Hogwarts Legend di Savannah (/viewuser.php?uid=2311)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Part #1: It was a Dark and Stormy Night... ***
Capitolo 2: *** Part #2: Lullabye for a Stormy Night ***
Capitolo 1 *** Part #1: It was a Dark and Stormy Night... ***
Di nuovo qua, in tutti i
sensi ^_^
Questo non è esattamente il sequel
di
Original Sin che in tanti mi hanno
chiesto, ma si colloca in quel breve intervallo tra The Ground Beneath
Her Feet
e Original Sin.
Spero che vi piaccia comunque e di non aver
sbagliato i riferimenti!
*****************************************************
HOGWARTS LEGEND
[ Part#1: It Was a Dark
and Stormy Night…]
Suddenly!
A movement in the corner of the room!
And there is nothing I can do
The
Cure, Lullaby
La donna canticchiava tra sé, la
voce tremante nella solitudine della sua casa, isolata nella campagna.
Quella sera in casa non c’era
nessuno, a parte lei. Il marito era ancora in ufficio, i figli adulti
ormai
abitavano per conto loro, i figli più giovani erano a
scuola. La donna continuò
a cantare prestando orecchio distratto alla musica che usciva, insieme
a una
quantità di fruscii, dalla vecchia radio in un angolo.
Dalla pentola sulla cucina
economica si sollevava una nube di vapore profumato di spezie e di
verdura, che
si mescolava al gradevole odore del fumo di legna del camino, dove un
grosso
ciocco di betulla crollò nel rumore familiare delle braci
che si sgretolavano.
Nell’acquaio che perdeva, una
goccia d’acqua scandiva con regolarità il pigro
scorrere dei secondi.
L’orologio sulla parete invece non produceva alcun ticchettio
o suono tipico:
non possedeva nemmeno le ore e i minuti e sul quadrante, al loro posto,
c’erano
i luoghi e le situazioni in cui potevano trovarsi i componenti della
famiglia,
ognuno rappresentato da una delle lancette.
La donna udì un rumore strano e
interruppe a metà il movimento della bacchetta; il
cucchiaio, che rimestava la
zuppa, crollò contro il bordo della pentola e giacque
immobile.
- Chi è? – domandò, la voce ferma
che vibrava di un sottofondo di inquietudine – Chi
c’è? -
Le rispose solo il silenzio, così
lei sollevò la bacchetta e, ripetendo a mente un incantesimo
di difesa, si
avviò verso la stanza di soggiorno.
Sollevata, constatò che non c’era
nessuno e dopo aver compiuto una breve perlustrazione della casa,
tornò ai suoi
fornelli. Gettando un’occhiata alla finestra si accorse che
era socchiusa:
strano, avrebbe giurato che era sprangata. La richiuse e
ricominciò, in santa
pace, a dedicarsi alla cena. Sul quadrante dell’orologio
appeso alla parete, la
lancetta che rappresentava proprio lei, si spostò dalla
postazione “pericolo
mortale” a quella “casa”…
***
Little
child, be not afraid
The rain pounds harsh against the glass
Like an unwanted stranger
There is no danger
I am here tonight
Vienna
Tengs, Lullabye
for a Stormy Night
Naturalmente era una notte buia e
tempestosa.
A stento c’era da specificare
questa cosa, perché ogni volta che succedeva qualcosa di
sinistro era sempre una notte buia
e tempestosa,
tanto che c’era da chiedersi perché mai, la gente,
quando vedeva calare la sera
e cadere dal cielo qualcosa di più di una semplice
pioggerella, non cominciasse
a prendere tutte le precauzioni del caso: Incantesimo Anti-Maniaco,
qualche
lampada stregata invece delle semplici candele pronte a spegnersi
sempre al
momento meno opportuno…
(Una Mano della Gloria che
avrebbe immancabilmente fregato il maniaco in questione, pensava
Malfoy).
… Oppure, magari, la semplice
precauzione di chiedere chi diavolo fosse alla porta, invece del
solito,
distratto Alohomora dalla cucina o
dalla vasca da bagno, preludio inevitabile a cruenti rituali che si
concludevano immancabilmente con la famiglia affranta che, il mattino
dopo, si
doveva esibire nelle Olimpiadi del Gratta
e Netta per ripulire la casa dal sangue e da tracce di
materia cerebrale.
(Ammesso che l’aggredito
possedesse un cervello, pensò Malfoy rivolgendo
un’occhiata oziosa a Potter. In
caso contrario la gente si sarebbe risparmiata parecchia fatica).
Tante volte l’aggressione era
perpetrata con l’aiuto di una Pozione Polisucco e, in vista
di quella
eventualità, le mamme streghe di solito invitavano i
rampolli maghi – oltre che
a non accettare passaggi su scope o Cioccorane dagli sconosciuti
– a tenere la
gente fuori dalla porta un’oretta prima di aprire,
controllando di tanto in
tanto dallo spioncino se non sapevano ancora effettuare un Incantesimo
Trasparente.
(Dilettanti. Malfoy
sogghignò, lui conosceva quell’incantesimo da secoli, parecchie volte gli era tornato
utile per rendersi conto che sotto il maglioncino della divisa di
Hermione
Granger non c’era solo un gran cuore dal coraggio
Gryffindor).
Poco male che fuori della porta
ci fosse l’ansiosissima e protettiva mammina bloccata con
venti gradi sotto
zero dalle sue stesse raccomandazioni.
Malfoy era pronto a scommettere
che, la protagonista della storiella che stava raccontando Ron Weasley,
fosse
appunto una signora di mezza età, ansiosa, trascurata e grassa, con un cespuglio di capelli color
rame e l’aria
preoccupata, che stava cucinando per una nidiata di cenciosi figlioli
uno più
stupido dell’altro.
Una mamma a caso di un tizio
lentigginoso a caso, insomma.
In ogni modo, nonostante le sue
virtù di narratore fossero avvincenti quanto quelle del
Professor Ruf, il Re
delle Donnole era arrivato al clou della storiella –
raccontata all’amico
dell’amico, dal cugino in terzo grado che era emigrato in
America nel
quarantotto – cioè quando alla malcapitata madre,
rimestando lo stufato, era
capitato di vedere un dito umano andare su e giù nella sua
pentola insieme alle
patate e alle carote e aveva cacciato un urlo che aveva fatto accorrere
i
vicini, i quali, via camino, si erano precipitati da lei, e avevano
trovato un
cadavere a pezzi nel suo giardino, tra la pegola e le tane degli gnomi.
Potter sembrava improvvisamente
tutto interessato.
- Quale dito? -
Il medio, pensò Malfoy.
Ginevra Weasley sembrava sul
punto di mostrarglielo addirittura, realizzando una sua peccaminosa
fantasia,
tuttavia dovette ricordarsi, all’ultimo momento, che erano in
pubblico.
- Il dito di chi? –
insistette Potter.
Sicuramente il Ministero della
Magia Svedese non avrebbe avuto nessuna difficoltà ad
assegnare quel tale premio,
che Malfoy non riusciva mai a ricordare come si chiamasse, intitolato a
quel tale
mago che aveva inventato l’Incantesimo Dinamitardo: con ogni
probabilità tutti
i membri del Comitato sarebbero saltati in piedi urlando
”Potter! Potter!”,
così il Bambin Sopravvissuto avrebbe avuto
un’altra onorificenza da aggiungere
alla sua ampia quantità di boria.
Hermione Granger, che purtroppo
adorava il suo migliore amico,
ma per fortuna si rendeva anche conto che, a volte, non era
propriamente un
asso nel cogliere l’essenziale di un discorso, gli diede
un’amichevole pacca
sul ginocchio e disse, paziente – Harry, credo non sia questo
il punto –
Potter sgranò gli occhioni verdi.
Passaporta per la Svezia
pronta per l’uso, uno, due…
- E qual è? -
…Vi ringrazia per la vostra scelta
e si augura di avervi come ospiti al
più presto!
- Harry – il tono di Ginny
Weasley avrebbe indotto le legioni infernali ad aprire la prima sciovia
per
spostarsi da un girone all’altro – E’ una
leggenda metropolitana -
Potter si massaggiò il mento e
considerò prima la sua migliore amica e poi la sorella del
suo migliore amico –
Come quella del libro della strega che viveva a Bath e dei Sonetti di
uno
Stregone? –
- Quelle sono vere! Me lo ha
detto papà! – disse Ron Weasley, in tono indignato
– E anche il fatto del libro
che bruciava gli occhi! -
Potter gli rivolse un’occhiata
sorpresa e non rispose. Il Re, in maniche di camicia e con gli
avambracci
muscolosi scoperti, distolse lo sguardo dalla scatola dei biscotti al
burro per
puntarlo sul Migliore Amico, assumendo un’espressione
profondamente ferita,
tipo qualcuno che ha ricevuto la classica coltellata
nell’arteria inguinale
durante un fraterno abbraccio.
- Papà ti ha detto anche che
esisteva Babbo Natale – intervenne impietosamente la Weasley.
- Oddio, Ron – sospirò Hermione –
Non mi dire che ci hai creduto.
E’
solo una leggenda metropolitana -
- Leggenda metropolitana – intervenne
una voce limpida e vivace, vicino al tavolo verde, con il tono di chi
ha
trovato due parole particolarmente piacevoli da ripetere.
La ragazza dai lunghi capelli
d’oro filato trattenuti da un nastro di velluto blu, fece
dondolare la scarpa
di vernice azzurra dal piedino snello fasciato di seta e
annuì un paio di
volte.
- Ne ho sentito parlare. Per
esempio, in giro si dice che i testi delle canzoni di Celestina Warbeck
contengano messaggi sublimi –
- Subliminali, Tessie, cara
– corresse amorevolmente Reese Hewitt –
Quella vecchia storia degli inviti a unirsi ai Mangiamorte e a usare
Artigli di
Drago e Pietra di Luna -
Jalice Love guardò le due amiche
e sorrise – Avete ragione entrambe. I messaggi sono
subliminali, ma le canzoni
di Celestina sono … - sospirò – sublimi
–
- E poi naturalmente, c’è quella
faccenda delle canzoni delle sorelle Stravagarie. Sapete, pare che
sentite al
contrario contengano messaggi satanici… -
Anthony Goldstein, adagiato in
una poltrona di pelle sfondata, che un tempo aveva fatto bella mostra
di sé
nello studio di Vitious, faceva roteare in un bicchiere panciuto del
Firewhisky
Gran Riserva di cui, prima o poi, suo padre avrebbe notato la scomparsa
dalla
cantina della loro casa nel Somerset.
Nel suo regno, la saletta del
Club dei Duellanti, sereno e a suo agio, con la cravatta allentata e il
colletto sbottonato, rivolse un sorriso indulgente alle Blue Ladies. I
suoi
occhi bruni, così profondi nella penombra del fuoco, si
fermarono su Tess
Steeval con un’espressione di dolcezza quasi dolorosa.
Spostandosi verso la parte
opposta della saletta, lo sguardo del Caposcuola di Ravenclaw
incontrò quello
di Malfoy e il suo sogghigno canzonatorio, così
abbozzò con un lieve scrollare
di spalle e ricambiò il sorriso.
Malfoy guardò, di nuovo,
interessato, quel gruppetto di Ravenclaw, svampite fino a chiedersi se
avessero
ingurgitato una tonnellata di Lunaria dopo aver subito un Incantesimo
di
Memoria riuscito male e magari fatto una nuotatina in una piscina di
Firewhisky.
Infine si domandò se davvero
Celestina Warbeck lavorasse per la Causa.
Un sospiro turbò l’aria che stava
respirando, costringendolo a dimenticare ogni altro pensiero per
seguirne il
suono fino a lei.
Labbra pallide accese dalla stretta
nervosa di denti candidi.
Denti gentili, di cui ricordava
il morso sulla spalla nuda, subito lenito dal tocco di un respiro dolce
e
affannoso.
La sensazione di tenerla tra le braccia, di
sentire sotto le labbra le
sue palpebre serrate e le ciglia, la sua bocca socchiusa e poi bere il
suo
grido sommesso, le mani nelle sue e su di lui.
Immagini che non dimoravano più
tra l’incubo e l’immaginazione, ma erano il ricordo
di quanto era successo la
notte precedente, e quella prima ancora.
Ricordo e anticipazione.
Icicle dreams are the memories gone by
Have you ever seen a lullaby on fire
Darling
Violetta, Beautiful
Ciglia scure che, per un istante,
si alzarono per incrociare il suo sguardo, poi si riabbassarono sulle
fiamme
del camino, le guance che si imporporavano per un calore che non era
soltanto
quello del fuoco.
Ricordo.
Lui osservò affascinato quel
rossore, la mano che gli correva alla spalla per tracciare idealmente
il
marchio delle sue labbra; il graffio che le sue unghie gli avevano
disegnato
sulla schiena palpitava piano, un dolore dolce che si alzava e
abbassava al
ritmo delle fiamme nel camino, gonfiandosi e poi piegandosi in
un’onda ardente.
Che bruciava, lenta, costante,
intensa.
Anticipazione.
Lasciò ricadere bruscamente la
mano con cui aveva preso a massaggiarsi, inconsapevole, la spalla, e
distolse
lo sguardo da lei, spezzando quel contatto di respiri e pensieri; e
all’improvviso, fu come se intorno a lui qualcuno avesse
alzato bruscamente il
volume: tutti parlavano ad alta voce, contemporaneamente, con
l’applicazione di
chi cerca di coprire un rumore di fondo fin troppo nitido.
Fingendo di guardare, a caso,
verso il tavolo da gioco, incrociò gli occhi blu di Tess
Steeval, che gli
restituì uno sguardo sagace e poi sbirciò, con
intenzione, verso Hermione Granger.
Malfoy la guardò male e quella,
per tutta risposta, ammiccò, per niente disturbata dalla sua
irritazione.
- Tipo la storia della pianta
carnivora nella serra numero sette? – stava dicendo Terry
Steeval – Quella che
ha ingoiato uno studente di Hufflepuff che poi è spuntato in
primavera dentro
un baccello gigante? -
- Non esiste una serra numero
sette – disse Ginny Weasley, piegandosi verso Jalice per
farsi accendere una
sigaretta, un gradevole odore di menta e cioccolato si diffuse come una
nuvola
intorno alla sua figurina snella – A meno che non sia la
famosa serra che compare
solo nelle notti di novilunio –
- Esatto – rispose Terry, ridendo
– Altra leggenda di Hogwarts –
- Beh – intervenne King Weasley –
C’è anche quella del ragazzo che è
entrato a bere qualcosa alla Testa di Porco
e dopo ha un vuoto mentale completo. Ricorda solo di essersi svegliato
in una
vasca da bagno piena di ghiaccio e che stava malissimo: lo portano di
corsa al
San Mungo e lì scoprono che gli avevano fatto Evanescere un
rene –
- Se invece del rene si fosse
trattato del cervello, avrei giurato che eri tu il protagonista della
storia –
intervenne una voce scocciata e fredda, proveniente dalla parte opposta
del
camino rispetto a quella dove si erano asserragliate le Tre Grazie del
Gryffindor.
- Ma come sei gentile – replicò
Ron Weasley, contrariato.
Nell’ombra, un piede, calzato di pelle
di drago verniciata, oscillava con un movimento che tradiva una certa
impazienza,
l’altro piede piantava saldamente un tacco nella trama lisa
di un tappeto
raffigurante un gruppo di unicorni; le caviglie snelle, appena scoperte
dall’orlo di un paio di costosi pantaloni neri, continuavano
in un paio di
gambe flessuose della cui proprietaria, seduta sul bracciolo di una
poltrona,
si poteva intuire solo un’aureola di capelli biondi che
balenava nell’ombra non
raggiunta dai bagliori del camino.
Un sottile profumo selvatico e
raffinato, rose canine e bruma, si allargava come una rete intorno a
lei.
Impigliata in quella rete, una
mano grande e abbronzata, gemelli d’oro che chiudevano un
polsino perfettamente
inamidato, si mosse, tamburellando le dita sulla spalliera della
poltrona, come
percorsa da un fremito nervoso.
- Daphne, - intervenne una voce
profonda, distaccata, accanto a lei – stai riempiendomi la
camicia di cenere -
Il volto del giovane rimaneva
celato nell’identica ombra che nascondeva quello della
ragazza; nella luce
scarsa, che le fiamme del camino aggiungevano a quelle di due candele
su uno
scaffale, si delineavano spalle larghe e capelli neri sul bianco
immacolato di
una camicia dal taglio magnifico.
- Ne hai un altro centinaio, di
camicie – rispose quella, pungente – Se la cosa non
ti sta bene, spostati –
- Sempre una nobildonna – la
canzonò l’altro.
La voce aveva accordi profondi,
di rara armonia, e un’eco amara che, anche
nell’inflessione salottiera, non
riusciva a dissolversi completamente.
Con un gesto distratto della
bacchetta, il giovane chiamò a sé un posacenere
di vetro. Lo porse alla
ragazza, che lo prese senza una parola di ringraziamento, sfiorandogli
appena
la mano, per caso, con la naturalezza indifferente e familiare delle
battute aspre
che si erano scambiati un istante prima.
- Non c’è di che – mormorò
lui,
in tono amabile.
Daphne Greengrass emise uno
sbuffo di fumo alle rose selvatiche, che in parte voleva essere un
verso di
scherno, e si tese in avanti dal bracciolo della poltrona
dov’era appollaiata
alla destra di Blaise Zabini, gli occhi verdi erano sarcastici come la
sua
voce.
- Va bene, - disse – Adesso
ascoltate questa -
***
Il castello che ospitava la Scuola
di Magia e
Stregoneria di Hogwarts era un intero mondo: superfici che si
estendevano per
piani e piani, mansarde inesplorate, sotterranei che sprofondavano
nella terra e
poi corridoi labirintici che si dipanavano per miglia e miglia; senza
contare
gli ambienti segreti, quelli itineranti e quelli che comparivano e
scomparivano
a seconda delle condizioni atmosferiche, dei bisogni di chi li cercava,
dell’avvicendarsi dei giorni o dei mesi…
Hogwarts era anche un immenso magazzino:
stanze e stanze in disuso, stipate di vecchio mobilio e oggetti perduti
e mai
rivendicati o, semplicemente, di cui negli anni si era persa memoria
della
funzione e del proprietario. Soffitte e ripostigli, cantine e armadi,
nascondigli collegati da passaggi segreti o vegliati da quadri e statue
dotate
di ingegno e volontà, gallerie interne e montacarichi che
correvano all’interno
delle mura massicce.
Era naturale, nel caso qualcuno
lo decidesse, avere la concreta possibilità di nascondersi
al suo interno.
(Era innaturale e disumano,
obiettava qualcuno, a mezza voce, che vista
la quantità di spazio a disposizione, gli allievi fossero
barbaramente
costretti a stipare i loro effetti personali in un unico
baule quattrostagioni).
Tra l’altro era perfettamente
inutile che qualcuno cominciasse a obiettare che la scuola era
perfettamente
protetta da intrusioni.
(Grasse risate nella zona
Slytherin della platea, mugugni di protesta da parte dei Gryffindor,
qualche
occhiataccia che rimbalzava da un lato all’altro del camino).
A memoria di studente, infatti,
risultava che chiunque, a cui fosse venuto il capriccio di scorrazzare
per il
Castello, ci fosse riuscito senza incorrere in eccessive
difficoltà.
Questa considerazione poteva
essere foriera di parecchi brontolii di malcontento dalla curva
Gryffindor; ma,
sinceramente, non erano nemmeno da prendere in considerazione le
obiezioni di
un branco di storditi che se ne erano andati in giro per giorni, tronfi
di
orgoglio, perché un Mangiamorte sotto mentite spoglie aveva caldamente raccomandato loro di
diventare Auror e, a posteriori, non si erano nemmeno sentiti presi per
il …
(Qualcuno tossicchiò con
discrezione).
…Per il deretano.
Senza, ovviamente, fare menzione
della piccola svista in cui tutti
erano incorsi il primo anno non accorgendosi che lo stesso Signore
Oscuro aveva
goduto dell’ospitalità del Castello,
dell’eccellente sangue degli unicorni
della sua riserva e della piacevole compagnia dei suoi nemici giurati;
lasciando
da parte vecchie pazze inquietanti (e vivamente rimpiante dagli
Slytherin) -
libere di torturare gli allievi, senza considerare che c’era
gente che era
stata segnalata a Gufo Azzurro ed era finita in galera per molto meno -
tra i
delinquenti che avevano piantato felicemente le tende in quel di
Hogwarts, si
registrava una sensibile percentuale di gente scappata da Azkaban,
insieme a
quella che ovviamente sembrava scappata dal Reparto Psichiatrico del
San Mungo.
Morale della favola: Hogwarts era
impenetrabile meno di quanto Azkaban fosse a prova di evasione, con la
buona
pace dei Presidi che erano i Più Grandi Maghi
dell’Universo Creato e delle
prigioni sulle isole sperdute nel mare che magari avevano anche
l’arsenico
nella carta da parati.
Tant’era che quando Sirius Black aveva
deciso di entrare nel dormitorio di Gryffindor non aveva certo trovato
gli
Squadroni della Morte a fermarlo, ma un cortese bigliettino di
benvenuto con
tutte le parole d’ordine; inoltre, quando dopo la Coppa
del Mondo di Quidditch,
qualcuno aveva avuto il sospetto che il Lato Oscuro si trovasse in vago fermento
e non si era trovato di meglio da fare che assumere un Mangiamorte
che insegnasse agli allievi a difendersi dai
Mangiamorte, tutti avevano perso all’istante il diritto di
proferire verbo
sull’argomento sistemi di sicurezza.
Tutto ciò premesso e ritenuto,
tempo prima, era successo che, nei dintorni del Castello,
all’interno dei
ripostigli dello stesso e nei pressi della Foresta Proibita - vale a
dire
ovunque si trovassero fratte, in senso reale o figurato, conformi a
ospitare i
momenti di intimità delle coppiette – era iniziata
a circolare una voce
abbastanza allarmante: dalle frequenze di Radio Strega Network e di
Radio
Strega Rock era giunta la notizia che un pazzo maniaco era scappato da
Azkaban
e si aggirava nei dintorni di Hogsmeade.
Poco male, avevano pensato tutti,
ricominciando a tubare in piccionaia coi rispettivi, non che ci fosse
da
preoccuparsi in maniera eccessiva: tanto, quando un pazzo maniaco
evadeva da
Azkaban, di solito lo faceva per accoppare Potter e non per nuocere ai
privati
cittadini.
La considerazione che, però,
negli anni, si era registrato un sensibile numero di vittime
collaterali, aveva
presto raffreddato gli entusiasmi
provocando un crollo verticale dei desideri.
In effetti, a pensarci bene, sempre
più spesso, c’era qualcuno che ci rimetteva le
penne o che, per lo meno, veniva
acchiappato per i capelli prima di farlo. Tanti raggiungevano la Terra
dei Più (in altre
parole Azkaban), altri, tra un inciampo nei pressi di qualche Velo, per
colpa,
poniamo, della zietta di qualcuno,
e
un incidente in un cimitero, lasciavano inesorabilmente questa valle di
lacrime.
Come dimenticare, per esempio, la
buonanima di Cedric Diggory?
Su quello che era successo nel
cimitero di Little Hangleton tutti avevano qualcosa da dire e da
commentare.
Certo, chi aveva visto Mastro Gazza portare fuori carriole di detriti
dalla
Camera dei Segreti, aveva rivolto un pensiero di sincera partecipazione
a
quelli che, il giorno dopo il fattaccio, erano andati al cimitero per
mettere
fiori sulla tomba dei cari defunti e, vedendo il disastro, avevano
ricevuto un
colpo tale da rischiare di defungere
a loro volta.
(Tra l’altro, ingiustamente
vilipesi e accusati di omertà, gli Slytherin avevano, al
solito, viste ignorate
le loro opinioni in merito. Che sciocchezza, avevano tuonato dai
sotterranei:
non si trattava affatto del ritorno del Signore Oscuro, ma di un delitto passionale! Insomma, nessuno
aveva notato che la benedett’anima era stato avversario al
Tremaghi nonché
rivale in amore di Potter?).
Insomma, fatte tutte queste
considerazioni, le coppiette non si erano più sentite tanto
al sicuro e avevano
cominciato a dare segni di agitazione; avevano abbandonato il
ripostiglio
coniugale o l’aula nuziale, e avevano fatto ritorno nei
dormitori a tremare in
santa pace ognuno sotto il proprio baldacchino.
A quanto si diceva, il pazzo
maniaco in questione aveva anche un aspetto particolarmente
raccapricciante e
un uncino al posto della mano.
Una di queste coppiette, che
aveva trovato la giusta privacy in uno stanzino delle scope presso il
terzo
piano, a un certo punto della notte aveva sentito dei rumori strani
provenienti
dal corridoio.
All’inizio non ci avevano badato.
Probabilmente lui, che era un autentico porco,
era occupato a fare tutt’altro che preoccuparsi di una cosa
trascurabile come
la possibilità di finire sbudellati.
Lei invece, con ogni probabilità,
era angosciata all’idea di morire di una morte infinitamente
peggiore.
***
- Fermati. E’ la seconda volta
che sento un rumore. Forse c’è qualcuno fuori
della porta -
Un respiro impaziente aveva fatto
eco alle sue parole, poi labbra tenere si erano posate di nuovo sulla
sua
spalla per un breve bacio.
- Sarà quel guardone di Potter –
aveva risposto lui, in tono leggero – Sei preoccupata per la
tua reputazione,
mia sfacciata Caposcuola? Tranquillizzati: dubito che, anche se dovesse
continuare a spiarci, riuscirebbe a capire cosa stiamo facendo -
- Idiota – il pugno di lei sulla
spalla nuda gli aveva strappato una risatina – Non mi sento
tranquilla -
- Hai paura che sia il maniaco
pronto a levarci le budella? –
- Peggio: – aveva proferito lei
in tono lugubre - la
Professoressa McGranitt
pronta a espellerci
–
I know what you want
And I'll give you everything
In twilight morning while all the world sleeps
Cinnamon sins are all safe here with me
Darling
Violetta, Say you love me
La risata sommessa che aveva
fatto eco alle sue parole si era spenta contro il suo seno. Lei aveva
mosso una
mano per immergerla trai suoi capelli, seta di luna sotto le dita, ed
era rimasta
assorta nella sensazione di averlo tra le braccia, la sua guancia sul
petto e
il respiro che le solleticava la pelle, mentre lui rideva ancora,
piano.
Era passato così poco tempo,
ancora, e amarsi era sempre un po’ essere ai
ferri corti.
Una lotta silenziosa tra parole
eluse e sospiri trattenuti e poi abbandonarsi, non senza avere
combattuto,
quando tutto diventava semplicemente troppo.
Lui le risalì con le dita lungo
il fianco e girò il volto per imprimerle sulla carne un
bacio gentile,
l’ennesimo marchio invisibile che lei, la mattina dopo,
avrebbe cercato nello
specchio e nei propri occhi.
Gli passò l’altro braccio intorno
alle spalle, con la mano ridiscese, assorta, a godersi la linea della
sua nuca
e della schiena. Sotto le sue dita i muscoli del dorso si mossero,
mentre lui
le passava un braccio attorno alla vita.
- A cosa stai pensando, mia
piccola Mezzosangue? -
Rispose da solo alla propria
domanda, puntellandosi sui gomiti e scivolando su di lei fino a che i
loro visi
si toccarono. Posò la fronte contro la sua, poi
abbassò il capo per baciarle il
collo, i suoi capelli morbidi e sottili le accarezzarono il viso e la
gola.
A cosa stai pensando?
Lei rilasciò le gambe in modo che
si separassero naturalmente, chiuse gli occhi, assorbita solo dalla
sensazione
di avere addosso il suo peso.
Cosa sogni quando dormi e quando sei sveglia.
Solo te, solo di te.
Prometti che sarà sempre
così.
Te lo prometto.
Qualcuno, fuori dalla porta,
produsse un suono simile a un grattare contro il legno…
Your eyes speak so silently
They tell me what you want from me
There is no more I can do
I’ll always be inside of you
Darling
Violetta, Beautiful
***
La testa le ciondolò sul petto un
attimo e lei la rialzò automaticamente, svegliandosi di
colpo. In preda al vago
vuoto di stomaco e al disorientamento conseguente al brusco risveglio.
Si
guardò intorno, fino a che non mise a fuoco un paio
d’occhi grigi fissi su di
lei.
Appena sveglia, lo cercava come avrebbe
cercato una qualsiasi luce.
Si era assopita per qualche
minuto e Daphne Greengrass era quasi giunta al termine del suo
racconto.
Allarmata dai rumori, la ragazza
del ripostiglio, aveva puntato la bacchetta contro la porta e aveva
scagliato
l’Incantesimo di Disarmo.
Per precauzione, i due avevano
usato un passaggio segreto, per abbandonare il ripostiglio, invece
della porta
sul corridoio: la mattina dopo, andando in perlustrazione, avevano
trovato,
appeso alla maniglia della porta del loro ripostiglio, un uncino di
ferro…
Hermione rabbrividì, battendo le
palpebre per scacciare le ultime tracce di sopore.
- Quel maniaco, povero infelice –
sospirò Blaise Zabini, – Era sicuramente qualche
complesso irrisolto a
spingerlo a comportarsi così -
Parecchi sguardi si spostarono si
di lui, alcuni incuriositi, altri decisamente meravigliati per quello
sfoggio
di fine criminologia.
Daphne Greengrass e Draco Malfoy
invece lo guardavano come se gli fossero spuntati improvvisamente una
certa
quantità di tentacoli dalle orecchie.
- Voglio dire, - Zabini scosse il
capo – un uncino al posto della mano: era naturale che
soffrisse. Con ogni
probabilità non poteva indossare un vestito senza strapparlo -
L’intera Club House piombò nel
silenzio più assoluto, spezzato solo dal sospiro partecipe
di Tess Steeval.
- Oh Blaise, sei sempre così
sensibile -
***
Tra le leggende che giravano a
Hogwarts, naturalmente, non potevamo mancare quelle sugli insegnati.
- Io ne so una favolosa su Piton
-
- Che è un Mangiamorte? –
Insinuazione a mezza voce di
Weasel, occhiata da parte degli Slytherin. Non si capiva bene se
volesse
significare che i Gryffindor cominciavano a diventare monotoni o
sincera
incredulità perché ci avevano messo anni ad
afferrare il concetto – in ogni
modo, si guardarono malissimo, poi Ginny Weasley continuò a
raccontare.
Uno studente di Gryffindor, un
giorno era stato interrogato da Piton. Si trattava di un ragazzo che
notoriamente
in Pozioni andava molto male ed era cliente affezionato dei
commercianti di
calderoni; ma l’interrogazione non giungeva inattesa,
così lo studente era
preparatissimo.
Arrivare alla cattedra era già
stata un’impresa di grande coraggio, visto che lo studente
era letteralmente
terrorizzato da Piton. Trattandosi però di un Gryffindor,
faceva parte del suo
destino sopportare simili sfide alla sorte.
Dapprima balbettando poi,
facendosi pian piano quasi sicuro, aveva risposto brillantemente a un
fuoco di
fila di domande, tanto che Piton era addirittura livido
A un certo punto il professore
aveva tentato l’ultima domanda: lo studente avrebbe dovuto
illustragli la
preparazione della Pozione Antilupo, i modi e i tempi in cui andava
assunta.
Lo studente aveva risposto
perfettamente e anche Piton alla fine era stato costretto ad abbozzare,
dichiarandosi tacitamente sconfitto.
Improvvisamente tutto gentile, il
professore di Pozioni aveva detto allo studente che si complimentava
con lui e
con un colpo di bacchetta aveva fatto apparire sulla cattedra una
grossa
confezione di zollette di zucchero colorate.
Le aveva offerte allo studente,
pregandolo di accettarle in segno di stima per addolcire le sue Pozioni
Antilupo.
Lo studente aveva accettato,
tutto trionfante…
Hermione Granger sbuffò in segno
di dissenso, scuotendo il capo – Io non lo avrei fatto
–
…e Piton aveva sorriso.
Già vedere Piton sorridere era
uno spettacolo tale che la gente di solito ricorreva a ogni sorta di
scongiuri
conosciuti; vederlo sorridere a un Gryffindor, naturalmente, non poteva
preludere che a qualcosa di estremamente piacevole.
Per gli Slytherin tutti.
- Lo zucchero annulla
completamente gli effetti della Pozione Antilupo. A posto:
insufficiente -
Malfoy che aveva cominciato a
sogghignare non appena aveva sentito parlare di zucchero,
scoppiò in una risata
e considerò la Weasley
con aria di sufficienza.
- Anche io ne conosco una simile
– intervenne, la voce fredda, lo sguardo che si fissava su un
punto a caso della
stanza, per non dare nemmeno l’apparenza di rispondere a una
persona che
considerava così in basso - Però
l’insegnante in questione è la McGranitt
-
- Sentiamo –
Anthony Goldstein si protese in
avanti, gli avambracci sulle ginocchia, la camicia bianca che creava un
contrasto piacevole con la carnagione olivastra – Par condicio – aggiunse, con un
sorriso, rivolto ai Gryffindor che
si erano rabbuiati – Slytherin ha diritto di replica
–
Dietro l’intonazione affabile si
avvertiva una certa ilarità. I Ravenclaw erano del tutto
immuni al senso di
rivalità che correva tra le due Case: di volta in volta
divertiti o irritati
per i risvolti esasperati della situazione, consideravano i loro spazi
neutrali, nei quali si era i benvenuti, ma si doveva fare di tutto per
non
turbarne l’armonia.
Era la forza della personalità di
Anthony che permetteva a tre Gryffindor di guardare in cagnesco tre
Slytherin
da un lato all’altro di in caminetto senza che si saltassero
più o meno
metaforicamente alla gola.
Malfoy e Potter si ignoravano accuratamente,
con una tale, perfetta, padronanza che solo gettare un Mantello
dell’Invisibilità
addosso a uno dei due avrebbe permesso di raggiungere un effetto
migliore.
Tutto ciò in onore del quarto
Gryffindor, quello che spostava ansiosamente lo sguardo
dall’uno all’altro
ragazzo, senza riuscire a rilassarsi veramente per un solo momento.
Tranne cadere addormentata per qualche istante
e fare un sogno che le
sembrava chiunque le potesse leggere negli occhi, nel momento in cui
aveva
incontrato quelli di lui.
Hermione abbassò gli occhi sul
ricamo d’ombra che il parafuoco di ferro battuto disegnava
sul tappeto, poi li
spostò sui gemelli Steeval, poco distanti da lei. Due teste
bionde chine l’una
verso l’altra in una confidenza affettuosa che lei aveva
sempre immaginato
potesse esistere tra fratelli. Terry, seduto su una sedia al contrario,
le
braccia incrociate sulla spalliera e il maglione della divisa annodato
al collo
per le maniche, si piegava all’indietro per farsi accendere
una sigaretta dalla
sua gemella, mentre un gradevole odore di brezze marine si diffondeva
per la
stanza.
Tess, seduta sul tavolo verde,
intercettò lo sguardo di Hermione e le sorrise.
Era un sorriso di generico
incoraggiamento, comprensivo e allegro. La piccola Blue Lady le
soffiò un bacio
sulla punta delle dita insieme a un nuvola di fumo al gelsomino e
articolò una
frase affettuosa, in silenzio.
Ti voglio bene, Capogranger.
Poi si piegò in avanti per
accostare il viso a quello di Anthony, sulla poltrona accanto a Terry,
includendo idealmente anche lui in quel cerchio di calda vicinanza.
***
La storia raccontata da Malfoy
suonava più o meno così: una triste mattina, un
povero, incompreso,
ingiustamente disprezzato Slytherin – situazione, la sua,
tristemente consueta,
in quella scuola dittatoriale, dove una stupida cicatrice contava
più di intere
generazioni di sangue purissimo e di un padre Consigliere –
si era recato alla
cattedra a ritirare il compito di Trasfigurazione.
La
Professoressa – siccome
erano tra persone corrette non si facevano nomi: si poteva solo dire
che trattavasi
del braccio destro del peggiore Preside che Hogwarts avesse mai avuto,
donna di
estrema parzialità, sempre pronta ad avere un occhio di
riguardo verso la sua
Casa, non come quell’icona di assoluta equità che
era il Professor Piton –
aveva squadrato il ragazzo in questione, dalla cima dei capelli biondi
fino
alla punta delle scarpe in pelle di drago acquistata a peso
d’oro da onesti e
laboriosi bracconieri, infine aveva proferito, gelida:
– Signor Malfoy, quando ti ho
chiesto di documentare un caso pratico di Trasfigurazione Umana a
Semispecie Animale
non volevo certo invitarti a fornire il signor Paciock di un paio di
orecchie
da coniglio -
Ferito nel suo orgoglio di studioso
dedito con abnegazione alla
ricerca, lo studente Slytherin si era limitato a proferire una
contegnosa
protesta – mi premurerò
di informare mia
madre, forse ha dimenticato chi è mio padre,
lei-non-sa-chi-sono-io - prima
di chiudersi in un dignitoso silenzio.
Forse considerando tutti i
galeoni che i Malfoy avevano sborsato per fornire la scuola di
attrezzature
nuove di zecca per le aule di Pozioni e delle munifiche donazioni per
rimpolpare, con grande lungimiranza e spirito educativo, la Sezione
Proibita della
Biblioteca, la Professoressa si era
lasciata indurre a osservare con
attenzione lo studente incompreso.
- Va bene – aveva decretato
infine – che cosa preferisci? Un Accettabile qui oppure un
Oltre Ogni
Previsione in giardino? -
Ovviamente il senso di giustizia
del giovane Slytherin aveva preteso solo quello che gli spettava di
diritto –
Un Oltre Ogni Previsione in giardino –
Sul bordo del suo compito era
subito comparsa la sigla in lettere violette OOP e poi…
- Relascio -
Con un preciso incantesimo di
Esilio, la
Vecchiaccia
aveva spedito il compito della povera vittima Slytherin fuori dalla
finestra
dritto dritto in cortile.
Per la verità la storia non era
nulla di particolare. Alla fine però, tutti gli Slytherin
esibivano dei
sogghigni molto soddisfatti a fronte dei cipigli scuri dei Gryffindor.
- Non sarebbe da lei comportarsi
così! -
La voce irata di Harry Potter gli
valse uno sguardo gelido da parte di Malfoy, profondamente seccato per
essere
stato interrotto in una delle sue fantasie narcisistiche preferite.
Potter non aveva inteso
rivolgersi a lui direttamente e, naturalmente, lui non avrebbe mai
messo da
parte la sua dignità per rispondergli, così si
limitò a squadrarlo con astio
per poi distogliere subito lo sguardo e fissare le fiamme del camino.
Daphne Greengrass, invece, era
quel tipo di persona che, quando riteneva qualcuno un idiota non
riusciva a
esimersi dal renderlo partecipe della cosa, così
lasciò esplodere una risatina
sgradevole.
– Taci, Potter, nessuno ha
inalberato dignità ferite quando avete dipinto Piton come un
maniaco che
distribuisce zucchero ai ragazzini –
Lo sguardo che in quel momento
stava rivolgendo a Harry Potter aveva una dotazione di disprezzo
sufficiente da
aspergersi con generosità anche sui due Weasley che, al
solito, non
abbandonavano il fianco del Fanciullo Che Li Avrebbe Seppelliti Tutti.
Blaise Zabini non avrebbe abdicato
alla sua dignità nemmeno per l’attimo occorrente a
prendere atto della presenza
di gente come Potter e i Weasley, così finse di non notare
quei tafferugli
mascherati da sguardi, erigere e smontare barricate ai lati di un
camino, sotto
l’attenzione sempre meno paziente dei Ravenclaw.
Draco Malfoy esibiva un sorriso
di una dolcezza scivolosa e infida come marmo bagnato, pronto a
ospitare passi
falsi e venature scure sul candore apparente. La soddisfazione celata
solo da
una pudicizia di facciata, da zitella che si segna la croce sul petto
davanti al
nudo di una statua antica, sogguardò una burla silenziosa,
all’indirizzo di
Potter.
Hermione Granger, accorgendosene,
gli rivolse un’occhiata di irritazione esasperata e lui
sentì il proprio
sorriso incrinarsi. Tuttavia resistette, uno sforzo di muscoli facciali
e di occhi
sempre più freddi di muto rimprovero.
Senso dell’humor Gryffindor: rigorosamente
eterodiretto, si disse, con rabbia, alzandosi di scatto per raggiungere
un
tavolino apparecchiato con un vassoio in argento e bicchieri di
cristallo
pesante e, cosa più importante, la bottiglia di Hogden Gran
Riserva del signor
Goldstein padre.
Un tossire garbato sfumò la nube
di tensione al grado di nebbia leggera – Io ne conosco una
molto interessante!
– disse Tess Steeval, scambiando un’occhiata con
Reese Hewitt e poi con Jalice
Love che sembrarono capire al volo.
- Quella della compagna di
stanza? – domandò Jalice – No, ti prego,
mi terrorizza -
- Oh, è cruenta – commentò Reese,
rabbrividendo delicatamente.
Malfoy pensò che al momento non
poteva essere più cruenta di certe sue fantasie. Il suo
sguardo saettò su
Potter e poi su Weasley, prima di tornare al bicchiere che stringeva
nella
destra, sfaccettature di cristallo, pesanti sporgenze intagliate dove
la luce
si confondeva col riverbero alcolico di un abbandono contraffatto.
Ambra
liquida avverso bagliore di fuoco che giungeva dal camino bagnandogli
la mano e
tenendo il resto nell’ombra.
Dove gli spettava restare.
Ingoiare un sorso, insieme al
liquido salato che qualche anno addietro gli avrebbe bagnato le guance,
prima
che il senso dell’ingiustizia inflitta ad altri medicasse di
sano
disincanto
gli occhi con cui guardava il mondo, era segnare un punto fermo nella
parabola
discendente di quella serata.
Con l’anima nello stomaco,
ustionato dall’acido che gli scendeva per la gola, fece un
gesto distratto
della bacchetta e attirò a sé un portasigarette
d’argento, il cui proprietario
si limitò a lanciargli un’occhiata simile a
sartiame teso a sostenere un
sussulto di orgoglio rabbioso, di quelli che non fanno prigionieri
nemmeno
nelle proprie file.
Blaise Zabini rilassò la schiena contro
l’imbottitura pesta della poltrona, un sorriso malinconico e
saputo, eluso nel
doveroso tributo di ilarità alla storiella che stava
raccontando Tess Steeval. Accanto
a lui Daphne Greengrass fumava in silenzio, secchi gesti della mano che
avvicinavano alle labbra la sigaretta consumata e una smorfia sempre
più
evidente: lo sguardo tempestoso di Weasley che si rifiutava di
incontrare il
suo e lei che, al solito, tirava dritto davanti a quella freddezza.
Nature morte di rapporti intorno
a un fuoco, fiori secchi non abbastanza lontani dalle fiamme.
- E’ una storia vera – stava
dicendo Tess.
- Siamo pronti a scommetterci –
Terry scosse il capo con un sorriso mentre Reese Hewitt annuiva con
aria saggia
– No, Terry, Tessie ha ragione: ce lo ha raccontato un amico
di Roger Davies
che aveva un cugino in secondo grado che frequentava Hogwarts quando
è successo
–
Terry si allentò il nodo della
cravatta e accettò il bicchiere che Ginny Weasley gli
porgeva. La studiata
cortesia di Terry, allo stesso modo della vivacità di Tess,
riuscivano dove
nessun silenzio avrebbe potuto. Da quando lui e Ginny si erano
lasciati, il
ragazzo sfoggiava un imperscrutabile buonumore, come un vestito di
eleganza trascurata,
non abbastanza formale da necessitare di giustificazioni, ma
così gradevole da
non sollecitare troppe indagini.
- E’ successo a un settimo anno
Ravenclaw – la voce limpida di Tess era un refolo di aria
pura nel fumo
vagamente opprimente della saletta – Una delle ragazze, che
occupava la stanza
dove stiamo noi adesso, aveva l’abitudine di portarsi in
camera i ragazzi, la
notte. Le altre sopportavano, un po’ per
solidarietà femminile e un po’ per
fastidio -
- Il chiasso era parecchio –
specificò la bruna Jalice suscitando un coro di risatine
grate per averle dato
l’occasione di riempire quel silenzio ancora teso.
- Così le ragazze presero
l’abitudine di chiudere i baldacchini e Imperturbarli
– continuò Tess – anche
perché la situazione andava pian piano facendosi
letteralmente insostenibile.
Così successe che una sera, durante le vacanze di Natale,
quando le altre del
settimo erano partite, una delle ragazze torna in camera per mettersi a
letto
e, al solito sente dei rumori provenire nel buio, dal letto della
compagna –
Hermione cincischiò, distratta,
un orlo della gonna e ne lisciò le pieghe sulle ginocchia
prima di azzardare
un’occhiata furtiva verso la zona oltre le spalle di Zabini
dove, nella
semioscurità vicino agli scaffali, il cerchio di una candela
solitaria arrivava
appena a illuminare dita bianche e nervose dalle quali si alzava una
spirale di
fumo profumato al bergamotto. Il volto restava in ombra tanto da
lasciare solo
all’intuito la linea impassibile delle labbra e il distacco
degli occhi, il
profilo affilato del viso che le avrebbe nascosto fino
all’ultima briciola dei
suoi pensieri se anche fosse riuscita a intravederlo.
We'll
laugh as we die
And we'll celebrate the end of things
With cheap champagne
My
Chemical Romance, Drowning Lessons
La ragazza, continuò a raccontare
Tess, si era spogliata al buio, senza nemmeno accendere una candela
oppure
illuminare la bacchetta. Aveva chiuso le tende del baldacchino e le
aveva
Imperturbate, poi si era addormentata.
Il mattino dopo si era svegliata
e subito, un’enorme scritta sulla parete, in rosso che
sembrava sangue sbavato,
aveva attirato la sua attenzione: Sei
contenta di non aver acceso la bacchetta stanotte?
Sul suo letto, tra le cortine
impudicamente aperte, la sua compagna di stanza giaceva sgozzata e col
sangue
che colava dai polsi…
- Che schifo – commentò la Greengrass
guardando
Weasley.
Jalice afferrò la mano di Reese,
in cerca di conforto – Stanotte non dormirò
– si lamentò – se
c’è qualcosa che
mi terrorizza è l’idea di trovarmi davanti un
pazzo –
Gli altri la guardarono,
inespressivi. Qualcuno si stava sicuramente domandando, con queste
premesse, come
riuscisse a ovviare quando si guardava allo specchio.
- Anche io sono letteralmente
terrorizzata ogni volta che sento questa storia – gemette
Reese – Poi passo
giorni e giorni a immaginarmi che ci sia qualche squilibrato nella mia
stanza –
Altra tornata di occhiate
accuratamente neutre che si spostarono, discrete, da lei, a Jalice, a
Tess.
- Poi guardo bene e ci siete solo
voi – sospirò, con un sorriso affettuoso tutto per
le amiche.
Appunto.
- Non è veramente possibile che
sia successo – intervenne Ginny Weasley – Voglio
dire: come sarebbe stato
possibile evitare che la notizia si diffondesse? –
- Ma si è diffusa – disse Terry –
tramite l’amico del cugino di secondo grado di Roger Davies,
no? -
Ginny gli fece una smorfia,
mentre Anthony Goldstein scoppiava a ridere – Una volta
l’ha raccontata quando
ero anche io presente, c’era anche Cho Chang se non ricordo
male –
- Fammi indovinare – replicò
Ginny, serafica – vi siete ritrovati con la sala comune
allagata di lacrime? -
***
Vista l’ora tarda era piuttosto
normale che i racconti scivolassero verso l’intimo
coinvolgimento della paura.
Quel delizioso solletico da gustare al sicuro tra le mura di una stanza
riparata
e della compagnia di altre persone.
Il testimone era passato a Terry
Steeval che, col consueto garbo, cercava di riunire tra le dita le fila
dell’attenzione, intrecciandoli in una parvenza di armonia.
Tre ragazzini del primo anno,
stava dicendo, si erano persi nella Foresta Proibita e non sapevano
come
uscirne…
- Sicuramente non si trattava di
Piccoli Gryffindor – mormorò Draco Malfoy
chinandosi verso l’orecchio di Blaise
Zabini – Tant’è che la Foresta Proibita esiste ancora -
Harry Potter trasalì e gettò
un’occhiata in tralice verso Hermione. Vedendo che anche lei
si irrigidiva
masticò un’imprecazione e fissò,
rabbioso, le fiamme del camino.
Era uno di quei momenti, che si
succedevano con triste cadenza, nell’ultima settimana, in cui
la spiava,
ansioso di vedere confermato quel timore superstizioso che lo
accompagnava dal
famoso giorno in cui lei gli aveva rivelato tutto.
Che cosa aspetti di vedere? Ron
rideva, ai suoi timori, forse
esorcizzando i propri. Forse capelli
biondi spuntarle in testa?
No, ma forse l’ombra argentea e
fredda di uno sguardo alieno emergere di riflesso nel calore dei suoi
occhi?
Harry, devo parlarti.
La rabbia e l’impotenza, vedere
sbriciolarsi tra le dita anni trascorsi insieme.
Lei gli aveva mentito.
Se ne era innamorata, anche se non
glielo aveva ancora detto.
Proprio di lui, la lezione d’odio.
Lui che aveva vinto la più
disperata delle battaglie semplicemente rendendo le armi.
E adesso a lui, Harry, toccava restare fermo
davanti a una verità che
non aveva nessuna intenzione di digerire.
Il fumo negli occhi e il calore
delle fiamme non gli piacevano. Arrivavano troppo spesso a ricordargli
lunghi
minuti di sopore tormentoso in cui gli occhi gli bruciavano di immagini
che non
avrebbe voluto vedere, il sudore che si asciugava sgradevolmente sotto
la
maglietta; la cicatrice che prudeva in maniera fastidiosa, piaga che
suppurava
di pensieri suoi e altrui, moti di un animo che era il complementare
del suo.
L’altro lato della moneta con cui avrebbe pagato il pedaggio
per la strada che
aveva scelto di percorrere.
Ascoltava con una parte della mente
le parole di Terry Steeval, chiedendosi, anche a quel riguardo, se
fosse solo
un’eco della sua rabbia o semplice amarezza, quella che
provava.
Per una sola volta, durante il
corso di quella serata assurda, aveva incrociato lo sguardo di Terry e
aveva
compreso che gli era anche stata negata la banalità di una
rivalità amorosa. In
quel blu limpido non aveva visto traccia di odio o di rivalsa, solo la
rispettosa compassione di chi abbandona, con un colpo di remo, le rive
di
un’isola distrutta.
E Ginny era sempre lì, a
fumare, tranquilla. Con quella derisoria calma
che era un colpo calcolato a quanto cercasse di opporle del suo
orgoglio. Lei
che aveva siglato col suo nome la clausola secondo la quale riservava
solo a se
stessa il privilegio di ferirlo.
A quel bacio silenzioso nel
parco, quando lei lo aveva messo con le spalle al muro per costringerlo
ad
affrontare quello che stava succedendo tra Hermione e Malfoy, era
seguito un
silenzio ancora più pesante.
Generale di strategie
sanguinarie, esasperante temporeggiatrice, lei si era ritirata nelle
retrovie;
aveva scavato trincee in cui lui inciampava in continuazione.
I
miss you,
I
miss you so far
And the collision of your kiss that made it so hard
My Chemical Romance, Cemetery Drive
L’infelicità sul viso di Hermione
era una patina in cui specchiare la propria, il suo silenzio
intrappolato la
misura di uno dei tanti suoi fallimenti.
Il calore del camino era opprimente
e lui così intorpidito da non essere nemmeno capace di
raccogliere abbastanza
energie per spostarsi. Respirare l’aria consumata di braci lo
stordiva e gli
dava un leggero e costante dolore di testa.
Rimandava di istante in istante
la gravosa operazione di spostare una gamba o sgranchirsi la schiena,
piegata
sotto il peso di un torpore che gli riempiva la testa di ovatta e la
mente di
frammenti luminosi che scomparivano all’orizzonte di un
tunnel troppo lungo e
buio.
I tre bambini nella Foresta Proibita
avevano tredici anni d’età e
l’esperienza per muoversi con spavalderia nel buio
delle notti di Hogwarts, ma non abbastanza per dominare
l’inquietudine, rumore
di fondo che accompagnava i loro passi.
Harry pensò che avrebbe voluto
fermarli e avvertirli.
Non sapeva che cosa avrebbe detto
loro, forse si sarebbe limitato a guardarli senza riuscire a spiccicare
una
parola che potesse illustrare la paura e l’amarezza, il
dolore e la speranza,
la disperata certezza di dover correre incontro a una fine, una
qualsiasi,
purché fine fosse.
In ogni caso, si disse, avrebbe dovuto
avvertirli.
***
Little child
Be not afraid
The wind makes creatures of our trees
And the branches to hands
They're not real, understand
And I am here tonight
Vienna
Teng, Lullabye for
a Stormy Night
La nebbia livida, bassa trai
tronchi degli alberi, creava un rimando di finto chiarore laddove il
tetto
fitto di fronde lasciava filtrare un raggio di luna. Sotto i loro piedi
lo
scricchiolio delle foglie secche e dei rametti morti era la protesta
sommessa
di quel cimitero vegetale che chiedeva soltanto di essere abbandonato a
se
stesso nella sua notte infinita.
I tronchi degli alberi, così
larghi che non sarebbero bastate le braccia di un adulto per
circondarle, si
innalzavano come colonne leggendarie a sorreggere un cielo fitto di
foglie buie,
in cui si annidavano nuvole di nebbia abitate da creature che di
angelico non
avevano nulla.
Se le frecce dei centauri,
scagliate per superare quella cortina di rami, intrecciati ad
accogliere il fondo
dell’inferno, potevano giungere a toccare il cielo, i loro
sguardi spauriti non
potevano. Si limitavano a velarsi di spavalderia non appena
incrociavano quello
degli amici, correndo poi ad assicurarsi che la luce sulla bacchetta
fosse
ancora abbastanza viva, lucciola nella notte, da consolare in segreto
il loro
cuore.
- Secondo me dobbiamo tornare
indietro -
La voce della ragazzina aveva
quella nota perentoria che, avevano imparato bene, andava assecondata
oppure
poteva tradursi nel preludio di qualche solenne baruffa.
- Hermione, non so nemmeno come si
fa a tornare indietro -
Ron alzò gli occhi al cielo o
meglio, alle foglie – Stiamo girando in tondo –
disse – Forse ci conviene
trovare un modo per chiamare aiuto –
- La Professoressa McGranitt
ci espellerà – sbottò Hermione con aria
tragica.
Un attimo prima la prospettiva,
per esempio, di finire divorata da un ragno gigantesco, non
l’aveva turbata in
quel modo.
- Sbagliato – disse Harry – Prima
ci ucciderà -
Hermione soppesò attentamente le
sue parole, con l’aria di chi decisamente preferisce la morte
biologica a
quella civile.
- Che ore saranno? – domandò Ron
e con un gesto carico di ribrezzo si allontanò dal filo
argenteo teso trai rami
di un arbusto basso – Ragni, dannazione -
- Non lo so – ripose Hermione,
esasperata – Guardando la posizione delle stelle potrei
arrivare a capirlo, ma
le stelle non si vedono. Qui non si vede un bel niente –
Non aveva nemmeno finito di
parlare che un braccio la tirò bruscamente di lato; un corpo
magro e alto si
frappose tra lei e una pioggia di foglie che si riversavano verso di
loro.
Era sempre stato così: proteggersi
a vicenda, e dietro la sua forza lei
aveva delle fragilità inaspettate, tenere.
- Harry! -
Anche adesso, mentre dava le spalle a lei e la
faccia a una minaccia
sconosciuta, c’era una goccia di serenità che
cadeva nel lago oscuro del
pericolo, allargando cerchi sempre più ampi intorno a
sé.
Uno scoppio di risa allegre
indusse sia lui che Ron ad abbassare le bacchette, stupiti, mentre
Hermione si
faceva largo tra loro due, varcando la soglia immaginaria della prima
linea.
- Vi siete persi? -
Un altro, allegro, scoppio di
risa seguì quella domanda retorica.
- Che razza di domande, certo che
si sono persi -
- Pivelli –
Erano in tre, e chi aveva
proferito quel commento oltraggioso era un ragazzo alto e snello, sui
diciassette
anni, coi capelli bruni e gli occhiali sghembi, un sorriso bianco e
accattivante che si fermò subito sull’unica
ragazza presente, Hermione,
accentuandosi. Il ragazzo sollevò una mano, con un gesto che
sembrava dettato
da una lunga consuetudine, e si arruffò i capelli
– Possiamo riportarvi noi, al
Castello – il tono di voce si era abbassato e aveva assunto
una sfumatura
decisamente affascinante.
Questo gli volse un’occhiata
torva da parte di Ron e l’ammorbidirsi del cipiglio di
Hermione che, tuttavia,
non abbassò la bacchetta di un millimetro. Negli altri due
ragazzi invece
scatenò un’ondata clamorosa di ilarità.
Quello dai lisci capelli neri si
appoggiò con un gomito al tronco di un albero e
crollò il capo in avanti scosso
dalle risate. Quando sollevò la testa, i capelli oscillarono
intorno ai
lineamenti del viso che sembravano scolpiti col cesello, e gli occhi
catturarono ogni essenza d’argento che danzasse
nell’aria: la seta umida e
lucente delle ragnatele, i raggi di luna, il bagliore perlato della
nebbia, la
stessa freschezza del vento.
- Ramoso, stai attento prima di
andare a pascolare nei giardini altrui – la sua voce era
dolce e pastosa,
l’accento elegante aveva la stessa armonia del gesto
seducente con cui si
scostò una ciocca dalla fronte.
Il terzo ragazzo nascose, con
garbo, un sorriso dietro il dorso della mano. Aveva capelli castani e
un
maglione troppo largo per lui, sdrucito sui gomiti ossuti; vivaci occhi
scuri
velati di dolcezza e malinconia, appena dissipata dalla scintilla della
gaiezza; un’aura ineffabile di forza tranquilla si irradiava
da lui simile alla
vibrazione di una nenia gentile, nel buio.
- Lunastorta, che cosa ne dici? –
il ragazzo con gli occhiali gettò la testa
all’indietro e si unì al coro di
risate – Questo screanzato mi ha dato del farfallone. Per tua
norma, Felpato,
io sono un tipo fedele! -
- Non c’è da stupirsi che i suoi vecchi
lo abbiano buttato fuori di casa, coi modi che si ritrova -
commentò Lunastorta
staccando le spalle dal tronco dove era appoggiato, per affiancarsi
all’amico
con gli occhiali.
- Screanzato? Farfallone?
–
il ragazzo dai capelli bruni e lisci inarcò un sopraciglio,
una pennellata di
nero sulla pelle vellutata – Ti sei controllato per riguardo
alle signore? –
- Davvero, Felpato, dovremmo
mostrare la strada ai pivelli, prima che il vecchio Argus decida di
appenderli
per i pollici a qualche trave… -
Si scambiarono sguardi di
identica complicità e poi esplosero in una nuova risata, di
cuore, per qualcosa
che, era evidente, conoscevano loro soltanto.
La faccia di Ron era sempre più
contrariata, mentre squadrava con evidente diffidenza quei tre ragazzi
che
erano apparsi da nulla.
Tuttavia i suoi timori, come
quelli di Hermione, erano del tutto infondati. Quei ragazzi erano
studenti di
Hogwarts e lui sapeva benissimo che facevano parte del Gryffindor,
anche se non
riusciva a collocarli esattamente in nessun momento vissuto a scuola.
Indossavano la divisa, in vari
gradi di domestica trascuratezza che assumeva un aspetto di volta in
volta
disinvolto, nel ragazzo con gli occhiali che portava il maglione sulla
camicia fuori
dai pantaloni e la cravatta allentata; un po’ gualcito e
fuori moda nel ragazzo
dai capelli castani che gli altri avevano chiamato Lunastorta; e,
infine, di
negligente eleganza nel ragazzo dagli occhi grigi.
Quest’ultimo portava i baveri della
camicia candida rialzati a sfiorargli il tratto deciso e delicato della
mandibola, come se l’avessero sorpreso un istante prima di
mettersi la
cravatta, semivestito e non per questo meno attraente.
Accorgendosi che lo guardavano sorrise,
con una grazia irresistibile che parve convogliare ogni barlume di luce
disciolto nella notte.
- Andiamo – disse – Raccogliamo
questi ragazzini e riportiamoli
alla base. Comincia a essere tardi e la Foresta
è un posto pericoloso -
Gli altri si dichiararono
d’accordo e voltarono appena loro le spalle, incamminandosi e
invitandoli
tacitamente a seguirli.
Harry tese una mano con un nodo
di pianto e di gioia nella gola dei quali non riusciva a comprendere il
motivo.
Sapeva soltanto che voleva seguire quei ragazzi con tutte le sue forze;
che si
sarebbe accontentato di osservare da lontano e di sorridere alla loro
spensieratezza nello sforzo di custodirla dentro di sé a
ogni costo.
Il suo sguardo scivolava sul
sorriso del ragazzo chiamato Lunastorta, con affetto, per poi
soffermarsi su
Felpato, e allora una morsa gli stritolava il petto e lui non riusciva
a
spiegarsi il perché. I suoi occhi però erano
sempre, irresistibilmente attratti
dall’altro ragazzo, Ramoso.
Lo seguivano nelle sue evoluzioni
disinvolte quando, insieme agli altri amici, intesseva il tragitto
nella
Foresta con le sue burle e l’eco della sua voce piena e
allegra sembrava
diffondersi nel buio disperdendo all’istante i fruscii che
prima lo avevano
spaventato, proteggendolo dagli occhi malevoli che lo avevano spiato.
Insieme agli amici giocava a
nascondersi tra i tronchi poderosi, velati dalla nebbia spessa e
viscida della
notte; nulla sembrava spaventarlo, come se fosse realmente
invulnerabile, lui e
gli altri, alle minacce nascoste nel folto della Foresta. A un certo
punto
sparì alla vista ma, prima che Harry sentisse le ginocchia
mancargli e
l’angoscia farsi troppo forte per poterlo sopportare,
sbucò da dietro un
cespuglio dritto sulla schiena di Lunastorta che fece un salto e
cacciò un urlo
poco virile.
- Non è divertente James, non è
affatto divertente! -
James.
- Sì che lo è! Terribilmente
divertente – l’altro rise – Che cosa
credevi fosse, Moony? Un licantropo forse?
-
Questa battuta gli valse una
risata da parte di Felpato e un’occhiata esasperata da parte
di Lunastorta che
però fu svelto a lasciarsi rabbonire, quando James gli diede
un’amichevole
stretta al collo.
Harry sentiva Ron e Hermione vicini,
che camminavano accanto a lui, ma non si voltò verso di
loro, non voleva che lo
vedessero così, a sorridere come un idiota battendo le
palpebre per disperdere
le lacrime.
Gli altri tre ragazzi
cominciarono a cantare una versione stonatissima dell’inno di
Hogwarts, decorandola
con gemiti agghiaccianti, strofe in falsetto e versacci buffi, mentre
continuavano a rincorrersi tra gli stracci di nebbia che si
impigliavano,
strappandosi, trai rami bassi dei cespugli, alla luce della luna che
andava
facendosi sempre più forte a mano a mano che uscivano dal
folto del bosco.
La sagoma del Castello emergeva dalle
brume del lago, le mura poderose ingentilite dalle luci delle finestre.
I tre ragazzi li salutarono con
la mano, sembravano terribilmente lontani, adesso.
- La prossima volta state
attenti, pivelli, si possono fare brutti incontri nel bosco!
– urlò Felpato.
- Per esempio dei lupi mannari –
gli fece eco Ramoso.
Papà, aspetta.
- E falla finita! – Lunastorta
diede un pugno scherzoso sul braccio di James.
- Ramoso, perdonami a battuta
ovvia e trita, ma forse sarebbe il caso di andare a controllare cosa
sta
facendo la tua ragazza … -
Non andartene, è troppo presto e io
non sono ancora pronto.
I tre ragazzi esplosero in una
risata che sembrò soffiare insieme al vento, intrecciandosi
alle foglie tenere
e mosse i fili argentei a cui erano appese campanelle invisibili che
continuarono il loro rintocco struggente, anche quando il vento ne
portò l’eco
lontano da loro.
***
- Harry! -
La mano aggrappata al braccio con
cui si puntellava il mento provocò una frana del volto,
occhiali, frammenti di
espressione, tutto.
Terry Steeval aveva concluso il
suo racconto e Anthony Goldstein stava facendo
un’osservazione, la voce calda e
riposante come sempre – Ci sono parecchie varianti di questa
storia. Di solito
però si conclude con un ritorno tranquillo e chi riporta
indietro i dispersi è
un gruppo di sconosciuti che poi si scopre essere gli spiriti di altri
ragazzi
che invece non sono mai più tornati a casa -
Mai più tornati a casa.
- Oppure è una singola persona
che lascia indietro un oggetto suo, utilizzato per risalire alla sua
identità,
scoprendo immancabilmente che si tratta di una persona morta nei luoghi
o nelle
circostanze in cui si è manifestata o magari una persona
collegata in qualche
modo a quella a cui è apparsa -
- Molto più rassicurante di
quella del tizio che si appende alla coda delle scope e poi abbatte il
pilota a
colpi d’ascia – disse Terry con un gran sorriso
– Almeno questo tipo di storia
contiene un messaggio positivo –
Incurante della conversazione,
Hermione continuò a fissare Harry, toccandolo appena, in un
gesto inconsapevole
e rassicurante.
- Harry, tutto bene? -
Il ragazzo riscosse girando
automaticamente il viso verso una spalla, un istintivo gesto di
protezione,
mentre il braccio correva sugli occhi.
- Mi ero addormentato, scusa
Hermione -
La lana ruvida del maglione
strofinata contro le palpebre era un ottimo alibi per il rossore degli
occhi,
il sonno la scusa adatta per potersene finalmente andare.
Il sorriso che rivolse all’amica
si sgretolò, veloce, gli occhi si abbassarono sulla mano che
ancora indugiava
sopra il suo braccio.
Un tenue sorriso segnò la
riconciliazione per un litigio mai avvenuto, intorno al quale giravano,
timorosi, da qualche giorno a quella parte.
Harry, ti devo parlare.
Il colore livido del cielo,
all’interno della stanza del settimo
Gryffindor e l’unica parola che lo aveva soffocato come un
boccone avvelenato,
prima di sputarla addosso a lei.
Vattene.
- Va tutto bene? – le domandò lei,
sommessa.
Hermione sollevò una mano per
posargliela, di nuovo, sul braccio, ma l’indecisione tradita
da quel gesto
incontrò la condanna ferita di un paio di occhi grigi che la
trafissero prima
di ritornare nel buio da cui erano usciti.
Quella domanda non si riferiva
soltanto agli alle palpebre arrossate e all’espressione
smarrita che sapeva di
portare stampata in viso. Harry lo comprese e, istintivamente,
posò una mano su
quella di lei.
- Sai, - disse, in un tono che
avrebbe voluto scherzoso – credo di averti sognata -
L’impulso successivo fu sollevare
lo sguardo per scandagliare le ombre dall’altro lato della
saletta.
Sapeva di trovarlo come l’altro
sapeva benissimo che l’avrebbe cercato.
Lei era l’unica cosa che potevano
avere in comune due nemici: un campo su cui massacrarsi.
You're
running after something
That you'll never kill
If this is what you want
Then fire at will
My
Chemical Romance, Thank you for venom
Adesso Draco Malfoy lo stava
osservando, il volto parzialmente mascherato dalle ombre, dove la luce
della
candela non arrivava a toccargli il viso.
Nonostante questo, nella rigidità
delle spalle, nel tamburellare delle dita sul ripiano del tavolo, nella
linea
delle labbra, poteva leggere ogni carattere dell’ultimatum
che gli aveva porto
qualche giorno prima, in quel parco invaso da un sole autunnale che
creava
l’illusione di una primavera risvegliata per sbaglio dal suo
sonno segreto.
Lentamente, il giovane si piegò
in avanti, appoggiando entrambi gli avambracci sul tavolo. La studiata
pigrizia
di quel gesto non dissimulava la tensione che emanava dalla sua
persona, né il
deliberato chinarsi del volto, per gettargli uno sguardo, da sotto in
su, che
era l’aperto invito ad arretrare oltre la linea di confine,
nella zona di sua
competenza, quella, per intendersi, più lontana possibile
dalla sua ragazza
Harry Potter aveva sempre saputo
che al tavolo delle trattative ci sarebbe stato qualche intoppo.
Le delegazioni erano più occupate
ad sgomberare le ambasciate che a preoccuparsi dei protocolli, i
generali
affilavano le spade.
Sì, si disse Harry, prima o poi
qualcuno sarebbe stato sorpreso in clandestinità oltre la
frontiera e
giustiziato a vista, senza processo.
***
If you weren’t ever coming back
Why didn’t you just tell me that
Dressed in sex and stardust lies
Subconscious dreams are so unkind
Sometimes I hear your voice
Darling Violetta, Beautiful
- Draco, vecchio mio, hai trovato
qualcosa di interessante sul fondo del bicchiere? -
Una breve risata, gaia e priva di
spensieratezza.
- No, infatti adesso sto cercando
sul fondo della bottiglia -
Era evidente che Blaise Zabini,
da buon amico, aveva deciso di aiutarlo nelle ricerche,
perché si versò una
razione generosa di liquore nel bicchiere, poi lo sollevò in
un brindisi
generico e nemmeno troppo ironico, alla riuscita di quella serata.
Hermione osservò lo sguardo
silenzioso che si lanciarono poi attese, paziente, che Draco
ammettesse,
tacitamente, di aver notato la sua presenza.
Si era alzata - turbando appena
il filo delle chiacchiere tranquille dei ragazzi Ravenclaw, la quiete
argentina
delle voci femminili, il fermo calore di quelle maschili, parasoli di
seta
cinese in un uragano - e lo aveva raggiunto sospinta
dall’irritazione e da
quella strana nostalgia che la coglieva ogni qual volta
c’erano pause di
distacco tra loro.
Blaise Zabini non girò nemmeno lo
sguardo nella sua direzione, ma, impassibile come una scultura,
abbandonò il
campo, lasciandolo nelle sue mani, come se lei avesse saputo
esattamente cosa
farsene.
In silenzio appoggiò entrambe le
mani sul ripiano del tavolo, lucido e profumato di cera, studiando le
graffiature e le macchie lasciate sulla sua superficie dagli anni.
Draco le
girò intorno, un movimento in apparenza distratto, con cui
si avvicinò al
vassoio d’argento con la bottiglia di cristallo e i bicchieri
che si trovava
alla sua destra.
Cincischiò col tappo sfaccettato
della bottiglia, lasciò cadere qualche goccia nel bicchiere
ancora pieno per
metà, le gettò, da sotto le ciglia, uno sguardo
che avrebbe liquefatto anche il
granito.
Lei sollevò il mento e sostenne i
suoi occhi, le mani premute con forza sul tavolo; forse, si disse lei,
per
impedirle di mettergliele intorno al collo e non
per delle carezze; e forse, ammise con una parte infinitesimale
dei suoi pensieri, per evitare che tremassero.
Era passato troppo poco tempo,
lui le faceva ancora quell’effetto.
Sogguardandolo spostarsi di nuovo
intorno a lei, lento, senza toglierle di dosso quegli occhi freddi,
sfiorandola
con deliberata casualità, si domandò se mai si
sarebbe abituata completamente
alla sua presenza.
Era una trazione sottile, una
vibrazione dei sensori della pelle che avvertivano la sua vicinanza e
poi qualcosa
di più primitivo, mentre le girava intorno con
l’ipnotica regolarità della
fiera che aspetta solo il momento perfetto per attaccare.
- Sembri nervosa -
La dolcezza ironica della sua
voce bassa, intima, racchiudeva appieno mille corollari ai suoi
pensieri che
lui aveva intuito con una sicurezza istintiva.
- Non mi stai rendendo le cose
facili - sussurrò.
- Non ho mai detto che lo avrei
fatto –
Limpida e di gola, la sua voce
era una lusinga impalpabile, era la certezza di qualcosa di tenero e
oscuro che
avrebbe consumato insieme a lei da lì a poco.
Dietro quella calma apparente,
era contrariato e non si dava nemmeno la pena di nasconderglielo,
semplicemente
il suo autocontrollo era l’abito che avrebbe smesso solo se
provocato oltre
misura.
La guardò ancora, nuda
riprovazione questa volta.
- Che dolce, - disse con una
tenerezza ineffabile che le fece risuonare dentro una sinfonia di
campanelli
d’allarme – ti ha sognata -
Il disprezzo era tangibile al
punto che avrebbe potuto tagliarlo con un coltello o forse, era esso
stesso un
coltello.
- Allora ci senti, Malfoy – gli
rispose, calma – quando decidi di farlo -
La tensione adesso era talmente forte che lei
fantasticava, con timore
e anticipazione, sul momento in cui l’avrebbe sentita addosso.
Anche i momenti in cui lo odiava erano confuse
vampate di calore e
collera incandescente in cui le carezze e gli schiaffi si sarebbero
confusi
fino a rivelare quel nucleo di violenza che risiede in ogni passione.
- Abbastanza da farmi recedere
dalla decisione di ammazzarlo – spiegò lui in tono
discorsivo – Sai, non vorrei
che il suo sonno eterno fosse allietato da sogni che possono irritarmi
–
- Ti rendi conto da solo
dell’assurdità dei tuoi argomenti o preferisci che
sia io a sottolinearla? –
Se la sua lingua poteva essere
più rapida e velenosa di quella di qualsiasi serpente, non
poteva certo credere
di poterla tacitare con così poco.
- Credo di averti già detto che
devo avere un motivo valido per
discutere con te. Non ritengo tale l’oggetto di questa
conversazione -
- Allora perché l’hai cominciata?
–
- Attenta –
- Sono attenta –
Si studiarono per un lungo momento,
in silenzio. Le chiacchiere di sottofondo erano una nenia monotona, la
calma
relegata in un punto lontano dalla loro tregua armata. La luce del
camino
illuminava il cerchio di persone tenendo, per contrasto, loro due in
un’alcova
d’ombra. Intimità soltanto apparente, Hermione
poteva immaginare che molti
degli altri avessero un orecchio rivolto alle chiacchiere salottiere e
l’altro
a captare le loro parole.
- Che cosa vuoi farne di questo
momento, Malfoy? – gli domandò, con
semplicità – Trasformarlo in un litigio? -
Lui spalancò leggermente gli
occhi, facendole capire di averlo preso in contropiede, tuttavia
piegò la testa
di lato come se volesse soppesare attentamente le sue parole prima di
risponderle, così i capelli scivolarono a sfiorargli la
guancia, soffici,
biondi come miele chiaro. Lei tese una mano, nel gesto amato e
consueto,
ravviandoglieli dietro l’orecchio, seta soffice e pelle calda
e delicata sotto
le sue dita. Lui non si mosse, tranne il reclinarsi impercettibile
della testa
per assecondare il suo movimento e accentuare il contatto con la sua
mano. Gli
occhi grigi rimasero inchiodati ai suoi, nuvole chiaroscure li
attraversavano,
velandone la limpidezza di una miriade di pensieri.
- Stai cercando di manipolarmi? -
Gentilezza quasi priva di sottintesi
nel suo tono, adesso. Lei comprese di poter prolungare quella carezza e
gli
lasciò scivolare la mano verso la nuca, posando il palmo sul
suo collo.
- Dei due, non sono io a
chiamarmi Draco Malfoy -
Vide la scintilla di una risata
incendiargli lo sguardo prima di raggiungere le labbra.
Spostò la mano dal suo
collo alla spalla dove le labbra di lui la raggiunsero per un rapido
bacio.
Che cosa vuoi farne di questo momento?
Dopodichè lasciò ricadere la mano
mente lui indietreggiava di un passo. Le tenne discosta una sedia,
formale ed
educato, per invitarla tacitamente a sedersi, poi prese posto accanto a
lei.
Subito accolse l’invito della mano che lei lasciò
tra le loro sedie, nascosta
dal tavolo, e le sue dita, fredde come ogni volta che si innervosiva,
strinsero
quelle di lei, lasciandosi scaldare.
Il contraccolpo di emozione al
cuore era previsto, ma non per questo fu meno violento. Hermione si
portò la
sua mano in grembo e la coprì anche con l’altra,
crogiolandosi nella sensazione
di essere libera di riempirla di carezze.
Lui, con un sospiro, si sollevò
quel tanto che bastava per unire la sedia alla sua.
***
And I feel like
I'm being eaten
by a thousand million shivering furry holes
and I know that in the morning
I will wake up
in the shivering cold
and the spiderman
is always
hungry …
The Cure,
Lullaby
Qualcuno aveva tirato fuori un
cesto di noci e castagne e adesso si stavano divertendo ad aprirle a
colpi di
bacchetta e a gettare i gusci nel fuoco.
Nemmeno un minuto prima, Daphne
aveva praticamente fatto esplodere il guscio di una noce i cui
frammenti
avevano accidentalmente raggiunto
la
faccia di Ronald Weasley.
Poco male, pensò Blaise,
eventuali cicatrici si sarebbero potute confondere comodamente con
quella marea
di ineleganti lentiggini, inoltre per suo sommo giubilo il Migliore
Amico
avrebbe avuto qualcos’altro di sgradevole in comune con
Potter, a parte
l’idiozia, ovvio.
Zabini scosse il capo, perplesso:
da che esisteva il mondo, una cicatrice era più o meno una tragedia. Bene inteso, non che il Ragazzo
Sopravvissuto avesse
chissà quali lineamenti perfetti da preservare, ma al suo
posto lui sarebbe
corso dal miglior Guaritore di Magia Estetica in circolazione per
rimediare al
disastro, non se ne sarebbe andato in giro tranquillo e orgoglioso con
quello
sfregio a sfigurargli la fronte (la sua era liscia e marmorea anche
senza
ricorrere alla Fattura del Botulino).
Anzi, a pensarci bene, visto che
aveva l’aria di una deturpazione irreparabile, nei suoi
panni, avrebbe
preferito che il famoso Avada Kedavra fosse andato a buon fine. Ma
quelle, del
resto, erano scelte personali e non poteva pretendere che tutti
possedessero il
coraggio di affrontare la morte in nome di un nobile ideale.
Spostò di nuovo lo sguardo da
Harry Potter, che sembrava abbacchiato e aveva, se possibile,
l’aria ancora
meno intelligente del solito, a Ronald Weasley, soffermandosi su di lui
con una
blanda curiosità accademica che era più o meno
l’unico motivo che poteva
spingerlo a notare l’esistenza di quel bipede a pelo rosso.
A proposito di creature
inferiori, il Re stava osservando, da un pezzo, con palese diffidenza,
i
ciocchi di legno ammucchiati in una cesta vicino al camino. Blaise
estrasse dal
taschino della giacca il portasigarette d’argento e si
infilò una sigaretta tra
le labbra; prevedibile come un’armata di Gryffindor nel luogo
giusto al momento
sbagliato, Daphne gli sventolò la mano impaziente sotto il
naso e lui vi depose
il portasigarette che, un attimo dopo, gli veniva ributtato in grembo
senza
garbo né ringraziamento.
- Di nulla – mormorò nascondendo
un sorriso che ebbe in risposta solo uno sbuffo irritato.
La cesta, per quanto lo
riguardava, conteneva normalissimi
ciocchi di legno, a meno che tutti non si fossero sbagliati di grosso e
non
fossero in realtà Mangiamorte che, per cause di servizio,
avevano corretto con
la segatura la loro Pozione Polisucco.
Sui normalissimi ciocchi, però,
brulicava una certa quantità di ragnetti scuri che
zampettavano alacremente
forse sospettando che, se non si fossero affrettati a sgomberare il
campo,
molto presto sarebbero finiti arrosto.
Colto da improvvisa ispirazione,
Blaise, mascherando abilmente il movimento della bacchetta con quello,
banale,
per accendere la sigaretta, mormorò – Relascio
Uno o due ragnetti volarono dalla
cesta al bordo del tappeto, quasi sul piede di Ronald Weasley. Il Re
impallidì
e si tirò precipitosamente indietro nemmeno avesse avuto
davanti la
McGranitt in sottoveste
e di umore particolarmente romantico.
Terry Steeval aveva raccontato
una sfilza di storielle abbastanza raccapriccianti, da quella della
vecchietta
che per asciugare il cane aveva puntato la bacchetta e detto Incendio; a quella della studentessa di
Hogwarts che riceveva gufi anonimi in continuazione e aveva scoperto
che
provenivano dalla guferia della scuola solo tre minuti prima di essere
sgozzata. Ginny Weasley aveva rincarato la dose con quella della tizia
che, per
scommessa, era andata di notte nel cimitero di Hogsmeade ed era rimasta
impigliata con l’orlo del mantello al bordo di una pietra
tombale, così,
credendo che fosse una mano sbucata dalla tomba, ci era rimasta
d’infarto a
causa dello spavento.
Seguendo l’estro del momento,
Blaise richiamò l’attenzione generale con un gesto
leggiadro della mano.
- Ho sentito una storia abbastanza
verosimile -
Soddisfatto, si accorse di essere
riuscito a dare alla propria, splendida voce, l’intonazione
desiderata, a metà
tra la confidenza e una certa, pudica, reticenza, che poteva soltanto
stimolare
la curiosità.
Le Blue Ladies lo guardavano con
occhi amorevoli, che rilucevano di tutta la loro predilezione per lui.
Daphne sbuffò.
- Verosimile – ripeté, con
evidente scherno.
- Non sto scherzando – replicò
lui, serio – Tempo fa l’ho sentita raccontare dal
nostro chiarissimo docente di Cura
delle Creature Magiche alla nostra illustrissima
insegnante di
Trasfigurazione. Vi dirò, sembrava anche molto preoccupato -
- C’era stata una moria di Vermicoli
Venefici? – intervenne una voce fredda e strascicata alle sue
spalle.
Sussulti di Gryffindor indignati,
nella loro trincea dall’altro lato del camino, una voce dolce
di donna, con
parole indistinte di rimprovero, sedava quel guizzo di Umorismo Malfoy.
Blaise si schiarì, con
discrezione, la voce, e attese, paziente, che si facesse silenzio, poi
continuò
– Una situazione simile si era verificata anni or sono e
aveva creato non pochi
problemi alla scuola. Purtroppo, sembra che ci siano fondati motivi per
ritenere
che la storia si stia ripetendo
–
Teste che annuivano da parte dei
Ravenclaw, pieni di sincera curiosità; sguardi giustamente
allarmati da parte
dei Gryffindor che, di solito, quando la
storia si ripeteva, finivano immancabilmente per ritrovarsi
pietrificati in
Infermeria, a sgozzare galletti o con una sorella che sgozza galletti,
a un
rendez-vous con un Basilisco, in mezzo a uno zoo di Animagi e mannari e
Piton
incavolato come una bestia, oppure legati a un lapide con una fetta di
braccio in
meno e, di sicuro, con il numero dei parenti vivi in forte calo.
- C’era una specie di creature
maligne – disse Zabini, in tono accuratamente vago, dosando
bene e parole – che
vivevano nel castello. Molto pericolose, a quanto pare -
- Oh! – i fatati occhi blu di
Tess Steeval erano sgomenti – Parli degli alligatori che
vivono nelle fogne di
Hogwarts? –
Molte paia d’occhi si spostarono
da Zabini a lei e Jalice Love mormorò a bassa voce
– E’ vero, questo fatto
degli alligatori, me lo ha raccontato l’amico di un cugino
del fratellastro
della cognata di Warrington –
- Allora sarà sicuramente vero –
esalò Reese in tono ancora più sommesso
– il cugino del fratellastro della
cognata di The War è una fonte attendibile -
Blaise attese nuovamente che si
creasse la giusta aspettativa e lasciò cadere lì,
con studiata gravità – Non si
tratta di alligatori, ma di una rarissima specie di ragni velenosi
–
Ebbe la soddisfazione di vedere
Weasley che impallidiva nemmeno avesse avuto davanti la McGranitt
in sottoveste
e di umore particolarmente romantico che inoltre
lo invitava a una cosa a tre con Piton.
- Dannato inferno – imprecò il Re
– Non è vero -
- Pare che questo tipo di ragni
ami nidificare nelle travi delle Torri
– continuò Zabini ignorando l’obiezione
e suscitando un’ulteriore deflusso di
sangue dal viso di Weasley.
- Il nostro professore emerito di
Cura delle Creature Magiche stava
per l’appunto raccontando all’eccellentissima
professoressa di Trasfigurazione, che anni fa un ragazzo era stato
punto nel
sonno, in testa, da quello che sembrava un innocuo ragnetto. Si era
svegliato,
ma naturalmente non aveva dato importanza alla cosa. Qualche giorno
dopo lo
avevano portato d’urgenza in infermeria a causa di dolori
atroci alla testa e
di allucinazioni terribili –
In breve, era stato necessario
trasferire il ragazzo al San Mungo dove, avevano presto scoperto una
realtà
molto sgradevole: quando il ragno aveva punto il ragazzo, aveva deposto
delle
uova che si erano schiuse nella sua testa…
Il volto di Ronald Weasley aveva
assunto una gradevole sfumatura tra il verde e il grigio che, pensava
Zabini,
si accordava molto male col colore chiassoso dei suoi capelli.
- Io credo che andrò a dormire –
Ronald Weasley si alzò, precipitoso, fissando la porta con
un desiderio che lo
proiettava già a miglia di distanza da lì.
- Non è una cattiva idea – Harry
Potter si alzò a sua volta.
Ginny Weasley si attardò per dare
la buona notte alle Blue Ladies e ai ragazzi Ravenclaw, Ron Weasley
guardava di
sottecchi in direzione di Daphne che, fissava il pavimento, in attesa.
Le chiacchiere delle Blue Ladies
e gli accenti più profondi di Steeval e Goldstein, che
salutavano i ragazzi
Gryffindor non riuscivano a distendere quel momento così
teso che tutti, in un
modo o nell’altro, non potevano fare a meno di avvertire.
Infine Daphne parve
decidersi e, con riluttanza, fece per avvicinarsi a Weasley.
Blaise Zabini abbandonò il
braccio sinistro lungo la sponda della poltrona e mosse la bacchetta in
silenzio – Aracnis
– esalò, appena
con un filo di voce.
- Ma che roba è? – esclamò Daphne,
sorpresa, per nulla spaventata. Con un gesto infastidito, ma
tranquillo, spazzò
via dal braccio un paio di ragnetti che zampettavano tranquilli sul suo
maglione bianco aderente.
Ronald Weasley invece la guardò,
inorridito, e fece un salto indietro, Daphne lo fissò a
bocca aperta, lasciando
ricadere lungo il fianco la mano ancora tesa verso di lui.
- Weasley, - proferì, la voce
molto simile al suono prodotto dall’attrito tra due faglie di
ghiaccio – che
razza di comportamento è mai questo. Non puoi controllarti?
-
Con le orecchie rosse per
l’imbarazzo, Ronald Weasley, forse per dimostrare di essere
ancora all’altezza
del suo soprannome, si diresse regalmente verso la porta seguito dal
lampo
freddo di un paio di occhi verdi che si soffermarono su di lui, duri
come sassi
nelle mani di un teppista.
- Daphne – disse lui,
con una mano sulla maniglia, – Vieni
via? -
Lei non rispose, ma non prima di
aver atteso, con ostinata pazienza, che lui si voltasse a guardarla.
- Sì, ma non con te –
***
Don't you
forget I get what I want
All I want is you
Red rubies, daffodils
Gentle breezes and windowsills
Starlight silver radiation
Darling
Violetta, Spoiled and Rotten
Il parafuoco proveniva dalla sala
comune di Slytherin. Un cimelio dell’anteguerra, non si sa
quale. Serpenti di
ferro battuto che si intrecciavano intorno a tralci di spine,
proiettando ombre
contorte sul tappeto.
Sulla sua mano, tatuaggi di impressioni
volatili, destinate a perdersi
nel fumo che saliva verso il buio del cielo.
- Hai finito di giocare alle
ombre cinesi? -
Brusca, la voce di Daphne
Greengrass non conteneva traccia di quelle incrinature acute,
accuratamente
femminili, che denunciavano la raggiunta frontiera di una gracile
tolleranza.
Ma lei, in fondo, creatura
cantata nei miti, corpo di dea e cuore di serpente, portava nelle mani
una
capacità di sopportazione così imprevedibile da
essere un’arma troppo infida
anche per essere usata in una guerra.
Rischiava di esplodere nelle mani sbagliate.
Seduta al suo fianco, a respirare
fumo di legna e di rose selvatiche, bruma nel buio, indurita da
un’ira
silenziosa, si piegava appena, ma solo come un nerbo pronto a scattare
in tutta
la sua brutalità.
- Sì, ho finito, di giocare -
Le sfumature si aprivano,
delicate corolle di fiori mortali, intorno all’essenza della
sua voce, nettare
dorato e veleno.
Centellinò le parole come la
feccia di un calice, un attimo prima di rovesciarlo per sacrificare le
ultime
gocce; come la conta dei secondi prima di scagliare una maledizione,
quei tre
istanti scanditi solo per indicare, sadici, la spada di Damocle che
cala e
troppo brevi per evitare la sua lama.
Lei infatti vibrò del gesto con
cui si volse di scatto a guardarlo, fredda e tempestosa – Hai
intenzione di
stare zitto? –
Quel sibilo di taglio aveva
smesso di scalfirlo da tempo perchè riconosceva le
implicazioni della
vicinanza; essere il primo bersaglio significava, in ultima analisi,
essere il
bersaglio più prossimo. Bersaglio
e scudo,
poi la freccia avvelenata della
provocazione.
- E tu hai intenzione di
lasciarti ancora umiliare così? -
Daphne si alzò, la grazia innata
che non celava del tutto l’impeto d’ira che aveva
dettato quel movimento, e si
diresse verso il tavolo e le bottiglie di Firewhisky.
Anthony Goldstein continuò a
raccontare, indisturbato, la gustosa storiella della ragazza scoperta
accidentalmente dal futuro sposo mentre intratteneva
il di lui testimone in quello che sarebbe dovuto essere il nido futuro
d’amore.
- …Lui però esce di casa senza
farsi notare e non dice nulla. Il giorno dopo si presenta lo stesso
sull’altare
e alla domanda di rito: vuoi tu prendere come tua legittima eccetera
eccetera,
risponde tranquillamente un bel no;
poi dice ad alta voce, al testimone, “Magari puoi sposartela
tu questa Donna
Scarlatta, così continuate quello che stavate facendo ieri
notte nel mio letto”;
infine si gira verso gli invitati e conclude “Andate pure
alla cena nuziale, tanto
pagano i genitori della Donna Scarlatta” -
- Lodevole – disse Blaise,
distrattamente – Un’uscita in grande stile
–
- Ma questa non è una leggenda
metropolitana – disse Jalice Love – E’
successo davvero a un amico di un mio
amico –
- L’ho sentita anche io questa
storia – intervenne Reese Hewitt – Me
l’ha raccontata un cugino del
Northumberland di Susan Bones, che lo aveva saputo da un amico di un
altro
cugino alla lontana, però forse ho capito male
perché doveva parlare a bassa
voce: eravamo al funerale di Diggory … -
- Ma dai… -
- Stai scherzando -
- Giura –
Reese guardò le amiche, perplessa,
forse un po’ dispiaciuta perché la sua parola era
stata messa in dubbio – Non
sto scherzando: giuro che eravamo
al
funerale di Diggory -
Anthony Goldstein spostava lo
sguardo dall’una all’altra, seguendo quel surreale
scambio di battute stile
palleggio dei pazzi, del tutto impotente, non riuscendo a capacitarsi
di aver
scoperchiato un tale vaso di Pandora.
- Non ci riferivamo a quello,
cara. Lo sappiamo che eri a quel funerale: ci sei venuta con noi
– disse Tess,
in tono affettuoso – In ogni caso, chi era lei? La sposa,
intendo -
- La sorella maggiore di Josie
Macnair – rispose Reese, immediatamente - Non mi ricordo mai
come si chiama … -
- Stella – intervenne Jalice.
- Giusto, Stella. E’ successo a
lei –
- Noooo …e com’è finita? –
- Beh – Reese scrollò le spalle –
Tu avresti dato della Donna Scarlatta alla figlia di un boia per ben due volte di seguito? –
***
Justin Finch Fletchley,
segretario del Club dei Duellanti, fece capolino dalla porta della
saletta,
denominata, forse con un po’ troppo ottimismo “Club
House”, che era quasi
mezzanotte.
L’esodo dei Gryffindor verso la
loro Torre e l’inoltrarsi della notte, avevano causato un
ulteriore slittamento
verso la fase di relax. I ragazzi, che per quasi tutto il pomeriggio
erano
stati occupati a tenere lezioni al Club dei Duellanti per dimostrare ai
professori che consideravano il duello una disciplina sportiva e non un
metodo
per il regolamento dei conti, erano a dir poco estenuati; la lunga
serata di
racconti a lume di camino non era stata riposante se non in parte,
così, dopo
che anche le Blue Ladies si erano ritirate – Tess si era
sbracciata dalla
soglia stile sposa di guerra che penzola dal parapetto del Queen Mary
in
partenza per l’Europa, dichiarando che andavano a mettere a
punto due cosine
per La Festa
– gli ultimi rimasti si godevano
chiacchiere a bassa voce, su argomenti poco impegnativi.
Terry Steeval si era quasi
addormentato e Daphe
Greengrass
continuava a fumare chiusa in un silenzio cupo; anche Hermione si
assopiva a
tratti, sprofondando nei cuscini pesti di una poltrona accanto al
fuoco,
svegliandosi quando sentiva la voce di Draco intrecciarsi a quelle di
Anthony
Goldstein e di Blaise Zabini.
Draco si era seduto per terra, la
schiena appoggiata alla sua poltrona, le lunghe gambe incrociate sul
tappeto.
Schiacciava noci tra le dita e gettava i gusci nel camino, il bicchiere
al suo
fianco, adesso, conteneva solo succo di zucca, e
l’espressione del suo viso
aveva riacquistato una serenità che lei amava osservare in
tutte le sue
sfumature, dal gesto disattento con cui avvicinava le mani bianche al
parafiamma per scaldarsele, a quello, rilassato, con cui sciolse il
nodo della
cravatta che lasciò a penzolare intorno al collo.
Lei aveva una mano abbandonata
sulla pelle consumata del bracciolo e per sfiorare i suoi capelli le
sarebbe
bastato spostarla di poco, ma al momento si stava godendo la semplice
consapevolezza
di averne la facoltà, di poter semplicemente protendersi per
poterlo toccare a
piacimento. Lui non si sarebbe opposto, ma avrebbe socchiuso gli occhi
nell’espressione che ben conosceva, un felino soddisfatto, un
serpente che
raccoglieva le spire, permettendole di scaldare la sua pelle morbida e
fredda.
Come se avesse colto il filo dei
suoi pensieri, Draco si voltò sollevando il viso per
guardarla.
Lei aveva una mano trai suoi
capelli e poi sulla sua spalla ancora prima di rendersene conto.
Draco la coprì con la propria e
lei fu grata di non aver partecipato alla conversazione,
perché in quel momento
sentiva una stretta alla gola che le soffocava la voce.
Quella di lui era velata, mentre
rispondeva al saluto generico di Justin Finch Fletchley che entrava
nella stanza.
Malfoy si schiarì la voce, senza
lasciarle la mano, e accolse il suo segretario con un sogghigno.
- Torni sul luogo del misfatto?
Le tue fidanzate sono appena andate via -
Justin fece una smorfia, ma,
naturalmente, una rimostranza così blanda e garbata non
poteva avere ragione di
quella faccia di bronzo, così Malfoy scoppiò
apertamente a ridere e gli rivolse
un’occhiata apertamente canzonatoria. Anthony Goldstein si
unì alla sua risata.
- Anthony, anche tu? -
Justin era il tipo di ragazzo che
avrebbe reso furiosa d’orgoglio la metà delle
madri e indotto l’altra metà a
cercare di accalappiarlo per la propria figliola.
Il suo inglese colto e i suoi
modi aristocratici facevano venire in mente battute di caccia e cognomi
con un
paio di secoli cadauno e contea d’ordinanza; energiche nonne
nobildonne, in
ghette e cappello di paglia, che si coltivavano da sole i piselli
odorosi,
mentre stuoli di cameriere lucidavano tiare e corone ducali.
Alle ore trascorse a snocciolare
declinazioni latine e alle conferenze in frac all’ombra di
Horace Warpole e
Percy Bysshe Shelley, Justin aveva preferito respirare i fumi di un
calderone e
mandare a memoria formule magiche; ritratti che parlavano a quelli
lugubri dei
suoi antenati, incidenti che mai avrebbe potuto raccontare alla nonna
col
parasole e alle debuttanti che presto avrebbero cominciato a piazzargli
sotto
il naso.
Ogni tanto Hermione lo
sorprendeva soppesare camicie splendenti di alcuni compagni e scarpe di
disarmante lucore, confrontandole con le proprie giacche, vecchie e di
splendida fattura e con le proprie valigie ereditate dal padre; poi
scuoteva
impercettibilmente la testa, nell’unico atteggiamento
blasè che si concedeva,
probabilmente chiedendosi quale fosse il concetto di “nuovi
ricchi” nel Mondo
dei Maghi.
Era il classico tipo che ci si
sarebbe immaginato, imbacuccato in un vecchio giaccone di Burberry, a
portare a
spasso un paio di cagnoni affettuosi in una tenuta di campagna, mentre
mamma
organizzava il tè delle cinque.
Era il tipo che, da qualche
giorno, mezza Hogwarts, compresa la povera, tragicamente incredula,
professoressa Sprite, si immaginava coinvolto in un torrido convegno
amoroso
con Jalice Love e Reese Hewitt, contemporaneamente,
proprio all’interno del Club dei Duellanti.
- Malfoy, – protestò Justin – avrei
dovuto lasciare che ti rispedissero nel Wiltshire -
- Invece di essermi grato per
essere diventato l’eroe di Paciok -
Hermione sospirò rumorosamente
per manifestare la sua disapprovazione, Malfoy si limitò a
farle una carezza
furtiva sulla mano. Lei gli affondò un’unghia
aguzza nel palmo e lui sobbalzò,
rivolgendole un’occhiata di rimprovero.
- In ogni caso, credo che per
stasera tu abbia finito di battere la fiacca, Malfoy –
riprese Justin, in tono
decisamente soddisfatto – Sta succedendo qualcosa di strano e
sembrano tutti
molto preoccupati. Stanno chiamando a raccolta i Caposcuola e Pansy non
si
trova, credo ti toccherà intervenire -
L’espressione di Malfoy si era rabbuiata,
quella di Justin, invece, era alquanto compiaciuta.
Desolante.
Malfoy riusciva a instillare
insani propositi di vendetta anche nel Piccolo Lord.
- Accidenti – Malfoy si passò una
mano sul collo – Dove sarà Pansy? -
- E’ nelle cucine – rispose
Blaise, pronto.
- E a fare cosa? –
- Sta stirando le mie camicie –
Tre paia d’occhi perplessi si
spostarono automaticamente su di lui, i restanti due paia erano rivolti
al
soffitto in un atteggiamento di muta esasperazione.
- Deve fare esercizio – Blaise
scrollò le spalle – E’ letteralmente un
disastro -
- Ovunque sia – Justin sembrava particolarmente
contento di rincarare la dose – Ti conviene andare a
recuperarla, Malfoy. Piton
vi sta cercando e anche la McGranitt, nessuno dei
due sembra particolarmente contento di
non avervi ancora trovato –
- Accidenti –
Justin non fece in tempo a godersi
la sua contrarietà, che Padma Patil entrò a
precipizio nella stanza. Era
vestita in modo approssimativo, la camicetta sotto il maglione della
divisa
sembrava sbottonata e i capelli neri erano fissati sulla nuca da un
semplice
spillone di legno.
- Anthony – i suoi occhi neri si
fermarono sull’altro Caposcuola di Ravenclaw –
Abbiamo un problema -
***************************************************
L’ispirazione
di questa storia
immagino sia abbastanza chiara: in parte
Urban Legend e in generale le leggende metropolitane che si raccontano
in giro,
alcune riadattate allo scopo.
Per prima cosa volevo
ringraziare moltissimo
tutti quelli che hanno
recensito Purify: è stata una sorpresa grandissima trovare
tante persone dopo
tutto quel tempo che non pubblicavo nulla. Grazie davvero a tutti,
è stato
bellissimo ritrovare, insieme a nomi nuovi, anche nomi di persone che
leggevo
tra le recensioni quando pubblicavo tempo fa ^____^
Questa storia
è sempre dedicata
alle persone che mi si sciroppano e che
si sciroppani i paragrafetti parziali nel periodo di stesura con
annessi e
connessi di dubbi, lamentele e insulti ai Fondatori.
A Opalix soprattutto,
che era con me quando
è nata l’idea di questa
fanfic e dopo averglielo comunicato si è astenuta
dall’accoltellarmi nel sonno.
Ha invece diviso con me, con enorme disinvoltura,
l’imbarazzante momento
dell’affitto di DVD non propriamente da Festival di Cannes,
ricambiando lo
sguardo sornione del tizio dietro il bancone e sollevando il Malfoyesco
sopraciglio come a dire “Vabbuò, siamo quasi a The
Skulls …e
allora?”
A Euridice che mi ha
controllato la timeline
(ergo se ho sbagliato
qualcosa è colpa sua :DD) e che ha detto arf e sniff con
grande
partecipazione e
che quando le abbiamo riferito, tutte orgogliose, di aver visto un film
che
iniziava con un ululato a schermo nero ha detto, con aria di enorme
sufficienza: “Dilettanti”
A Chiara che ha dei
gusti più
raffinati, ma che non disdegna di
scendere di tanto in tanto (precipitare,
meglio) al nostro livello.
Wherena, se ripassi ...grazie!! Non sono ancora brava con questo
programma per l'HTML, quindi scusatemi!
Questa fic ha una
seconda parte
che è già pronta, devo solo correggerla, quindi
per la pubblicazione non
impiegherò una vita.
Grazie ancora a tutti
^_^
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Capitolo 2 *** Part #2: Lullabye for a Stormy Night ***
HL2
HOGWARTS LEGEND
[Part #2: Lullabye for
a Stormy Night]
Black
is the kiss, the touch of the serpent sun
It
ain't the mark or the scar that makes you run
And
run,
And
run,
And
run
My
Chemical Romance, Thank you for the venom
Pansy Parkinson aveva l’aspetto
stravolto di chi ha passato la giornata a potare un Tranello del
Diavolo
particolarmente infernale.
Gli occhi brillavano e le guance
erano accese come se fosse stata preda di una febbre altissima.
Hermione vide
il suo sguardo oltrepassare, impaziente, Draco Malfoy, per poi frugare,
frenetico, alle sue spalle, alla ricerca dell’ombra di
Zabini.
Per la verità, la Caposcuola
Slytherin
doveva sapere benissimo che Zabini non aveva nessun motivo valido per
trovarsi
lì in quel momento, ma la remota possibilità che
potesse succedere, bastava ad
accenderla, come un fiammifero, di una vampata destinata a spegnersi
presto in
un fumo soffocante di zolfo.
Per colpa di quel giovane demonio che
camminava un passo davanti a lei.
Gli effetti di un Filtro d’Amore,
intensi e dolorosi, disorientamento e
sofferenza che trovavano senso e causa solo nell’esistenza di
una persona;
desideri oscuri e dolcezza travolgente, sogni che erano come sangue che
spandeva goccia a goccia da una vena recisa.
E lui le avrebbe inflitto tutto questo solo
per averla.
Ma, del resto, che cosa aveva creduto?
Che lui non avrebbe usato una qualsiasi
scorciatoia, quel viottolo
sepolto nella boscaglia che serve per prendere l’avversario
alla schiena?
Avvelenare i pozzi e bruciarsi
città alle spalle.
Nessun espediente era troppo basso per una
persona che conosceva a
memoria ogni termine dei patti a cui era sceso con se stesso.
Draco fissava Pansy, tranquillo,
troppo indifferente per essere veramente divertito. Aveva avuto la sua
vendetta
perché fosse chiaro – a se stesso non meno che
agli altri – che non avrebbe mai
lasciata impunita una colpa nei suoi confronti. La Viola
di Slytherin aveva
accumulato abbastanza debiti di quella natura, da riuscire a saldarli
solo nel
lungo periodo. Tuttavia la sua sofferenza non lo toccava: non era una
benda da
applicare alla ferita della loro storia finita o del duplice tradimento
di
un’amicizia.
Era solo una voce da depennare
sul libro nero per poi non pensarci più.
- Che cosa ti succede? -
La precedeva di un passo e pur
non guardandola direttamente, la sua voce era sicura nel porle quella
domanda,
tanto da spingerla a domandarsi se il suo intuito fosse davvero
un’estensione
di quello che provava per lei.
Draco Malfoy non era una persona
sensibile, non nella comune accezione del termine, ma il suo istinto
aveva
qualcosa di disturbante, quando sembrava che la violenza di
un’emozione potesse
rompere anche l’argine del suo corpo e giungere fino a lui,
per quanto lei
potesse sforzarsi di mantenerla nei confini
dell’autocontrollo.
Aveva un’inclinazione naturale
per avvertire all’istante qualsiasi turbamento nella
serenità altrui, ed era infallibile
nel riconoscere un momento di debolezza, quel punto vulnerabile in cui
scavare,
il tallone in cui spezzare la punta di una freccia; il nervo scoperto
con
precisione chirurgica, su cui battere fino al tracollo dei nervi.
- Nulla -
- Stai mentendo –
Pansy aveva voltato loro le
spalle e non poteva sentire i loro discorsi né la sicurezza
del suo tono. Si
era allontanata da loro come ci si allontana da una palude infetta.
Questo non le dispiaceva,
nonostante i suoi pensieri volgessero, rapidi, verso la tempesta,
desiderava
poter restare sola con lui.
A litigare, a tacere, ma sola,
insieme con lui.
Lui che aspettava in silenzio
l’eventualità che volesse comunicargli qualcosa.
Non voleva sapere se per Pansy
aveva avuto gli stessi silenzi e le stesse attese, quando
l’amore artificiale
del filtro gli era entrato in circolo.
Probabilmente no, Pansy lo amava
e lottava da anni per averlo: chi gli aveva inflitto la condanna, gli
aveva
anche dato la grazia.
Non era stato lo stesso, quando
aveva sospettato di amare lei, Hermione, quando il dolore e una rabbia
inimmaginabile avevano consumato la sua resistenza.
Aveva sofferto.
Inciampare in quel pensiero la
costrinse ad aggrapparsi alla sua mano per non cadere, o forse per
trascinarlo
con sé mentre cadeva.
Draco intrecciò le dita alle sue
e ricambiò la sua stretta con la forza che, senza parole,
gli aveva chiesto. Si
fermò di colpo, cosicché lei gli finì
addosso e per un lungo, estatico attimo,
si appoggiò al suo fianco e alla sua spalla,
sentì il suo sospiro come
un’estensione del proprio.
- Nemmeno un minuto fa, sembrava
volessi vedermi morto – disse lui e, voltando il capo,
sfiorò con le labbra quella
testa abbandonata contro la sua spalla – Adesso mi sei di
nuovo …affezionata? -
Hermione ebbe quasi l’impulso di
ridere: quando credeva di doverla trattare con circospezione, si
rivolgeva a
lei sempre in quel tono estremamente educato, ai limiti della
formalità e i
suoi eufemismi diventavano tali fino all’esasperazione.
- Già -
Lui sospirò ancora e riprese a
camminare, adeguando il passo al suo. Erano soli, così lei
si avvinghiò al suo
braccio e gli appoggiò la guancia sotto la spalla.
- Sì, - mormorò lui, in tono
basso e decisamente soddisfatto - sei molto affettuosa. Qualcuno ti ha
già
fatto notare i tuoi squilibri mentali o sono il primo anche
in questo? -
La voce strascicata e cerimoniosa
le fece vibrare le spalle di una risatina silenziosa, nondimeno si
sentì in
dovere di dargli un pizzicotto, visto che la sua frase era doppiamente
oltraggiosa.
- No, non sei decisamente il primo
- rispose, parodiando il suo tono
e trascinando le parole in maniera esagerata – Ron mi dice in
continuazione che
sono pazza, ultimamente più del solito. Hai idea del motivo?
-
- E’ superfluo farti notare che
Weasley con le donne non ci sa davvero fare – rispose lui,
con sufficienza –
Non bisogna dirti che sei pazza: bisogna trattarti come tale senza
fartelo
capire –
Questa volta si guadagnò un pugno
sul bicipite e scoppiò a ridere. Scesero una rampa di scale
fino al
pianerottolo del primo piano; Draco si voltò e le
posò le mani intorno alla
vita, aiutandola a saltare l’ultimo gradino.
Le sue mani le scivolarono sui fianchi,
mentre la traeva a sé, poi l’abbracciò
e chinò la testa verso il suo collo.
Labbra fresche e tenere
l’accarezzarono sotto l’orecchio, ma la delicatezza
di quel gesto era
largamente bilanciata dalla sfacciataggine di una mano che risaliva,
disinvolta, sotto la sua gonna.
Lei l’allontanò, strattonandogli
il polso – Malfoy! C’è mezza scuola in
giro stanotte! –
Ebbe come risposta un’altra
risata sommessa, lui tirò indietro il viso per guardarla, un
braccio che le
cingeva ancora la vita, se c’era qualcosa che aveva sempre il
potere di
divertirlo era vedere la sua espressione scandalizzata.
- Andiamo a sbrigare in fretta
questa seccatura, mia pudibonda Caposcuola – le disse
– Così dopo potremo stare
un po’ in un posto dove non
c’è mezza
scuola in giro -
- Quando ci saremo sbrigati sarò
stanchissima – mormorò lei.
- Allora vorrà dire che quando ti
riporterò al tuo dormitorio sarai distrutta -
Soffice e tentatrice, la sua voce
era glassa da raccogliere con le dita sulla superficie di un dolce, era
solo
l’avvisaglia di quanto sarebbe successo dopo.
Quando si chinò per baciarla,
chiuse gli occhi e gli porse le labbra aspettandosi il seguito
appassionato di
quella promessa. Il bacio vellutato che le toccò la guancia
la colse
completamente di sorpresa e, senza pensare, girò il viso per
inseguire il suo,
alla cieca: labbra, pelle serica, le ciglia che l’avevano
sfiorata. Lui le
racchiuse il volto tra due mani e le premette un altro bacio, casto,
sulla
fronte.
- Questo per dimostrare che tu
con le donne ci sai fare? – tentò di scherzare
lei. La voce rauca le cedette
prima di riuscire a completare la frase.
Lui rise, piano, le mani ancora
sul suo viso.
Aveva tanta luce negli occhi da
rischiarare anche una notte di incubi e lei sentì male alla
gola, la stretta
della tenerezza talmente violenta da inumidirle le palpebre.
- Non è una fortuna che, in caso
contrario, io possa sempre chiedere una consulenza a Paciock? -
***
Looking for the victim
Shivering in bed
Searching out fear in the gathering gloom
The Cure, Lullaby
Nella Sala d’Ingresso, c’era una
grossa confusione di professori, Capiscuola, Prefetti, studenti e
fantasmi e
custode. I quadri ci mettevano del loro, facendo domande ad alta voce e
allungando il collo dalle loro cornici per capire cosa stesse
succedendo.
La Professoressa McGranitt
era vestita di tutto punto nonostante l’ora, mentre il
piccolo Professor
Vitiuos aveva l’aria sconsolata di chi è stato
interrotto durante la parte
migliore del sonno. La Vicepreside
spostò lo sguardo da Malfoy a Hermione senza che
sul suo volto si registrasse una sola increspatura. Probabilmente aveva
rimosso
all’istante la sola idea che loro due stessero scendendo la
medesima rampa di
scale senza insultarsi,
pensò
Hermione; al contrario di Severus Piton, i cui occhi scuri e freddi
come
cubetti di fango ghiacciato, si soffermarono su di lei, malevoli.
- Credi che Piton sospetti
qualcosa? – domandò sottovoce a Draco, senza
guardarlo.
- Solo perché ti ha appena
accoltellata con gli occhi? – fece lui, di rimando
– No, è solo geloso: del resto
tu gli hai dichiarato il tuo amore e adesso vai in giro con un altro
–
La superò per raggiungere il
direttore della sua Casa, lasciandola a mordersi le labbra per
trattenere una
risata. Hermione si premette il dorso della mano sulla bocca, emettendo
qualche
artistico colpo di tosse che le valse un’occhiata poco
convinta della McGranitt
e un’energica battuta sulle spalle da parte di Ron.
- Va meglio? – le domandò il
ragazzo, serafico.
- Grazie, Ron – disse lei,
ironica.
Lui le diede un ultimo colpo in
mezzo alle scapole – E’ sempre un piacere
–
Padma Patil e Anthony Goldstein
erano occupati a sedare una piccola rivolta tra gli allievi di
Ravenclaw che
non volevano saperne di tornare nel loro dormitorio. Ragazzini del
primo e del
secondo anno, letteralmente terrorizzati, correvano ad ammucchiarsi
dietro le
spalle del Professor Vitious, con il solo risultato di rischiare di
schiacciarlo. Quelli più grandi stavano mantenendo la calma,
ma non per questo
sembravano maggiormente disposti a mostrarsi ragionevoli.
Padma Patil aveva l’atteggiamento
combattivo di chi si prepara a rimboccarsi le maniche e prendere i
bambini per
la collottola, rimandandoli di sopra a calci; Anthony cercava di
mettere ordine
con la sua voce calma e i modi pacati e decisi, senza, in
verità, raggiungere
più risultati della collega. Dal suo fianco, Tess si
sbracciò all’indirizzo di
Hermione come se la rivedesse dopo dieci anni o giù di
lì.
- Signorina Granger, sei in
ritardo, mi meraviglio di te - disse la Vicepreside
in tono secco e, senza aspettare che
lei si scusasse, proseguì – Sembra che sia sorto
un problema nel dormitorio di
Ravenclaw … -
- Ehi, Capogranger! –
Tess indossava il mantello della
divisa, chiudendo il colletto sulla gola con una mano; sotto
l’orlo inferiore
spuntavano pantofoline dai tacchi alti, di vernice e piume turchesi,
molto
femminili e perfettamente intonate alla vestaglia di seta finissima che
si
intravedeva tra le falde del mantello.
- Non abbiamo ancora prove che
sia in realtà successo qualcosa. Tuttavia se dovessimo
capire che è così, la
situazione si prospetterebbe alquanto difficile -
La Professoressa McGranitt
stava parlando, e Hermione sollevò le sopraciglia e
roteò gli occhi per segnalare a Tess di fare silenzio. Ron,
approfittando di un
momento in cui la McGranitt
non stava guardando dalla loro parte, fece un gesto molto eloquente
sollevando
le palme al cielo e strabuzzando gli occhi. Per prima cosa Hermione
pensò che
gli avessero scagliato a tradimento una Maledizione Cruciatus, poi
comprese che
stava domandandosi quando diavolo la professoressa si sarebbe decisa a
dire
cosa stava succedendo e, allo stesso tempo, stava chiedendo lumi a
Hermione.
Lei però era troppo occupata a zittire Tess.
La
Vicepreside non parve
notare tutto quel tramestio, ma le sue narici fremettero.
- In ogni caso il Preside vuole
che si faccia una perlustrazione dell’intero Castello, dalle
soffitte ai
sotterranei -
- Capogranger! Hai saputo la
novità? –
Inutile, Tess non aveva
intenzione di desistere.
- Vi darò istruzioni su chi e
cosa cercare – continuò la McGranitt
– State all’erta e comunicate via fantasma -
Di qualsiasi cosa si trattasse,
non doveva avere lasciato strascichi eccessivi, a giudicare dalla
disinvoltura
delle Blue Ladies. Jalice Love, per la verità sembrava molto
pallida, ma stava
rimediando largamente al problema passandosi di nascosto il rossetto e
una
buona mano di rosa naturale sulle
guance; Reese Hewitt teneva un braccio intorno alle spalle di Jalice,
con aria
incoraggiante e protettiva.
- A questo punto è il caso di dirvi
cosa sta succedendo – la McGranitt
guardò i ragazzi radunati intorno a lei e
un’espressione di autentica preoccupazione le
attraversò il volto; abbassò la
voce nell’evidente sforzo di comunicare la cosa in modo
delicato.
- E’ possibile che qualcuno si
sia introdotto nella nostra scuola – riprese a bassa voce
– Ma non allarmatevi
prima del dovuto –
A giudicare dalle facce, la gente
che aveva intorno non doveva considerare la cosa esattamente un inedito
storico.
- Capogranger, è una cosa
terribilmente eccitante! -
- E’ possibile che … - la McGranitt
prese un
respiro.
Tess sprizzava eccitazione da
tutti i pori.
- C’è pazzo con
l’ascia che gira intorno al nostro dormitorio!
–
***
So
many
Bright
lights to cast a shadow
But
can I speak?
Well
is it hard understanding
I'm
incomplete
My
Chemical Romance,
Famous Last Words
Testimone d’eccezione era stata
Jalice Love. Reese Hewitt era arrivata in un secondo momento e Tess era
intervenuta insieme a mezzo dormitorio Ravenclaw richiamato dalle urla
disperate delle sue amiche.
Era andata più o meno così:
Jalice e Reese erano uscite dal dormitorio per andarsene a fare la loro
toilette in un più ampio e accogliente bagno riservato ai
Prefetti o ai
Capiscuola – le parole d’ordine ovviamente non
erano un problema, visto che
anche i pivelli del primo conoscevano quelle dei bagni riservati
– solo che,
poco fuori del loro dormitorio, avevano sentito un rumore strano.
Avevano
acceso le bacchette e avevano visto una porta aprirsi lentamente
e…
E adesso tutti si ritrovavano a
ricostruire la situazione in base ai ricordi di Jalice.
Hermione pensò che peggio di così
non poteva andare.
- Quell’attrezzo con un bastone e
una cosa tagliente in cima è un’ascia, vero? -
Evidentemente si sbagliava.
- Beh, anche una lancia è fatta
così – osservò Reese Hewitt, piena di
buon senso – Ma dovrei controllare -
Poteva andare peggio.
- Oh, - Jalice si guardò intorno,
con aria delusa – Forse, dopotutto, era un pazzo con la
lancia -
- L’ho intravisto anche io. Ma mi
è sembrato che avesse un uncino
–
aggiunse Reese, timidamente, poi si affrettò a rassicurare
l’amica – Non per
contraddirti, tesoro. Vedrai che sicuramente
era un’ascia o una lancia –
Era un incubo, e per nessun
motivo che riguardasse pazzi con l’ascia, la lancia e simili
quisquilie.
- Tesoro, - Jalice strinse
affettuosamente la mano dell’amica – se anche
dovesse risultare che era un
uncino, non mi offenderei -
La verità era che non si riusciva
assolutamente a venire a capo di quella faccenda. Da quel poco che si
sapeva
con sicurezza, verso le undici e mezza, Radio Strega Network e Radio
Strega
Rock e Radio Dimensione Strega, avevano allarmato la popolazione in
merito a
un’evasione da Azkaban: sembrava che un pazzo maniaco,
condannato in passato
per una serie di efferati delitti, fosse di nuovo in circolazione.
Gli Slytherin, a quel punto del
racconto, si erano guardati, speranzosi, chiedendosi quale fosse il
fortunato
trai loro parenti.
- Malfoy, secondo me è tua zia –
disse, in tono esperto, un pupetto ridicolmente piccolo,
introdottosi clandestinamente nella saletta dei
Caposcuola, dove si stava cercando di fare il punto della situazione.
Malfoy lo fissò, stupito e
infastidito: difficilmente qualcuno gli si rivolgeva direttamente,
specialmente
trai più piccoli.
- Ci conosciamo? - domandò,
freddo.
- Rosier, primo anno –
Rosier. Un’antichissima, onorata,
famiglia di purosangue che aveva fornito ad Azkaban il suo doveroso
tributo di
presenze.
Malfoy si rilassò all’istante,
poi considerò quanto aveva detto e scosse il capo, dubbioso.
I suoi parenti –
che da soli avevano fornito un valido pretesto per tenere aperte, e col
personale a pieni ranghi, le patrie galere – erano evasi da
parecchio tempo.
Nonostante il Mondo Magico preferisse glissare sugli aspetti meno
gradevoli
della sua cronaca nera, la notizia che la famiglia
Black-Malfoy-Lestrange aveva
felicemente tagliato la corda, si era sparsa già alla fine
del quinto anno.
Causando al rampollo, rimasto in
quel di Hogwarts, non pochi problemi, tanto per chiosare.
- Non è lei? – bisbigliò il piccolo
Rosier – Cioè, non voglio dire che tua zia
è una pazza che se ne va in giro ad
ammazzare gente, secondo me è solo una patriota
… -
-
E’ già evasa da tempo. Inoltre hanno
detto che si tratta di un maschio –
disse Malfoy.
Rosier annuì – Giusto – disse,
assorbendo quella confutazione che poteva mettere un punto fermo alla
faccenda.
- Fuori! -
Hermione Granger si erse in tutta
la sua altezza davanti a quel soldo di cacio e gli indicò la
porta – Non è
prudente che i più piccoli stiano in giro, con quello che
sta succedendo, trova
immediatamente qualcuno che ti accompagni in Sala Grande -
Rosier la guardò in cagnesco,
aveva capelli lisci e neri come spaghetti, limpidi occhioni azzurro
chiaro,e un
visetto, nemmeno troppo pulito, che lei avrebbe trovato adorabile, se
non
avesse avuto stampato sopra un ringhio da mettere spavento anche a una
tigre
inferocita.
– Stai attenta, Caposcuola
Mezzosangue – abbaiò – Sono piccolo, ma
sono anche potente e incavolato -
Prima che riuscisse ad aggiungere
altro, Malfoy si alzò e gli indicò la porta verso
la quale lo accompagnò,
assicurandosi che uscisse – Qui sono ammessi solo i
Caposcuola – disse – Torna
immediatamente di sotto e rimani in Sala Grande. Se scopro che mi hai
disobbedito te ne pentirai. Chiaro? -
Quello che complicava le cose in
maniera spropositata, era che ciascuno raccontava una storia diversa.
Padma
Patil era talmente esausta che poco prima aveva mandato a chiamare la
sorella e
le aveva rifilato una cravatta di Ravenclaw. Adesso come Caposcuola di
Ravenclaw
c’era effettivamente una Padma Patil (l’altra si
era eclissata per fumare), ma
nessuno sapeva se fosse quella giusta.
Hermione pensò che bastava
sventolarle sotto il naso un gustoso pettegolezzo e la sua comare
Lavanda, per
vederle gettare la maschera.
Tuttavia era troppo indaffarata
per farlo: insieme a Anthony Goldstein stava rimettendo insieme, con
pazienza,
pezzi diversi di storia di almeno due dozzine di ragazzi di Ravenclaw
del primo
e del secondo anno.
Il maniaco era un tizio alto. No,
era basso, replicava un altro.
Aveva
il naso adunco e i capelli unti. No, quello era Piton,
che era andato a controllare che diavolo fosse tutto quel
chiasso che arrivava fino ai sotterranei.
Il fantomatico pazzo, insomma,
aveva un uncino al posto della mano. No, aveva delle lame
al posto delle dita. Aveva una bacchetta in mano e sembrava
sul punto di scagliare qualche Avada Kedavra a casaccio. No, no, quello
era
ancora Piton.
Portava una maschera bianca
davanti alla faccia. No, la maschera era traforata. Aveva un vestito
nero
veramente brutto e un mantello nero, che, se possibile, era ancora
più brutto.
No, quello era sempre Piton, che
era
nero anche in faccia, a voler essere pignoli…
- Jalice – Anthony sembrava
distrutto – Per favore, puoi ripetermi com’era
vestito il maniaco? -
Se la stava interrogando per
cercare di mettere ordine in quel caos, pensò Hermione,
Anthony doveva essere
davvero disperato.
- Beh – Jalice parve lievemente
perplessa, come se non si fosse aspettata una domanda così
ovvia – Esattamente
come si presume debba essere vestito un maniaco -
- Vale a dire? -
- Male –
Appunto.
Per sicurezza tutti i dormitori
erano stati evacuati e gli studenti si stavano godendo una romantica
nottata a
far finta di dormire sotto le stelle della Sala Grande, come succedeva
ogni
volta che un pazzo assassino scappava da Azkaban, con gli occhi
socchiusi, le
orecchie e le antenne tese, modello Spioscopio di ultima generazione,
pronte a
captare ogni parola degli insegnanti o dei Capiscuola di guardia, e a
dividerla, fraternamente, con il resto del corpo studentesco.
Pansy Parkinson, era ancora alla
ricerca di Zabini, così affidò gli studenti
più giovani a un Prefetto di
Slytherin, Elinor Nott, una rossa snella e nervosa, sorella di Theodore
Nott
che al momento non era reperibile, ma che sicuramente era da qualche
parte a
osservare la luna.
Nott non era mai stato un tipo
propriamente normale, però ultimamente, dopo la rischiata
espulsione per via di
un duello che aveva coinvolto lui e Malfoy - ma la cui
responsabilità si erano
dovuti addossare soltanto Nott e lei, Pansy, che gli aveva fatto da
secondo –
aveva cominciato seriamente a dare i numeri.
Tanto per cominciare Gregory
Goyle sosteneva di averlo visto appollaiato sul bastioni
dell’ala est mentre
urlava verso la luna. Vincet Tiger, con un tono pesante come il piombo,
aveva
detto che in realtà Nott non stava urlando, ma ululando; e che subito dopo era corso da
lui per chiedergli di
controllare se gli fossero spuntati peli in faccia.
Adesso, Tiger non era sicuramente
tipo da rispondere con cortesia a un tizio che pretendeva gli si
facesse la
conta dei peli, così gli aveva mollato un cazzotto. Quello
allora si era messo
a guaire per il dolore.
Poi aveva cercato di mordere
Goyle.
La Caposcuola
Pansy
Parkinson, stava pensando a queste cose poco piacevoli, quando
inciampò in un
bimbo alto più o meno come due mele impilate.
- Di che Casa sei? – domandò,
aguzzando la vista nella penombra della Sala Grande, dove gli
insegnanti
sorvegliavano il riposo apparente e forzato dei loro allievi.
- Slytherin – bisbigliò quello –
Rosier -
Pansy gli diede una lieve
scrollata alla spalla – Allora vai dai tuoi compagni
–
Quello la guardò andare via e
un’espressione determinata si disegnò sul suo
visetto da monello - Non prima di
averla fatta pagare a quella Caposcuola insolente –
borbottò, sgattaiolando
verso la porta.
***
- Ron, vieni con noi? -
Da sempre, Anthony Goldstein,
aveva la posizione, tacitamente assegnatagli, di coordinatore delle
attività
dei Capiscuola. Era l’unico ad avere il carattere adatto:
Hermione Granger, per
esempio, era troppo rigorosa e autoritaria e qualcuno avrebbe finito
per
strozzarla, mentre Padma Patil aveva decisamente altri interessi; Draco
Malfoy
avrebbe probabilmente inviato Ron Weasley di ronda nelle fogne un
giorno sì e
l’altro pure, quindi era fuori discussione, e Weasley avrebbe
ricambiato con
gli interessi di un’occhiatina alla Foresta Proibita, settore
Centauri, quindi
era fuori discussione pure lui. L’unico altro candidato
adatto era Ernie
Macmillan, che insieme a Anthony era forse il solo che per un motivo o
per
l’altro non aveva smesso di rivolgersi la parola con uno dei
colleghi – fattore
da non sottovalutare per via delle necessarie comunicazioni riguardo le
attività – ma il pacioso e solenne Caposcuola di
Hufflepuff non aveva
aspirazioni del genere.
Al momento Anthony stava
organizzando la squadra che avrebbe effettuato una perlustrazione nei
dintorni
della Torre di Ravenclaw.
- Certo, sono dei vostri –
rispose Ron, di buon grado.
- Malfoy, tu cosa fai? -
Malfoy scrollò le spalle e fece
per andarsene – No, devo tornare nei sotterranei –
Weasley tossì – Vigliacco –
Ci fu un attimo di silenzio
completo, in cui Anthony Goldstein investì Ron con
un’occhiata irosa, che andò
del tutto sprecata, poiché l’altro era troppo
occupato a trattenere lo sguardo
di Malfoy, con quel solito atteggiamento che avevano dalla prima volta
che si
erano visti: quando sembrava che ne sarebbe andato della vita di chi
avesse
abbassato gli occhi per primo.
Draco Malfoy si limitò piegare la
testa da un lato e sulle sue labbra apparve una specie di sorriso,
quasi quello
che aveva davanti agli occhi fosse qualcosa di incredibilmente
divertente per
un motivo noto soltanto a lui.
Per un attimo Hermione vide un
bambino sottile, con un ghigno di rabbia sul viso, stringere i pugni le
guance
chiazzate di rosa per l’ira, pronto a saltare al collo di chi
aveva davanti; al
suo posto, poi, apparve un ragazzino ugualmente magro col il viso
infiammato da
una rabbia che esplodeva dentro di lui senza trovare sfogo esterno.
Infine entrambi disparvero,
lasciando il giovane uomo controllato, i suoi occhi amari e irridenti,
le ombre
che si avvicendavano sul suo viso, così rapide che era
impossibile indovinarne
la forma.
Tre gradi diversi di vita, tre
gradi di dominio sulle proprie apparenze, tre gradi
d’orgoglio.
- Vuoi andare tu a perlustrare il
sotterraneo, Weasley? - la sua voce era dolce come il miele, come
sapeva essere
solo quando il morso delle sue parole gocciolava veleno –
Poco fa mi hanno
mandato a dire che anche lì è stato visto
qualcosa di strano. Vuoi accomodarti?
-
Ronald Weasley sollevò il mento,
risoluto – Certo che posso farlo, se è necessario
– replicò, brusco.
Di nuovo il fremito di un sorriso
sulle labbra di Malfoy, Hermione scorse, inquieta, il bagliore che gli
attraversò gli occhi, un fulmine su cielo già
illividito dalla tempesta.
- Accomodati, Weasley – un aperto
sorriso sbocciò sulla bocca di Malfoy – Il
sotterraneo è pericoloso per chi non
lo conosce: rischi di perdere la strada o di finire in un trabocchetto.
Ma chi
sono io per ostacolare il coraggio Gryffindor? -
Ecco cos’era quel lampo nei suoi
occhi.
- Oppure preferisci che ti
accompagni? -
La gentilezza impalpabile della
sua voce era la sottigliezza di una ragnatela, vischiosa, la trappola
nemmeno
del tutto invisibile in cui un insetto attende paziente la propria
fine.
Hermione, quel tono di voce, lo
conosceva bene.
- Cercate di non fare gli idioti
– intervenne, dura – Non abbiamo tempo da perdere
con queste cose -
Ron la guardò, rabbuiato. Draco
invece la gratificò con uno sguardo singolare, che
somigliava alla malizia.
Lei comprese, oscuramente, che
col suo intervento, aveva salvato Ron da qualche strano incidente.
Conoscendo
Draco, sarebbe stato da lui fare affidamento sull’ostinazione
di Ron in modo da
averlo tra le grinfie, mentre si trovavano da soli nel sotterraneo.
Tre diversi stadi di pericolo.
Malfoy aveva imparato a
controllare le proprie reazioni, non il proprio odio.
Adesso comprendeva anche quello
sguardo: si era aspettato un suo intervento, quindi non era troppo
arrabbiato
perché lei gli aveva rovinato il divertimento.
Senza aggiungere altro, Malfoy
voltò loro le spalle e si allontanò lungo il
corridoio, il serpente tornava
nella sua tana sprofondata nelle viscere del castello. Hermione
fissò la sua
schiena rigida e poi la faccia di Ron, nera di rabbia.
Sospirò e seguì gli altri verso
le scale che li avrebbero condotti verso le Torri dell’ala
ovest. Ron aveva le
mani contratte e una smorfia che non sarebbe sparita tanto presto; e
non appena
lei cercò di incrociare il suo sguardo, si girò
dall’altra parte. Indispettita,
Hermione voltò la testa verso la fila di strette finestre
alla sua sinistra.
Il cielo era così nero e pesto
che tutto l’esterno sembrava coperto da una colata di vernice
scura, né una
stella né un raggio di luna a romperne
l’uniformità; ma ad un tratto, una luce
livida e il rumore di una scarica di energia ferirono il cielo,
rivelando
coaguli di nuvole gonfie e livide. L’attimo di silenzio
sospeso, in cui le
pietre del castello sembrarono trattenere il fiato, sembrò
infinito e, allo
stesso tempo, troppo breve. Poi esplose il tuono e una pioggia
torrenziale
cominciò a riversarsi dal cielo.
Non fu graduale, piuttosto sembrò
che lassù si fosse squarciata la parete di una diga,
lasciando cadere sulla
terra cascate incontrollate di un’acqua nera e fredda come lo
sconforto di un
demonio, di quelli che, in definitiva, alla Grande Ribellione nemmeno
ci
avevano creduto, ma che per indolenza o opportunismo, o forse sperando
in un
nuovo Miracolo Celeste, avevano votato per un partito fino ad allora
relegato
all’opposizione senza speranza.
Accidenti, pensò Hermione, era
davvero una notte buia e tempestosa.
***
Little
child, be not afraid
The
rain pounds harsh against the glass
Like
an unwanted stranger
There
is no danger
I
am here tonight
- Caposcuola Mezzosangue -
Quel bisbiglio proveniva da
dietro un angolo del corridoio; tuttavia, quando Hermione si
girò, non vide
nessuno. Il richiamo si ripeté e lei, con una smorfia di
disappunto si fermò.
Le mani sui fianchi e l’espressione contrariata,
allungò una mano nell’ombra
per afferrare un braccio magrolino. Lo scricciolo era decisamente
più veloce
dei suoi riflessi allenati da Prefetto e Caposcuola perché
lo rivide, parecchio
più lontano di quanto si sarebbe aspettata, che la guardava
e ridacchiava.
- Rosier, vero? – ringhiò lei
puntando l’indice ai propri piedi – Qui!
-
Il bambino le mostrò un largo
ghigno insolente.
Lei proruppe in un’esclamazione
irritata che riuscì solo a farlo ridere di più
– Devi tornare di sotto! – lo
sgridò lei – In questo momento ho altro di cui
occuparmi che non di giocare a
nascondino con un bimbo indisponente! –
- Non sono un bimbo! – gridò lui,
stringendo i pugni, ugualmente infuriato.
- Oh, va bene, Signor Rosier, fammi
la cortesia di andartene in Sala Grande o
giuro che … -
- Hermione, perché stai gridando?
–
A giudicare dal rumore pesante e
cadenzato dei passi, Ron stava correndo verso di lei a tutta
velocità. Tutto il
disappunto era scomparso quando si fermò davanti a lei,
sostituito da
un’espressione allarmata che le avrebbe strappato un sorriso
se non fosse stata
arrabbiata con lui e con quella miniatura di peste che aveva davanti.
- Va tutto bene, Ron – rispose,
impaziente – Solo che Mister
Rosier
si rifiuta di raggiungere i suoi compagni in Sala Grande. Voi andate
pure
avanti, io vi raggiungo subito –
- Ma… - Ron era titubante. Spostò
lo sguardo da lei al piccolo, poi dovette decidere che dopotutto quel
cosino
non doveva essere particolarmente nocivo.
- Mister Rosier – disse,
spalancando un sogghigno per la verità abbastanza amabile.
Rosier gli rivolse
un’occhiataccia da sotto in su - da molto
sotto a molto in su, visto che,
considerata l’altezza di Ron, forse gli arrivava al fianco
– ma così feroce che
Ron smise all’istante di ridere e sollevò un
sopraciglio, incredulo.
- Beh – sentenziò – Ti lascio con
questo campione, Hermione. Ma eravamo così piccoli noi,
quando eravamo al primo
anno? -
Se ne andò alla svelta, ridendo,
e lasciando Rosier letteralmente fumante di rabbia a dare in
escandescenze
battendo i piedi sul pavimento.
- Andiamo di sotto – Hermione
tese tranquillamente una mano per acciuffarlo, ma ancora una volta
doveva aver
calcolato male le distanze perché la spalla scarna del
ragazzino non era là
dove aveva pensato che fosse.
- Vacci da sola, se ne hai tanta
voglia –
Hermione trasse un profondo
respiro e alla fine esplose - Accidenti, ma lo vuoi capire che non ho
tempo da
perdere? Parlerò col Direttore della tua Casa e da domani
sei in punizione! -
Riuscì a stento a terminare la
frase perché un altro boato percosse le nuvole, lo schianto
fu così violento
che per un istante temette di essersi sbagliata sulla sua natura e che,
in
realtà, il pavimento di pietra sotto i suoi piedi stesse
andando in pezzi.
Il piccolo Rosier se ne stava
finalmente zitto, con le braccia magre strette intorno al corpo, ma gli
occhi
azzurri che le restituirono lo sguardo avevano l’indefesso
orgoglio di prima.
Il cipiglio di Hermione si
ammorbidì – Niente punizione, va bene? Ma adesso
lascia che ti accompagni in
Sala Grande. E’ pericoloso stare in giro: hai sentito cosa
sta succedendo,
vero? –
Il ragazzino la guardò – Già.
Quanto chiasso – disse, con sufficienza.
Sembrava scettico e per niente
impaurito, sicuramente l’idea di un pazzo armato in giro per
il Castello lo
preoccupava molto meno del temporale. Infatti, quando credeva che lei
non se ne
accorgesse, rivolgeva occhiate apprensive alla finestra, come temendo
che, da
un momento all’altro, l’impeto del vento che
sferzava i vetri d’acqua
torrenziale, potesse sfondare le finestre.
Little
child
Be
not afraid
Though
thunder explodes
And
lightning flash
Illuminates
your tearstained face
I
am here tonight
Vienna
Teng, Lullabye for a
Stormy Night
Un altro fulmine disegnò la sua
silenziosa cicatrice sulle nuvole, illuminando il visino inquieto di
Rosier,
che si irrigidì percettibilmente, in attesa. Approfittando
di quel momento di
distrazione, prima che il tuono percuotesse l’aria, Hermione
riuscì finalmente
ad afferrargli il polso.
Almeno credeva che fosse così, ma
ancora una volta lui era stato più veloce e lei era riuscita
solo a sfiorarlo:
se il suo aspetto era fragile ed emaciato, al tatto era addirittura
inconsistente e aveva la pelle gelata. Istintivamente, lei gli si
inginocchiò
davanti, frapponendosi tra lui e la finestra sulla quale
l’acqua scorreva a
torrenti.
Il tuono finalmente riversò tutto
il suo fragore sul castello, ma Hermione vide che questa volta, il viso
del
bimbo non era atterrito. Aveva invece un’espressione
tranquillissima e i grandi
occhi la guardavano intenti, così luminosi nella luce scarsa
del corridoio.
Il suo aspetto era abbastanza
selvatico, pensò Hermione: i capelli neri spiovevano
dappertutto sul visetto
bianchissimo, lisci come filo bagnato; sotto la frangia un paio di
sopraciglia
nerissime e oblique sormontavano occhi azzurro chiaro, enormi sul
faccino
sottile e così limpidi e luminosi da sembrare cristalli
bagnati; sulla guancia
destra aveva uno sbaffo di sudiciume, e sotto un ciuffo di capelli neri
qualcosa che sembrava una ferita rimarginata.
- Qualcuno ti ha fatto male? –
domandò lei, improvvisamente allarmata.
Rosier scosse il capo – No, è
successo molto tempo fa – disse.
Lei allungò una
mano ma, mentre faceva per toccargli il viso, il ragazzino
indietreggiò.
Hermione guardò la propria mano, vuota, dove prima
c’era il suo polso esile e
poi guardò di nuovo lui.
- Anche l’altra Caposcuola è
stata gentile con me -
Hermione inarcò un sopraciglio –
Hanna Abbott? – domandò – Pansy
Parkinson? –
- La Caposcuola Mezzosangue
– disse lui, che chiaramente preferiva fare
l’insolente invece di rispondere,
infatti le rivolse un sorriso sfrontato mentre indugiava su quel
termine scortese
– La fidanzata dell’altro Caposcuola, quello
antipatico e strafottente, che
infastidisce sempre tutti –
- Oh – le guance di Hermione si
imporporarono di dispetto – Devo andare – disse in
fretta, alzandosi e
slacciandosi, nel contempo, il
colletto del mantello – Adesso tu resta qui e non ti muovere,
chiaro? –
- Ma … -
- Zitto. Hai capito che puoi
essere un pericolo? -
Soffocando le sue proteste con
un’occhiataccia, lei gli buttò addosso il proprio
mantello e si rialzò.
- Non ti muovere da qui -
- Non lo voglio il mantello di
una Mezzosangue! – ringhiò lui.
Hermione sbuffò una mezza risata,
andandosene – Vorrà dire che domattina me lo
ridarai – concluse, poi all’ultimo
istante si girò – Come ti chiami? -
Quello ci pensò un istante di
troppo, sempre imbronciato, poi quando lei stava per andarsene rispose.
- Hartemius Rosier –
- Hartemius? –
Lui la fulminò con
un’occhiataccia, evidentemente imbarazzato da quel nome
pomposo – Harry –
disse, arrabbiato.
A quel punto lei scoppiò
francamente a ridere – E non ti imbarazza chiamarti come
Harry Potter? –
Lo aveva detto per farlo
infuriare, ma, inaspettatamente, Hartemius Rosier, il visetto pallido
che
spuntava dal groviglio nero del mantello, piegò la testa
verso una spalla e le
rivolse un ampio sogghigno sarcastico, assolutamente irresistibile.
- Oh no – sussurrò – E’ lui
che
si chiama come me -
Hermione rise.
- Resta qui e se senti qualcosa
di strano, nasconditi, va bene? -
Poi corse via.
***
Nei pressi della Torre di
Ravenclaw c’era un gran trambusto. Nel momento in cui
Hermione stava svoltando
per uno corridoio, nei pressi del quale era nascosto
l’accesso segreto al
dormitorio, un fracasso terrificante stava facendo concorrenza ai tuoni
–
ampiamente surclassandoli – e un coro di strilli femminili
stava svegliando
anche i morti.
Quelli dei cimiteri australiani,
per l’esattezza.
- E’ lì che l’ho visto! -
- Anche io! – strillò un’altra
voce terrorizzata – E aveva l’ascia! E’ così grossa! –
Il tono di Jalice Love era così
impressionato che un qualsiasi maniaco si sarebbe sentito estremamente
fiero
delle dimensioni della propria ascia.
- Stai indietro Jalice! – quella
era la voce di Tess, decisamente, – Ci penso io! -
- Oh no! –
Hermione, la bacchetta stretta
nella destra, aumentò il ritmo della corsa.
- Mi si è rotto un tacco! -
Se il problema era quello, dopotutto,
poteva anche rallentare.
- Reducto! -
Una voce regale, ruggì
quell’incantesimo al quale fecero
seguito urla ancora più alte che, tuttavia, sembravano di
protesta più che di
terrore.
- Ron quello era solo un
lampadario! – protestò Padma Patil
- Scusate –
Altro schianto che somigliava
sinistramente al suono di un muro che si sgretolava.
- Accidenti …il soffitto. E
adesso Gazza chi lo sente? -
- Scusate – ripeté la voce di
Ron.
- Perché Weasley è il nostro Re –
L’ultima voce che aveva parlato,
fredda e sarcastica, convinse Hermione che, davvero, era il caso di
affrettarsi.
- Malfoy chiudi il becco! -
- Altrimenti cosa mi fai? Mi fai
cadere addosso un lampadario?
–
- Bada piuttosto alla voragine
che hai fatto sul pavimento! -
Ecco, per l’appunto.
Il corridoio in cui sbucò avrebbe
indotto un triste senso di déjà-vu nelle Squadre
per la
Pulizia Magica alle
quali era toccato mettere in ordine quello che restava del Dipartimento
dei
Misteri. Qualche mente superiore aveva con estrema furbizia fatto
cadere le torce
e adesso l’illuminazione era solo quella di un paio di
volenterose bacchette,
ma visto che quella di Reese era momentaneamente impiegata per
esaminare il suo
tacco rotto, la situazione da quel punto di vista era alquanto
infelice. Sul
pavimento c’era un cratere di discrete dimensioni col suo
gradevole pendant sul soffitto,
dove prima c’era
il lampadario. Da un lato c’erano pezzi di legno, che
potevano appartenere
indistintamente a un armadietto, a una scultura o a una grossa sedia,
ma che in
ogni caso erano destinati a giacere in un ripostiglio per
l’eternità a rendere
più scomodi gli appuntamenti delle coppiette.
Quando Tess la vide arrivare, le
spalancò un sorriso di benvenuto, stile incontro in una sala
da tè del centro.
- Ciao, Capogranger! -
- Tess – disse lei, col fiato
corto – che cosa ci fate
voi qui? – e
con un gesto deciso del mento indicò anche Jalice e Reese.
- Non riuscivano a individuare il
punto esatto dell’avvistamento – spiegò
Tess – Così hanno chiesto a Jalice e
Reese di indicarglielo –
Erano tutte e tre in delicate
vestagliette di raso e seta pastello, le gambe nude e il mantello nero
sulle
spalle, perfette (tacco a parte), truccate e sorridenti.
Hermione si chiese se, dopotutto,
non fossero supereroine sotto mentite spoglie.
- Gli altri stanno decidendo cosa
fare – spiegò Tess.
A giudicare dalle discussioni,
non sembravano essere giunti a grandi risultati. Ron e Malfoy si
urlavano
ancora addosso indicando il buco sul soffitto e quello sul pavimento.
Anthony
Goldstein e Padma Patil stavano parlando con Hannah Abbott che, a un
certo
punto, si girò per correre via, dicendo – Vado a
chiamare gli insegnanti -
Hermione si diresse verso Ron e
Draco, a passo di marcia e parecchio arrabbiata.
- Ma vi sembra il momento di
litigare? -
Era una domanda retorica, ma naturalmente,
per precauzione, aveva pronta la risposta. Quello che non si aspettava
era che
entrambi si girassero verso di lei e cominciassero a urlare in
simultanea.
- Dove dannazione sei stata? -
- Mi allontano un attimo ed ecco
che sparisci e per giunta senza avvertire!
–
- Avevi detto che arrivavi
subito! -
- Donna, ti pare il momento di
andartene in giro da sola? –
Con somma indignazione di
Hermione, Ron non insorse in sua difesa davanti al tono un tantino
maschilista
di Draco, ma, se il suo intero patrimonio genetico non gli avesse
ingiunto a
gran voce di fermarsi, probabilmente avrebbe anche applaudito.
Li fissò, oltraggiata, poi girò
sui tacchi e li mandò a quel paese, decidendo che dopotutto
era meglio piantarli
lì a decidere di chi fosse il buco
più grosso.
- Anthony – esclamò, rivolgendosi
all’unica persona ragionevole che c’era nei paraggi
– Allora, dov’è? -
Anthony indicò davanti a sé con
un cenno del capo – Precisamente, lì dentro -
Esisteva un luogo di intrighi e
arcani, dimora di spettri del passato e dolorose memorie, dove si erano
consumate trame contorte, iniziative audaci e azioni suicide; in quei
luoghi si
erano compiuti efferati delitti, lì si era deciso il destino
di intere
generazioni, si erano orditi complotti e lì avevano avuto
inizio eventi
destinati a influire sulla distruzione o la salvezza del Mondo Magico.
Lo aveva compreso per primo il
Fondatore che, come in una metafora ispirata, aveva celato in quel
luogo
avvolto dal mistero l’accesso della sua Camera dei Segreti;
lo aveva compreso
il suo Erede, Tom Marvolo Riddle che, essendo lo studente brillante che
tutti
gli Slytherin ricordavano (altro che
Black & Potter), era andato proprio lì a cercarne
l’accesso al Sacrario che
gli avrebbe restituito la sua Eredità.
Hermione Granger seguì la
direzione indicata da Anthony Goldstein e spalancò gli
occhi.
Un attimo di silenzio.
- Un bagno delle femmine? -
***
Little
child
Be
not afraid
The
wind makes creatures of our trees
And
the branches to hands
They're
not real, understand
And
I am here tonight
Vienna
Teng, Lullabye for a
Stormy Night
Beh, il bagno delle femmine era
sempre stato punto di incontri abbastanza imprevedibili e non sempre
piacevoli.
Una volta, per esempio, lei ci aveva trovato un troll con la clava (ed
era
stata salvata da due troll con la bacchetta); in un altro celebre
frangente, un
Leggendario Signore del Male ci aveva portato a pascolare un Basilisco.
Quindi
non era troppo irragionevole supporre che in un altro bagno si fosse
nascosto
un pazzo maniaco scappato da Azkaban.
Che fosse un mitomane?
- Di che cosa è armato? – domandò
Hermione, ansiosa.
- Ascia – disse, laconico,
Anthony – anche se Reese continua a sostenere che forse
è un uncino -
- Un’ascia grossa
– specificò Jalice Love dietro le loro spalle.
Qualcosa si agitò dietro la porta
del bagno delle femmine: forse il maniaco stava esprimendo tutto il suo
compiacimento.
Immediatamente otto bacchette si
puntarono in quella direzione e Ron Weasley mosse un passo avanti, di
conseguenza, tutti i Ravenclaw presenti, sollevarono uno sguardo
preoccupato
verso l’alto, in corrispondenza del loro dormitorio.
All’improvviso, dall’altro lato
del corridoio, avvolto nella più fitta oscurità,
si intuì un movimento.
- Chi è là? – ruggì Ron.
- Sono il maniaco – parodiò una
voce in falsetto.
- Taci, Malfoy –
Oddio, ecco che ricominciavano,
ma non erano occupati a confrontare il diametro dei rispettivi buchi?
- Non è niente – disse Padma,
aguzzando la vista.
- Se è uscito siamo nei guai –
disse Anthony – Anche se …come avrebbe potuto con
noi tutto il tempo qui fuori?
–
- Forse c’è un’altra uscita –
ipotizzò Ron.
- Come no, – commentò Malfoy – lo
scarico del gabinetto -
- Malfoy, per quanto è vero Merlino,
io prima o poi … -
- Abbiamo solo un modo per
scoprirlo – esclamò Hermione, più che
altro nell’intento di distrarre Ron – Al
mio tre apriamo quella porta! –
- Sono con te Capogranger – disse
Tess liberandosi tranquillamente dei tacchi con un calcio. A piedi nudi
si
mosse verso l’amica.
- No! – strillò Reese, terrorizzata,
zoppicando in avanti per via del tacco rotto – Non aprite
quella porta! –
Jalice la seguì, tenendola per un
braccio – Per favore – supplicò
– Aspettate! -
Ron Weasley avanzò di qualche
passo e si affiancò a Hermione Granger, si guardarono poi
lui disse – Stai
dietro di me. Sei pronta? –
- Sì, ma non starò dietro
di te – rispose lei, sfrontata.
Poi si sorrisero, sorriso virile: sarebbe stato di una pignoleria
imperdonabile
rilevare che uno dei due era una femmina.
Scambio di coraggiosi convenevoli
Gryffindor, di quelli che avrebbero reso fiero un sergente istruttore
dell’Accademia Auror.
Draco Malfoy li fissò, poi
commentò, acido, rivolto ai Ravenclaw – Sarete
fortunati se vi ritroverete
almeno con delle macerie del vostro
dormitorio –
Il suo sarcasmo da manuale andò
completamente sprecato: i Ravenclaw, al momento, erano fin troppo
propensi a
condividere quel tipo di preoccupazione, infatti Ron Weasley stava
cominciando
a contare.
O a dare i numeri, che dir si
voglia.
- Uno, due … -
- Tre! –
La porta del bagno si spalancò e
Jalice urlò con tutto il fiato che aveva in gola, mentre una
figura alta ed
emaciata, avvolta in abiti laceri, emergeva
dall’oscurità. Nella luce
scarsissima, si intravide una faccia distorta e occhi vuoti, il
riflesso di una
bacchetta illuminata balenò per un attimo sulla lama di una
grossa ascia.
- Oddio è lui! - disse Reese, con
un singhiozzo. Cercò di tirare via Jalice, ma la ragazza,
impietrita, guardava
l’uomo con gli occhi sbarrati colmi di panico. La sua paura
era così intensa che
sembrava irradiarsi tutto intorno a lei, gli occhi erano spalancati e
vitrei e
le gambe tremavano. Stava aggrappata a Reese, che aveva anche lei il
viso
congelato dal terrore.
Il maniaco sollevò il braccio
sinistro: invece della mano aveva un uncino che scintillò,
sinistro, alla luce
di un fulmine che per un attimo, illuminò a giorno il
corridoio.
- Sembra Potter – commentò
qualcuno di molto prevedibile.
- Stupeficium –
- Stupeficium –
- Stupeficium! –
- Stupido imbecille! –
urlò Ron rivolto a Malfoy.
Il maniaco, nel mentre, non
sembrava per nulla toccato dalla pioggia di Schiantesimi che gli era
finita
addosso. Imperturbabile, mosse un altro passo avanti.
- Qualcosa non va – Draco Malfoy
sembrava aver perso tutta la voglia di fare lo spiritoso. Rivolse
un’occhiata
preoccupata all’espressione combattiva della sua ragazza, la
quale non staccava
gli occhi dalla figura emaciata che continuava ad avanzare, lenta e
barcollante,
verso di loro.
Hermione era pallida, ma la mano
che stringeva la bacchetta aveva una fermezza che Malfoy aveva visto
raramente
anche negli adulti, i suoi occhi scuri non abbandonavano
l’obiettivo nemmeno
per un istante, sembrava che quasi non battesse le palpebre. Incurante
della
propria incolumità, quasi nemmeno possedesse un corpo da
ferire, teneva la
guardia alta e se indietreggiava era soltanto per cercare un punto
migliore da
cui prendere la mira.
Jalice urlò ancora e Draco, con
un’imprecazione sulle labbra, procedette verso Hermione,
deciso, in caso di
necessità, ad afferrarla e portarla via a costo di
Schiantarla.
Poi col maniaco se la sarebbero
potuta anche vedere gli eroi di professione.
Loro, intanto, sarebbero stati in
salvo.
Prima che potesse raggiungerla
Hermione sollevò la bacchetta – Incarceramus
–
Quella variante della formula lui
non l’aveva mai sentita, così vide, con stupore
misto a dispetto e ammirazione,
un getto di luce uscire dalla bacchetta di Hermione e poi scindersi in
anelli
di luce rossa che raggiunsero la figura del maniaco e la circondarono,
ancorandogli saldamente le braccia al corpo.
L’uomo o quello che era emise un
urlo e allargò le braccia forzando gli anelli che
però non parvero cedere né
allargarsi di un millimetro. Sulle labbra di Hermione si dipinse,
lento, un
sorriso trionfante.
- Non funzionerà – singhiozzò
Jalice, con la voce appena udibile.
Fu solo un attimo, poi gli anelli
di luce, semplicemente, scomparvero.
- Non è possibile! – gridò
Hermione, incredula e per un istante parve perdere il suo sangue
freddo.
Immediatamente però puntò di nuovo la bacchetta,
mentre intorno a lei
ricominciavano a piovere Schiantesimi.
- Impedimenta -
Anche questa volta, l’incantesimo
aveva una precisione millimetrica e colpì l’uomo
alle ginocchia.
Anche questa volta non sortì
alcun effetto.
- Tess, rimanete indietro –
Anthony si parò di fronte alla ragazza e superò
anche Padma, ponendosi tra loro
e la prima linea – Jalice, Reese, allontanatevi
-
Tess, ignorando l’ordine, andò
verso le amiche e afferrò Jalice per un braccio, nel
tentativo di farla
arretrare. Quella però sembrava radicata al suolo e, con il
viso estraniato in
un incubo, fissava l’uomo e l’ascia affilata che
brandiva.
- Schiantesimi al mio tre –
Ron Weasley diede quell’ordine e
sollevò la bacchetta all’altezza della testa. Il
viso concentrato, gli occhi
blu rannuvolati dalla tensione, con due passi delle gambe lunghissime
si portò
a pochissima distanza dall’individuo.
Senza perdere d’occhio la
situazione, Draco si spostò accanto a Hermione e
calcolò velocemente il tempo che
gli sarebbe occorso per trascinarla via.
- Uno – disse Weasley.
Poi accaddero contemporaneamente
molte cose. L’uomo, invece di muoversi col solito passo
barcollante, parve
volare letteralmente in avanti verso di loro. Jalice Love si
accasciò al suolo,
svenuta. Tess e Reese furono velocissime ad afferrarla per le spalle e
a
trascinarla via.
Scartando precipitosamente di
lato, Malfoy alzò la bacchetta mentre, nella sua mente,
un’altra formula si
sostituiva a quella dello Schiantesimo.
Hermione si girò verso di lui e i
loro occhi si incontrarono e lui lesse, insieme alla preoccupazione che
l’aveva
spinta a cercarlo, anche la consapevolezza di quello che lui stava per
fare.
Poi il corpo dell’uomo cadde a
peso morto in terra e Ronald Weasley emise un urlo di raccapriccio.
Improvvisamente non era più una
figura umana, ma aveva lunghe zampe e un corpo grosso e peloso.
- Un ragno? – esclamò una delle
ragazze, forse Padma, sbalordita.
- Fatevi indietro! –
urlò una voce inaspettata, e, quello che prima
era un ragno, cambiò di nuovo.
Uno spirare di vento gelido e
putrescente, e ancora il lampo che illuminava il cielo livido e il
fragore di
un tuono, poi la figura si erse dal pavimento, alta, avvolta in
cenciosi strati
di stoffa incolore. Una mano putrida e coperta di pelle squamosa si
fece spazio
tra i lembi del lacero mantello e si sollevò verso di loro,
lucida, biancastra,
come una mano di cadavere rimasta troppo tempo esposta
all’umidità.
All’improvviso un’ondata di
sconforto, fredda come era freddo il respiro della creatura,
dilagò intorno a
loro, seppellendo le loro speranze di riuscita. Sarebbero morti
lì, prima che
qualcuno potesse arrivare a salvarli.
Poi, tenue come la ragione nel
panico, Hermione riuscì ad afferrare il filo di un pensiero.
Si slanciò in
avanti, schivando la mano di Draco che cercava di trattenerla. Spinse
via
Harry, lontano dal Dissennatore e subito dopo si ritrovò a
guardare gli occhi
neri e freddi della professoressa McGranitt – Signorina
Granger - proferì
quella, fredda – Mi hai estremamente
delusa: andarsene in quel modo in giro per ripostigli e aule
– le narici della
donna fremettero, prima di esprimere la sua condanna finale –
Consegnami il tuo
distintivo: sei espulsa e in
più sei bocciata in
tutte le materie -
Era talmente reale che per un
attimo le prese un colpo. Poi, furibonda e rossa in faccia come un
pomodoro
troppo maturo, Hermione sollevò la bacchetta.
- Riddikulus! -
La professoressa McGranitt la
fissò, perplessa, poi barcollò, inciampando nella
lunga gonna scozzese.
- Riddikulus –
ringhiò di nuovo Hermione e poi gettò indietro la
testa e urlò – Harry
James Potter,
giuro che avrò la tua testa
prima
dell’alba! -
Ron e Harry la superarono per
affrontare il Molliccio e lei vacillò. Era il momento che
Draco stava
aspettando: tese entrambe le braccia per circondarle la vita e la
tirò
indietro.
- Sta’ giù, - disse, brusco,
posandole una mano sulla testa mentre sopra di loro volavano lampi di
luce –
Hai fatto la tua parte, adesso levati dalla linea di tiro -
- Malfoy, che ti salta in mente? Lasciami!
-
La perentorietà di quell’ordine
non lo toccò minimamente: accentuò la stretta del
braccio intorno alla sua vita
per prevenire prevedibili gesti di ribellione e la trascinò
via, recalcitrante.
A un certo punto lei, però, riuscì a respingerlo,
ma inciampò a cadde sulle
ginocchia. Rialzandosi si trovò davanti una gonna scozzese e
poi un maglione
verde fuori moda e poi, due occhi scuri freddi e pungenti circondati da
occhiali squadrati.
- Riddikulus –
strillò.
La professoressa McGranitt deviò
l’incantesimo con un movimento automatico della bacchetta.
- Signorina Granger – disse,
stupefatta – Che cosa stai facendo?
-
***
Harry Potter aveva salvato la
situazione. Era incredibile: per quanto potesse essere un guaio
ambulante, se
il complesso dell’eroe non avesse fatto la sua parte, forse,
trascinati
dall’idea del maniaco, avrebbero impiegato ore prima di
accorgersi che si
trattava di un Molliccio, combattendo con la paura di avere davanti un
pazzo
per di più invulnerabile. Naturalmente anche Jalice aveva
contribuito, perdendo
i sensi e smettendola di proiettare il suo terrore sul Molliccio, per
il resto
dell’anno scolastico Malfoy avrebbe sostenuto che era stato
tutto merito suo.
Adesso le Blue Ladies erano probabilmente assiepate davanti a qualche
specchio per
controllare se l’intonaco teneva oppure se era il caso di
dare un ritocco.
Invece, Blaise Zabini che, grazie
al grosso ascendente che aveva sulla Caposcuola Parkinson, non era
sicuramente
obbligato a restare relegato insieme agli altri, si era recato sulla
scena del
crimine per raccogliere notizie di prima mano.
- Visto che c’era Potter, questa
sarà ricordata come la Grande
Battaglia del Bagno delle Femmine? –
domandò.
- C’è una forte probabilità –
rispose Malfoy, annoiato.
- La
Torre di Ravenclaw è ancora
tutta intera? –
- Stranamente, sì –
Attimo di pausa, poi Zabini
aggiunse.
- A proposito, quel poveretto
scappato da Azkaban lo hanno trovato -
- Dove? –
- Daphne mi ha
detto che lo hanno preso nemmeno
una mezz’ora fa vicino Hogsmeade. Era solo un ex Mangiamorte
che voleva tentare
di abbattere Potter -
La significativa scelta del
termine non sfuggì a Malfoy che annuì, concorde.
Entrambi dedicarono un minuto di
silenzio commosso all’ennesimo Caduto per la Causa.
- Come al solito, – disse Zabini,
malinconico, - si rivela una missione suicida -
Draco annuì ancora, ugualmente scoraggiato.
La sua ragazza, che qualche
minuto prima aveva cercato di assassinare la Direttrice
della sua
Casa, adesso sedeva, distrutta, sul pavimento, con Piattola Weasley
accanto,
spuntata col medesimo tempismo di Potter, che le teneva la mano e
cercava di
consolarla.
Aveva detto che avrebbe ammazzato
Potter e aveva cercato di ammazzare la McGranitt.
Altro che consolarla, Draco
l’avrebbe sposata.
Per il resto c’era solo da
chiedersi quando avrebbero fatto la loro comparsa i giornalisti della
Gazzetta
del Profeta. Potter a breve sarebbe stato convocato
nell’ufficio del Preside,
dove avrebbe rilasciato una deposizione che sarebbe stata conservata
negli
Annali dell’Eroismo lasciando cadere qua e là,
casualmente, il nome del Signore
Oscuro pronunciato per esteso.
Poi Gryffindor avrebbe avuto
qualche miliardo di punti o giù di lì, la Coppa
del Quidditch e la Coppa delle Case, tanto
per
gradire, e tutta la scuola avrebbe festeggiato: era sempre
così quando Potter
salvava la situazione. Tranne che al quarto anno, naturalmente,
perché, visto
che c’era Diggory da seppellire, la cosa sarebbe parsa di
cattivo gusto. In
quel caso però Potter si era portato a casa anche la Coppa
del Tremaghi.
Decisamente inacidito da quei pensieri,
Malfoy si avvicinò a Anthony Goldstein che, insieme a Padma
Patil, stava
spiegando a Hannah Abbott e Ernie Macmillan, che cosa era successo.
- Questa sera siamo rimasti ore a
raccontarci storie del terrore al Club – stava dicendo
– Quando le ragazze sono
uscite dalle Torre, il Molliccio nel bagno si è trasformato
in un maniaco. Lo
avevano detto, che era la cosa che le spaventava di
più… -
Padma aveva l’aria di una che
desidera ardentemente avere la propria gemella presente per poter
lasciare la
controfigura e imboscarsi da qualche parte a fumare. Non in un bagno,
per una
volta.
- Già, - commentò – e tutti
quelli che si sono affacciati per vedere, quando loro si sono messe a
urlare,
avevano la testa piena di tutte quelle storie che avevano appena
ascoltato per
radio sul pazzo scappato da Azkaban –
- Che come ogni volta, finisce
qui – Draco Malfoy rise, sarcastico, e gettò
un’occhiata a Potter – Che
coincidenza –
- Tutti si sono fatti prendere
dal panico per questa storia del maniaco e così il Molliccio
ha preso quella
forma – continuò Padma – Era per questo
che ognuno dava una versione diversa:
ognuno l’ha visto esattamente
nel
modo in cui immaginava fosse un pazzo maniaco -
- E nel modo in cui immaginava
dovesse essere vestito – mormorò Anthony -
Benedetta Jalice, aveva ragione lei
–
- Beh, - intervenne Ron con
espressione pensierosa – Allora Piton c’era sul
serio, oppure era sempre il
Molliccio? –
- No, Weasley - intervenne una
voce gelida alle loro spalle – C’ero davvero -
Dall’altro lato del corridoio
Hermione Granger si copriva la faccia con la mano desiderando solo di
avere al
più presto una buona scusa per andarsene.
A impiccarsi nel bagno di
Mirtilla oppure a buttarsi dalla Torre di Astronomia, per esempio, ma
era
sempre aperta a nuove proposte purché, al momento,
contemplassero il suicidio.
- Hermione, calmati – le disse
Ginny, spazientita – Non è successo niente
–
- Ho cercato di uccidere la McGranitt!
-
- Non è che Malfoy … -
- Ginny, non essere ridicola -
- Scusa, era tanto per dire –
Hermione tiro su col naso e fissò
il vuoto con gli occhi sbarrati, poi dopo un poco parve riaversi e
sollevò lo
sguardo verso l’amica.
Ginny aveva l’aria di una che
desidera fumare, così disperatamente da essere disposta a
dividere
fraternamente il bagno con un Molliccio.
- Ma non ti avevamo detto di
trattenere Harry nel dormitorio?-
L’altra alzò le spalle – Sai
com’è fatto: si è messo a strillare che
Tu-Sai-Chi aveva ucciso i suoi genitori
e poi è schizzato via a tutta velocità -
Ginny aveva una gran faccia
tosta, di quelle contro le quali si poteva sbriciolare anche il
granito, così
sostenne il suo sguardo con estrema disinvoltura.
- Ci ho provato -
Hermione stava per risponderle
che beh, non c’era decisamente riuscita, quando comprese che
l’amica intendeva
nell’accezione gergale nonché letterale
dell’ espressione.
- Merlino, Ginny… - esclamò
esasperata – Ti avevamo chiesto di trattenerlo non di
obbligarlo a scappare –
Nel mentre, Draco Malfoy aveva
deciso che la nostalgica rimpatriata tra Potter e un Dissennatore
meritava una
deroga alla regola dell’ostentata indifferenza, in vista di
opportuni
festeggiamenti.
Così, bellamente incurante del
fatto che era passata l’alba e che tutti avevano avuto una
nottata a dir poco
spossante, si era avvicinato al
Ragazzo-Sopravvissuto-Alla-Toilette-Delle-Femmine
e poi si era immobilizzato, con gli occhi dilatati per il terrore e le
labbra
socchiuse.
- Un Di.. Di.. Dissennatore! -
Il suo talento interpretativo era
da sempre notevole, gli istinti omicidi che scatenava pure.
Harry gli rivolse un’occhiata
raggelante – Taci, Malfoy –
- Potty – naturalmente non ancora
domo, Malfoy gli rivolse un sorriso accattivante –
Però fai progressi. Questa
volta non sei svenuto, almeno -
Così dicendo si portò le mani
alla gola, strabuzzò gli occhi e fece finta di accasciarsi
per terra.
Harry strinse gli occhi verdi in
due fessure gelide – Come è successo a te quando
ti sei mascherato da
Dissennatore e ti sei beccato il mio Patronus? –
Il sorriso di Malfoy perse un
poco di smalto – No, come è successo a te quando
hai visto quelli veri e sei
caduto dalla scopa -
Uno pari e Pluffa al centro.
Deprimente.
Forse comportarsi come imbecilli
poteva essere un modo per smaltire lo stress. Alla
luce di questo, si poteva ragionevolmente
dedurre che Malfoy e Potter ne avessero accumulato parecchio e che le
operazioni di smaltimento richiedessero da anni buona parte del loro
tempo e tutta
la loro applicazione.
Di quel passo, dopo aver esaurito
tutti i loro dissidi dei tredici e dei dodici anni, probabilmente si
sarebbero
ritrovati a rinfacciarsi la faccenda dell’uovo di drago o la
trappola del duello
del primo anno: tanto per celebrare il periodo in cui la loro
maturazione
mentale si era inesorabilmente arrestata.
- Potter, non mi sei piaciuto
dalla prima volta che ti ho visto sul maledetto treno della scuola -
Ecco, appunto.
Intorno a loro c’era il solito
capannello di spettatori perplessi, Hermione e Ginny li stavano
guardando con
delle facce addirittura schifate.
- Professore, Potter mi rompe i Bolidi –
parodiò Ginny, spalancando la
bocca in uno sberleffo sprezzante – Professoressa, Malfoy fa
il Dissennatore -
- Idioti – borbottò Hermione,
alzandosi.
La
Pluffa era in mano
Gryffindor e in campo Slytherin.
- Sentiamo, Malfoy, che forma
prenderebbe il tuo Molliccio? Il Boccino d’Oro? Deve
spaventarti parecchio da
come te ne tieni alla larga –
- No, Potter – a giudicare dal
tono serafico, la parata Slytherin si preannunciava efficace
– Prenderebbe la
forma di te che hai perso la verginità: praticamente il
Primo Segno dell’Apocalisse
-
Le guance di Ginny si chiazzarono
di rosso – Andiamocene – disse – Sono
stufa –
- Che razza di deficienti –
borbottò Hermione, preparandosi a seguirla.
- Malfoy! – stava dicendo Harry,
a voce bassa e minacciosa – Giuro che un giorno io
… -
- Vai con le minacce – disse
Ginny - Ma sentilo, l’uomo coi calderoni e i controcalderoni
–
- Ridicolo. Andiamocene, Gin –
- Già, tanto sono così maturi che
tra poco finiranno da qualche parte a misurarsi la bacchetta magica -
Mentre le due ragazze si allontanavano
lungo il corridoio, il piccolo professor Vitious e Piton stavano
cercando di
decidere cosa farne del Molliccio.
Hermione aveva sentito, di
sfuggita, che per il momento intendevano lasciarlo nel bagno
– opportunamente
segnalato - per vedere se poteva tornare utile in futuro, magari per
tenere
qualche lezione. Stava pensando che poteva trattarsi di una buona idea,
quando
una mano le afferrò il braccio, costringendola a fermarsi.
Era Draco. Ginny proseguì, con
discrezione, lasciandoli soli.
- Hai finito di dare sfoggio di
intelligenza? – sbottò Hermione.
Lui la guardò, indispettito – Non
sono stato io a cominciare –
La sua faccia tosta era
addirittura scandalosa – Come
non sei
stato tu a cominciare? E chi ha nominato per primo i Dissennatori?
–
- Beh – non si chiamava Draco
Malfoy senza un motivo, in fondo, - Lui non era certo obbligato a
rispondermi,
no? -
Hermione alzò le mani al cielo
per non stringergliele intorno a collo, poi gli voltò le
spalle e ricominciò a
percorrere il corridoio a passo marziale.
- Dove stai andando? – fece lui, in
tono decisamente contrariato, standole dietro senza nessuna
difficoltà.
- A fare quello che tu dovresti
fare. Invece di metterti a
litigare a bella posta per delle stupidaggini –
esclamò lei, infuriata,
fermandosi e puntandogli un dito contro il petto – Vado a
recuperare uno dei
tuoi e lo riporto vicino al dormitorio di Slytherin –
- Ma di chi parli? –
- Di Hartemius Rosier, l’ho
lasciato in un corridoio qui vicino ed è rimasto al freddo
tutta la notte! –
- Aspetta un attimo –
Mentre lei si voltava per
andarsene, Draco le afferrò il polso, costringendola a
girarsi di nuovo. Lo
sguardo con cui ricambiò quello di lui aveva la
perentorietà di un ordine che
non andava disatteso.
- Lasciami andare, dopo parleremo
-
Draco Malfoy socchiuse gli occhi
e il suo volto perse immediatamente ogni espressione, tuttavia non
accennò a
recepire il tono di avvertimento nelle sue parole. Al contrario, la
stretta
intorno al suo polso aveva la gentilezza che soltanto lui sapeva dare a
una
minaccia: le aveva messo in chiaro più di una volta che non
avrebbe preso
ordini da lei e provocarlo su quel punto poteva portare a una serie di
conseguenze, non tutte piacevoli.
Inciampare in uno scontro di
volontà era inevitabile, per quanto accuratamente potessero
cercare di
evitarlo. Ancora si giravano intorno, circospetti, emozioni e coltelli
in mezzo
ai denti, fiere costrette a condividere lo stesso territorio: ogni
giorno era
conquistare e perdere un palmo di terreno.
Hermione strappò il polso dalla
sua presa e gli voltò le spalle.
Draco fece per inseguirla, ma una
voce dal timbro profondo e tetro lo fermò.
- Rosier, ha detto? -
Malfoy si voltò, incredulo,
riconoscendo a stento quella voce. In sette anni, forse era la terza
volta che
sentiva parlare il Barone Sanguinario.
Rimase ad ascoltarlo a lungo, nel
corridoio che andava lentamente sgombrandosi, mentre Vitious e la McGranitt
mettevano una
segnalazione di stelline rosse intorno alla porta del bagno delle
ragazze.
Infine, comprese che doveva andare a cercare Hermione.
***
If I'm so wrong
How
can you listen all
night long?
My Chemical Romance, Disenchanted
- Sapevo che saremmo arrivati a
questo punto -
La voce aveva una freddezza che
si avvicinava più alla noia che non alla collera e questo
faceva male.
Ma lui sapeva benissimo a che
cosa andava incontro: il dolore a distanza di sicurezza e maledizione a
Potter
che lo aveva costretto a pensarci.
- Vorrei sapere che cosa speri di
ottenere, tutte le volte, quando litighi coi miei amici. Desideri per
caso che
io prenda una posizione? -
Una vena di disprezzo, di quelle
da recidere con una lama e poi cauterizzare.
Lui non rispose, si limitò a
guardare i raggi del sole che piovevano dalla finestra direttamente sui
suoi
capelli castani, lasciando striature di miele scuro, dolci come quelle
che lei
aveva negli occhi.
Ma non in quel momento; adesso i
suoi occhi erano duri e freddi.
Non ripose, non avrebbe detto una
parola, era lì per ascoltare ed era l’unica cosa
che avrebbe fatto.
Attaccato al metaforico tronco di
un albero, avrebbe atteso che le frecce gli si conficcassero nella
carne,
convergendo lentamente verso i punti vitali, fino a che
l’ultima non gli
avrebbe trafitto l’anima.
- Ma non è soltanto questo. Posso
sapere che cosa stavi per fare quando stavamo affrontando quello che
credevamo
un malato di mente? -
Lei si voltò, la furia fredda sul
suo volto era pietra contro cui avrebbe voluto infrangere una carezza.
- Una Maledizione senza Perdono? E’
con l’assassinio che ti hanno insegnato a reagire? Avresti
torturato o ucciso
uno sconosciuto, senza nemmeno valutare le circostanze, soltanto
perché non sai
come gestire una situazione? Forse l’avresti fatto per me? -
Lui attese, sapeva che quello era
soltanto l’inizio.
- E’ questo che hai tu da offrirmi?
-
Sì, era questo.
Senza Perdono né sconti sulla pena,
e quella era una promessa: una
prigione che avrebbe avuto le sbarre più tenaci che fosse
riuscito a costruirle
intorno.
Poi le sevizie delle emozioni e dei sogni.
Avrebbe salvaguardato ciò che era
suo a qualsiasi costo e, per Dio, lei
era sua.
- E che altro? Il tuo nome è
rovinato, la tua reputazione non esiste più, se mai ne hai
avuta una. Perché
credi che abbia cercato di condurre la nostra storia con più
discrezione
possibile? Non capisci che il tuo comportamento mi mette in imbarazzo?
Ron mi
ha sempre offerto rispettabilità, invece -
C’era disprezzo nelle sue parole
e da qualche parte, vicino alle costole, lui sentì la prima
fitta. I polsi e la
gola - sentieri di vene che stabilivano
quale sangue dovesse prendere la via del cuore e quale sangue, nero e
sporco e
usato, dovesse essere gettato via - gli dolevano
già da un pezzo, dal
momento in cui aveva incrociato i suoi occhi a aveva letto quello che
era
andato a cercarvi.
- E’ stato tutto un errore -
Adesso lei aveva distolto lo
sguardo e fissava il vuoto, come se anche il solo guardarlo le
provocasse un
fastidio intollerabile.
- Non si può semplicemente dire
che siamo diversi. Tu rappresenti tutto quello che io odio e disprezzo
a questo
mondo. Siamo onesti, Malfoy, tu sei un intollerante, un arrogante che
non può
nemmeno permettersi di esserlo. Sei cresciuto con una
mentalità così gretta e
meschina che soltanto ascoltare le tue parole mi disturba -
Un’altra pausa, un’altra fitta,
questa volta vicino al diaframma.
- E poi, diciamocelo, Malfoy –
lei si voltò di nuovo a guardarlo e adesso al suo posto
c’era una ragazzina con
i denti troppo grossi placcati di pezzetti di metallo – Tu
ricordi che cosa mi
hai fatto per tutti questi anni? Gli insulti, le umiliazioni; quando mi
hai
trattata come se non fossi nemmeno degna essere uno straccio con cui
pulirti le
scarpe? -
Lui chinò il capo.
- Tu, al mio posto, avresti
dimenticato? -
No, sapeva benissimo che non
sarebbe mai stato capace di dimenticarlo o di perdonare. Doveva
dargliene atto:
nessuno poteva obbligarla a farlo.
- C’è dell’altro – riprese
lei.
Questa volta quella nota che si
addolciva nella sua voce, l’espressione trasognata che le
colse sul viso di
giovane donna, prima che lei chiudesse gli occhi come per trattenere
un’immagine troppo dolce che rischiava di fuggire via, gli
annunciarono la
freccia più dolorosa, quella avvelenata.
- E’ …è Harry –
sussurrò lei, e
il suo tono aveva una tenerezza che faceva più male di un
coltello
incandescente conficcato nella carne - Lo sai bene anche tu. In fondo,
lo hai
sempre saputo -
Le sue guance erano imporporate,
di quel rossore adorato che aveva creduto soltanto le sue carezze
potessero
accendere.
E’ Harry, in fondo, lo hai sempre
saputo.
Era così che gli sarebbe apparsa
al momento di perderla? Cosparsa dell’oro intenso di un
autunno dalla bellezza
infinita?
Dolorosamente bella e distante, la
combattente senza paura alcuna e l’innamorata fedele; il
ricordo della ragazza dolce
e dell’amante arrendevole.
La guardò e ruppe il voto di
silenzio che si era imposto.
Nessuna agonia o dibattersi nel
dubbio: in quel caso, almeno, conosceva la risposta.
- Io amo te – disse, con
semplicità.
Gli occhi di lei erano bronzo e
lava fredda.
- Non me ne importa niente -
L’ultima freccia, quella che
trapassava l’anima.
Lui sollevò la bacchetta e la
fissò per un ultimo istante.
- Riddikulus
–
***
You open my heart with a sapphire skeleton key
I
ache to taste your breath on my skin
Say
you love me
Darling
Violetta, Say
you love me
- Proprio te cercavo! -
Dalla fila di alte finestre a
feritoia entrava tanta di quella luce che lei fu costretta a ripararsi
gli
occhi con una mano.
In alto, dietro i vetri piombati,
nuvole grigio chiaro, unica memoria della tempesta notturna, correvano
disperdendosi
su un cielo di smalto azzurro, limpido e caldo sullo sfondo di alberi
dalle
foglie d’oro e di rubino e di bronzo, che ancora stillavano
acqua piovana,
frusciando dolcemente nel vento.
Draco non le rispose, ma lo vide
accelerare il passo. Lei si fermò, meravigliata, guardandolo
correrle incontro;
quando fu a un passo da lei, sollevò le braccia e le
spalancò.
- Draco? -
Lei gli passò le braccia intorno
alla vita, mentre l’impeto del suo abbraccio la sollevava un
poco da terra. Gli
appoggiò la guancia al petto e ricambiò con
uguale slancio quella stretta
appassionata di cui non conosceva né arrivava a intuire il
motivo. Sentì la sua
mano sulla nuca, poi sulle spalle e di nuovo sulla testa, trai capelli.
Lo
sentì deglutire a fatica e, alzando lo sguardo, vide che
aveva gli occhi chiusi
e l’espressione assorta, a stento controllata, quasi temesse
i fiumi di parole
che avrebbero potuto rompere gli argini e colargli sul viso.
- Ti stavo cercando – gli ripeté,
mentre lui abbassava il viso verso il suo – Quel ragazzino
della tua Casa deve
essere tornato al vostro dormitorio, visto che non riesco a trovarlo.
Ti
dispiacerebbe andare a recuperare il mio mantello? Stanotte…
-
Silenzio e oro.
Il sole era così dolce e forte da
intorpidire, sidro caldo e miele che cadeva giù dal cielo in
un torrente
accecante che le appesantiva le palpebre costringendola a chiudere gli
occhi.
Lei poteva sentirlo pioverle
addosso, dappertutto; coprirla e accarezzarle la pelle delle braccia
che stringeva
intorno al collo di lui, il viso arrossato, e poi scorrerle veloce
dentro le
vene. Era polvere di seta trai capelli che erano raggi pallidi sotto le
sue
dita, sulle labbra e nel bacio che lei stava ricambiando con tutto
quello che
aveva da dare.
I suoi baci erano un silenzio
infinito che copriva il rumore del mondo.
- Che cosa ti succede? – gli
sussurrò sulle labbra.
Lui aveva il respiro leggermente
affannoso e gli occhi chiusi, ancora disperso lungo le strade assolate
dove
aveva voluto condurla. Quando li riaprì e la
guardò, lei pensò che la pioggia
all’alba doveva avere la stessa purezza.
Gli prese una mano e se la portò
al viso: era fredda e docile tra le sue dita. Se la fece scivolare tra
il collo
e la spalla, dove la pelle era più calda, coprendola con la
propria e
premendola contro di sé per scaldarla.
- Quando hai le mani così fredde
sei sempre nervoso – continuò - Non hai fatto
qualcosa di stupido, vero? -
Lui inarcò un sopraciglio, poi
scosse il capo – No. Almeno, non che io sappia –
Hermione gli restituì lo sguardo, poco
convinta.
- Avevi detto che volevi parlarmi
-
Parole formali e tono
circospetto; l’espressione del ragazzo adesso era neutra, gli
occhi però avevano
un scintillio febbrile.
Hermione piegò ancora la testa
verso la spalla, premendo la guancia contro la mano appena tiepida e
immota ancora
posata sul suo collo. Lo osservò, le avvisaglie
d’ansia che cercava di
nascondere, le tracce di stanchezza sotto gli occhi, dove la il pallore
della
carnagione cedeva a una sfumatura d’ombra, attraente richiamo
alla trasparenza
degli occhi e alle ciglia scurissime.
- Riguardo quello che è successo
di sopra – esordì lei, lentamente –
Quando era chiaro che la situazione si
stava complicando… -
Il braccio che le teneva intorno
alla vita si irrigidì di riflesso. La tensione che emanava
dal corpo del
ragazzo era percettibile e lei penso che l’avrebbe sentita
addosso anche se non
fossero stati abbracciati.
- Sarebbe stupido da parte mia cercare
di giudicare quello che può passare per la testa di una
persona, quando è sotto
pressione e sente il pericolo. Ma esistono sono soluzioni meno
drastiche, non…
irreversibili – sceglieva accuratamente le parole e il tono
che stava usando
era gentile e uniforme. Eppure lo sguardo di lui si faceva sempre
più
diffidente, la piega vicino alla sua bocca aveva qualcosa di amaro.
Lei la toccò con la punta di un
dito, fino a che non vide la tensione cedere alla carezza leggera e
allora alzò
di nuovo gli occhi nei suoi.
- Non rendermi le cose troppo
difficili – concluse.
Non c’era bisogno di aggiungere
altro, non quando lei aveva ancora la mano sul suo viso e gli occhi
scuri
avevano screziature di bronzo dorato, profonde e dolci, mentre
trattenevano con
fermezza i suoi.
- Eviterò di metterti di fronte
cose che non puoi tollerare -
Compromesso.
Non il primo, nemmeno l’ultimo.
Le spalle di lui parvero
rilasciarsi di colpo, curvarsi come se il peso della stanchezza che
portava
addosso si fosse assestato diversamente, obbligandolo a cercare un
nuovo
equilibrio. L’istante successivo era tornato normale, il
braccio che le
circondava la vita la teneva senza imprigionarla, i lineamenti del suo
viso
sembravano aver perso rigidità e distacco.
- Draco devi andare a dormire –
gli disse, preoccupata - Abbiamo tutti bisogno di riposare -
Malfoy crollò il capo e prima che
lei cominciasse con le domande, disse – Vieni, con me, devo
portarti in un
posto –
Incurante delle sue proteste la
condusse al terzo piano e si tirò di lato, educatamente, per
invitarla a
entrare, quando giunsero a destinazione.
And
I hope that you'll know
That
nature is so
This
same rain that draws you near me
Falls
on rivers and land
And
forests and sand
Makes
the beautiful world that you see
In
the morning
- La
Sala dei Trofei? – domandò
Hermione, entrando da una delle doppie porte –
Perché siamo venuti qui? -
Senza una parola lui la condusse
verso una bacheca di cristallo, scintillate di targhe e piastre e
medaglie
d’oro e d’argento, nella luce quieta della mattina
autunnale.
La sala dei Trofei dava sempre
quella sensazione di sospensione temporale, come trovarsi
contemporaneamente in
più epoche di Hogwarts, dove non c’erano adulti
né morti, e il tempo era il
medesimo per tutti coloro di cui era serbata traccia e memoria, tra le
coppe e
le statue, i trofei e gli albi. Fotografie e iscrizioni che congelavano
un’intera
esistenza in suo frammento, consegnandolo, per sempre, a una memoria
infinita.
La targa nella bacheca davanti ai
suoi occhi, quella ai cui piedi giaceva il suo mantello ripiegato,
recava
inciso il nome di Hartemius Rosier, primo anno Slytherin, vincitore di
un
torneo di Scacchi Magici, datato 1976, più di
vent’anni prima.
Una notte di ottobre, durante uno
dei peggiori temporali che Hogwarts potesse ricordare, Rosier era
uscito dal
suo dormitorio per seguire e osservare i Capiscuola. Lo faceva sempre,
anche di
nascosto, era sempre alle loro calcagna, senza curarsi di dare
fastidio. Da
bravo carattere Slytherin, aveva molta ambizione e voleva arrivare ad
avere
quel distintivo sulla sua divisa, un giorno: essere
l’autorità all’interno
della sua Casa e della scuola, la sua volontà seconda solo a
quella dei
docenti.
La mattina seguente lo avevano
trovato ai piedi di una rampa di scale. Forse spaventato dal temporale,
aveva
messo un piede in fallo e cadendo aveva battuto la testa.
Di un’altra vita, che aveva incrociato
quella di Hartemius Rosier, c’era testimonianza su un albo
alla fine del quale
avrebbero trovato spazio, come nel suo gemello che si trovava nella
saletta dei
Capiscuola, anche lei e il ragazzo che la stava tenendo per mano.
La Caposcuola Mezzosangue, la fidanzata dell’altro Caposcuola,
quello antipatico e strafottente che
infastidisce sempre tutti.
Sotto l’anno 1976, l’albo dei
Capiscuola, in corrispondenza del blasone del Gryffindor, portava i
nomi di
Lily Evans e di James Potter.
Mi
chiamo Hartemius, Harry.
Harry.
L’oro delle targhe e lo
scintillio del cristallo si confusero davanti ai suoi occhi e lei
chinò il
capo, lasciando che i capelli le cadessero intorno al viso,
riparandolo. Rimase
immobile, le spalle rigide e i pugni contratti, cercando di assimilare
il
racconto del Barone Sanguinario e misurandolo con quello che lei stessa
aveva
sentito.
E’ lui che si chiama come me.
Occhi azzurri come cristalli,
così ironici sul visino da monello.
Dita bianche e rapide raccolsero
le lacrime che avevano cominciato a scenderle dagli occhi. Una mano
sulla sua
schiena la guidò in un abbraccio che cancellò le
ultime tracce del suo ritegno
e la fece scoppiare in un pianto dirotto.
- Non c’è nulla da piangere –
disse, esasperato, Draco Malfoy – E’ già
morto! E’ successo vent’anni fa! –
A lui, per la verità, sembrava
un’affermazione piena di buon senso, ma lei non doveva
pensarla allo stesso
modo perché emise un verso di protesta e pianse ancora
più forte. Malfoy
sospirò e scosse il capo, tenendola contro di sé
e sperando che non arrivasse
nessuno: se qualcuno li avesse visti, come minimo avrebbe pensato che
lei stava
piangendo per colpa sua.
Come si faceva smettere di
piangere una ragazza?
Con la Maledizione Imperius?
Purtroppo era pronto a
scommettere che lei l’avrebbe considerata una soluzione
troppo drastica, di quelle che gli
aveva
suggerito, con tatto, di evitare.
- E’ uno spirito che vive a
Hogwarts: lo rivedrai – disse, quasi a caso, poi si accorse,
con stupore, che lei
si calmava un poco, così le appoggiò il mento sui
capelli e aggiunse – Devi
solo aspettare la prossima notte buia e tempestosa -
Everything's
fine in the morning
The
rain will be gone in the morning
But
I'll still be here in the morning
Vienna
Teng, Lullabye for a
Stormy Night
Fine
“Era una notte che faceva spavento,
veramente scantusa”
Andrea Camilleri, Il Birraio di Preston
*
“Era una notte buia e
tempestosa”
Snoopy di
Charles Schulz
*
It was a dark
and stormy night; the rain fell
in torrents, except at occasional intervals, when it was checked by a
violent
gust of wind which swept up the streets (for it is in London that our
scene
lies), rattling along the housetops, and fiercely agitating the scanty
flame of
the lamps that struggled against the darkness.
Edward
Bulwer-Lytton, Paul Clifford.
*******************************************************************
E anche questa è terminata. Spero
vi sia piaciuta pure la seconda parte
^_^
Care fanciulle, e caro fanciullo,
naturalmente, per ora ci congediamo
di nuovo, speriamo per un tempo breve. Sto scrivendo un’altra
storia, la cui
sorte è attualmente nelle mani dei Fondatori (che vengono
tirati giù un giorno
sì e l’altro pure), se riesco a terminarla
decentemente la pubblicherò quanto
prima.
Questa storia è come sempre
dedicata alla mia Opalix, alla mia
Chiaretta e alla mia Euridice e questa volta, con tantissimi auguri di
buon
compleanno al tizio di Euridice che si chiama come Tiger. Auguri Pazzo
con
l’Ascia! Hai visto che ti ho fatto ben figurare?
Grazie a:
Janet Mourfaaill (ancora si sta tenendo Skate
Hell! ^.^), Maty e Fex,
ovviamente Pacey il Lupo Mannaro (consigliami sempre caldamente di
cancellare
certe diciture terrificanti, adesso dici
“improcrastinabile”), Wherena
(arrivata la mia e-mail? Ancora grazie), Lady Eowyn, Sakura_Kinomoto,
pippimag,
Opalix (evviva Max!), quella raffinata (mica tanto, in ultima
analisi!), Emily
Doe (impari anche a cucinare il sushi?), Claheaven (il Boss
è Gryffindor???) , Briseide
(ciao!! Grazie ^^), Merryluna (vero! Quella dell’arsenico per
tingere di verde
la carta da parati ^^), White_Tifa, Julietta (ehi!! ^_^), Bea_chan e
sorella
(siete voi le sorelline Black, vero? Un bacio), Kit_05 (e chi se le
dimentica
le cinque-sei pagine? ^.^ Lavanda inserita!), Chiaras, Venus (un bacio
anche a
te!), Vanessa (aggiornato a distanza di una settimana come al solito,
ho fatto
abbastanza presto, no? ^^), Carol87(ma ciao!! Che bello rivederti
qui!), nevr8ika
(carina che sei sempre, grazie), Valermione, Mica26 (sinceramente e
umilmente
grazie: il più bel complimento che chiunque ami scrivere si
possa mai sentire
rivolgere), Bad_Devil, Lunachan62, SweetSin, Lady Tsepesh (magari Zeus
mi rende
meno sconclusionata :DD), Minami 77 (il tizio del videonoleggio ha
guardato
anche te con aria di commiserazione?:D), Eleni (mi hai fatto ridere
un’ora
buona, tu sei matta!!), Mya, ranokkia, Silvereye (abbastanza in fretta
da non
dover ricorrere alla minacce? ^^), Ilaria_Davita (che mi ha fatto fare
il
pianterello arrivata l’e-mail? L’altra matta sta
bene?), Contessa (grazie davvero!),
JulyChan (ma ciao bella! Ancora per il seguito di OS non so, ho una
mezza idea
per una storiella non troppo lunga, ma prima ne devo finire
un’altra ^.^’, poi
vediamo…), Raod Kamelot, Jacklin (grazie!), MCat (arrivata
la mia e-mail con le
informazioni che mi chiedevi? In caso contrario te la rimando ^^), Xe
(per il
seguito di OS ancora ho solo un’ideuzza, per la
verità sono troppo affezionata
a questi personaggi per lasciarli perdere del tutto, quindi quando
avrò finito
la storia che sto scrivendo, forse butto giù qualcosina ^^)
e Alewen.
Grazie a tutti!
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