitavano turbolente le ondate della paura. Quel bianco terrorizzante, quasi spettrale, del suo viso lucido di pioggia, quella pulsazione della vena del collo, quello sguardo atterrito, fisso alla punta della bacchetta così vicina… non aveva mai visto nulla di così angosciante fino ad allora. Nulla gli aveva mai strappato l’aria dai polmoni a quel modo, così dolorosamente, come vederla trattenuta da quel braccio inguainato di nero. Era come se al mondo non ci fosse più aria.
“Allora Potter, guarda cos’ho trovato qui fuori… me la dai quella collana, adesso?”
Ma lui non ce l’aveva quella dannata collana.
L’avevano appena distrutta, lui ed Hermione, l’avevano fusa con il calore della bacchetta finchè quella maledetta S di Slytherin non era diventata un cumulo di metallo incandescente e informe… e un’ondata di magia bruciante era uscita, ribollendo, da quel materiale, bruciando la bacchetta di Hermione fino alla mano destra, che in quel momento pendeva inerte, rossa e violacea sul fianco della ragazza.
Draco e Seamus se ne stavano indietro di guardia, fuori dalla torre diroccata.
Draco e Seamus a quanto pareva non erano stati una buona scelta come retroguardia.
E lui non ce l’aveva più quella dannatissima collana da barattare con la vita di Ginny.
“Vediamo se questo ti rinfresca la memoria, Potter… Sectumsempra!”
Il sangue aveva iniziato ad uscire a fiotti dalla gamba di Ginny, e lei era crollata a terra con un grido rauco. L’arteria femorale pompava fiotti di sangue scarlatto sul fango della strada, imbrattando i pochi ciuffi d’erba e mescolandosi alla pioggia.
Il mondo sembrava non avere più luce - se non quella del fulmine che si era riflesso per un istante sul sangue versato.
Il grido acuto di Hermione, immobilizzata dal dolore tremendo della mano che iniziava ad annerire, gli riempiva le orecchie, mentre gridava a sua volta, così forte da strozzarsi nel suo stesso respiro.
“Nooo! Cristo Santo, non ho più la collana!!!! Maledetto… è distrutta! Maledetto!!!”
Harry era scattato in avanti come una belva inferocita, incurante di tutto, incurante di se stesso di ogni altro pensiero che non fosse il sangue di Ginny che sembrava bruciargli negli occhi come acido.
Nel presente, Sir Henry Evans sbattè la fronte contro il vetro della finestra attraverso la quale guardava la pioggia bagnare la Londra che odiava ed amava. In strada, nella luce azzurrognola che filtrava dalle nubi di quel pomeriggio, un uomo se ne stava fermo bagnandosi fino all’osso, il viso dai bei lineamenti rivolto verso l’alto e i capelli biondi bagnati che gocciolavano sul cappotto ormai rovinato.

Draco entrò con passo cadenzato nel salotto, lasciando sul pavimento rivoli di acqua grigiastra che riflettevano la penombra; gocce enormi piovevano dagli orli del cappotto, sfracellandosi sul parquet con tonfi simili a piccole pietre, nel silenzio.
Bagnato come un cane, bagnato come quel maledetto giorno.
Si era buttato, spuntando dal nulla per trattenere Harry dall’andare incontro alla maledizione che era già in viaggio per lui.
“Protego!”
E quella luce violacea era andata a rimbalzare sul muro della torre diroccata.
Anche Ginny aveva urlato disperata, premendosi la mano bianca sulla gamba, sul pantalone ormai inzuppato di sangue fino alla caviglia. La bacchetta del mangiamorte era già puntata di nuovo verso di lei.
“Togliti di mezzo, Draco!”, aveva detto il mangiamorte, con voce così gelida e sferzante da non sembrare umana, “è l’ultimo avvertimento Potter!”
Draco era crollato in ginocchio, ansimando con una mano premuta sul petto. Stava male. Lo avevano ferito, prima di riuscire ad arrivare ad Harry.
“Non ce l’’ho!!!!” aveva gridato Harry, pazzo di rabbia e terrore.
“Avada Kedavra!”

Harry abbraccio con un’occhiata la noncurante eleganza di Dorian, che si stava togliendo il cappotto per lasciarlo cadere sul pavimento. Tra le pagliuzze color smeraldo degli occhi di Harry passavano i fotogrammi di una vita che sembrava scorrere parallelamente a quella presente, senza intaccarla… ma masticandogli l’anima, morso dopo morso, giorno dopo giorno.
Come un cagnolino, Draco mosse la testa velocemente per scuotere via l’acqua dai capelli biondi, e si sistemò il colletto della camicia. La maglietta scura di Harry, con la scritta dorata “Hell’s Angels” sul davanti, aveva una cucitura strappata, e i jeans erano rotti in più punti. “Sei un damerino” gli disse, senza nemmeno salutarlo, calcando sulla parola in un affettuoso dispregiativo. Draco si ravviò i capelli con un sorriso e cominciò a ciarlare. Harry scosse la testa.
Dorian che manteneva la sua classe scolandosi d’un sorso mezza bottiglia di scotch. Dorian, che non si sporcava le mani nemmeno quando, ubriaco marcio, non riusciva ad evitare di vomitare.
E di nuovo quel pensiero, che non lo voleva abbandonare: c’era stato un tempo in cui Draco era capace di sporcarsi quelle mani bianche da dandy dell’alta società, un tempo in cui quelle mani avevano ucciso, senza pietà, spargendo il sangue del proprio sangue… quel tempo, quel giorno.
Perché l’anatema che uccide lo avevano lanciato in due.
E tutti e due avevano una dannata buona mira.
La luce verde colpì Ginny, proprio nell’istante in cui la maledizione uscita dalla bacchetta di Draco centrava il mangiamorte in pieno petto.
Per Harry in quel momento il mondo finì. Avrebbe ricordato frammenti di quegli interminabili istanti, più avanti, molto più avanti nel tempo, quando ormai ripercorrere quei ricordi era diventato come guardare un puzzle di fotogrammi rovinati… inframmezzati da troppo, accecante, dolore per non chiudere gli occhi.
Le proprie indistinte urla da animale squartato vivo, mentre si buttava sul cadavere di Ginny con quella pazzia che gli bruciava crudele nell’anima, tamponando il taglio sulla gamba ormai morta… sangue, tantissimo sangue, che gli imbrattava le mani, nero come pece in quella luce livida, quando sembra che il cielo stesso si disperi.
Hermione che urlava, e urlava, e urlava… quell’urlo lungo e acuto, che si spezza nella gola di una donna quando le lacrime diventano troppe e devono essere inghiottite per non morire soffocati.
Seamus, addormentato e pulito, sotto la pioggia scrosciante, morto per proteggerli, ucciso dalla stessa luce verde che aveva ucciso così tanti… così tanti… e ora anche la sua Ginny.
Draco che strappava la maschera al mangiamorte ucciso, e rimaneva impassibile a guardare il viso di Lucius Malfoy, suo padre, fissato per sempre in un ghigno orrendo, con quei flaccidi capelli biondi che si allargavano sul fango come alghe velenose. La maschera argentea ricadeva sul corpo già fradicio del mangiamorte con un tonfo bagnato.
E di nuovo se stesso, che scuoteva il corpo morto di Ginny, chiamandola a gran voce, quasi che sperasse di farla tornare indietro con le proprie grida.

Nel presente, Harry bloccò il succedersi di quei fotogrammi trangugiando la birra che teneva in mano, d’un fiato, per togliersi il respiro per qualche istante. Nell’ombra alle sue spalle, poco a sinistra della finestra, lei lo guardava con quella dolcezza malinconica negli occhi scuri che solo lei poteva avere, lo sapeva: lei, che avrebbe voluto carezzargli il viso e rassicurarlo che era tutto finito, che era solo un ricordo… solo un ricordo.
Dorian, sprofondato nel velluto una poltrona su cui avrebbe lasciato orribili macchie bagnate, stava chiacchierando di idiozie, come sempre. Fingere di ascoltarlo era il minimo, considerato ciò che si dovevano a vicenda: ognuno aveva salvato il culo dell’altro almeno una decina di volte, in quei maledetti anni di guerra. E anche quel giorno, non c’era stato nessun altro, c’era stato solo lui a salvargli probabilmente anche la mente.
“Potter! È morta! È morta Potter, mi senti! Basta!”
Era stato Draco a prenderlo per le spalle per farlo smettere di scuotere Ginny. Era stato Draco che aveva materializzato lui e il cadavere al Quartier Generale, ed era tornato indietro a riprendere Hermione, svenuta per il dolore.
Ed era stato di Draco l’onere maledetto di raccontare. A Molly. A Ron. A tutti.
Harry non ce l’avrebbe mai fatta, né quel giorno, né mai. Perché dopo il dolore rabbioso della belva ferita era subentrata la colpa, a divorargli le viscere con subdola crudeltà.

“Lasciai che la mia coscienza scivolasse via, lasciai che il fuoco salisse dalla mano a divorarmi il corpo. Forse sarei riuscito a morire anche io. Ma nell’universo non esiste tanta pietà. ”
Marion Zimmer Bradley
“L’Erede di Hastur”

Il ronzio delle api. L’ombra fresca delle foglie di primavera. Il profumo dei peschi in fiore in quell’angolo di Eden dimenticato da un Dio che forse, da troppo tempo, stava guardando altrove.
Singhiozzi. E il rumore assordante delle lacrime che scivolavano sulle guance dei presenti.
L’eco delle parole, pronunciate come una profezia ai piedi di una tomba bianca, dopo che le stesse fiamme bianche e splendenti avevano brillato per l’estremo saluto di un altro mago. Di un altro viso amato.

“Come credi che mi sentirei se questo fosse il tuo funerale… e fosse colpa mia…”(**)
Già… come.
Ronald, con lo sguardo perso nel riflesso del sole sui petali rosa. Non c’era lui quel giorno, non c’era per buttarsi sulle maledizioni destinate ad altri…non c’era perché si era buttato già troppe volte e quella gamba non la muoveva nemmeno più bene.
Hermione, una mano che non sarebbe mai pi tornata quella di prima, ancora bendata di garze imbevute di ricordi, le guance rigate di lacrime amare e la promessa infranta di un vestito bianco da damigella d’onore…
Tante schiene vestite di scuro.
Tante spalle scosse da pianti silenziosi, quasi che la folla temesse di rovinare con troppo rumore la cristallina bellezza di quella mattina: il sole si innalzava placidamente in un cielo tinto del rosa dell’alba, il fumo saliva in una spira bianca, inchinandosi in un estremo saluto ad una pira funebre che presto, troppo presto, si sarebbe tramutata in una lapide fredda. Per l’eternità.
Harry distolse gli occhi: la luce di quelle fiamme era troppa. O il dolore era in grado di rendere ciechi…?Il suo sguardo incontrò la figura di Draco: la schiena appoggiata al tronco di un albero, la camicia nera spiegazzata, il colletto che usciva disordinato dalla giacca scura dal taglio impeccabile… un petalo di pesco gli era caduto sulla spalla e spiccava sul nero omogeneo dell’abito.
Draco ricambiò lo sguardo. Gli occhi verdi di Harry erano asciutti, come i suoi, ed in essi non brillava più alcuna luce. C’era troppo nero in quella giacca, troppo in quei capelli scomposti che nascondevamo il marchio dell’infamia sulla fronte… e troppo bianco in quel viso che era pallido come il marmo della tomba maledetta. I lineamenti erano atteggiati in una smorfia amara, tale da deformargli il viso in una orrenda Maschera a metà tra Rabbia e Dolore.
Draco vide il Prescelto venire abbracciato da ogni sorta di mago singhiozzante, vide i suoi occhi rimanere asciutti, secchi come probabilmente era il suo cuore; Harry Potter, come una statua dell’Angelo della Vendetta dal cuore spezzato, rimase immobile sotto la pioggia di petali di pesco, perché anche l’Eden quel giorno piangeva, mentre la folla gli sfilava accanto lasciandolo solo.
Gli occhi di Potter erano fissi su una rosa carminia, appena sbocciata e coperta di gocce fredde di rugiada. Con una mano sfiorò quei petali delicati, accarezzando in essi la pelle della donna che si era negato, e che sarebbe restata sempre, fiore congelato all’apice di una bellezza in boccio, nell’anima dell’eroe dannato. Draco gli si avvicinò alle spalle in silenzio; senza chiedere nulla, staccò la rosa con un gesto preciso ed andò a posarla sulla tomba. Il fiore rosso spiccava sul candore del marmo, coprendo la data di morte quasi a voler negare che quello fosse veramente accaduto.
Harry seguì quei movimenti con gli occhi spenti di un uomo a cui l’anima era stata strappata a morsi. Sollevò quegli occhi sul viso freddo di Draco, riversandovi tutto l’odio che lo stava corrodendo da dentro.
“Sei identico a lui” mormorò, con una voce roca che non sembrava nemmeno del tutto umana.
Draco non disse nulla, e i capelli biondi sugli occhi nascondevano la sua espressione: non sembrava averne nessuna. Allargò leggermente le braccia, in attesa.
Il pugno arrivò, preciso e micidiale, pestandogli la mascella e scheggiandogli un dente. La testa gli si piegò di lato, e una fitta lancinante al collo gli annebbiò la vista prima che il dolore della botta gliela offuscasse completamente. Non aveva nemmeno tentato di difendersi.
Per un tempo quasi infinito rimase in quella posizione, prima di alzare una mano e toccarsi il mento e la guancia con delicatezza. Piegò il collo a destra e sinistra, lentamente.
Potter era in ginocchio, le nocche della mano destra livide, il viso chinato sull’erba e le spalle scosse da rabbiosi singhiozzi senza lacrime. Draco gli prese una mano, senza gentilezza, e si passò un braccio intorno alle spalle, facendolo alzare e costringendolo in qualche modo a camminare verso casa…

“The heretic seal beyond divine,
A prayer to a God who's deaf and blind,
The last rites for souls on fire.
Three little words and a question - why?
Love's the funeral of hearts
And an ode for cruelty,
When angels cry blood
On flowers of evil in bloom.”
H.I.M
“The funeral of hearts”

“Devi piantarla.”
Harry smise di stracciare a striscioline l’etichetta della birra, ma non alzò la testa a guardarlo.
“Di fare che?”
“Di torturarti. Te lo leggo in faccia quando sguazzi nel senso di colpa.”
Sguazzare. Curiosa scelta di termine. Come un cucciolo in una pozza di fango.
Draco non si arrese. Sapeva essere particolarmente tenace, soprattutto quando sentiva forte nel proprio intimo che qualcuno non aveva alcuna speranza di sopravvivere alla giornata senza aver ascoltato la sua brillante opinione. O forse, ancora, aveva solo voglia di sproloquiare.
“Ginny ti avrebbe seguito comunque. Anche se tu le avessi detto di starsene a casa.”
“Smettila!”
Harry era saltato in piedi, gli occhi verdi spalancati e furenti, il teschio piumato disegnato sulla maglietta si alzava e si abbassava freneticamente come se il cuore volesse volargli via dal petto. La bottiglia di Guinness era precipitata sul parquet e rotolava verso il piede i Draco.
Pronunciare ad alta voce il nome di Ginny aveva sempre quell’effetto. Draco non lo faceva mai. Mai. Nessuno lo faceva mai, nessuno poteva osare… La macchia di riccioli rossi si mosse rapida nell’ombra della finestra, ed Harry la sentì sfiorargli la spalla con una carezza leggera, come per trattenerlo dall’azzuffarsi con Draco.
“Non farlo, Malfoy” disse Harry, “non puoi essere già ubriaco fino a questo punto.”
Draco sfoderò il vecchio ghigno strafottente, che risultò grottesco sui suoi lineamenti, più maturi ed eleganti rispetto a quando era ragazzino. I suoi occhi erano placidi e insondabili come uno specchio brunito dal tempo, appeso nell’antica Sala dei Trofei. Calciò la bottiglia verso i piedi scalzi di Harry.
“A costo di ripetermi, Potter… no, non sono ubriaco” mormorò, “e i miei sonni sono calmi e tranquilli quanto i tuoi, nel caso ti venisse il dubbio. Ma ignorare l’ovvio ti sta solo facendo più male di quanto Voldemort abbia mai sognato di farti.”
Harry vide, piuttosto che udire, le parole non dette tra una pausa e l’altra in quelle frasi sussurrate, le vide impresse a fuoco, negli occhi lividi per il troppo pensare, nella tensione quasi impercettibile della figura stravaccata che lo guardava da sotto in su, nella fronte congelata in quella maschera noncurante: è stata la mia maledizione ad arrivare troppo tardi quel giorno, è stato mio padre ad uccidere la tua Ginny, è stato mio padre che ha lasciato torturare mia madre, mio padre… che ho ucciso quel giorno. Altre ovvietà portatrici di incubi. Altre ovvietà che li attaccavano ad una bottiglia di alcol in ogni sua forma ed aroma. Purché fosse alcol.
Harry distolse lo sguardo e guardò verso la finestra… quando i suoi occhi arrivarono troppo vicini all’ombra in cui si nascondeva il viso dolce dai capelli rossi, questo sparì, come sempre. E come sempre Harry le indirizzò quel pensiero assordante, disperato e inconsapevole: non andare, non lasciarmi… porta via anche me!
“Lasciarla andare non significa amarla di meno”, proseguì Drco, senza pietà.
“Tu non sai cosa vuol dire amare!” sibilò Harry.
“E tu lo sai?” gli chiese l’altro, con una punta di divertimento nella voce strisciante sul silenzio umido del pomeriggio. Londra sembrava coperta da un mantello di bruma, grigia e bluastra tra le gocce di pioggia: una vecchia puttana tra i fumi e la schiuma di un bagno di essenze che non potranno mai ridarle la giovinezza perduta. “Tu lo sai? È stato per amore che l’hai lasciata a piangere e pregare ogni dio che conosceva perché tu tornassi ogni dannata volta che uscivi? È stato per amore che ti rinchiudevi a bere da solo invece di stare con lei finchè potevi? È stato…”
“Basta! Io non bevevo da solo.”
Draco sorrise, un’espressione dolce-amara che ormai si adattava, molto più del sarcastico sogghigno, all’uomo che col tempo era diventato.
“Già. Bevevi con me”, concesse. “Forse non so cos’è l’amore per te, Harry” riprese, con una dolcezza fraterna che nessuno, secoli prima, avrebbe mai creduto possibile, “ma a me hanno insegnato che è qualcosa per i vivi. Altrimenti si chiama ossessione, e credo che quello sfregio che ti porti dietro fin da bambino te ne abbia già creati a sufficienza di problemi mentali. Forse quando ti ho detto che tutto quello che tocchiamo si rompe… forse l’ho detto per invidia. Hai un angelo che ti vive accanto senza che tu lo degni dell’attenzione che merita. Rachel è viva, Harry…”
“Lascia Rachel fuori da tutto questo” lo interruppe Harry, imperiosamente.
Draco allargò le braccia mentre si alzava in piedi, e raccattava il cappotto dal pavimento per drappeggiarselo sulle spalle, fradicio e gocciolante com’era.
“Lasciala dove vuoi, San Potter, ma questo non cambia le cose. Quella cosa che ti porti dentro non è infettiva. E con tutta l’appiccicosa lealtà Gryffindor che ti ritrovi sarà già soffocata da un pezzo. Se ce l’avessi avuto io, un pezzo dell’anima di Voldemort, mi ci sarei divertito molto di più!”
Harry sogghignò, sentendo sbollire l’angoscia che per un lungo istante gli aveva annerito la vista.
“…tu l’avresti fatta affogare nel brandy.”
“Touchè.”
Mentre Draco si inchinava con eleganza, Rachel apriva la porta di ingresso ed entrava, bagnata e infreddolita, dopo una giornata di lavoro.
“Dorian!” salutò con il suo consueto sorriso.
Dorian si portò teatralmente una mano al petto.
“Una visione!” esalò, “Quale angelo può essere più meraviglioso di quello che ritorna al suo focolare!”
Rachel rise, scuotendo la testa. L’umidità le aveva arricciato i capelli bruni, di solito acconciati in onde ordinate: sembrava una bambina.
“Cretino. Resti a cena?”
“Mia cara Rachel, ogni tuo invito dovrebbe essere un sacro comandamento, per me… ma purtroppo sono atteso, stavo giusto per andarmene.”
“Sei atteso? Così conciato?” gli chiese, accennando agli abiti grondanti e le scarpe rovinate dalla pioggia sporca di Londra.
Sulle labbra di Dorian si disegnò un lievissimo sorriso furbo.
“Nel luogo in cui sono atteso, mia cara, la condizione degli abiti non è rilevate.”
Rachel si portò una mano sul fianco.
“Prima o poi una delle tue signore si accorgerà di essere il quarto appuntamento della giornata, Dorian” lo ammonì, sforzandosi di non scoppiargli a ridere in faccia.
Dorian spalancò gli occhi grigi con innocenza, mentre si avviava verso la porta.
“Allora prega che la mia resistenza fisica non abbia mai a cedere, angelo… o quello sarà un ben triste giorno per me.”
La ragazza rise apertamente.
“Vai, Casanova! E fai attenzione!”
“Di tutto pur di rivederti…” rispose Dorian, soffiandole un bacio, per poi rivolgersi, quasi distrattamente, ad Harry. “Pensa a quello che ti ho detto, Henry.”

“Sul tuo cuore grava un peso dieci volte più grande del Muro attorno a Mondo, Mikhail! Basta! Quello a cui ti ostini ad aggrapparti non è un tesoro, è solo spazzatura!”
Marion Zimmer Bradley
“La Matrice Ombra”

Lo specchio era un patentato bastardo.
Un amico ti dice sempre che non stai affatto male, anche se hai una cera che non sfigurerebbe in un museo degli orrori, un amico cerca sempre di indorare un pochino la pillola. Harry si strofinò la faccia con le mani bagnate. No… lo specchio non era suo amico, quel bastardo, non lo era mai stato.

Lo specchio rifletteva, tra la sua spalla e la porta aperta del bagno, uno scorcio della camera da letto e Rachel che leggeva, raggomitolata sotto il piumone dai colori vivaci che lei aveva comprato. La luce dell’abat-jour creava tremolanti riflessi dorati sulle cromature delle maniglie dell’armadio, tanto che la stanza sembrava immersa nelle candele. Uscì dal bagno e si trovò immerso in quel tremolio di luci, ipnotizzato dai riflessi ramati dei riccioli di Rachel sul cuscino. Rame dorato, senza i violenti riflessi rubino dei capelli che si agitavano là dietro, nell’ombra, al solito posto.
Harry si tolse la maglietta e si tirò addosso il piumone. Il suo sguardo cadde sulla bacchetta magica, annerita dagli anni e dal dolore, che riposava sul tavolino accanto al letto – una vecchia, rassicurante, e quanto mai inutile, abitudine. Rachel, ovviamente, non poteva vederla: Incanto Fidelius. Ricordava il giorno in cui lui e Draco si erano fatto ognuno Custode Segreto dell’ultimo brandello di magia che l’altro possedeva, che entrambi si rifiutavano di lasciarsi alle spalle. Spesso si dimenticava addirittura che quella bacchetta esistesse. Era come se avesse perso quel potere intrinseco di dargli sicurezza con la sola vicinanza, con il solo sapere di poterla impugnare.
Rachel chiuse il libro e spense la luce. Harry si ritrovò a guardare il buio, con il timore di chiudere gli occhi, perché dietro le palpebre quel buio lasciava il posto ad immagini che lui non voleva rivedere. Girandosi sul fianco, abbracciò la vita di Rachel e sentì le sue dita sottili e fresche intrecciarsi alle proprie.
Era così sbagliato trovare sicurezza in quel gesto, in quel corpo che si appoggiava a lui con fiducia, in quei capelli morbidi e in quella pelle dal profumo che amava? Era così sbagliato se non era più la bacchetta sotto il cuscino a farlo sentire tranquillo, ma quell’abbraccio, quella dolcezza mai richiesta e sempre donata?
Forse Draco, da qualche parte tra le parole dette e non dette, aveva ragione. Forse viveva con un angelo che gli donava serenità, e lui non era nemmeno in grado di apprezzarlo. Forse, se avesse lasciato entrare più a fondo la pace di quell’angelo, se gli avesse aperto tutto se stesso, non solo la parte inoffensiva… forse se la verità fosse venuta a galla, avrebbe trovato che quell’angelo era forte abbastanza da placare anche gli incubi. Forse.
Quella bestia viscida che si portava dentro, giaceva addormentata ormai da troppi anni. L’Horcrux involontario che Voldemort aveva creato, se ne stava lì, di fianco alla sua anima completa ed integra, così vicino da non poter essere ignorato, eppure separato… diviso nell'essenza (***). Dormiva... e non aveva mai influenzato il suo pensiero profondo, la certezza che la Via giusta non era quella di Voldemort. Ma indirettamente, ogni volta che aveva preso una decisione tenendo conto delle conseguenze che quel viscido frammento di spettro avrebbe potuto avere su di lui, o sugli altri, aveva agito allontanando da sè qualcuno che non l’avrebbe mai e poi mai abbandonato. Ogni volta che aveva voluto proteggere qualcuno da quella parte non voluta di se stesso, quello si era trovato in pericolo. Ogni volta che aveva preso una decisione basandosi su quello, era stata una pessima decisione.
Forse Draco aveva ragione, dopotutto. Quella parte di lui che era luce, coraggio… lealtà… quella parte di lui che il Cappello Parlante aveva intravisto secoli prima, era in grado di soffocare ciò che il male gli aveva lasciato. Forse davvero non era infettivo, forse davvero non poteva fare del male avvicinandosi a qualcuno, avvicinandosi di più.
Forse. Se avesse smesso di annodare la paura tra lunghi nastri di rimpianto…
Sarebbe stato così sbagliato permettere a qualcuno di guardare dentro di lui e scegliere…? Scegliere di accettarlo per ciò che era, di vedere il mostro che dormiva in lui ed imparare ad amarlo comunque. Sarebbe stato così sbagliato concedere a Rachel il libero arbitrio che Ginny si era presa e che lui, all’ultimo, le aveva negato?
“E se a me non importasse?”
“Importa a me.”
(**)

Ma Rachel… avrebbe avuto la forza di Ginny?
Il profumo di fiori di campo si insinuò in lui, a metà tra un sogno e il torpore del sonno.
Non hai ancora capito ciò che una donna, per amore, sa fare, Harry?

“Tu con lei vola più su, vola in alto come sai tu
vecchie cose dentro di te, l'ombra di un uomo che assomiglia a te…”
Anna Oxa
“A lei”

***********

N.d.A.
(*) Chiedo venia ai Led Zeppelin per aver storpiato il titolo della bellissima canzone “Stairway to Heaven”.
(**) J.K.Rowling, “Harry Potter e il Principe Mezzosangue”, capitolo 30.
(***) J.K.Rowling, “Harry Potter e il l’Ordine della Fenice”, capitolo 22.
CREDITS:
1. Per l’idea della magia nera intrappolata nell’Horcrux che, uscendo, brucia la mano di Hermione mi sono ispirata sia alla mano annerita di Silente in “Harry Potter e il Principe Mezzosangue”, sia al destino della mano di Lew Alton quando tocca la Matrice Sharra in “L’Erede di Hastur”, di Marion Zimmer Bradley.
2. Il soprannome “angelo” con cui Dorian/Draco si rivolge a Rachel, è lo stesso che usano Penny e Ken per Tippy in “Miss Tippy”, di Janet Lambert.
(I credits probabilmente non erano necessari, ma è giusto fare pubblicità ai libri che hanno cambiato la mia vita… Savannah, tu puoi capirmi, se dico Peter Jordon e Dyan Ardais…)

Un pensiero particolarissimo per la mia Euridice, quella che ama i cavalli… tralasciando ogni possibile battutaccia (che ovviamente non ti è stata risparmiata in separata sede) perché questa non è una NC17 e voglio preservare orecchie innocenti… Spero che tu abbia individuato la sorpresa per te in questo capitolo!
Pegaso, Bucefalo, Black stallion, Il cavallo di troia e quel baldraccone di Equus: tesoro, sei tanto, tanto cara a farmi ridere in questa situazione… ma un pochino di dignità, ti prego. O è andata a prendere le sigarette pure quella? Ti voglio bene, grazie davvero, non sai quanto mi hai fatto ridere!
Grazie alla mia dolcissima Chiara che mi fa da beta e mi dice che sono l’unica in grado di farle adorare Draco, e a Savannah: sei sempre un amore, ti meriti un Draco che rovista nel tuo frigo alla ricerca… del lambrusco, ovviamente! Grazie!
Grazie a WithoutEstel per la recensione carinissima. Spero di far capire, durante la storia qual è la natura dell’ombra di Ginny che Harry vede continuamente al proprio fianco. Sono contenta che ci siano frasi che ti colpiscono! Per quanto riguarda Risalita dall’Inferno… è che a me sembra vecchia e infantile, perché impegnarmi su storie più complesse e studiate come questa e Trapped mi ha dato molto più gusto. (A Trapped sono particolarmente affezionata, lo so che divento logorroica, ma che vuoi farci?).
Saty, tesoro… mi pare pure ovvio che Draco ci faccia sempre la sua PORCA figura…sono contenta che tu abbia notato la questione dei silenzi… ma stavolta un po’ i due alcolisti anonimi hanno esternato! E comunque la presenza di Ginny non è poi così misteriosa, anzi pensavo che viste le tue passioni freudiane, a te sarebbe piaciuta particolarmente. Un bacio!!!
Fiubi: grazie dei bellissimi complimenti, cara. Anche io con Harry non ci vado molto d’accordo, infatti questa storia è scritta praticamente per poter creare il personaggio di Dorian… sfortunatamente Harry serve per esigenze di trama. (Trama? Trama?... trama…la mia amica Euridice aveva una definizione accurata una volta, suonava un po’ così: “tutte quelle parole che riempiono le pagine tra uno sgamo e l’altro”). Comunque, questa è una storia soprattutto introspettiva, infatti non è nemmeno troppo lunga (cinque capitoli ad occhio e croce), quindi aspettati tanta gastrite e pochi avvenimenti rilevanti. Spero che continui a piacerti! Baci!
Laja: ringrazio anche te per i complimenti! So ci vuole un attimo per arrivare in fondo ai miei deliri, ma che vuoi farci… sono fatta così! Grazie davvero!

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Capitolo 4
*** Frozen flower ***


CAPITOLO 4: FROZEN FLOWER

Passare la mano su quei capelli era come toccare fili di seta nel buio.
Harry, sollevato su un gomito, guardava la sagoma di Rachel dormire, rannicchiata, inconsapevole della tristezza negli occhi verdi che la osservavano e della tenerezza di quelle carezze distratte… mentre mille pensieri attraversavano la mente insonne del ragazzo.
Due anni.
Era piombata nel suo mondo, invadendo la sua casa, con quella dolcezza discreta e solare che aveva fatto sì che lui non si fosse neppure accorto di quanto lei gli aveva rivoluzionato la vita… tanto che mangiare ogni giorno allo stesso tavolo, mischiare le calze nello stesso cassetto e mettere lo spazzolino nello stesso bicchiere gli era sembrato la cosa più normale del mondo – lasciarla entrare in quella parte della sua vita che non le avrebbe fatto del male, lasciare che intuisse che c’era altro di lui ma non permetterle di vedere che cosa.
La pelle della sua guancia era bianca e traslucida nella penombra. Alla luce, Harry lo sapeva, avrebbe avuto quella lievissima sfumatura rosata dei petali bianchi di ciliegio, congelati per sempre nella primavera del suo sorriso: il sorriso che aveva per lui ogni giorno, incurante di quei segreti che non le venivano rivelati, quel sorriso sicuro che gli scaldava via il passato dal cuore da quando, quella sera di due anni prima l’aveva incontrata.
Guardando la sua immagine allo specchio – o la proiezione di se stesso che aveva in quella mente malata, una mente che a volte credeva di rivivere ancora quei maledetti diciott’anni – gli sembrava impossibile che lei avesse potuto notarlo, esserne attratta, innamorarsi di lui.
Di lui, e della sua vita di ricco fallito.
“Cosa ci trovi in me?”
Rachel lo aveva guardato, con quell’espressione affettuosa, a cui solo una scintilla di malizia impediva di essere del tutto materna - a metà tra una sentimentale crocerossina e un’inglese di buona famiglia alla ricerca del cattivo ragazzo con cui scandalizzare papà.
La risata un po’ roca di lei lo aveva fatto rabbrividire tra le coperte.
“Mi piaci quando ti dimentichi di farti la barba, e hai la maglietta stracciata come un reduce dalla guerra del Vietnam…”
La verità inconsapevole nascosta in quelle parole scherzose aveva il puzzo amaro dei segreti sepolti da troppo tempo.
Tornando seria, Rachel gli aveva accarezzato il viso.
“Mi piace quando riesco a farti sorridere e tu cerchi di trattenerti e fai quella faccia buffa, e mi piace sentirti ridere quando Dorian dice qualche idiozia…”
“Cioè sempre?”

Rachel aveva riso contro il suo collo.
“Smettila, lo sai che gli vuoi più bene di quello che vuoi far credere. Sembra che vi conosciate da sempre, da prima di questa vita… chissà, magari in un’altra vita eravate anime gemelle!”
“Ma ti prego… sai che sofferenza!”

Un bacio aveva troncato quella sarcastica protesta.
“E mi piace la tua voce, perchè sembra fatta di mille voci insieme… anche se alcune vengono da lontano e non le posso sentire.”
“Tu hai troppa fantasia…”

E dietro quel sorriso amaro, lui avrebbe voluto urlarle che tutto quel mistero non nascondeva che un mostro, qualcosa che non avrebbe dovuto sopravvivere mentre tanti erano morti al suo fianco… avrebbe voluto dirle di scappare, perché lui non era l’eroe che un tempo il mondo aveva creduto, non era che l’ombra del ragazzino pieno di boria e coraggio in cui tanti avevano riposto quelle flebili speranze. Non c’era che un tormentato codardo, imbottito di rimpianti a galleggiare nell’alcol, nascosto dietro la maschera di ricco e dannato che Henry Evans si portava a spasso tra un pub e l’altro, tra una notte e l’altra. Tra le notti popolate di incubi e quella parodia di vita che recitava nelle ore di luce.
Invece lei era rimasta, senza sapere e senza rivelare nulla, perché in fondo anche Harry, di lei, sapeva a malapena il nome della madre.

Un sommesso CRACK in soggiorno lo distolse dai suoi pensieri. Harry si alzò dal letto il più piano possibile e attraversò il corridoio.
Draco barcollò nel buio verso il freezer, in cui immerse completamente la testa, rovistando finchè non trovò una bottiglia di vodka quasi finita. Strabuzzando i begli occhi grigi, armeggiava col tappo tentando di aprirlo, le dita troppo scoordinate per riuscirci.
“Queste notti mi sembrano un film rivisto centinaia di volte” mormorò Harry, avvicinandosi. Tolse la bottiglia congelata dalle mani di Draco e la aprì per lui; mentre si allungava per prendere due bicchieri, il biondo si era già attaccato alla bottiglia.
“Salute…” borbottò Harry, riprendendogliela dalle mani e versandosene due dita. Draco tossicchiò per un sorso andato di traverso ed Harry gli assestò due sonore pacche sulla schiena.
“San Potter…” biascicò Draco, asciugandosi la bocca con la manica, “sempre pronto ad aiutare gli altri, vero?”
Harry scosse la testa.
“Già… e dopo il Prescelto ti terrà pure la fronte mentre vomiti l’anima nel cesso di casa sua. Pensa che onore.” borbottò.
“Un grande onore…” concesse Draco, riattaccandosi alla bottiglia. E dopo un silenzio, riprese, masticandosi le parole: “…se non muori per salvargli il Culo Sopravvissuto, vinci un buono per vomitare nel suo bagno.”

“Sometimes you fight what you are and sometimes you give in to it. And some nights you just don’t want to fight yourself anymore, so you pick someone else to fight.”
Laurell K. Hamilton
“Incubus Dream”

La voce di Draco era scherzosa e cantilenante.
Mormorare parole che un tempo facevano male, rigirate da lingue impastate di alcol, parole che ormai non potevano che strappare un amaro sorriso… era un gioco vecchio quanto una briscola tra ottantenni. Ma c’era un limite oltre il quale non bisognava spingersi. C’era una linea che, per tacito accordo, nessuno dei due si permetteva di oltrepassare. C’erano parole proibite, recriminazioni che ognuno faceva a se stesso nella solitudine degli incubi, ma risparmiava all’altro… per mantenere splendente lo specchio della propria codardia.
Harry posò il bicchiere sulla tavola, con il gesto misurato di chi si sforza di non tremare. Quegli occhi grigi da angelo rubato ad un paradiso piovoso, lanciavano frecce di gelido odio che potevano – lo sapeva, per Dio se lo sapeva – centrare il bersaglio senza nemmeno prendere la mira. Perché il bersaglio era un buco nero pronto ad inghiottire ogni luce del mondo.
“Sei troppo ubriaco anche per i tuoi standard, Draco” disse sommessamente, distogliendo lo sguardo, “credo che dovresti andare a casa. A vomitare nel tuo bagno, tanto per cambiare.”
Draco proruppe in una risata che assomigliava ad un rauco ululato.
“San Potter si è offeso….” cantilenò, con velenosa dolcezza, “bisogna proteggere il Prescelto dalla cattiva verità…”
“Malfoy.”
Una parola che suonava come un avvertimento, pronunciata da un uomo che una volta era un ragazzino, un ragazzino che non si sarebbe lasciato sfuggire l’occasione di prendere a calci nel culo quel presuntuoso, stronzo, arrogante.
“No Harry… Malfoy era il mio caro paparino, quello che per colpa tua ha ucciso la tua fidanzatina…”

Il pugno arrivò, secco e preciso, sullo zigomo di Draco. Non forte: l’essere seduti ad un tavolo aveva limitato il danno, ma l’equilibrio di Draco era comunque già precario, e il ragazzo rovinò a terra schizzando di vodka il tavolo e il pavimento. Senza aspettare che si riprendesse, Harry lo tirò in piedi per un braccio e, prendendolo per il collo, gli ficcò la testa dentro l’acquaio. L’acqua gelida cominciò a piovergli sulla nuca e Draco si divincolò, ansimando.
“Potter…” sibilò.
“Che sta succedendo!”
Harry registrò la presenza di Rachel nel buio, al di là della spalla di Draco e lo spinse da una parte.
“Rachel…” mormorò, avvicinandosi con due balzi, “va tutto bene, tesoro. Dr… Dorian è ubriaco. Un po’ più del solito. È tutto ok, torna a dormire.”
Rachel lanciò un’occhiata severa a Draco, appoggiato malamente all’acquaio.
“Sei sicuro?”
“Si. Tu… gli parlo io, Rachel. È solo un po’ scosso. Torna pure a dormire, ok?”
“Va-va bene…”
Rachel arretrò, poco convinta. Non era la prima volta che beccava Dorian ubriaco. Cristo, non sarebbe stata nemmeno la prima volta se li avesse trovati entrambi a vomitare nell’acquaio! Ma qualcosa quella sera sembrava decisamente diverso. Henry aveva avuto un’indecisione nel pronunciare il nome dell’amico… non che si fosse mai bevuta che Dorian fosse il suo vero nome. Oh, andiamo! Quale genitore sensato chiamerebbe un bambino con quel nome idiota! Ma tutti avevano sempre rispettato quella recita assurda e lei si era adeguata.
C’era qualcosa di strano. Qualcosa nell’aria.

“Se ne va alla finestra e ci si appoggia contro: respira pesante, da animale braccato. Negli occhi ha un bisogno disperato e nient’altro.”
Irvine Welsh
“Trainspotting”

Draco aveva attraversato la stanza, lasciando le impronte delle mani bagnate di vodka sulle pareti a cui si era appoggiato. Era uscito sul balcone, a gelarsi il culo alla luce della luna.
“Ti porto a casa. Dammi la mano, avanti.” mormorò Harry.
“Dammi la mano.” Una frase che usciva da un racconto leggendario, in cui maghi-bambini combattevano insieme, con l’anima spezzata troppo presto dal male del mondo, e la fiducia in chi si ha accanto, silenziosa e sola, a sostenerli. Fiducia sbocciata dall’odio. Odio germogliato su radici recise che sembravano espandersi fino all’inizio del tempo.
Draco si voltò a guardare Harry negli occhi, le iridi grigie stralunate dall’alcol, dietro le lenti finte degli occhialetti quadrati. Distrattamente mostrò il dito medio e si rimise a guardare la città illuminata dalle luci notturne.
…va tutto bene, tesoro…” parodiò, con la voce in falsetto.
“Dorian!” ruggì Harry, prendendolo per una spalla.
Draco si spostò, come se la mano di Harry bruciasse.
“Non va bene proprio un cazzo, tesoro! Lo sai?!? Lo sai che non va bene un cazzo?!?” strillò.
Harry tentò di avvicinarsi ancora e questa volta Draco non lo respinse. Ma nemmeno si voltò a guardarlo.
“Non va bene un cazzo che noi siamo qui, a nascondere la testa nella sabbia!!! Non va bene!!” si tolse gli occhiali e li lanciò in strada con uno scatto rabbioso. Quando si girò, puntò addosso ad Harry due occhi spalancati, rossi per l’ubriachezza e lucenti come specchi. “Non va bene che LORO stanno là, tranquilli, in pace… dopo che NOI abbiamo combattuto per quella cazzo di pace che non ci stiamo neanche godendo! Non va bene che quei fottuti marmocchi vivano nella nostra leggenda, ci venerino come eroi caduti, e noi non abbiamo più… non abbiamo più niente! Niente!”
Draco si interruppe all’improvviso in un conato di vomito e si piegò sul parapetto, tentando di rimettere al di là di esso come da una barca. Harry strinse i pugni e li riaprì più volte, impotente.
“Sei libero. Puoi fare quello che vuoi… non devi nasconderti se non è quello che senti…”
Draco si tirò in piedi e, mettendo a dura prova l’equilibrio instabile, si issò a sedere sul parapetto. “No che non sono libero, Potter!” sibilò.
“Si. Fatti vedere anche una sola volta al ministero, ad Hogwarts, dove vuoi… avrai tutti gli onori che desideri.”
“Ma NON VOGLIO farmi vedere! Prendere in mano quella cazzo di bacchetta mi da il voltastomaco!” si sporse verso Harry, gli occhi vacui e pieni di lacrime, “non riesco più a neanche a guardarla! Lo capisci, Grande Potter?!?! Eh? Lo capisci?!”
Harry annuì.
“Lo capisco…” mormorò.
“E allora come fai a non impazzire!” urlò Draco.
Harry non stava più guardando, non ce la faceva. Era raro che Draco si facesse sfuggire la situazione in quel modo: anche da ubriaco manteneva una certa classe e un certo distacco dalle idiozie che rotolavano fuori da quelle labbra. E non era mai successo, mai, che uno di loro torturasse l’altro con le ansie che ribollivano sotto la superficie piatta e tranquilla delle loro vite. Mai prima di allora.
Forse il vaso di Pandora che Draco aveva chiuso tanto tempo prima nel proprio cuore, era meno capiente di quanto credeva. Forse era meno capiente di quello di Harry. O forse quello di Harry era esploso tanto tempo prima e ora lo spazio vuoto nel suo cuore era così grande da non poter essere mai più riempito.
“Io sono impazzito molto tempo fa, Draco. E tu lo sai meglio di tutti.” rispose con voce sommessa.
Sono impazzito la prima volta che ho visto quel fantasma dai riccioli rossi, seguirmi, nell’ombra sfocata che precede il punto in cui l’occhio più non arriva.
Sono impazzito quando l’ho creduta reale e l’ho rincorsa, pur senza vederla, gridando e strepitando che era tornata, era di nuovo con me. E sono impazzito quando mi hai preso a pugni per fermarmi, per farmi star calmo, per farmi capire che non era reale… perché ero impazzito. Perché quel fantasma l’avevo creato io, e avrei dovuto conviverci senza distruggermi.

“Draco, te lo ripeto: sei libero. Io ho scelto… questo, altrimenti le ferite non si sarebbero mai rimarginate. Ma tu devi vivere la tua vita, devi fare quello che vuoi.”
Draco alzò le mani dalla ringhiera per portarsele alla testa.
“E quando mai hanno smesso di far male queste cicatrici, eh?” singhiozzò, ritornando improvvisamente il ragazzino con la bacchetta tremante davanti a quello che avrebbe dovuto essere il suo primo omicidio, “Io non lo so che cazzo voglio, Harry! Non lo so, va bene! Non sono te, che alla fine trovi sempre qualcuno disposto a far da balia a San Potter! Non sono te che chissà come riesci sempre ad essere amato!! E che hai sempre pure il lusso di buttare tutto a puttane, tu! Io non so più neanche chi sono!”
“Sei Draco Malfoy. Quello purtroppo non cambia.” rispose Harry, ignorando le frecce affilate che Draco aveva mandato (bastardo) dolorosamente a segno, “Draco io non posso aiutarti. Andiamo in casa, dai. Sto gelando.”
“No!”

L’energia con cui si divincolò dalla mano di Harry.
La veemenza di quel gesto.
L’equilibrio precario.
La rabbia.

Harry vide se stesso balzare in avanti come al rallentatore, e i capelli biondi di Draco svolazzare nell’aria mentre, nella violenza della ribellione, il ragazzo perdeva l’equilibrio e scivolava all’indietro, cadendo verso la strada sottostante.
Verso il vuoto.
Verso Londra, presuntuosa puttana che reclamava il suo esoso salario.

La mano di Harry sfiorò il braccio teso di Draco mentre lui precipitava.
Un altro momento infinito che sarebbe stato in grado di rivivere solo molto tempo dopo, come silenziosi fotogrammi con il solo sottofondo assordante dell’urlo di Rachel.
Incurante della presenza della ragazza, Harry si smaterializzò disperatamente.
Destination. Determination. Deliberation. (*)

“No… no, no, no…”
Harry stringeva a sè Draco, immobile e pallido… più pallido di quanto non fosse mai stato. Il sangue usciva, nerastro e abbondante, da una ferita alla fronte. La guancia era martoriata da un’abrasione e il braccio era piegato in una posizione innaturale…
“Draco! No… no, svegliati…”
Gli occhi verdi di Harry erano spalancati, stravolti… singhiozzava senza piangere, scuotendo delicatamente il corpo di Draco, toccando ossa spezzate e sporgenti dalla spalla sinistra, dove la camicia si inzuppava di sangue. Il respiro del ragazzo sdraiato sull’asfalto si percepiva appena contro la pelle.
Harry alzò lo sguardo verso il cielo, bluastro e punteggiato da rare, lontanissime, stelle, la bocca aperta in un urlo muto, e la gola che lottava per far uscire un rantolante singhiozzo.
A sinistra, nel punto in cui l’occhio ormai non riesce più a mettere a fuoco, un viso bianchissimo incorniciato da lunghi riccioli rossi brillò di lacrime nel chiarore della luna, e una mano altrettanto bianca si protendeva verso di lui. Un’altra ombra sfocata si aggiunse alla prima, un viso pallido e splendente, come splendente era il riflesso su quei capelli biondi d’oro chiaro… la seconda ombra si volse, in una parvenza di saluto, prima di stendere la mano verso il ricordo che ormai abitava da tempo quel luogo che nella realtà non esisteva…
“No!” Il rauco strillo di Harry echeggiò nella strada. “No, brutto bastardo! La mia testa è già troppo affollata, non ti aggiungerai anche tu, idiota!” urlò, stringendo di più a sé il corpo di Draco. Senza nemmeno porsi il problema di dove andare, smaterializzò entrambi.

“L’imperatore della Britannia giaceva per metà sulla terra e per metà sulle acque del lago, e stava guardando, alla luce del nuovo giorno, il proprio sangue tingere le acque di carminio. Non aveva mai saputo che l’alba potesse essere tanto bella.”
Marion Zimmer Bradley
“La signora di Avalon” (morte di Carausio)

Era l’alba quando riapparve nel parco davanti a casa, sull’altro lato di quella maledetta strada. Un ingombrante gioco di legno per bambini aveva offerto un riparo da occhi indiscreti per la materializzazione.
Rimase immobile, i piedi nudi e gelati tra l’erba bagnata, la fronte pallida tesa su due occhi cerchiati, di quel verde abbagliante che sembrava fatto apposta per portare speranza… gli occhi di Lily. Rimase fermo, come per far assorbire a quegli occhi spenti la luce dell’alba che, lenta, riportava alla vita quell’angolo di mondo.
Una rosa aranciata era sbocciata fuori stagione, in un cespuglio a pochi passi da lui, quasi che la notte avesse voluto lasciare quel dono inconsueto al giorno in arrivo. Una mano bianchissima, apparsa dal nulla, sfiorò con delicatezza i petali appena spiegati, e le gocce di rugiada caddero dal fiore in uno scintillio di piccoli diamanti.
Harry sbattè le palpebre.
La rosa era ancora al suo posto, immobile, e le gocce brillavano come congelate sul velluto di quei petali. Nessuna mano l’aveva toccata.
Mosse qualche passo per andare posare le dita dove poco prima aveva visto quelle delicate di lei; la rugiada imprigionata tra i petali bagnò il palmo della sua mano. La mano bianca riapparve, chiudendosi attorno allo stelo del fiore, incurante delle spine, come per staccarlo. Harry si mosse velocemente per afferrarla, ma quella sparì… confondendosi come uno sbuffo di fumo nella la luce rosata dell’alba.
Perché? Perché non vuoi portarmi con te?

Quando varcò la soglia, la casa era piena delle note strazianti di un pianoforte, che uscivano dallo stereo acceso. Rachel si era addormentata con la testa sul tavolo di formica, infreddolita nella vestaglia leggera; il viso era impiastricciato di lacrime… le prime lacrime che lui avesse mai visto scendere dai suoi occhi. Il primo cedimento di lei… lei che si era presa cura di lui come se la sua forza non dovesse mai mancare. Gli era rimasta accanto senza farglielo pesare, senza chiedere se non ciò che lui era disposto a dare. Per anni.
When you cried, I'd wipe away all of your tears/When you'd scream, I'd fight away all of your fears/And I held your hand through all of these years…(**)
Sfiorò quella guancia umida con le dita e le palpebre di Rachel fremettero; quando aprì gli occhi, in quelle pozze scure c’era una muta, ma urgente, domanda.
“è vivo” disse Harry, la voce rauca, senza alcuna inflessione. Come se il peso della paura si sollevasse improvvisamente dalle sue spalle, Rachel si appoggiò allo schienale della sedia, le mani contratte sul viso stanco. Il ragazzo distolse lo sguardo e si avvicinò alla finestra… la luce dell’alba illuminò la fronte bianca su cui spiccava, definito, il segno di un male che pareva appartenere ad un'altra vita. Ad un altro uomo.
Nell’angolo a sinistra, all’ombra della parete, il noto viso dai capelli rossi sembrava inclinato a fissare la figura angosciata di Rachel.
“Che cosa sei?”
Le parole di Rachel echeggiarono nell’aria immobile e tesa… risuonarono nel silenzio come il rintocco inesorabile del tempo che passa, svelando segreti che ormai puzzavano così tanto di vecchio da non poter essere più coperti. Un sospiro piegò le spalle di Harry.
…These wounds won't seem to heal/This pain is just too real/There's just too much that time cannot erase…(**)
Sul viso amato che popolava i suoi ricordi, la dolcezza infantile non sarebbe mai sparita: il tempo non avrebbe intaccato quella bellezza ingenua di fiore appena sbocciato, perché la morte l’aveva congelata in un ricordo che non avrebbe mai potuto essere cancellato. Mai.
Sorrise con la mente a quel ricordo splendente di baci rubati e carezze sognate. Sei andata vicina ad avere compagnia stanotte, piccola…
Troppo vicina.
Non poteva permettersi di distruggere altre vite.
Non quella di Rachel.
Non la propria. Non dopo che tanti si erano sacrificati perché lui avesse la possibilità di viverla.
Forse doveva sbatterci la testa una centesima volta prima di capirlo, prima di sentire quella scossa dell’anima. Prima che il suo cuore perdesse un battito, e la sua anima un altro pezzo, per la paura di vedere la storia ripetersi… per la centesima volta.

Una lacrima scivolò lungo la guancia di Harry, mentre sollevava le palpebre nello sforzo più doloroso della sua vita. Voltando leggermente la testa fece ciò che da anni non aveva il coraggio, o la capacità, di fare: la guardò negli occhi.
Si specchiò in quegli occhi scuri che nella sua mente erano grandi e lucenti come stelle, riversandovi tutto l’amore che non aveva potuto donarle quando sarebbe stato ancora in tempo… quando era viva. In quell’istante eterno, che non fu altro che lo spazio tra una nota e l’altra nella canzone che continuava a suonare, gli parve che anche gli occhi di lei si riempissero di lacrime.
“Lasciarla andare non significa amarla di meno.”
Non smetterò mai di amarti, Ginny…
Il sogno di un bacio si dissolse tra la lacrima di un addio e l’amaro sorriso di un arrivederci…
e, per la prima volta, non arrivò quell’urlo straziante che nessun altro udiva, quella muta ma assordante preghiera in cui lui stesso la implorava di prenderlo con sé. Tutto tacque.
I riccioli rossi si agitarono un’ultima volta prima di sparire nella luce del sole che sorgeva. Per sempre.

“…dopo aver vinto il cielo e battuto l'inferno,
basterà che mi volti e la lascio nella notte, la lascio all'inverno...
(e mi volterò) Le carezze tue di ieri
(mi volterò) non saranno mai più quelle,
(mi volterò) e nel mondo, su, là fuori
(mi volterò) s'intravedono le stelle
Mi volterò perché ho visto il gelo che le ha preso la vita,
e io, io adesso, nessun altro, dico che è finita;
e ragazze sognanti m'aspettano per danzarmi il cuore,
perché tutto quello che si piange non é amore.
e mi volterò perché tu sfiorirai, mi volterò perché tu sparirai,
mi volterò perché già non ci sei e ti addormenterai per sempre.”
Roberto Vecchioni
“Euridice”

Una seconda lacrima seguì la prima sulla guancia di Harry. E una terza. Le prime lacrime che versava per lei, per la sua Ginny, dopo tanto tempo… forse dal giorno stesso della sua morte. Senza rendersi conto di come c’era arrivato, Harry Potter inzuppava di lacrime di liberazione la vestaglia sdrucita di una donna babbana, una donna che non sapeva niente di lui e del suo mondo. In ginocchio sul pavimento freddo, il viso sepolto tra le sottane di una ragazza che lo cullava, in un fiume di lacrime che l’anestetizzato Sir Henry Evans non gli avrebbe mai permesso di versare, il grande eroe del mondo magico ritornava a sentire se stesso, dolorante, acciaccato… vivo.

***************

(*) J.K.Rowling, “Harry Potter and the Half Blood Prince”, capitolo 18.
(**) La canzone nello stereo quando Harry ritorna in casa è “My immortal” degli Evanescence.

E siamo quasi alla fine, perché il prossimo è l’ultimo capitolo… o per meglio dire, è una specie di epilogo. Intanto grazie davvero per le recensioni!!
A Chiara in primis, per aver betato sempre i capitoli, nonostante fosse molto impegnata. Ti ho fatto innamorare di Draco, piccola peste, ce l’ho fatta!!!
A Euridice e i cavalieri dello Zodiaco (o dell’apocalisse?)… che ti inventi stavolta? Uno più figo dell’altro (AndromedaLaChecca.com a parte…), grazie per questa sfilata di bellezze… astrali. Ehm… Phoenix lo posso tenere? In cambio ti cedo Dorian che si scrolla l’acqua di dosso sul tuo divano!!!
E continuiamo con Saty: sei sempre un tesoro, ti ho già risposto in separata sede, e comunque grazie, grazie, grazie!!! Un bacio!!!!
Fiubi: una vagonata di grazie anche a te! L’uso delle citazioni per separare le scene è sempre stato una mia fissa, sono contenta che vengano apprezzate. Un bacione anche a te!
Laja: sono famosa per fare strage di personaggi… in teoria doveva restarci secco pure Draco, in questa storia, ma mi sono lasciata convincere ad essere magnanima… grazie per la recensione!
Kamomilla: spero che continui a piacerti, grazie davvero per tutti i complimenti!!!
Maecla: grazie pure a te, addirittura due recensioni! Un bacio!
WithoutEstel: in quanto a musica, quindi, dovremmo intendercela abbastanza. Hai visto che Trainspotting l’avevo già in repertorio? Comunque non credo che questa arriverà alla complessità di Trapped, primo perché è davvero molto corta, e secondo perché non credo di avere più la forza fisica di tentare un’impresa come quella. Ah, mi dici di non aver capito il rapporto tra Draco e Ginny: beh, immagino nessun rapporto, se non quello che Draco potrebbe aver avuto con Hermione o chiunque altro del gruppo di Harry, una volta cambiata barricata… questa non è una Draco/Ginny, sebbene quello sia stato il mio pairing di elezione (a parte quell’esperimento orrendo di “Scusa, qual’era la domanda?”). Grazie dei complimenti e della recensione così accurata, e soprattutto per i complimenti a Trapped, cara! ^_^
ADESSO FACCIO LA ROMPISCATOLE: alcune di voi hanno scritto di aver letto anche gli altri miei racconti… beh, SE E QUANDO avete tempo e voglia, non è che mi lascereste due righe di impressioni anche a Trapped Under Ice? Ho amato tanto scrivere quella storia, e avere qualche impressione in più sarebbe davvero bello per me! Grazie e… alla prossima settimana (oddio così mi sento Mike Buongiorno…)!!!

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Capitolo 5
*** Frost at midnight ***


Iniziata come una storia dedicata a me stessa, non posso non finire dedicando il lavoro e i bei momenti passati a scriverla a un po’ di persone che… beh, se lo meritano.
La prima dedica va alle “solite sospette”, come sempre, continuando lo sputtanamento reciproco:
…alla Dama di Arilinn, Nobile Linnell Hastur… universalmente nota con il suo pseudonimo di scrittrice, Savannah. S’dia shaya, vai domna… sei un’amica fantastica!
…alla “raffinata” della famiglia, la mia breda Chiara, beta reader d’eccezione. Eh no, cara, mi dispiace, ma senza ammazzare Ron, scrivere non mi da lo stesso brivido.
…alla protagonista del noto telefilm tedesco “Disperate Biologists”, la mia Euridice, principale dedicataria di questa fanfiction, in quanto è stata colpevole di avermi fatto conoscere la canzone omonima… e poi dice che sono io quella che ama le ulcere. Ti voglio bene un sssssacco.
Continuo con una dedica speciale alla mia amica Anna… congratulazioni Dottoressa!!!!
E finisco con degli auguri di compleanno un po’ in anticipo per la cara Saty!

EPILOGO: FROST AT MIDNIGHT

ACT #1: THOSE DAYS (four years before)

“I was walking around, just a face in the crowd,
Trying to keep myself out of the rain.
Saw a vagabond king wear a styrofoam crown,
Wondered if I might end up the same.
There’s a man out on the corner
Singing old songs about change,
Everybody got their cross to bare, these days.”
Bon Jovi
“These Days”

Gli occhi grandi e scuri di Hermione contenevano il dolore di chi sente agonizzare un pezzo di sé, mentre parte per evitare che l’altro pezzo muoia lentamente.
“Vieni con noi!” implorò sottovoce, forse per la centesima volta, gli occhi lucidi di lacrime.
Harry posò una mano sulla guancia morbida della ragazza, carezzandola dolcemente con le dita – dita larghe e callose, unghie rosicchiate fino alla carne viva, che stonavano posate su quel petalo di rosa bagnato di lacrime e di pioggia. Qualche metro più distante, i piedi affondati nel fango e gli abiti fradici, Ronald Weasley fissava il vuoto, senza più luce negli occhi blu che un tempo riflettevano ogni umore del cielo. La morte della sorella lo aveva distrutto, non era più lui da quando Ginny era stata uccisa, quel giorno che lui non c’era… quel giorno che pioveva. Pioveva come in quel momento.
“No” mormorò Harry, guardando tristemente la figura immobile dell’amico, “devi prenderti cura di lui.”
Hermione coprì con la propria mano – quella viva – quella dell’amico. Una sottile fede d’oro bianco brillava sull’anulare.
“Posso prendermi cura di entrambi! Tu sei la mia famiglia, Harry!” sussurrò, con forza.
Hermione… la sua piccola, forte, amica. Non aveva mai abbandonato il suo fianco, non li aveva mai lasciati soli. Mai. Era rimasta con loro, in ogni momento terribile, in ogni piccola, terrificante, vittoria… sempre presente, sempre impavida, sempre pronta a rischiare tutto, tutta se stessa.
Harry sorrise, amaramente.
“Ron è la tua famiglia, è lui che ha bisogno di te” rispose, abbassando la voce, “e io non posso lasciare questo posto. La mia Ginny è qua.”
“Harry…”
Harry bloccò ogni protesta, posandole un dito sulle labbra.
“Ssh… ho un regalo per te” disse, e fece apparire dal nulla una gabbia per gufi, al cui interno la vecchia Edvige, ormai spennacchiata, dormiva con la testa ripiegata sotto l’ala. “Prenditi cura di lei… e non farle attraversare l’oceano, mi raccomando!!” scherzò.
“Harry, io…”
Il ragazzo l’abbracciò forte, poi la spinse leggermente verso Ron e la passaporta posata sul prato melmoso – una tazza sbreccata che li avrebbe portati lontano, al di là del mare, dove Ron avrebbe potuto dimenticare.
Harry si avvicinò a Ron e abbracciò anche lui, in silenzio; l’amico rispose all’abbraccio aggrappandosi con le dita contratte alle spalle di Harry. Con i capelli rossi bagnati spiaccicati sulla fronte e le lentiggini in evidenza sul viso pallido come un fantasma, sembrava un bambino spaurito, tremante per il rumore dei fulmini. Harry staccò gentilmente le braccia e si allontanò di un passo, gli occhi asciutti e seri, ma la voce tremante.
“è ora, ragazzi.”
Hermione singhiozzò senza più ritegno; agitò una mano in direzione di un ragazzo biondo, coperto da un mantello scuro, che era rimasto in piedi poco lontano. Draco Malfoy rispose con un cenno del capo e un ironico saluto militare.
Ron porse la tazza alla moglie, e nel momento in cui anche la mano di lei si posò sull’oggetto, entrambi sparirono nel nulla.

Harry rimase a guardare il punto nell’aria in cui prima erano fermi i suoi migliori amici. Un istante, un’ora. Chi avrebbe potuto dirlo.
“Potter.”
La voce di Draco non aveva alcuna inflessione e le sillabe quasi si confondevano con il rumore della pioggia. Harry annuì in silenzio.
Quasi all’unisono, i due ragazzi piantarono le mani nelle tasche dei jeans e si avviarono lentamente nella direzione da cui erano venuti in quattro: si muovevano nello scroscio del temporale, due teste chine, con i capelli di diverso colore schiacciati dall’acqua sulla fronte.
Là, nell’angolo a sinistra, dove diventa impossibile mettere a fuoco le immagini, un terzo viso incorniciato dai capelli rossi aveva in sé il dolore di tutti gli addii del mondo.

“These days - the stars seem out of reach
These days - there ain’t a ladder on these streets
These days - are fast, nothing lasts
There ain’t no time to waste
There ain’t nobody left to take the blame
There ain’t nobody left but us these days”
Bon Jovi
“These Days”

ACT #2: FOREVER

“So many adventures couldn’t happen today,
So many songs we forgot to play,
So many dreams are swinging out of the blue:
We let them come true!”
Alphaville
“Forever Young”

Il ragazzo biondo stava sdraiato tra le lenzuola bianche, un ginocchio piegato sbucava dalle lenzuola, la pelle pallida quasi quanto il cotone su cui riposava. Il volto era girato verso la finestra che mostrava un cielo stellato, schiarito da una luna azzurrognola invernale, ma gli occhi erano chiusi, consapevoli di quanto fosse inutile fissare un’illusione. Ciocche di capelli chiari ricadevano sulle palpebre, spettinate in onde morbide e setose. Sembrava incredibilmente giovane.
Non dormiva.
Gli occhi si aprirono, immediatamente vigili, quando la porta si spalancò; un involontario scatto della mano verso il cuscino, un movimento rapidissimo delle iridi grigie che scandagliarono la stanza semibuia… tutto questo a tradire la vera portata del grande mago che un tempo era stato, del combattente pronto ed efficace. Draco Malfoy.
Ma fu soltanto un attimo.
Gli occhi ripresero la tranquilla lucentezza di uno specchio d’acqua illuminato dai raggi lunari, le labbra si aprirono in un sorriso pacifico, e la mano si sollevò in un fluido gesto di saluto.
“Potter.”
Sputacchiò quel nome in una affettuosa parodia del tono insultante che un ragazzino pieno di boria era solito usare. Una vita fa.
Il viso dell’uomo sulla porta era ancora in ombra quando i denti bianchi scintillarono in un sorriso canzonatorio.
“Buonasera, Malfoy.”
“Ti sembra l’ora per una visita?” chiese il biondo, alzando la testa dai cuscini con fare polemico, smentito dal sorriso amichevole disegnato sulle labbra.
“Ho dovuto richiedere un permesso speciale per babbani. Ce l’hanno concesso solo per le ore notturne, quando non c’è nessuno.”
Harry Potter entrò finalmente nella stanza, tirando per mano una ragazza esile dai capelli scuri. Le sopracciglia di Draco disegnarono un arco stupito sulla fronte liscia, deturpata appena da una cicatrice leggera e rosata, parallela all’arco sopraccigliare.
“Rachel, angelo…” mormorò, con un sorriso accennato nella voce.
“D… Draco.” rispose lei, con voce dolce arrochita dall’emozione, “Come stai?”
Draco allargò il sorriso, ricoprendosi della patina decadente del vecchio Dorian.
“è un duro colpo per il mio sex appeal…” si lagnò toccandosi la fronte.
Rachel lo scrutò con occhio materno.
“Almeno non è a forma di saetta” commentò.
Nuovo stupore balenò negli occhi chiarissimi del convalescente, che si rivolse questa volta ad Harry.
“Dunque sa già tutto.”
Harry sorrise e strinse la mano di Rachel, guardandola con una nuova serenità.
“Non proprio tutto. Ma ci sarà tempo” mormorò, “non è detto che tutto quello che tocchiamo si rompa in poco tempo.”
I due ragazzi si guardarono negli occhi, mentre pensieri informi passavano da una mente all’altra, in quella comunione priva di parole e nemmeno completamente consapevole che sembrava risalire a secoli prima. Due ragazzini con troppa rabbia a ribollire nel cuore, per non notarla uno negli occhi dell’altro. Due uomini a cui la vita aveva tolto così tanto che per molto tempo avevano creduto impensabile anche solo sognare di riavere qualcosa indietro.
Di nuovo, fu solo un attimo, tra quegli occhi che avevano imparato a leggersi senza accorgersene, tra le ombre di un’amicizia fatta di pugni e silenzi… e poi, così com’era venuto, svanì.
Draco riprese a lamentarsi con divertita malizia.
“Oh, non lo so…” accennò con la testa al comodino, “ho già rotto tre bicchieri da quando sono qui!!”

Ad interrompere le risate sommesse dei tre ragazzi, la porta si aprì di nuovo, per lasciare entrare l’infermiera del turno di notte e un paio di tirocinanti che le sgambettavano appresso come cagnolini.
Le ragazzine spalancarono gli occhioni assonnati.
In quella stanza, quella notte, sotto i loro occhi, avevano preso vita due leggende.
Il grande Harry Potter e il grande Draco Malfoy. Esercito di Silente, Seconda Guerra.
I vincitori di colui che non deve essere nominato. Due dei nomi che i libri di storia riportavano tra le ultime pagine, quelle che si studiano quando ormai l’estate bussa alla porta delle aule con impazienza. La storia recente. Due dei nomi che figurano come scomparsi nell’elenco dei grandi maghi, il cui destino dopo la Vittoria, secondo le dicerie, giaceva insabbiato negli archivi più segreti e polverosi del dipartimento dei misteri… coloro che, dopo avere sconfitto il male supremo, si erano fatti di nebbia, lasciando a chi restava il compito di ricostruire.
Perché loro non ne avevano più la forza.
Le due tirocinanti forse avevano appena 16 anni, e avrebbero spalancato anche la bocca se l’infermiera non le avesse redarguite bruscamente.
“Su, su! Non siete qui per fare le statuine, avanti! Una di voi esegua un controllo delle funzioni vitali del paziente!”
La più alta delle due si avvicinò timidamente al letto ed estrasse la bacchetta, sotto lo sguardo curioso e stupito di Rachel. La mano tremava mentre scivolava silenziosa sul corpo della leggenda vivente abbandonata sui cuscini, e una vocina appena udibile recitava gli incantesimi di controllo. “Tutto a posto, signora” riferì la ragazza.
L’infermiera annuì.
“Via ora, il turno è finito, potete andare. Sciò!”
E quelle corsero via, come se avessero paura che se le leggende diventavano reali quella notte, potessero diventarlo anche i loro peggiori incubi.

“Prenderai freddo se dormi così tutta la notte.”
Persa l’inflessione severa che aveva mantenuto in presenza delle tirocinanti, la voce dell’infermiera si rivelò più giovanile e fresca. Harry scrutò il viso dalla pelle dorata, e i capelli neri tirati indietro in una crocchia severa. Venticinque anni, su per giù.
“Le tue attenzioni mi riscaldano il cuore, mia adorata… non potrò mai morire di freddo!” declamò Draco. Harry scosse la testa: certe teste non cambiavano nemmeno dopo un incontro ravvicinato con l’asfalto.
L’infermiera proruppe in una risata sommessa e gli sistemò i cuscini con fare materno.
“Se riesci a fare il farfallone non devi stare poi così male!” La ragazza si rivolse poi ad Harry mentre già si avviava verso la porta, “Vi voglio fuori in trenta minuti, chiaro?”
“Agli ordini” sorrise Harry.
Draco alzò appena la testa e seguì l’ondeggiare dei fianchi dell’infermiera, fasciati dal camice aderente, finchè la porta non si richiuse. Poi rivolse un ghigno esageratamente innocente a Rachel che stava scuotendo la testa con ironica disapprovazione.
“Allora, Romeo e Giulietta, che novità mi portate?” chiese, allargando le braccia sui cuscini, “o siete venuti per farmi la predica su quanto in fretta la vodka mi ucciderà?”
“Te lo meriteresti,” rispose Harry, a tono, “ma a quanto pare lassù non ti ci vogliono…”
Draco alzò un dito. “Laggiù, mio caro amico… laggiù. C’è gente molto più interessante.”
“E smettetela!” Rachel si era piantata le mani sui fianchi, “Sei stato un incosciente, Draco!”
Harry e Draco si guardarono e scoppiarono a ridere a crepapelle, sotto lo sguardo sconvolto di Rachel.
“No-on ti ri-ricorda qualcuno…?” ansimò Harry, soffocandosi tra le risate.
“Dio… è uguale...!!!” rantolò Draco.
“Basta. Ci rinuncio…” sospirò la ragazza, avvicinandosi alla finestra per guardare fuori.

“La finestra è un incantesimo, angelo… è inutile che guardi fuori” la ammonì Draco, quando riuscì a smettere di ridere. Poi il biondo si rivolse ad Harry, che si era avvicinato al letto e stava trafficando per tirare fuori dalle tasche qualche foglio di carta stropicciata.
“Ero ubriaco, Harry…” sussurrò.
Harry sollevò appena lo sguardo e accennò un sorriso. Alcune ombre erano sparite da quegli occhi di un verde brillante, Draco non potè non accorgersene. Dunque, forse era possibile… forse le ombre potevano ritornarsene nel passato da cui venivano, dopotutto.
“Mi hai fatto prendere un colpo, razza di cretino. Pensavo di dover ricominciare a sbronzarmi da solo” sussurrò di rimando. Di nuovo quel’istante di silenzio, pieno di sottintesi… che erano talmente sotto da non poter essere trovati. Poi Harry si schiarì la voce e riprese.
“A proposito di quel qualcuno…” esordì, con un ghigno che non prometteva niente di buono, “ho scritto qualche lettera mentre tu stavi a giocare al paziente e l’infermiera. E tra le risposte c’era qualcosa indirizzato a te…”
Sospettoso, Draco tese la mano e afferrò la busta rossa che Harry gli porgeva.
“è una strillettera…” constatò.
“Però. Che acume…” ribattè il Prescelto.
Sul retro della busta, in caratteri eleganti e decisi, era scritto il suo vero nome, per intero: Draco Lucius Malfoy. Nella foga, la penna aveva inciso il foglio sulla coda della “y” finale.
Rachel si sporse per vedere, curiosa, e Harry la tirò per un braccio.
“Spostati Rachel, se non vuoi rimetterci un orecchio” avvertì placidamente.
Aveva appena finito di dirlo che la strillettera saltò via dalle mani di Draco e si aprì a mezz’aria, stracciando l’apertura.
Draco Lucius Malfoy!”
La voce acuta e severa di Hermione Granger riempì la stanza, imprecando a tutto volume.
Sei stato un incosciente! Un dannato, ubriacone, INCOSCIENTE!
Draco ricadde sui cuscini e scoppiò a ridere.

“Therefore all the seasons shall be sweet to thee,
Whether the summer cloathe the general earth
With greenness, or the redbreast sit and sing
Betwixt the tufts of snow on the bare branch
Of mossy apple tree, while the night thatch
Smokes in the sun-thaw; whether the eave-drop fall
Heard only in the trances of the blast,
Or if the secret ministry of frost
Shall hang them up in silent icicles ,
Quietly shining to the quiet Moon.”
Samuel Taylor Coleridge
“Frost at Midnight”

FINE

**************

Ed è finita. Con una colonna sonora in stile anni 80-90, vi ho raccontato l’inizio e la fine di questo periodo della vita di Harry.
Forse non finisce come speravate, ma questa è la fine che vedo io per Harry, e Draco, e Rachel… e tutti gli altri. Non voglio raccontarvi cosa ha scritto Harry ad Hermione, perché non lo so nemmeno io, anche se immagino che sia stata una lunghissima lettera piena di affetto. Non voglio raccontarvi cosa succede dopo, se Harry e Ron si rivedranno mai, se Draco troverà qualcuno con la forza di Rachel per ricominciare a vivere, come Harry, o se… se Harry diventerà Ministro della Magia, o se Draco si farà fare una plastica per non avere anche lui una cicatrice in fronte!! ^_^
Ma vi lascio in sospeso con le parole finali di “Frost at Midnight”, la poesia da cui questa breve storia ha preso il titolo, che secondo me sono parole dolcissime, piene di speranza: non importa quanto il mondo ti metterà alla prova... ce la farai.

“Perciò ti saran dolci tutte le stagioni,
sia che l’estate rivesta tutta la terra
di verde, o che il pettirosso sieda e canti
tra ciuffi di neve sopra il nudo ramo
del melo muschioso, mentre la paglia fumiga
nel disgelo; sia che sgrondino gocce udite
solo tra una raffica e l’altra della tempesta,
o che vorrà, il segreto intento del gelo,
sospenderle in lunghi taciti ghiaccioli,
quietamente brillanti alla quieta luna.”
Samuel Taylor Coleridge
“Gelo a mezzanotte”

Spero che non ci siano state delusioni, specialmente per il fatto che ho deciso di abbandonare per un momento il pairing che mi aveva portato fortuna fin’ora. Come sempre quando finisce una storia, mi piacerebbe molto avere una vostra impressione d’insieme, sullo stile, sulla storia e sui personaggi. Vi ringrazio molto per le recensioni fatte finora, è bello ritornare a scrivere e ritrovare qualcuno che si ricorda delle storie che ho scritto gli anni scorsi e apprezza la crescita e il cambiamento.
Grazie a Savannah (gioia, grazie!!), Sally90 (una recensione bellissima, l’idea che tu abbia seguito i miei “progressi” fin dall’inizio emoziona anche me!), Ellie, Laja, Saty (come sempre cogli un sacco di cose in quello che scrivo che io non notavo nemmeno… gh, grazie!!!!), fiubi (i tuoi complimenti sono stati graditissimi, è bello ricevere recensioni così attente! Grazie!!!). Vorrei aggiungere un ringraziamento particolare a Ramona55, per la bellissima recensione al secondo capitolo! Le cose alla fine sono cambiate un po’ per i personaggi… l’idea di base della fanfiction era proprio quella della tragedia scampata, un evento in grado di dare una scossa a vite che marciscono da troppo tempo… non so nemmeno io che succederà ai personaggi da questo momento in poi, se DAVVERO la loro vita cambierà… ma mi piaceva l’idea di raccontare questo momento. Un bacio e… beh, grazie a te di recensire in questo modo, mi fai sentire quasi come una scrittrice vera!

Un grazie a tutte e… forse “alla prossima”… chissà…

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