Era solo sesso, inizialmente.

di Tuttoatemiguida
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1. ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


Notte.

Era solo sesso,

                                                                            inizialmente.


Ansimo,sotto il peso del suo corpo.
Lui mi bacia il collo, e scende piano, lasciando una scia di baci roventi, che bruciano come ghiaccio sulla pelle.
L'attesa è estenuante. Lo voglio, adesso.
"Oh...ti prego, muoviti." sussurra la mia vocina interiore.
 Siamo in macchina da dieci minuti, conosco questo ragazzo da quanto? Un'ora? Forse meno, ma non m'importa.
Sono qui, è qui, e stiamo facendo la cosa più naturale del mondo.
Le sue mani, finalmente iniziano a salire, accarezzano i miei piedi, le gambe, soffermandosi un po' sul ginocchio sbucciato, arrivano alle coscie, le divarico per facilitargli il compito, è sempre più vicino, ansimo, impaziente, porta di nuovo le labbra sulle mie, e a un soffio mi dice : - Sicura?-
Annuisco decisa, affondo le mani nei suoi capelli, e lo riporto sulla mia bocca.
Le nostre lingue ballano la danza più antica del mondo, fatta di respiri sospesi, e saliva condivisa.
Poi, il cellulare, il mio cellulare squilla.
Lo lascio squillare, per una, due volte. Ma, quello squillo altalenante è diventato insistente.
Scosto Vittorio, e lui sbuffa. Mi sporgo per prendere il cellulare sul sedile del passeggero. E' mia madre. Come volevasi dimostrare.
- Pronto.- sbotto, sono incazzata, ma chi non lo sarebbe.
- Dove sei finita? Sai che ore sono? Dovevi essere a casa per le due. -
- Non sono ancora le due, mamma.- 
- No, infatti. Sono le quattro e dieci.- urla. - Ti voglio a casa tra dieci minuti, altrimenti ti giuro, quest'estate la passi al ristorante.-
Riattacca, non mi dà neanche il tempo di replicare.
 Dieci minuti. Così dannatamente pochi.
Vittorio si riavvicina, ma gli metto una mano sul petto, tocco il lino sottile della camicia, e poi mi scanso.
"Perdonami, perdonami, ti prego." Non so nemmeno io a chi sto chiedendo scusa, se a lui, o alla mia verginità che era in procinto di non rimanere tale.
- Devo andare, scusami.- mormoro, ad occhi bassi. Prendo la borsa, ed esco velocemente dalla macchina. Vittorio è ancora dentro, mi guarda sgattaiolare via, con occhi penetranti, e delusi.
E' bello. Mozza il fiato. E pensare che stavo per farmelo. Dio.
Arrivo alla mia macchinetta 50, entro e mi guardo nello specchietto. Sono un disastro.
 Il mascara è scivolato sotto l'occhio, il rossetto di un bel rosso acceso, è ormai di un rosa discontinuo, ma in fondo è il trucco di ieri. Mi porto addosso la notte prima, quella in cui mi son scolata tre cosmopolitan, in cui son caduta dai miei tacchi quattordici, e mi son ritrovata ai piedi di Vittorio. Puzzo di alcool e fumo, ma ho bevuto e fumato, è il minimo.
 Mi ricordo improvvisamente di Licia.
-Cazzo.-
La chiamo, quattro volte e non risponde. Le lascio un messaggio su What's App, sapendo che sicuramente lo leggera, prima o poi.

Sono andata via, mia madre ha già sclerato.
Niente di fatto accade, purtroppo.
Appena puoi, chiamami.

Metto in moto il mio rottame, e dopo un quarto d'ora sono a casa.
Mia madre è in cucina, mi sta aspettando, anche se a dire il vero non ne sono poi tanto sicura.
E' intenta a chattare con qualche sua amica del liceo.
Dannate quarantenni che credono di essere delle gran fige, solo perchè hanno ritrovato la loro giovinezza su Facebook.
Cerco di sgattaiolare in camera mia, ma un mormorio proveniente dalla cucina mi costringe a tornare indietro.
- Cosa? -
- La sveglia. Suona alle sette domani.-
Ottimo. Mi sono giocata l'estate. A saperlo, sarei rimasta qualche minuto in più alla discoteca, e magari avrei finito quello che avevo iniziato.
Non mi piace lasciare le cose a metà, soprattutto se la cosa che ho lasciato era un ragazzo bellissimo che stava per farmi sua.
- Cosa hai fatto al ginocchio? - domanda perplessa mia madre, ancora non si è abituata alla goffaggine e scordinatezza della sua figlia diciassettenne.
- Nulla. Sono caduta. -
Sospira, e poi torna al suo portatile.
Vado in camera mia, mi spoglio e infilo velocemente il pigiama. Non ho voglia di struccarmi, m'infilo nel letto, consapevole del fatto che farò sì e no due ore di sonno buono.
Controllo il cellulare. Ma Licia non da segni di vita.
Almeno lei è impegnata a fare altro.



Sono curiosa di sapere cosa pensate di  questo primo capitolo della mia storia.
Spero vi piaccia e che mi seguirete. 
xxx Sissi.
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1. ***


Capitolo 1.

La sveglia suona, come previsto, troppo presto.
Allungo il braccio sul comodino, e a tastoni cerco quell'essere infernale, per smorzarlo e riprendere beatamente il sonno interotto.
Finalmente la trovo, in mezzo a tutte le cianfrusaglie, e con un gesto repentino, e inconsapevole, la spingo a terra.
Al tonfo sordo della sveglia caduta, alzo la testa ed esclamo : - Cazzo.-
Mi metto a sedere sul letto, e lentamente la raccolgo, la controllo grossolanamente, ma sono sicura che si è rotta.
Pace all'anima tua, sveglia numero sette. Avevi solo cinque giorni di vita,
Mi alzo dal letto con il cadavere ancora tra le mani, i piedi a contatto con il pavimento ghiacciato hanno una sensazione di benessere e freschezza, mi dirigo verso la scrivania, dove al lato è sistemato il cestino dei rifiuti.
Sotterrò lì la povera sveglia sventurata, tra i fogli del mio quaderno di matematica e i cartellini delle maglie appena comprate e già indossate.
Avanzo di nuovo verso il letto, alzo un ginocchio, con l'intento di salire, quando dal bagno, la voce nitida di mia madre, interrompe le mie intenzioni.
- Sara, sei pronta? Scendiamo tra mezz'ora.-
" Porca puttana, ieri sera era seria." penso. "Passerò davvero tutta l'estate al ristorante. Dannato coprifuoco. Dannata discoteca. Dannatissimo Vittorio. "
Mi fiondo nella cabina - armadio, consapevole che trenta minuti, come i dieci di ieri sera, sono troppo pochi.
Cerco disperatamente qualcosa da mettermi, e arraffo una canotta nera, e uno short di jeans, per ultimo le scarpe, converse nere.
Infilo tutto alla velocità della luce, pentendomi subito di non aver messo i calzini, afferro dal comodino la collana Tiffany&Co, e quella con il mio nome inciso, e gli orecchini di ieri sera, pendenti neri, decisamente esagerati per il giorno.
Esco dalla mia stanza, e mi ritrovo davanti mio fratello Marco, dodici anni, ma và per i cinque.
Lo scanso e vado in bagno, lì ci trovo mia madre intenta a truccarsi , con quell'ombretto verde che io odio, perchè a me, carnagione olivastra, occhi neri e capelli altrettanto scuri sta male, mentre a lei pelle bianca come il latte, bionda e smeraldi al posto degli occhi sta divinamente. Se non assomigliassi tanto a mio padre, mi verrebbe il dubbio di essere stata adottata. 
Mi lavo i denti, consapevole di non avere ne la voglia, ne il tempo di far colazione, e prendo una spazzola dal cassetto alla sinistra dello specchio. Inizio a spazzolare, e opto per una coda alta, sobria e fresca. Intanto mia madre ha finito di truccarsi, e mi scruta con i suoi occhi indagatori : - Tesoro, lo sai che abbiamo un ristorante, vero? Non vendiamo prosciutti. - dice fissando le mie gambe. 
In un primo momento non colgo la battuta, perchè il sarcasmo non è mai stata una caratteristica di mia madre, semmai la mia. Poi mi guardo le gambe, e capisco. 
Da quando è iniziata l'estate ho messo su qualche chilo, e sebbene avrei preferito riempire un po' il mio posteriore, quei maledettissimi grassi hanno deciso di stanziarsi proprio dove non avrebbero dovuto.
- Simpatica. - esclamo ironica.
Finisco di truccarmi velocemente. Mentre mia madre chiama l'ascensore, mi fiondo in camera a prendere la borsa, quella di ieri sera. 
Afferro il cellulare dal comodino, e nascondo le Winston Blue nella sacca interna della borsa. Pronta.
Quando mi dirigo verso la mia macchinetta 50, mia madre mi ferma, e fa segno di seguirla verso la sua, di macchina.
Molto probabilmente aveva già intuito le mie intenzioni, scappare. Nel momento in cui ci sarebbe stata più folla, quello in cui non avrebbe potuto chiamarmi e farmi una scenata al cellulare, minacciandomi di chiudermi in casa per tutta la vita, sarei scappata. Magari andando al mare, a ciondolarmi con un libro tra le mani.
Aveva deciso di evitare tutto questo, semplicemente proibendomi di prendere la macchinetta.
Se si prospettava una brutta giornata, adesso avevo la certezza che sarebbe stata una giornata di merda.

 
- Buongiorno a tutti.- dico mettendo piede in quell’odiato locale, quello che sa di fragole e famiglie sfasciate, di fronti imperlate e sogni infranti.

Uno, due, tre, quattro, cinque. Due persone in più.
I miei occhi spaziano, e vanno da quelli di mio padre, stanchi, a quelli di una ragazzo sulla ventina, con gli occhiali inforcati sul viso, acne giovanile ancora in piena espansione, e il grembiule sporco.
Fanno un giro lungo però, ritornano a quelli di Peppe, lo chef napoletano, continuano la corsa e trovano gli occhi chiari di Federico, il tirocinante che di lavorare seriamente proprio non c'ha voglia.
Arrivano poi, a un paio di occhi, smaltati di nera pece, profondi, arrossati, sognatori.
Cerco di staccare gli occhi dagli occhi, per vedere ciò che gli sta attorno, ma come la gravità, mi tengono attaccata. Sono occhi familiari, e sconosciuti.
Quelle cinque persone mi guardano, salutano, e poi tornano  a ciò che stavano facendo prima che facessi irruzione nella quiete lavorativa estiva.
Resto lì, impalata con un’espressione inebetita sul viso mentre anche mia madre varca la soglia, con i suoi tacchi dodici, che andavano di moda qualche anno fa, con il sorride smagliante disegnato sul volto e la sua voce squillante che rimbomba nell’intero locale. – Buongiorno. –
Gli altri però, le riservano il mio stesso trattamento. Un buongiorno annoiato, e di nuovo a lavoro. Il ragazzo dal fisico asciutto, e gli occhi penetranti però si sofferma nuovamente su di me, e anche io non posso fare a meno di guardarlo.
“Ma che cazzo…” dice la mia vocina interiore, intenta a schiaffeggiarsi.
La mia attenzione però, ricade di nuovo su mia madre mi indica la divisa da cameriera, e mi fa segno di andare a cambiarmi, mentre si affretta a dire :
- E’ tutto pronto? Posso stampare il menù del giorno? –
Ma l’aria mesta e affranta di mio padre, e dei due chef la dice lunga. Mia madre, che di solito è la persona più espansiva del mondo, sembra che non voglia sprecar parole, ed indica il suo studio. Restiamo in tre, in quella grande cucina. Appoggiata alla cella frigorifera, indecisa sul da farsi, mi rigiro tra le mani un laccetto della divisa, mentre con gli occhi scruto i due ragazzi intenti a pelare le patate.
“Oh, al diavolo.”
Afferro il bavero della divisa di Vittorio, e lo tiro verso la cella frigorifera, richiudendo la porta, dico all’altro, Riccardo, quello con gli occhiali e l’acne giovanile : - Puoi scusarci un attimo?!-
Con la mano ancora sulla maniglia sospiro, cercando il coraggio di voltarmi. Tra i formaggi che penzolano dagli appigli del soffitto, e la condensa del suo respiro, lo ritrovo a scrutarmi con quegli occhi, carboni ardenti, capaci di scaldarmi anche in una cella frigorifera.
Sento che sto per sciogliermi, quindi scrollo la testa ed urlo :
- Che cazzo ci fai qui?!-

Si, lo so. Sono consapevole di avervi fatto aspettare un po' troppo.
Spero di riuscire a farmi perdonare con una nuova storia, fresca fresca, alquanto autobiografica. Chissà.
Un bacio, Sissi.


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