La luce soffusa che entra dalla
finestra mi trasporta in uno
stato quasi mistico, mentre accarezzo delicatamente i capelli di rame
della
bellissima donna che dorme sul mio petto. Gaila ha un viso
d’angelo, ma non di
uno di quei putti stucchevoli e raccapriccianti; ha le guance rosate di
puerile
imbarazzo, le labbra petali cremisi e il naso di una statua greca.
E’ bella da
star male, nella sua somiglianza travolgente con una
divinità splendente. Siamo
in questo letto pomposo da ore, ma sembrano non bastare mai: ogni
nostro gesto
è preludio di passione. Lentamente mi alzo,
indosso la mia vestaglia blu ornata di oro e seggo alla
finestra; i
londinesi sono formiche: piccoli, insignificanti, simili gli uni agli
altri, ma
tutti con un insensato impulso nel sangue che li porta alla
laboriosità e allo
zelo. Nel guardarli sento un senso di pena misto a disgusto. Distolgo
lo
sguardo, mentre sento rigirarsi lo stomaco per il nervosismo. Mi vesto
e mi
accingo ad uscire, quando sento Gaila divincolarsi tra le lenzuola in
un
atteggiamento di pigro risveglio.
<< Dove vai?
>> Mi chiede con la bocca impastata
e gli occhi socchiusi contro la luce troppo violenta.
<< Ho bisogno di aria
>>.
Gaila si mette a sedere, udendo nella
mia voce suoni duri e
disarmonici, troppo diversi da quelli che solitamente sussurro al suo
orecchio.
<< E’ forse
successo qualcosa? >>
<< Nulla che non sia
perfettamente ordinario >>.
<< Non comprendo, Haley
>>-
Sospiro, cercando di controllarmi:
avverto un senso di
soffocamento e irritazione, come se fossi compressa in vesti troppo
strette e
sentissi il desiderio di strapparmele di dosso, essendo puntualmente
sconfitta
da tentativi falliti.
<< Non riesco nemmeno
lontanamente a concepire come
persone così comuni siano soddisfatte della loro mediocre
vita >>.
Gaila inclina leggermente la testa di
lato, preoccupata.
<<
Cos’è accaduto? Chi ti ha fatto adirare?
>>
<< La
quotidianità. E’ monotona. E monotoni sono i
manichini che si muovono su di essa, come se scivolassero per inerzia. E’
terribilmente fastidioso, per
un animo come il mio >>.
Gaila si lecca le labbra, soppesando
bene le parole.
<< Non capisco come mai
tu sia colpita da questi
attacchi di nervosismo >>.
Io mi prendo la radice del naso tra
pollice e indice,
sospirando. So che non può capire. Gaila Bailey è
bellissima, è coinvolgente e
affascinante; ma è tremendamente ordinaria.
Leggendo i miei atteggiamenti, si
posiziona meglio contro i
cuscini, alzandosi le lenzuola fino a coprire il seno.
<< Tu non hai nessun
rispetto per me, vero? >>
Il suo tono è carico
di quel dolore che
cela in sé una misera ombra di speranza, e lo fa apparire
ancora più penoso.
<< Sbagli a pensare
questo >>
<< Non è
forse la verità? Tu pensi che anche io sia
come tutti gli altri, quelli che tanto biasimi >>.
<< E’ diverso
da non rispettarti >>.
<< Va bene, Haley,
allora mi esprimerò diversamente:
cosa pensi tu di me? >>
Levo lo sguardo e fisso i suoi occhi
mediterranei. Non mi
fanno paura i suoi sentimenti, forse perché non possono in
alcun modo
sfiorarmi. E’ un pensiero estremamente crudele, ma
è l’unico che mi attraversa
con lucidità disarmante la mente.
<< Io ritengo che tu
sia una donna di grande dote, che
sia di una bellezza svenevole e abbia atteggiamenti regali
>>
L’aria è
diventata pesante: Gaila mi guarda con gli occhi
enormi di aspettativa: sa che la frase è stata lasciata a
metà per caricarsi di
elettricità.
<< Tuttavia,
sì, non vedo in te nulla che ti discosti
anche solo minimamente dalla figura che la società borghese
si è impegnata a
costruire >>.
La mia conclusione è
arrivata come una sferzata, portando
con sé una scia di gelo.
Gaila non si muove, rimane in una
posa perfettamente
stabile. Guardandola in tralice vedo i suoi occhi riempirsi lentamente
di
lacrime amare, nonostante tutti i suoi sforzi per evitarlo, mentre il
suo volto
angelico si tramuta in una maschera di sofferenza. In tutta
onestà, non mi
sento di far nulla per rimediare: semplicemente, non
c’è nulla a cui rimediare.
Gaila inspira, cercando di riprendere
possesso del proprio
corpo, ma la sua voce esce spezzata, incrinata dalla disperazione.
<< Sai essere
puerilmente crudele. A volte sembra che
tu non sappia nemmeno cosa stai dicendo, da quanta freddezza ti premuri
di
usare >>.
<< So sempre cosa dico,
miss Bailey; i miei
atteggiamenti sono perfettamente ponderati >>.
<< Non lo credevo
possibile, ma probabilmente tu
saresti in grado di uccidere a sangue freddo, se solo lo desiderassi
ardentemente >>.
<< Probabile,
sì >>.
<< Perché,
Haley? >> Mi chiede, sollevando di
scatto la testa ramata.
<< perché
riversi su di me tutto il tuo odio
inespresso? Sai quello che provo per te, sai quanto ti ho dato e ti
darei >>.
<< Lo so bene, infatti
non lo sto né negando, né
sminuendo. Tu mi hai fatto non una, ma più domande, e io ti
ho dato le mie
risposte. Mi spiace che non ti soddisfino, ma non posso, in tutta
onestà, farci
nulla >>.
Esco dalla stanza, lasciano Gaila in
quel letto diventato
troppo grande, abbandonata contro i cuscini come una bambola di pezza.
Il mio
bell’angelo è caduto e giace languidamente con le
ali insanguinate.
Al suono dei miei passi, Wymond si
alza dalla poltrona di
pelle su cui stava leggendo; romanzi russi, che noia infinita.
<< Esco
>>. Esordisco con il mio solito tono
imperioso.
<< Miss Bailey
>>. E’ l’unica sua risposta; non
è
una domanda, né un’affermazione: è un
rimprovero.
Sospiro sentendo il corpo
attraversato da una scarica
elettrica.
<< Miss Bailey
è bella abbastanza per ricevere
anch’ella delusioni d’amore >>.
Wymond ha la stessa espressione delle
statue di cera e gli
occhi imperscrutabili. Non ha mai avuto nulla da ridire né
sul mio
comportamento, né sui rumori che ode dalla stanza accanto
quando sono in
compagnia, né sul mio modo di condurre solitamente la mia
vita; eppure, sembra
avere molto rispetto per i sentimenti altrui.
<< E’ una
signorina molto a modo, e certamente molto
innamorata, lady Royle. Dovreste avere cura di non ferirla come
già state
facendo >>.
Gli lancio uno sguardo gelido.
<< Sicuramente
è la prima delle cose che voi dite;
posso avere più dubbi sulla seconda, ma non è mio
interesse discuterne.
Tuttavia, ripeto: è abbastanza donna per sopportare un cuore
infranto. L’amore,
ammesso che esista, è un sentimento talmente mutevole che
miss Bailey non si
accorgerà neppure di aver provato anche solo un minimo
accenno di esso nei miei
confronti >>.
Gli volto le spalle, per incalzare la
porta, ma Wymond parla
con voce tonante: non che abbia urlato, o tanto meno usato toni
aggressivi; la
sua solita voce profonda, semplicemente, si è amplificata,
come se avesse
soffiato in un trombone. Sa essere dannatamente testardo, quando si
punta su
quelle inezie che tanto gli stanno a cuore.
<< Miss Royle, voi
dovreste avere maggiore accortezza
nel parlare di cose di cui avete poca cognizione di causa
>>
Volto
la testa per
guardarlo: mentre si staglia in tutta la sua altezza, sento la sua
presenza
incombere come se fosse una minaccia.
<< Wymond, siete a dir
poco irriverente. Ho un
appuntamento a cui non posso mancare >>
<< Oh, my lady,
è una scusa a dir poco misera: non
siete sempre voi, a ribadire che voi non siete mai in ritardo, ma
invero sono
gli altri ad essere mostruosamente in anticipo? >>
Il suo sarcasmo mi irrita.
<< Wymond, credo che se
continuerete di questo passo
vi metterò alla porta >>
Il suo viso non viene turbato
dall’ombra del dubbio, o dalla
paura, né tantomeno da quella del rimorso o della vergogna:
egli mantiene i
suoi occhi metallici, e le labbra sottili strette in una morsa di
rimprovero.
<< Lady, voi pagherete
il prezzo della vostra
insolenza; presto o tardi che sia >>
Non riesco a non scoppiare in una
risata amara, a piena
gola, di quelle che provengono dal diaframma ma sono cariche di
nervosismo.
<< Passate alle minacce
gratuite, ora? >>
<< Oh, no, non potrei permettermelo. Le minacce implicano
una fedeltà
maggiore delle promesse, e, onestamente, io non credo di essere fedele
a nulla.
Tuttavia, a tutti arriva il proprio conto da pagare, my lady. Il vostro
sarà
salato. E non per Provvidenza, ma solo perché è
il ciclico movimento della
realtà che lo impone >>.
Mi copro gli occhi con una mano e
scuoto la testa.
<< State rasentando il
ridicolo >>.
<< Immagino
>>. Mi risponde, riappropriandosi
della poltrona.
<< Spero che questo
increscioso episodio sia un caso
isolato, Wymond >>.
<< Dipende da voi, non
da me, my lady >>.
Gli punto il bastone da passeggio
contro, calandomi sugli
occhi il cappello di feltro.
<< Mai più,
Wymond. Intesi >>
I suoi occhi mi fissano per qualche
istante, per sostenere
con tutta la loro fierezza le mie parole; tuttavia, tutti noi siamo
costretti
ad assecondare, se non a sottometterci ai nostri ruoli: e questa
consapevolezza
arriva come una sferzata anche a lui. Nulla è di
più che un maggiordomo, dopo
tutto.
Wymond fa un cenno
d’assenso con il capo, e io mi lascio il
tepore soffocante della casa alle spalle.
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