Era solo sesso, inizialmente. di Tuttoatemiguida (/viewuser.php?uid=203955)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 1 *** Prologo. ***
Notte.
Era
solo sesso,
inizialmente.
Ansimo,sotto
il peso del suo corpo.
Lui
mi bacia il collo, e scende piano, lasciando una scia di baci roventi,
che bruciano come ghiaccio sulla pelle.
L'attesa
è estenuante. Lo voglio, adesso.
"Oh...ti
prego, muoviti." sussurra la mia vocina interiore.
Siamo
in macchina da dieci minuti, conosco questo ragazzo da quanto? Un'ora?
Forse meno, ma non m'importa.
Sono
qui, è qui, e stiamo facendo la cosa più naturale
del mondo.
Le
sue mani, finalmente iniziano a salire, accarezzano i miei piedi,
le gambe, soffermandosi un po' sul ginocchio sbucciato, arrivano alle
coscie, le divarico per facilitargli il compito, è sempre
più vicino, ansimo, impaziente, porta di nuovo le labbra
sulle mie, e a un soffio mi dice : - Sicura?-
Annuisco
decisa, affondo le mani nei suoi capelli, e lo riporto sulla mia bocca.
Le
nostre lingue ballano la danza più antica del mondo, fatta
di respiri sospesi, e saliva condivisa.
Poi,
il cellulare, il mio cellulare squilla.
Lo
lascio squillare, per una, due volte. Ma, quello squillo altalenante
è diventato insistente.
Scosto
Vittorio, e lui sbuffa. Mi sporgo per prendere il cellulare sul
sedile del passeggero. E' mia madre. Come volevasi dimostrare.
-
Pronto.- sbotto, sono incazzata, ma chi non lo sarebbe.
-
Dove sei finita? Sai che ore sono? Dovevi essere a casa per le due. -
-
Non sono ancora le due, mamma.-
-
No, infatti. Sono le quattro e dieci.- urla. - Ti voglio a casa tra
dieci minuti, altrimenti ti giuro, quest'estate la passi al ristorante.-
Riattacca,
non mi dà neanche il tempo di replicare.
Dieci
minuti. Così dannatamente pochi.
Vittorio
si riavvicina, ma gli metto una mano sul petto, tocco il lino sottile
della camicia, e poi mi scanso.
"Perdonami,
perdonami, ti
prego." Non so nemmeno io a chi sto chiedendo scusa, se a lui, o alla
mia verginità che era in procinto di non rimanere tale.
-
Devo andare, scusami.- mormoro, ad occhi bassi. Prendo la borsa, ed
esco velocemente dalla macchina. Vittorio è ancora dentro,
mi
guarda sgattaiolare via, con occhi penetranti, e delusi.
E'
bello. Mozza il fiato. E pensare che stavo per farmelo. Dio.
Arrivo
alla mia macchinetta 50, entro e mi guardo nello specchietto.
Sono un disastro.
Il
mascara è scivolato sotto l'occhio, il
rossetto di un bel rosso acceso, è ormai di un rosa
discontinuo,
ma in fondo è il trucco di ieri. Mi porto addosso la notte
prima, quella in cui mi son scolata tre cosmopolitan, in cui son caduta
dai miei tacchi quattordici, e mi son ritrovata ai piedi di Vittorio.
Puzzo di alcool e fumo, ma ho bevuto e fumato, è il minimo.
Mi
ricordo improvvisamente di Licia.
-Cazzo.-
La
chiamo, quattro volte e non risponde. Le lascio un messaggio su What's
App, sapendo che sicuramente lo leggera, prima o poi.
Sono
andata via, mia madre ha già sclerato.
Niente
di fatto accade, purtroppo.
Appena
puoi, chiamami.
Metto
in moto il mio rottame, e dopo un quarto d'ora sono a casa.
Mia
madre è in cucina, mi sta aspettando, anche se a dire il
vero non ne sono poi tanto sicura.
E'
intenta a chattare con qualche sua amica del liceo.
Dannate
quarantenni che credono di essere delle gran fige, solo
perchè hanno ritrovato la loro giovinezza su Facebook.
Cerco
di sgattaiolare in camera mia, ma un mormorio proveniente dalla cucina
mi costringe a tornare indietro.
-
Cosa? -
-
La sveglia. Suona alle sette domani.-
Ottimo.
Mi sono giocata l'estate. A saperlo, sarei rimasta qualche
minuto in più alla discoteca, e magari avrei finito quello
che
avevo iniziato.
Non
mi piace lasciare le cose a metà, soprattutto se la cosa che
ho lasciato era un ragazzo bellissimo che stava per farmi sua.
-
Cosa hai fatto al ginocchio? - domanda perplessa mia madre, ancora
non si è abituata alla goffaggine e scordinatezza della sua
figlia diciassettenne.
-
Nulla. Sono caduta. -
Sospira,
e poi torna al suo portatile.
Vado
in camera mia, mi spoglio e infilo velocemente il pigiama. Non ho
voglia di struccarmi, m'infilo nel letto, consapevole del fatto che
farò sì e no due ore di sonno buono.
Controllo
il cellulare. Ma Licia non da segni di vita.
Almeno
lei è impegnata a fare altro.
Sono
curiosa di sapere cosa pensate di questo primo capitolo della
mia storia.
Spero
vi piaccia e che mi seguirete.
xxx
Sissi.
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Capitolo 2 *** Capitolo 1. ***
Capitolo 1.
La
sveglia suona, come previsto, troppo presto.
Allungo il braccio sul comodino, e a tastoni cerco quell'essere
infernale, per
smorzarlo e riprendere beatamente il sonno interotto.
Finalmente la trovo, in mezzo a tutte le cianfrusaglie, e con un gesto
repentino,
e inconsapevole, la spingo a terra.
Al tonfo sordo della sveglia caduta, alzo la testa ed esclamo : -
Cazzo.-
Mi metto a sedere sul letto, e lentamente la raccolgo, la controllo
grossolanamente, ma sono sicura che si è rotta.
Pace all'anima tua, sveglia numero sette. Avevi solo cinque giorni di
vita,
Mi alzo dal letto con il cadavere ancora tra le mani, i piedi a
contatto con il
pavimento ghiacciato hanno una sensazione di benessere e freschezza, mi
dirigo
verso la scrivania, dove al lato è sistemato il cestino dei
rifiuti.
Sotterrò lì la povera sveglia sventurata, tra i
fogli del mio quaderno di
matematica e i cartellini delle maglie appena comprate e già
indossate.
Avanzo di nuovo verso il letto, alzo un ginocchio, con l'intento di
salire,
quando dal bagno, la voce nitida di mia madre, interrompe le mie
intenzioni.
- Sara, sei pronta? Scendiamo tra mezz'ora.-
" Porca puttana, ieri sera era seria." penso. "Passerò
davvero
tutta l'estate al ristorante. Dannato coprifuoco. Dannata discoteca.
Dannatissimo Vittorio. "
Mi fiondo nella cabina - armadio, consapevole che trenta minuti, come i
dieci
di ieri sera, sono troppo pochi.
Cerco disperatamente qualcosa da mettermi, e arraffo una canotta nera,
e uno
short di jeans, per ultimo le scarpe, converse nere.
Infilo tutto alla velocità della luce, pentendomi subito di
non aver messo i
calzini, afferro dal comodino la collana Tiffany&Co, e quella
con il mio
nome inciso, e gli orecchini di ieri sera, pendenti neri, decisamente
esagerati
per il giorno.
Esco dalla mia stanza, e mi ritrovo davanti mio fratello Marco, dodici
anni, ma
và per i cinque.
Lo scanso e vado in bagno, lì ci trovo mia madre intenta a
truccarsi , con quell'ombretto verde che io odio, perchè a
me, carnagione
olivastra, occhi neri e capelli altrettanto scuri sta male, mentre a
lei pelle
bianca come il latte, bionda e smeraldi al posto degli occhi sta
divinamente.
Se non assomigliassi tanto a mio padre, mi verrebbe il dubbio di essere
stata
adottata.
Mi lavo i denti, consapevole di non avere ne la voglia, ne il tempo
di far colazione, e prendo una spazzola dal cassetto alla sinistra
dello
specchio. Inizio a spazzolare, e opto per una coda alta, sobria e
fresca.
Intanto mia madre ha finito di truccarsi, e mi scruta con i suoi occhi
indagatori : - Tesoro, lo sai che abbiamo un ristorante, vero? Non
vendiamo prosciutti.
- dice fissando le mie gambe.
In un primo momento non colgo la battuta, perchè
il sarcasmo non è mai stata una caratteristica di mia madre,
semmai la mia. Poi
mi guardo le gambe, e capisco.
Da quando è iniziata l'estate ho messo su
qualche chilo, e sebbene avrei preferito riempire un po' il mio
posteriore,
quei maledettissimi grassi hanno deciso di stanziarsi proprio dove non
avrebbero dovuto.
- Simpatica. - esclamo ironica.
Finisco di truccarmi velocemente. Mentre mia madre chiama l'ascensore,
mi
fiondo in camera a prendere la borsa, quella di ieri sera.
Afferro il cellulare
dal comodino, e nascondo le Winston Blue nella sacca interna della
borsa.
Pronta.
Quando
mi dirigo verso la mia macchinetta 50, mia madre mi ferma, e fa segno
di
seguirla verso la sua, di macchina.
Molto
probabilmente aveva già intuito le mie intenzioni, scappare.
Nel momento in cui
ci sarebbe stata più folla, quello in cui non avrebbe potuto
chiamarmi e farmi
una scenata al cellulare, minacciandomi di chiudermi in casa per tutta
la vita,
sarei scappata. Magari andando al mare, a ciondolarmi con un libro tra
le mani.
Aveva
deciso di evitare tutto questo, semplicemente proibendomi di prendere
la
macchinetta.
Se
si prospettava una brutta giornata, adesso avevo la certezza che
sarebbe stata
una giornata di merda.
- Buongiorno
a tutti.- dico mettendo piede in quell’odiato locale, quello
che sa di fragole
e famiglie sfasciate, di fronti imperlate e sogni infranti.
Uno, due, tre,
quattro, cinque.
Due persone in più.
I miei occhi
spaziano, e vanno da quelli di mio padre, stanchi, a quelli di una
ragazzo
sulla ventina, con gli occhiali inforcati sul viso, acne giovanile
ancora in
piena espansione, e il grembiule sporco.Fanno
un giro lungo
però, ritornano a quelli di Peppe, lo chef napoletano,
continuano la corsa e
trovano gli occhi chiari di Federico, il tirocinante che di lavorare
seriamente
proprio non c'ha voglia.
Arrivano poi, a un
paio di occhi, smaltati di nera pece, profondi, arrossati, sognatori.Cerco
di staccare
gli occhi dagli occhi, per vedere ciò che gli sta attorno,
ma come la gravità,
mi tengono attaccata. Sono occhi familiari, e sconosciuti.
Quelle
cinque
persone mi guardano, salutano, e poi tornano a ciò
che stavano facendo
prima che facessi irruzione nella quiete lavorativa estiva.
Resto lì,
impalata con un’espressione inebetita sul viso mentre anche
mia madre varca la
soglia, con i suoi tacchi dodici, che andavano di moda qualche anno fa,
con il
sorride smagliante disegnato sul volto e la sua voce squillante che
rimbomba
nell’intero locale. – Buongiorno. –
Gli altri
però, le riservano il mio stesso trattamento. Un
buongiorno annoiato, e di nuovo a lavoro. Il ragazzo dal fisico
asciutto, e gli
occhi penetranti però si sofferma nuovamente su di me, e
anche io non posso
fare a meno di guardarlo.
“Ma che
cazzo…” dice la mia vocina interiore, intenta a
schiaffeggiarsi.
La mia attenzione
però, ricade di nuovo su mia madre mi indica la
divisa da cameriera, e mi fa segno di andare a cambiarmi, mentre si
affretta a
dire :
- E’ tutto pronto? Posso stampare il menù del
giorno? –
Ma l’aria
mesta e affranta di mio padre, e dei due chef la dice
lunga. Mia madre, che di solito è la persona più
espansiva del mondo, sembra
che non voglia sprecar parole, ed indica il suo studio. Restiamo in
tre, in
quella grande cucina. Appoggiata alla cella frigorifera, indecisa sul
da farsi,
mi rigiro tra le mani un laccetto della divisa, mentre con gli occhi
scruto i
due ragazzi intenti a pelare le patate.
“Oh, al
diavolo.”
Afferro il bavero
della divisa di Vittorio, e lo tiro verso la
cella frigorifera, richiudendo la porta, dico all’altro,
Riccardo, quello con
gli occhiali e l’acne giovanile : - Puoi scusarci un
attimo?!-
Con la mano ancora
sulla maniglia sospiro, cercando il coraggio di
voltarmi. Tra i formaggi che penzolano dagli appigli del soffitto, e la
condensa del suo respiro, lo ritrovo a scrutarmi con quegli occhi,
carboni
ardenti, capaci di scaldarmi anche in una cella frigorifera.
Sento che
sto
per sciogliermi, quindi scrollo la testa ed urlo :
-
Che cazzo ci fai qui?!-
Si,
lo so. Sono consapevole di avervi fatto aspettare un po' troppo.
Spero
di riuscire a farmi perdonare con una nuova storia, fresca fresca,
alquanto autobiografica. Chissà.
Un
bacio, Sissi.
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