Efelidi.

di Compostezza
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter 1. ***
Capitolo 2: *** Chapter 2. ***
Capitolo 3: *** Chapter 3. ***
Capitolo 4: *** Chapter 4. ***
Capitolo 5: *** Chapter 5. ***
Capitolo 6: *** Chapter 6. ***
Capitolo 7: *** Chapter 7. ***
Capitolo 8: *** Chapter 8. ***
Capitolo 9: *** Chapter 9. ***
Capitolo 10: *** Chapter 10. ***
Capitolo 11: *** Chapter 11. ***
Capitolo 12: *** Chapter 12. ***
Capitolo 13: *** Chapter 13. ***
Capitolo 14: *** Chapter 14. ***
Capitolo 15: *** Chapter 15. ***



Capitolo 1
*** Chapter 1. ***


Efelidi.

Huntington Beach.
May, 99.

 


«Sam ti vuoi muovere? Io una nota dalla Travis non la voglio.»
Una testa nera stava battendo il piede nervosamente sul marciapiede di fronte al cancelletto in ferro nero della casa della sua migliore amica, che se ne stava seduta sulle scalette di legno a legarsi le converse bianche, colorate da lei stessa con la vernice, tenendo tra le labbra un pezzo di mela sbucciata.
I lunghi capelli le cadevano lisci in avanti, creando una cascata bionda che riusciva quasi a sfiorare il terreno.
«Quante storie per cinque minuti di ritardo.» alzò il viso verso di lei, mostrando i grandi occhi azzurri circondati, sempre, da un filo di matita e di mascara.
«Già ci odia e io vorrei mantenere la mia media fino alla fine della scuola.» sentenziò, ravvivandosi i capelli color nero dai riflessi cioccolato e da qualche traccia delle tinta viola precedente.
La bionda roteò gli occhi, alzandosi e pulendo i jeans strappati dalla polvere. «Cass, hai i voti più alti della tua classe!»
«Che c’entra? Mi piace studiare.»
«Contenta tu!» Sam fece una faccia schifata, affiancando l’amica.
Il sole stava facendo capolino da dietro le due uniche nuvole presenti in cielo, riscaldando la pelle alle due ragazze e ravvivendo il panorama. La strada era vuota, fuorché per qualche anziano mattiniero col cane al guinzaglio e
qualche studente che si faceva il tragitto a piedi come loro o aspettava il pullman. Di solito entrambe si ritrovavano alla fermata del pullman più vicina a loro, ma quando il caldo era alle porte preferivano farsela a piedi e godersi il tempo, come quella mattina.
«Però la nostra missione nei prossimi mesi sarà quella di trovarti un ragazzo.» disse la mora, sorridendo e delle ciocche, che per colpa del vento, le caddero sugli occhi verdi, provocandole prurito sul piccolo naso, che subito tolse, infilandosi i tanti odiati occhiali da “riposo”.
«Ormai ci ho perso le speranze, cara mia.» rispose, inspirando a pieni polmoni quella folata di vento.
«Non ti preoccupare che ne troverai, sicuramente, uno anche te.»
«Anche? Come anche te?» si fermò, guardandola corrugando la fronte.
Cass avampò subito, torturandosi le labbra rosse, segno che si sentiva in imbarazzo o preoccupata per qualcosa.
«Ohw, hai visto? Il cagnolino della Roberts è di nuovo sciolto e sta correndo come un pazzo per tutto il marciapiede.»
Segno numero due: cambiava discorso.
«Svuota il sacco.»
Sospirò rumorosamente. «Ecco io..» pausa di qualche minuto. «..ho..conosciuto un ragazzo.»
«..» silenzio.
«Beh, lo conosci pure. E’ della scuola.»
Quando il cervello sembrò rifunzionarle nuovamente, ci pensò su. Eppure lei conosceva tutti della scuola, ogni persona, faccia, pelle, nome. Non era una stalker o una matta, soltanto che ad Huntintong, bene o male, si conoscevano tutti ed era facile ricordarsi ogni faccia o persona.
«Chi?» disse solamente, boccheggiando, quando la voce le sembrò ritornare.
«Zacky. Zackary Baker.» sorrise imbambolata.
Subito collegò il nome al ragazzo bassino, dalla pelle bianca latte a contrasto con i suoi vestiti sempre neri, due occhi grandi e di un verde profondo,piercing ai labbri, capelli di un colore diverso ogni settimana e tatuaggi sparsi. Ci aveva parlato una volta sola, o meglio lei gli aveva fatto un complimento per la maglia dei Misfits durante una delle sue serate al Johnny’s e nient’altro.
«Da quanto?»
«Qualche mese. Ci siamo conosciuti, per caso, in corridoio. Mi è venuto addosso all’improvviso facendomi volare i libri e il fondoschiena a terra, mi ha aiutato, qualche parola qua e là, poi mi ha chiesto di uscire.» gesticolava animatamente ancora rossa in volto.
«Molto stile film romantico.»
Lei annuì energicamente, concordando con lei. «Devo dire che è molto bravo anche da un’altra parte.»
«Cosa?» urlò, notando soltanto dopo la faccia di qualche passante, del tono un po’ troppo alto che aveva usato.
«Shh, non urlare!» le guance le diventarono ancora più rosse.
«No aspetta.» sollevò le mani per fermarla. «Tu, Cass, la ragazza per benino che non si faceva mille seghe mentali soltanto per una piccola pomiciata che fa sesso? Non è che c’è la fine del mondo e nessuno me lo ha detto?»
La mora scoppiò a ridere. «Non sono una per benino, per l’amor di Dio! Ora soltanto perché mi piace studiare ed ho ottimi voti a scuola, dovr..»
«E che ha fatto giuramento di verginità fino al matrimonio!» la fermò.
«Sei peggio di mia madre quando ti ci metti.» sbuffò, aumentando il passo e scorgendo all’orizzonte il grande edificio in mattoni rossi.
«E’ per questo che sono la tua migliore amica.»
Si voltò verso di lei. «Perché sembri mia madre?»
«No, perché sono l’unica che riesce a non farti replicare ogni volta.»
Sorrise. «Nel mentre ho già individuato il tuo ragazzo ideale.»
Corrugò la fronte. «Chi mai sarebbe costui?»
Le due ragazze avevano già oltrepassato il grande cancello nero della scuola, fermandosi poco prima delle scale occupate dai giocatori di football con le cheerleader, facendo mescolare le loro voci al resto degli studenti che camminavano da tutte le parti.
Sam seguì lo sguardo dell’amica alle sue spalle, diretto verso un ragazzo appoggiato al muretto in pietra a qualche metro da loro. Il soggetto in questione si stava fumando tranquillamente una sigaretta con altri due ragazzi: le braccia erano cosparse di tatuaggi, la maglietta nera aderiva perfettamente al busto un po’ muscoloso, un piercing compariva sul naso all’insù, gli occhi maliziosi, circondati dalla matita, erano una pozza castana, i capelli neri erano sparsi sulla fronte e sulle guance, incorniciandogli perfettamente il viso.
«Haner?» spalancò gli occhi.
«Esattamente.» rispose soddisfatta.
«Stai scherzando spero.» sbatté le palpebre più volte.
«Mai stata così convinta.» incrociò le braccia sotto il seno.
«E’ un cretino totale, svogliato, sciupafemmine e mio compagno di banco, purtroppo aggiungerei.» scosse la testa, ricordando le frecciatine e le migliaia discussioni fatte in quei mesi.
«Invece non e’ così male.»
«Come fai a saperlo?» chiese alzando un sopracciglio.
«E’ il migliore amico di Zacky e ho avuto l’occasione di conoscerlo. E’ divertente e simpaticissimo.»
«Questo non gli da il permesso di provarci con ogni cosa che respiri.»
«Uhm, ci ha provato con te?» si sistemò meglio la cartella sulle spalle e il suo viso si illuminò subito alla vista del suo quasi ragazzo avvicinarsi a lei.
«Con me si limita alle offese.»
«Non e’ detta l’ultima, no?» le appoggiò una mano sulla spalla, staccando gli occhi dal ragazzo e puntandoli nei suoi.
Si passò una mano sulla faccia, disperata. «Pronto? Non mi interessa..?» disse con ovvietà.
«Vuoi sapere la parte migliore? Fa il chitarrista e suona insieme a Baker in una band.»
Sam la vide sorpassare, sorridendo e andando ad abbracciare il moro, che le stampò un bacio sulle labbra, per voltarsi poi verso di lei e farle un cenno con il capo.
Forse la fine del mondo ci sarebbe stata sicuramente, gli alieni avrebbero invaso il mondo e lei si sarebbe ritrovata come cavia per creare una nuova razza più forte, o almeno ci sperava.























Salve!
Prima di tutto chiedo scusa per aver cancellato la storia precedente ma proprio non ci mettevo le mani.
Beh, spero vi piaccia questa (non la cancellerò) e scusate degli eventuali errori.
Grazie per il tempo perso a leggerla (LOL)
Alla prossima,
Gheggo

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Capitolo 2
*** Chapter 2. ***


Efelidi.

Huntington Beach.
May, 99. h 6.42 pm.







L’oceano si apriva davanti a loro in tutta la sua bellezza e grandezza, una sorta di linea continua azzurra calma, che ,colpita dai tiepidi raggi del sole, creava un gioco di colori. Sam riusciva a perdersi in quella tavoletta ogni volta, non sentiva le persone parlare e scherzare intorno a lei o i ragazzi gridare e cantare le canzoni per la vittoria nell’ultima partita di campionati ma il silenzio, erano soltanto rumori ovattati e lontani. La mente calma, persa in chissà quale ricordo, immagine e volto, i muscoli rilassati e immobili, le palpebre si chiudevano lentamente, le iridi si muovevano veloci per intrappolare, come una macchina fotografica, ogni instante e riusciva a sentire la pelle del palmo rabbrividire e diventare man mano più fredda a contatto col vetro della birra.
Però da quella serenità e pace ne fu risvegliata all’improvviso, vedendo una presenza interrompere quel contatto, se lo si può definir così, con il “grande blu” e una mano sventolata a pochi centimetri dal suo naso.
«Scusa se ti ho risvegliato dal tuo mondo, Reed.»
«Non fa niente, Jimmy.» gli occhi del ragazzo le ricordavano lo stesso il suo amato oceano, erano un pozza chiara come il cielo in estate e uguali ai suoi, soltanto che Sam aveva delle piccole macchie argentee intorno all’iride e non  trasmettevano tanta sicurezza e sincerità come i suoi.
«Che le prende?» Sam spostò lo sguardo dalla sua birra, ancora piena, a lui.
«Di chi stai parlando?»
«Di Cass.» con un cenno la indicò alle sue spalle.
«E’ innamorata.» sospirò, bevendone un sorso.
«Tzè. Quei due allora dureranno davvero tanto. Zacky sembra un pappamolle ogni volta che sono insieme.»
«Come sei duro! Cosa hai mangiato a colazione? Latte, cereali e tanta simpatia?»
Il ragazzo dagli insoliti capelli biondi scuri tirati su a sfidare la gravità le lanciò un’occhiata, a cui, Sam, rispose alzando le mani in segno di resa.
«Hai visto quello nuovo?» chiese, cambiando discorso.
Scosse la testa.
«Mi pare si chiami Jonathan Seward o qualcosa del genere.»
«Ma quel tipo con quel ciuffo nero e viola sulla fronte?» si ricordò del ragazzino decisamente basso,col trucco spesso sul viso, un tatuaggio di Cristo sul braccio e una custodia di chitarra sulla spalla che aveva visto aggirarsi curioso per la segreteria insieme a Doris, la simpatica vicepreside zitella. I suoi capelli erano un ammasso biondo simile alle balle ti fieno nei deserti, aveva le labbra e gli occhi sempre truccati in maniera appariscente con la speranza, come ripeteva ogni volta lei, di trovare la sua anima gemella con cui passare il resto della sua vita. Le faceva una tenerezza assurda.
«Per me è gay.»
«Per te tutti sono gay, lo dicevi pure di Zacky e guardalo come si sta limonando la mia migliore amica.»
«E se fingesse di non esserlo?» abbassò gli occhiali fissandola serio in volto.
Sam scoppiò a ridere in una risata cristallina che riuscì a coinvolgere anche James stesso.
Jimmy era una persona che madre natura decideva di far nascere una volta ogni milioni di anni e che difficilmente riuscivi a trovare. Lei lo conosceva da sempre, ma proprio da sempre, poiché erano vicini di casa e le loro madri avevano frequentato entrambe la stessa classe, quindi avevano passato molto tempo insieme da piccoli. Col tempo aveva imparato a conoscerlo sotto tutte le sue personalità, riusciva a cambiare umore in un millesimo di secondo e probabilmente era la pazzia fatta persona. Aveva un innato talento per la batteria e ancora si ricordava quando da piccoli, James le faceva un personale spettacolo con le pentole e i mestoli da cucina fregati di nascosto a sua madre e un gran finale. Naturalmente il gran finale comportava lui stesso che scappava inseguito per tutto il giardino la una furiosa Barbara.
«Brutta scimmia, tu devi venire ancora a sentirci suonare.» disse sventolando le mani in aria, come se le avesse letto nella mente.
«Me lo hai detto così tan..»
«Matt, cretino eccoti finalmente. Dove cazzo eri andato a finire?» la interruppe. Sam sbuffò, voltandosi nella direzione in cui il dito lungo e magro del ragazzo stava indicando e l’unica cosa che riuscì a vedere furono due fossette, due adorabili fossette.
«Non dirmelo tuo padre non ti ha raggiustato la macchina e sei a piedi, Sullivan!»
«Motivo in più per cui tu, Sanders mio, devi darle un’occhiata. Daisy ha bisogno di te, amico!» inevitabilmente la bionda scoppiò a ridere, sia per il nomignolo osceno che aveva dato alla sua vecchia auto sia per le sue movenze a reppettaro di quel momento.
«Tu devi essere Sam, la sua famosa vicina di casa.» ora che lo guardava meglio, quel Matt, era un armadio. Un vero e proprio armadio. Un vero e proprio armadio dagli occhi verdissimi, i tatuaggi sulle braccia, un sorriso che avrebbe ucciso chiunque e un fisico perfetto.
«Famosa?»
«Diciamo che, qualche volta, quando veniamo a casa sua parla di te.»
«Ah, davvero?» sorrise alzando lo sguardo e fissando l’amico di infanzia.
«Tranquilla, per ora quello che ha detto si è rivelato giusto. Ehi, Val, aspetta.» il ragazzo guardò alle loro spalle, richiamando una ragazza dai capelli castani, tirati su in una coda, dal fisico mozzafiato, seguita al passo da altre ragazze, tra le quali, una che a prima apparenza doveva essere la sua gemella.
«Eccone un altro, un altro pappamolle innamorato.» disse quando Matt se ne andò con uno scusate per correre da lei.
Scosse rassegnata al fatto che quel giorno Jimmy era una miccia pronta a prendere fuoco in qualsiasi momento e si concentrò sulla sua bottiglia, finalmente finita, appoggiata al tavolo a cui erano seduti. Probabilmente era lì da anni e anni, a giudicare dalle diverse scritte, date, frasi e dichiarazioni amorose, e doveva averne viste e sentite davvero tante.
«Promettimi che non perderai mai la testa per qualcuno. Giuramelo adesso.»
«Dio, James ma sei fissato!»
«Sono serio, per adesso mancate soltanto tu e.. io.»
«Con me sei tranquillo, non ho avuto molti fidanzati lo sai.»
«Tyler mi era simpatico a dirla tutta. Grazie a lui abbiamo vinto l’ultima partita di campionato, anche se aveva qualche problemino di troppo col sudore.»
«E i brufoli, l’ho visto qualche giorno fa ed e’ peggiorato. Non e’ che e’ colpa proprio del sudore se assomiglia a un campo minato?»
«Probabile. Tu hai un pessimo gusto in fatto di ragazzi.»
«Com’è che siamo passati a parlare di me adesso?» chiese accigliata.
«Non ci credo, Haner ha lasciato Michelle.»
«Sei maledettamente odioso quando cambi discorso continuamente, lo sai Jimmy?»
Brian Haner le comparve alle spalle, salutando James con un cinque e sedendosi accanto a lui lanciando, con tutta la delicatezza che un elefante di oltre un quintale potesse avere, la sua tracolla nera, occasionalmente vuota, sul tavolo.
«Ciao, pulce.» la salutò.
«Smettila di chiamarmi così, Elwin.» ridusse gli occhi a due fessure. «E tu, Owen, faremo i conti domani.» così dicendo si alzò, sentendo subito un dolore lancinante alle gambe per le tre ore consecutive seduta sempre nella solita posizione, e raccogliendo i suoi vari oggetti, girò i tacchi.
Brian guardò confuso l’ amico, che sospirò automaticamente.
«Ci ha chiamato con i nostri secondi nomi, ovvero e’ incazzata.» spiegò.
«Valle a capire le donne.»



















Ta-daaan!
In questi giorni mi sento ispirata da morire e sto scrivendo a raffica (sicuramente durerà poco ç_ç)
Penserete (almeno spero di no) che questo capitolo ci incastri poco e che è corto, però voglio far entrare piano piano tutti i personaggi (?)
Vabbè, lasciamo perdere, rigrazio tanto:
Rossaa
Amelie_
Synner Sevenfold
Heartless Mind 
per le fantastiche recensioni e le due persone che l'hanno messa fra le seguite, grazie davvero. **
Alla prossima, un bacione.

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Capitolo 3
*** Chapter 3. ***


Efelidi.

Huntington Beach
May, 99. h 04.50 pm.




«Come fai a mangiare quella roba?»
«Tu sei una persona ottusa. Ti fermi all’apparenza, ti fa schifo soltanto perché non lo hai mai provato e non sai che sapore potrebbe avere.»
«Andiamo, Sam è ovvio che fa schifo, come si penserebbe di mangiare i vermi gommosi insieme alla nutella?» puntualizzò, osservando con faccia disgustata l’amica ingoiarne uno.
«Almeno assaggiane uno.» Sam glielo sventolò sotto il naso.
«Sto per sentirmi male.» indietreggiò fino a portare le spalle al muro di legno della vecchia casetta sull’albero, che entrambe avevano deciso di costruire nel giardino della bionda da piccole. Come ogni vera casetta che si rispettasse aveva delle regole; ad esempio non tutti i maschi potevano entrarci, soltanto chi aveva il loro permesso oppure era vietato assolutamente portarci persone sconosciute, genitori e fidanzati. Era il loro rifugio e punto di ritrovo nei momenti tristi e difficili, ma anche nei pomeriggi noiosi e afosi.
«Fumi troppo.»
«Io non fumo troppo, ho ancora il pacchetto di una settimana fa, a differenza tua che ogni giorno rimani a secco.»
Diede un morso deciso al vermetto rosa che teneva tra le dita piene di cioccolata. «Jimmy mi ha chiesto di andare alle prove per l’ennesima volta.» si distese, allungando le gambe sulla parete e fissando il cielo attraverso un buco sul soffitto, tra le travi.
«Oggi provavano e se non mi sbaglio proprio a casa sua.» pausa. «Eppure non si sente niente.»
«Sai, saresti un ottimo Sherlock Holmes.»
«Dovrebbe essere un’offesa?»
Fece spallucce. «A buon intenditor, poche parole.»
«Hai parlato con Brian?» domandò all’improvviso, dopo qualche minuto di silenzio in cui si potevano udire soltanto il vento scompigliare le foglie e gli uccelli “parlare” sui rami, sopra le loro teste.
«Non mi ricordo che avrei dovuto parlare con lui.»
«Lui, qualche volta, ti nomina.»
Solo in quel momento spostò gli occhi dalla nuvola, a cui aveva affibbiato le sembianze di un cervo, sui suoi che, al contrario, fissavano i vari disegni alle pareti.
«Cass, io ti voglio bene, però vuoi mettere in quella tua testolina che io odio lui e lui odia me?»
«Chi ti ha detto che ti odia.» corrugò la fronte.
«Le sue offese, forse?»
«Andiamo a vedere cosa stanno facendo?»
«E’ per caso diventato un hobby di tutti cambiare discorso? E poi, a vedere chi?» fece cadere le gambe a terra, ricomponendosi e sistemandosi di fronte all’amica.
«Loro, vedo Sanders appoggiato di spalle alla finestra.» la sua testolina castana era appollaiata all’unica finestra, oltre alla porta inesistente, lì dentro, che dava al di fuori e precisamente verso la casa di Jimmy.
«Ma non dovevi passare un pomeriggio solo con me?» chiese infastidita.
«E’ da due ore che siamo chiuse qua dentro a vederti mangiare e farti riprendere dalla tua micidiale sbronza di ieri sera.»
«Sto benissimo, io, eh.» incrociò le braccia al petto, facendo muovere la coda a fontana che si era fatta poco prima.
«Le tue bellissime occhiaie e i tuoi lividi la pensano diversamente.»
Sbuffò. «Un altro motivo per non farm.. farci vedere in questo stato.»
«Parla per te. Non mi dirai che adesso ti interessa il loro parere.» la guardò maliziosa.
«Da quando in qua sei diventata cosi? Baker mi sente ora.»
«Forza, chiappe d’oro, alzati.» neanche il tempo di replicare che la mora, con agilità, era scesa dall’albero e si stava digerendo tutta sorridente verso la casa del suo vicino.
Si sistemò, facendo si che le gambe penzolassero nel vuoto e il sedere fosse ben aderito alla vecchia trave di legno, bruciata da delle sigarette in qualche punto. Un inevitabile voglia di nicotina la fece voltare di scatto verso il suo pacchetto, mezzo vuoto, rosso e se ne accese una, riportando lo sguardo, come un felino, verso la casa.
Non c’era nessuno all’esterno e da quello che riusciva a vedere neanche all’interno.
Sospirò, poggiando le labbra rosee alla sigaretta e fissò i suoi stivali dopo pioggia neri a fiori sporchi di terra, insieme ai suoi consumati pantaloncini di jeans, tenuti su da delle pretelle rosse e una maglietta, anch’essa consumata, di Bob Dylan, che aveva messo con l’intenzione e la pretesa da parte di sua madre di riordinare le piante in giardino. All’inizio era partita con l’idea di farlo ed era riuscita a piantare due o tre ortensie ma poi Cass era piombata a casa sua e avevano optato per oziare allegramente là dentro.
«Bella la vista?» dallo spaventò si riscosse perdendo, quasi, l’equilibrio e portando una mano automaticamente salda al legno e una sul petto.
«Matt! Mi hai fatto prendere un colpo.» sorrise vedendo il ragazzone guardarla dal basso attraverso dei rayban neri a goccia. Indossava una maglietta dei Motorhead grigia, stinta in diversi punti e a maniche corte, che mettevano in mostra le sue braccia muscolose e i tatuaggi.
«Scusa, non volevo. Posso salire?» arossì per lo stato pietoso in cui si trovava, ma oramai era troppo tardi.
«Mmh, sarebbe contro le regole ma, infondo, le regole sono fatte per essere infrante no?» lo vide ridere e annuire.
«Posso quindi?»
«Fai veloce prima che ti veda Cass. E’ capace di ucciderti.»
Il ragazzo salì sulle scalette, traballanti, fino ad arrivare di fronte alla ragazza, che gli fece immediatamente spazio.
«Dubito possa dirmi qualcosa, si sono chiusi in camera di Jimmy. Lo devi vedere, è scazzatissimo per questo.»
Sam rise immediatamente, immaginandosi il ragazzo insultare contro la porta della sua camera.
«Qual buon vento ti porta qua?» gli chiese, fissandolo.
Fece spallucce. «Ti ho vista pensierosa.»
«Le prove?»
«Fa troppo caldo oggi.» si tolse i rayban e tuffò i suoi occhi in quelli della ragazza.
«Ancora non so neanche come vi chiamate, ne chi siete, ne cosa suonate. So soltanto che Jimmy è il batterista e la testa di cazzo di Brian il chitarrista.»
Ridacchiò. «Io sono il cantante, Zach la seconda chitarra e il bassista ci manca.»
«Oh, beh. Come vi chiamate?»
«Avenged Sevenfold.»
«Aveng.. che?»  chiese stizzita, iniziando a tamburellare le dita sul pavimento.
«Che te ne pare?»
«Fa schifo.»
«Grazie, lo abbiamo scelto io e Zacky.» Sam si morse automaticamente la lingua e abbassò lo sguardo rossa per la vergogna.
«Tranquilla, non sei la prima che lo dice.» la rassicurò.
«Vi devo sentire. Sono molto critica, io.»
«Sai che non lo avevo capito?»
Scoppiarono entrambi a ridere. La risata di Matt le piaceva, era forte, sicura, buffa e allo stesso tempo tenera, o meglio, lui, anche se all’aspetto sembrava più un bullo pronto a farti a polpettine se solo provavi a fissarlo negli occhi più di due secondi, era incredibilmente dolce e gentile.
«Tu stai con quella mora? Come si chiama? Val?» vide una cosa che la spiazzò subito: l’armadio era avampato.
«Si, cioè lei si chiama Val, Valary DiBenedetto.»
«E non state insieme?» alzò il sopracciglio con fare malizioso.
«Mi piacerebbe. Ci credi hai colpi di fulmine?»
Guardò il cielo limpido, attraversato da un aereo. «Forse. Di sicuro siamo ancora un po’ piccoli per pensare di amare, non credi? Cioè abbiamo ancora tutta una vita davanti, però quando sai che quella è la persona giusta, lo senti senza un perché.»
Matt la guardò spiazzato. «Ti sei mai innamorata?»
«No.» rispose semplicemente.
«Si vede lontano un kilometro che, a te, quella Val ti piace. Dovresti farti avanti.» continuò.
«Abbiamo scambiato due o tre chiacchiere e siamo usciti una volta.» si stava grattando la testa, ancora imbarazzato.
«E’ gia’ un passo in avanti.»
«Pulce.» Sam si bloccò nel sentire quella voce sotto di loro, interromperli.
«Cosa vuoi, Haner?» gli lanciò un'occhiata truce.
«Come sei aggressiva. Non volete scendere?»
Matt la fissò divertito e con un balzo,scese, atterrando vicinissimo al ragazzo, che, a sua volta, fece un salto all’indietro.
«Cretino.» sibilò, spingendo il cantante.
Sam sbuffò e scese pure lei, pensando a tutte le possibili torture illegali a questo mondo.
«Sai che sei davvero sexy vestita così?» si ritrovò quegli occhi color nocciola a pochissimi centimetri dalla faccia. Quel giorno la matita, intorno ad essi, era piu’ accentuata e doveva ammettere a se stessa che gli donava davvero. Un capellino, voltato, gli copriva i lunghi capelli mossi, indossava una maglietta simile a quella di Zacky dei misfits e uno strano polsino nero gli stringeva il braccio.
Sicuramente da grande non avrebbe intrapeso la carriera di stilista.
«Ma io ti devo avere tra i piedi ovunque?» cercò di oltrepassarlo ma il moro non glielo permise.
«Lo so che non ti dispiace.» sussurrò al suo orecchio.
«Fottiti.»
Brian roteò gli occhi. «Perché con me ti comporti diversamente?»
«Che vuoi dire?»
«Lo vedo come tratti Jimmy o Matt. Cos’e’ ti sto sulle palle? Crei una scudo impenetrabile tutte volte che ti parlo.»
Sam boccheggiò: era la prima volta che Brian le si rivolgeva in quella maniera.
Lei aveva avuto molti ragazzi, che però, a dir la verità, l’avevano delusa tutti. Non aveva mai preso seriamente un rapporto, chiunque pensava che lei fosse apatica e senza sentimenti con un cuore di ghiaccio. Si era scelta sempre dei ragazzi sbagliati, dei ragazzi con i quali doveva fingere ogni volta di non essere quella che era perché a loro non andava bene. Quindi col tempo aveva imparato a costruirsi una sorta di barriere con tutti quelli di sesso maschile, all’infuori di Jimmy.
«Non e’ vero.» disse decisa, spostando lo sguardo su una bellissima farfalla bianca che svolazzava sopra una siepe.
«Allora esci con me.»
Sam aveva storto le labbra, corrugando la fronte incredula.
«Cosa?» lo disse talmente piano che ebbe paura di averlo pensato e basta.
«Non fare finta di niente, hai capito benissimo.»
Tre aggettivi lo calzavano a pennello: bastardo, duro e cretino.
«Io non sono una delle tante, Haner.» strinse i pugni.
«Esci con me.» ripeté.
«Certo che quando ti ci metti sei proprio una testa di cazzo.»
L’unica cosa che vide Brian furono i capelli biondi della ragazza “rimbalzare” via in quella stranissima coda.
Infondo non era per quello che la incuriosiva?























Eccone un altro :D (non mi piace affatto questo ç____ç)
Ho aggiornato oggi perchè mi sono resa conto di non aver studiato nulla in questi giorni, perciò ho un botto da fare e non avrò il tempo neanche di entrare ç_ç
Venerdì, forse, parto e torno domenica sera (FORSE) e non so quando metterò il prossimo.
Mh, scusate eventuali errori e ringrazio taaaanto:
Synner Sevenfold
Amelie_
Black Arrow
chi l'ha messa nelle seguite e nelle preferite.
CRAZIE MILLE <3
Domanda: Secondo voi Brian farà sul serio? E Sam deve credergli? 
Alla prossima, un bacione.

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Capitolo 4
*** Chapter 4. ***


Efelidi.

Huntington Beach.
May,99. h10.35 pm.




Il Johnny’s non era un bar qualsiasi, ma era il bar per eccellenza. Incarnava la perfezione con le sue pareti piene e stra-piene di targhe, disegni, scritte, foto con cantanti famosi e non, e le peggio cose che si potevano trovare, anche quelle improbabili, come reggiseni, pezzi di bambolotti, strumenti musicali e altri oggetti ancora non identificati. Qualunque cosa tu trovassi a terra in quel bar lo potevi attaccare su una tabella di legno messa a posta, che ne era stracolma insieme ad annunci e foglietti. Era spazioso, con circa sette tavoli da biliardo, tutti rigorosamente della Jack Daniels, un bancone di 20 metri rifornito con tutti gli alcolici esistenti, conosciuti, legali e non a questo mondo, tavoli su tavoli, giochi ed altro. Insomma, il paradiso in terra, solo un po’ meno luminoso e più tetro.
Sam ci passava ogni venerdì sera da  troppo tempo per ricordarselo e ormai era la sua seconda casa, anche perché il proprietario era un suo zio.
«Guarda un po’ chi si vede.» la bionda, seduta a uno dei tavoli vicino al bancone, si voltò verso l’entrata dove l’amica aveva appena salutato il suo ragazzo con un cenno di mano.
«Oh, oh, c’è pure Haner.» continuò la ragazza, sorridendo ai quattro che si stavano avvicinando a loro.
«Salve donzelle.» salutò Zacky, baciando a fior di labbra la mora.
«Jim, chi perde offre un bicchiere al vincitore.» urlò Brian. Non si era neanche degnato di salutarla o di guardarla, aveva preso Jimmy per un braccio e portato a uno dei biliardi liberi.
«Ehi, bionda come stai?» Matt l’affiancò, sedendosi sulla sedia libera e stando attento a non far cadere il bicchiere enorme di birra che aveva in mano.
Fece spallucce. «Un po’ stanca ma bene.»
«Non dirmelo, Jimmy ti ha chiamato stanotte.» annuì sconsolata e bevve l’ultimo sorso del suo Long Island.
«Vorrai dire The Rev. Ah, giusto per colpa di Synyster Gates, il più figo di tutti, il muro del cimitero ha mangiato Daisy. Cosa gli avete fatto bere e fumare ieri sera alla festa?» scoppiò a ridere, ricordandosi i discorsi di Jimmy ubriaco e nel pieno della sua scemenza di quella notte.
Sia Zacky che Matt scoppiarono a ridere. «Da ieri sera quelli sono i loro nuovi nomi d’arte.»
«Anche voi ne avete uno?» domandò Cass, in braccio a Baker.
«Io sono Mr Shadows, lui Vengeance.» spiegò il cantante.
«E sono dei nomi d’arte?»
All’improvviso si sentì un urlo e un Jimmy che saltellava da tutte le parti.
«Ovvio che sì.» corrugò la fronte Baker.
«Voglio una birra.»
«Te la prendo io, la prendo anche per me.» Cass si alzò e andò verso il bancone, dove la fila iniziava dall’entrata.
A Sam involontariamente scappò un rutto e chiese subito scusa, rossa in volto.
«Tranquilla, lui fa cose peggiori. Li facesse uscire soltanto dalla bocca.»
«Vaffanculo Sanders.» urlò il piccoletto, dandogli un pugno sul braccio.
«Calmi bestioni. Vi va una partita a spacca nocche?»
«Ragazza io ti amo. Se poi mi dici che giochi a Gran Turismo ti porto in chiesa sull’istante.»
«Mi pare ovvio. Proprio una settimana fa ho comprato il due, cazzo se è figo.»
«Ragazzina dove ti eri nascosta?»
Scrollò le spalle, tirando fuori una moneta e facendola girare sul tavolo.
«Credete nel destino?» domandò Matt, d’improvviso, scambiando un occhiata con il ragazzo a cui toccava subire la penitenza per aver fermato la moneta.
«Certo, tutto è già stato scritto. Le cose vanno in quel modo perché devono inevitabilmente andare così.» rispose la ragazza tranquillamente, sorridendo all’espressione buffa che aveva assunto Baker.
«Allora, se il destino ha deciso che tu esca con Brian perché lo eviti così?»
Quasi non strozzò con il ghiaccio che aveva appena ingoiato, per cercare un sollievo per la sua gola infiammata.
«Se il destino ha deciso che tu esca con Val perché la eviti così?»
«Touchè.» sussurrò e subito strinse il labbro nel sentire con quanta potenza ci aveva messo la bionda nel tirare la moneta.
«Sai vero, Matt, che è insensata come cosa?» alzò il sopracciglio, guardando prima lui poi il piccolo taglietto rosso sulla nocca.
«Povero Gates, c’è rimasto male.» disse Zacky.
«Si certo e io sono la fata turchina. Perché stiamo parlando di lui? Come minimo me lo ha chiesto per commessa.»
«Per fare un po’ di conversazione.»
«E perché è un rompipalle assurdo. Ci tiene, non lo ha fatto per scommessa.»
«Si vede come ci tiene, non gliene frega niente. E poi non ho detto mica che ci voglio uscire.»
«E neanche il contrario, però. Fossi in te ci uscirei.»
«Fossi in te mi farei gli affari miei e smetterei di farmi le seghe con le foto di Val, ma non lo sono quindi discorso chiuso.»
Matt scosse la testa, sorridendo. Conosceva Sam soltanto da pochi giorni, però era riuscito a capire che era una ragazza dura, capace di chiudersi in se stessa come un riccio in caso di pericolo. Riusciva a cambiare umore in un batter di ciglia, prima faceva la timida, poi, poteva dirti tutto quello che pensava di te in pochissimi secondi, senza peli sulla lingua. Abile nel nascondere i suoi sentimenti, quella ragazza ne doveva aver passate tante solo ora capiva come mai Cass, all'inizio, l'aveva considerata fantastica.
La mora tornò dopo qualche minuto e subito notò la faccia un po’ scazzata dell’amica, ma non chiese niente: conosceva Sam, le avrebbe spiegato tutto lei e, qualunque cosa fosse successa, era meglio lasciarla sbollire.
D’altro canto ancora pensava alle parole di Matt. Le sembrava strano che uno come Brian le avesse chiesto d’uscire, a lei che aveva preso in giro per mesi e mesi senza mai preoccuparsi di chiederle neanche come stava o se aveva fatto qualcosa. Non conosceva quasi niente di lui, se non che andava male in matematica e biologia, che suonava la chitarra e che era un puttaniere in prima regola. Lo sentiva come un’altra sua presa in giro, però da una parte il suo cervello le diceva di buttarsi e tentare. Infondo, Brian, era un bel ragazzo che, dopotutto, la faceva ridere e sentire bene.
Si voltò verso il biliardo e non potè non sorridere: Jimmy era disteso su tutto il tavolo. Lingua fuori, sguardo concentrato e i capelli sparsi su tutta la fronte, nel tentativo di mandare l’ultima palla in buca. Brian, invece, era appoggiato alla parete dietro di lui. Quella volta portava una bandana e un cappellino nero sulla testa, mentre gli occhi erano circondati dalla sua fedele matita nera e delle linee orizzontali gli arrivavano fino alla guancia.
«Sam?» si voltò verso l’amica.
«Dimmi.» si rese conto che Matt e Zacky non c’erano più.
«Stai bene? Ti vedo un po’ sulle nuvole.»
«Certo. Ehi, guarda, c’è quello nuovo.» con il dito smaltato di rosso indicò il ragazzino basso entrare nel locale insieme ad altri due ragazzi.
«Ah sì, Seward. Abita vicino a me.»
«Cosa? Io pensavo si fosse trasferito da un’altra città.»
«No no, ha cambiato soltanto scuola.»
«E’ vero che suona il basso?» sobbalzò nel sentire la voce calda di Jimmy vicino al suo orecchio e appoggiare il mento sulla sua spalla.
«Sì, lo vedo qualche volta suonare in giardino. E’ bravo.»
«Sullivan pensi quello che penso io?» chiese Matt, tornato con un altro bicchiere di birra.
«Che gli unicorni esistono veramente?» disse con un ingenuità da far paura.
«No cazzone, non abbiamo più Justin e lui è un bassista. Compriendi
«Jimmy, davvero tu pensi che gli unicorni esistano veramente?» lo riprese Zackary, in piedi, alle spalle di Cass, seduta di fronte alla bionda, e con una mano prontamente appoggiata alla sua spalla. Erano davvero carini insieme: non erano una di quelle coppie che vedi per strada e ti fermi ad osservare per svariati minuti pensando a quanto siano sdolcinati da farti venire 9 carie su 10 in un colpo solo, ma una di quelle coppie che si sono trovate, uno l’opposto all’altro, che pensi subito che dureranno pochi giorni e che in realtà sono fatti davvero per stare insieme.
«Certo che si.» rispose, incrociando le braccia.
«Oh, terribile Shadows.» disse la bionda con voce grossa, mimando un umile servo che si rivolge al suo signore. «Posso averne un sorso o mi punirà con uno dei suoi terribili sguardi?»
Però lo sguardo dell’omone era tutt'altro che terribile: era puntato e fisso su una figura snella entrata nel locale in quel momento, accompagnata ad altre due ragazze. Val si era tinta i capelli di biondo, un po’ troppo acceso per la sua carnagione abbrozzata, tagliati corti fin sotto gli orecchi e con una frangia sbarazzina sulla fronte, si era messa una maglietta dei metallica e legata con un nodo sopra l’ombelico a mostrare la sua pancia piatta.
«Terra chiama Sanders.» Jim tentò di richiamarlo sventolandogli una mano in faccia.
«E’ andato.»
«Matt, vai da lei avanti.» lo incitò Cass.
«Amico se vai a letto con quella, sappi che ti offrirò una birra.»
«Intanto la devi offrire a me, Sullivan caro.» Brian si materializò alle loro spalle, o meglio sulle spalle di Jimmy.
«Non sei una piuma, testa di yougurt andato a male.»
«Ehi, Shads, ti accompagno io. La sua gemella non e’ niente male.» Brian prese l’omone per la maglietta e con un po’ di fatica lo tirò verso il tavolo occupato dalle DiBenedetto.
«Avete visto? Io ho sempre ragione cari miei.» detto questo, la bionda poggiò i piedi sul tavolo.
Di certo la sottoscritta non si fa prendere in giro da quello lì.
Automaticamente tutto quello che aveva pensato precedentemente per quell’essere fu azzerato dal suo cervello, tranne, naturalmente, che era un cretino, bastardo, negato in matematica e biologia e un puttaniere di prima classe.





















Ma buonsalve a voi :)
Naturalmente questo capitolo non mi piace e ringrazio la febbre per la minchiata di roba che ho scritto (?)
Non so più come ringraziarvi per le bellissime recensioni che mi lasciate, seriamente! Già 133 visualizzazioli solo per primo, cioè tanto amore per voi.
Alloura, come sempre sono di poche parole (lasciate perdere è sempre la febbre che parla ç_ç) e un GRAZIE va a *rullo di tamburi*:
Amelie__
Synner Sevenfold
Naomi_A7X
Le undici persone che l'hanno messa fra seguite e le cinque fra preferite.Vi amo dal profondo del mio cuoriccccino.
Torno in me e devo dire che alcuni di voi hanno intuito già come andranno avanti le cose (sono così prevedibile? D:)
Quindi, in sostanza:
-Matt ormai è partito per Val, che ha cambiato look.
-Zacky e Cass fanno scintille.
-Sam all'inizio aveva quasi preso sul serio la richiesta di Brian, ma Brian non capisce una mazza e ora lei si vuole "vendicare".
-Tra poco i ragazzi conosceranno Johnny.
Ebbene ci sarà un rivale, però anche se all'inizio avevo dato l'idea che sarebbe stato Matt, in realtà sarà qualcun altro che entrerà nel prossimo capitolo :D
Sembra Beautiful lo so.
Domanda stupida che ormai è a tema: Brian è uno scemo o no?
Oddio, sono logorroica, basta me ne vado. Scusate gli errori e grazie ancora. :)

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Capitolo 5
*** Chapter 5. ***


Efelidi.

Huntington Beach.
May,99. h 2.58 pm.




Per l’ennesima, noiosa, irritante, volta sbuffò.
Si passò una mano sulla fronte sudata e appiccicaticcia, tornando a svolgere quel delicatissimo e complicato compito di cambiare il rullino alla vecchia macchina fotografica del padre che era riuscita a trovare nei tanti scaffali del garage.
Il cielo era limpido, qualche nuvoletta si muoveva lenta e il sole batteva forte sul terreno, stringendo la città in una morsa afosa: cosa normale in California.
Niente da fare, quell’aggeggio non voleva entrare in quel buchino maledetto e lei stava cuocendo sotto la sua felpa- la mattina faceva freddo- usata per fare almeno un po’ di ombra e per evitare che i raggi sciupassero il rullino.
«Se sono venute bene, ne voglio un paio. Sempre che tu sia viva, là sotto.»
Sentì la felpa solleticarle la pelle nuda e gli occhi pizzicarle per la luce; quando si rese conto che non c’era più ombra, tentò di coprire il rullino.
«No, cazzo! Ehi, testa di minchia, ti rendi conto che sono stata mez.. oh.» si bloccò.
Una figura alta e vestita da quarterback stava tenendo tra le mani la sua felpa grigia, ma non riusciva a vederlo in volto per colpa del sole alle sue spalle. Fece scorrere lo sguardo sulla sua divisa, dai pantaloncini imbottiti bianchi fino all’armatura rossa su cui spiccava un 21 a grandi lettere.
«Ian?»
La figura si abbassò, in ginocchioni, alla sua altezza. «Beh, a quanto pare.» sorrise mostrando la sua dentatura perfetta.
«Non volevo rovinarti il rullino, ma ho visto un coso grigio, immobile in mezzo al campo e quando mi sono avvicinato ti ho riconosciuto subito.» si lasciò cadere vicino a lei, ancora immobile nel fissarlo: accanto a lei c’era Ian Callaway in tutta la sua bellezza maturata in quegli anni di pane e football, nient’altro se quello sport e madre natura aveva fatto il resto.Lo conosceva dall’elementari ed era sempre stato il tipico bambino solare e con tanti amici, intelligente il giusto e con un’energia infinita, che scaricava tutta in quel rettangolo di erba, pali e vernice. Il suo viso aveva ancora i tratti dolci, un po’ da bambino, gli occhi castani profondi e da adulto, il naso piccolo e proporzionato, i capelli biondi tirati su in una piccola cresta e un sorriso che gli illuminava il viso.
«E’ inutilizzabile?»
Posò lo sguardo sul rullino aperto e caldo al tocco. «Già.» constatò.
«Merda, mi dispiace.» giocherellò con il casco bianco col leone, simbolo della scuola, stampato sopra.
Sorrise, rassicurandolo. «Tranquillo. Non è poi così grave, ne ho tanti altri a casa.»
Gli diede le spalle, riponendo con cura la macchina nella sua tracolla nera insieme alla felpa.
Fotografare è porre sulla stessa linea di mira la mente, gli occhi e il cuore. E’ un modo di vivere.” Le diceva sempre suo padre quando le parlava dei tanti fotografi o quando le mostrava le sue foto che si divertiva a fare nel tempo libero.
«Cosa ci fai in mezzo al campo, da sola e a quest’ora? Le lezioni sono finite da due ore.» strabuzzò gli occhi e guardo l’ora nel display del cellulare, maledicendosi mentalmente e scrivendo un messaggio veloce alla madre, dove l’avvertiva che aveva fatto tardi a scuola e che sarebbe tornata ormai in pomeriggio inoltrato.
«Ho perso la cognizione del tempo come al mio solito. Tu invece hai finito gli allenamenti?»
Il ragazzo annuì, stiracchiandosi. «Sono stanco morto ed ho una fame assurda.»
Ora che ci pensava, neanche lei aveva pranzato e lo stomaco esigeva qualcosa da mandare giù.
Passò una ciocca dietro l’orecchio. «Mi ricordo ancora quando a 9 anni ti eri messo a mangiare l’intera torta di mele di tua madre facendola infuriale e sei rimasto per due ore intere chiuso in bagno a vomitare.» scoppiò a ridere.
«Parla quella che alla festa dei miei 15 anni si è ubriacata talmente tanto da fare la pipì in mezzo alla strada.» Sam avampò immediatamente e si portò entrambe le mani in faccia.
«Devi proprio ricordare certe cose imbarazzanti? E poi è stato tanto tempo fa.»
«Due anni fa, se non erro!»
Sam gli diede una spinta ridendo. «Se non c’ero io, il bel sederino che ti ritrovi lo avrebbe visto l’intera scuola, invece io da bravo,bello e intelligente ragazzo ti ho portato via immediatamente.» continuò lui.
«Tu, intelligente e bravo ragazzo?» alzò il sopracciglio.
«Stai per caso mettendo in dubbio le mie capacità intellettive?»
«Io?» si indicò.
«No, l’omino della Michelin dietro di te.»
«Aspetta che vado a salutarlo eh.»
Il ragazzo la guardò alzarsi e la fermò per un braccio, scoppiando a ridere. «Però hai detto che sono bello, quindi ti salvi.»
Sam sgranò gli occhi. «Non ho detto che sei bello.»
«Ah, bene, così per te sono brutto.» disse, finto offeso.
«Non mi infinocchi con i tuoi rigiri di parole, lo sai?»
«1 a 0, palla al centro per te.» sogghignò, tirandogli un pugnetto sulla spalla come spesso vedeva fare con i suoi amici.
«Ehi, si trattano così le ragazze?» scherzò.
«Oh avanti, sei Sam, la ragazza che rutta da uomo!»
Fu in quel momento che le venne il dubbio che lui la considerasse come una semplice amica con cui berci e scherzare, e niente di più. Dopotutto la cotta per quel ragazzo le era passata anni fa e non le importava minimamente, giusto?
«Ti sei offesa?»
Si concentrò di nuovo su di lui. «Mh? Perché?»
«Perché sei diventata taciturna all’improvviso. Ti stavo soltanto punzecchiando. Mi piacciono le ragazze come te, tranquilla.» Sam sentiva le guance colorarsi di rosso e deglutì a fatica.
«Simpaticone.» sorrise, mantenendo il controllo.
«E visto che siamo entrati in questo discorso, ti.. ti devo chiedere una cosa.»
Piegò la testa di lato, come era solita fare, e lo fissò sottecchi mentre si torturava il labbro con un piccolo piercing nero al di sotto.
«Cosa?»
«Non mi mettere furia, non è facile.»
«Mica stai andando in guerra.» fece spallucce.
«Poi il simpaticone sono io.»
«Callaway, mi stanno venendo i capelli bianchi.» corrugò la fronte.
«Ok, mi chiedevo se stasera avevi qualcosa da fare.»
«Oltre ad andare ad annoiarmi come al solito al Johnny’s, beh, niente.»
Lo vide sgranare gli occhi. «Al Johnny’s? Eppure non ti ci ho mai visto.»
«Vai al Johnny’s, tu?»
«Certo! E’ una figata. L’alcol è buono e pure la musica. Aspetta, ci vai con Sullivan e i suoi amici?»
«Sì.»
«Quindi non gli dispiacerà se per stasera esci con me?»
«Penso di no.» sorrise imbarazzata, le mani le tremavano e cercava con tutte le forze di mantenere un certo ritegno; per urlare, saltellare come un’idiota e abbracciare o fare altro aveva pur sempre la sua migliore amica.
«Perfetto. Solito posto, solita ora?»
«Solito posto, solita ora.»




h.4.26 pm.


«Lui cosa
«Perché devi urlare sempre?»
«Zitto, Baker. E’ una questione di vita o morte. Bagno, avanti.»
Zacky urlò appena avvertì il peso della sua ragazza alleggerirsi per sentirne subito un altro, provocato da Jimmy, tre volte superiore a quello che poteva sostenere.
«Cretino, levati dalle palle. Letteralmente!»
«Scusami, cucciolo di elefante femmina.» James rotolò al suo fianco, appoggiando le sue lunghe gambe sopra quelle del ragazzo che si voltò subito nel sentire quel nomignolo.
«Perché femmina?»
«Perché hai le tette, semplice.»
«Ma sei idiota!?»
«No, Jimmy piacere.»
Prima che Zacky si lanciasse sopra l’amico, un Matt tra lo spaventato e il curioso scese le scale tenendo in una mano la birra a metà che si era portato pure in bagno con la paura che i ragazzi gliela finissero.
«Non scopate sul mio divano, dannazione.»
«Cos’è quella faccia?»
«Oh, è normale: è tornato dal bagno, dove si è visto allo specchio e gli è presa paura.»
«Haner, evita.»
Matt lo liquidò con un’occhiata e Brian alzò le mani in segno di difesa, lasciandosi cadere sulla poltrona in pelle nera del padre del cantante, sfogliando il giornale che informava delle solite cose, monotone, che accadevano a Huntington.
«Jim, Sam ti ha detto niente?»
Il batterista corrugò la fronte, stappando la sua seconda birra.
«Appena sono uscito dal bagno, ci si sono fiondate Sam e Cass. Cass urlava il nome di un certo Ian e l’unico Ian che conosciamo è Callaway.»
«Chi?»
«Sto cazzo, Vee.»
«Brian vaffanculo e continua a leggere il giornale. Io non lo conosco.»
Matt si appoggiò alla soglia della porta del soggiorno, incrociando le braccia, da avere così una visuale completa della scale.
«E’ il quarterback della scuola ed ha giocato anche con me nella squadra di basket. Non lo conosci anche tu?» chiese al batterista.
«Sì, diciamo che è un vecchio amico mio e di Sam. Soltanto che Sam ha continuato a parlarci, io no.»
«E quindi?» chiese Zacky, muovendo lentamente le gambe per sentire se non l’avesse perse totalmente.
«Per sbaglio il mio orecchio è finito contro la porta ed ho sentito il discorso fra quelle due.» spostò la testa all’indietro e diede un’occhiata alle scale.
«Questo a casa mia si chiama origliare e fare il ficcanaso.»
«Vuoi sapere o no?»
«Sembriamo peggio delle vecchiette.» scosse la testa, Jimmy, sorridendo.
«Sono riuscito a sentire poco. A quanto pare Sam stasera uscirà con lui.»
«Ha la mia benedizione, quel tipo è a posto.»
«Ma se non sai neanche chi è!»
«La ha lo stesso, meglio di qualcun altro.»
Tutti gli sguardi si spostarono sul moro seduto, coperto dal giornale, e con una gamba che si muoveva nervosamente.
«Tu non dici niente a riguardo, Brian?» chiese James, lasciando la birra sul tavolo di fronte a lui.
Il ragazzo abbassò il giornale lentamente. «Cosa dovrei dire?»
«Sam uscirà con uno. Non ti da noia?»
«Perché mai dovrebbe darmi noia?» fermò la gamba.
«Basta fare finta di niente. Sappiamo che le hai chiesto di uscire, eh.»
«E che a lei ci tieni davvero, anche se, nel mentre, ti scopi altre fanciulle. Solo per questo di picchierei.» lo minacciò Jimmy.
«Non è vero. Le ho chiesto d’uscire per scommessa, tutto qua.»
Matt, rimasto in silenzio fino a quel momento, roteò gli occhi, togliendosi il cappello. «Avanti Brian, siamo i tuoi migliori amici, cazzo. Per quale motivo ti resta tanto difficile confidarti con noi?»
«Non mi resta difficile confidarmi con voi, come dici te, è solo che lei, cioè.. ormai esce con lui, è inutile che ve lo spieghi.»
«O non sai spiegarlo? Esce con lui poiché tu hai fatto quella grande cazzata di mettere prima l’orgoglio che i sentimenti, passando come il duro della situazione e risolvendo il tutto con una bella scopata con Michelle.» concluse Jimmy.
Brian provò a dire qualcosa, ma si fermò subito.
«Brian ti piace e questo lo sappiamo ormai da tempo. Però tu..»
«Alt, alt, alt. Lei non mi piace, chiaro? E se vuole uscire con quel montato del cazzo, lo faccia pure.»
«Dove vai?»
I ragazzi, dopo un rumore sordo della porta che si chiudeva, sentirono soltanto un “a fanculo” e delle ruote che lasciavano la loro impronta sull’asfalto a gran velocità.



h9.28 pm.

La bionda guardava con insistenza la strada buia sotto di lei, mordendosi le unghie e rovinando lo smalto verde acqua che le aveva occupato gran parte del pomeriggio. Non si era mai preparata così con cura in tutta la sua vita e non aveva mai provato un magone come quello, se tralasciava quando James da piccolo si era rotto il braccio e aveva battuto la testa da finire all’ospedale. Scosse via quei pensieri e strinse i pugni. Non poteva rammollirsi per un ragazzo che conosceva da un’eternità, di certo non era la prima volta ci usciva e lui non aveva sottolineato che sarebbe stato un appuntamento o no, quindi doveva smetterla con le seghe mentali.
Notò una macchina ferma proprio davanti al suo vialetto e si precipitò giù per scale, salutando i suoi genitori e informandoli che non sarebbe tornata tardi.
«Ti sei tagliato i capelli?» domandò subito, notando che al posto della cresta, i suoi capelli erano sempre lunghi e tirati leggermente su, cadendo morbidi da una parte. Gli stavano davvero bene.
«Si, sono più figo?»
Sam scoppiò a ridere. «Oh, certo certo. Dove andiamo di bello?»
«Cambi discorso, eh? Al luna park, cara mia.»
«A fare cosa?»
«Di solito cosa si fa a un luna park?» si voltò un secondo verso di lei e poi puntò di nuovo gli occhi sulla strada.
«Mmh, fammi pensare. Si ammirano le scimmie mentre si spulciano tra di loro?»
«Davvero? Io pensavo si tosassero le pecore.»
«Non lo hai detto veramente.»
Ian, rosso in viso, scoppiò poi a ridere. «Sai che non sono bravo con le battute.»
«L’ho notato, infatti.»
«Ah-ah, spassosa.»
«Noioso.»
«Logorroica.»
«Puzzi.»
«Cosa c’entra adesso?» rise il ragazzo, fermando la macchina. Riuscivano a sentire le musichette e vedere le luci sparate in cielo del luna park della città, poco distanti da loro, e qualche coppietta o famiglia incamminarsici allegramente.
«Non avevo voglia di pensare ad altri aggettivi.» fece spallucce.
«Non ti ricordavo così spassosa.»
«Ehi, hai finito di ripete “spassosa”?» sogghignò.
«Scusa, spassosa.»
«Se pensi che me la prenda o mi arrabbi sei in alto mare, tu non..» non riuscì a dire altro, non perché non sapeva bene cosa dire o perché ci aveva perso le speranze visto il tipo con cui stava parlando, ma perché si era ritrovata la labbra “bloccate”.
Allora aveva ragione: la labbra di Ian erano davvero morbide come aveva sempre pensato e quello che sentiva era per caso sapore di panna?
No, fragole e panna.


























Salve a tutti :)
Finalmente il raffreddore e la febbre mi hanno lasciato in pace e ce l'ho fatta ad aggiornare. Il capitolo l'ho riscritto in questo momento e mi piace poco (lo dirò sempre e.e), prendo spunto da una cosa che mi è successa qualche settimana fa e da degli episodi quindi non hanno senso LOL.
Ecco a voi il caro Ian, colui che darà del filo da torcere a Brian! Il nome l'ho preso da quel gran pezzo di attore che è Ian Somerhalder e ho deciso di mettere delle immagini di come io mi immagino (scusate il gioco di parole LOL) i personaggi, più o meno sono in questa maniera, un pò meno fighi e più giovani.

Sam



Cass
I

Ian


E poi vabbè ci sono Brian, Zacky, Matt e Jimmy (Johnny ho deciso che entrerà successivamente)


Zacky


Matt (LOL)


E Jimmy


Tutte immagini ritrovate o per internet o per il computer '-' 
Grazie a tutti e scusate eventuali errori.
Alla prossima,
Gheggo.
Domanda: Cosa farà, secondo voi, Brian?

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Capitolo 6
*** Chapter 6. ***


Efelidi.

Huntington Beach.
May,99. h 2.15 pm.








Tra le tante cose che odiava di quel posto, il tempo era al primo posto; cambiava in pochi secondi, e se un attimo prima il sole spiccava in cielo e l’afa non ti dava scampo, dopo due secondi un esercito di nuvole arrivava alla riscossa.
In più, quando di prima mattina pioveva già sapevi che la giornata sarebbe sicuramente andata di merda e se tua madre ti dice di prendere l’ombrello, ascoltala sempre anche se fuori c’è il deserto del Sahara o ti saresti ritrovata bagnata fradicia, come Sam, ad aspettare l pullman che non arrivava mai.
Si tolse la ciocca bagnata dalla fronte e alzò lo sguardo verso la strada, vuota, allora si concentrò sull’acqua che cadeva su una pozza vicino alle sue converse. La pioggia le era sempre piaciuta, però fino ad un certo limite, ad esempio se veniva giù proprio come Dio la mandava e c’erano i fulmini, come in quel momento, avrebbe ucciso qualcuno.
«Se stai cercando di ammalarti, ci stai riuscendo in pieno.» ad udire quella voce si immobilizzò, la pioggia non batteva più con insistenza sulla testa e sui vestiti, ormai completamente fradici, avvertiva anche una presenza alla sua destra.
Un qualcuno da uccidere sarebbe stato lui.
«Che vuoi, Haner?» udì il rumore del motore dell’autobus e tolse lo zaino, fradicio pure quello, da una spalla, frugando all’interno della taschina esterna.
«Come siamo acide.»
«Con te sì. Merda, ho lasciato le chiavi a casa e sono da sola, merda, merda e merda.» il pullman si fermò proprio davanti a loro, aprendo le portiere e facendo scendere le persone.
«Ti chiederei di venire a casa mia per aspettare che smetta di piovere ma..»
«No.» disse secca, guardandolo di striscio e salendo sull’autobus.
«Appunto. Uno cerca di essere gentile e guarda come viene trattato.» borbottò, sedendosi proprio accanto a lei. Sam, appoggiata con la testa al finestrino, lo fissò truce: I capelli lunghi, lisci prima, erano umidi e ondulati, coperti da un cappello, la matita nera era, tuttavia, perfetta e nonostante i pochi gradi fuori, aveva una maglietta dei metallica a maniche corte.
Lui si voltò, corrugando la fronte.
«Che?»
«Perché ti sei seduto proprio vicino a me, se c’è tutto l’autobus vuoto? E perché mi parli, così, all’improvviso come se niente fosse successo?» non gli diede tempo di rispondere, alzò il cappuccio sulla testa e si appoggiò nuovamente al finestrino, rannicchiandosi contro di esso. Non aveva voglia di mettersi a litigare con lui, il tempo brutto le metteva una tristezza assurda addosso, era come se la privasse di tutte l’energie.
Brian non rispose, la fissò soltanto, e rimasero per vari minuti in silenzio ad ascoltare le goccioline che si frantumavano contro i finestrini.
L’autobus si fermò e salirono delle ragazzine di dodici anni, circa, che si sedettero proprio vicino a loro e iniziarono a parlare di vestiti, trucchi e di un certo Mick.
Si voltò lentamente verso di loro e finì nella traiettoria di Brian, appoggiato al poggiatesta blu a ghirigori verdi.
«Mi odi?» le domandò d’improvviso.
«No, sarebbe soltanto tempo perso.» sospirò, passandosi una mano tra i capelli bagnati.
«Io sono quasi arrivato. Non posso lasciarti bagnata e chiusa fuori di casa, anche se mi odi, vuoi venire da me? Non ti mangio o cose del genere, non c’è nessuno in casa.»
Scosse la testa, riflettendo su quelle parole. Sentiva già la gola andarle a fiamme, i polmoni bruciarle a ogni respiro e la testa dolerle incredibilmente. Se aspettava ancora, si sarebbe sicuramente ritrovata con la polmonite e i suoi genitori, entrambi ad una riunione, sarebbero rientrati sul tardi.
Staccò la testa dal finestrino e si alzò lentamente, seguendolo fuori dall’autobus.
Il quartiere in cui abitava Brian lo aveva visto raramente, le case per la maggior parte erano tutte ville e villette, e anche quella del ragazzo non era da meno. Forse si era incantata per qualche minuto, visto che si era ritrovata spinta per le spalle dentro una villa color panna, con un giardino al di fuori e una macchina parcheggiata di fronte a quello che doveva essere il garage.
«Ma non avevi detto che eri da solo?»
Il ragazzo prima aprì il cancelletto nero, poi un portone marrone, lasciando l’ombrello bagnato alla parete e salendo su per una scalinata che pareva non finire mai.
«Infatti. Vado a cambiarmi e ti cerco qualcosa.»
Sam, titubante, superò la porta su cui si era fermata ed entrò in quello che doveva essere il soggiorno, lasciando che le sue scarpe risuonassero sul pavimento di marmo bianco, bagnandolo.
I pantaloni, stranamente, erano l’unica cosa non del tutto inzuppata e si sedette sul divano nero, ammirando le fotografie alle pareti che raffiguravano i genitori di Brian: sapeva di già che suo padre era il famoso Brian Haner e sapeva anche che era ricco, però non lo avrebbe mai pensato dai suoi atteggiamenti, a confronto con il resto degli snob presenti a scuola.
All’improvviso un lampo spaccò il cielo, illuminando la casa e si riscosse, scattando in piedi e correndo su per le scale, alla ricerca della camera del ragazzo.
Da piccola aveva sempre fatto una sorta di “gioco”, cioè, tramite la camera di una persona provava a capire se rispecchiasse in pieno il proprietario e per Brian era esattamente in quel modo. La sua stanza non era grande, le pareti erano ricoperte di migliaia di poster, foto, disegni e roba di ogni genere ma era, stranamente, in ordine.
Lui era a sedere per terra con una pila di vestiti accanto e il cellulare tra le mani.
«Stai bene? Hai una faccia.» le disse.
«Niente di che, questi lampi mi stanno solo uccidendo.» rise isterica.
«Oh, capisco. Tieni questi, ti staranno sicuramente grandi.» si alzò, facendo due passi verso di lei e le passò i vestiti.
«Mi basta la maglia. Ehm, ti potresti voltare genio?» Brian ridacchiò, dandole le spalle e Sam si cambiò, infilandosi la maglietta nera con strani disegni sopra che le arrivava fin sopra alle ginocchia.
Quella situazione era in reale: fino a qualche giorno prima, anzi fino al giorno prima, lo odiava a morte ed adesso era nella sua camera con la sua roba addosso. Il mondo stava girando al contrario?
«Ti sei incantata? Hai una faccia da pesce lesso.»
Strinse i pugni. «Fottiti.» le passò nell’anticamera del cervello l’immagine di Ian e frugò nelle tasche per tirare fuori il cellulare e inviargli un messaggio veloce, ma a quanto pare la aveva preceduta lui.
«Quindi è vero che stai con Ian.»
«Beh, sì, diciamo di sì.» digitava veloce i tasti con un sorrisino felice.
«Che sfigato.» sussurrò.
«Che hai detto, scusa?» pensava che Sam non l’avesse sentito.
«Ho detto “che sfigato”.»
«Chi sei tu per dirlo?»
«Oh avanti Sam, è uno sfigato del cavolo che pensa soltanto al football.»
«Almeno lui ha avuto le palle di parlarmi e di non fare finta di niente come te.»
Il ragazzo scosse la testa. «Ok, vuoi che ti parli? Era una scommessa, pensavo che stessi al gioco.»
«Non ho voglia di sprecare il fiato con uno come te. E’ inutile, sei un fottuto stronzo.»
«Come me? Mi sono rotto il cazzo di essere chiamato da te, una mocciosa viziata, stronzo. Mi sono davvero stancato di te e il tuo cazzo di fidanzatino finocchio.»
«Non osare chiamarmi mocciosa viziata, intesi?»
«Oh che paura. Sei diventata una troia.»
Sam sentì lo stomaco bloccarsi in una morsa e la testa martellarle, come se un picchio l’avesse scambiata per un albero.
«Ma ti ascolti quando parli? Ascolti quante cazzate riesci a sparare in un nanosecondo? Con quale cazzo di diritto, tu, mi dai della troia, eh, Brian? In realtà, sei tu il moccioso viziato che con un cazzo di sorrisino pensa di far cadere il mondo ai suoi piedi. Sei un montato egocentrico che non sa un cazzo della mia vita e che fa il grande, quando in realtà è una femminuccia nata per sbaglio con i coglioni.»
Quando era molto arrabbiata, tendeva a sottolineare le parolacce e a ripeterle più volte, col risultato di ritrovarsi il cuore battere incessantemente nella gabbia toracica e gli occhi pizzicare.
«Devi respirare più piano, scema.»
Lui era lì, immobile vicino a letto, dava le spalle alla finestra, un piede era in avanti, l’altro subito dietro, i bracci distesi lungo i fianchi e uno stupidissimo sorriso invisibile stampato sulla faccia.
«Non devi dirmi cosa fare, ok? Esci dalla mia vita.» fece un respirone, annullando i centimetri che li dividevano.
«E chi ci vuole entrare nella tua vita.» ovviamente Brian era più alto di lei di pochi centimetri e lei arrivava precisa, con la fronte, ai suoi occhi e per guardarlo meglio doveva alzarsi sulle punte.
«Ma allora cosa cazzo vuoi?» urlò.
«Non voglio proprio niente. Sei te che hai capito tutt’altro, hai immaginato che potessi essermi interessato a te quando.. quando non è vero, come si potrebbe? Lo vuoi capire che era soltanto una stupida scommes..»
Brian chiuse gli occhi per un secondo, inclinando la testa di lato e iniziando a provare uno strano calore sulla guancia, che piano piano si trasformava in dolore. Spostò gli occhi dalla mano della ragazza ancora a mezz’aria sino a lei.
«Chiudi quella foglia che madre natura per errore ti ha fatto. Ripeto: chi sei per venirmi a dire queste cose?» lo stava dicendo pacatamente, prendendo una piccola pausa fra una parola e l’altra.
«Sei pazza?»
«Ok, non mi vuoi rispondere? Bene, te lo dico io. Sei uno sfigato che passa i pomeriggi a farsi le seghe davanti a uno schermo, che pretende di farsi tutte le cose che hanno un cazzo di buco a questo mondo, quando in realtà le ragazze ci vengono con te soltanto per pena. Si, perché fai pena. Pensi “oh, ma prendiamo per il culo qualcuno, tanto io sono il grande Brian Haner, il dio sceso in terra” ma sei una testa di cazzo e basta. Anzi testa di cazzo è un eufemismo, non ci sono parole per descrivere la tua stupidità. Tu.» gli puntò il dito sul petto. «Non hai 17 anni, ma due. Scendi dal piedistallo che non sei un cazzo di nessuno.»
Detto questo si voltò, prendendo lo zaino e le sue cose, per correre via da lui e da quella casa, lasciandolo fermo immerso nei suoi pensieri.
















Perdono per questo schifo, ma volevo mettere un capitolo (anche se un pò corto) dedicato a quei due cretini.
Beh, ecco qua! :D
Grazie di cuore a chiunque legga.
Siete stupendissimi <3
Alla prossima :)

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Capitolo 7
*** Chapter 7. ***


Efelidi.

Huntington Beach.
May,99. h 10.25








«Bene, ragazzi, adesso andrò avanti con il completamento delle verifiche orali. Chi non ha fatto bene il compito, può voltarsi o sedersi vicino a chi, invece, lo ha fatto correttamente? Sempre nel massimo silenzio, ovvio.» sentenziò la professoressa. Era la terza ora e avevano matematica, materia che Sam odiava tantissimo ma a cui andava stranamente bene e all’ultimo compito aveva preso una bella B, quindi avrebbe dovuto aiutare qualcuno là dentro. Alzò il viso e si guardò attorno, notando che ogni banco era occupato da una coppia e nessuno rimaneva fuori, tranne una testa nera e bionda appoggiata sul banco di fronte a lei, dove penzolava una C- in rosso.
«Seward! Hai preso un’insufficienza, giusto? Cosa aspetti a trovarti un compagno? Guarda, dietro di te la signorina Reed è contentissima di aiutarti, vero?» alzò la testa velocemente dal quaderno, a sentire il suo nome, e vide l’arpia fissarla attraverso i suoi occhiali modello anni 30, storti e di un grado in più rispetto a quelli che aveva.
«Non credo di essere molto brava a spiegare gli argomenti, professoressa.» guardò il ragazzo spostare lo sguardo da lei all’arpia.
«Io invece penso di sì. Sei molto brava, sono cose che hai già fatto e non vi lascio a oziare durante l’ora, quindi Seward girati e lavorate, in silenzio.» il ragazzo, sbuffando, girò la sedia verso di lei e Sam gli fece spazio, tornando poi a concentrarsi sul suo quaderno. Poteva sentire le gambe magre del ragazzo premere contro le sue.
«Io sono Johnny, comunque.» si presentò, dopo pochi minuti.
«Sam.» disse a bassa voce, evidenziando un’equazione e riflettendo di quanto sia inutile. Infondo a cosa serve? Ti fa illudere di aver capito il calcolo, quando in realtà l’unica cosa che hai capito è come usare un evidenziatore e puoi ammirare il colore sulla carta bianca.
«Tu hai seriamente voglia di rispiegarmi queste cose?»
Sam storse il naso. «In realtà no. Odio la matematica.»
«A me piace, ma il mio cervello in questo momento si rifiuta categoricamente.»
«Se ti piace, perché hai preso un’insufficienza?» chiese piccata.
Fece spalluce. «Non avevo voglia di farlo, ho la media della A e posso tranquillamente rimediarlo.»
La bionda sbatté gli occhi, fissandolo. Quel tipo era decisamente strano e non si ricordava neanche che fosse nella sua classe, Cass non le aveva detto che era più piccolo di loro?
«Ma tu che ci fai qua? Non è la tua classe.» disse con ovvietà.
«Infatti ci resto solo per la questa ora. Ci manca la professoressa di letteratura e l’arpia ci ha portato qua.» con la testa indicò altri tre ragazzi che non aveva mai visto.
«Capisco.» si rigirò la penna blu tra le mani. «Tu suoni il basso?» notò che il ragazzo aveva una collana con la chiave di violino appesa al collo.
«Sì me la cavo, anche se non sono un gran che. Vorrei tanto trovare una band in cui suonare.» si passò una mano sul braccio scoperto, mostrando i tatuaggi.
Ad un tratto la porta si spalancò e Jimmy entrò con un pacco di fogli in mano e un’aria scocciata, insieme a una nuvolina di fumo bianco, uscire dalla sua bocca.
«Sullivan, è da quasi un’ora che sei fuori e senti come puzzi di fumo!»
«C’era la fila alla fotocopiatrice e mentre aspettavo sono uscito fuori a prendere una boccata d’aria. Dei ragazzi fumavano, forse puzzo per quello.»
Sam abbozzò una risatina, scuotendo la testa e facendogli il segno, senza farsi beccare dall’arpia, di sedersi vicino a loro.
«Jim, se bocci anche quest’anno i tuoi ti squartano vivo.» lo riprese.
«Non boccio, tranquilla. Ehi, tu sei.. Seward?» chiese conferma, avvicinando la sedia al banco della ragazza e non trovando spazio per le sue lunghe gambe. Praticamente metà della sua, era una della ragazza: era un tantino alto.
«Sì, detto Johnny Christ.»
Christ? I casi erano due; o era fissato davvero con Cristo da farsi chiamare come lui e tatuarselo sul braccio o era un religioso a tutti gli effetti.
«Perché Christ?» domandò Jimmy, come se l’amico le avesse letto nel cervello.
Johnny sorrise raggiante e rosso in volto.
«Non c’è un perché. Ho sempre voluto un nome d’arte particolare e sono stato molto vicino alla religione da piccolo, poi,vabbè, anche perché suono proprio da Dio.»
Poco sicuro di se, il ragazzo.
«Allora è vero che tu suoni!» a Jimmy si illuminarono gli occhi.
«Hai detto che Jason se ne è andato, no? Perché non prendete Johnny? Gli fate una sorta di provino, sempre se lui è d’accordo. Tanto Jason è una mezzasega, cagasotto, odioso ed è incapace di suonare.»
Da come si può capire, Sam, non aveva mai sopportato quel ragazzo, che fin da quando lo conosceva l’aveva presa in giro in tutte le salse, beccandosi degli insulti epici da parte anche di Jimmy per il suo comportamento menefreghista e sfottente con tutti.
«Sane? Quello che al concerto dei Black Notes si è lanciato nel mezzo della folla, inesistente tra l’altro, spaccandosi il polso e rompendo il basso in mille pezzetti?» la sua faccia era disgustata.
«Sì.» rispose Jimmy, incrociando le braccia. «Quella testa di cazzo due settimane fa si è presentato al nostro secondo concerto fatto come non mai e ci ha mandato tutto a l’aria.»
«Secondo concerto? Due settimane fa? Sullivan, porca puttana, potevi dirmelo!» il suo tono fu un tantino troppo alto e la professoressa la fulminò, interrompendo l’interrogazione, e ricevendo anche un’occhiata di ringraziamento da parte dei suoi compagni per averla distratta almeno per qualche secondo.
«Tua madre ti ha rinchiuso in casa dopo che eri venuta di nascosto alla festa con me, ricordi?» sussurò James.
Assunse una faccia scocciata, ricordandosi la serata passata a giocare a carte con sua nonna.
«Te l’avevo detto, cretino, che era meglio non andarci.»
«Ma non avrei conosciuto quella biondina niente male. Anche se era ambigua là sotto.»
«Non voglio venire a conoscenza delle sue parti intime, grazie.»
«Non dicevi così alla festa a casa della Parway.» le soffiò James, nell’orecchio.
«Stronzo, ero sbronza lo sai.» ridendo lo spinse via con uno una mano, facendolo scoppiare a ridere a sua volta.
Johnny li guardava con un sorriso stampato sulla sua piccola faccia. Quei due erano strani insieme, all’inizio, aveva pensato, vedendoli abbracciati, che formassero una coppia, una bella coppia, ma poi aveva visto la ragazza baciarsi con il biondino della squadra di football a cui tutte le ragazze andavano dietro e aveva ipotizzato che fossero soltanto amici. Aveva passato giorni a fissare quei ragazzi strani, ma così uguali a lui da incuriosirlo abbastanza da provare a scambiarci qualche parola, lui, che era sempre stato timido e riservato.
«A proposito, riguardo a quella cosa che ha detto la nana qui..»
«Fanculo.» lo interruppe.
«Beh, a me va benissimo. Come stavo dicendo a lei prima, ho sempre voluto suonare in una band e da quello che ho sentito siete davvero grandi, cazzo.»
James battè il cinque  al ragazzo. «Bene. Visto? Qualche volta sei utile.» disse poi alla ragazza.
«Sullivan, vuoi ritrovarti con un gioiello in meno?»



h 9.13 pm.

 
 
«Papà
«Papà, papà, papà. Tesoro, lo sai che non ti ho mai messo il bastone tra le ruote o tarpato le ali, tu sei libera, fino ad un certo limite è chiaro, di fare ciò che più ti senti di fare, però se ne sei davvero convinta.»
Sam lo guardò appoggiato con una spalla allo stipite della sua camera, la maglietta nera aderente che metteva in risalto i pochi muscoli rimasti dagli anni di calcio e la pancetta, le braccia incrociate al petto, i capelli neri e grigi,corti e riccioli, una leggera barbetta nera sulle guance e gli occhi di un verde acceso, più vivo alla luce. Era sempre rimasta affascinata dai suoi occhi e si divertiva, fin da piccola, a vedere come cambiassero in inverno o in estate, creando delle tonalità di verde differente.
«Questo lo so, ormai me lo hai ripetuto tante volte. Non capisco perché non ti vada a genio, lo conosci e sai chi è.» si passò le mani tra le ciocche di capelli umidi, davanti all’enorme specchio della sua camera.
«Ho visto come si comporta, ed ho visto il tuo sguardo quando sei insieme a lui.»
«Papà, se sei geloso, devi stare tranquillo. Sei il mio unico uomone-cazzone della mia vita.» gli fece una linguaccia.
«E te la mia bambina-testolina. Però, l’amore è una cosa sacra, fondata sul rispetto e sincerità, soprattutto verso se stessi.» lo fissò, aggrottando la fronte.
«Dov’è finito il vecchio Mark? Quello che a cinque anni mi portava in giro con la sua moto o che mi comprava fino all’anno prima la birra di nascosto dalla mamma?»
«Ehm..» si grattò il collo, scuotendo la testa. «..tua madre mi influenza un po’ troppo.»
Sam rise, dandosi un’ultima occhiata: la vecchia maglia di suo padre, appunto, le arrivava alle gambe, scoperte.
«A che ora tornerai?»
Si piegò sulle ginocchia, allungando un braccio fin sotto il letto. «Mi riporta James.» e tirò fuori una ballerina nera.
«Ecco, quel ragazzo mi va a genio, come dici tu.»
Si appoggiò al comodino, infilandosela al piede. «Ma alla mamma no. Dov’è l’altra?»
«Veramente la mamma lo adora, lo sai, è soltanto un po’ troppo.. attivo. Tieni.» da dietro la schiena tirò fuori la ballerina mancante, la prese e se la infilò.
«Sennò non si chiamerebbe Jimmy, non credi? Oh, questa dovrebbe essere Cass, le puoi dire di salire? Grazie.» gli schioccò un bacio sulla guancia e tornò a sistemarsi i capelli, che avevano una forma non identificata.
Dopo pochi minuti sentì dei passai vicino alla porta e attraverso il riflesso dello specchio, vide la sua migliore amica entrare con un sorriso raggiante e vestita con un leggero vestito nero, un po’ aderente, e corto, cortissimo.
«Cosa ne pensi?» le chiese, timidamente, facendo un giro intorno a se stessa.
«Stai bene, Cass e smettila di essere così agitata.»
«Lo so! Sono sempre agitata riguardo alle feste.» l’affiancò, prendendo il lucidalabbra dalle mani della bionda.
«Stai bene così.»
«Ho esagerato?» chiese, allarmata.
«Nono, è che non ti ho mai vista con un vestito, anche se è una maglietta più lunga. Non ti ho mai vista con le gambe così scoperte, tutto qua.»
«Dovrei mettermi dei pantaloni? Non vorrei passare per una troietta.» si guardò allo specchio, aggiustando dei ciuffi biondi.
«Potevo starmene zitta? Non provare a cambiarti o ti lincio. A proposito, Haner?» chiese con noncuranza.
Si voltò verso di lei, corrugando la fronte. «Che c’entra Haner adesso?»
«Ehm, scusa, volevo dire Ian.»
«Ian, Ian è fantastico.» sospirò, facendo finta di cercare qualcosa nella borsa da evitare così il discorso. Non sapeva perché, non riusciva a parlare del suo ragazzo, anche solo chiamarlo “il mio ragazzo” la bloccava, dopotutto lo era e a lei piaceva un sacco.. no?
«Che muso lungo, tutto ok?» le poggiò una mano sulla spalla, riscuotendosi e notando che erano di fronte alla scuola.
«Si, si, certo che si.» sorrise debolmente.
Tutta la sua sicurezza, che non l’aveva mai abbandonata, all’improvviso, le scivolò via in un batter di ciglia e mentre camminava in mezzo alla palestra, piena e stra piena, di alunni, palloncini e autoparlanti, si sentiva nuda e di marmo.
«Devo bere qualcosa, subito.» sussurrò. «Cass, vuoi qualc… Cass?» si guardò intorno ma la mora era scomparsa ed era da sola in mezzo ai suoi compagni, scatenati.
Avanzò nella folla fino ad arrivare a uno dei tre tavoli pieni di alcolici e di mangiare, alla ricerca di qualcosa di molto forte.
«Sam!» sobbalzò, nel sentire le braccia di Jimmy circondarle i fianchi.
«Pezzo di idiota, ho perso dieci anni di vita.»
«Sei rimasta incinta?» urlò il ragazzo nel tentativo di superare la musica.
Si passò una mano in faccia esasperata. «Lascia perdere. Gli altri?»
«Zacky è con Cass, Brian non ne ho la minima idea e Matt e Johnny dovrebbero essere dove li ho lasciati cinque minuti fa, spero.»
«Johnny?»
«Eh, già, è forte il tipo. Vieni.» le cinse le spalle con un braccio e si avviarono vicino ad una delle uscite di sicurezza della scuola, piena di palloncini azzurri.
Matt e Johnny erano seduti a un tavolo bianco con delle birre davanti e altri palloncini tra le mani; ridevano come dei bambini piccoli.
«Siete già andati?»
«Sam, cavolo, sei stupenda stasera.» l’armadio le diede un bacio sulla guancia, sorridendole.
La bionda avampò, salutando poi Johnny. «Ehm, allora?» tentò di cambiare discorso. Ancora non era abituata ai sorrisi e ai complimenti del ragazzo, come si poteva? Quello era capace di ucciderti con un semplice “ciao”.
«Niente.» fece spallucce, il più piccolo.
«Questa festa è una palla assurda e Val ancora non è arrivata.»
«Avanti Matt, lo sai come si dice, le donne si fanno sempre desiderare!»
«Si ma così rischia di uccidermi. Ehi, nano, c’è Lacey.»
«Fottiti Sanders, dov’è?» impazzito si girava da tutte le parti cercando di individuare quella Lacey e quando la notò ferma all’entrata si fiondò da lei, lasciandoli da soli.
«Qualcuno ha visto Ian?»
I due ragazzi si guardarono, seri. «Perché quelle facce?» si voltò alle sue spalle.
«No, è meglio se non vai da quella parte.» Jimmy le si parò davanti, prendendola con un braccio, però, lei, riuscì a liberarsi facilmente.
Riusciva a vedere bene la figura di Ian scatenarsi in mezzo alla pista avvinghiato a una moretta vestita con un pezzetto di stoffa, raso-linguine.
La prima cosa che le venne in mente fu quella di fiondarsi su di lui a una velocità inaudita e spaccargli la faccia con la bottiglia vuota di birra, tiragli un calcio nei coglioni e lasciarlo agonizzante per terra, mentre alla su amichetta di strapparle le extension che aveva al posto dei capelli.
Fortunatamente Matt riuscì a fermarla.
«No, Sam, stai calma. Non dargli soddisfazione, lascialo perdere, l’unica cosa che devi fare è non dargliela vinta e ignorarlo anche se ti rimane difficile.» non era assolutamente difficile, anzi, si sentiva da una parte, sollevata. Non provava tristezza ma soltanto un po’ di rabbia e tanto sollievo..
«Sono calmissima Matt. Devo soltanto fare una cosa, me lo permetti?» il ragazzo la fissò un po’ preoccupato negli occhi ed annuì, poi, piano.
A passo lento si avvicinò alla folla, delle ragazze che venivano in classe con lei la riconobbero e guardarono la scena in silenzio.
«Merda. Sam, tesoro.» quando li fu vicino, Ian si staccò di dosso la moretta e le passò una mano nel fianco.
«Non toccarmi.» sibilò.
«Posso spiegarmi..» classica frase da disperato morto di figa.
«Non voglio sentire proprio un cazzo. Vai a farti fottere, Callaway.» non sappe dove riuscì a trovare il coraggio di farlo, ma si voltò verso un ragazzo che teneva in mano un bicchiere mezzo pieno e glielo lasciò cadere in testa.
Gli occhi ridotti a due fessure, i capelli appiccicati al viso e con le mani in avanti, pronte a difendersi come un bambino colto sul fatto.
«Sei una stronza.»
«Tranquillo, non sei il primo che mi chiama così.» la rabbia le bloccava la gola. «Hai avuto quello che volevi, no? Una ragazza con cui scopare perché non sono stata l’unica a provare un po’ di pena nei tuoi confronti e mi sono fidata. Ma sei solo uno sfigato
Si voltò sorridente, tornando verso il tavolo dove aveva lasciato i due ragazzi. La musica, che prima si era fermata, era ripartita e i ragazzi erano tornati a ballare. La schiena era un fascio di nervi, mentre la fronte le pulsava continuamente.
Oltre ai due ragazzi, piegati in due a ridere, si era aggiunto anche Zacky, che ingurgitava la birra dal suo bicchiere di plastica bianco.
«Sei stata super, bionda!» battè il cinque a Jimmy, che con l’altra mano si teneva la pancia.
Com’era possibile che la loro storia, anche se durata qualche settimana, potesse finire nel giro di pochi minuti?
«Stai bene?» si sedette vicino a Matt.
«Penso di sì.» si lasciò avvolgere dalle braccia del cantante.
«Se vuoi lo faccio fuori. Gli spaccherei volentieri la faccia.»
«Sarebbe un’ottima idea ma peggioreresti soltanto le cose e non ne vale la pena.» si accoccolò sul suo petto, fissando il chitarrista al suo fianco guardare immobile la birra tra le mani.
«Cass?»
«E’ in bagno, mi dispiace comunque.» tentò si risollevarla con un sorriso tenero e grattandosi il mento ricoperto da un po’ di pizzetto.
«E’ meglio se ti riaccompagno a casa.»
Si voltò verso Jimmy. «No, vi ho già rovinato la serata. Tranquillo, me la faccio a piedi, non è neanche le undici.» sentenziò e il ragazzo, dopo qualche minuto incerto, annuì lentamente con la testa, baciandola sulla fronte.





L’aria fresca le colpì la faccia, rinfrescandole la faccia e la pelle accaldata per la sfuriata e per il caldo opprimente della palestra. Il giardinetto era deserto, si sentivano soltanto i gabbiani in lontananza e qualche grillo nell’erba fresca e umida, si sedette su l’unica altalena ancora intatta, rabbrividendo al contatto della pelle con il ferro.
Quella serata l’aveva distrutta psicologicamente e poteva sentire ancora il sangue ribollire nelle vene, si ripeteva che era inutile arrabbiarsi in quella maniera per un tipo come lui, ma era sempre stata una persona impulsiva e fin che non scaricava tutto il rancore non le passava.
Ci aveva pure creduto, aveva creduto che con quel ragazzo dagli occhi così castani potesse seriamente costruire qualcosa, però tutto le era caduto come un castello di carta ad un soffio di vento.
Era stata superficiale, sebbene fosse stata avvertita dai suoi amici della sua fama dal casanova, lei aveva sperato che quel ragazzino di cui si era infatuata da piccola e che le accarezzava i capelli per farla addormentare, fosse lo stesso ed era caduta come un’allocca nella sua ragnatela.
L’amore non esisteva e quello che si poteva chiamare in tal modo era quello che c’era tra i suoi genitori, che nonostante problemi su problemi affrontavano la vita insieme con un sorriso e notti passate abbracciati uno all’altro: quello si che era amore.
Scacciò via quei pensieri, voleva godersi quella leggera arietta primaverile e quella pace inaudita. Stiracchio le gambe e chiuse gli occhi, lasciando cadere la testa all’indietro, quando, d'improvviso, sentì un leggero fruscio alla sua destra.
Porca puttana, non si può neanche stare in pace.
Pensò, aprendo un occhio solo e mettendo a fuoco l’immagine poco distante da lei, di certo il buio non contribuiva.
«Haner?»
Per caso la pedinava?
Lui alzò il viso, parve essere sorpreso di vederla lì. «Che ci fai qui?»
«Saranno cazzi mia, che dici?» incrociò le braccia al petto, mettendo il broncio come una bimba piccola.
«Sempre il solito carattere di merda. Ne vuoi una?»
Brian le allungò una bottiglia verde di Heineken ancora da aprire, che accettò volentieri.
«L’ho lasciato.» disse di punto in bianco, dando una sorso lungo alla bottiglia, gettando quelle parole al vento con una tranquillità mai vista.
«E’ per questo che hai quella faccia così scazzata?»
«Tu che dici?»
«Ancora non ho ricevuto il dono della veggenza, purtroppo.»
Sam accennò ad un sorriso. «Peccato, mi avresti risparmiato queste settimane inutile e questa serata del cavolo.»
«E’ andata poi così male? Intendo, oltre a.. Ian, si insomma.» si grattò i capelli e solo in quel momento e grazie a quel gesto, notò che il ragazzo si era tagliato i capelli di qualche centimetro.
«Che hai fatto ai capelli?»
«Mi stanno male?» chiese, allarmato. Forse era l’unico ragazzo a cui interessavano, oltre agli altri idioti, così tanto i capelli in tutta Huntington Beach.
Scosse la testa. «Poco egocentrico. Comunque la festa era una palla come tutte le feste degli altri anni, quando si decideranno a cambiare organizzatori?»
«Spero il più presto possibile, anche se a me non cambia molto.»
«Giusto, tu non sei venuto. Come mai?»
Si girò verso di lei, appoggiandosi allo schienale della panchina. «Secondo te? Odio quelle fottute feste, sono decenti solo per l’alcol, ho preferito rimanere a casa a farmi qualche sega davanti a uno schermo
Sam arrossì, dandogli uno spintone. «Cazzo, finiscila.»
«Sei peggio di uno scaricatore di porto.»
«Vaffanculo Haner.»
Brian sorrise. «Sei davvero buffa quando ti incavoli. Hai una specie di tic, arricci il naso più volte e sbatti le palpebre continuamente.»lo guardò corrugando la fronte.
«Se stai cercando di farmi innervosire ancora di più, ci stai riuscendo.»
«Allora perché sorridi?»
Merda.
«Lo vedi? Stiamo facendo una normalissima conversazione e non ci siamo offesi pesantemente.»
«Non ancora.» sottolineò lei, guardandolo sottecchi.
«Andiamo Reed, eppure sei simpatica.»
«Ma tu hai il piercing al naso?» si avvicinò meglio al suo viso.
«No, dimmi cosa c’entra adesso questo.» corrugò la fronte, portando la bottiglia verde alla sua bocca.
«Mi sembra strano che non me ne sia mai accorta a scuola e lo vedo soltanto ora, per lo più al buio.»
«Non sarà mica una scusa per avvicinarti ancora di più a me?»
Sam avampò, vedendo che il suo naso sfiorava quello perfetto del ragazzo, sentiva il suo fiato solleticarle il viso e poteva vedere meglio ogni minima caratteristica del ragazzo, illuminata dal lampione alle sue spalle; come delle piccole pagliuzze nei suoi occhi più scure, o una leggera barba sul mento, il trucco senza sbavature incorniciargli gli occhi e tre piccoli nei sul labbro superiore, quasi invisibili.
«Continua a sognare. Mmh, mi brucia la gola.»
Lui sorrise, mostrando una dentatura più che perfetta. «Hai portato l’apparecchio?»
Fu allora che scoppiò totalmente a ridere, in una risata cristallina. «Mi piace questo tuo lato così svampito, sai?»
«Non sono una svampita, cretino. Fumi e hai dei denti bianchissimi, mentre io no.»
«A casa mia si chiama fortuna e ti ringrazio, avevo proprio voglia di una sigaretta.» la ragazza aveva tirato fuori il pacchetto rosso dalla tasca dei jeans, che aveva messo sotto la maglietta, e Brian gliela rubò una, accendendosela subito.
«Poi la rivoglio indietro, caro mio.»





































No, è orribile.
Si, sono una stronza incredibile.
Ian, bello e tutto, ma non lo volevo più tra i piedi e quei due sono troppo teneri insieme!
Scusate eventuali errori e se non ha molto senso, l'ispirazione che avevo all'inizio mi ha abbandonato insieme alle idee ed ho avuto poco tempo per scrivere per bene. In questi giorni mi devo prendere un pomeriggio intero per dedicarmi al prossimo capitolo e.e dai gazzo!
RIIIIIINGGGRAAAZIO: 
Amelie_
Naomi_A7X
Mocamars 
E tutti gli altri :3

Domanda: Cosa vorreste che succeda? Sam si dovrà avvicinare a Brian o ritornare da Ian? E Cass e Zacky? 
Anche Matt non scherza mica, eh!
Ok, vado via ahah.
Alla prossima, people.

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Capitolo 8
*** Chapter 8. ***


Efelidi.

Huntington Beach.
May,99. h 7.25









«Barbara, Jimmy, Joe, buongiorno! Venite, entrate, la cena sarà in tavola fra pochi minuti. Ah, James, Sam è in camera sua a fare non so cosa, so soltanto che è là dentro al buio da due ore.» esclamò Tamara, la madre sempre allegra e scattante della bionda. Tamara era quel tipo di donna che pareva sempre avere tutto sotto controllo; aveva i lineamenti sottili e i capelli dello stesso colore della figlia, soltanto più scuri con l’andare del tempo. La madre che chiunque voleva avere, o almeno in parte.
James la salutò con un bacio sulla guancia, e dopo aver salutato anche Mark, salì velocemente le scale e si avviò verso la stanza della sua amica.
«Tua madre mi ha detto solamente che eri chiusa qua dentro da due ore, non che stessi guardando certe cose.»
«Non sto mica guardando un porno.»
«Sarebbe stato sicuramente meglio. Fammi un po’ di spazio.» Sam si spostò verso il lato del letto, lasciando quel calore acquisito con tanta fatica, stringendo le coperte più saldamente al petto. «Ci capisci qualcosa?»le lanciò un’occhiata nel buio.
«A confronto tuo vado bene a spagnolo ed è facile da capire, quindi sì, ci capisco.» alzò il volume della televisione, lasciando che, così, le parole della casalinga, dal tono minaccioso e titubante, risuonassero nella stanza.
«E’ stata lei a uccidere suo marito?»
«Secondo la figlia e l’amante di suo marito sì, mentre per l’ispettore è stata la casalinga, a sua volta un’altra amante dell’uomo. Per me è stata la figlia, invece.»
«Da cosa lo deduci?»
«Dalla sua espressione in volto. E’ troppo rilassata, tranquilla, come se quello che è successo a suo padre fosse il frutto di un sogno e che da lì a un momento tutto tornerà normale. Vedi come gesticola quando parla? Il suo segreto la sta uccidendo interiormente.»
«Hai capito tutto questo guardandola?»
«Ovvio, non è poi così difficile leggere le espressioni facciali.» fece spallucce, iniziando a fare zapping con il telecomando appena vide i titoli di coda, talmente veloci che non riuscivi a distinguere neanche le lettere.
«Di certo io non sarei in grado di farlo, cioè, forse sì, semplicemente non avrei voglia di... farlo.» si grattava la testa nervoso, quel discorso era insensato e complicato anche per lui.
«Non tutti siamo uguali, lo sai. Tu sei in grado di suonare la batteria per ore senza stancarti e annoiarti, mentre io sono capace di capire cosa in realtà le persone vorrebbero dire o fare e sono discreta nel disegno.»
«Discreta? Cazzo, Sam, non dire stronzate! Prima cosa sei riuscita a farmi un ritratto in quanto? Dieci minuti? Seconda cosa sai che mia sorella ha fatto l’artistico e confrontando i tuoi disegni con i suoi che, ripeto, ha studiato, tu la batti a prescindere. Anche se il tuo vero talento è un altro.»
«Ora, non esagerare per favore. Il mio è soltanto un hobby e non sono così formidabile come dici tu. La mia tecnica è un po’ traballante, mi confondo ancora a fare le ombre e non parliamo quando devo distendere il colore. Per quanto riguarda il mio vero talento, come dici tu, quello è un sogno irrealizzabile.»
James distese le labbra e piegò la lingua contro il palato, pronto per iniziare una delle tante discussioni sul talento della ragazza e sulle sue capacità da giornalista nata, che però, metteva in secondo piano, subito dopo la sua insicurezza e le sue incertezze, ma fu bloccato dalla voce di Tamara che li invitava a scendere.
«Andáte a la mierda .» disse solamente.
«Sai cosa hai detto vero?» si bloccò, fissandolo.
«Andate in pace, no? L’ho sentito oggi vicino al supermercato, lo stava dicendo un uomo anziano a un altro che sembrava vestito da prete.»
Si passò una mano sulla fronte, abbozzando un sorriso. «Mi hai appena mandato all’inferno, Jimbo.»
James scoppiò a ridere. «Scusa, ci ho provato.» mormorò, avviandosi alla porta. «Scendi?»
«No, non ne ho tanta voglia. Chiedi scusa hai tuoi genitori da parte mia.» sussurrò, sprofondando meglio nel letto.
«Ti porto su un po’ di pasta e di dolce, ok? Così avrai un po’ di forze per parlare dopo.» annuì, tornando a fissare lo schermo, dove le immagini si muovevano lentamente, senza un suono per via del “muto”, mentre una nuova puntata di quella triste soap opera spagnola iniziava e la consolava, distraendola dai pensieri che l’affollavano la mente.
Perché pensare a certe cose? Perché versare lacrime? Da quando in qua, Sam Reed, aveva paura di affrontare quell’argomento? Non era stata lei stessa a dirgli che non gliene fregava niente, che al posto della tristezza sentiva soltanto sollievo? E allora cos’era quel mattone che sentiva schiacciarle i polmoni quasi da non farla respirare e quel nodo stringerle in una morsa dura lo stomaco? Rammarico, odio, rancore, disprezzo, delusione? Oltre a queste domande, c’erano mille dubbi che, involontariamente, riaffioravano, come il perché lui, avesse fatto ciò. Non era forse.. abbastanza? Cos’aveva in più quell’ochetta? Tette e culo? Lei era piatta, quasi, come una tavola, quello era vero. Ed era vero anche che era stata un’illusa e cieca da non vedere oltre quelle paroline dolci che le ripeteva quasi sempre, in quelle due settimane in cui si vedevano ogni santo giorno. Non le fregava molto di essere passata come una nullità, una sfigata, o peggio una cornuta, no, si era sentita chiamare in maniere peggiori certe volte ma il fatto che avesse posto tutta la sua fiducia in un ragazzo che conosceva da anni, ma che, a quanto pare, non conosceva a fatto. Si sentiva una pappamolle, per anni si era ripetuta che i ragazzi cercassero una cosa sola ed aveva cercato in tutti modi di non abbassarsi al loro livello, con le conseguenze di essere stata presa in giro, giudicata e criticata in tutte le salse, ma lei, aveva imparato e ne usciva sempre con una frase pronta. Quella volta però tutto era cambiato e aveva abbassato le difese, come una stupida.
Scosse con energia la testa, incrociando le lunghe gambe, coperte fino a metà dai calzettoni bianchi a righe rosse e da dei pantaloncini sbiaditi rosa, che lasciavano intravedere una piccola voglia piena di nei, per la precisione undici, e una lunga, circa sei centimetri e otto, cicatrice.
Il colpevole di quel profondo taglio entrò sorridente nella stanza con un vassoio pieno di pasta e dolce al cioccolato.
«Tre fottute ore chiusa in questa stanza a intripparti il cervello con i problemi di qualche spagnola, cornuta, a cui hanno ucciso il marito. Non hanno mai sentita la parola “capita” o “è la vita”?» lo appoggiò davanti alle sue ginocchia, sedendosi al suo fianco e accendendo la piccola luce sul comodino.
«In fondo le capisco, si sono lasciate andare ad uomo all’apparenza accettabile e si sono ritrovate con due montagnette appuntite sulla testa. Esteticamente non sono niente male, però.» fece finta di toccarsi la testa, affondando poi la forchetta nelle paste rosse.
«E’ ufficiale, ti hanno dato alla testa, sia le montagnette sia le spagnole. Cazzo, hai fame?»
«Sempre fine tu.» mugugnò, masticando velocemente la pasta preparata da sua madre e la sua preferita; sembrava non avesse mangiato da giorni, addirittura settimane, benché fosse andata avanti, in quei giorni, a panini e merendine.
«Hai finito di sfracellarti il cervello con le tue seghe mentali? Prima che tu risponda, ti conosco troppo bene e so cosa ti passa là dentro.» appoggiò l’indice nel mezzo della sua fronte. «Devi capire che le persone, purtroppo o non sarebbe il ciclo della vita, cambiano ogni santissimo momento e quello che ha fatto quello stronzo è imperdonabile, perché quanto è vero che io mi chiamo James Sullivan, quello la pagherà, non so come, cioè ho un’ideuccia, ma la pagherà. La devi smettere, capito?»
«Smettere di fare cosa? Non ho niente.»
Punto uno: la negazione.
«Quindi i tuoi occhi rossi e gonfi come due canotti non sono niente?» inclinò un sopracciglio.
«Certo, sto benissimo, mi sento in forma e sono la solita.»
Punto due: la menzogna.
«E perché ti sei chiusa qua dentro, senza uscire, se non per andare a scuola, a guardare la televisione e a deprimerti?»
«Dio, Sullivan, si può sapere cosa cazzo vuoi? Sei una palla al piede, cazzo. Lasciami in pace.»
Punto tre: la rabbia.
«Sam, cosa voglio è che ti calmi e la smetta di rovinarti così. Non sorridi come prima e rispondi con una malinconia che neanche il peggior darkettone della scuola riuscirebbe a tirar fuori. Non hai detto che non te ne frega un cazzo di lui? Non hai detto che non te ne frega un cazzo della gente? Fregatene. Ti sei abbassata a un tipo del genere? Succede. E’ una spinta in più per crescere e affrontare le cose, così da non caderci mai più. La vita non è una tavola da surf, completamente liscia senza intoppi, prima o poi, o si ammacca o si spezza, inevitabilmente succede.» il petto si alzava velocemente e le guance avevano assunto una sorta di rossore, mentre le fronte iniziava a luccicare alla luce, per il caldo all’interno della stanza.
Sam sgranò gli occhi, lasciando la forchetta cedere sonoramente nel piatto e la mandibola aprirsi lentamente, fino a far vedere l’ugola rosea. Il ragazzo non le aveva mai parlato in quella maniera così dura, si era aspettata di sentire come al suo solito una frase degna da un filosofo, una perla di saggezza o una frase rincuorante, non una partaccia del genere.
«Sei un alieno? Dov’è il mio Jimmy?»
«Stai scherzando, un passo in avanti lo hai fatto e questa sclerata assurda da farmi perdere dieci anni di vita è servita.»
La ragazza sorrise, riprendendo la forchetta dalle mani e passandosi la lingua tra le labbra alla vista dell’enorme pezzo di torta al cioccolato nel piattino, troppo piccolo per contenerla tutta.
«E’ di tua madre?»
«Sì. Visto che la mia e la tua non si fanno i cavoli loro, Barbara ha saputo ed ha deciso di farti una torta indimenticabile. E’ stata un’ora soltanto a impastarla con cura.»
Jimmy allungò la mano verso il piattino di porcellana e ne rubò delle piccole briciole.
«Oh.» sussurrò. «Non doveva, seriamente, così mi fa sentire in colpa. Prima che me ne dimentichi, Matt mi ha mandato un messaggio ed ho saputo che avete fissato una serata al Johnny’s. Dico, cosa aspettavi a dirmelo?» diede un morso alla torta.
«Ops, me ne sono dimenticato giuro. E’ colpa tua, sono entrato con l’intensione di dirtelo e mi è passato di mente. Non è che hai una tresca con Matt e sono all’oscuro di tutto per caso?» ridusse gli occhi a due fessure, somiglianti al buio a due linee orizzontali.
«Diamo la colpa agli altri! Certo che no, Jim, che ti salta in mente?»
«Che sbadato, è vero. Tu punti a una persona che inizia con B e finisce con rian
«Qual è il tuo nome d’arte?»
«The Rev, The Reverend Tholomew Plague. Perché?» chiese confuso.
«Preferisci questo o il Reverendo da una palla sola?»















Sam rilesse gli ultimi righi del foglio, corresse un numero sbagliato e con un gesto veloce, lanciò la penna sul divano alla sue spalle insieme al grosso libro di matematica e caddero entrambi tra i cuscini, rimbalzando due volte. Lanciò un’occhiata veloce all’orologio argentato al muro della cucina, che segnava le sette in punto, e si precipitò al piano di sopra per vestirsi e truccarsi in un tempo di circa dieci minuti.
Dopo otto minuti contati corse per le scale del garage, cercando di legarsi i capelli in una crocchia un po’ alla meglio, ma quando vi ci arrivò lo trovò completamente vuoto, se non per un piccolo foglietto attaccato alla porta.
Tesoro all’ospedale hanno bisogno di me per un’operazione urgente e tornerò in serata tardi, un bacio.
Sospirò rumorosamente staccando il bigliettino e massaggiandosi le tempie sudate, non aveva la macchina ed era in un ritardo mostruoso, per lo più aveva circa dieci minuti di tempo per arrivare al bar prima che i ragazzi iniziassero a suonare. Si girò fiondandosi nel mezzo dei tanti scatoloni di quando era piccola e alle cianfrusaglie vecchie di secoli che appartenevano alla sua famiglia e tirò fuori il suo vecchio skateboard azzurro, polveroso ma ancora integro.
La strada fortunatamente era deserta per l’ora e le piccole ruote cigolavano ad ogni spinta o buca che trovava e doveva ammettere che ancora ci sapeva fare sebbene fossero anni che non ci metteva piede.
Intravide l’insegna rosa, verde e azzurra del locale, distraendola dalla sua traiettoria e finendo quasi addosso a due ragazze ferme vicino al marciapiede.
«Scusate, ragazze, non l’ho fatto apposta.» cercò di giustificarsi, dando una spinta alla parte inferiore dello skateboard e mettendoselo sotto una spalla.
«Tranquilla, siamo sane e salve. Ma tu sei Sam, giusto? L’amica di Sanders e Sullivan?»
Ora che le vedeva meglio, davanti a lei si ergevano in tutta la loro altezza e magrezza rispettivamente Valary e Michelle Di Benedetto, le gemelle dai capelli neri e castani quella sera sembravano diverse, al posto dei soliti vestiti alla moda, entrambe, avevano delle magliette nere con dei teschi rossi sopra, dei jeans strappati e le converse consumate. Non sembravano neanche loro.
«Sì in carne ed ossa.» sorrise.
«Penso che tu ci conosca già, io sono Val e lei è mia sorella Mich. Stai andando a vedere i ragazzi suonare?» con la testa indicò il locale brulico di gente.
«Davvero, anche voi?» rispose con ironia.
«Sì, e starai pensando che sia strano.»
Il suo sorriso era luminoso, com’era possibile che tutti avessero dei denti in quel mondo?
«Giusto un po’. Non vi ho mai viste da queste parti, cioè non da quello che mi ricordo.»
«In realtà abitiamo un po’ lontano e restiamo per il nostro quartiere, però ci piace come locale.» rispose, questa volta, Michelle.
«Quindi.. conoscete Matt e Jimmy.» chiese interrompendo quel momento di silenzio totale, dove le tre ragazze si guardavano imbarazzate intorno nel tentativo di smorzare quella situazione in qualche modo.
«Sicuramente Matt ti avrà detto come faccia a conoscerlo, mentre Jimmy è venuto di conseguenza. Li aiutiamo, o meglio io li aiuto, con i concerti. Nostro padre conosce l’organizzatore di questi eventi che si svolgono per qua e.. beh, niente.» alzò le spalle con non curanza, allargando le labbra in un lunghissimo e tiratissimo sorriso.
Ok, abbiamo capito che sai sorridere.
«Rimarrei a parlare ancora con voi ma.. c’è la mia amica Cass proprio là, sapete mi sta aspettando. Ciao!» corse via da quella circostanza apparentemente strana per una come lei e si fiondò al braccio della sua migliore amica entrando nel bar, pieno zeppo di persone.
«Cosa ci fanno qui quelle
Si sedettero ad un tavolo prenotato dalla bionda il pomeriggio proprio vicino al piccolo palco, allestito per la serata con teschi alati e cartelloni con “Avenged Sevenfold” o “We fuckin’ love A7X” di, probabilmente, qualche fan o, conoscendoli, scritti direttamente da loro.
Le Di Benedetto avevano la fama, a scuola, di essere le ragazze più belle, trendy e sexy fra tutte; ragazze, che ogni ragazzo desiderava avere e ogni ragazza desiderava essere. Matt le aveva ripetuto che in realtà, almeno Val, era una semplice ragazza di 17 anni, dolce e con due occhi nocciola da far girare la testa, insieme ad altre qualità che non valeva la pena nominare.
Fece una smorfia. «Sono venute a vedere i ragazzi. Non mi stanno molto simpatiche, si sono vantate di avere il padre famoso.»
«Eppure ci stavi parlando.»
«Le ho quasi investite con l’aggeggio.» guardò lo skateboard abbandonato vicino alla sua sedia. «All’inizio mi sembravano simpatiche ma.. poi mi hanno dato una strana sensazione.»
«Come se fossero delle bambole finte, usa e getta, inutili che regali per fare uno scherzo ai tuoi amici nel giorno del loro compleanno e che compri ad un sexy shop?»
L’espressione della bionda fu subito accigliata, «Che ti fumi? Comunque non so, sono strane. Fatto sta Matt se l’è cercata troppo altezzosa, ma come si dice? Contento lui, contenti tutti.»
«Non mi sono fumata proprio nulla, anzi è da giorni che i miei polmoni non vengono massacrati da un po’ di nicotina, devo rimediare. Hai da accendere? Zack mi ha fottuto l’accendino.» si porse in avanti fino all’amica prendendole l’accendino dalle mani, «Grazie.»
Sam scosse la testa, smuovendo il ciuffo. «A proposito di Zacky, va tutto bene?»
«A meraviglia. Ovviamente abbiamo i nostri alti e bassi, come l’altro giorno quando l’ho beccato a leggere la mia agenda dei numeri.» diede un tiro alla sigaretta.
«E che c’è di male?»
«Niente, ma se poi ti metti a chiamare tutti i numeri di tutti i ragazzi presenti nelle pagine e li minacci, un po’ ti preoccupi.»
«Di cosa state parlando? Di me?» alle spalle di Cass si materializzò Brian; aveva le mani appoggiate alle sue spalle e la bionda poteva sentire il suo viso solleticarle i capelli.
«Haner vuoi uccidermi?» si portò una mano sul petto nel tentativo di calmare il petto, il cuore le batteva forte, sia per la paura sia per la sua vicinanza.
«No, poi a chi romperei i coglioni? Mh, l’uomo desidera un’altra birra.»
«L’uomo può andarsela a prendere da solo.» rispose un po’ acida.
«Alt, prima che vi scannate, vado io, così la prendo a tutti. Contenti?» si alzò dal tavolo. «Ora sento se mi prendono come cameriera, eh.» borbottò, scocciata.
Brian si sedette, velocemente, al posto di Cass, ritrovandosi faccia a faccia con la bionda, che lo guardava nei minimi dettagli: quella sera era più bello del solito. Si era piastrato i capelli neri come la pece- grazie alla tinta- e gli arrivavano quasi sulle spalle, coperti da un capellino nero messo al contrario, la maglietta, aderente, nera era dei metallica –e già solo per quella cosa acquistava punti- dei jeans scuri strappati, una leggera barba sul mento e gli occhi circondati come al solito da un grosso spessore di matita nera.
Era tenebroso.
«Non ti ho mai vista con i capelli messi in questo modo.»
«Ho deciso di cambiare un po’. Avevo quel taglio da quando ero piccola e mi stava annoiando, me li sono soltanto spuntati ed ho tagliato il ciuffo, che mi dà già noia.» corrugò la fronte, spostando il ciuffo all’indietro.
«Ti stanno davvero bene, ti sei anche truccata vedo.»
«Durante la settimana non lo faccio mai, se non per un filo di mascara.. aspetta, come mai sei così gentile?»
«Non si possono fare dei complimenti?»
«Se il soggetto che li fa, sei te, no.»
Il moro sbuffò, grattandosi la testa e salutando un ragazzo con un cenno di mano. «Te lo hanno mai detto che sei una lunatica pazzesca?»
Fece finta di pensarci su. «No, ritieniti fortunato sei il primo a dirmelo.»
«Lo devo segnare sul calendario o meglio nella mia agenda invisibile. Visto bella?» aprì il palmo della mano, facendo finta di scriverci qualcosa sopra.
«Se è invisibile, come pretendi che possa vederla?»
«..Giusto.»
Una fitta allo stomaco le fece arricciare il naso, accompagnata a un’odiosissima voglia di vomitare, in più la testa le pulsava peggio di un martello.
«Stai bene? Sei pallida peggio di un cuscino.»
«Semmai di un lenzuolo. Non lo so, non mi sento bene. Stavo bene fino a poco fa.»
«Quello che dovrebbe stare male dovrei essere io, mancano pochi minuti. Forse stai prendendo il raffreddore.»
«Gufala e ti uccido a mani nude, giuro.»
«Col cazzo la prossima volta vado a prendere le birre, scordatevelo, cancellatelo dalla mente, dimenticatelo, fate cosa volete ma io non ci torno. Ho rischiato di prendermi manate, drink sui vestiti e una palpata da uno scimmione di cinquanta anni.» lasciò scivolare i boccali grandi di birra di fronte ai due ragazzi, che le presero al volo prima che si sfracellassero al suolo.
«Non è colpa mia.» si giustificò. «Il pavimento vuole la birra.»
«Oh porca di quella puttana merdosa. Devo andare nel backstage ad accordare la chitarra. Signorine, ci vediamo dopo.» si avvicinò alla bionda, che fu invasa da un odore pungente di canna e alcool mischiato insieme. «Mi sono dimenticato di darti un regalino che ho preso solo per te.» sussurrò, sotto lo sguardo malizioso di Cass.
«Regalino?»
Il moro annui, sorridendo. «Non posso dirti altro. Ci vediamo subito dopo la fine dello show, nel backstage.»
«Stasera qualcuno scopa.» disse con tutta la sua delicatezza appena il ragazzo scomparve dietro il palco.
«Quel qualcuno sei te? No, perché su questo non avevamo dubbi.»
«Scema di guerra.»
«Scema di guerra due.»








«Porca merda.» sussurrò.
«Hai perso la scommessa, cara mia. Sai quello che devi fare, vero
Gli occhi di Sam si muovevano veloci per tutto il palco, su cui erano rimasti soltanto Matt e Brian, cercando di memorizzare ogni piccolo particolare e si persero quando incrociarono quelli castani del chitarrista, le cui dita scivolavano a una velocità inaudita su quelle corde perfettamente lisce. Quello là sopra non sembrava il Brian che conosceva lei, sempre pronto a prenderla in giro per qualcosa, a fare il cascamorto con ogni essere di sesso femminile che respirava, ma un altro, così preso dal suo strumento che toccava con una delicatezza estrema quasi rapito. Poi entrò in scena James, sedendosi dietro l’enorme batteria e battendo con una forza inaudita e una precisione impeccabile le bacchette sui tamburi e i piatti, creando una melodia che ti prendeva e ti coinvolgeva, insieme alle note della chitarra di Baker e al basso di Johnny, che a quanto pare si trovava in perfetta armonia col resto del gruppo.
Non riusciva a staccare lo sguardo dalla figura del moro, sentiva la gola secca e le mani sudate pruderle, mentre la testa rimbombava ed era totalmente vuota. Doveva ammetterlo erano bravi, erano estremamente, davvero, troppo bravi.
Inoltre aveva scommesso, poco prima l’inizio del concerto, che si sarebbe congratulata, a malincuore, con Brian se li fossero piaciuti e.. cazzo, se gli erano piaciuti.
I piccoli faretti che sparavano ovunque delle luci colorate si spensero, insieme ai riflettori e alla musica, lasciando l’intero locale al buio per diversi minuti.
La mora le strattonò il braccio, risvegliandola dal suo stato comatoso. «Vuoi un fazzolettino? Hai una scia di bava niente male.»
«Fottiti, non è vero. Sono stai bravi, lo ammetto.» incrociò le braccia al petto.
«E perché non ammetti anche che ti piace da impazzire?»
«Non mi piace.» assicurò e corrugò la fronte.
«Perché non gli hai staccato gli occhi di dosso allora? Non sono scema, l’ho notato» sorrise.
Fottuta Cass e fottuto sesto senso femminile.
«Anche se fosse? Lui mi trova solo un’amica da prendere in giro a scuola.» ammise, finalmente.
«Questo lo dici tu. Oh, guarda, sta arrivando, tutto sorridente e.. sudaticcio.»
Si voltò nella direzione di Brian, che aveva la maglietta bagnata e i capelli zuppi, tirati all’indietro.
«Che hai fatto ai capelli?» chiese, dopo che, il ragazzo, le arruffò i suoi e le si avvicinò.
«C’è stato un incidente con la birra e mi sono ritrovato un intera bottiglia in testa.» si passò la mano in testa, schizzando gocce di birra ovunque.
«Ti è piaciuto?» domandò poi.
«Cosa?», rispose con fare vago, seguendolo dietro le quinte. C’era un susseguirsi di persone, tecnici che urlavano e riordinavano i vari fili, amplificatori,strumenti e luci, annunciando le prossime band a suonare e varie ragazze, vestite con dei vestiti così trasparenti e corti da non lasciar spazio alla fantasia.
Brian se ne accorse e cinse le spalle alla ragazza, sorridendo.
«Vostre amichette?»
«Beh, sai, un po’ di svago dopo i concerti ci vuole. Tranquilla, io ne faccio “uso” poche volte.»
«Ah, mi rincuora allora.»
Attraversarono dei lunghi corridoi grigi, dove dei ragazzi si stavano allegramente dando da fare attaccati alle pareti e uscirono fuori, dove l’aria fresca gli colpì.
«Non mi hai risposto.»
Sam prese un lungo respiro, accendendosi una sigaretta, un po’ piegata per colpa di un ragazzo che le era venuto addosso durante il concerto, schiacciandole il pacchetto appena comprato. «Siete stati assurdi.»
«Nel senso positivo o negativo?»
«Positivo, ovvio.» sbottò.
Sul viso di Brian vide aprirsi un grande sorriso.: sapeva, da orgogliosa qual’era, quanto le era stato faticoso ammetterlo. «Avanti, sputa il rospo, lo vedo che ti stai trattenendo.»
«Zacky sembra una scimmia gobba da come si piega in avanti e saltella da tutte le parti, Johnny rischia di fare una spaccata ogni volta che apre le gambe, Jimmy, no Jimmy è ok, Matt rischia dei sei problemi alle corde vocali e fa una paura incredibile e tu.. sei un porco.» disse, tutto d'un fiato, sentendosi subito meglio.
«Porco?»
«Si, spiegami tutti quei sorrisini alle ragazze, o quei gesti con le mani o la chitarra. E sai di che gesti sto parlando.» aspirò il fumo, appoggiandosi alla ringhiera fredda delle scalette in pietra.
Il moro scoppiò in una grossa risata, mandando all’indietro la testa; sicuramente si sarebbe ammalato, poco ma sicuro.
«Lo sai che i miei sorrisini sono diretti solo a te, tesoro
Haner, ucciditi, tu e le tue labbra così morbide, cazzo.
«Smettila ti prego, sto andando in iperventilazione.» fece finta di avere un mancamento e scoppiò a ridere, insieme al chitarrista che si accese un’altra sigaretta.
«Vedo che stai meglio rispetto a prima.»
«Sì.A proposito, qual è la sorpresa di cui mi parlavi prima?» chiese con una puntina di curiosità.
«Tu non ce la fai proprio ad aspettare, eh?» rise. «E’ proprio dietro di te, comunque.» incrociò le braccia al petto.
«Dietro di me?» si voltò ma, oltre a un camion bianco, non vide altro se non il buio.
Brian annuì. «Nel nostro fugone per gli strumenti, è aperto.»
Sam lo guardò, inclinando un sopracciglio e, stringendosi di più nella grossa felpa dei Pantera di Jimmy si avvicinò, piano, al fugone. Lanciò nuovamente un’occhiata al ragazzo appoggiato con i gomiti dove prima c’era lei e aprì la portiera bianca, impolverendosi le mani; era vuoto, c’era un vecchio tappeto rosso, da quello che riusciva a vedere, e dei fili sparsi su di esso.
Il suo regalo erano dei fili?
«Cosa me ne faccio di fili tutti intrecciati tra loro?» si affacciò da dietro la portiera aperta.
«Guarda meglio.»
Sam borbottò, lasciando i fili dove li aveva trovati e si sporse meglio all’interno della macchina.
«Oh.» sussurrò, appena vide quello che doveva essere il suo vero regalo.
Una piccola nuvola bianca si muoveva per tutta la gabbietta azzurra ripiena di pezzetti di segatura e fieno e un piccolo abbeveratoio a lato, puntando i suoi occhioni in quelli della ragazza.
«Ti piace? E’ femmina, così mi ha detto quello che me l'ha venduta.» Brian le si materializzò alle spalle, grattandosi il collo imbarazzato.
«Ma è meravigliosa!.» aprì la gabbietta. «Ciao, piccolina, io sono Sam. Come si chiama?» si voltò verso di lui che alzò le spalle. «Devi sceglierlo tu il nome, è tua.»
La prese tra le mani, accarezzandole la testolina morbida e soffice. «Che ne dici di Dudù?»
«Dudù?» sorrise.
«E’ il primo che mi è venuto in mente guardandola. Non sono brava a dare nomi agli animali, lo so.»
«Invece trovo che sia adatto. Ehi, Dudù, sai che hai un nome davvero carino?»
Il coniglietto annusò il dito del ragazzo, appoggiato col mento alla spalla della ragazza.
«Come mai mi hai regalato un coniglio? Anzi, come mai mi hai fatto un regalo?» la sua voce era bassa.
«Ne avevo voglia.»
Sam rabbrividì sentendo il suo fiato solleticarle il collo, la sua mano sinistra sfiorarle il fianco e il suo volto vicinissimo al suo.
«Ehm, sta facendo la pipì.»
Scampato momento imbarazzante.






























Ed eccolo qua!
Sono fissata con i gioielli di Jimmy, ok? AHAHAHAH. Povero ._.
Allora, Sam si è ripresa, grazie sempre a Jimbo, e a quanto pare si sta avvicinando sempre di più al bel Brian (capitan ovvio)
Sono di corsa, quindi vado veloce scusate, ringrazio come al solito:
Devon
Manganese
Rossaa
Amelie_
Naomi_A7X
Mocamars (Soap opere spagnole HAHAH)
E tutti gli altri :3
Scusate eventuali errori! Domanda: che ve ne pare del ragalo di Brian? Sam si lascerà andare a lui?
Ditemi, ditemi!
GRAAZIE e alla prossima, people.

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Capitolo 9
*** Chapter 9. ***


Efelidi.

Huntington Beach.
June,99. h 17.19.









«Sanders, ripassa queste ultime cose e poi fai l’esercizio sotto.»
«Non mi chiamare Sanders.»
«Matt, ripassa queste ultime cose e poi fai l’esercizio sotto.»
Il ragazzo sbuffò e si tolse gli occhiali, prendendo in mano l’odiatissimo libro e la penna, iniziando a leggere il problema sforzandosi in tutti i modi di concentrarsi e trovarci un po’ di interesse. Sam sorrise, spostandosi una ciocca dietro l’orecchio e tornando a fissare quella che definiva la sua migliore amica, quando in realtà era solo una testarda di prima categoria.
«Avanti, Cass. Cosa ti costa? Ci faresti un grandissimo favore e ti ricordo che non è la prima volta che ci andiamo.»
«No.» secca e diretta.
«Perché? Perché ci sono questi esseri qua, vero?» disse più piano, coprendosi la bocca con il palmo della mano.
Cass annuì leggermente, guardando Matt. «L’ultima volta quasi ho rischiato di farmi beccare dai miei genitori e di farmi rinchiudere nella mia stanza per tutta la fine dell’estate, non vorrei che succedesse.»
«Stiamo parlando di due anni e mezzo fa. Vuoi rimanere qui?»
«Non sarebbe una cattiva idea.» rispose sincera, prendendo il cappuccino tra le mani.
«Oh certo.» incrociò le braccia al petto, appoggiandosi alla panchina. «L’estate di Cassandra, passare mattinate a dormire, i pomeriggi ad abbronzarsi nella piscina comunale di cinque metri per otto oppure in spiaggia, dove ci trascorriamo ogni santissimo giorno e ciliegina sulla torta decidere quale olio per bambini è più adatto alla pelle. Devo dire che la baia a confronto con questo è un mortorio.»
«Sto cercando di risolvere questo problema ed è la quinta volta che rileggo la prima riga. Fate più piano, grazie.» mormorò il cantante scocciato.
«Degli zombie, ecco cosa saremo. Allora prenderò in considerazione la proposta di mia madre di partire per la montagna, a malincuore, ma ci andrò.» sospirò abbassando lo sguardo sul suo caffè. La scuola era finita da qualche giorno e gli esami, almeno per le due ragazze, dal giorno precedente, grazie ai quali il bisogno di caffeina e nicotina era aumentato a gran misura insieme allo stress. Matt avrebbe avuto il suo il giorno dopo e aveva chiesto aiuto a Sam, l’unica che aveva accettato e l’unica che aveva una pazienza davvero enorme per tollerare tutti i “perché”, domande e seghe inutile del cantante; era davvero pesante quando ci si metteva.
«Ti prego Cass.» si sporse verso l’amica e fu invasa dall’odore di chewingum. «Faremo una lista più dettagliata di tutte le regole in modo da non combinare guai. Lo capisci vero che siamo abbastanza mature da riuscirci?»
«Questo lo so. Ti ripeto che il vero problema, diciamolo papale papale, sono loro. So come si comportano, so cosa sono in grado di fare e so il loro grado di maturazione.»
«Posso parlare?» chiese il ragazzo, sentito chiamato in causa, chiudendo il libro e fissandole attraverso i vetri scuri dei suoi occhiali, trovati per caso su una panchina del parco, in cui si trovavano, appena erano arrivati. «Allora, da quello che sono riuscito ad acchiappare e ad elaborale, tu, Cass, o meglio i tuoi genitori, hanno una casettina a Los Angeles sul mare dove in cui ci passate le vacanze estive ogni, o quasi, anno, non è così? Bene, i loro saremmo noi, quindi, e la vostra paura è quella che potremmo combinare dei guai. Però, dovete sapere, noi non siamo degli animali fino a questo punto e madre natura ci ha provvisto di un po’ di contegno e di cervello, sebbene abbiamo una pessima riputazione e siamo dei cazzoni, certe cose le capiamo.» si sentiva quasi offeso nelle parole e nel terrore della ragazza, dopotutto erano dei ragazzi con un’educazione e quello che facevano, come bere, fumare, fare a cazzotti aveva un limite, limite che bene o male riuscivano a rispettare e non oltrepassare.
Cass sentì le guance assumere il classico colorito roseo e avrebbe tanto voluto sprofondare in una buca fino a scomparire totalmente. «Scusami Matt. Ma.. ma ho paura. Sono stata un po’ dura lo ammetto, lo so benissimo e non lo metto in dubbio, tuttavia ho rischiato due anni fa portandoci dei miei amici e mi sono ritrovata la casa distrutta e bruciata a metà.» riprese mordendosi il labbro.
«Abbiamo mai distrutto una casa o bruciato qualcosa? No. Io non ti costringo, anzi sono davvero felice del fatto che ci volete invitare a passare l’estate con voi ed evitarci ore ed ore di lavoretti, ciò nonostante, ti do la parola, nel caso in cui decidi di farci venire, che se dovesse succedere, ti do il permesso di linciarci uno ad uno.» la mora scoppiò a ridere. «Dai, a parte gli scherzi dovresti conoscerci bene da sapere che non ci abbasseremo mai a un livello del genere. Rispettiamo gli altri.» detto questo le regalò un gran sorriso, sincero, e mise nello zaino i libri insieme all’astuccio e al quaderno nero.
«Scusami.» fece un lungo respiro, dandosi di sciocca e stupida. «Vi voglio realmente invitare, sempre che non te la sei presa perché ti capirei cavolo, vi ho dato di delinquenti.»
«Ehm, hai dato di delinquente anche al tuo ragazzo.» mormorò Sam.
«Tranquilla, veniamo con gran piacere.»
«Cazzo! Andiamo a Los Angeles, ragazzi!» urlò eccitata, attirando l’attenzione di qualche coppietta e persona intorno a loro, incuriosita dello strano balletto della ragazza dai capelli oro.
«Scusami di nuovo.» mimò Cass al ragazzo, il quale le fece un occhiolino infilandosi il suo adorato capello dei Lakers giallo, consumato in alcuni punti e avviandosi verso casa, per dire la notizia agli altri e lasciarsi massacrare ancora di più dalla tensione.







 Los Angeles.
June, 99. h14.49.

 
 
 
 


A Los Angeles tutto appariva più bello, perfino in reale, il cielo era spoglio dalle sue monotone nuvole bianche e il sole riscaldava l’asfalto, i pali, le case, le macchine e la spiaggia in maniera continua ed eccessiva, da farlo sembrare più caldo dell’inferno stesso. Alle loro spalle l’oceano, tanto conosciuto e amato, che li avrebbe sempre fatti sentire a casa e consolati, sfiorava le rive bianche con inaudita dolcezza e lentezza, mosso appena da una leggera brezza: l’unico sollievo per la pelle accaldata e sudata dalle ore di viaggio.
Erano arrivati da due ore e non si erano staccati dal molo, avevano mangiato un po’ ovunque e un po’ di tutto, gustandosi quel tempo libero tanto desiderato in quei mesi chiusi nelle quattro mura della scuola.
«E’ stata una grande idea, cazzo.» decretò Johnny dando una leccata alla parte della fragola della sua cialda rigorosamente da quattro gusti, e con la panna nel cono.
«E dobbiamo tutto a questa splendida ragazza.» il chitarrista circondò il collo della mora, bevendo la sua birra ghiacciata.
«Haner, molla la mia splendida ragazza.» Zacky lo guardò truce e per risposta, alzò le mani in segno di resa, ridendo e annullando la velocità del passo in modo da ritrovarsi vicino alla bionda. «Ehi, vuoi una mano a mangiare quell’hamburger? Lo abbiamo preso a quattro bar fa e non sei neanche a metà.»
Sam incollò i suoi occhi su Brian, masticando.
«Mh?»
Brian rise. «Stai bene? Sei tra le nuvole.»
«Per me e Matt è innamorata.» spuntò Jimmy alle loro spalle dalle retro vie, lui e Matt erano rimasti gli ultimi e avevano comprato un sacco di giornalini sui nuovi giochini e le ultime tecniche nel campo della guerra.
«Jimmy torna a fare il nerd sfigato, per favore. Sto benissimo, sono soltanto stanca, devo ricuperare 5 ore di sonno e dopo aver mangiato quei due panini al burro di arachidi, lo stomaco mi sta chiedendo venia.»
«Cinque ore di sonno? Che hai fatto per non dormire in questa maniera?» Brian strabuzzò gli occhi.
«Cose da donne.» bastò quelle tre paroline magiche e il suo sguardo imbarazzato per far zittire il ragazzo e sorridere, voltandosi da un’altra parte a finire la sua birra.
«Io volevo prendere un hot dog.»
«Certo che sei un pozzo senza fondo!» lo riprese la bionda.
«Non ho mangiato poi così tanto e il mio metabolismo è lento, ti sembro grasso per caso?» alzò un sopracciglio, guardandola torvo.
«Nono, anzi. Infatti non riesco a capire come tu non faccia a ingrassare con tutta la roba che ingoi. Comunque vuoi il mio? Sennò finisce in quel cestino laggiù.» il ragazzo non se lo fece ripetere due volte e accettò il panino, ringraziandola e stringendole il fianco con una mano.
«Andiamo in spiaggia?»
«Vaffanculo.»
«No, adesso cosa cavolo ho detto di male?» Johnny guardò Zacky corrugando la fronte, il bicchiere di vetro della Starbucks, che era riuscito a sgraffignare senza volerlo, era mezzo pieno di coca cola, birra e ghiaccio; il locale era talmente pieno che si erano seduti al di fuori, ma quando se ne erano andati era troppo preso a parlare di un nuovo tipo di merendine in commercio insieme a Sam da non accorgersi che non aveva reso il contenitore.
«Zitto nano.»
«Baker, ti ricordo che sei alto più di me di pochissimi centimetri quindi evita e.. e poi, vaffanculo.»
«Potremmo andarci, siamo venuti qui proprio per questo.» asserì James, senza staccare gli occhi dal giornalino.
«E non ci passiamo da casa? C’è da sistemare ogni cosa.»
«Ci possiamo passare tranquillamente più tardi. Le valige sono in macchina, non danno noia, e abbiamo già i teli e il necessario. Chi vota per la spiaggia?»
«Nano non ti ascolta nessuno tanto.»
«Che cazzo vuoi? Ha parlato Matt, mica io!»
«So che lo hai pensato.»
«Ma hai qualche cazzo di problema tu?» scoppiò a ridere Johnny, scuotendo la testa e tenendosi la pancia con le mani, laccate di nero.
«Ragazzi, basta, siete peggio dei bambini, e Dio, Zacky, cosa ci ha messo il commesso in quel milkshake?»
«Shads, vorrai dire, cosa ci ho messo io.» Zacky si fermò alzando un sopracciglio e cercando di essere serio, ma quello che uscì fuori fu una smorfia che causò le risate da parte di tutti.
«Vaffanculo, porca maiala, merda, porca troia, fottiti cazzo.»
«Dalla bocca di quest’uomo escono sempre parole soavi e di una dolcezza incredibile.» disse James.
«La sabbia è da ustione, cazzo.»
Ed aveva ragione, i piccoli granellini di sabbia scottavano anche soltanto sfiorandoli e tutte le persone presenti erano rifugiate sotto i propri ombrelloni con a portata di mano una boccetta d’acqua e un ventaglio.
Con una piccola corsa arrivarono quasi vicino alla riva, l’unico punto libero, e sistemarono i teli, spogliandosi dei vestiti impregnati di sudore e rilassandosi. Matt, Johnny e Cass non esitarono e si lanciarono verso l’oceano, schizzandosi o annegando il piccolo bassista, sempre e ovunque preso di mira da tutti.
Zacky si distese di fianco sul suo telo nero, in pan dan con il suo costume: sia lui che Brian lo avevano identico, nero con un teschio bianco da una parte, e appena si erano visti erano scoppiati a discutere su chi stesse meglio e per decidere chi dovesse cambiarsi, erano ricorsi all’uso della  monetina, lanciata più volte in aria e finita logicamente dentro un tombino. Alla fine, dopo una ramanzina da parte di Cass, avevano lasciato perdere e si erano beccati le risatine di alcune ragazze.
Mentre Brian parlava con Zach, seduto sullo stesso telo della ragazza, con le gambe piegate e le braccia appoggiate sui ginocchi, Sam tirò fuori dalla sua grande borsa il libro preferito di sua madre; “Miss Marple: Giochi di prestigio”  di Agatha Christie. Glielo aveva letto fin da piccola, glielo chiedeva ogni sera, si perdeva nella sua fantasia, immaginando di essere Miss Marple che, dopo aver incontrato un’amica d’infanzia, deve risolvere un omicidio.
Persino il solo sfogliare quelle pagine ingiallite, ruvide al tocco, la faceva rinchiudere nel suo mondo impenetrabile, immersa fino alla mente nella sua immaginazione e fantasia, senza permettere a nessuno di entrarvi e interrompere il momento così perfetto, calmo e sacro.
«Siamo in spiaggia, a Los Angeles, per lo più in vacanza e ti metti a leggere? Non è che il sole ti ha dato alla testa?»
Addio momento perfetto, calmo e sacro.
«Si chiama tenere la mente allenata e in forma.» continuava a tenere gli occhi rivolti alla pagina numero 28.
“Si rende conto, vero, signora Serrocold, che in quel modo mi ha fatto fare la figura dello sciocco, proprio dello sciocco?”
«No, si chiama rottura di scatole.»
«Sai, Haner, non so come te che, come minimo, l’ultima cosa che hai letto è stata la bustina dei preservativi.»
«Almeno io so com’è fatta una bustina di preservativi.»
“Tutti possono fare a meno di comportarsi da maleducati. Io do la colpa anche a Gina. E’ sempre così sventata! Non sa far altro che combinar pasticci. Un giorno è gentile con lui, e il giorno dopo lo umilia.”
«Non stavi parlando con Baker?» disse paziente.
Girò lentamente la testa verso di lui, chiudendo automaticamente un occhio per il sole accecante e lo guardò alzare il sopracciglio sorridendo in maniera maliziosa.
«E’ in acqua. Siamo da soli. Ottimo momento, se vuoi te ne mostro una.» allargò il sorriso.
Sam corrugò la fronte, riducendo gli occhi a due fessure e con un colpo secco chiuse il libro nella sua mano destra.
«Perché non ci vai anche te? E magari, non so, rimani lì sotto per un minuto e mezzo?»
«Adesso dove vai?» la osservò alzarsi pacatamente, scrollandosi la sabbia da dosso e dal costume azzurro, prendere il telo e il libro e riporli nella sua borsa, inforcare gli occhiali e incamminarsi.
«Lontano da te, Haner.» sibilò.
Brian fu sorpreso della sua reazione, aveva sbagliato?
«Gates hai sbagliato tutto!» la voce sconsolata di James lo fece voltare verso la riva.
«Dov’è sta andando?» chiese la mora, fissando preoccupata Sam in lontananza.
«Io non ho fatto niente, giuro! Le stavo soltanto dicendo che era stupido mettersi a leggere con questo tempo.» alzò le spalle con ovvietà, come se fosse la cose più normale a questo mondo. Perché si era comportata in questa maniera? Aveva scherzato, certo, ma doveva esserne abituata poiché era una routine, però non riusciva proprio a capire la mentalità di Sam, cioè delle ragazze in generale.
Cass si portò una mano sulla fronte umida di acqua salata e scosse la testa disperata, in cerca di qualche offesa adatta a quel ragazzo, ma non ne trovava adatti.
«Brian non capisci proprio niente, anche se era ovvio, valle dietro, per l’amor di Dio!» disse esasperata, indicando con l’alluce laccato di nero il punto in cui Sam era scomparsa.
«Neanche mi pagassero con una delle mie birre preferite!»
«Due?»
«Sam, aspetta!» Brian scattò in piedi prendendo le bottiglie dalle mani di Matt e iniziò a correre come un ossesso per la spiaggia; correva perché si era dimenticato le scarpe ed era come camminare su dei carboni ardenti, faceva degli slalom pazzeschi fra le persone, rischiando di travolgere qualcuno e di cadere lui stesso, solo per una fottuta ragazza.
Ehi, Synyster Gates dove sei?
Scosse via quel pensiero stropicciandosi gli occhi con una mano sola a causa della luce accecante del sole e si fermò per riprendere fiato sotto la torretta bianca, stile Baywatch, all’ombra, piegandosi sulle gambe e col fiatone, si guardò intorno. Era come se tutta Los Angeles si fosse ritrovata là e gli impedisse di cercare quella zuccona bionda.
Prese un lungo respiro e cominciò nuovamente a correre come un pazzo e senza meta per la spiaggia, dirigendosi verso gli scogli. Quando fu abbastanza vicino e con i piedi doloranti, notò una figura distesa prona sotto l’arco fatto dagli scogli e vi si avvicinò.
Sam aveva sentito il ragazzo farsi vicino grazie alle sue imprecazioni riguardo qualcosa i carboni ardenti e continuò a tenere gli occhi chiusi. Brian si sedette sul telo, accanto a lei, appoggiando piano la schiena al suo fianco e la fissò in silenzio come faceva quando litigavano, fino a che uno dei due non scoppiava.
«Lo so che non stai dormendo, perché te la sei presa così tanto? Sai che scherzavo.»
Sapeva, sapeva che non si sarebbe scusato subito, era orgoglioso e testardo, non avrebbe demorso facilmente, nemmeno se era consapevole di essere nel torto.
«Proprio per questo, perché scherzi. All’inizio uno lo tollera, ma col tempo diventi.. pesante e fastidioso.» rispose dopo qualche secondo sempre tenendo gli occhi saldati.
«Oh ma allora sei proprio permalosa!» roteò gli occhi al cielo, sbuffando.
«Si, ne sono consapevole, grazie. Problemi?» acida, schietta e dura, anche se dentro era indifesa e molle peggio di un budino.
«Andiamo, cazzo, Sam. Siamo degli adolescenti, è normale.»
«Tsk, normalissimo a Brianlandia
«Dio mio, quindi, per te, dobbiamo forse essere seri ogni volta e composti peggio delle statue della muraglia cinese? Scusa, però sembra che abbia un palo ficcato in culo così.»
Tentò di trattenere le risate, però non ci riuscì, cosa che fece sorridere a sua volta Brian.
«Tu devi sempre fare dei riferimenti sessuali così espliciti?» si tirò su, appoggiandosi ai gomiti.
La battaglia contro Brian era una battaglia persa a prescindere, inutile perderci tanto fiato.
«Ovvio, sennò non mi chiamavo Brian Haner detto Synyster Gates o per gli amici il più figo del mondo.» sorrise mostrando la dentatura perfetta.
«Oh, si, il più figo del mondo, certo.» rise. «Vuoi tornare dagli altri?»
«No, possiamo anche rimanere qui.» staccò gli occhi da lei, guardando il basso. «Si sta bene.»
«Ma se è pieno di gabbiani. Senza gli altri, poi, ti annoieresti.»
«Puoi dirmelo tranquillamente, se non vuoi rimanere da sola con me, senza giri di parole, eh.»
Sam avampò subito nascondendo gli occhi sotto il ciuffo disordinato per via del vento.
«No, cioè.. hai ragione, si sta bene.» sentenziò imbarazzata e rossa fino alle punte dei capelli.
Brian si avvicinò di più a lei e guardandola intensamente negli occhi, sorrise, scompigliandole i capelli e distendendosi al suo fianco, le fece segno di prendere posto vicino a lui.
Così, vicini e appicicati su un telo da una persona neanche, iniziarono a scherzare e a parlare del più e del meno, perdendosi nel rumore delle onde ai loro piedi.

























Schiiiiiiiiifo D:
E' mezzanotte e cinque e sono appena tornata da vedere il nuovo film di Johnny Depp e, Dio, quan'è figo *-*
Scappo subito a letto visto che mi aspetta una bella giornata piena di compiti e interrogazioni, colpa loro se non ho avuto tempo ed è uscita sta' roba tirata via ç.ç
Spero vi piaccia e vi ringrazio tantotantotantotantotanto per le recensioni :)
Ho messo una nuova ff  "L'odore delle fotografie e dei ricordi" e questa volta il protagonista è Matt e non più Brian o Zacky :3 
(Quella non so quando aggiornarla t.t)
Grazie mille ancora, scusate eventuali errori ma l'ho ri-letta velocemente e buona lettura.
Un kisso,
Ghè.

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Capitolo 10
*** Chapter 10. ***


Efelidi.

Los Angeles.
June, 99. h17.28.







«Vuoi un milkshake alla fragola?»
«Che schifo, meglio la cioccolata!»
«Pensavo ti piacesse alla fragola, eri più da quel gusto.»
«Cosa te lo fa pensare?»
«Non so, forse l’ho collegato a quella volta in cui a scuola avevi portato un cesto di fragole e te l’eri mangiate tutte all’intervallo.» il ragazzo fece spallucce e mosse un passo in avanti dopo che la fila era diminuita,si piegò di lato guardando le tre persone di fronte a lui; una mamma e un bambino che giocava col suo dinosauro verde, una signora e una ragazza bassina e decisamente “in carne”. Tornò al suo posto e si voltò verso la bionda al suo fianco che si era lasciata i capelli sciolti e al naturale, con qualche ciocca mossa fino a sotto il seno, la frangetta, ormai un po’ lunga, a coprire gli occhi, truccati con un ombretto marrone come la sua canotta e si stava mordicchiando nervosamente, da quando erano entrati, un unghia con qualche residuo di smalto grigio. In quel momento incatenò i grandi occhi azzurri nei suoi, azzurri come l’oceano alle sue spalle, non si era mai accorto che la ragazza avesse delle iridi così belle che risplendevano ogni volta sorrideva, anzi non si era proprio mai accorto della sua bellezza sbocciata tutta insieme e così velocemente da lasciarlo sbalordito.
Sam incurvò un sopracciglio, stando attenta a non cedere nel suo vizio di mordersi il labbro inferiore da cui spiccava una lunga linea rossa e guardò torva colui che gliel’aveva causata, per sbaglio, grazie alla sua goffaggine.
«Haner, vogliamo rimanerci tutta la sera?»
Corrugò la fronte non capendo, poi sentì un ragazzo lamentarsi dietro di loro e si accorse che toccava proprio a lui.
«Ho qualcosa sulla faccia?» domandò, poggiando le mani sul balcone.
«Due milkshake al cioccolato e anche quella ciambella lì, grazie.» estrasse il portafoglio nero e tirò fuori una banconota da dieci. «No, a parte la tua solita orrenda faccia, nient’altro.»
«Come siamo dolci.» prese l’agognato milkshake dalle mani della ragazza dai capelli bianchi, come la neve, e uscirono a passo di marcia, stando attenti a non scontrarsi con il fiume di persone, dal negozio. Appena fuori raggiunsero James e Johnny, appoggiati a un muretto di mattoni pieno di graffiti, a fumare l’ennesima sigaretta.
«Allora siete vivi, menomale.» scherzò Jimmy prendendo la ciambella dalle mani del moro.
«Colpa di Haner.»
«C’era una con un culo assurdo, Jim, la dovevi vedere.» la bionda diede un sorso alla bevanda alzando gli occhi al cielo e il batterista fece lo stesso.
«L’avevo detto, io, che dovevo venire!»
Il più piccolo si schiarì la voce, staccandosi dalle pietre. «Che si fa adesso?»
«Ho una voglia matta di disegnare.» disse all’improvviso, mentre camminavano per la strada che dava, da una parte, sulla spiaggia e, dall’altra, sui piccoli negozietti.
«Sapessi che voglia ho io.»
«Non ne avevo dubbi.»
«Ehi, ragazzi, guardate laggiù, stanno suonando una batteria.» urlò James, emozionato come una bimba alla vista di una barbie in un negozio di giocattoli, e indicò un piccolo gruppo di persone da cui provenivano, effettivamente, degli assoli di batteria. Fu il primo a corrervi contro e a farsi spazio tra la gente, fino ad arrivare davanti al ragazzo che se la cavava davvero bene. La batteria era piccola, a confronto con le sue spalle e le braccia, dietro le quali si muovevano su e giù dei lunghi capelli biondi legati in tanti, piccoli, dread. Le sue spalle nude erano tappezzate da alcuni tatuaggi tribali, che, da quello che ricordava, avevano dei significati legati agli spiriti e alla religione.
Sam concentrò tutta la sua forza sulle gambe e allungò il collo nella speranza di vedere qualcosa di più, non era stata veloce e scattante come Jimmy e si era ritrovata in fondo, dietro a due ragazzi dall’aspetto simile al biondo alla batteria che le bloccavano la vista. D’un tratto, però, sentì il tanto amato suolo mancare e due forti mani, rugose sulle dita, stringerle possente i fianchi nudi e si aggrappò automaticamente, salda, alle braccia che la tenevano su e da una parte le permettevano di vedere.
«Brutto idiota, cosa stai facendo? Mettimi giù.» urlò, divincolandosi.
«Ehi, stai ferma! Così mi fai male, si dal caso che stai colpendo le mie preziose parti basse.»
«Se ti volevo far del bene ti davo cento dollari.»
«Ok, ma mettila di muoverti, cazzo Ti stavo solo aiutando a vedere meglio, testona.»
Brian sbuffò lasciando la presa: era impossibile quella ragazza, se prima era un’esplosione di felicità e dolcezza, dopo, era un’esplosione nel verso senso della parola.
«E chi te l’ha chiesto» sbottò scontrosa, voltandosi verso di lui.
«Scusa, credevo di farti un piacere.» arrogante, la guardò incrociare le braccia al petto, dove spuntava il costume bianco, e gonfiare le guance come era solita fare quando era arrabbiata, scocciata o mentre pensava come ucciderti nei più dolorosi e peggiori modi. All’improvviso uno dei ragazzi di prima si voltò, mostrando inoltre la sua faccia totalmente andata, e spinse la povera bionda inevitabilmente contro il petto del ragazzo, che indietreggiò a sua volta.
La prima cosa che percepì fu il freddo, poi una sostanza scivolarle su tutta la pelle. Abbassò lo sguardo e vide una lunga e larga macchia marrone scura al centro della maglietta e trattenne il respiro e la voglia di far fuori quell’essere.
«Merda.» urlò, cercando con lo sguardo l’essere tra la folla, ma era scomparso.
«Il mio milkshake.» piagnucolò Brian.
Gli lanciò un’occhiataccia omicida e rossa dalla rabbia se ne andò a grandi passi verso la piccola piazza rotonda, dove una piccola fontana spruzzava acqua ai lati. Dalla tasca posteriore dei jeans prese il fazzolettino che le aveva porto la commessa e lo inzuppò metà nell’acqua fredda, sperando in un miracolo.
Tutte a me, che ho fatto di male, eh?
La macchia invece di diminuire si allargò ancora di più, arrivando quasi fin al bacino.
«Fanculo, fanculo, fanculo e fanculo.» lanciò il fazzolettino bagnato nel cestino di fianco a lei e, sedendosi sul bordo asciutto della fontana bianca, si accese una sigaretta, inspirandola nervosamente. Se non poteva sfogare la rabbia su quella testa di cavolo che le aveva fatta andare contro l’altra testa di cavolo e di certo, non sulla maglietta, come al suo solito, avrebbe cercato di reprimerla e di cacciarla via, calmandosi e fumando.
Necessitava della sua Cass, della sua voce, del suo tocco leggero sulla spalla e delle sue parole che riuscivano a calmarla come una medicina. Ma adesso il ragazzo di cui era follemente innamorata gliel’aveva “portata via”, rubandole quel poco di tempo in cui riuscivano a vedersi. Sicuramente non ce l’aveva con nessuno dei due, tuttavia le mancava della presenza della sua migliore amica e non di un ragazzo odioso, presuntuoso, menefreghista, prima donna, egoista e dannatamente bello come Brian. Sì, aveva detto bello, e, diavolo, se lo era.
Lanciò la sigaretta per terra e fece un lungo respiro, chiudendo gli occhi.
«Sam.» soffiò una voce al suo orecchio.
«Cosa.» rispose dopo pochi minuti.
«..ehm, stai bene?»
«A meraviglia.»
La calma è la virtù dei più forti.
«Sicura?»
Aprì gli occhi di scatto, voltandosi. «Sì, ho detto di si.» non teneva più tra le mani il frullato, ma il pacchetto di sigarette rosso che ne conteneva ancora due, una era tra le dita spenta.
«Stai calma e che cazzo. Sei impossibile, non ti si può neanche fare una cazzo di domanda!» alzò le braccia, voltando la testa dall’altra parte.
«Se sono impossibile, allora perché mi parli?»
«Perché tu mi rispondi costantemente male?»
«Non si risponde con una domanda a una domanda!»
«Ti prego.» scosse la testa, rassegnato.«Non ho le forze per litigare.» supplicò infine, portandosi la sigaretta martoriata fino a quel momento alle labbra e coprendo con una mano l’accendino, l’accese.
Sam si zittì, abbassando la testa e fissando le punte delle sue scarpe bianche. Forse era stata un po’ troppo scontrosa, dopotutto le aveva chiesto soltanto come stava e prima stava cercando davvero di aiutarla a vedere qualcosa, però, come al solito, aveva alzato le barriere e risposto male; impulsiva e testona com’era non si era accorta che il ragazzo la stava semplicemente aiutando.
Aprì la bocca per chiuderla immediatamente dopo, mordendosi la guancia dall’interno. «Scusa.» sussurrò.
«Come?» spalancò gli occhi, fissandola.
«Hai capito cosa ho detto, non fare il finto tonto.» abbassò ancora di più la testa, era diventata rossa e non glielo voleva far notare.
«Sai, è una cosa che non succede tutti i giorni. Di solito sono sempre io a chiederti scusa e non dire di no.» sorrise, facendo aderire la sua spalla lievemente muscolosa a quella esile delle ragazza. «Comunque, vuoi sapere il motivo per cui ti parlo sebbene mi tratti come un criminale?»
Accennò a un sì, muovendo la testa impercettibilmente e stringendo le gambe l’una contro l’altra, senza staccare gli occhi da un bambino che rincorreva un gabbiano di fronte a lei. Perché il cuore le aveva iniziato a battere più forte? Aveva paura di sentirsi dire la verità, spiaccicata in faccia come il frullato prima sulla sua maglietta?
«Sinceramente non lo so.» alzò lo sguardo verso di lui. «E’ un po’ difficile da.. spiegare.»
«Provaci.» lo incoraggiò.
«Ok. Allora, hai presente quella volta a casa tua?»
Come non dimenticarsela, quel giorno era riuscita a perdere dieci anni di vita in un secondo, sia per la sua richiesta, sia per il modo in cui l’aveva domandato. Era stato scontroso, possessivo e senza peli sulla lingua.
Annuì ancora, non lo voleva interrompere.
«Lo avrai preso come uno scherzo, una presa in giro o qualcosa del tipo, giusto?»
«In effetti.» mordicchiò la guancia con i denti, senza spostare gli occhi o un muscolo, immobile come una statua.
«A tuo posto avrei fatto così, ma vedi, anche se non sembra, io.. io ero serio. Volevo davvero uscire con te, cioè lo vorrei ancora, certo.» perché sentiva così tanto caldo? «Oramai dovresti conoscermi, sai come mi comporto e conosci la mia fama come sciupa femmine. Tutte le ragazze vogliono uscire con me o meglio, venire a letto con me, e questo me lo aspettavo pure da te. All’inizio ti vedevo semplicemente come una ragazzina di cui non mi importava niente, la compagna di banco che portava i libri al posto mio e che mi divertivo a vedere arrabbiata o a farci due litigate.» 
«No, spiegami cosa cazzo c’entra? Se stai cercando di farmi innervosire ricordandomi tutte le volte che ti avrei strozzato, beh, Haner, ci stai riuscendo in pieno.» scosse la testa, stringendo i pugni.
«No, fammi finire. Dicevo.. nonostante questo, in parte, ti odiavo. Odiavo il modo in cui guardavi la lavagna assorta nei tuoi ragionamenti, odiavo quando ti mettevi a disegnare tutto il banco con il tuo lapis mordicchiato blu, o ti scostavi da me durante i compiti, o quella volta in cui mi avevi tirato il libro di letteratura sulla testa. L’odio è aumentato quando mi hai respinto.»
«Mi odiavi?» chiese, scandalizzata peggio di prima.
«Sì. Cioè, è ovvio, come ti comporteresti tu con il ragazzo che ti piace e che ti respinge nettamente in quella maniera?»
Spalancò gli occhi, arrossendo. «Cosa intendi, scusa?»
«Avanti che hai capito.» sorrise mostrando quella fottuta dentatura perfetta.
«No, cioè, almeno credo.» rispose impacciata. Passò le mani sudate sulle gambe lisce e nude.
«Ok, non sono bravo con i rigiri di parole e le parole in se, te l’ho detto.» poi cessò di parlare. Sam sentiva i suoni ovattati e lontani, udiva soltanto il suo cuore rimbombare e pompare incessantemente il sangue da tutto il corpo, con la paura che lo potesse sentire anche lui, o nei casi peggiore, uscire fuori dal petto e scappare via. «Papale papale? Tu mi piaci dal momento in cui ti ho visto con James al chiosco e non so il cazzo di perché. Non so il perché in quel momento preciso, ti avevo sempre vicino a scuola, sette ore su sette, buffo no?.» si voltò verso di lei, rimasta con gli occhi fuori dalle orbite e la bocca spalancata, espirando il fumo tranquillo. Come faceva ad essere così tranquillo, si può sapere?
«Ho ritenuto che fosse soltanto una sbandata, il preteso di portarti a letto come tutte le altre ed aggiungere un nome alla mia lista.»
«Ed è così?.»
Oh, allora la voce ce l’ho, un po’ rauca, ma ce l’ho.
«Secondo te, Scherlock?»
«Cazzo ne so.» rispose acida, sentendosi imbarazzata ai massimi livelli. Incrociò le braccia al petto e con una mano cercò di farsi vento.
«Secondo te se fosse così, avrei fatto questo discorso e sarei passato da scemo in questa maniera?» alzò un sopraciglio.
Non rispose, deglutì la saliva e sbatté lentamente le palpebre, non sapendo come comportarsi e cosa dire. Tutto considerato non si era mai ritrovata in una situazione del genere, lei, era più una che le cose se le prendeva, come Haner appunto, una che in vita sua l’unico sentimento che aveva provato era per l’attore di Dawson’s Creek e per il suo capelli biondi.
Fissò il braccialetto d’oro, di sua madre, al polso destro, le piccole lunette erano sparse per la pelle, altre penzolavano, mosse dal vento e dal suo tremore, mentre l’orsacchiotto era al suo posto, al centro, nascosto dalla stoffa della maglietta.
L’unica cosa che fece fu voltarsi piano, passando gli occhi dalle sue labbra morbide, al naso che sfiorava di pochissimo il suo, fino a quelle pozze castane che l’avevano sempre fatta impazzire e che, a sua volta, si spostavano veloci su tutto il suo viso. La loro vicinanza era talmente minima che, Sam, riusciva a vedere tutti i più piccoli particolari di quel viso perfetto e senza accorgersene si avvicinò di più: aveva delle piccole macchie verdastre sul naso, a formare un cerchi,o e altre più omogenee sotto gli occhi e sulle guance. Che fossero delle lentiggini? No, efelidi.
Poi successe, si ritrovò le labbra del ragazzo posate delicatamente sulle sue e una scarica in tutto il corpo. Avvertiva una mano sul suo fianco, sotto la maglietta, a sfiorare la pelle ed a crearle tanti piccoli brividi.
A quel punto, quando le attività del cervello ripresero a funzionare, lo prese per il colletto della maglietta, poco prima della scritta Black Sabbath  e lo avvicinò a se, facendo aderire i corpi.
«E smettila di sorridere cretino. Mi fai sentire più in imbarazzo di quello che non sono già.»




















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Salve, people :)
TADADATATATAAAA' (potere ai piccoli)
Non ce l'ho fatta, l'ho dovuto scrivere e mettere subito.Ma come sono belli insieme, eh.. EH? **
Oltre alla voglia matta di scrivere di questo maledettissimo bacio, tanto atteso, tanto desideratato, non so proprio quando riuscirò ad aggiornare. Capitemi, questi giorni sono impegnativi per tutti (manca una settimana alla fine, non ci credo) e i prof. mi stanno tartassando come non hanno mai fatto in tre anni. Io spero sempre in qualche idea improvvisa, perchè, fra questa e l'altra (chiunque la voglia leggere mi farà un grandissimo piacere http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1066498&i=1, quindi amanti del meraviglioso Matt fatevi avanti!) non ho più idee. Infatti, se qualcuno ha qualche consiglio o ideuccia non mi dispiace, anzi! Ringrazio, come al solito, le tre anime che amo taaaanto : Manganese, Amelie_ e Mezmer. (giuro vi amo seriamente)
Scusate per gli errori, perchè ci sono a palate, e spero vi piaccia.
Buona lettura,
un bacione.

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Capitolo 11
*** Chapter 11. ***


Efelidi.

Los Angeles.
June, 99. h19.18.







«Facciamo un resoconto della situazione.» Jimmy drizzò la schiena sulla sedia di paglia bianca e spostò i piedi per far sedere Cass sul piccolo pouf di fronte a lui. «Ieri Brian e Sam si sono finalmente dichiarati con tanto di bacio, giusto?» aspettò che i due ragazzi di fronte a lei annuissero.
«Secondo quello che ci ha raccontato il diretto interessato, sì.» rispose Matt, addentando la mela.
«Tu, James, non eri insieme a loro?» domandò il chitarrista, seduto su un divanetto accanto al cantante.
«Sì. C’era anche Johnny, a proposito dov’è finito? Comunque ci siamo voltati e li abbiamo visti avvinghiati peggio di due sanguisughe.»
«Quindi adesso sono felicemente fidanzati?» Cass si voltò verso la spiaggia di fianco a loro, mentre il vento le spostava delicatamente i capelli sul collo nudo e puntò i grandi occhi, circondati da lunghe ciglia nere, sulla scogliera bianca vicino alla riva dove due figure se ne stavano ferme.
«Non penso che un bacio implichi il concetto “essere fidanzati”.» la ragazza tornò a guardare il cantante, storcendo il naso.
«Tu lo sai per esperienza, eh?» lo punzecchiò Zacky. Con una mano faceva volare una cartuccia nera del suo game boy e con l’altra teneva la sigaretta appena accesa.
«Io sono uno alla vecchia maniera. Non capisco perché basti un bacio per classificare due persone come fidanzate, sennò, a quest’ora, starei già con Val, non credi?»
«Tu, quella, te la sposeresti subito.» fece notare James.
«Questo che c’entra?» Matt tolse lo sguardo, sorridendo deliziato.
«Lo sapevo!» disse vittorioso, puntandogli il dito contro come un avvocato durante un processo, contento di aver ottenuto la verità.
«Io non ho detto di sì.» si portò le mani all’indietro in segno di difesa.
«Ma neanche di no.»
«Ok, abbiamo capito. Pensiamo più a quei due.» li interruppe Cass, sporgendosi in avanti per prendere una birra dal tavolino.
Zacky roteò gli occhi. «Oh andiamo, Cass. Sembriamo delle vecchie pettegole, lasciamoli perdere e vivere questi momenti in santa pace. So che sei preoccupata per Sam, ma se Brian combinerà qualcosa, ne pagherà le conseguenze lui stesso.»
«Io, semplicemente, non voglio che Sam soffra di nuovo per un ragazzo, tutto qui.» disse semplicemente.
«Soffra di nuovo?» domandarono in coro Matt e Zacky.
«Lunga storia, che, se vorrà, ve la racconterà, quando e come, lei stessa.» rispose Jimmy secco, senza voler udire altre spiegazioni. Quell’argomento era delicato, solo la bionda, poteva e doveva raccontarlo, infondo non erano affari loro.
«Ragazzi, ragazzi.. ragazzi!» una testa bionda e nera si muoveva giù e su per il pontile di legno, sventolando una mano con un apparente foglietto stretto tre le dita smaltate di nero.
«Fai piano nano o ti prenderà un attacco di cuore e ci lasci le penne. Anzi, no, rimaniamo nuovamente senza bassista sennò.»
«Fanculo Sullivan.» sibilò appena si fermò.
«Insomma?» lo incitò la mora, scolandosi la bottiglia di birra scura.
«Uhm?» all’iniziò non capì. «Oh, si, giusto. Guardate.» passò il foglio tutto stropicciato e sporco di cioccolato nelle mani di Matt, il più vicino, che lo lesse ad alta voce.
«Un mercatino? E che ci andiamo a fare ad un mercatino?»
«Lascialo finire di leggere!»
«.. alle ore dieci, nella strada adiacente alla ventesima dove si terrà il piccolo mercatino, ci saranno falò, banchi con cibi internazionali, alcool e giochi per i più piccoli. Oh merda, ci dobbiamo andare.» esultò, alzandosi in piedi e passando il foglietto a Zacky. Cass ne approfittò per sgattaiolare al suo posto e si lasciò abbracciare e cullare dalle braccia del suo ragazzo.
«Ci vuoi andare?» le sussurrò ad un orecchio scrutando il programma della sera.
Alzò la testa verso di lui, sorridendo. «Ovvio, da quando siamo qui non abbiamo fatto una sbronza come si deve.»
il ragazzo sorrise raggiante, lasciandogli un piccolo bacio sulla testa, poi guardò i suoi tre amici mimare degli strani balletti nella veranda azzurrina chiara. Il cielo iniziava già ad avere i classici colori tenui, i raggi del sole stavano svanendo dietro le montagne e i grandi grattacieli, lasciando spazio a una serie di piccole nuvolette di forma rotonda e ovattata, che non promettevano niente di buono. Cielo a pecorelle, pioggia a catinelle, giusto? Ecco e quel cielo sembrava pieno di pecorelle al pascolo. Scacciò via quei pensieri stupidi e aggrottò la fronte nel vedere Jimmy caricare il più piccolo sulle spalle ed iniziare a girare intorno come un pazzo, mentre Matt era piegato sulle ginocchia a ridere come un matto: rischiava seriamente di non respirare più.
«Sam, cosa hai fatto lì?» sbiascicò allarmata Cass, alzandosi velocemente e correndo verso l’amica. Teneva un braccio intorno alle spalle di Brian, visibilmente preoccupato, la faccia era una morsa di dolore,  infatti mordeva fortemente il labbro inferiore con i denti e il ginocchio aveva una lunga linea rossa accesa scenderle fino al piede nudo.
«Ha voluto scalare la scogliera, nonostante io le abbia detto che era pericoloso e testona come si ritrova è scivolata ed a strusciato la pelle contro una roccia.» spiegò.
C’era moltissimo sangue, un vero e proprio fiume di liquido rosso. Sembrava impossibile come, da un misero, all’apparenza taglietto, ne potesse uscire talmente tanto. Il viso della ragazza, già bianco di normale, iniziava ad essere più pallido e si vedeva come cercasse di trattenersi a non imprecare in tutte le lingue conosciute.
«Oddio.» sussurrò James arrestandosi immediatamente, e puntò gli occhi, sgranati in maniera non umana, sulla ferita.
Cass corse in casa per prendere degli asciugamani puliti e Matt del disinfettante, mentre Zacky aiutava Brian a far sedere la bionda. Johnny rimasto fermo a torturare un unghia del pollice e a guardarli con aria preoccupata, si voltò verso il batterista, sentendolo irrigidirsi ancora di più.
«Jimmy? Che hai?» gli scosse energicamente il braccio esile.
«Gli dà noia la vista del sangue.» Matthew tornò con la bottiglietta di disinfettante. «Fallo sedere e poi vai a prendere i sali in bagno, per favore.» il bassista annuì, facendo sedere, con un po’ di fatica, lo spilungone e tornò in casa.
Sam era seduta su uno dei divanetti, in mezzo ai due chitarristi che la tenevano saldamente, mentre Cass le tamponava prudentemente la ferita con un asciugamano color salmone a fiori e Matt preparava il disinfettante in un pezzetto di fazzoletto. Dopo aver pulito la gamba, glielo appoggiò piano e alla meglio glielo fasciò con una garza bianca e una retina del medesimo colore.
«Sicuro non ci vadano i punti?»
«Ha ragione, forse va portata in ospedale.»
«Ragazzi, calma. Non ci vanno i punti, fidatevi. Guardate me, sono pieno di cicatrici, ormai sono un esperto.»
«Ma tutto quel sangue..»
«Brian.» gli appoggiò una mano sulla spalla, tranquillizzandolo. «Non muore per così poco, so che ti sei spaventato però l’unico ricordo che avrà sarà una bella cicatrice e niente di più.»
«Cosa? Una cicatrice?» chiese debolmente Sam, riprendendo i sensi e sbattendo piano le palpebre.
«Razza di cretina, tu e le tue fissazioni del.. del cavolo!» disse Cass, tirando un respiro di sollievo, seria in volto. «Vuoi fare come all’età di sei anni, mh?» si lasciò scappare e tutti si guardarono interrogativi.
«Sono quasi caduta dalla terrazza di casa mia.» mormorò abbassando lo sguardo. Lasciò cadere la testa pesante sulla spalla di Brian che, sollevato, l’abbracciò.
«Te le cerchi proprio tu, eh?» abbozzò un sorriso e Zacky le scompigliò i capelli, prima legati in una lunga treccia, poi scattò in piedi ed aiutò i suoi amici a raccogliere i vari cerotti, bende, asciugamani sporchi e bottigliette vuote che impiastricciavano tutto il pavimento bianco.
La bionda ruotò la testa, sempre appoggiata alla spalla del moro, in direzione di James, seduto immobile sul pouf rosso poco distante da loro.
«Jim, stai bene?»
«Penso di sì, scusa. Solo la vista di quella roba mi fa bloccare.» le sorrise, ancora un po’ scosso, giocando il sacchettino dei sali che gli aveva portato Johnny.
«No, scusami tu. Sono una scema, ma lo sai come mi piace il pericolo.» scoppiarono entrambi a ridere, smorzando la tensione. James, barcollando, si alzò avvicinandosi alla bionda e le lasciò una carezza sulla guancia sorridendo e rientrò in casa, dalla quale provenivano dei urli su chi dovesse guidare quella sera.
«Scusa.» biascicò piano, sprofondando il viso nel suo petto.
«..»
«Dai, Brian, dì qualcosa.»
«Qualcosa.»
«Non sei simpatico.»
«Non lo volevo essere.»
Sam sospirò staccandosi e lo fissò in negli occhi nocciola e da qualche pagliuzza più scura sparsa nell’iride. Aveva imparato a conoscerlo come le sue tasche; lui non esternava nessuna emozione, la sua faccia rimaneva impassibile e dura in qualsiasi situazione e dovevi imparare, imparare a comprenderlo, perché i suoi gesti, movimenti, ogni cosa che faceva, parlava chiarissima al suo posto. Erano come pezzettini di un puzzle che dovevi studiare e incastrare uno affianco all’altro, riuscivi ad acchiappare qualche idea su come fosse e che, alla fine, dopo faticose ore, te lo mostravano finito. Era sempre una continua sorpresa.
Spostò lo sguardo su tutto il viso e non riuscì a trattenere una piccola risata. Avevano passato due ore sotto il sole cocente e si era bruciacchiato un po’ ovunque, con qualche residuo di crema sparsa sul naso e una delle sue bandane a teschi neri in testa.
Sfido chiunque a non ridere.
«Bri..» tentò.
«No, dico, hai rischiato di spaccarti l’osso del collo, te ne rendi conto?» alzò leggermente il tono della voce. «Saresti potuta scivolare e sbattere la testa, o nei peggiori dei casi finire dentro l’acqua in mezzo agli scogli.»
«Ma non è successo. Sono viva e vegeta, Brian, sono grande e vaccinata abbastanza da capire che ho sbagliato da sola. Ti chiedo scusa, non lo rifarò mai più, però non ne facciamo un caso nazionale, okay?»
Il moro la fissò severo, come un padre di fronte al proprio figlio che ha appena commesso un errore e sospirò, avvicinandola a sè.
«Fallo un’altra volta e te lo romperò io stesso l’osso del collo. Parola di Brian Elwin Haner Jr
«Sì, signorsì, signor Elwin.»














I mercatini sono fatti per attirare persone a comprare ogni tipo di sciocchezza o oggetti che fondamentalmente non servivano proprio a niente, se a non acquistarli solo per soddisfazione ed a buttargli in un angolo dimenticato in casa.
Matt si era comprato un elmetto risalente alla seconda mondiale, sottolineando il suo amore profondo per la guerra, con tanto di buco di proiettile, Johnny uno spremi agrumi a forma di mucca, regalo per sua madre, Zacky un porta cd africano a forma di giraffa decapitata, così avrebbe riordinato i milioni di cd presenti nella sua stanza, Cass una borsa di Woodstock, Brian un altro cappello, identico a quello che si era portato persino lì, a LA, Jimmy una felpa dei Pantera e Sam niente, se non un piccolo braccialetto fatto a mano con tre piccole pietre turchesi.
Si erano recati, poi, ai banchi dove vendevano la birra e il cibo proveniente da tutto il mondo, prendendone talmente tanto che bastava ad un esercito per un anno intero.
«Cazzo, mi voglio trasferire in Germania. Questa birra è fantastica.» Zacky teneva una caraffa enorme di birra ed era riuscito a malapena ad arrivare a metà. Cass, seduta al suo fianco, si stava gustando un secondo hamburger con James. Invece Matt era al terzo e Brian e Johnny stavano ingurgitando a una velocità impressionante un wurstel dopo l'altro.
«Vaffanculo, come torniamo a Huntington come chiedo a Val di uscire.» sbraitò Matthew, sbattendo il boccale di birra di vetro sul tavolino.
«E questa dove l’hai tirata fuori, mh?» Zackary alzò il sopracciglio fissandolo attraverso i suoi occhiali dalla montatura fine. Li usava soltanto a fine giornata o a scuola, quando la vista e gli occhi erano stanchi e iniziava a vedere le persone sbiadite e simili a dei fantasmi.
«Colpa loro.» con un cenno della testa indicò Sam seduta sulle gambe di Brian mentre si stavano dando un leggero bacio a stampo sulle labbra piene di ketchup e maionese. Fece una smorfia schifata. «Oh, sì, e vostra.»
«Noi?» indicò se stesso e la mora al suo fianco del tutto estranea alla conversazione, visto che ne stava facendo un’altra con Jimmy su quale tipo di panino fosse più buono.
«Sì, diamine. Ovunque mi volto vedo coppiettine che si baciano o si abbracciano e mi sono rotto le scatole di far finta di niente e non agire. Caspita mi ha fottuto il cervello e me ne sto con le mani in mano. A questo punto mi faccio frate o divento gay.»
«Almeno Johnny si trova qualcuno.»
«Ehi!» gli lanciò una patatina in viso, offeso. «Ti ricordo che la ragazza, io, ce l’ho.» gli rammentò e incrociò le mani al petto.
«Bene, se ce l’ha pure il nano, sono uno sfigato.» scosse la testa, stropicciò il fazzolettino di carta tra le mani e, insieme al piatto di plastica, li lanciò abilmente nel grande cestino verde alle sue spalle.
«Sam? Mi stai ascoltando?» le scocchiò due dita a pochi centimetri dal naso.
«Mh?» focalizzò lo sguardo su di lui, spostandolo da un punto non ben definito alle sue possenti spalle e tornando con la mente sulla terra. Il brusio delle persone presenti alla festa era alto, ma non così alto da sovrastare le loro voci e Sam si era perso ad ascoltarlo senza un perché, imbambolata come un vegetale.
Sospirò. «Sicura di stare bene? Sei più silenziosa del solito.» la incalzò, aprendo un’altra lattina di coca cola.
«Parlando con franchezza mi manca Huntington. Cioè siamo a Los Angeles ed a me manca casa, capisci?» alzò un angolo della bocca, lanciandogli un’occhiata.
«Pura e semplice nostalgia. Se vuoi possiamo tornare prima, non è un problema. Abbiamo due macchine, prendiamo quella di James e ce ne andiamo noi due, da soli.»
Scosse la testa, sorridendo. «Manca solo una settimana al nostro rientro. Queste sono volate, non trovi?» si allungò sul tavolino bianco e con cautela rubò una sigaretta dal pacchetto nuovo di Cass. «Sembro una mocciosa. A proposito della macchina di Jimmy.» abbassò il tono della voce. «Hai detto che la deve riverniciare, no?»
«Quando l’ho detto? Cosa più importante: l’ho detto?» aggrottò la fronte, abbassando il viso nella speranza di ricordarsi il momento in cui le aveva dato tale informazione.
«Giusto, me lo ha detto Matt. Comunque, il discorso era un altro. Vedi che mi fai perdere e imbrogliare?» rise. «Dicevo, se gli scriviamo a caratteri cubitali “Daisy” sopra al cofano di arancione?» portò la sigaretta spenta alle labbra dipinte di rosso.
«A patto che l’arancione sia di quelli che si illuminano di notte.» esclamò, entusiasta.
«Bri, si chiamano colori fluorescenti.» scoppiò a ridere e la sigaretta le cadde rovinosamente a terra, ma il ragazzo fu più veloce e la riprese poco prima toccasse l’erba.
«Fiscale e sbadata.»
«Okay, adesso dobbiamo soltanto dirlo al resto dei ragazzi e farlo quando il caro Sullivan è k.o per l’alcool.» si guardò intorno come un ladro sorpreso sul posto.
«Stasera?» sogghignando indicò lo spilungone in piedi dondolare e gridare di essere il miglior reverendo in circolazione a delle innocenti rocce.
«Nono, meglio la sera prima di partire. Così, appena torniamo, non passerà di certo inosservato.»
«Lo credo anch’io, sai?»
«Scusi, signora. Salve sono Jimmy, Jimmy The Reverend Tholomew Plague, piacere. Le posso chiedere una cosa? Come mai ha un gatto morto al posto dei capelli?»




















Scazzo is the way.
Saaalve, people :) Allora, come state? Spero bene, io sono strasuperultra felice: manca una settimana e potrò andare a letto alle cinque di notte e risvegliarmi alle quattro sette di sera ** così non vedrò il sole.
Beh, da una parte non lo sono molto, come tutti insomma. Mi riferisco al fatto del terremoto in Emilia e anche se io abito in Toscana e ne ho sentite davvero poche non oso immaginarmi come la stiano passando.
Mmh, torniamo a parlare del capitolo cortino.
Qui si può vedere come la furia, la voglia sotto i piedi insieme all'italiano e alla mancanza di idee regnino indiscusse. LOL
Povero Matthewino caro che gli manca tanto la sua Vaaal 
Quei due sono troppo dolci cavolo, anzi tutti sono troppo dolci. Bleh.
No, seriamente, non so che scrivere AHAHAHAHAHA.  
E' colpa del caldo ç_ç
Me ne vado, è meglio, però prima voglio ringraziare quelle meravigliose creature che hanno recensito: Amelie__,Mezmer_ e zetavengeance, Love u 
Grazie di cuore, come sempre, a chiunque legga, perchè vedo che siete davvero tanti :) (e se poi mi lasciate qualche recensione non mi offendo mica, :3)
Alla prossimaa, Ghè vivaicuoricini♥ 
Buona lettura.

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Capitolo 12
*** Chapter 12. ***


Efelidi.

Los Angeles.
June, 99. h10.07.






Brian guardò i piccoli cristalli di zucchero sparsi per il tavolo di legno chiaro, mischiati alle briciole dei biscotti fatti in casa di Cass, prese il cucchiaino e ne rigirò il rimanente nella grande tazza con le macchie di mucca e se la portò, infine, alla bocca. Il sole era già alto nel cielo da un pezzo, poteva sentire i raggi riscaldargli la schiena nuda e le voci dei bambini scherzare, felici, all’esterno. La sua faccia era tutto al di fuori che felice, era teso come una corda di violino e quasi non cadde dalla sedia a sentire l’anta del mobiletto chiudersi in maniera non delicata.
«Nervosi?» Zacky appoggiò la busta dei cerali al cioccolato sul tavolo e lo guardò.
«La testa mi scoppia. Se vuoi un po’ di tè, è lì vicino al fornello.» lasciò la tazza fumante e morse metà biscotto.
«Dovresti essere abituato alle sbronze.» versò il latte freddo nella tazza. «Ma quella faccia la conosco troppo bene. Sei preoccupato per Sam?»
Gli lanciò un’occhiata. «Tu che dici?»
«Glielo dirai stasera?» domandò, prese il giornale e si sedette al suo fianco. A quanto pare un pazzo aveva ucciso due ragazze dopo averle stuprate. Dove andremo a finire? Pensò e storse la bocca.
«Sì.» sospirò, lasciando cadere il cucchiaio nel liquido verdognolo. «Ho già organizzato tutto, l’unica cosa che mi preoccupa è la sua reazione. Come minimo mi ucciderà per averglielo detto dopo così tanto. Cass invece?»
Zacky si irrigidì fermando il cucchiaio pieno di cereali a mezz’aria. «All’inizio mi è saltata addosso felice come non mai. Mi ha quasi ucciso, però.. l’ha presa bene, penso
«E se non la prendesse bene?» lo guardò.
«La prenderà bene.»
«Zacky, stiamo parlando di Sam!»
«Brian..» tentò.
«Cosa posso fare? Mh? Mi lascerà, me lo sento. Sì,sì.»
«Ascolta..»
«Rischio un esaurimento nervoso. E se mi chiederà di scegliere? Oh nono, non ne sarei capace.»
«Porca puttana, Brian! Tranquillo cazzo. Stai facendo salire l’ansia anche a me.» sbuffò, prendendo un tovagliolo e pulendo il disastro che aveva causato il moro accanto a lui, urtando per sbaglio la tazza di tè che era finita su tutto il giornale.
«Scusa, sono agitato. Non so più che fare e che pesci prendere, adesso che tutto iniziava ad andare per il verso giusto. Infondo è colpa mia. La conosco da un anno, l’ho sempre avuta sotto il naso e non ho fatto niente. Cieco e interessato soltanto a finte bionde, tette rifatte e cuori spezzati. Sono un cretino.» si massaggiò le tempie, poggiando i gomiti sulla pozza di tè alle erbe.
«Per il fatto del cretino sono d’accordo con te ma devi stare calmo, okay? Anche se non dovesse accettarlo, strapparti le palle a morsi, perché è capace.. no, no, scherzavo, scusa. Lo capirà, non è stupida, è una ragazza forte e se ci tiene davvero, sono sicuro, che ti aspetterà.» gli passò una mano sulle spalle, concedendogli un bellissimo sorriso e l’aiuto che solo un vero amico poteva darti. E Zacky lo era, lo era con la “a” maiuscola.
Sorrise a sua volta, allegro. «Grazie, bro.»
«Di niente, non sono qui per questo?»
Scoppiarono entrambi a ridere, uno abbracciato a l’altro e con le briciole di biscotti sparse per tutti i pantaloncini. In quell’esatto momento entrarono in cucina Jimmy e Johnny. Il più piccolo teneva tra le braccia una scatola di legno piena di bastoni, raccolti in spiaggia, mentre quello più alto un ammasso di fili che posò sul tavolo, imprecando quando si accorse di averli bagnati in parte.
«Ecco qua, Haner.» Johnny invece lasciò la cassetta a terra, batté le mani per togliere qualche residuo di sabbia e poi il cappello da baseball che teneva in testa.
«Trovato tutto?»
Jimmy annuì. «Spero vadano bene gialle, bianche non c’erano. O così o colorate da albero natalizio.»
«Vanno benissimo, grazie ragazzi.»
Jimmy gli si avvicinò. «Nervi saldi, mi raccomando.» e gli passò una mano sulle spalle, all’altezza del tatuaggio con il suo cognome. Si ricordava benissimo il giorno in cui lo aveva fatto, ubriaco fradicio, era appena uscito dalle prove e se ne era andato da un suo vecchio amico tatuatore e si era lasciato “torturare”. Lo odiava e cercava di nasconderlo poiché considerava la calligrafia e i colori scadenti. Per James, al contrario, era un bellissimo ricordo perché se lo era fatto proprio una settimana dopo che si erano conosciuti nei corridoi della scuola, cacciati dalle proprie classi per ila troppa confusoine.
«Dio, ragazzi siete troppo sdolcinati, smettetela vi prego.» tutti si voltarono verso l’ingresso della cucina, dove Matthew se ne stava tranquillamente appoggiato, con una spalla, una birra nella mano destra, un piede incrociato con l’altro e un sorriso franco dipinto sul volto.
Brian abbozzò un sorriso. «Tu la fai facile, la tua ragazza, perdon, futura ragazza non ha problemi.» e lo liquidò con un’occhiata.
Matt si avvicinò, sedendosi di fronte a lui e vicino a Johnny. Estrasse le chiavi di Daisy dalla tasca posteriore del costume a righe bianche e rosse e giocherellò con il portachiavi a forma di pacchetto di Marlboro con tanto di luce.
Poi lo lasciò cadere in una mossa veloce, sentendo improvvisamente il braccio pesante e alzò lo sguardo verso il suo migliore amico. «Dispiace pure a me. Stavo iniziando a considerarla quasi come una sorella e..» si irrigidì insieme a tutti gli altri. Trattennero il respiro, puntando gli occhi sulla figura che era appena entrata a passo svelto.
«Evitate di fissarmi così, è colpa di quella scema.» strinse i pugni, passando una mano sui lunghi capelli dove delle piccole goccioline salata caddero lentamente, una dopo l’altra, sul pavimento. Anche i vestiti erano bagnati e attaccati al corpo, evidenziandone le curve, mentre la pelle appena rossa risplendeva sotto l’unico raggio che entrava dalla finestra.
«Eddai Sam per un po’ d’acqua.» Cass spuntò da dietro la parete su cui era appoggiato un attimo prima Matt, trattenendo le risate.
«Ti faccio fuori. Ehi, vi ha mangiato la lingua il gatto per caso?» diede un bacio leggero sulle labbra di Brian che fissò automaticamente i suoi amici, zitti e immobili. Fortunatamente non aveva sentito niente ed erano riusciti a nascondere i fili e i legnetti sotto al bancone.
Tensione nell’aria.
«Che ne dite di un bel tuffo in acqua?» propose Jimmy.
«Tanto sono già bagnata, non ho problemi.» lanciò uno sguardo all’amica, corsa tra le braccia del suo ragazzo.
«Io ho un’altra idea. Sam tu non hai per caso una macchina fotografica?»
La ragazza si appoggiò all’acquaio prendendo un pezzo di scottex e si soffiò il naso. Si sarebbe presa un bel raffreddore o addirittura la febbre conoscendo il suo organismo.
«Sì, è una vecchia polaroid di mia madre.»
«Bene.» il cantante si alzò. «E’ deciso scatteremo un po’ di foto.»







Il sole picchiava forte sulle loro teste. Era riuscita a mettere in fila ordinata tutte le foto scattate fino ad un attimo prima e con l’aiuto di Zacky stava scrivendo la data e qualche commento, nello spazio bianco, ad ognuna di esse.
«Non osare buttarla via.» si sporse verso di lui, allungando la mano nel tentativo di prenderla e di non fargliela strappare.
«Mi hai visto?» sbattè le palpebre. «Sembro un misto tra un cammello e una drag queen, Sam.»
Fece spallucce e guardò la foto tanto orrenda. Zacky era disteso sulla battigia, la sabbia appiccicata a tutto il corpo e preso proprio mentre si stava girando, uscendone con gli occhi chiusi e la bocca in una smorfia. Effettivamente faceva ridere.
«Sei davvero carina, Zacky.»
«Sfotti?» inclinò un sopracciglio.
Ridacchiò e si concentrò di nuovo sulle fotografie, una in particolare: erano tutti insieme, Johnny di spalle che correva verso di loro dopo aver faticato a spiegare a una signora anziana come scattare, le due ragazze sommerse dalla sabbia e dai corpi dei ragazzi stessi.
Erano momenti che mai si sarebbe dimenticata, momenti che ti entrano dentro e non ti lasciano mai, nascosti in qualche parte del cervello ma non rimossi. I ricordi, la mente, non li cancella, li prende soltanto e li lascia in un angolino, sia brutti che belli, e ci basta poco, un profumo, un oggetto, una parola per farli riaffiorare. Li avrebbe sempre portati con se, un bagaglio astratto da raccontare in futuro.
Prese l’ultima foto e la dispose insieme all’altra, riponendola all’interno di un foglio e poi alla sua borsa, in un punto nascosto e sicuro. Mentre sbirciava nella borsa le capitò un origami a forma di volpe fatto da lei stessa una mattinata noiosa e grigia qualche tempo prima. Glielo aveva insegnato sua madre da piccola per gioco e crescendo aveva continuato, imparando e migliorandosi.
«Che figata, lo hai fatto tu?»
«Sì.» glielo lanciò. «Tienilo pure, ne so fare a bizzecche.» Zacky lo strinse tra le mani, scrutandolo nei minimi particolari. «Vuoi che ti insegni?» chiese poi.
«Lo faresti?»
«Ovvio.» rispose tranquillamente, sorridendogli e recuperando un foglio dal blocco di disegni che portava sempre con se; erano essenziali, insieme alla matita.
Lei e Zacky non avevano avuto un rapporto come gli altri, lui era soltanto il ragazzo della sua migliore amica e il migliore amico del suo ragazzo e degli altri, lei viceversa. Se con i ragazzi era riuscita a costruire una sorta di vincolo, legame, con lui no. Non avevano avuto tempo, per modo di dire, di rimanere da soli per qualche momento e conversare. Anzi, quella, era la prima vera conversazione che facevano, ma pur da qualche parte dovevano iniziare, no?








Un piccolo anello di pietra marrone stringeva il dito magrolino, che stava toccando delicatamente la carta stropicciata, mentre gli occhi catturavano ogni piccola lettera, ingabbiandola con sicurezza all’interno del cervello.
L’ultima volta che aveva guardato fuori il sole era ancora alto nel cielo, adesso si iniziavano già ad intravedere le prime stelle e in piccolo angolo, la luna. Il sedere iniziava a dolere, le gambe erano intorpidite e le unghie mangiucchiate a metà, cosa c’era di così difficile? Ormai aveva imparato quel volantino a memoria. Gli angoli erano tutti stropicciati e il colore se ne era andato via in alcuni punti. Tanto ne aveva un centinaio a casa, nascosti in un cassetto della sua scrivania nell’attesa che i suoi piedi potessero, un giorno, toccare quell’asfalto composto dai milioni di san pietrini- nella foto erano cinquantasette contati- e quell’enormi classi dove la magia veniva liberata. Un po’ preoccupante, ma era il suo sogno d’infanzia. E adesso aveva l’opportunità di poterlo vedere avverarsi nel giro di pochi mesi.
Perché tutto doveva essere così dannatamente complicato?
«Tu non dovresti essere qui.»
«Il mondo gira in senso antiorario perché a me sembra andare al contrario?»
«Columbia University, bella roba.»
«Ci sono chili di università in America e io vado a scegliere quella più ambita e difficile in cui entrare. Che genio.»
«E’ il tuo sogno, devi inseguirlo, seppur complicato.»
«E se non ci riesco? Se fallisco e mi ritrovo in mezzo a una strada con il mio sogno strappato in minuscoli pezzettini?»
«Non devi smettere di credere in te stessa perché hai abbastanza forza e fegato da realizzare ogni cosa ti metterai in testa. L’unico responsabile del tuo futuro sei tu.»
Sam drizzò il busto e avvolse le gambe nude con le braccia, appoggiando il mento sopra il ginocchio e perdendosi nel vortice di parole che si era creato nella sua testa.
«L’ho ricevuta stamattina, me l’ha inviata mia madre. A quanto pare studierò e diventerò una giornalista, sempre non succeda niente che rompa l’equilibrio creatosi... Dimmi che mi rimarrei vicino.»
«Era sottinteso.»
«Sarai lì vicino a dirmi che sto facendo la scelta giusta?»
«Sarò lì vicino a te a dirti che sei la ragazza più forte, brava e con talento che Dio mai abbia creato. Sarò lì vicino nei momenti di sconforto, quando sarai sommersa dallo studio e dalle crisi.. conoscendoti mi dovrò cambiare dieci magliette al giorno e comprarti scatoloni e scatoloni di fazzoletti, ma sarò lì
James sorrise mostrando la dentatura perfetta. Sorrise allungando il braccio verso quel batuffolo, ripiegato su di se stesso e l’abbracciò delicatamente.
«Non volevo farti piangere però.»
«Ci sei riuscito contento? Hai vinto lo scontro, la partita, la battaglia, la guerra, hai vinto e sei riuscito a farmi piangere. Non mi ricordo neanche l’ultima volta che l’ho fatto, Jim.»
«Quindi io passerò alla storia come il crudele, bruto e cattivo mostro che ha fatto, per la prima volta in tutta la sua vita adolescenziale, commuovere la dura Sam? Riceverò un premio, una medaglia o qualcosa del genere?»
«Un pugno va bene?»
«Mi accontenterò.»
Sam alzò il viso verso di lui e si asciugò gli occhi, macchiando la mano di eye-liner nero come era riuscita a fare con la sua maglietta e gli sorrise punzecchiandolo a un fianco.
«Scusa.»
James la guardò, alzando un sopracciglio. «Per cosa? C’entra il fatto che tu sia completamente ricoperta di vernice arancione?»
«Ehm sì. Oddio, sono così piena?» si staccò.
«In viso soprattutto.» ridacchiò.
«Oh, pace. Cosa intendevi prima con tu non dovresti essere qui
Sullivan sembrò essersi svegliato da un incubo e si alzò in piedi come un fulmine. «Merda, mi uccide.»
«Chi ti uccide?»
«Vieni con me.» le afferrò le mani e prima che potesse emettere un suono, la trascinò fuori dalla casa.
L’aria afosa e secca le colpì la pelle come un getto improvviso e i piedi affondarono pesantemente nella sabbia fresca e bagnata. Vedeva James correre giù e su mentre stringeva il suo polso senza farle neanche un po’ di male.
«Rallenta, ti ricordo che io ho un terzo delle tue gambe!»
Continuava a correre per tutta la spiaggia aumentando il passo e Sam sentiva i polmoni esplodere e la milza pulsare nel fianco. Trattenne anche le lacrime quando pestò un legnetto secco nascosto e messo lì, quasi, a posta e quando il ragazzo di fronte a lei si arrestò di sorpresa e si morse, di conseguenza, la lingua.
«Cazzo, James! Punto primo non ti fermare inaspettatamente in questo modo, punto secondo avrò bisogno di una nuova milza e se ci sono anche un paio di polmoni, punto terzo che diavolo ci facciamo qui?» sentiva il liquido caldo bagnarle la bocca. Il batterista se ne stava ancora immobile di spalle,e non accennava a fare un passo.
Sam sbuffò, incrociando le braccia e si guardò intorno. Erano sempre in spiaggia, però vicino a loro c’era un piccolo boschetto e dei legnetti sparsi intorno a forma di freccia. L’oceano alle loro spalle si muoveva lento, colpito dalla luna e dalla luce di un faro, posto dall’altra parte della costa.
«Jimbo.» gli strattonò la maglietta e lui si girò.
«Vedi il boschetto e la freccia?» glieli indicò con un cenno della testa, senza smettere di sorridere.
Annuì, non capendo dove volesse arrivare.
«Vacci. Ti ritroverai subito davanti a Brian.» detto questo le baciò la fronte e la superò, camminando sui passi e sulla strada di prima.
«Brian?» domandò ma non ricevette riposta.
E adesso che diavolo dovrei fare? Se mi hanno fatto uno scherzo giuro sulla tomba di Einstein che li faccio fuori uno ad uno e in una delle peggiori maniere.
Fece due enormi respiri e deglutì, ammucchiò tutto il coraggio e la forza presenti nel suo organismo e si incamminò a passi lenti e tremolanti verso il punto indicatole. C’era un piccolo gufo su un ramo di un albero completamente secco e se ne stava lì fermo con i suoi grandi e vispi occhi gialli che la puntavano come un predatore fissa la sua preda.
Si sporse più avanti affrettando il passo. I piedi nudi toccarono l’erba umida e una scarica le attraversò la spina dorsale. Paura, eccitazione, curiosità e ansia si albergavano all’interno del suo piccolo e pulsante cuore che subito fu sollevato nel vedere la figura del ragazzo sotto un altro albero, simile a quello dove era appoggiato il gufo, ma con la grande differenza che era totalmente ricoperto di tante, piccole, luci bianche.
Brian se ne stava lì, saldato al tronco, con lo sguardo e la mente rivolte a quelle stesse luci e alle stelle ben visibili del cielo. In tutta LA non si potevano vedere per colpa delle luci, insegne e grattaceli, ma bastava allontanarsi un po’ che ti ritrovavi davanti uno spettacolo mozzafiato.
«Ti piace?» adesso la stava fissando.
«E’ un po’ troppo film romantico, non ti facevo un tipo da queste cose.» disse, avvicinandosi maggiormente.
«Quello è Synyster. Brian ha altri lati nascosti.»
«E questi lati nascosti riuscirò a scoprirli tutti?» quando gli fu abbastanza vicino, gli portò le braccia intorno al collo, rapita dalle luci.
«Certo,  basta che tu mi risponda di sì a quello che ti sto per dire.»
La bionda aggrottò la fronte. Entrambi erano pieni di vernice arancione ovunque, sulla pelle e sui vestiti. Non avevano avuto tempo di sciacquarsi, avevano dipinto Daisy e l’avevano nascosta in un parcheggio poco distante dalla casa e James ancora non si era accorto niente.
«Ah, ecco. Mi hai fatto portare qua e hai fatto tutto questo per dirmi qualcosa. Qualcosa che, a giudicare dalla tua faccia inespressiva, non è nulla di buono.»
Sorrise amaro. «Sotto alcuni punti di vista, sotto altri invece è positivo.» intrecciò la sua mano, con numerosi calli sulle dita dovuti alle ore e anni passati a suonare, in quella piccola di lei.
«Vedi, non voglio fare tanti rigiri di parole, lo porto dentro da un mese e ho passato notti intere e insonne a spremermi le meningi su come te lo potessi dire. Alla fine ho optato per l’opzione “veloce e indolore”, sei pronta?»
«Merda, Bri, sto diventando più ansiosa di quello che non sono. Certo che tu, in fatto di confessioni, sei davvero negato.» scherzò, ricordando il primo loro bacio.
«Abbiamo ottenuto un contratto con la Goodlife Recording, capisci? Inizieremo un tour e incideremo delle cazzo di demo! Tutto tra un mese.» Brian aveva allargato le braccia e un sorriso sornione, felice e impaziente si era aperto sul suo viso.
Invece, per Sam, si era aperto un baratro ed era caduta insieme a tutte le sue aspettative, idee e concretezze. Come se fosse stata costretta a fissare per interminabili minuti il sole e le lacrime chiedessero di uscire come un fiume in piena lungo le pendici del suo viso.
«Partire? Tour?» sussurrò.
«Sì, faremo delle serate qua in giro. Tutto merito di Val e di suo padre.» gli occhi nocciola la fissavano in ogni particolare, occhi nocciola velati dall’agitazione e  voglia di sapere.
«Wow, è fantastico. Davvero fantastico.»
«Sam ti conosco, dimmi tutto quello che pensi.»
«Non c’è nulla che va, eh. Il mio ragazzo e i miei migliori amici partiranno per non so dove, per incidere un cd, e sono felicissima cazzo, è il vostro sogno.»
«Ma questo influirà sul nostro rapporto e non sai come ci sto male. Possiamo farcela, starò via solo un mese e poi potrai venire con noi.»
«Un mese diverrà due, tre, quattro e così via.» un caldo venticello cominciò a soffiare e le lampidine sopra alla loro testa iniziarono a sbattere l’una contro l’altra.
«Vivremo insieme, Cass verrà con noi, non ci saranno problemi.»
«E rinunciare ai miei sogni? No, Brian, non posso.» indietreggiò staccandosi da lui.
Il moro abbassò la testa, sedendosi. «La Columbia University.»
«La Columbia University, esattamente. Ho ricevuto stamattina la lettera e.. mi hanno accettata.»
Alzò subito il viso su di lei.
«Oh.»
«Forse, forse.. Brian non sai quanto mi faccia male dirlo ma dobbiamo inseguire i nostri sogni. Un rapporto a distanza non potrà che farci del male. Dobbiamo avere la mente libera e nessuna preoccupazione addosso, mettere tutte le forze in quello che amiamo, pensare e puntare solo a quello. Io mi sono innamorata di te e questo lo sai e se lo sei anche tu e tieni a me, questa è l’unica scelta giusta.»
Era una delle sue doti; l’incredibile capacità di dire tutto senza parole sulla lingua, schietta, decisa e dura peggio di un comandante e in cuor suo, Brian, sapeva che aveva ragione, lo aveva sempre saputo che quel rapporto e i loro sogni diversi non avrebbero potuto mai coincidere perfettamente.
Strinse l’erba e inficcò le unghie nella carne e guardò le lacrime scenderle sul viso.
«Quindi è finita, neanche due settimane ed è finita. » non seppe dove trovò le forze di parlare.
«Sì.» disse flebilmente e il chitarrista recepì quella parola fredda come un miliardo di coltelli affilati lacelargli la pelle. I suoi erano lontani e spenti, udiva le grida di James eccheggiare per tutta l'aria.
Abbozzò un sorriso: aveva visto Daisy. 
Capisci quanto tieni alle persone, solo ed esclusivamente, quando esse escono dalla tua vita d’improvviso, da un giorno all altro.












 












Buonsalve people :)
Ed ho pubblicato anche il dodicesimo capitolo, con un pò di fatica, ma l'ho fatto.
Purtroppo non ho molto tempo, anche se manca veramente poco alle vacanze, avrò da studiare fino a sabato e il prossimo lo pubblicherò, infatti, la settimana seguente. Scusate.
Per quanto riguarda questo capitolo;  sono a conoscenza delle frasi, discorsi senza senso e filo logico, pieni zeppi di errori e chiedo venia!
Ho il cervello spappolato stasera e sto sparando cavolate a destra a manca ( del tipo, "Gambe Boy" al posto di Game Boy e "Tu domani a che ora venni alla stazione del parcheggio dietro casa mia?" e "Devo portare il cane alla tv" pensate un pò come sono lucida D:)
Ringrazio chiunque abbia recensito, chi l'ha messa fra le preferite, ricordate, seguite e chi la legge semplicemente.
Adesso inizia il bello, che fine faranno? Sam aspetterà Brian?
Il prossimo capitolo sarà un salto nel futuro, cari miei e io vi auguro una buona lettura e una buona notte :)

Ps: Io vorrei fare, se mi è possibile e se mai ci riuscirò, l'università nel campo proprio del giornalisimo e chissà, un giorno, in America. Ho chiesto in giro (una ragazza che conosco, ha avuto la possibilità di visitarla) e mi è stato detto che è ottima, quindi ho optato per quella :D

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Capitolo 13
*** Chapter 13. ***


Efelidi.

Los Angeles.
April, 2010. h 08.42.







I tacchi lucidi, color salmone chiaro, picchiettavano sulle mattonelle bianche del pavimento, in contrasto con le pareti grigie chiare, svelte, aumentando il passo sempre di più e arrestandosi poi di fronte alla porta di vetro bianca con un piccola targhetta color oro, con su scritto il nome del suo capo a piccole lettere. Guardò il fine orologio al polso e spostò una ciocca ribelle dietro l’orecchio facendo un bel respirone. Era in ritardo solo di pochi minuti per colpa di un acquazzone primaverile, di quelli che ti sorprendono all’improvviso, nel giorno più importante della tua vita e quando hai piedi hai delle scarpe di venti centimetri e una camicia leggera bianca. Per fortuna non si era bagnata molto, era riuscita a trovare un piccolo ombrello turchese all’interno della sua borsa, così grande da far invidia a Mary Poppins, ma la testa le doleva e sentiva il raffreddore farsi larga. La sua salute faceva veramente schifo e le volte che non si era sentita male si potevano contare sulle dita della mano.
Passò un dito sulle labbra e impugnando saldamente i fogli del suo nuovo articolo, entrò all’interno dell’ufficio da cui si sentiva un nauseante odore di incenso. Non ideale per il suo mal di testa.
«Sam, questa pioggia ha sorpreso anche te?.»
«Sì, mi scusi per il ritardo. La sfortuna continua imperterrita a complicare la mia vita.» appoggiò le due borse, una di lavoro e una personale, a terra, vicino alla morbida, ma scomoda, poltrona blu notte, sedendosi poi su di essa. La gonna, a vita alta, la stava torturando e non vedeva l’ora di essere adagiata sulla sua -di poltrona- e bere la sua ninfa chiamata “caffè mattutino e rigeneratore” dalla sua collega Marta.
«Quante volte ti ho detto di non darmi del lei? So di essere il tuo superiore, ma mi fai sentire ancora più vecchio.» Sam sorrise e gli passò l’ammasso di fogli stropicciati agli angoli e con l’ombra di qualche gocciolina fresca.
Jeremy Paul Mckenny era il boss di tutto il piano, nonché direttore dell’intero giornale e della rete televisiva nel campo del telegiornale e delle news. Era un uomo alto, un fisico che mostrava tuttora i lunghi anni passati a giocare a calcio, due piccoli occhi castani, velati da degli occhiali dalla montatura grossa e nera, folti capelli brizzolati e delle tracce lievi di barba sulle guance e mento. Vestiva sempre elegante, come il suo lavoro richiedeva, e Sam non lo aveva mai visto senza una cravatta, era arrivata pure a pensare che anche in casa o quando correva non se li togliesse.
«Sei riuscita ad intervistare la psicologa da quello che vedo. E non c’è mai riuscito nessuno, quella donna ha una lista di clienti lunga come il fiume Missouri. Ottimo lavoro, davvero ottimo lavoro.» lasciò i primi fogli sul tavolo e passò a scrutare quelli sottostanti. «Per quanto riguarda l’omicidio di una settimana fa?»
«David è riuscito a contattare uno dei testimoni ed entro domani pomeriggio andrò a parlarci direttamente io. Spero non mi urli contro e sia uno dalle giuste intenzioni.» sospirò appoggiandosi allo schienale e guardando la bella Los Angeles dalla grande vetrata.
«Ben fatto, Reed.» ripose i fogli insieme ordinandoli come aveva fatto lei in precedenza. «Mi raccomando, stasera dovrai essere puntualissima, stare attenta a non fare errori e.. calmati. Andrai benissimo, sei una brava giornalista quando vuoi, perché hai un dono e devi metterci tutte le tue forze, okay?»
«Almeno spero che questa volta non ci siano errori tecnici. Se un collegamento non andrà bene, mi sotterrerò sotto alla scrivania scomparendo e strisciando via come un verme, giuro.»
Jeremy scoppiò a ridere, chiudendo gli occhi e scuotendo la testa, poi si alzò e si avvicinò a passo lento verso la ragazza.
«Ripeto: andrai benissimo. Adesso puoi andare, hai il resto della giornata libera a una condizione. Riordina quella sottospecie di scrivania piena di robaccia.» con il dito magro indicò una lunga scrivania in legno chiaro dall’altra parte della piccola finestrina con le tapparelle bianche, che usava per osservare i suoi dipendenti svolgere il rispettivo lavoro.
«Non è robaccia.» disse finta offesa, alzandosi e piegandosi leggermente per recuperare le sue migliaia di cose. Notò che per sbaglio le era caduto il suo vecchio specchio nero di quando era più piccola e che l’aveva sempre accompagnata portandole fortuna in tutto, o quasi tutto.
L’uomo sogghignò. «Finchè non ho sotto il mio bel naso un mio ritratto, non potrò dire il contrario. Lo hai fatto a tutto il piano e non a me. Mi odi per caso?»
Sam arrossì, grattandosi un braccio. «Non l’ho fatto a tutto il piano.»
«L’inserviente l’altro giorno lo stava mostrando fiero a un collega. Eppure da giovane ero fotogenico.»
«Lei è ancora fotogenico e, non si preoccupi, lo avrà sicuramente.» detto questo lo salutò, uscendo dal grande ufficiò e si diresse verso la sua scrivania. C’erano dei fogli sparsi ovunque; vecchi articoli, appunti, testimonianze, foto, disegni, fogli bianchi, foglietti, cartine per le sigarette e quelle delle caramelle, buste dei panini e contenitori di bevande. Storse la bocca disgustata e irritata.
«Odio dirlo ma il capo ha ragione, è un casino questa postazione.» mormorò.
«Quando lo dicevo io però nessuno mi considerava.» appena si voltò si ritrovò un bicchiere marrone e un odore pungente di caffè caldo appena fatto sotto il naso.
«Sei la mia benedizione, Marta.» le strappò la bevanda dalle mani abbronzate e fresche di manicure, lasciandosi cadere sulla sua amata poltrona di pelle nera.
«Hai passato di nuovo la notte in bianco?» la ragazza mora le si parò davanti e passò le mani sul suo tubino celestino chiaro che le metteva in mostra il fisico asciutto e le curve appena accennate. Quella ragazza, a primo impatto, non pareva una giornalista, ma una giovane modella; a ingannarla, infatti, oltre al suo fisico, erano la sua altezza e le sue lunghe gambe, il viso delicato e sempre truccato perfettamente, le labbra carnose e i capelli acconciati in maniera impeccabile e diversa tutti i giorni. La trovava bellissima in ogni modo.
«Si vede molto?»
«Le tue occhiaie e la tua voglia accentuata di caffeina lo confermano al cento per cento.» sospirò, incrociando le braccia e puntando gli occhi verdi nei suoi: segnale che non prometteva niente di buono. «Sam mi fai diventare logorroica e ripetitiva, capisci?»
Appunto.
«Tu, invece, capisci che è più forte di me? Ho fatto una fottuta promessa a me stessa e non sono riuscita a mantenerla.» sorseggiò la bevanda e incrociò le gambe. Dio benedica chiunque abbia scoperto il caffè.
«Ti stai solo facendo del male e mi stai costringendo a staccarti internet.»
«La data è fissata al sette maggio, da quello che ho letto.»
«Io non ti afferro, sono seria. Vuoi tenerti lontano da loro in tutti i modi e cerchi le notizie su internet come una fan, questo mi fa intuire che ti importa ancora. Ti importa di lui.»
Odiava quel lato di Marta, odiava il suo aspetto ingannevole da ragazza idiota, quando in realtà era intelligente e sveglia, odiava il suo studiare le persone nei minimi dettagli ed essere in grado di fare un resoconto degno di una delle migliori psicologhe, odiava lei in generale perché le ricordava Cass. La sua Cass che non vedeva da quattro anni. Forse era anche quello il motivo per cui, fra tutti, Sam, si era avvicinata maggiormente proprio a lei:
Le ricordava casa.




h22.20





Quello che ci voleva dopo una serata del genere era una bella coppa del miglior gelato alla stracciatella in commercio, un divano morbido, una televisione e un film decente da vedere. Naturalmente non vi era niente di dignitoso alla televisione quindi aveva optato per noleggiare il suo film horror preferito e guardarselo per la millesima volta. Pigiò il tasto d’avvio nel telecomando e sprofondò fra i grandi cuscini, coprendosi le gambe nude con una coperta ed evitando di udire la pioggia picchiare forte nei vetri delle finestre.
Appena mise in bocca il cucchiaio e percepì freddo colpirle i denti, sentì il suo cellulare vibrare nella taschina dei pantaloncini e lo tirò fuori.

Sono fuori dalla porta, aprimi testina, M.

Corrugò la fronte e scattò in piedi, con la coppetta e il cucchiaio saldo in bocca.
«Un ombrello ti faceva schifo?»
«Quando sono uscita io non pioveva, ho messo piede fuori dalla macchina ed è venuto giù il mondo. Come sempre ho trovato parcheggio dall’altra parte dell’isolato.» si tolse le superga bianche sporche e bagnate vicino alla porta. «Hai già iniziato brutta cicciona? E io che avevo portato le patatine.» in punta dei piedi si fece spazio nel grande soggiorno.
«Altolà, dove credi di andare zuppa così? Vai ad asciugarti in bagno, gli asciugamani sono..»
«Nello sportello in basso, lo so.» terminò lei, avviandosi verso la stanza.
Posò le buste bagnate sul tavolo da pranzo della cucina, coincidente con il soggiorno, e tirò fuori le patatine, aprendole e disponendole, tutte mischiate, in una ciotola arancione.
«Non mi dici nulla?»
«Spero in un attacco alieno e nella fine del mondo.»
«Oddio, basta, lo dici sempre.»
Sorrise. «Abitudini del passato.»
«Sei stata fantastica stasera. Ti sei solo imbrogliata verso la fine, quando al posto di dire “buonasera” hai detto “buongiorno”!» urlò, sovrastando il rumore del phon.
«Oh, ti prego non me lo ricordare. Possiamo parlare d’altro, per favore?» rispose.
«Vabbene. Avevi un vestito da urlo, te lo ha dato la costumista, vero? Sai di che marca è per caso? Lo voglio assolutamente.» Sam roteò gli occhi sorridendo, lasciò la ciotola sul tavolino di vetro e se ne andò nella sua spaziosa camera. L’aveva dipinta lei stessa di un celestino tenue mischiato a un verde, i mobili erano di legno, con un letto a una piazza e mezzo nel centro –le coperte erano rigorosamente con degli zombie disegnati sopra- le pareti ricoperte di fotografie in bianco e nero, fatte da lei e non, poster e dischi. Attaccato al grande armadio c’era il vestito di cui parlava Marta, lo prese con un dito e prima d’uscire, si diede un’occhiata allo specchio a onda. Esteriormente era davvero cambiata; i capelli erano più lunghi e con dei riflessi più chiari e rossi, mossi, un ciuffo all’indietro le cadeva sulla fronte, la pelle era più abbronzata e rosea, era diventata più alta di qualche centimetro e la tavola da surf si era trasformata in una terza abbondante ed era pure dimagrita. Invece, interiormente rimaneva la solita ragazza con la passione per la vera musica, il disegno, la fotografia e lo skateboard. Era riuscita anche a farsi un tatuaggio sulla spalla, di una geisha in bianco e nero, e un piercing sopra al labbro, che doveva nascondere a lavoro.
L’unica cosa che non le piaceva erano i suoi occhi. Non erano quelli di un tempo, erano spenti, velati, più scuri e non trasmettevano nessuna emozione.
Scosse energicamente la testa. Non voleva pensarci, non doveva. Uscì dalla stanza a passo svelto, scivolando con i calzini rosa per il parquet.
«Intendi questo vestito?»
«Dal vivo è più bello.» Marta spense il phon, raccolse i capelli in una coda alta e sbarazzina e lo sfiorò con le punta delle dita.
«E’ tuo.» gli occhi adoranti si spostarono dall’abito a lei.
«Mio?»
«Sì, te lo regalo. Tanto non sono un’amante degli abiti, ne ho uno sfare e preferisco altri generi» le saltò tra le braccia, avvolgendola in una stretta salda e la baciò su entrambe le guance ringraziandola.
«Okay, okay, mi uccidi così. Ci vediamo questo benedetto film?»
«Come sei impaziente, lo sai a memoria, se aspettiamo cinque minuti non muore nessuno!.» seguì l’amica di nuovo nel soggiorno, superandola poi e gettandosi, in un lancio, non troppo delicato, sul divano.
«Invece qualcuno, qui, muore e anche presto.» le lanciò un’occhiata truce, prendendo la ciotola con le patatine e sedendosi con in grembo essa vicino all’amica.
La mora impugnò il telecomando e, per sbaglio, accese la televisione normale che si sintetizzò subito su un canale di musica esclusivamente rock e metal.
«Marta, cazzo!»
«Scusa, ho sbagliato. Acidina stasera, eh?.»
«Non sono acida.» incrociò le braccia al petto. Detestava quel canale, non per la musica, era grandiosa quello sì, ma per il fatto che giravano sempre, ventiquattro ore su ventiquattro, i video di loro.
Infatti, non fece a tempo a toccare il telecomando, che sentì una voce che conosceva fin troppo bene rimbombarle negli orecchi. Alzò lo sguardo lentamente verso il grande televisore al plasma.
«Salve a tutti ragazzi, qui per voi Luke. Come tutti i giorni, oggi, parleremo di un artista, a seconda delle vostre votazioni sul nostro sito e come avete sentito pochi secondi fa, oggi parleremo proprio di Matt Shadows. Il frontman della band degli Avenged Sevenfold sarà ospite domani nei nostri studi. Ci racconterà della sua vita e per la prima volta in assoluto mostreremo delle foto del suo matrimonio segreto con la bellissima Valary DiBenedetto! Beh, mi raccomando, sinton..»
La televisione si spense subito; Marta con il braccio ancora a mezz’aria la guardò preoccupata.
«Allora, ce l’ha fatta. L’ha sposata davvero.» sorrise.



Huntington Beach.
April, 2010. h18.15





Tornare a casa dopo lunghi mesi in tour aveva sempre sia dei lati positivi, sia dei lati negativi. Quelli positivi erano che potevi vedere la tua famiglia e riposarti, quelli negativi, dall’altra parte, erano che, vedendo la tua casa, troppi ricordi riaffioravano, oltre a non poter suonare sui palchi per tutto il mondo. Huntington Beach non cambiava mai di una virgola, tutto rimaneva uguale e indissolubile, fossero passati anni e anni. C’era sempre quell’orrenda statua a forma di albero, in bronzo, in mezzo a un giardino troppo secco perfino per gli animali, quel laghetto artificiale pieno di rane e zanzare in qualunque momento dell’anno, quel supermercato costantemente scippato, quel molo con tavoli su tavoli pieni di scritte e quell’oceano che riusciva a spazzarti via ogni cosa dalla mente.
«Brian, tesoro. Stai bene?» sentì il tocco leggero di Michelle sul braccio. Si ricompose inforcando gli occhiali sul naso e si voltò verso la sua fidanzata e il suo anello di diamanti da migliaia di dollari.
«Vado da Matt. Se torno a cena ti chiamò, okay?» la baciò sulle labbra di sfuggita come era ormai solito fare e se ne andò in sella alla sua vecchia moto verso la casa del suo amico, senza aspettare la risposta della bionda. Eppure doveva averlo compreso o il biondo della sua tinta le aveva dato alla testa? Erano anni che, appena mettevano piede a casa, lui se ne fuggiva dal suo migliore amico. Un abitudine quasi un riflesso incondizionato fissato come un appuntamento a cui non poteva mancare.
«Forse se non avremmo sfondato con i Sevenfold, avresti trovato lavoro come psicologo.»
«Mh? Psicologo?» chiese confuso, dando un morso al pezzo di pizza ai peperoni.
«Sì, sai dare dei consigli decenti. Sai calmare la parte mostruosa di me da non farmi trasformare in un Hulk capace di fare una strage in pochi secondi.» si portò le mani dietro alla testa, appoggiato alla sedia della cucina, masticando velocemente la crosta della sua pizza ai funghi.
«L’ho imparato stando accanto a te per undici anni e soprattutto a Jimmy. Lui era l’anima calma del gruppo, un ossimoro in mezzo a bombe pronte ad esplodere al solo tocco, l’unico che riusciva a riportarti con i piedi sulla terra e nella direzione giusta.»
«Jimmy era un regalo magnifico.» abbozzò un sorriso.
Jimmy era soltanto Jimmy.
Sospirò e si alzò per prendere una birra nel frigo e lasciare il cantante nei suoi ricordi. Pure la cucina era tappezzata di fotografie della vita dei ragazzi, c’era un ingrandimento di Matt da piccolo, uno di Val e uno di tutto loro insieme al loro secondo concerto al Johnny’s. Spostò lo sguardo su ogni faccia finchè non si fermò su quella magrolina di una ragazza mentre stava ridendo e Johnny cercava di tirarla su in un tentativo in ,utile visto l’altezza maggiore rispetto alla sua. Sorrise amaro, bevendo un sorso dalla bottiglia ghiacciata: ghiacciata come il suo cuore.
Undici anni, undici anni senza vederla o sfiorarla. Il giorno dopo quello maledetto sulla spiaggia, se ne era tornata a casa sul primo pullman che aveva trovato senza dire niente a nessuno. Quando erano tornati lei se ne era andata una seconda volta da una sua zia e anche lì, nessuno aveva avuto sue notizie. Poi quel giorno, quel 28 dicembre. Aveva preso il suo cellulare, sperato che non fosse il suo numero ed sfortunatamente aveva detto quelle due fatidiche parole per riattaccare dopo poco. Al funerale l’aveva intravista vicino a sua madre e a Barbara, ma il dolore e le lacrime gli avevano offuscato la mente.
«Brian?»
«Ehi, Val.» salutò la ragazza ferma sulle scale con un cenno della mano e tornò a fissare la foto.
«Quella è stata la prima e unica volta in cui sono riuscita a scambiare quattro chiacchiere con lei.»
Brian si voltò nella sua direzione: non lo sapeva.
«Io e Mich eravamo ferme sul ciglio della strada ed è arrivata come un uragano in sella al suo skateboard. Ironica, buffa, strana e impulsiva.» sorrise.
«L’uragano Sam. E’ arrivata ed ha sconvolto le vite di tutti per scomparire all’improvviso e lasciare disordine ovunque.» sospirò.
«Matt è in uno stato comatoso sulla sedia, spero si sia ripreso.» continuò smorzando il silenzio sprofondato subito.
«Sanders sei tra noi?» urlò la biondina, facendo scoppiare a ridere il ragazzo.
«Sì, ehm. Brian, Val, fossi in voi verrei qua.» si scambiarono un occhiata confusa e entrarono in cucina. Il ragazzo era nella stessa posizione in cui lo aveva lasciato prima, però di spalle nella direzione della televisione da cui proveniva una voce squillante di una donna.
«Il telegiornale, perché?»
Brian superò Val, riconoscendo la voce immediatamente e riuscì finalmente a vedere una figura di una donna dai lunghi capelli biondi, occhi azzurri spenti, guance arrossite e l’aria di una che ne sapeva tante.
«Cazzo.» sussurrò.
«Brian, la birra sul tappeto macchia!»























Salve, people :)
Ecco a voi il tredicesimo capitolo che sa molto di Ritorno al futuro.
No, okay, non c'entra niente LOL
Insomma, la nostra cara Sammina è riuscita a realizzare il suo sogno e sono passati molti anni e le cose sono cambiate. Già già.
Scusate eventuali errori, i personaggi non mi appartengono ed è tutto frutto della mia mente malata.
Ringrazio:
Amelie__
Mezmer_
zetavengeance
e chi l'ha messa fra seguite, preferite, ricordate e chi la legge semplicemente.
Secondo voi come andranno le cose?
Scusate come al solito sono di fretta D:
Buona lettura,
alla prossima Gheggo.

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Capitolo 14
*** Chapter 14. ***


Efelidi.

Huntington Beach.
April, 2010. h10.27







Sam infilò la chiave nella serratura e si fermò ad osservare la luna che faceva capolino da dietro il piccolo bosco alle spalle della sua villetta. Era piena e bianca, coperta in qualche punto da trine di nuvole soffici. Le tornò in mente una vecchia storia che le raccontava sua nonna da piccola quando andava a trovarla, amante delle leggende, incantesimi e creature magiche. La storia di un lupo che aveva perso uno dei suoi cuccioli e, ululando, la luna gli era venuta in aiuto ritrovandolo. Però non si ricordava la fine e, più ci pensava, più era confusa, quindi lasciò perdere e spinse il portone bianco, lanciando le buste della spesa in un angolo.
«Finalmente sei tornata! Dimmi che hai la mia dose.»
«Sì, ma non lo urlare ai quattro venti.» si piegò sulla borsa di plastica più piccola e ne tirò fuori un pacchetto, passandolo all’amica strepitante mentre si mordeva frenetica il labbro e fissava con adorazione la confezione.
«Lo sai che troppi fanno male?»
«Io ringrazio il creatore e mi inchino di fronte a lui. Devo fargli una statua quando torniamo a LA.» la bionda scosse la testa riordinando il cibo nel frigorifero. Marta era seduta, invece, sul divano a ingozzarsi di marshmallow alla fragola ed a guardare l’inizio di Ostel.
«Mi hai preso i cereali al cioccolato?»
«Oh merda.» si lasciò scappare, drizzando il busto nella sua direzione.
«Sam!» la mora sbuffò lasciando cadere la testa all’indietro.
«Lo sai che non mi devi dire le cose mentre esco di casa. Potevi scrivermelo sulla lista?» dalla tasca dei jeans prese il biglietto ripiegato e scarabocchiato. «Io non esco di nuovo, vacci tu a comprarli.»
«Ma li mangi anche tu e poi sei vestita!»
«Perché te no?» alzò un sopracciglio. «Alza quel tuo bel culo dal divano e vai al supermercato.»
«Sono qui da neanche un giorno e mi vuoi mandare in centro?» si alzò, raggiungendola nella cucina. «Ho il senso dell’orientamento sotto i piedi e mi perderei di sicuro.»
«E’ l’ora di acquistarlo. Tieni, ti farà comodo.» da un cassetto del piccolo mobile nel corridoio estrasse una cartina e gliela lanciò dritta tra le braccia.
«Almeno il tom tom.» chiese esasperata.
«Te lo scordi!»
«Perché?»
Marta incrociò le braccia al petto assumendo un’aria offesa con tanto di labbrino in bella mostra.
«Sei capace di distruggermelo con i tuoi modi dolci!» con le dita fece il segno delle virgolette.
«Distruggerlo? Io? Se non mi è mai caduto neanche il cellulare.»
«Quello nuovo. Quant’è che ce l’hai? Un mese? Massimo due?»
«Sei una fottuta acida.» strinse gli occhi.
«E tu una scansafatiche.»
«Parla quella che dorme ventotto ore su ventotto.»
«Vorrai dire ventiquattro ore su ventiquattro, Marti.» cercò di trattenere le risate onde evitare che, la mora, si arrabbiasse ancora di più.
«Sei.. tu sei.. uffa.» si voltò facendo volare la chioma di capelli castani e salì al piano di sopra, impuntando i pieni nudi nella moquette grigia.
«Chi fa per sé, fa per tre. Ricordatelo.» ridacchiò a sentire un “vaffanculo” a pieni polmoni e in un italiano perfetto dal piano di sopra.







Ci volle circa una buona mezz’ora e due persone per trovare il grande supermercato e, dopo essere stata quasi arrotata da una vecchia signora, entrò nell’edificio. La prima cosa che fece fu gettare il cartone bianco pieno ancora del liquido scuro e dove sotto la scritta “estremamente caldo” compariva in una calligrafia frettolosa e in rosa il suo nome.
L’aria condizionata le punzecchiava la pelle e un afflusso di persone si faceva largo tra i vari reparti. Seguì l’indicazione dei dolci e subito riuscì a individuare la confezione dei suoi cereali preferiti su uno scaffale in alto.
Io dico, non è che al mondo siamo tutti alti uno e novanta, cristo!
Salì in punta di piedi, facendosi forza sullo scaffale più basso e sulle sue esili braccia: non sarebbe mai tornata a casa senza di loro.
«Dove sono i commessi rompi balle quando servono?» mormorò, fissando in cagnesco la scatola azzurra. Forse se ci metteva un po’ più di attenzione, la scatola avrebbe preso vita e si sarebbe mossa nelle sue mani.
Sì, nei sogni, Marty.
«Serve una mano?» disse una voce bassa, maschile, leggermente inclinata.
«Avrei bisogno deli cereali. Quelli con l’adorabile pollo stampato sopra. A quanto pare, c’è una discriminazione per i meno dotati in altezza.» teneva sempre le spalle alla figura, che con facilità riuscì a tirare giù la maledettissima confezione. Si girò verso di essa, pronta col suo migliore sorriso finto e una serie di ringraziamenti da sparare e liquidarsi poi.
«Grazie mille. E’ un po’ imbarazzante però..» si irrigidì all'istante.
«Si figuri. Come vede anche io non sono stato dotato di quei centimetri necessari ad arrivare ai vari scaffali.»
Il suo cervello era riuscito a collegare l’uomo di fronte a lei con la scatola a mezz’aria in una mano, come una sorta di nemico. Un allarme scattato nella sua testa come una scritta in rosso lampeggiante.
«Ma lei è quella giornalista di moda.. ehm, mi sfugge il nome.. Mar..»
«Marta Coleman, come l’attore Gary Coleman, esatto.»
«Beh, io sono Zacky, come Zackary Levi.»
Zackary James Baker detestava fare la spesa, sia perché ripeteva convintissimo che fosse un compito creato e studiato per le donne che per il fatto che non sapeva mai cosa dovesse comprare, nonostante avesse la lista sigillata nel taschino della sua tuta. Lui era uno di quegli uomini che suddivideva ogni cosa e incarico, preciso, ordinato e in maniera dettagliata. Tutta la sua vita, in parte, era programmata. C’era quello che doveva fare lui, quello che dovevano fare i ragazzi e quello che doveva fare la sua amata Cass. Un pensiero leggermente maschilista ma che faceva purtroppo parte del carattere del ragazzo.
Un’altra cosa che faceva parte del suo carattere era la straordinaria capacità di capire se un giornata sarebbe andata bene o no. Straordinaria perché ci azzeccava sempre. Aveva una brutta sensazione? Sarebbe successo qualcosa di negativo e viceversa.
Quella mattinata, al contrario, non riusciva a catalogarla bene
Vedendo che la ragazza non muoveva un dito e se ne rimaneva immobile a fissarlo, si schiarì la voce.
«Sei una nostra fan?»
«Eh? Fan? Oh, no, per l’amor del cielo.» a quella frase accompagnò una leggera smorfia ripensando alla volta in cui, per caso, aveva fatto partire una loro canzone da youtube.
Osceni, pesanti, urlanti e rumorosi.
«Tutti hanno gusti musicali diversi e non c’è nulla di male. Ti avevo già inquadrato dalla maglietta che porti. Mia madre impazzisce per lei da.. quando ne ho ricordanza.»
«Tua madre è un genio e si intende di buona musica.» ad interrompere quello strano e curioso momento fu il cellulare di lei che suonava interperrito nella tasca dei pantaloni.
«Pronto? No, sono viva e sono riuscita a trovarlo. Certo che ho usato la cartina. No, ovvio. Sam, vaffanculo! Fiducia pari a zero, eh?» lanciò un’occhiata al ragazzo rimasto ferma a guardarlo.  Sembrava infastidito e sorpreso.
«Sam ti devo lasciare o rischio di tornare domani. Hai stoppato il film? Brava.» disse nella sua lingua madre riponendo l’aggeggio al suo posto.
«Ehm.. ecco.»
Cosa diavolo dico adesso?
«Tranquilla, so che sei amica e collega di Sam, non c’è bisogno che ti agiti così.» rispose freddo.
Alzò un sopracciglio. «Sono giusto un po’ agitata, bello mio. Come reagiresti tu, se davanti a te ti ritrovi, per caso e la prima volta che metti piede in questa città, un amico d’infanzia della tua migliore amica e chitarrista della band che l’ha fatta soffrire per tutto questo tempo? Sono anche troppo poco agitata.»
«Penso che non siano affari tuoi.» la liquidò con uno sguardo rabbioso e nervoso.
«Non sono affari miei, mh? Non c’eri tu o gli altri in questi quattro anni a tenerla su di morale, non hai passato notti in bianco perché aveva incubi su incubi, cercando di farla sorridere e scherzare.. comportarsi come una persona normale, no, non mi sembra.» aveva fatto un passo in avanti, avvicinandosi maggiormente al ragazzo, sentendo ogni muscolo del suo corpo teso e tremolante.
Era un fiume in piena e la tensione era decisamente aumentata.
«Eri costretta?» sorrise amaro. «Nel senso.. non sei stata obbligata a farlo, ne ti è stato imposto.»
Marta strabuzzò gli occhi, lasciando andare le braccia lungo il corpo. «Ma tu sei così idiota di natura o lo sei diventato? Dio, non ti facevo così deficiente, sul serio. Che ragionamenti del cavolo fai? E’ una mia amica, ci tengo ed ovvio che l’ho dovuto fare.» rispose chiudendo gli occhi e sperando che, magari, lui sarebbe scomparso all’improvviso e lei sarebbe tornata felice da Sam.
«Quindi tu non sei una nostra fan da quello che ho capito.»
«Hai capito bene.» aprì gli occhi, puntandoli su di lui. «Io ascolto altri generi musicali e non sto dietro a dei coglioni pieni di piercing e tatuaggi fin sopra i capelli.»
«Oh, afferro.» sorrise. «Tu sei più da Britney Spears, Taylor Swift, Jonas Brothers, o che so io, Madonna?»
«Cosa avresti contro Madonna, scusa?» incrociò le braccia al petto. «Fino a prima dicevi che tutti hanno dei gusti diversi ed è okay, adesso mi vai a punzecchiare la mia cantante preferita?» indicò la maglietta con la sua foto stampata sopra.
Una cosa che non si poteva mai toccare alla mora era la sua musica , la sua Madonna e ovviamente la sua moda. La passione per lei era iniziata da piccola, appena una sua amichetta le aveva regalato un vinile con quella donna dai vestiti stravaganti e dalla voce così ipnotica e leggera da farla rilassare e sognare. Automaticamente e di conseguenza era nata la passione per la moda e tutto quello che riguardava l’eccesso, l’eccentrico e il fuori dal comune ed era grazie, per dire, alla signora Ciccone e alla sua influenza che aveva portato avanti l’amore per i vestiti da farla diventare una giornalista abbastanza nota.
«Io proprio niente. Te l’ho detto. Mia madre è una sua fan sfegatata e so più cose di quanto non ti puoi immaginare.»
«Di certo non cambia il mio pensiero su di te, o sulla tua musica, o i tuoi amici.» assottigliò il tono della voce.
«E cosa sapresti, di grazia?»
Oddio, hai la faccia da schiaffi.
«So che siete stati importanti per una ragazza, che le avete spaccato il cuore in più frammenti difficili da rincollare e farli tornare come una volta, dovessero passare altri undici anni.» disse prendendogli i cereali, causa e inizio di quella stramba conversazione, dalle sue mani tatuate. «So che ama sebbene non lo ammetta ancora il tuo amico, che vi vuole un bene dell’anima e farebbe di tutto per riallacciare i rapporti. So tutto questo perché me lo dice ogni benedetto giorno. Forse solo sono una pedina in più che non c’entra nulla in questa specie di gioco, ma ci tengo a quella biondina e non voglio vederla più in queste condizioni. Adesso scusami me ne vado o dà di matto. Ci vediamo, Zackary.»
Zacky guardò con grande sorpresa la ragazza filarsene via da quella situazione scomparendo dietro l’angolo e non potè non sorridere leggermente. Ciascun movimento, parola o sguardo gli ricordava meccanicamente Cass, una sosia più alta e con più palle -nel senso metaforico ovvio-.
Sospirò abbassando lo sguardo e perdendosi nel flusso dei suoi pensieri.








Dopo che se ne era andata da Huntington Beach aveva iniziato a frequentare delle sedute da uno psicologo per aiutarla ad esternare tutti i sentimenti rinchiusi in se stessa. Ed aveva funzionato. Aveva diminuito il numero di sigarette al giorno, l’alcol, la caffeina e l’ira. Tendeva a rompere tutto ciò che le capitava tra le mani, grande o piccolo che fosse lei lo tritava in mille pezzetti. Ora sapeva controllarsi benissimo. Però quello che stava guardando sfidava anche il migliore psicologo e, sicuramente, si trattava solo di allucinazioni provocate dalla sua mente stanca.
Tirò un soffio di sollievo nel vedere, Marti, al suo fianco, fissare il modellino di due metri del Gigante di Ferro camminare per il giardino.
Quindi, non era un’allucinazione.
«Ciao mamma.»
«Tesoro, ti piace? Lo ha comprato tuo padre dopo l’ultimo viaggio in Giappone. Riesce a parlare come un essere umano e lancia la pallina al cane. Che ne pensi?»
.. che la mio padre, da solo, e con dei soldi,è davvero pericoloso.
«E’ grandioso, davvero grandioso. Tu che ne pensi, Marti?» sorrise raggiante verso l’amica che staccò gli occhi dal robot piegato a guardare il piccolo cagnolino.
«Perché indossa un tutù?»
«Era nella confezione.» si guardò intorno e riprese a parlare. «Sono degli aggeggi moderni che manipolano la mente e ti fondono i neuroni, come il resto della tecnologia insomma.»
«Allora non ti piace!» esordì la bionda affiancando la madre e superando il cancelletto del giardino.
«Come fai a dirlo a tuo padre? Era così contento che l’ho assecondato.» scosse la testa. «Quando si mette in testa qualcosa è impossibile rimuoverlo.» entrate nel piccolo soggiorno, preparò i bicchieri con la limonata. Era la ricetta di casa Reed, tramandata e tramandata da madre in figlio col passare degli anni e delle generazioni. Per Sam, invece, era una sciocchezza, poiché non aveva niente di speciale e i normali ingredienti di una normale limonata. Ma guai a dirlo a una madre attaccata così tanto alle tradizioni da farne delle leggi.
«Comunque..» passò un bicchiere ad entrambe le ragazze. «.. come mai siete qui?»
«Passavamo per caso.»
«Nessuno passa per caso. Soprattutto se quel qualcuno si è presentato il giorno prima.»
«Noi sì. Allora, mamy, non abbiamo avuto l’occasione di parlare per bene. Cosa.. cos’è successo in questi anni? Qualche news? Scoop? Pettegolezzo?» Sam si sporse in avanti; i gomiti impiantati sulle ginocchia magroline e pallide, coperte da una leggera gonna nera e un sorriso un po’ troppo tirato sul volto poco interessato.
Laryssa incurvò il sopracciglio chiaro, scrutando la figlia con sospetto. «Se hai da dirmi qualcosa, fallo adesso, senza rigiri. Ti conosco, Samantha, meglio di quanto puoi immaginare. L’ultima volta che ti sei interessata a qualche pettegolezzo del quartiere avevi quattro anni ed era per il tuo giornalino personale.»
La bionda si irrigidì sull’attenti, avvertendo un fremito lungo la colonna vertebrale e le gambe molli e pesanti.
«Samantha?» domandò sorpresa la mora.
«Odia farsi chiamare con il suo nome di battesimo intero e nessuno riesce a capire il perché. Mmh..» sospirò incrociando le braccia con delicatezza e lentezza. «.. questa limonata è davvero ottima.»
«L’ultima volta che mi hanno chiamato così, o meglio, mi ha chiamato così è stato all’età di dieci anni, mamma.» disse seria.
«Perché lo odi?»
Sam si voltò verso Marta. «Non lo so.. sai? Cioè, non lo odio, odio, semplicemente preferisco Sam. E’ più.. carino. Ci sono tanto abituata.»
Marta portò una mano sulla fronte e si appoggiò allo schienale del divano. «E io che non me ne sono mai accorta. Certo, non ci ho pensato, tanta gente si chiama così, però fa effetto. E poi Samantha è un nome così bello!» scattò dritta.
«Me lo ha suggerito sua nonna. Si dice che sia nato molti secoli fa durante un processo per stregoneria e il suo significato sia “nome di Dio”. E’ anche il secondo nome di mia zia.» rispose tranquillamente bevendo un sorso dal bicchiere.
«Wow.» meravigliata si voltò nuovamente verso la bionda. «Ehi, perché non me lo hai detto?»
«Ma sei la donna del perché tu?» roteò gli occhi al cielo per poi scoppiare a ridere attenuendo il nervosismo. «Non mi sembrava così importante, tutto qua.» poggiò la borsa di pelle nera sul divano e prese il pacchetto nuovo di sigarette, liberandolo dalla plastica trasparente.
«Come stavo dicendo, io, ti conosco fin troppo bene e so dove vuoi andare a parare. Si, continuano a venirmi a farmi visita appena possono. Mi raccontano dei tour e della loro vita, di quanto siano contenti di quello che è successo, di quanto amano ciò che fanno e mi chiedono di te.»
«Buon per loro.» rispose acida. 
Laryssa lasciò il bicchiere vuoto sul tavolo e si portò un dito sulle labbra. «Sai vero che la miglior arma è il perdono?»
Sam puntò i suoi occhi azzurri in quelli castani della madre. «Certo, certo.» fece un tiro.
«Hai un vero talento per farti del male. Vuoi sapere come la penso io?»
«Anche se rispondessi contrariamente ho la mezza idea che me lo dirai lo stesso.»
Marta guardava le due donne in silenzio e con grande rispetto per entrambe. Si soffermò maggiormente sulla signora Reed e il portamento davvero educato. Doveva essere stata una donna con un grande temperamento ed esperienza.
«Sarò schietta e indolore: devi darti una svegliata e andare da lui.»
Fece una risata amara e si torturò una ciocca ribelle uscita dalla crocchia disordinata.
«Di solito è l’uomo a fare il primo passo.»
«Se stai dietro a queste fandonie andrai poco lontano, tesoro. Hai due possibilità: si può scegliere la linea d’attacco e buttarsi oppure dimenticare e andare avanti col la vita sconfitti. Però non puoi dimenticare, al massimo puoi bere e sperare che tutto svanisca d’incanto ma non è una favola o un film, è la vita vera Sam e tu, alla fine, hai una possibilità sola, tocca a te a prenderla. Io so solo che non voglio più vedere il cuore spezzato di mia figlia e il dolore negli occhi di un ragazzo.»







Michelle era impazzita. Se ne stava lì, intorno alle sue amiche fatte e rifatte, ad urlare squillante di come i riferimenti d’oro donassero alla sua pelle abbronzata. Si era provata una ventina di abiti solo il giorno prima e non era riuscita a trovare quello adatto, quello che le faceva sentire le farfalle nello stomaco. A lui, invece, era bastato entrare dal primo negozio di abiti matrimoniali e scegliere lo smoking più nero, bello e costoso che avessero. Dopotutto il matrimonio durava un’ora e si sarebbe sicuramente cambiato con abiti più comodi.
«Un mese? Sta scherzando, spero? Non posso aspettare un mese per avere il mio abito! E’ inaccettabile.»
Brian, esasperato da quella situazione e con la nausea per il troppo profumo interno alla stanza, roteò gli occhi e fece un passo in avanti. «Mich, ci sposiamo fra tre mesi, fino a quel giorno non lo indosserai mai, hai aspettato fin’ora cosa ti costa aspettare altri trenta giorni?»
«Mi costa eccome Brian. Se poi dovessi ingrassare?» si voltò verso di lui, in piedi.
«Basteranno due punti, no?» e guardò il sarto seduto di fronte alle donne annuire e ringraziarlo per averlo salvato dal linciaggio. «Inoltre, sei magra da far paura ed è elasticizzato.» puntò lo sguardo su di lei.
«Ma se cambiassi idea? Mi conosci, sono imprevedibile.»
Sospirò. «Val, è vero che non cambierà idea?» cercò aiuto nella sorella gemella appena tornata da New York.
«Mich, Brian, ha ragione, dai, stai tranquilla, mettiti il cuore in pace e fidati.» senza farsi vedere mimò un grazie con le labbra alla mora che sorrise di rimando.
«Bene, vada per un mese. Invece, per il velo, lo vorrei appena più chiaro dell’abito e con qualche ricamo alla fine.»
Il moro sospirò e, inforcati i fedeli occhiali, afferrò le chiavi della macchina e il pacchetto rosso e se la svignò all’esterno della casa diretto verso quella dell’altro chitarrista.
Non riusciva a rimanere ancora in quella casa, con quelle persone così false e odiose da dargli allo stomaco. Huntington Beach lo cambiava. Toglieva la maschera di Synyster Gates e tornava ad essere il solito Brian Haner, un bambinone nel corpo di un trentenne, spensierato e diviso in due. Diviso in due perché la sua città natale, come il resto, gli ricordava inevitabilmente la sua adolescenza e il suo primo amore.
Il suo primo, unico, amore.
Era una ferita ancora aperta che difficilmente si sarebbe chiusa presto, o del tutto.
Lanciò un’occhiata al vetro della sua macchina, parcheggiata fuori casa Baker, e guardò il suo viso attraverso il riflesso. Il solito viso, con il solito naso, i soliti occhi nocciola, le solite labbra fini e due grossi solchi circondati dalle occhiaie violacee. Una cosa non c’era più: le sue efelidi. Sapeva quanto ci impazziva, lei, e quante volte gli aveva ripetuto che erano davvero carine e quanto gli donassero, quindi aveva deciso di nasconderle, ogni volta, con un fondotinta speciale. In ogni occasione faceva sparire le macchioline verdastre, che con gli anni erano aumentate, dal naso e dalle guance. Un gesto morboso ma che lo faceva sentire, in qualche modo, bene.
Scosse la testa per scacciare via quei pensieri e si passò una mano nei capelli folti.
Avete bisogno di una tagliatina.
Sorrise e spinse il bottone allo stipite aspettando che qualcuno si affrettasse ad aprire o si sarebbe sciolto dal caldo eccessivo.
«Baker, finalmente.. disturbo?» chiese titubante nel vedere la sua faccia del suo migliore amico un blocco di ghiaccio inespressivo.
«Ehm, forse.. forse è meglio se ripasso.» continuò non vedendo nessuna risposta dal ragazzo.
«No! Cioè, sì, vieni, puoi entrare.» si spostò e fece spazio per farlo entrare.
«Stai bene?» domandò guardandolo sospetto appena chiuse la porta d’ingresso.
Zacky si passò una mano dietro il collo, abbassando lo sguardo. «Più o meno. Scusa se mi sono bloccato ma non ti aspettavo minimamente ed avevamo già un ospite e.. dio, che confusione.»
«Ehi, ehi, calmo, vai piano. Come non mi aspettavi? Te l’ho detto ieri che passavo.» alzò un sopracciglio.
«Se mai ti saresti annoiato ad ascoltare Michelle.. oh.»
Brian sorrise. «Ecco. Comunque hai un ospite? E chi è? Lo conosco?»
Zacky lo superò avanzando verso il soggiorno per soffermarsi allo stipite. «Sì, lo conosci benissimo.» gli lanciò un’occhiata e il moro, confuso, si avvicinò.
Il sangue gli si ghiacciò nelle vene, avvertendo un bruciore incredibile in tutto il corpo massacrarlo lentamente come uno dei peggiori e letali veleni al mondo.
Perchè ciò che vide non se lo sarebbe mai aspettato. Mai e poi mai. 













Salve, people :)
Ecco a voi il quattordicesimo capitolo (come al solito non mi piace ed è corto e.e) e già le cose iniziano a farsi interessanti. Nel prossimo capitolo inizierà il bello e ci sarà un'incontro dopo tutto questo tempo :)
Insomma, ce ne saranno di belle.
Scusati eventuali errori, i discorsi che non tornano e i personaggi non mi appartengono, sono il frutto della mia mente malata.
Questo caldo fa brutti scherzi e la voglia di muovere anche un solo muscolo è pari a zero.
Vabbè, ringrazio di cuore per le bellissime recensioni :
Mezmer_
zetavengeance
Devon
e chi l'ha messa fra seguite, preferite, ricordate e chi la legge semplicemente.
Un vostro parere fa sempre piacere!  :) 
Grazie mille!
Alla prossima, G.

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Capitolo 15
*** Chapter 15. ***



Efelidi.

Huntington Beach.
April, 2010. h12.47











«Sei sicura?»
«Sì.»
«Sicura, sicura, sicura al cento per cento?»
«Dio, Marti, mi stai facendo salire l’ansia.»
«Scusa se volevo essere d’aiuto. E’ da dieci minuti che siamo ferme qui a contemplare il campanello e i buchi nella porta da contare sono finiti.»
«Non è facile, okay? Non so neanche cosa dirgli. “Ehi, ciao, sì, vi ricordate di me? Wow, undici anni e sembra ieri.”?» si voltò verso l’amica aggrappandosi alla sua spalla. Si trovavano sulla veranda di casa Baker da qualche minuto, rimaste in silenzio ad ascoltare i suoni provenienti dall’interno. Sam si era immobilizzata nel sentire la voce di Zacky e, per un momento, si era ricreduta e tirata indietro. Cosa stava facendo? Cosa stava cercando di fare? Piombare nelle loro vite d’improvviso dopo tutto quel tempo e sperare, magari, in una rimpatriata come ai vecchi tempi? Sciocchezze, l’avrebbero chiuso la porta in faccia in un solo colpo insieme alle loro vite.
Diede un’occhiata al paesaggio che conosceva bene e le parve tutto nuovo, terrificante e soffocante.
Uno, due, tre, quattro, cinque...
«Basta, abbiamo fatto trenta? Facciamo trentuno.» si avvicinò nuovamente alla porta e col cuore che aveva preso a battere troppo velocemente per i suoi gusti, appoggiò il dito sul campanello. Sentiva tutta la forza abbandonarla e lasciarla indifesa e nuda di fronte alla realtà.
..sei, sette, otto..
«Arrivo, un secondo!»
..nove, dieci, undici, dodici, tredici..
La porta si aprì in un solo colpo mostrando una figura non troppo alta con una lattina stretta in una mano e un pezzetto di pizza nell’altra. Gli occhi poi passarono, dal corpo, al viso tondo e allungato in un’espressione di pura sorpresa.
Sam si torturò il labbro inferiore e abbassò lo sguardo sul terreno imbarazzata.
«Ciao..» sussurrò.
Zackary sgranò gli occhi senza toglierli dalla figura femminile davanti a lui. Forse era uno scherzo e stava ancora dormendo sul divano con la tv accesa su un canale qualsiasi. Non era la prima volta che sognava Sam e il suo ritorno o semplicemente i momenti passati insieme, tante erano le volte che, davanti a uno specchio, provava e riprovava le parole da dirle se mai avrebbe trovato il coraggio di vederla.
E adesso quel fiume di frasi era scomparso e si ritrovava senza nulla, la mente vuota, la lingua asciutta, le gambe molli e la voglia di avvolgerla in un abbraccio, di toccarla come una volta.
Era cambiata molto : da ragazzina dai modi da maschiaccio era diventata una donna slanciata, matura e seria che curava il proprio aspetto nei minimi dettagli. Era fasciata in abiti formali, tacchi alti, capelli ordinati in uno chignon alto e non vi erano più traccia del suo piercing e dilatatore.
Da giovane non avrebbe mai scommesso che, la versione al femminile di Matt, sarebbe diventata una donna in carriera abbastanza famosa. Beh, in realtà non avrebbe neanche scommesso su lui stesso però, almeno, non era così cambiato.
«Sam..» mormorò.
«Già, sono proprio io. A-abbiamo disturbato? Se vuoi ce ne andiamo. Effettivamente siamo venute per l’ora di pranzo.» abbozzò un sorriso.
«No, non mi avete disturbato.» puntò gli occhi chiari sulla figura minuta alla destra della bionda. «Ehi, tu sei la tipa del supermercato. Marta, giusto?» aspettò che la ragazza annuisse.  «Ehm.. avete.. avete mangiato? Ho ordinato la pizza..»
«Wurstel e prosciutto.» dissero insieme e Sam arrossì.
«Le abitudini non muoiono mai, eh.» il chitarrista scoppiò a ridere e si spostò per permetterle di entrare.
Quando Sam gli passò davanti sentì il suo profumo dolce e non potè non sorridere: vaniglia e cocco.
La bionda si guardò intorno con titubanza ed entrò in quello che doveva essere il soggiorno. Dall’esterno la villa era mastodontica, spoglia e bianca mentre all’interno per la quantità di oggetti sembrava più piccola. Al centro della stanza vi era un divano ad angolo di pelle nera ricoperto da una coperta marrone con un teschio alato e da dei cuscini del medesimo colore. Sul tavolino in legno scuro, invece, c’era il cartone della pizza, delle briciole sparse un po’ ovunque, delle lattine vuote e un portatile bianco a lato.
Storse il naso: l’ordine non faceva parte del vocabolo del ragazzo.
«Scusate per il disordine, Cass mi ha abbandonato per qualche giorno e la cameriera arriverà domani.» disse e riordinò il casino.
«Fa niente.» fece spallucce e si accomodò sulla poltrona.
«Insomma, volete qualcosa?»
«Un caffè andrebbe benissimo.»
«Se non ti dispiace lo faccio io..» propose Marta rimasta sullo stipite della morta ad osservare timorosa lo scheletro di un alce attaccato sopra al camino.
«Oh, sì, certo.» le sorrise. «La cucina è proprio qui davanti.»
Sam guardò l’amica lanciarle uno sguardo eloquente e scomparire dietro la colonna panna.
Zachary si sedette di fronte a lei osservandola e una serie di immagini di loro a diciassette anni lo invasero come un’ondata di vento. Era impossibile staccarle gli occhi di dosso, le era mancata troppo e scoppiava di felicità solo al pensiero.
«Allora, che ci fai qua?» Sam si risvegliò dal coma in cui era caduta e alzò lo sguardo verso di lui.
Undici anni e sei invecchiato da fare schifo.
«Avevo bisogno di staccare la spina per qualche giorno. Non prendo un giorno di ferie da mesi ormai e cos’è meglio della tua città natale?»
Magari delle vecchie conoscenze.
«E tu invece?»
«Sicuramente avrai evitato di sapere della band e ti posso dire che ci siamo presi una pausa prima di partire per il nuovo tour. Quindi, sì,  anche io avevo bisogno di staccare la spina per qualche giorno e mi è sempre più difficile stare lontano da Huntington.»impugnò la birra e una sigaretta.
«Vedo che non sei cambiato per nulla. Mischi ancora gli smarties insieme al JD?» fece di no con un cenno della testa quando gliene passò una.
«Certo! Sto seriamente pensando di metterlo in commercio.» si frugò nelle tasche dei pantaloni e lo sguardo della bionda cadde sulla maglietta che portava.
«Vengeance University? Che roba è?»
«La mia linea di abbigliamento. Seriamente non ne hai mai sentito parlare? Eppure gli affari stanno andando davvero bene qua e cerchiamo di portarla anche in Europa.»
«Oh, allora mi informerò meglio.» sorrise appena e nella stanza calò il silenzio. Dio se faceva effetto ritrovarsi in quella situazione e aveva tanto da dirgli, raccontarli, eppure, le parole le morivano in bocca appena sfioravano la lingua.
«Come sta Cass?»
Quell’argomento faceva più male di Brian stesso.
«Litiga ancora come una matta con Brian. Giusto ieri gli ha tirato un bel ceffone sul collo solo perché aveva osato criticare il suo nuovo colore di capelli.» sospirò sconsolato.
«Cass perde la testa appena sente qualcosa di negativo sui suoi capelli.» divertita guardò la foto di lei e Zacky a uno zoo.
«Sam, forse sono scemo, ma mi fa un effetto strano stare a parlare con te come se nulla fosse successo.» il tono della voce si era abbassato e un’ombra di serietà era comparsa sulla sua faccia.
Sam si mordicchiò l’interno della guancia e rubò la bottiglia di birra appena aperta dal tavolo. «Ti è mai successo di svegliarti un giorno e vedere la tua vita sotto un’altra prospettiva? Vivo la mia esistenza col gusto dell’amaro in bocca e un’ombra del passato alle spalle, pesante come un macigno e mi chiedo se quello che sta succedendo sia realmente quello che voglio. Me lo sono sempre chiesta ma non c’ho badato più di tanto finchè non ho messo piede qua ed ho capito. Mi manca tutto, Zacky. Sono un puzzle a metà senza quel pezzettino fondamentale a completarlo. Ed è per questo che sono qui davanti a te.»
Sam aveva sempre avuto paura a tornare nella sua città natale e rivivere il suo passato sulla pelle, per questo si era tenuta lontana da casa per molto tempo, presentandosi quei pochi giorni necessari per rivedere i familiari.
«Io non ce l’ho con te. Ognuno ha fatto delle scelte e le abbiamo seguite fino in fondo. Siamo uomini e sbagliamo, non siamo perfetti, Sam. Si può ripartire da zero, lasciarci tutto alle spalle e ritentare.»
«Lo faresti sul serio? Io ero convintissima che tu mi odiassi.» sbattè le palpebre più volta.
Zacky corrugò la fronte. «Perché? Per Brian? Forse un po’ all’inizio, ero un adolescente alle prese con una tempesta ormonale, Sam e mi sento un verme per tutte le offese che ti ho mandato. Non siamo più ragazzini, smettiamola di comportarci da tali, siamo adulti e vaccinati o mi sbaglio?»
Baker e i suoi discorsi.
«Da quando in qua sei così? » domandò asciugandosi una lacrima sulla guancia.
Zacky rise. «Tutto merito di Jimmy e della “Terapia Sullivan”.»
«Terapia Sullivan?»
«Era il momento in cui James ci prendeva per un orecchio e ci faceva tornare con i piedi sulla terra. Eravamo talmente distrutti all’inizio che ne abbiamo combinate tante e lui era lì, pronto a consolarci, ad aiutarci ed a condurci nella direzione giusta. Gli devo tanto.» il moro fissava il vuoto con un sorriso amato stampato sulla faccia nel tentativo di reprimere le lacrime con tutte le sue forze.
Ad un trattò sentì un braccio avvolgergli la vita e il profumo dolciastro bruciargli il naso.
«Mi dispiace, è tutta colpa mia. Vi chiedo scusa.» Zacky aumentò la stretta e chiuse gli occhi, sentendo le lacrime di lei bagnargli copiose la maglietta e il calore avvolgerlo. Da quanto era che non l’abbracciava così? Probabilmente da quando Brian aveva fatto lo stupido con Michelle e lei gli era esplosa tra le braccia per la rabbia.
«Smettila di darti colpe che non hai o ti uccido dal solletico, ci siamo capiti?» Sam rise di gusto tra le lacrime soffocate da dei singhiozzi e rallentò la stretta alla sua vita, insieme al battito cardiaco e alla respirazione che tornarono regolari.
«La prossima volta che ti presenti a casa mia fallo meno da donna quarantennie perché mi spaventi.»
«Donna quarantenne?» alzò il visto rossastro verso di lui.
«Sì, vestita così sembri una di quelle donne che non hanno mai un attimo, piene zeppe di lavoro e con una vita sessuale pari a zero.»
Sam sospirò. «Mi hai descritto in poche parole ma è il mio lavoro che mi costringe a vestirmi così. Adesso che ci penso, parli tu che abbini alle righe i pois! E poi.. papillon? Seriamente Zack?» inclinò il sopracciglio fino.
«Va di moda e mi dona.» assunse un aria altezzosa grattandosi la barba corta. «Sbaglio o non lavori in questi giorni?»
«Non sbagli.»
«Quindi, è inutile continuare a vestirsi così, sbaglio o no?»
«Non sbagli.. sei odioso, caspita.» Zacky scoppiò a ridere alzando le braccia e stiracchiandosi un po’ su tutto il divano.
«La tua amica non sarà mica morta in cucina, vero?» la bionda stava per aprire bocca quando il campanello la interruppe e Zacky la guardò stranito, scusandosi e facendo una piccola corsetta verso l’ingresso.
Scattò in piedi e passò una mano sulla gonna nera a vita alta per togliere qualche piega, si avvicinò al grande specchio alla parete e si diede un’occhiata aggiustando il trucco e qualche ciocca. Quasi non le prese un colpo a vedere un grosso leone imbalsamato alle sue spalle.
Davvero Cass permetteva a Zacky di comprare certe cose?
Stava per sfiorare uno strano recipiente fatto di pietre verde quando fu richiamata dalla voce di Zacky e di un’altra persona, sicuramente maschile.
«Ehi, ehi, calmo, vai piano. Come non mi aspettavi? Te l’ho detto ieri che passavo.»
«Se mai ti saresti annoiato ad ascoltare Michelle.. oh.»
Questo era Zacky, ne era sicura, l’altra invece non le sembrava nuova.
Michelle?
«Ecco. Comunque hai un ospite? E chi è? Lo conosco?»
Oh merda.
«Sì, lo conosci benissimo.»
La ragazza dai capelli chiari guardò la figura di fianco a Zacky, dalle scarpe da un colore tra il rosso al marrone morto alla punta dei folti capelli neri sparati in aria a sfidare le leggi di gravità. Dei grossi occhiali incorniciavano il visto spigoloso, nascondendo i ben conosciuti occhi nocciola, tirato in una smorfia di disappunto.
«Cosa ci fai lei qui?» chiese all’amico.
«E’ venuta a trovarmi e abbiamo parlato.» rispose l’altro, incrociando le braccia al petto.
«Potete evitare di parlare come se io non ci fossi?» dove avesse trovato tutto quel coraggio e quella spavalderia non lo sapeva, sentiva solo i battiti del cuore aumentare a gran misura.
«Sarebbe meglio.» sibilò.
«Hai lasciato le buone maniere a casa, Haner?»
«Okay, okay, basta.» il moro, sentendo aria di tensione, si mise in mezzo ai due con le braccia allargate. «Brian sii più cortese e tu, Sam, metti a posto la lingua. Ora ci sediamo tutti e tre e ne parliamo perché mi sono rotto le scatole di tutto questo odio futile.»
Perché, dopotutto, per Brian, era impossibile staccare gli occhi dalla presenza femminile e più ci affogava gli occhi, più pensava quanto fosse meravigliosa. Aveva sentito il suo profumo dall’entrata e una serie di emozioni gli avevano stretto la bocca dello stomaco. Osservava ogni centimetro di pelle, catturandola in una foto mentale e contemplandone la delicatezza. Latte, sembrava latte. Nonostante abitasse nella terra del sole, la sua pelle era sempre rimasta di quel colore, battendo pure Zacky.
Entrambi sbuffarono e si sedettero chi sulla poltrona e chi sul divano.
«Perché diavolo sei tornata?» Zackary ruotò gli occhi al cielo, lasciandosi cadere contro lo schienale.
«Non mi sembra che ci sia un divieto stampato e inficcato da qualche parte.»
«Oh Gesù.» si passò una mano tra i capelli.
Sam sentiva il cuore frantumarsi poco alla volta. «Ti faccio tanto schifo per non volermi qui?» mormorò cercando di non abbassare lo sguardo o le lacrime sarebbero tornate.
Brian si zittì rendendosi conto del tono troppo duro che stava usando e scosse la testa cacciando quei pensieri. «No, mi è indifferente. Tu sei morta nell’esatto momento in cui te ne sei andata via da Huntington undici benedetti anni fa.» Sam spalancò la bocca per tutta quella cattiveria che era riuscito a mettere in una sola frase.
«Grazie per avermi chiesto se ero viva o se ero morta dissanguata per colpa della caffettiera assassina. Sono stata tutto il tempo a cercare le cialde e mi sono messa a scaldare quello in polvere, naturalmente dopo.. che succede?» si arrestò a notare, prima, il nuovo arrivato, osservarla serio in volto, sulla poltrona, Zacky seduto di fianco a Sam con un’espressione che conosceva fin troppo bene. Stava per piangere.
«Niente, sei arrivata giusto in tempo, ce ne andiamo.» si alzò e frettolosamente riprese le sue cose. «Ah, Haner, quando la smetterai di fare il bambino e connetterai quei due neuroni che ti sono rimasti forse, e dico forse, potremmo parlare.» lo freddò con uno sguardo e salutò Zacky con un bacio sulla guancia, per andarsene via con Marta al seguito.
Zacky aspettò che chiudessero la porta e il rumore della motore che si accendeva per alzarsi e materializzarsi al fianco del primo chitarrista.
«Certo che quando ti ci impegni sei proprio uno stronzo con i fiocchi.»
«Non ti ci mettere pure tu.»
«Oh avanti Brian! Perché cazzo le hai detto in quel modo? Ha dei sentimenti non è senza cuore come te.»
«Non sono cazzi tuoi, Baker.»
«Non sono cazzi miei? Ricordati, porca merda, che è anche una mia, nostra, amica e se tu non ci parli, non vuol dire che automaticamente non ci dobbiamo parlare pure noi. E’ ritornata, lo capisci questo? E tu cosa fai? Le dici che era meglio se era morta! Certe volte vorrei proprio sapere cosa ti passa per la mente.»
Brian si alzò afferrando la bottiglia di Jack Daniel’s sul tavolino d’ingresso.
«Vai ad ubriacarti come al tuo solito?»
«Mi ha complicato solo l’esistenza.» rispose fissando la bottiglia da aprire.
«Per favore non sparare cazzate. Lo sappiamo entrambi che tu sei ancora innamorato di lei ma sei troppo orgoglioso per ammetterlo.» lo guardò preoccupato. Sperava con tutto se stesso che lasciasse quella bottiglia e le corresse dietro, mettendo da parte tutto il rancore inutile.
«Ti prego..» lo raggiunse. «Ti scongiuro, Brian. Valle dietro e risolvi finalmente questa situazione.»
L’amico si voltò e lo guardò, poi tolse il tappo alla bottiglia e ne bevve un lungo sorso.
«Non ti prometto niente, Zach.» gli sorrise e facendogli un occhiolino gli lanciò la bottiglia e corse fuori di casa.
Sentì qualcosa di freddo bagnargli la gamba nuda e prese in braccio il piccolo Ichabod, guardandolo con un grosso sorriso.
«Sono troppo vecchio per queste cose. Ti manca la mamma, vero? Manca anche a me.»




Sam volle guidare a tutti i costi senza pensare così alle parole di Brian e concentrarsi sulla strada davanti a lei. La mente era affollata di qualsiasi tipo di pensieri, provocandole un’imminente emicrania e il dolore era talmente forte da impedirle di versare altre lacrime. Ciò che aveva detto Brian aveva il sapore di mille pugnalate sul torace, mille pugni in pieno volto e un centinaio di pallottole. Le pareva impossibile, non riusciva a capacitarsene e più ci pensava più le parole scappavano via. Lasciò che le lacrime sgaiattolassero libere sulle guance e la vista diventasse appannata.
Parcheggiò e spense il motore con un gesto secco, mentre Marta, rimasta in silenzio per tutto il tragitto, sospirò scendendo dalla macchina ed entrando in casa. Sapeva che era meglio lasciarla da sola a sfogarsi e se ne avrebbe voluta voglia glie ne avrebbe parlato.
Infilò una mano nella costosa borsa e ne tirò fuori il pacchetto di sigarette e delle chewingum a tutti i gusti già a metà. Ne prese una e se la lanciò in bocca, fu invasa da un miscuglio di sapori e riuscì a riconoscere la fragola, il limone, l’arancia e probabilmente i frutti rossi. Controllò nell’etichetta: tre su quattro.
Tirò giù il finestrino per mettere all’aria gelida di entrare e solleticarle la pelle nuda. Aveva lasciato il cappotto a casa di Zacky e indossava una leggera camicetta, non adatta a quel periodo. Anche se era la California, il freddo riusciva ad entrarti fin dentro le ossa in un colpo solo ed era una sensazione piacevole.
Non appena socchiuse gli occhi con la sigaretta penzoloni fra le labbra e i capelli, sciolti, appiccicati alla fronte mossi dal venticello, sentì la vibrazione del suo cellulare e poi la suoneria di un gruppo di uccellini. Doveva decisamente cambiarla.
«Pronto?» il display mostrava un numero sconosciuto e assunse un tono più professionale.
«Sam? Sono Zacky.»
Sospirò, sprofondando nel sedile. «Ehi, ti manco già?»
«Stai scherzando è un buon segno. Ti ho chiamata per sapere come stavi, il tuo numero sono riuscito a farmelo dare da Marta dopo aver trovato quello di casa tua dai tuoi genitori.»
«Ti sei dato da fare noto.» sogghignò all’immagine di Zacky che imprecava e camminava per tutta la casa col telefono all’orecchio. «Sto bene, Zach.. se con bene si intende essere seduti nella macchina davanti casa a riempirsi la bocca di carie con le caramelle a tutti i gusti.»
«I dolci aiutano sempre. Mi dispiace per quello che ti ha detto quel cretino ma sai che non lo pensa realmente. In un certo senso dovresti capirlo, si è ritrovato davanti il suo primo amore e il suo passato. Passato equivale a Jimmy. Era il suo migliore amico e non l’ha presa bene, per niente, come tutti noi del resto. Con questo non sto cercando di giustificarlo, non fraintendermi, però.. non so. Brian è difficile da comprendere.. a proposito, è con te?» era stato un fiume di parole e l’aveva travolta in pieno facendola sorridere. Zacky era così.
Lo poteva sentire respirare frettolosamente e smuovere dei bicchieri: doveva essere agitato.
«Calmo o rischiarai un collasso. Alla tua età non fa bene.»
«Vaffanculo. Ti ricordo che abbiamo la stessa età, anzi tu sei nata otto mesi prima di me, quindi, la vecchietta qua sei tu.»
«Da quando in qua sei così simpatico?»
«Sempre stato, tesoro. Comunque c’è o no Brian?»
«No, non c’è. Perché, dovrebbe essere qui?» rispose acida, arricciando il naso.
Zacky sospirò fermando quel gran casino di vetri e cocci. «E’ uscito per venirti dietro ed ha bevuto un bel sorso di JD. Non gli fa niente ovvio, però ho paura faccia dei pasticci.»
«Zach, Brian è abbastanza grande per sapere cosa fare e non fare.» si rigirò tra le dita la sigaretta spenta.
Perfetto, tremo pure.
«Questo lo so ma stiamo parlando di Brian Haner, se non fa una cazzata al giorno non è contento. Averti visto ha creato in lui una serie di emozioni incontrollabili, te lo assicuro. Ah, se becco quella testa di cazzo.»
«L’ho beccato prima io.» mormorò guardando la figura del chitarrista fermo ai piedi degli scalini.
«E’ lì con te? Oh, bene, cioè bene che sia vivo..non.. non fate casini, okay?» cliccò il pulsante rosso del suo BlackBerry e lo abbandonò sulle sue gambe, senza spostare lo guardo dal suo amore adolescenziale.
Il petto bruciava e le lacrime iniziavano a voler uscire.
«Che vuoi? Non ho voglia di sentire ancora cattiverie, ne avrei le palle piene.» sibilò quando il ragazzo chiuse la portiera.
«Come siamo arrivati a questo punto?»
«Perché non mi hai mai chiamata, eh Brian?» strinse la stoffa della gonna.
«Avevo una paura fottuta, una parte di me diceva di lasciar perdere e tornare da te l’altra che era meglio staccarsi dal passato e pensare al futuro. Tu avevi la Columbia, io la musica.»
«E Michelle.»
«Michelle è arrivata dopo, è stata un susseguirsi di determinate cose. Lei c’era quando stavo male, lei c’era quando è morto Jimmy, lei c’è sempre stata.»
«Avrei voluto esserci anche io, Brian. Tu hai vissuto James fino alla fine, io tramite dei pezzetti di carta e un’ora davanti casa sua prima che partisse per il tour. Lo conosco da quando ho visto la luce del sole, Brian. Sono nata con lui e avrei voluto morire con lui.»si passò una mano sugli occhi, voltando la testa per evitare che la vedesse.
«Per favore, non.. non parliamo di Jimmy, non adesso. Perché sei tornata?»
Brian cercava in tutti di modi di allungare quella conversazione, se la poteva definire così, amava avere la presenza di Sam al suo fianco, sentire il suo odore, la sua voce ed essenza.
«Perché avevo bisogno di stare un po’ a casa.»
«Dopo tutto questo tempo?»
«Sì, Brian, dopo tutto questo tempo.» espirò il fumo formando dei piccoli cerchi. Sorrise: glielo aveva insegnato, un pomeriggio invernale, Jimmy nella sua soffitta in modo da non essere beccati da Barbara.
«Sei più tornata nella casa sull’albero?»
«Ti dai nella specializzazione degli interrogatori per caso? Comunque no, non di recente.» sospirò. Tornare lì equivaleva ad essere invasi dai ricordi di Jimmy, perché, prima che le sei ne andasse, ci avevano passato una settimana intera per una scommessa fatta con altri ragazzi, tutti insieme in un pezzo di legno di tre metri neanche. Si sorprendeva che avesse retto perfettamente il loro peso.
«Sei acida.»
E non sei il primo che me lo dice.
«E tu stronzo. Buffa la vita, eh?» volle voltarsi verso di lui; la sigaretta quasi spenta, i brividi sulla pelle, le lacrime incollate alle guance, una mano che stringeva i capelli selvaggi, l’altra il mento e le labbra al sapor di alcool mischiata alla nicotina che soffocavano quelle rosee e morbide in un bacio aspettato, passionale e troppo desiderato.




















Salve, people :)
Ecco a voi il quindicesimo capitolo scritto e messo in un lampo!
L'avevo detto io che ce ne sarebbero state di belle. Spero che vi piaccia, è davvero lungo e spero di non avervi annoiato!
Ringrazio, come al solito, zetavengeance e Amelie_ per le bellissime recensioni, le persone che l'hanno aggiunta tra i preferiti, seguite e ricordate e chi la legge semplicemente :)
Scusate eventuali errori, i Sevenfold non mi appartengono ed è tutto il frutto della mia mente malata.
Mea Culpa: nel capitolo precedente ho scritto che Val era fidanzata con un giocatore di Hockey e non è assolutamente vero! Sta con Matt e mi sono confusa con l'altra FF, perdono!
I vostri pareri fanno sempre piacere, ricordatelo ;)
Grazie, buona lettura e alla prossima,
bacioni, G.

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