Fighting for a dream.

di cyrusfiancee
(/viewuser.php?uid=185305)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** ~ Prologo ***
Capitolo 2: *** ~ Capitolo primo ***
Capitolo 3: *** ~ Capitolo secondo ***
Capitolo 4: *** ~ Capitolo terzo ***
Capitolo 5: *** ~ Capitolo quarto ***
Capitolo 6: *** ~ mum's chapter/capitolo quinto ***
Capitolo 7: *** ~ Capitolo sesto ***
Capitolo 8: *** ~ Justin's chapter/ Capitolo settimo ***
Capitolo 9: *** ~ Justin's chapter/ capitolo ottavo ***
Capitolo 10: *** ~ Capitolo nono ***
Capitolo 11: *** ~ Justin's chapter/ capitolo decimo ***
Capitolo 12: *** ~ Capitolo undicesimo ***
Capitolo 13: *** ~ Justin's chapter / Capitolo dodicesimo ***
Capitolo 14: *** ~ Capitolo tredicesimo ***
Capitolo 15: *** ~ Epilogo ***



Capitolo 1
*** ~ Prologo ***


                                                                                        Fighting for a dream
                                                                     - prologo
                                                                         

 













Le sue braccia cingevano il mio corpo, le sue mani sfioravano le mie gote arrossate e lentamente vidi il suo viso avvicinarsi al mio orecchio per un dolce sussuro: "Sei la mia one less lonely girl piccola, sono qui per farti sentire al sicuro, non piangere perché le tue lacrime oscurano il tuo meraviglioso fragile sorriso".
 
- - - - - -

 "Signorina Mary Jane Venturi pregherei che prestasse attenzione alla mia lezione invece di girovagare per il mondo con la sua immaginazione" mi rimproverò la professoressa Zafòn inducendo la classe in una fragorosa risata e in fragorosi schiamazzi accompagnati da "uhuhu la signorina Venturi sta sognando il suo amato Bieber", ma come sempre riuscì a mandar giù le lacrime e ritornai ad ascoltare l'interessante lezione di Spagnolo perdendomi nuovamente in quel meraviglioso quanto impossibile sogno. A fine lezione presi ordinatamente i miei libri e cercando di non farmi notare mi diressi verso l'uscita, ma come sempre non funzionò.
"Ehi signorina Venturi, dove scappi? Ah, hai ragione, oggi usciva il nuovo video musicale di Bieber, meglio che corri altrimenti lo perdi" mi provocò Vittorio, continuai dritta per la mia strada pensando che solo così sarei arrivata, almeno per un giorno, senza qualche livido a casa.
"Ehi ragazzina, ti ho detto di dirmi dove vai, per caso sei sorda?", feci finta di non sentire e proseguì verso l'uscita, ormai quasi in preda alle lacrime, quando una mano pesante mi scagliò contrò l'armadietto del corridoio. Mi ritrovai i suoi occhi davanti, occhi di ghiaccio ed iniziai a pregarlo di lasciarmi andare, senza nessun riscontro positivo. Mi diede uno schiaffo gettandomi a terra gemente, e intorno gli altri compagni si prendevano beffa di me. Mi alzai con tutta la forza che mi rimaneva in corpo ed evitando gli sguardi presi il telefono notando un nuovo messaggio; 
 
"What's up beliebers? I can tell you that I'm here for you, and I'll stay here forever. Never give up!"
 
Instintivamente sorrisi e come sempre ringraziai il cielo di appartenere a quella famiglia, di avere vicino a me a proteggermi sempre schierato in prima fila quel ragazzo dai capelli biondo cenere e gli occhi color caramello, così sentendomi più forte di prima presi le cuffie e iniziai ad immaginare un mondo dove nessuno ti potesse criticare per qualcosa che ti rende felice.
 
 
Arrivando a casa notai mamma sorridente che mi aspettava sull'uscio, così la raggiunsi velocemente: "Buon pomeriggio mamma, come mai tutta questa allegria?" cercai di nascondere il più possibile il graffio sulla guancia destra, "Ho una bella notizia per te, tesoro!" rispose mia madre. Non capendo a cosa potesse riferirsi la incitai a parlare, così finalmente iniziò: "Il tuo fidanzato verrà in Italia, precisamente a Roma, il diciotto novembre e tu hai già il biglietto!", incredula che tutto ciò potesse essere reale scivolai a terra e puntai lo sguardo verso il vuoto, un vuoto che sarebbe stato colmato esattamente una settimana dopo.

 
Forse era l'inizio del sogno.

























~ Spazio autrice;

                                               Eccomi tornata con una nuova ed entusiasmante *sicertocomeno* FF.  

Avendo cancellato l'altra perché rimasta con zero immaginazione ho deciso di dedicarmi a qualcosa di diverso, e questa volta, sarà corta ma concisa e probabilmente vi stupirà, perciò #staytune. 

           
                         Lasciatemi qualche piccolo pensiero che non fa mai male trololol. 


 


 ♪sbii




 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** ~ Capitolo primo ***


                                                                 Fighting for a dream
                                                                      - Capitolo primo












Il mio nome è Mary, Mary Jane Venturi, ma chiamatemi Jane, i miei capelli sono color del grano e i miei occhi verdi smeraldo. Sono nata il dieci agosto del 1996, dicono io sia una stella, una stella donata da dio, dicono che la notte del dieci agosto dio decida di scegliere una stella cadente e di darle la possibilità di portare luce al mondo, ma io non mi sono mai sentita speciale, tantomeno una stella. Provengo da un piccolo paesino del Montana dove la mattina a svegliarmi c’era il muggito di una mucca mentre da due anni, dopo il trasferimento in Italia, ciò che mi fa sobbalzare è il rumore di quegli insopportabili clacson.
La mia storia inizia da quel fatidico undici novembre, dal giorno in cui mia madre, accompagnata da quell’immancabile sorriso, mi si presentò davanti con in mano quel biglietto che mi avrebbe cambiato finalmente la vita, quel biglietto che recava scritto
«Justin Bieber / Olimpico – Roma/ 18•11•2012» 

- - - - - - -
Three years before;

Era un giorno qualunque di una giornata qualunque, ero appena tornata da una pesante giornata di scuola e mamma mi aveva appena dato la tragica notizia del nostro trasferimento in Italia, convinta che in quel momento tutto poteva solo peggiorare iniziai a cercare qualcosa che mi tirasse su di morale. Entrai su YouTube e tra i video consigliati notai un ragazzino con un sorriso smagliante, cliccai sul link della canzone e partì dalle casse un vocetta insicura, e a cantare c’era un nanetto con il suo cappellino e uno skateboard. Nei giorni successivi non riuscì a far altro che pensare a quella canzone, a quel ragazzino e a come aveva cambiato in meglio quella giornata dandole un sapore meno amaro. Una settimana dopo, quando arrivai in quella nuova e grande città dove la solitudine si faceva spazio nelle mie giornate, lui c’era, era lì a farmi compagnia, a donarmi sorrisi con tutti quei video e giorno dopo giorno imparai a conoscerlo meglio, rendendomi conto di ciò che stava diventando per me; la mia ancora di salvezza.

- - - - - - -

«It didn’t matter how many times I got knocked on the floor 
But you knew one day I would be standing tall 
Just look at me now» 

Il dodici novembre furono queste parole ad accompagnarmi a scuola, furono queste a darmi forza, e per una volta credetti di poter farcela, di poter davvero tornare a casa senza un graffio, credetti di potermi difendere da sola.

“Tutti ai propri posti ragazzi” il professore Martini richiamò l’attenzione di ognuno di noi e iniziammo così la nostra lezione di filosofia.
“Signorina Venturi, cosa crede lei dell’amore?” mi chiese il professore interrompendo i miei pensieri. “Professore, io penso che l’amore sia capace di distruggere qualsiasi ostacolo, sia capace di andare oltre la lontananza, e specialmente penso che non ci sia una spiegazione precisa per definire la parola amore ma che ognuno può definirla da sé” risposi decisa. “Signorina Venturi, questa risposta merita un bel più, complimenti Venturi”, come sempre ricevetti i soliti commenti acidi e le varie occhiate che in due anni non mi avevano mai lasciato per un giorno, ma mancava una settimana al momento più bello della mia vita e nessuno avrebbe distrutto la mia felicità.
Uscita in corridoio, per la ricreazione, mi diressi verso il giardino, mi adagiai per terra e appoggiai delicatamente la testa al muretto dietro di me, ascoltando il cinguettio degli uccelli, fin quando qualcosa, anzi qualcuno, mi interruppe:
“Ma ciao Venturi” disse con un tono poco garbato Vittorio, strinsi i pugni e cercai di non fare caso a lui. “Guardami bambinetta!” continuò lui. “Senti Vittorio, io non so perché tu ce l’abbia tanto con me, non so perché continui a torturarmi e non lo voglio sapere, so solo che sono stufa di te e di tutti, sono stufa di essere insultata e picchiata da quasi due anni per il semplice fatto che io possa amare qualcuno che voi odiate, con tutta me stessa, perciò ti chiedo di smetterla” per la prima volta in vita mia risposi alle sue provocazioni, per la prima volta non ebbi paura. La sua faccia divenne rosso fuoco, mi prese dalla camicetta a fiori, che quella mattina scelsi con cura, e mi sferrò un pugno nello sterno facendomi urlare dal dolore. “Ehi tu, smettila di toccarla!” una voce alle nostre spalle a me sconosciuta si intromesse. “Aaah, tu sei quello nuovo, cosa c’è? Vuoi fare il damerino? Hai sbagliato, lei non è roba per te, non è roba per nessuno!” ghignò Vittorio. “Che non mi piaccia è naturale. Sono omosessuale, non sono attratto a prescindere dalle ragazze” ribatté sicuro di sé il nuovo arrivato. “Bene, quindi a scuola non abbiamo più solo la belieber idiota, ma anche il frocietto di turno” Vittorio mi gettò per terra e iniziò a sghignazzare compiaciuto. Il mio ‘salvatore’ venne verso di noi, sferrò un calcio negli stinchi al mio solito aggressore, e continuò con vari pugni sul viso, quando Vittorio fu finalmente a terra, il ragazzo lo guardò: “Mai credere che un gay non possa farti del male, perché, per esempio, io faccio box dall’età di sei anni!”, mi sollevò da terra e potei così vedere i suoi occhi castani, i suoi capelli rossi e le lentiggini che gli solcavano il viso. “Piacere, io sono Andrea, ti posso offrire un gelato?” e mostrò il suo sorriso più luminoso di mille stelle insieme.















~ Spazio Autore;


Ma buoooon salve gente, eccomi qui che aggiorno perché non riesco ad aspettare dhsgvjfdshb, volevo farvi leggere subito il primo capitolo per vedere cosa ne pensate! Il prologo ha ricevuto cento visite, e certo, c'è gente che con un prologo ne raggiunge 2676127 ma sono fiera di me, perché ci metto il cuore e anche se solo poche persone leggono so che sono pochi ma buoni, e poi si può sempre migliorare v.v

Con ciò vi lascio alla vostra vita e io ritorno alla mia a guardare un film con zachy efron *o*  


♪ sbii

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** ~ Capitolo secondo ***


                                                           Fighting for a dream.
                                                             - Capitolo secondo









Portai Andrea in una delle mie gelaterie preferite di Roma, entrammo e ci sedemmo sotto il quadro, posto in fondo a destra, recante due donne per mano. Era il mio solito posto, e io sono una da cose abituali, non cambio facilmente e non mi piace farlo.
“Per me un cono fragola e panna, per favore”
ordinai alla cameriera.  “Anche per me, grazie” disse Andrea, così la signorina ci lasciò nuovamente soli andando via con le nostre ordinazioni. “Allora Andrea, da quanto tempo vivi a Roma?” chiesi mentre giocherellavo con un filo della mia camicetta. “Mi sono appena trasferito da Torino, ho dovuto lasciare tutti, compreso il mio ragazzo.” mi rispose con un tono pacato e uno sguardo d’amarezza. “Mi dispiace, io mi sono trasferita tre anni fa da un paesino del Montana, lì era tutto diverso, avevo i miei cari amici e nessuno se la prendeva con me. Qui invece, da quando tutti sanno che sono una belieber, vengo presa di mira ogni giorno”. Sporse la sua mano, toccò delicatamente la mia e con una luce negli occhi disse “Potremmo aiutarci a vicenda, io ti difenderò da chiunque proverà a toccarti, mentre tu mi aiuterai con i compiti!”. “Affare fatto” e ci stringemmo la mano.
Passammo il resto del pomeriggio parlando senza peli sulla lingua, e mi divertì parecchio con la sua compagnia, poi verso le sette mi riaccompagnò a casa in moto.

“Mamma sono tornata!” gridai entrando in casa.
“Vieni a darmi una mano a stendere i panni?” chiese la mamma. Andai in camera, poggiai lo zaino e la raggiunsi in giardino. “Allora com’è andata la giornata?” mi domandò. “Bene, davvero bene. Ho conosciuto un ragazzo, si chiama Andrea e siamo andati a prendere un gelato, sembra uno ok, e mi ha chiesto di aiutarlo a scuola” raccontai alla mamma. “Mmmmh, è carino?” ammiccò lei. “Mamma, è gay” scoppiai in una risata rumorosa e lei con me.
Dopo cena decisi di  vedere il mio film preferito; Never say never, scoppiando a piangere, puntualmente, quando quella fortunata ragazza salì su quella maledettissima e perfetta sedia.


- - - - - -

Justin avvicinò le sue labbra alle mie, sfiorandole con delicatezza, poi mi rivolse uno sguardo d’intesa e subito capimmo che quello era il momento, era il momento adatto per lasciarsi andare e per lasciar andare via ogni tipo di problema o frustrazione. Mi accarezzò i capelli e dopo di che iniziò a torturarmi il labbro inferiore, sapendo di farmi impazzire. Feci scivolare la mia mano sotto la sua maglietta accarezzandogli la schiena, afferrai la maglietta e la gettai affianco. “Sei pronta?” sussurrò nel mio orecchio. “Sono nata pronta per questo, sono nata per essere tua Justin” gli dissi. Mi prese in braccio e mi trascinò verso il letto e……

- - - - - -


‘Di Di’
 La sveglia interruppe il mio meraviglioso sogno, un sogno irrealizzabile forse ma che riusciva a farmi vivere ogni giorno. Mi infilai un paio di jeans a vita alta, una maglietta di seta rossa e le mie immancabili vans nere, presi in spalla lo zaino, scesi in cucina, afferrai la mia colazione e corsi in strada.

“Buongiorno cara”, dietro di me si fermò Andrea insieme alla sua vespa azzurra. “Ehi buongiorno Andrea! Tutto bene?” risposi sorridente, in fondo mancavano solo sei giorni. “Bene, certo se non fossimo in ritardo probabilmente andrebbe meglio, dai sali che ti do un passaggio!” e Andrea mi porse la mano. Salì sulla moto e insieme andammo a scuola. In banco ci mettemmo vicini e per una volta, dopo due anni, non mi sentì così sola.

Durante l’intervallo andai in bagno e dissi ad Andrea di aspettarmi fuori in giardino.
“Ehi bella” Vittorio, come sempre mi si presentò davanti. “Togliti di mezzo idiota” risposi decisa. “Come mi hai chiamato?” mi rivolse uno sguardo di sfida che io decisi di reggere e accettare. “Idiota, idiota, idiota e infine idiota. Ora spostati!” schiarì con una voce decisa che mai prima di allora mi era appartenuta. Caricò col braccio, pronto a sferrarmi un pugno, chiusi gli occhi e l’unica cosa che sentì, invece del dolore, furono i gemiti di Vittorio, così aprì gli occhi e lo ritrovai a contorcersi dal dolore per terra, con accanto Andrea che lo guardava soddisfatto. “Toccala ancora e hai davvero finito di vivere!” gli ringhiò Andrea. Mi prese per mano e insieme tornammo in classe a mangiare la nostra merenda, e a chiacchierare del più e del meno. Mi sentivo davvero sicura, sicura di me stessa.

Arrivata a casa presi la posta e trovai, con un misto di stupore, una lettera di mio padre;

“Cara Jane,
Non ho abbastanza parole per dirti quanto io sia dispiaciuto, non ho abbastanza parole per farti sapere quanto mi manchi e queste mi mancano per il semplice fatto che non ti sono vicino. Sono stato un codardo, e me ne rendo conto solo ora, solo dopo essermene andato da quella casa impregnata di odio tra me e tua madre. Non perdonerò mai il mio gesto, ma non potrò mai neanche perdonare quello di tua madre, non potrò mai dimenticare quel giorno in cui entrando a casa la trovai per l’ennesima volta per terra a bere quella bottiglia di vodka, mentre tu eri in quel campeggio a divertirti. Quando sei tornata non mi hai più trovato e non hai chiesto spiegazioni, sapevi che entrambi avevamo commesso errori e sono sicuro che tua mamma adesso ha smesso ma non sono pronto a tornare.
Sono qui per chiedere a te invece, di venire in vacanza da me, per le vacanze di Natale potrei trovarti un posticino qui ad Atlanta, c’è una stanzetta rosa che ti aspetta, c’è il tuo papà che ti ama!
Dentro questa busta c’è il tuo biglietto aereo, e so che non risponderai, ma il venti dicembre io sarò in aeroporto ad aspettarti, in qualunque caso.
Ti amo, il tuo papà”


Finì di leggere asciugandomi le lacrime che in quel momento si erano impossessate del mio viso, finì di leggere e sorrisi felice al cielo, in quel giardino dove anni prima io e mio padre avevamo piantato quelle rose, ormai, appassite nel corso dell’ultimo anno, quelle che nessuno aveva deciso di innaffiare perché riportavano alla mente aspri ricordi, che sia io che la mamma volevamo cancellare. Ora lui era tornato e mi voleva con sé, voleva ricominciare a prendersi cura di me, ad accarezzarmi e ad imboccarmi le coperte prima di andare a letto, e tutto questo lo voleva fare nella città dei miei sogni, in quella dove il mio idolo trascorreva parte dei suoi giorni.



















~ Spazio Autrice;


Cuuuuuuuzzzz allll I neeeeed is Beaaauty and a BEAAAAAAT! *momentodisclero*

*ritornaseria* Buon salve care amiche, come vi butta? Sono già tornata con un nuovissimo e fresco capitolo schimbaaalaaayeee *gentefelicechesigettadaibalconi*, leggete, recensite e amatemi lol.

A preeeeestissimo bedduzzine mie. 



sbii

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** ~ Capitolo terzo ***


                                                               Fighting for a dream
                                                                     - Capitolo terzo











Passai la notte progettando un modo chiaro e conciso per dire a mia madre della lettera di mio padre. Sapevo che non ne sarebbe stata contenta, sapevo che me l’avrebbe proibito, ma che io avrei lottato per passare anche solo dieci giorni con lui.
Alle sette quando la sveglia suonò, indossai un jeans nero e una felpa marrone, scesi in cucina e mi sedetti per la colazione.

“Buongiorno mamma, ti devo parlare” iniziai a dirle. “Dimmi pure Jane” mi schioccò un bacio sulla fronte e mostrò il suo solito sorriso mattutino. “Papà mi ha inviato una lettera e vuole che io lo vada a trovare ad Atlanta tra un mese. So che mi dirai di no, so che sei ancora arrabbiata con lui, ma io ho bisogno di lui, di tornare in America e poi è ad Atlanta e tu sai bene chi abita là” dissi tutto d’un fiato. “Va bene Jane, va pure, non posso fermarti, lui è tuo padre” mi prese tra le sue braccia e mi strinse a sé. “Grazie mamma, davvero. Solo cinque giorni, solo cinque giorni mamma!” le baciai la guancia e mi diressi verso scuola.

Fermo davanti al cancello c’era ad aspettarmi il mio nuovo amico, che mi strizzò un occhio e insieme, come ormai succedeva da due giorni entrammo a scuola e passammo insieme anche quella giornata.


“Hai voglia di andare a fare un po’ di shopping? Devi scegliere qualcosa per il concerto, e devi preparare la valigia, manca meno di un mese alla tua partenza” mi propose Andrea. “Volentieri, ho un po’ di soldi da parte, andiamo al centro commerciale qua dietro?” accettai la sua proposta. “Allora andiamo”, ci alzammo dal letto che ci aveva fatto compagnia nelle due ore di studio e in moto andammo al centro commerciale. Comprai così tanti vestiti da poter stare via un mese, tornai a casa alle nove di sera e mi diressi subito a letto.

- - - - - -
“Justin non è divertente!” ormai sfinita dalle risate da tutte le squallide battute che aveva rifilato nelle ultime due ore. “Eppure continui a ridere Jane” sorrise dolcemente. “Rido perché altrimenti ti arrabbi, ma credimi che fai delle battute indecenti” gli diedi una leggera spinta così da farlo cadere dal letto. “Ehi mi hai fatto male, ahia ahia, il mio sedere” si lamentò lui. “Ma cosa? Hai fatto tutto da solo, io ti ho spinto e tu sei caduto, se sei una persona incapace non è colpa mia!” continuai a rotolarmi dal ridere. Si mise in piedi al centro del letto, proprio accanto a me, e iniziò a saltellare come un bambino. “Sta fermo, che così mi viene il mal di mare idiota!” gli urlai. “Hahaha, dovresti vedere la tua faccia, che succede Jane, hai visto un fantasma? Hahaha, non mi vomitare in faccia, sono troppo bello, mi rovineresti il viso!” scherzò Justin. “Aaaah, quindi nessuno ti ha ancora vomitato in faccia? Perché il tuo viso è già rovinato!” risposi ridendo. Smise di saltare, si mise a carponi sopra di me e iniziò a baciarmi l’incavo del collo, per poi salire fino alle labbra. Era sempre la stessa emozione, ogni volta che mi baciava, tutto il mondo attorno scompariva ed io mi lasciavo cullare dalle sue labbra, dalle sue mani che pian piano mi sfioravano il corpo. Sentì il suo corpo aderire sempre di più al mio, capì che i vestiti in quel momento erano lì solo per evitare l’incontro del nostro amore, ma questo incontro entrambi lo desideravamo con tutto il cuore. Slacciò i miei jeans, che con un abile mossa finirono per terra, e lo stesso fece con la maglia, poi iniziò a torturarmi il collo lasciandomi piccoli succhiotti, ritornò al suo intento e delicatamente fece scivolare via il mio reggiseno, si avvicinò ai miei slip e……

- - - - - -


“Jane svegliati, Jane, smettila di sognare, svegliaaaati!” a svegliarmi questa volta fu l’urlo di Andrea. “Andrea però, ero nel più bello del mio sogno e tu che fai? Mi svegli, che senso ha?” risposi arrabbiata. “Forse perché è tardi e oggi abbiamo l’escursione in montagna!” mi porse la mano, mi alzai dal letto e velocemente scivolai in doccia, indossai una tuta bianca e nera e insieme ci dirigemmo verso il pullman della nostra classe. Prendemmo posto in fondo a destra e insieme iniziammo ad ascoltare dal mio ipod, la voce dell’uomo che ogni notte popolava i miei sogni.
Arrivammo in cima alla montagna alle undici e mezza, decidemmo di girare un po’ per il paesino, comprammo i soliti souvenir per la famiglia e andammo a mangiare un panino al McDonald.

“Smettila di insultare Justin, imbecille” sentì urlare una ragazza dietro di me, così mi girai di scatto ad osservare la scena. “E’ uno schifoso bambinetto, dovete smetterla, siete tutte delle malate” prese quella ragazza dai capelli rossi e gli occhi azzurri, da un braccio, l’avvicinò a sé pronto a scaraventarla a terra. Incapace di stare lì a guardare mi avvicinai “Smettila subito, o chiamo la polizia, mettila subito giù, non ti ha fatto niente!” gli urlai contro. “Ascolta Justin Bieber, è già abbastanza, deve morire anche solo per questo, è una stupida bambina!” mi ringhiò quel ragazzo. Vidi la ragazza quasi affogare tra le sue lacrime, pensai a tutte le volte in cui io subii quei trattamenti, pensai a quante volte dovetti sopportare tutto quell’odio e quel dolore, pensai che ogni belieber meriti il meglio quando invece riceve sempre il peggio. “Lasciala, sto per chiamare la polizia, lasciala stare, ascolta Justin e allora? Se tu fossi così furbo e maturo la lasceresti in pace, se tu solo potessi capire l’amore che si prova la lasceresti in pace!” sperai che mi ascoltasse e che non si accanisse anche nei miei confronti. Lasciò la presa, andò via correndo lasciandoci sole.
“Grazie davvero” mi sorrise flebilmente quella ragazza.
“Figurati, io sono Jane” le porsi la mia mano.
“Hai un nome bellissimo, non sei italiana vero? L’ho capito dal tuo accento” mi chiese.
“No, sono Americana. Comunque vuoi un po’ d’acqua?” le offrì la mia bottiglia.
“Sei molto gentile. Io sono Giulia. Anche tu una belieber?” prese la bottiglia e bevve metà del contenuto. “Sì, e so cosa provi, anche io vengo picchiata quasi tutti i giorni.” le accarezzai la mano. “Andrai a Roma?” mi chiese con una luce negli occhi. “Ovvio, e tu?”. “Sì, non vedo l’ora, vado avanti solo grazie a quel biglietto!” mi rispose. “Allora ci vedremo là, adesso devo andare, il mio amico Andrea mi aspetta. Torna a casa e riposa” le dissi. Mi abbracciò e tornai da Andrea.

Arrivammo a casa a mezzanotte, mi feci una doccia veloce, andai verso il calendario e segnai un’altra X;
Mancavano solo tre giorni.















 ~ Spazio Autrice;


Vi prego di perdonare questo orribile capitolo, so che non è granché ma in qualche modo i giorni devono passare prima del fatidico concerto, ma state certi che il prossimo vi stupirà :')
In qualunque caso vi ringrazio per le tante visualizzazioni, ne abbiamo davvero tante, anche se abbiamo davvero poche recensioni ma sono sicura che miglioreremo col tempo!

Fatemi sapere cosa ne pensate comunque :)

Alla prossima! sbii

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** ~ Capitolo quarto ***


                                                                    Fighting for a dream
                                                                                                               - Capitolo quarto










- - - - -

"Ti amerò sempre Jane, ti amerò anche quando il mio cuore cesserà di battere, ti amerò perché sono nato per farlo, ero predestinato a te" le sfiorò delicatamente il polso, puntando il suo sguardo sui suoi occhi.
"Justin non abbandonarmi mai!" e Jane cadde in un buco nero...

- - - - -


Mi svegl
iai di scatto ansimando, asciugai il sudore che mi solcava la fronte e ancora impaurita da quel sogno mi diressi in bagno per una rigenerante doccia.
Indossai un vestitino color porpora, coprì le spalle con un corto giubottino di pelle nero e infine infilai gli stivali a mezza gamba neri. Diedi un'occhiata al mio amato biglietto e corsi giù in cucina a prendere la colazione.
Mi precipitai in strada, con il mio ombrello a fantasia lilla, sotto quella lieve pioggerella che dava l'aria di una giornata irrequieta. Quando fui arrivata a scuola notai a malincuore che Andrea quel giorno era assente, e impossessatami della paura nell'incontrare Vittorio, mi diressi a testa bassa in classe.
Mi chiesi perché nessuno si fosse mai accorto di me, perché mai non ci fu un solo ragazzo pronto ad amarmi, uno di quelli che avrebbe navigato mari sconfinati pur di raggiungermi, uno di quelli che se avesse potuto mi avrebbe portato su di una stella. Sognavo l'amore, ma purtroppo ne sognavo uno impossibile, sognavo di essere amata da un ragazzo distante anni luce, sognavo qualcosa di davvero surreale. Mi convinsi che ancora non era tempo per me e per l'amore, mi convinsi che un giorno esso mi avrebbe trovato.
Quel giorno scolastico passò lentamente tra verifiche e interrogazioni nelle quali, ovviamente, avevo dato il meglio di me. Non avrei mai voluto deludere mia madre, e sapevo che ciò che voleva da me era un semplice buon rendimento scolastico e anche se riluttante, l'avevo sempre accontentata. Avevo scelto una scuola non adatta a me se pur giusta secondo lei, avevo scelto di smettere di ballare, se pur quella fosse la mia grande passione, solo per studiare, per soddisfare tutto ciò che mi chiedeva, semplicemente per farla sentire amata e ripagata, per non farla ricadere in quei momenti in cui l'unica sua amica era quella bottiglia.

Arrivata a casa per pranzo mi preparai un panino, mi distesi sul divano, quando il telefono iniziò a squillare.
"Pronto?" chiesi con voce assonnata.
"Ehi J, sono Andrea, ti va di passarmi a dare i compiti? Anzi passo io e andiamo a prendere un caffé caldo al bar" propose Andrea.
"Volentieri. Tra dieci minuti qui davanti?" iniziai a salire le scale, dirigendomi verso la mia stanza.
"Va benissimo!" attaccò la chiamata.
Faceva alquanto freddo così decisi di cambiarmi ed indossare un paio di jeans, stivaloni marroni e maglione verde militare. Passai un po' di fard sulle mie bianche guance e mi chiusi la porta di casa alle spalle.
"Sei uno splendore Jane" mi accolse Andrea.
"Tu sei troppo gentile" arrossì io.
"Dai monta su che andiamo!", salì sulla sua vespa e ci precipitammo al bar dove ci attendeva la nostra cioccolata.

"Una cioccolata calda con un pizzico di latte" ordinai io.
"Per me un caffé macchiato, grazie!". La cameriera ammiccò ad Andrea e torno al bancone con le sue ordinazioni.
"Mi sa che le piaci" risi di gusto.
"Mi sa che non conosce i miei gusti" rispose divertito Andrea.
Quando la ragazza tonrò per consegnarci ciò che poco prima avevamo ordinato, rivolse un sorriso ad Andrea. "Posso chiederti se qualche volta ti andrebbe di uscire?"
gli chiese la ragazza.
"Scusa davvero, ma sono gay" rispose serio Andrea.
"Se non sono abbastanza bella bastava dirlo, la scusa dell'essere gay è davvero patetica" disse alquanto infastidita. Io dal canto mio ero quasi in due dal ridere. "E' serio, è davvero gay" dissi io quasi in preda alle lacrime.
"Oh cazzo, scusami non volevo, davvero, scusa!" la ragazza prese uno strano colorito che mi fece capire quanto fosse imbarazzata. Andrea le disse quanto fosse carina, e quanto fosse sicuro che entro poco avrebbe trovato un ragazzo, possibilmente non gay, che avrebbe ricambiato il suo amore.
Pagammo e tornammo in sella.
"Ti prego, ti prego, fermati e fammi comprare quel giornale" pregai Andrea.
"No Jane, siamo in ritardo e non posso fare manovra in questa strada, è troppo pericoloso" mi rimproverò Andrea.
"Ti prego, per favore dai, giuro che per un mese farò ciò che vuoi" mugugnai.
"E va bene, ma non parlare che devo stare attento alla strada" mi zittì all'istante.
Si assicurò che la strada fosse deserta e schiacciò l'acceleratore.
"Andrea quello è un camion!" urlai.
"Tranquilla, faremo in tempo ad attraversare!".
E poi ci fu il buio.














- Spazio Autore;

Trallellero trallallà, le recensioni vanno ad aumentar! Porca miseria adesso faccio pure le rime, mi sento tipo Biancaneve.
Alloooooora, ecco il quarto capitolo, e so che molte di voi tipo mi prenderanno a parolacce per come l'ho fatto finire *puahahasonocattiva* ma sappiate che tutto migliorerà! Molto presto arriverà Bieber. Non vi anticipo niente ovvio, ma arriverà in carne ed ossa, bella carne e belle ossa *o*

Vi saluto principessine *stoguardandolasirenetta*

sbii

                                                                                              

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** ~ mum's chapter/capitolo quinto ***


                                                                           Fighting for a dream
                                                                   - mum's chapter/ capitolo quinto









"Signora Venturi, sua figlia è ricoverata al policlinico di Roma per un trauma cranico subito dopo un'incidente in moto".

La telefonata arrivò esattamente alle diciannove e quarantacinque.
Mi misi al volante alle diciannove e cinquantuno, dirigendomi verso l'ospedale. Sfrecciai velocemente davanti alle strade romane, sotto quel cielo nuvoloso. E' strano pensare a quanto il tempo possa rispecchiare il proprio umore. E' strano pensare che fino a venti minuti prima un manto di stelle ricopriva Roma, stelle felici che illuminavano la città. Stelle che appena appresa la notizia di Jane avevano fatto spazio a nuvoloni pieni di lacrime di dolore da versare insieme a me.
La macchina si arrestò dieci chilometri prima del policlinico, alle ore venti e dieci.
Benzina finita.
Iniziai a correre incurante della pioggia che mi scendeva lungo il corpo.
Mia figlia potrebbe morire, pensai.
C'era il quaranta percento di possibilità che entro i due giorni successivi si fosse risvegliata, ma rimaneva quell'odioso sessanta percento che prevedeva la sua morte. Se solo quel sessanta percento avesse preso il sopravvento, io non avrei più avuto la possibilità di vedere mia figlia sbagliare, non avrei più avuto la possibilità di stringerla tra le mie braccia, di guardarla sorridere. Non avremmo avuto la possibilità di camminare per mano tra le strade della città, non avremmo più avuto la possibilità di essere semplicemente madre e figlia, ed io non avrei più avuto l'unica persona in grado di rendermi felice.

"Sono la madre di Mary Jane Venturi, l'hanno ricoverata a causa di un trauma cranico alle sette di stasera" dissi tra le lacrime all'infermiera difronte a me.
"Stanza duecentotrenta" rispose.
Inizia a correre tra le scale, facendomi spazio tra le persone che intralciavano la mia folle corsa verso il destino, verso la verità.
Trovatami davanti alla stanza chiusi gli occhi, inspirai ed aprì la porta.
Mia figlia aveva la testa fasciata.
Mi avvicinai a lei, mi chinai a darle un bacio, quando una mia lacrima le cadde sul viso, la raccolsi e la feci scivolare via.

"Salve" un uomo sulla quarantina varcò la soglia della stanza.
"Salve" mi asciugai velocemente gli occhi.
"Sono il dottor Travelli, lei è la madre della signorina Venturi?" mi chiese educatamente.
"Sono io. Dottore mi dica come sta, la prego" lo supplicai.

"Non avrei motivo di mentirle. Le abbiamo detto ciò che c'è da sapere. Esiste quel sessanta proprio come esiste quel quaranta percento. Dobbiamo solo aspettare. Stasera le inietteremo dell'altra flebo e vedremo come andrà" mi rispose il dottore.
"Aspetterò qui. Non andrò a casa, non la lascerò da sola" cercai di mostrare anche un solo flebile sorriso, ma esso non venne fuori."Signora Venturi,
prima di indossarle il camice abbiamo trovato un biglietto nella sua tasca"
me lo porse.
 


                                      "Tutto ciò che aspetto è quel concerto, tutto ciò che aspetto è quel tocco"


Seppi subito a chi si riferiva quel biglietto. Dovevo accontentare mia figlia, forse per l'ultima volta, ma dovevo farlo.
Voleva quel tocco? L'avrebbe avuto.
Afferrai la borsa e senza dare spiegazioni corsi fuori dall'ospedale, quando mi ricordai di avere la macchina a secco. Ritornai a passo svelto dentro l'edificio, cercai il dottore e gli spiegai il mio piano.
"Tenga le chiavi della mia macchina, io mi farò riportare a casa da un collega. Buona fortuna e a domani." mi strinse la mano.

Imboccai il viale di casa, posteggiai la macchina del dottor Travelli e mi precipitai in camera di Jane.
Accesi il computer, entrai in qualche forum ufficiale senza ricevere risultati, sbuffai ormai in preda alla disperazione finché non trovai l'articolo che cercavo;



 "Justin Drew Bieber sbarca in Italia. Poche ore fa Justin è atterrato insieme alla sua crew all'aeroporto Fiumicino di Roma. Le fan l'hanno accolto tra urla e pianti a cui lui ha risposto con autografi e foto. Adesso il famoso cantante si sta dirigendo all'Olimpico di Roma, pronto per iniziare le prove per il grande giorno.
Seguici per rimanere informata."


Spensi il computer, ritornai in macchina e pregando di farcela iniziai a sfrecciare verso l'Olimpico.

Arrivai davanti all'arena alle ventidue, controllai tutte le uscite quando appresi che probabilmente il ragazzo e la crew fossero già diretti verso l'hotel.
Non conoscendo l'alloggio della star, ma ancora animata dalla forza di volontà e dalla speranza, mi piazzai fuori il cancello del passaggio artisti che trovai dopo la ventesima ispezione del perimetro dell'arena, poiché il passaggio si trovava dietro un grosso albero che oscurava la vista e rendeva difficoltoso il tragitto.
Mi accasciai per terra distrutta da quella giornata e piansi le ultime lacrime che mi rimanevano, per poi addormentarmi.

"Non mi sembra una tua fan Justin" fui svegliata dalla voce di una donna apparentemente mia coetanea.
"Che ne sai, meglio chiamare la polizia. Poi sembra morta, non voglio finire in galera mamma!" rispose il ragazzo.
"Hahahah Justin, non finirai in galera, sta tranquillo caro" rise la madre.
Rizzai subito in piedi. "Ti prego, non chiamare la polizia, sono la madre di una ragazza che per te darebba la vita" lo implorai.
"Mamma chiama Kenny. E' un'altra madre disperata dai pianti della propria figlia viziata" rispose con tono egocentrico il ragazzo.
"No ascolta. Mia figlia aveva il biglietto per il concerto, era l'unica cosa che la mandava avanti, poiché ogni giorno viene picchiata a causa tua, ma lei rimane e ti sostiene. Adesso lei è in ospedale dopo un'incidente stradale e ha solo il quaranta percento di possibilità di sopravvivere. Ti prego, se dovesse svegliarsi non si perdonerebbe mai di non averti visto" Ero ormai inondata dalle lacrime. Mi aggrappai alla sua giacca di pelle nera e gli sussurrai "Ti prego, aiutami e aiutala".
La madre del ragazzo sembrava scossa, prese da parte Justin e dopo qualche minuto tornarono verso di me."Verrò domani alle sette al policlinico, dia i dati della ragazza a mia madre" Il ragazzo abbozzò un finto sorriso, poiché ancora riluttante all'idea. Girò i tacchi e sparì all'interno dell'arena.
Diedi tutto a quella meravigliosa donna, tornai in macchina e con la speranza accesa nel petto guidai fino a casa.
Era tutto nelle mani di Dio ormai.


















Spazio Autore;

Hoooolaaaa amigoooos!
Non ho abbastanza sbatti di scrivere uno spazio sensato e specialmente non ho tempo, perché sto correndo per prendere il treno e per andare in campeggio per il weekend.
L'ultimo capitolo ha fatto aumentare davvero di parecchio le recensioni e *rulloditamburi* siamo arrivati a seicento visualizzazioni *sisentepotentelol*

Alla prossima gentaglia.



sbii

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** ~ Capitolo sesto ***


                                                                Fighting for a dream
                                                                      - capitolo sesto









Uscii dal coma esattamente un giorno dopo esserci entrata, alle ore diciotto e trenta.
  Ogni parte del mio corpo era dolorante e l'unico ricordo che avevo era quello di un camion che ci finiva addosso, un dottore che mi accomodava su di un lettino e poi altro buio. 
Mi porsi verso il campanello per chiamare l'infermiera quando udì, fuori dalla mia stanza, una voce alquanto familiare. Strabuzzai gli occhi, mi diedi un pizzicotto pensando di essere ancora in dormiveglia, ma ero sveglia, e quella voce era fuori dalla mia stanza. 
Volevo alzarmi, correre ad abbracciarlo, così strinsi i pugni, cercai di drizzarmi sulle braccia facendo forza, ma l'unica cosa che ottenni fu un dolore lancinante alla testa che mi obbligò a tornare sdraiata. 
Poi iniziai ad origliare quella melodiosa voce, che conoscevo fin troppo bene, pensando di star perdendo l'occasione della mia vita.

"Io non volevo neanche venire" disse Justin.
"Non fare l'idiota, quella ragazza è una belieber, ti ama, tu ami lei. Ritorna in te." lo rimproverò un ragazzo, probabilmente Alfredo.
"Sarei potuto uscire per incontrare milioni di beliebers e invece devo stare qua per una, deluderò gran parte di loro solo per una, una" marcò l'ultima parola a gran voce.
"Solo perchè una ti ha fatto soffrire non vuol dire che sarà sempre così, torna sulla terra Justin" Alfredo sembrava esasperato.
Capii subito che qualcosa non andava. 
"E' solo che a me manca, per quanto io abbia smesso di amarla a me Selena manca, era e sarà sempre nel mio cuore" disse con voce spezzata. Iniziò a singhiozzare. 
Per quanto fossi infuriata con lui, poichè non aveva la minima intenzione di vedere questa presunta belieber, fui anche distrutta nel sentirlo così affranto.

"Grazie Alfredo, dai entriamo da questa Jane e che Dio sia con noi"  sgranai gli occhi. 
Un istinto mi travolse e credetti di star per urlare quando capii che la miglior cosa da fare era aspettare tranquilla, fingendo di non aver sentito niente di quella conversazione.
Il ragazzo che giorno dopo giorno mi donava sorrisi fece capolinea nella mia stanza, strinsi più forte che mai i pugni e mi morsi un labbro per nascondere l'emozione. Si avvicinò al mio letto e così riuscii a vedere i suoi occhi gonfi dalle precedenti lacrime. Mi si chiuse lo stomaco e senza farci caso gli afferrai la mano e l'accarezzai. 
"Piacere io sono Justin" mi sorrise e tutto il mondo attorno a noi si fermò.
"Lo so chi sei. Ma comunque piacere, io sono Jane" ancora una volta mi trattenni dallo scoppiare.
"Come stai?" mi chiese senza lasciare la mia mano. Notai il modo in cui si torturava il labbro inferiore e come passava la lingua da un punto all'altro della bocca.
"Adesso bene grazie, tu come stai?" gli rivolsi uno sguardo d'apprensione.
"Adesso bene. Grazie" il mio cuore fece quattro giravolte all'indietro per atterrare direttamente in paradiso.

Finalmente spostai lo sguardo dai suoi occhi agli altri ragazzi presenti nella stanza. Riconobbi subito Alfredo, Kenny, Dan e Ryan.
"Perché siete qui?" chiesi.
"Tua mamma è venuta a cercarci per dirci di te. Sei la ollg di Roma. Che ne pensi?" rispose Alfredo.
"Imbecille, doveva essere una sorpresa" Ryan gli diede un lieve scappellotto.
"Scusalo, è il più idiota della crew" Kenny lo incenerì con lo sguardo.
"Il più idiota della crew gne gne" fece il verso Alfredo.
"Avete finito? Avete quattro anni? Un po' di rispetto per Jane, insomma" mi fece l'occhiolino Justin.
"Justin ti si sta alzando Jerry, un po' di attenzione insomma" urlarono in coro i quattro amici.
Dal canto mio ero quasi stremata dal ridere. Erano un branco di scemi, eppure li adoravo tutti, da sempre.
"Allora Jane che ne pensi?" chiese infine Dan.
"Penso che scoppierò a piangere e che devo fare pipì dall'emozione e rischio di farmela addosso" tutti scoppiarono in una fragorosa risata.
Dan iniziò a suonare, Justin prese dei fiori da una sedia accanto all'armadio, me li porse e cominciò a cantare.
Non fu come nei miei sogni. Non ero su quel palco, non ero su di quella sedia e non avevo milioni di beliebers rivolte verso di me. Fu semplicemente meglio.
Finita la canzone avvicinò le sue labbra al mio lobo, le sfiorò dolcemente, probabilmente presi visibilmente colore perché il resto dei ragazzi risero imbarazzati, e mi sussurrò "Sei la ollg più bella che io abbia mai visto. Domani dopo il concerto tornerò, ma credo che stasera potrei farti compagnia". Non riuscii più a trattenermi e scoppiai finalmente in lacrime. Il suo corpo strinse il mio e ci unimmo in un abbraccio, il migliore di tutta la mia vita.

Venti minuti dopo quando tutti, tranne Justin, lasciarono la stanza, si sedette sulla sponda del letto ed iniziò ad accarezzarmi una gamba. Ad ogni lieve tocco il mio corpo sussultava e milioni di farfalle prendevano posto nel mio intestino.
"Vado a prendere da mangiare al mcdonald, ti va?" propose lui.
"Ovvio. Per me un crispy mcbacon menù e crocchette da nove" ordinai.
"Ah, mi dicono che non sei una grassona" mi prese in giro.
"Non ti permettere sai, io devo mantenere la linea, infatti rinuncio al mio amato milkshake!" feci l'antipatica.
"Mi scusi signorina, non lo farò mai più" si alzò e si diresse verso l'uscita.

Nei dieci minuti in cui restai da sola pensai a come quella situazione risultasse impossibile. Il giorno successivo, secondo i miei piani, sarei andata al suo concerto, avrei pianto con le mie sorelle, invece adesso avevo pianto tra le sue braccia, in solitario, e in pochi minuti avrei diviso con lui patatine fritte e crocchette di pollo. Aveva dell'incredibile, eppure sulla mia pelle stavo provando ciò che da tre anni predicavo, il famoso never say never. Tra due giorni, però, Justin sarebbe ritornato ad Atlanta, e per quanto potessi sperare di rivederlo durante le vacanze natalizie, sapevo quanto potesse essere difficile dati i suoi mille impegni.

"Team dragonball o team naruto?" mi chiese con un pezzo di hamburger in bocca dalle dimensioni esagerate.
"Assolutamente dragonball" bevvi un sorso di quell'enorme bicchiere di coca cola.
"Ti prego, dimmi che stai scherzando. Con che coraggio osi definirti belieber, ma per favore, non dire baggianate. Team naruto per sempre. Sei una delusione" si leccò il mignolo che aveva precedentemente sporcato di ketchup.
Misi il broncio e girai la testa verso il lato opposto, così da fare l'offesa. 
"Dai non ti arrabbiare, stavo scherzando" si sporse sempre di più verso il mio viso.
"No. Sono arrabbiata con te, vai via" scossi la testa. Non gliel'avrei mai data vinta.
Fermò il mio viso tra le sue mani con un abile scatto fin quando i suoi occhi non furono puntati sui miei. Le sue labbra erano pericolosamente vicine alle mie, rivolse un ultimo sguardo su di esse.
"Justin non è il caso, c'è Selena" lo allontanai.
"Jane, Selena non c'è più, con lei è finita. L'amavo e ammetto che le voglio bene, ma per mesi abbiamo continuato a litigare e abbiamo deciso che questo per noi era un bene. La nostra amicizia è rimasta intatta, io in questo momento ti chiedo solo un bacio" era parecchio imbarazzato.
"Justin vedi, per te è solo un bacio, uno dei tanti, ma per me sarebbe un altro tuo gesto per rimanere in vita. Io ti amo, ma non è tempo e non è il giusto amore. Sei il mio idolo, non potrai essere altro" avrei voluto prendere il suo viso, avrei voluto toccare le sue labbra. Avrei dato il mondo, ma non esisteva un futuro, era tutto una specie di sogno, che presto, come ognuno di essi, sarebbe finito, lasciando solo un ricordo amaro sulla pelle.
"Abbiamo ancora due giorni Jane. Ti farò cambiare idea, sia su di me che su naruto. Vedrai" si alzò dal letto e mi stampò un bacio in fronte.
"Ci vediamo. Verrò dopo il concerto, verso mezzanotte!" e così uscì dalla stanza.

"Signorina Venturi, domani mattina sarà dimessa, ma non potrà comunque uscire di casa per tutta la giornata, deve ancora riposare" l'infermiera spense la luce e si chiuse la porta alle spalle.
Perfetto, non avrei rivisto Justin.
A quanto pare era già arrivato il momento dell'addio.






















- Spazio Autore;

Lo so, sono cattiva, non ho aggiornato per tutto il weekend, ma ho una scusante; ero in campeggio dai nonni.

Alloooora ma sto bieber che ha vinto cinque premi? dhsgfdjhfgjhgfdjh, e sta cyrus che ne ha vinti due? dsjhfdbjhsbhjs, e sta gomez che fa vent'anni? dhjsfhsjbfhds, e sta lovato che vince un premio? ddshjksdhsjdkhj, e sta swift dolce taytay che ne vince cinque? dvdjhsbsdhjbdhsj. Ok stop, lol. Però era per farvi capire che sono fottutamente contenta e fiera di ognuno di loro. Ovviamente più per bieber e la cyrus, ma amo ognuno di quelle persone sopra nominate! 

Ok ritornando in noi, volevo chiedervi di lasciarmi qualche recensione e che posterò il prossimo capitolo con almeno cinque recensioni *daifateibraaaavi*, vi amo tanteeeerrimo.

sbii

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** ~ Justin's chapter/ Capitolo settimo ***


                                                                                                                     Fighting for a dream
                                                                          - Justin's chapter/ Capitolo settimo













Era fottutamente tardi.
I ragazzi avrebbero fatto di me un pasto sano per gli uccellini di mia madre, quegli odiosi uccellini che si portava pure in bagno per cagare.
Arrivai con la mia Range Rover, la quale mi accompagnava anche in tour per le vie della città, sicuro che avrei attirato milioni di ragazze già piazzate per il concerto. Mi maledissi di non aver avvisato Kenny, così da farmi salvare dal mio omone gigante, ma ormai ero là, e lo sanno tutti che quando il gioco si fa duro i duri iniziano a giocare.
Posteggiai vicino a un bar abbastanza lontano dal passaggio artisti, indossai i miei occhiali neri e alzai il cappuccio della felpa. Pregai Dio di non essere riconosciuto e mi incamminai.
Riuscii ad arrivare facilmente vicino all'arena, senza che nessuno si accorgesse di me, quando una Belieber indicò dalla mia parte.
Iniziai a correre a perdifiato con alle calcagni un centinaio di ragazze, arrivai davanti all'ingresso riservato agli artisti e scoprii che era ancora chiuso o che probabilmente la crew mi stava giocando un brutto scherzo.
Merda.
Ripresi a correre in tondo. Non potevo farmi prendere, dovevo assolutamente entrare per le prove, così mi nascosi dietro un'albero, presi il cellulare, ma anche quello aveva deciso di prendersi beffa di me.
Spento.
Maledettamente spento.

Rimaneva solo il cancello principale, ma come avrei superato quella mandria?
Mi buttai tra la mischia, mi sentii strappare di dosso gli occhiali, la felpa, il mio solito fazzoletto e la maglietta.
"Merda - urlai - siete delle pazze. Lasciatemi passare!" non mi era mai successo, sentivo quanto la mia vita fosse in pericolo.
Era la fine.
Corsi ancora e ancora, quando finalmente vidi il cancello. Una Belieber mi chiamò senza farsi notare dalle altre e a passo svelto la raggiunsi.
"Vieni, mettiti davanti a me. Nessuno capirà che sei tu" disse.
"Non credo. Sono in canotta e jeans e ci sono circa otto gradi" risposi ansimante.
In qualunque modo era l'unica disposta ad aiutarmi, perciò l'avrei seguita fino in cima ad una montagna.
Riuscimmo ad arrivare davanti alla biglietteria e un po' incredulo e riluttante il ragazzo posto all'ingresso mi fece entrare.
Mi sentii un po' Miley in Hannah Montana The Movie; insomma quale star non riesce ad entrare al proprio concerto?
"Grazie mille. Che biglietti hai?" chiesi alla ragazza.
"Sono in tribuna, un po' sopra, ma non importa, ho salvato Justin Bieber. Sono abbastanza swag" risi alla sua affermazione.
"Vieni con me" le afferrai la mano e la portai con me dentro l'arena.
Cercammo Scooter, il quale trovammo in un angolino dell'edificio a pomiciare con Carin.
"Mmmh, come siete caduti in basso voi due" interruppì il loro magnifico scambio di germi.
"Ciao Bieber. Oh merda, Justin! Dove cazzo eri? Ti abbiamo cercato per tutta la mattinata, l'incontro era alle nove, ero super in ansia. Tua mamma ti ucciderà" mi rimproverò Scoot.
"Si, poi tu e Carin, chissà che ansia, vi vedevo proprio preoccupati per me. Si, si, avete ragione" alzai un sopracciglio, lo stesso che fino a poco tempo prima non riuscivo a muovere per una stupida porta di vetro.
Abbassarono gli occhi sconfitti e diventarono così rossi da potergli cuocere addosso una bella bistecca.
"Comunque, lei è la ragazza che mi ha salvato qua fuori. Come puoi ben notare sono mezzo nudo. Delle ragazze mi hanno attaccato perchè chi doveva stare alla porta del passaggio artisti si è casualmente dimenticato di me, lasciandomi sbranare da delle pazze d'amore. Ora, puoi fare qualcosa per il suo biglietto? E' in alto, non vedrebbe bene e merita una buona ricompensa" raccontai ai due piccioncini.
"Credo di sì. C'è un posto qui davanti che non vendiamo mai perché troppo costoso, ma hai salvato la vita al mio uomo e in più grazie a questa generosa ricompensa starà zitto e non dirà alla crew che io e Carin ci nascondiamo per pomiciare come due mocciosetti" Scoot porse il biglietto alla ragazza.
Mi aveva fregato, l'avrei voluto dire al mondo.
Fanculo Scooter.
L'accompagnai all'uscita e le augurai buona fortuna.
Quando ormai era alquanto distante le urlai "Qual è il tuo nome?".
"Italia"
rispose.

"Allora grazie ancora Italia" le feci un occhiolino e le vidi cedere le gambe.
Avevo un potere, dovevo ammetterlo.
Ritornai dentro e per due ore filate dovetti sopportare le lamentele di mia madre e i suoi inutili rimproveri. Avevo diciotto anni eppure quella donna mi stava ancora appiccicata come una cozza, ma le volevo un mondo di bene.

Finito il concerto mi avviai immediatamente verso il policlinico.
Parcheggiai la Range Rover nel posteggio dell'ospedale, entrai in sala d'attesa e mi rivolsi ad un'infermiera "Mary Jane Venturi?".
"L'hanno dimessa stamattina".

Probabilmente non si rese conto di chi fossi, perché continuò a masticare la sua gomma mantenendo lo sguardo fisso sullo schermo.
"Senta, non so se si è accorta di chi sono io. Sono Justin Bieber, ora lei senza fare discussioni mi dice dove si trova esattamente la signorina Venturi. Diciamo che ha circa un minuto di tempo".
Premette un bottone.
Pensai che stesse chiamando qualcuno di indicato a darmi le giuste informazioni, ed iniziai a picchettare con l'indice sul bancone, quando mi presero da sotto le braccia e mi trascinarono a forza fuori dall'ospedale.
"Lasciatemi andare idioti. Sono Justin Bieber, e se solo lo volessi vi potrei far arrestare in men che non si dica" mi dimenai.
"Anvedi 'sto embecille che ce prenne en giro. Ma statte zitto" per paura di morire tra le mani di questi due energumeni, non capendo cosa mi stessero dicendo, alzai le mani in segno di resa e mi gettarono a terra.
Calciai una pietra.
Merda.
Colpii in pieno una macchina nel parabrezza.
La mia macchina.
Corsi subito verso di essa ed iniziai a piagnucolare.
Tutto ma non la mia amata Range.
Lasciai perdere la macchina e mi concentrai sul da farsi.
Ora come avrei trovato Jane?
Mi serviva una veggente, oppure qualcuno che potesse estorcere informazioni a quella ruminante al bancone.
Poiché trovare una veggente avrebbe impiegato più tempo puntai sulla seconda opzione, anche se noiosa.
Notai uscire un ragazzo con le stampelle dall'ospedale.
"Ehi scusa, sono Justin Bieber, potresti farmi un favore?" chiesi cortesemente.
"No" rispose sgarbatamente.

Ma in questo paese esiste qualcuno che non mi odii?, pensai.
"Ok senti, te lo chiederò di nuovo ma con più gentilezza. Mi servirebbe una persona che chieda di Mary Jane Venturi all'infermiera là davanti. Io sono stato un po' scorbutico e mi ha cacciato via con due uomini grandi quanto una libreria" strinsi i pugni cercando di mantenere la calma.
"Mary Jane?" il ragazzo "carota" sgranò gli occhi.
"La conosci?" inizia a sudare freddo, forse avevo trovato l'uomo giusto.
"Certo! Sono il suo migliore amico. Sono uscito a prendere una boccata d'aria ma ora devo rientrare, ancora non sono stato dimesso. Sono il ragazzo con cui ha avuto l'incidente in moto. Abita in Piazza Croce numero dodici. Ti prego dille che mi dispiace".
Ero su di giri.
"Ovvio".
Corsi in macchina, misi in moto e partii verso casa di Jane.
Pensai di aver trovato qualcuno migliore di una veggente.

Bussai più e più volte alla porta, ma non ottenni risposta.
Erano l'una e un quarto, probabilmente stava dormendo.
"Che ci fai tu qui?" alla porta comparve Jane.
"Ho mantenuto la mia promessa, sono venuto per farti cambiare idea" le sorrisi.
"Justin stavo dormendo. Tornatene in Hotel".
"Non se ne parla. Domani sera parto, e voglio passare quest'ultima giornata con te, partendo dall'una di notte"
pregai non mi mandasse via.
Dalla fioca luce che le illuminava il volto intravidi delle grandi occhiaie probabilmente causate da delle lacrime precedenti.
D'istinto la strinsi me e iniziai ad accarezzarle i capelli. 
"Pensavo di averti perso. Quando seppi di dover tornare a casa tutto il mondo mi è crollato. Tu ogni giorni mi dai forza e speranza ma cos'è vederti da un pc in confronto a. . questo?" disse ormai immersa dai singhiozzi.
"Posso entrare adesso?" poggiai delicatamente le mie labbra sulla sua fronte.
"Certo, andiamo in camera mia. Fa piano che mia mamma sta dormendo" si liberò delle ultime lacrime e salimmo le scale.
Probabilmente non avrei mai capito quanto mi amasse se non dopo aver visto quella stanza.
Ogni angolo del muro aveva la mia faccia, persino le coperte la recavano.
"Wow" esclamai.
"Ti fa impressione?" chiese preoccupata.
"No. Solo che non sapevo di venire così bene anche come copriletto" mi pavoneggiai.
"Idiota" mi tirò un cuscino in faccia.
La presi dai fianchi, la trascinai sul letto ed iniziai a pizzicarle le spalle.
"Ahia, smettila Justin" mi spinse dall'altra parte del letto.
Restammo fermi qualche istante.
Le osservai la bianca pelle e immaginai di averla tra le mie mani.
"Sei bellissima" sussurrai più per me che per lei.
"Grazie - arrossì - davvero Justin".
Le girai il volto così da farlo illuminare da quella fragile luce lunare che rendeva i suoi lineamenti ancora più belli.
L'attirai a me e la baciai.
Le mie labbra stettero premute sulle sue per almeno sette secondi, quando finalmente anche lei schiuse le labbra e con delicatezza infilai la mia lingua dentro la sua bocca, per poi iniziarle a torturare il labbro superiori con leggeri morsi.
Si mise a cavalcioni su di me e intensificò quel bacio fin quando nessuno dei due capì quale fosse la propria lingua.
Avevamo creato un intreccio perfetto e sarei rimasto così per ore.
Le sfiorai la camicetta e passai col lasciare piccoli succhiotti sul suo collo color latte.
Le sue mani smisero di accarezzare i miei capelli e iniziarono a respingermi.
"Smettila Justin, per favore" mi pregò lei.
"Per favore? Perché? E' quello che più vuoi. Smettila tu di respingermi" .
Stavo per dare di matto e guardare il suo collo e le sue labbra, pensando che fino a trenta secondi prima erano miei, non aiutava affatto.
"Siamo amici, solo amici" guardò a terra sconfitta.
"No Jane. Tu hai solo paura ad ammetterlo, hai paura perché pensi che ti abbandonerò, ma tra venti giorni sarai ad Atlanta e staremo insieme" la presi tra le mie braccia e la cullai dolcemente.
"Non ci sarai, non ci sarò, non ci saremo. E' tutto lontano e impossibile" .
Le sfiorai ancora, e ancora, le labbra, senza che lei potesse opporre resistenza.
"Vedi, stai già cedendo" le feci l'occhiolino e mi distesi sul letto.
"Sei un montato" lasciò cadere il suo corpo il più lontano possibile dal mio e restammo così, in silenzio, fin quando non si addormentò e piano piano sgattaiolai fuori dalla camera.
Sarebbe stata mia, era questione di principio ormai.














- Spazio autore;

    I'm sexy and I know it, turutututuuuuu!

Bene, lasciate che vi dica che mi dispiace per tutto questo tempo che vi ho fatto aspettare e che non sono così cattiva come immaginate muahahhahahaha.
Grazie per le dieci recensioni, siete così magnifiche dvjhvsdbhvbfhsj.

Vi lascio che la nonna mi sta preparando la merenda. Devo ancora crescere.

Ciao Ciao.

sbii




Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** ~ Justin's chapter/ capitolo ottavo ***


                                                                Fighting for a dream
                                                    - Justin's chapter/ capitolo ottavo









La mattina successiva, dopo averle preso un cornetto caldo e delle viole, la raggiunsi a casa. Bussai e ad aprirmi fu la madre.
"Salve. Jane è sveglia?" le domandai.
"Più che sveglia, vieni è in salotto" mi fece accomodare.
Trovai Jane che guardava divertita Tom & Jerry. Era attorcigliata sul divano e coperta da una tenera abbracciosa. 
Era bella, bella davvero.
"Ehi"
la salutai
"Che ci fai qui a quest'ora? Io sono ancora in pigiama, struccata e. . sto guardando Tom & Jerry" si ricompose sul divano.
"No no, fa pure. Signora Venturi possiamo mangiare qui in salotto?" la faccia da cucciolo spuntò sul mio viso.
"Tranquilli, fate pure" e la donna sparì in cucina.
Mi sedetti accanto a lei, appoggiai i cornetti caldi sul tavolino, posto davanti a noi, insieme alle viole.
"Sono stupende Justin!" mi avvolse in un abbraccio. 
"Allora ti piace Jerry?" scherzai.
"Certo, tutti i giorni amico" ammiccò.
Finimmo la colazione e svelta si diresse in camera sua a cambiarsi.

"Kenny è tutto pronto?" chiesi al telefono al mio amico.
"Tutto pronto. Ma sai come arrivare?" mi domandò lui.
"Emmh no, inviami per e-mail la strada, e grazie ancora" dissi.

"Certo. Sei stato fortunato, alla fine c'è una bella giornata se pur fredda" attaccai la chiamata

"Justin cosa devo indossare?" urlò Jane dalla sua stanza.
Salii le scale, aprii la porta e mi ritrovai una Jane in biancheria.
Ebbi una visione. 
"Scusa, non volevo" balbettai.
"Stai tranquillo, sei mio amico. Vieni dai" mi avvicinai lentamente alle ante dell'armadio, tenendomi saldo su di esse per non cedere al tremolio che si era impossessato delle mie gambe.
Justin sei un donnaiolo, riprenditi, pensai.
"Mmmh, dobbiamo andare in un posto dove ti conviene mettere i jeans e una felpa, ma ceneremo là, perciò porta anche qualcosa di carino. Questa camicetta lilla per stasera è perfetta, magari con questi jeans stretti, saresti assolutamente swag. Mentre adesso mettiti la prima cosa che capita" presi i vestiti scelti per la sera e li poggiai sulla sedia accanto.
"Da quando sei uno stilista, scusa?" mi chiese scioccata dal mio discorso.
"Da quando mi sono presa una cotta pazzesca per una che di moda ne capisce quanto mio nonno Bruce".
"Almeno è simpatica?"
sorrise.
Sarebbe affondata, ne ero più che certo.
La spintonai e la feci indietreggiare. Girai i tacchi e l'aspettai fuori dalla porta.
Quando uscii indossava un jeans chiaro, una felpa rosa e delle converse bianche ai piedi. I lunghi capelli raccolti in una treccia che mostrava le ciocche fucsia.
Neanche un filo di trucco era presente sul suo viso, eppure era perfetta.

"Mi dici dove stiamo andando" iniziò ad implorarmi.
"Stai zitta Jane, tanto non te lo dico, è inutile" la guardai con sguardo maligno.
"Ma per favore" attuò la mia stessa tecnica della faccia da cucciolo.
"Conosco questa tecnica, con me non funziona" le poggiai la mano sulla coscia destra, la quale lei non spostò.
"I'm here to stay, I can't go nowhere" canticchiò.
"Sei proprio una campana, non storpiarmi le canzoni, dai" spinse via la mia mano.
"Non mi toccare allora" mise il broncio.
"Dai stavo scherzando, sei proprio permalosa".
"Gne gne sei proprio permalosa" mi fece il verso.
Feci finta di incassare il colpo e tornai a guardare la strada in silenzio. Dopo pochi secondi iniziò a picchiettarmi sulla gamba.
"Dai juju, stavo scherzando, io ti voglio bene" appoggiò la testa sulla mia spalla.
"Togliti, i tuoi occhi verde smeraldo non mi abbindoleranno" le spostai la testa.
"Va bene" incrociò le braccia e portò lo sguardo altrove.
"Se mi dai un bacino ti perdono" le indicai la mia guancia. Sul viso le apparì un sorriso e mi sfiorò la gote.
Sentii un tremolio partirmi dalla parte appena sfiorata per arrivare sino ai piedi.
"Ti emozioni Bieber?" mi stuzzicò.
"Tu ti diverti a farmi impazzire, ma non cedo, io sono forte" mostrai i muscoli.
Arrivammo alle 11.00 al parco avventure.
"Ma io dovrei arrampicarmi e farmi tutti questi percorsi?" vidi comparire sul suo volto un'espressione preoccupata.
"Certo, sei la mia Jane, ed io sono il tuo Tarzan" le dissi compiaciuto.
"Tarzan? Al massimo puoi essere cita" e mi fece l'occhiolino.
"Sei un mostro!" esclamai allontanandomi da lei a passo svelto.

"Dai Justin, va avanti! Hai bloccato tutto il tragitto, devi solo attaccarti alla corda e scivolare. Hai le imbracature, non ti succederà niente" mi incitò Jane.
"No, io da qui non mi butto! Ma hai visto? Saranno circa 20 metri, non se ne parla proprio. Ho paura!" abbracciai l'albero ed iniziai a piagnucolare. Avevo trenta persone dietro con gli occhi puntati su di me.
Era la peggior figura che potessi fare.
"Non sei neanche cita, sei un mollusco" mi prese in giro lei.
"Un mollusco? Adesso vedrai!" mi gettai dall'albero, quando mi ricordai di non aver attaccato per bene la carrucola. Mi tenni il più stretto possibile, ma a cinque metri da terra non riuscii più a trattenermi e finii direttamente nel laghetto sotto di me.
"Justin, Justin, ci sei?" mi chiese in preda al panico.
"Si, hai visto? Sono Tarzan" uscii dal laghetto ormai tutto infangato.
"Si Tarzan! Ma ti prego, niente più arrampicate per te".
Vidi l'intero parco ridere, nessuno escluso.
"Andiamo a fare la doccia" mi tirai su da terra e mi diressi verso le docce pubbliche.
"Justin, devi prendere l'asciugamano e i vestiti dalle borse. Non puoi uscire nudo" rise di gusto.
Sempre meglio Justin, continua così.

Finita la cena ci dirigemmo nella tenda che avevo accuratamente affittato, dalla quale si potevano guardare meglio le stelle. Mi distesi sull'erba fresca, lei fece lo stesso e poggiò la testa sui miei addominali "Sai credo di non aver mai passato una giornata così speciale" mi accarezzò il petto.
"Certo, se avessi potuto avere una possibilità con te, oggi l'ho persa del tutto. Sono un cretino".
"Ti sbagli Justin. Oggi ho capito che non sei perfetto, ma che sei un ragazzo normale, anche un po' imbranato, e credo che hai vinto il mio cuore" mi guardò negli occhi e ruppe quello spazio che c'era tra di noi.
Un bacio, un semplice bacio.
"Justin voglio essere tua. Tu mi conosci da tre giorni, ma io da tre anni, e voglio che tu possa ricordarti di me. Sono pronta!".
La presi dai fianchi, la portai in tenda e l'adagiai delicatamente sul materassino.
Non sapevo se quella fosse la sua prima volta, e non avrei sicuramente voluto saperlo. Era la prima con me, e volevo fosse perfetta, desideravo non sbiadisse nel tempo. La mattina successiva sarei partito, e nessuno dei due sapeva quando ci saremmo rivisti.
Volevo che il suo profumo penetrasse nel mio corpo, volevo che il mio profumo si mischiasse col suo. Le spostai la ciocca di capelli fucsia che le scendeva lungo il viso e iniziai ad attorcigliarla tra l'indice e il medio, mentre con le labbra le accarezzai la spalla destra.
"Justin non mi abbandonare, non lo fare" una piccola frase, solo una piccola frase, che mi fece rabbrividire.
"Non ti fidavi di me" le puntai gli occhi addosso.
"Adesso sono più tua che mia".
Il mio cuore, si era presa il mio cuore.  
Si posizionò sopra di me e prese a torturarmi il collo, delicatamente le feci scivolare di dosso la camicetta lilla, ormai superflua tra di noi. Lei fece lo stesso con la mia maglietta, passando a baciare il mio petto fino ad arrivare al bacino. Con un'abile scatto le slacciai i jeans e invertii le posizioni. Misi la testa tra l'incavo del collo inspirando profondamente il suo profumo, quello che sarebbe rimasto nella mia pelle per solo qualche ora, ma nel mio cuore per tutto il tempo in cui lei non sarebbe stata nuovamente al mio fianco. Mi tolse i jeans e poi la biancherai.
Restammo nudi entrambi.
Osservai il suo corpo, i suoi fianchi prosperosi e con le mani percorsi ognuno delle curve che recava il suo corpo, per farla rabbrividire, poi in un attimo fui dentro di lei.
Immobili respirammo la densa aria che ci attorniava, respirammo per non dimenticare quell'attimo.
"Stai fermo, devo farti una foto" mi sorrise.
"Sei pazza? Adesso?" la guardai prendere la polaroid dal suo zaino e scattarmi una foto.
"Questa non la vedrà nessuno, ora fammene una tu" mi porse la macchina.
Non si mise in posa, rimase esattamente per com'era, e ancora dentro di lei scattai.
Il suo intento era quello di vivere quel momento per sempre, e probabilmente aveva ragione.
Iniziai a spingere, e a spingere, fino a farla arrivare all'orgasmo. Afferrò i miei capelli e si tirò su, si mise a cavalcioni su di me e mi accarezzò la schiena, per poi passare a pizzicarmi le natiche. Spinsi ancora, spinsi ed emise un altro gemito.
Adesso toccava a lei.
Mi baciò con foga le labbra, mosse il bacino ed io arrivai velocemente all'orgasmo.
Non esisteva il futuro e neanche il passato, esisteva il presente, esisteva solo quell'istante.

Aprii gli occhi, guardai l'orologio; le 23.15.
Merda, il mio aereo sarebbe partito tra esattamente venti minuti.












- Spazio autore; 

Ciao ciaaaaao belli di mamma! Sono stata brava né? non vi ho fatto aspettare tanto, sono stata clemente *nonmisicaganessunodovreismetterla*. Comunque ho apprezzato tantissimo le dieci recensioni per gli ultimi due capitoli, davvero siete sempre più magnifici e ringrazio quelle che ci sono sin dall'inizio e continuano a tenermi compagnia con le loro recensioni. Sapere cosa ne pensate mi fa tanto di quel piacere che neanche immaginate!
Ora vi lascio ma sappiate che Bieber è un pinguino figo lol

sbii

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** ~ Capitolo nono ***


                                                                Fighting for a dream
                                                                     - Capitolo nono









"Jane svegliati, Jane cazzo"
mi sentii strattonare.
"Che succede?"
sbadigliai sfregandomi gli occhi.
 "Tra venti minuti parte il mio aereo, e anche se siamo a soli dieci minuti dall'aeroporto non faremo mai in tempo cazzo" il panico si impossessò di Justin.
"Ok, con calma. Vestiti che sei nudo" mi sedetti a gambe incrociate sul materassino.
"Anche tu sei nuda" mi tirò i jeans dal mio zaino. Mi vestii in fretta e furia, e in un attimo ci ritrovammo in macchina a sfrecciare per la tangenziale.
"Mi mancherai" bisbigliai sperando di non farmi sentire.
"Tra tre settimane verrai ad Atlanta e staremo insieme" sfiorò la mia guancia con il palmo della mano.
"Mi mancherai lo stesso Justin" alterai il tono e gli strinsi la mano.
"Per favore Jane, resisti per entrambi, sii forte, so che sarà difficile, ma mantieni il sorriso. Tieni, questo è tuo, tienilo sempre con te, e sarà come avermi vicino" mi diede un bracciale in caucciù con una piccola bottiglietta contenente una piuma.
"Non posso, questa te l'ha regalata Jazzy!" glielo porsi indietro.
"Adesso è tuo, ti prego, accettalo. Potrei comprarti il mondo, eppure ho deciso di donarti questo bracciale, che è semplicemente simbolo dell'amore" cercò di trattenere le lacrime, ma una inconsciamente gli sfuggì sul viso.
Arrivammo in aeroporto quando i passeggeri stavano imbarcando, e avendo già fatto il check-in ci recammo subito davanti al tunnel, che avrebbe diviso me e il ragazzo a cui avevo affidato la mia vita.
"Ultima chiamata per il Signor Bieber" si sentì dagli altoparlanti.
"Sono qui!" esclamò correndo verso l'hostess.
Decine di ragazze ci accerchiarono ed ormai immersi nella folla non riuscimmo più a trovarci. Cercai i suoi occhi, ma non li trovai, così uscii dalla mandria e ritornai sui miei passi.
"Jane, non è un addio" urlò lui.
"Lo spero" sussurrai.
Ormai lontana dalla zona partenze mi accasciai su di una sedia e rivolsi un ultimo sguardo a quell'aereo che lasciava terra, portandosi via un biondino canadese che aveva conquistato il mio cuore. Chiamai mia madre e l'avvisai di venirmi a prendere.

Giunsi a casa trattenendo a fatica quel dolore. Entrai in camera e mi gettai a peso morto sul letto, affondando il viso tra le lenzuola, le stesse che avevano ospitato le nostre prime carezze, i nostri primi baci.
Solo venti giorni ed avrei rivisto il suo sorriso splendere.
Il display del telefono si accese, seguito dal suono di una trombetta;

        "Hai dimenticato i tuoi occhiali da sole nel mio zaino. Sappi che gli hai appena detto addio"

Cercai di sorridere, ma tutto ciò che uscii fu un leggero increspamento delle labbra.

        "Tra venti giorni te li strapperò via a furia di calci"

Avrei voluto scrivergli quanto il vuoto si fosse fatto sentire nello stesso attimo in cui i nostri occhi avevano smesso di guardarsi, ma dovevo essere forte, lo dovevo ad entrambi.
Un altro messaggio interruppe i miei pensieri;

        "Anche in mia assenza, per favore, cerca di illuminare il mondo con i tuoi sorrisi. Ti aspetto"

Poggiai il telefono a terra e mi immersi in tutto quello studio arretrato. Il giorno seguente sarei rientrata a scuola dopo l'incidente, di cui probabilmente nessuno ne fu a conoscenza, ma in qualunque caso non importava, avrei imparato ad ingoiare anche questo peso.


"Idiota che cazzo fai! Ti strappò quella patente" sussultai notando quanto fosse tardi. Mi alzai e velocemente mi diressi a scuola.
Passai sotto gli occhi fissi dei miei compagni, notando vari bisbigli, quando Ashley mi bloccò il passaggio.
"Ashley potresti spostarti?" probabilmente il suo cervello non riuscì a formulare la domanda, poiché rimase lì immobile intenta a fissarmi.
"Sei tu questa?" mi porse un giornale. La foto mia e di Justin in aeroporto mi portò in mente un addio che avrei voluto cancellare.
"Può darsi, ma non capisco quale sia il tuo problema" le risposi in cagnesco.
"Sei pure andata a pagare il tuo idolo, pur di salire anche solo di un gradino più alto nella tua schifosa vita da sfigata" mi prese per il polso.
"Senti, potresti spostarti? Farò tardi alla lezione" gli intimai.
Mi strattonò contro l'armadietto, così, decisa di non farmi più maltrattare, le tirai un sinistro in piena faccia, facendole sanguinare il naso.
"Signorina Venturi, in presidenza, subito" la professoressa Lombardo osservò la nostra scena, mi afferrò per un braccio e mi trascinò dentro l'ufficio.
"Si rende conto di aver fatto sanguinare una ragazza?" iniziò il preside.
Quella conversazione era assolutamente inutile, avevo subito molestie per anni interi, e mai nessuno si era preoccupato, e adesso magicamente nella mia scuola regnava l'antibullismo.
"Mi stava importunando" risposi secca.
"Questa volta non dirò niente, ma non osi più fare una cosa del genere, Signorina" lasciai quella stanza con la stessa foga con cui avevo sferrato quel pugno alla bionda ossiggenata, mi diressi a passo svelto in cortile e appoggiai la testa all'albero posto vicino alla panchina e mi adagiai sull'erba.
"Vuoi una sigaretta?" una voce sconosciuta mi fece sobbalzare.
"Non fumo" gli rivolsi uno sguardo, una ragazza dai lunghi capelli neri, gli occhi azzurri e con indosso calze strappate, un vestitino borchiato e un paio di stivali camosciati si posizionò accanto a me.
"Sembri depressa, credimi, con questa staresti meglio" me ne porse una. 
L'afferrai, l'accesi e inspirai fino a riempirmi i polmoni.
Non tossii, anzi ebbi una sensazione piacevole alla testa, come se ogni cellula del mio cervello iniziasse a rilassarsi, così continuai e la finì in poco tempo, poi tornai a scrutare la strana ragazza al mio fianco.
"Per caso non sei di qui?" mi chiese con uno strano accento.
"No, sono Americana, ma da dove l'hai capito?" risposi ritornando a guardare lontano.
"Dal tuo no, era tutto tranne che Italiano" si prese un'altra sigaretta dalla borsa.
"Tu di dove sei?" le chiesi.
"Vengo da Broadstairs. E' un piccolo paesino della Gran Bretagna, sono qui perché ho fatto la cattiva e mamma mi ha sbattuto fuori casa" disse in tono nettamente ironico.
"Se ti può interessare io sto con una popstar che è partita lasciandomi sola a deprimermi" non so perchè le raccontai quelle cose, ma provai una gran fiducia nei suoi confronti.
"Lo so, siete su tutti i giornali tu e Mr. Bieber" ricompose i capelli in uno chignon, lasciando fuori un ciuffo blu.
"Comunque sono Jane" le strinsi la mano.
"Io sono Linsday" mi sorrise.
Passammo tutto il pomeriggio a parlare di quanto la vita potesse prendersi beffa di ognuno di noi, e per quanto quella simpatica ragazza fosse riuscita a distrarmi da quella giornata, non riuscì a farmi dimenticare di Justin.

Passai i dieci giorni successivi a fingere chissà quale malattia pur di rimanere chiusa in casa. Comprai un pacchetto di sigarette da venti, fumandone due al giorno, iniziando sempre di più a sentirne il bisogno, incominciando a staccare la spina solo quando la nicotina prendeva il controllo della mia testa. 
Aspettai sicura che Justin prima o poi avrebbe ricominciato a cercarmi, ma non fu così; se i primi tre giorni mi intasò di messaggi, in quelli successivi mi scrisse una volta al giorno, fino a quando smesse totalmente di pensare a me, tanto che non fossi più sicura del nostro amore, se così lo si poteva definire.
Mi alzai finalmente dal letto, quando mancavano solo cinque giorni alla mia partenza, indossai la tuta rossa trovata tra le cose non infilate in valigia e uscii di casa, dirigendomi verso la nuova caffetteria.

"Un caffé macchiato, grazie" ordinai al moro dietro al bancone, me lo porse e mi sedetti al tavolo in fondo alla stanza, ad osservare quattro ragazzine scambiarsi gli smalti. 
Una mocciosetta di circa dodici anni entrò nel locale sfondando praticamente la porta.
"Ragazze, guardate" sbattè il giornalino sul tavolo delle amiche.
"Justin e Selena?" una delle altre quattro si portò le mani alla testa.
"Sì, Justin e Selena sono tornati insieme" alzò la voce la dodicenne che trenta secondi prima era entrata quasi abbattendo la porta.
Corsi subito verso il loro tavolo, presi il giornaletto tra le mani, lessi velocemente l'articolo e mi soffermai sulla foto, recante la coppietta intenta a cenare e a tenersi allegramente la mano sul tavolo. Una nanetta mi prese il cioè ed io fuggii dalla caffetteria immersa tra le lacrime.
"Selena non esiste, è solo un amica importante" quelle parole piombarono nella mia testa insieme all'immagine dei due in copertina.
Stupida.
Fottutamente stupida.

Ero solo una scusa, ero solo una scopata, ero tutto tranne che amore.
Immaginai loro due intrecciati a letto, immaginai i suoi gemiti e le sue carezze, immaginai che gli avesse sussurrato all'orecchio quelle parole che due settimane prima sussurrò a me. 
Immaginai, e crollai sul marciapiede, mi inginocchiai cercando di rialzarmi senza risultato, così premetti con tutte le mie forze e finalmente mi tirai su ricominciando a correre verso casa.
Entrai in camera mia, strappai tutti quei poster, strappai la sua faccia dai muri, provando a staccarla dal mio cuore, ma quello era un tentativo impossibile, c'erano tre anni d'amore da cancellare. 
Tirai all'aria tutti i CD, le coperte e tutto ciò che mi capitava sotto tiro, quando un pezzo di ceramica mi procurò un taglio profondo sul polso, mi gettai gemente sul freddo pavimento ed urlai il suo nome, il nome che più mi stava facendo soffrire, il nome di quel ragazzo che mi aveva strappato il cuore, esattamente come io avevo fatto a pezzi i suoi ricordi dalla mia cameretta. 
Il telefono si illuminò; 

                  "Mi manchi" 

Forse il suo semplice scopo era quello di farmi star male, forse era tutto ciò che più lo divertiva. 
Digitai due semplici parole;

                  "Tu no!".


"Jane svegliati, c'è un problema" mamma mi chiamò da fuori la porta.
Mi alzai dal letto e con mio grande stupore vidi una stanza ordinata, diversa da come l'avevo lasciata la sera prima. 
Mi pulsava la testa dal pianto estenuante di quella notte, ed il polso mi faceva ancora male.
"Che c'è mamma?" chiesi.
"L'aereo è stato anticipato, parti stasera" osservò torva il taglio e ritornò in cucina. 
Tutta la voglia di andare ad Atlanta il giorno prima mi aveva abbandonato, ma l'avrei fatto per mio padre, l'avrei fatto perché probabilmente sarebbe stato l'unico modo per ricominciare.
Tornai in camera, feci una doccia, mi vestii ed indossai il suo bracciale, l'unico ricordo di cui non mi sarei liberata, e trascinai in soggiorno la valigia. 
"Sono pronta" toccai la spalla a mia madre.
"Allora andiamo". 
Seduta in macchina, dallo specchietto retrovisore, vidi scomparire pian piano la figura di quella casetta arancione, che aveva accompagnato gli ultimi tre anni della mia vita, e mi chiesi se un giorno sarebbe stato possibile veder sbiadire l'immagine di Justin, così viva adesso dentro me.
Immancabilmente una lacrima mi rigò il viso, poggiandosi delicatamente su quella boccetta legata al mio polso.
La risposta era ovvia, non sarebbe svanita nel tempo la sua figura, l'amore non lascia mai scampo.

















- Spazio Autore;

Faccio finta che vada tutto bene e sorrido, faccio finta perché aspetto solo che Justin mi dica "Ehi io sto bene e non faccio nessuna cazzo di cura per niente", ma so che è così, però ho paura, solo questo, solo semplice paura.

Parlando di cose felici, ma IL VIDEO PORNO DI AS LONG AS YOU LOVE ME? Allooooora, vi annuncio che sono rimasta incinta LOL, e che mio figlio si chiamerà ALAYLM c': 
Bravo Giustino Cullen. 

Grazie per le tredici recensioni, grazie per farmi emozionare e vi prego di non abbandonarmi!

Alla prossima, 
sbii

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** ~ Justin's chapter/ capitolo decimo ***


                                                                Fighting for a dream
                                                        - Justin's chapter/ capitolo dieci









"Che cazzo ci facciamo io e te in copertina?"
ringhiai a quella ragazza che da due anni a questa parte ormai aveva solo rovinato la mia vita.
Non avrei perso Jane per colpa sua.
"E io che ne so! Sei tu che mi hai portata in quel ristorante e mi hai tenuto per mano. Ringrazia che non ci hanno fotografati a letto".

- - - - -

Five days ago;

"Justin ti va di mangiare cinese questa sera?" una telefonata inaspettata aveva interrotto il flusso di pensieri che portava il mio cervello constantemente a Jane.
"Selena? Per me va bene" accettai per il semplice fatto che non mi avrebbe dato scampo, e non desideravo passare altre futili giornate con lei.
"Perfetto" urlacchiò come una piccola cornacchia.
Non sarei mai riuscito a capire cosa l'anno precedentemente mi spinse ad amare con tutto me stesso quella ragazza; era semplicemente frivola, arrogante e totalmente priva di intelligenza, ma non potevo rifiutare una cena al cinese, per di più Scooter mi stava col fiato sul collo, mi incitava ad uscire ormai da giorni, così dissi semplicemente di sì, senza secondi fini, senza pensieri.

Arrivai davanti al ristorante e rimasi in macchina qualche istante. Tra le mani iniziai a rigirarmi la foto scattata con la polaroid, che ormai non aveva più riposo. Non passava giorno in cui io non l'avessi in tasca, proprio come Jane era sempre nel mio cuore.
Qualcuno fece capolinea davanti a me in tutta la sua frivolezza.
"Ciao Selena" le baciai una guancia così truccata da aver paura di poter restare appiccicato al suo viso.
"Ciao tesoro, allora entriamo?" mi prese per il braccio.
Per tutta la serata tenne la sua mano avvinghiata alla mia, senza che io riuscissi ad opporre un minimo di resistenza, ma infondo nulla sarebbe cambiato, ormai i paparazzi accerchiavano il locale e quella cena sarebbe finita in qualunque caso su tutti i giornali.
Chiusi gli occhi e sospirai pensando alla delicata pelle della mia amata, pensando a quel momento in cui il suo profumo inebriò la mente.
"Ti va di bere un cocktail da me?" propose lisciandosi per l'ennesima volta una ciocca di capelli che ormai torturava da intere ore.
"Volentieri" finsi un sorriso e ci dirigemmo nella sua lussuosa villa ad Atlanta, la stessa che le comprai io, la stessa che aveva ospitato varie notti di fuoco, perché lei non sarà stata un genio, ma a letto era tutto quello che desideravo, o almeno credevo.

"Non capisco perché tu abbia questo broncio" si posizionò dietro di me ed iniziò a massaggiarmi il collo.
"Non importa Selena, mi porti un altro drink?" forse stavo esagerando, ma l'alcol evitava di farmi sentire il dolore ormai incessante causato dalla lontananza.
Negli ultimi giorni non mi ero fatto sentire per il semplice fatto che bisognava respirare, bisognava imparare a vivere nell'assenza se pur straziante.
"Tieni" mi porse il bicchiere colmo di vodka liscia, che bevvi tutto in un sorso provocando una forte fitta alla testa e un gran bruciore alla gola.
Selena si sedette accanto a me, ed infilò la mano sotto la mia camicia, lasciando piccoli cerchi con le sue lunghe unghie laccate di fucsia. Stetti immobile in quella posizione, non fui in grado di opporre resistenza, la vodka prese il sopravvento. Poi con fare esperto prese la mia mano e la portò al seno massaggiandolo freneticamente. 
Implorai che quella notte finisse al più presto, implorai che tutto quello fosse semplicemente un incubo da cui purtroppo non sarei potuto sfuggire.
La sua mano si spostò dai pettorali al bacino, dove trovò spazio per passare al di sotto della biancheria e cominciare quella piccola provocazione infantile che tanto odiavo e che ben poco mi faceva eccitare, le tolsi la mano e l'afferrai con foga dalle natiche posizionandola sopra di me, gettò indietro la testa, così da farsi lasciare baci appassionati sul collo, ed io incosciamente lo feci.
Non era niente di nuovo, conoscevo il suo corpo a memoria, conoscevo ogni passaggio di quel che stava per succedere e anche se riluttante, ovviamente non rifiutai, sapendo bene che cosa stavo per rischiare.

- - - - -

"Sei un mostro"
le sbraitai contro.
"Justin rilassati" accavallò una gamba sull'altra.
"Non mi rilasso cazzo, sei una fottuta cogliona" mi avvicinai pericolosamente a lei.
"Ho capito cosa succede. Il signorino si è trovato la fidanzatina e una notte di fuoco gli ha rovinato il prossimo amore" rise sotto i baffi. "Esci da qui, vattene via, e non farti più vedere" se solo avessi avuto la possibilità di gettarla giù dalla finestra l'avrei fatto, ma dicono che l'omicidio sia reato.
"Justin non sai cosa ti perdi" si alzò e abbandonò quella stanza lasciando un'acre scia di profumo.
Sapevo bene cosa stavo perdendo e purtroppo non era lei, stavo perdendo l'unica ragazza che mi aveva davvero amato, l'unica capace di provocarmi intensi brividi con uno sguardo, e adesso tutto stava svenendo per colpa di una stupida scopata.
Presi il telefono e digitai velocemente un semplice messaggio. Dovevo sapere di cosa Jane fosse a conoscenza, dovevo farmi perdonare;

      "Mi manchi"

La risposta non tardò ad arrivare;

      "Tu no!"

Straziato, confuso, deluso.
Straziato per quell'amore così lontano.
Confuso per quella vita così insicura.
Deluso da me, deluso nel capire quanto fossi stato ingenuo, quanto fossi stato maschio, semplicemente coglione.
La mia autocommiserazione finì con il suono del campanello che mi fece ritornare al mondo.
"Questa è sua, metta una firma qui e una qui" il postino mi consegnò una busta arancione.
"Mi scusi ma perchè devo firmare due fogli?" chiesi stranito.
"Questo è per me, sono un suo fan" batté le mani.
"Lasciatemi in pace per una stramaledettissima volta" gli sbattei contro il foglio e gli chiusi la porta in faccia.
Prima di aprire la lettera sperai con tutto il mio cuore che fosse sua, che dentro ci fosse scritto l'ora di arrivo del volo, ormai imminente, oppure un semplice "Ti voglio", ma ciò che mi ritrovai tra le mani fu qualcosa di imprevisto, più di quanto lo potesse essere un messaggio di Jane dopo tutto quello che avevo combinato.

"Caro Signor Justin Bieber, la famiglia Braun la invita ufficialmente al matrimonio di Carin e Scooter, il quale si terrà a Los Angeles alle ore 10.30, nella chiesa di San Paul, il giorno 23/12/12. Attendiamo risposta"

Se solo avessi avuto la possibilità di non andare, la possibilità di restare ad Atlanta per darmi alla disperata ricerca della mia Jane, lo avrei fatto, ma sapevo quanto Scooter e Carin potessero tenarci, e prima di tutto ricordai di quel patto fatto tempo prima.
"Prima la famiglia e la crew, poi tutto il resto Justin, solo così potrai avere successo, solo così potrai arrivare dove vuoi" quelle parole mi ritornarono alla mente, piombai nel passato e rividi la stretta di mano scambiata dopo quel discorso e mai, mai avrei rinunciato al mio successo, alla mia famiglia e alla mia crew, così sempre più scorraggiato mi rassegnai e mi diressi a casa di Scoot per congratularmi con i prossimi sposini. "Eccolo il coglione" Alfredo mi rivolse uno sguardo di sfida.
"Cosa ti prende bro?" gli intimai.
"Sei un cretino, abbiamo visto le foto. L'unica volta che ne combini una giusta mandi tutto all'aria" abbassai la testa e mi fissai i piedi aspettando il momento in cui sarebbero finiti gli insulti.
Avevano ragione, dovevo semplicemente accettare il fatto che per l'ennesima volta ero riuscito ad essere il mio stesso male.
"Guardami almeno quando ti parlo" il moro alzò il mio sguardo e lo puntò sul suo.
"Cosa devo dirti Fredo? Hai ragione, non so che fare" lo allontanai bruscamente da me.
"Sei un demente, sbagli sempre tutto, non capisci niente" mi stavo stufando.
Ero andato da loro per non pensare a lei e puntualmente doveva esserci Fredo a farmi la predica.
"Smettila cazzo" lo incenerii con lo sguardo, venne verso di me e mi sganciò un calcio ben assestato nelle costole, mi contorsi dal dolore e mi accasciai gemente a terra.
"Alfredo allontanati subito da lui" Carin entrò nel salone.
"Con piacere" con un altro calcio mi fece sanguinare il naso e si allontanò.
Probabilmente, se non avessi saputo che aveva ragione, mi sarei alzato dal pavimento e lo avrei scartavetrato al muro, ma aveva ragione, io meritavo quel trattamento. Kenny e Ryan mi trasportarono in camera da letto e mi adagiarono sul materasso.
Dopo pochi minuti, Carin fece il suo ingresso con un paio di asciugamani e l'acqua ossigenata, mi fece sedere ed iniziò a medicarmi il naso.
"Ti ha dato un nel colpo Alfredo" disse continuando a massaggiare la narice destra.
"Lo so" ansimai dal dolore.
"Non capisco perché tu non abbia reagito, non è da te" prese il cerotto dal mobiletto accanto.
"Perchè ha ragione. Sono stato un coglione e la devo pagare" spostai lo sguardo fuori dalla finestra, dove due innamorati si tenevano dolcemente per mano.
"Tu e Jane chiarirete, l'ami, sta solo tutto nelle tue mani" appoggiò la testa al mio petto.
"Quando verrà noi saremo a Los Angeles, come potrò mai chiarire con lei?" l'abbracciai.
Avevo bisogno d'amore, avevo bisogno di un tocco gentile, e Carin me ne stava donando una goccia, ma io volevo il mare, volevo il mio oceano, volevo Jane. "L'amore trova sempre una via, fidati di me" sciolse quell'abbraccio lasciando me e quelle insicurezze sprofondare in un pianto così silenzioso quanto assordante per la mia povera anima ormai fratturata.
















- Spazio Autore; 

Weiiiilààà cretineeetti! 
Allora da dove cominciare? Porca merda io verrei da ognuno di voi a baciarvi, insomma diciassette recensioni? Cazzo, siete favolosi, mi fate emozionare, ma più di tutti voglio ringraziare coloro che ci sono da sempre con le loro visualizzazioni e recensione e ovviamente anche le nuove arrivate e quelle che mi cercano pure su twitter, insomma grazie grazie grazie! 

Ora vi lascio e spero di trovare tanti vostri pareri, magari anche di nuove persone, vi amo amo amo. <3 

sbii

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** ~ Capitolo undicesimo ***


                                                                         Fighting for a dream
                                                                          - Capitolo undicesimo










La mia vita, ormai vuota poiché priva di Justin, sembrava sprofondare in un buco nero, un buco senza ritorno se in assenza del mio biondo, ma infondo entrambi eravamo due note di una chitarra maledettamente scordata e tutto ciò che potevo desiderare era cambiare, cambiare e ricominciare a sorridere, ma per la seconda via ancora c'era tempo, anche se mai un mio sorriso sarebbe stato più vero, probabilmente mi sarebbe bastato fingere per credere di essere minimamente felice.
Atlanta mi avrebbe cambiata, ero decisa, e niente mi avrebbe fatto tornare indietro.
L'aereo atterrò alle 23.40 e ad accogliermi furono le braccia del mio amato, quanto odiato, padre, che mi strinse a se più forte che mai, per paura che io decidessi di scappare.
Non lo farò papà, non voglio più perdere un uomo, pensai.
La casa sapeva di torte, torte al cioccolato.
Da quando viveva ad Atlanta, mio padre aveva aperto una nuova attività di preparativi nuzziali occupandosi del catering e dei dolci.
La mia camera era spoglia, priva di qualsiasi aggeggio elettronico, se non una vecchia sveglia appoggiata al comodino rosa posto accanto al letto dello stesso colore, l'armadio di un bianco candido come la neve e lo specchio anch'esso rosa, vicino alla finestra esposta verso un piccolo terrazzino ricoperto di viole.
"Ti piace?" mi chiese papà.
"E' stupenda" risposi meravigliata.
"Già, non sai quanto tempo ho impiegato a farla sistemare. Poi ovviamente metterai tu le foto che vorrai e curerai i dettagli. Adesso andiamo a dormire" mi baciò la fronte e sparì in camera sua.
Mi distesi sulle fresche e mai usate lenzuola lilla ed iniziai a rigirarmi tra le mani la foto di Justin, dopo circa dieci minuti mi addormenati con essa.

"Jane la colazione è pronta" papà mi chiamò dalla cucina. Scesi le scale e ad accogliermi furono ciambelle e cupcakes.
Mi mancava l'America.
"Spero ti piacciano" me ne porse due.
"Adoro già tutto" ingurgitai le tortine in un nano secondo.
"Allora oggi che vuoi fare?" si tolse delicatamente il grembiule rosso sporco di zucchero a velo.
"Dovrei andare dal parrucchiere" mi affrettai a prendere l'ultima ciambella così che papà non lo facesse prima di me.
"Io di pomeriggio devo lavorare, perciò adesso ti accompagno e poi torni in taxi. Ora muoviti".
Corsi in camera mia, mi feci una breve doccia ed indossai un paio di jeans strappati, una felpa nera e infine raccolsi i capelli in uno chignon, guardando per l'ultima volta le ciocche fucsia che contornavano il mio viso.
"Sono pronta" saltai lo scalino.
"Bene, andiamo" entrammo in macchina e partimmo verso il negozio.
Accanto a me solo palazzi e centri illuminati, solo macchine e gente felice.
L'America dei sogni.
Entrai in parrucchieria dopo le mille raccomandazioni di papà.
"Salve" un ragazzo moro dagli occhi color del mare mi fece accomodare.
"Salve" non avevo mai visto qualcuno di più bello.
"Ora arriva mia mamma" e se ne andò lasciandomi incantata.
"Allora che vogliamo fare?" una donna sulla cinquantina con delle inquietanti forbici mi strinse la mano.
"Vorrei un taglio netto, eliminare tutto il fucsia e fare un bel rosso ramato" le spiegai.
"Diamoci da fare allora" così si mise all'opera.
Il risultato fu ottimale; non avevo più i miei lunghi boccoli che scendevano lungo la schiena, adesso i capelli ramati arrivavano alle spalle.
Avevo ottenuto il primo cambiamento.
"Quanto pago?" chiesi al moro alla cassa.
"Venti dollari cara" mi accarezzò la mano.
"Tieni" gli porsi le banconote.
"Comunque sono Finn, piacere" mi sorrise.
"Io Jane" risposi al suo sorriso.
"Sei stupenda. Tieni il mio numero" mi diede un bigliettino.
"Ok, ti faccio uno squillo" presi il telefono dalla tasca, digitai il numero e il suo telefono vibrò.
Dopo pochi minuti, appena uscita dal salone, un messaggio fece suonare il mio iPhone;

                    "Ciao tesoro, stasera fatti portare al ristornare dietro il negozio alle nove"

Il mio cambiamento aveva appena bussato alla porta.

Alle nove in punto papà mi accompagnò al ristornate cinese dietro il vicolo.
"Fa la brava Jane, e stai attenta" chiusi la portiera.
"Ciao Finn" salutai il ragazzo.
"Ciao bellezza" mi baciò la mano.
Ordinai riso ai piselli e lui pollo, poi passammo l'intera serata a parlare delle mie origini, della mia vita in Italia, evitando nettamente il discorso Bieber.
"Ti va di andare in qualche altro posto?" propose.
"Portami dove vuoi" gli sorrisi maliziosamente.
Mi prese per mano e in moto ci dirigemmo verso un parco in periferia.
Mi distesi sull'erba fresca ed osservai quel manto di stelle.
"Da qui si vedono tutte le costellazioni" mi avvolse in un dolce abbraccio.
"E' meraviglioso" continuai a scrutare quel paradiso.
Fossi stata una stella avrei avuto il diritto di spiare le persone a me care, avrei avuto il diritto e il privilegio di vedere l'ultimo sorriso di ogni persona che si fermasse ad osservare meravigliato il cielo, avrei avuto il diritto di rubare uno sguardo incantato a tutte quelle donne innamorate, che in me, se stella cadente, avrebbero riposto la loro felicità, ma io ero semplicemente una di quelle che sta per terra, che poggia i piedi in questo mondo infame, dove la felicità non dura mai quanto può brillare una stella.
"Mai quanto te" voltò il suo viso e si avvicinò al mio.
"Scusa Finn, ma non posso, ti prego di riportarmi a casa" mi alzai dall'umido prato e mi feci portare da mio padre.
Per quanto quel ragazzo potesse essere bello e bravo, non faceva per me, non poteva darmi amore, perché lui stesso non ne possedeva e come sempre dovetti ammettere che niente e nessuno mi avrebbe fatto dimenticare il mio ragazzo dagli occhi caramello.
Tornata a casa trovai mio padre indaffarato in una bellissima composizione floreale.
"Ciao papà" lo abbracciai.
"Ciao tesoro, ti sei divertita?" mi chiese sorridente.
"Abbastanza, ma non è il mio tipo" risposi malinconica.
"Ho trovato questa sotto il tuo letto, e ti ho comprato una bella cornice" mi porse la foto di Justin a petto nudo ed io presi visibilmente colore.
"Emmh grazie papà, di che colore è?" cercai di cambiare argomento.
"Fucsia" indicò un paccheto sul tavolo.
Andai a prenderlo.
"Se hai voglia di parlare sappi che io sono qui per ascoltarti" mi tese la mano.
"Non c'è niente da dire" mi diressi in camera e mi gettai sul letto.
Dopo pochi minuti papà mi si presentò davanti.
"Ho appena ricevuto una chiamata" accese la luce.
"Dimmi tutto" lo guardai.
"Devo preparare un banchetto a Los Angeles, vieni con me?".
"Va bene"
accettai.
"Partiamo domani sera, il matrimonio è tra due giorni" si chiuse la porta alle spalle.
Mi addormentai pensando a Justin, pensando a colui che non avrei forse, per mia fortuna o per mia disgrazia, mai più rivisto.











- Spazio Autore;

Hola amigoooos, allora oggi ho una bella e una brutta notizia, beh la bella è che ho aggiornato muahahaha, mentre la brutta *suspance* . . . . . è che mancano solo pochi capitoli alla fine, perché come sapete non volevo una ff lunga, perché dopo un po' stufano, specialmente perché non si hanno più idee, perciò questa è la brutta mnotizia per le mie fans più accanite *nessunomicaga*.
Per il resto godetevi questi che ci saranno!

Adesso vi abbandono, lolololove you.

sbii


Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** ~ Justin's chapter / Capitolo dodicesimo ***


                                                         Fighting for a dream
                                         - Justin's chapter / Capitolo dodicesimo













Il mio jet privato arrivò a Los Angeles alle ore 20.30, scesi dall'aereo e mi diressi verso l'uscita, quando mi apparve una visione.
Jane.
Jane in carne ed ossa.

La seguii con lo sguardo, ma in un attimo sfuggì ai miei occhi.
Ero affetto anche da allucinazioni ormai.
Eppure era così uguale, era così bella, così una stella.
"Brò ci sei?" Ryan mi spintonò riportandomi sul pianeta terra.
"Certo coglione, non mi vedi? Andiamo a cenare che sto crepando di fame" ci fermammo da MacDonald ed ordinai i soliti nuggets da venti, tutti per me, ovviamente.
"Il piano di domani?" Chaz mi strizzò l'occhio.
Era un playboy quel cretino, niente da dire.
"Domani andiamo in giro a rimorchiare" avrei solo peggiorato la situazione, ma Jane non c'era e Los Angeles era la città degli angeli dalle angeliche pupe bionde e formose.
"Scooter non ti ha ancora avvisato vero?" rise di gusto Kenny.
"Emmh, veramente no" dissi stizzito.
"Beh domani pomeriggio alle quattro e mezza Carin ha bisogno di una mano per il ricevimento e ti passo a prendere io bel biondone" mi scompigliò i capelli.
"Lasciami stare i capelli. Io non ci vado, ora chiamo Scoot, non può obbligarmi, non se ne parla" mi allontanai dal gruppo e composi il numero del vecchio rimbecillito.
"Justin tutto ok? E' mezzanotte!" chiese preoccupato lui.
"Si nonnetto, ma ascolta domani ho un impegno e non posso venire per aiutare Carin" sperai funzionasse.
"Non attacca idiota, i tuoi impegni li coordino io, e so benissimo che domani non hai niente da fare, perciò smuoverai il culo senza troppe storie. Ci si vede" attaccò il telefono senza neanche lasciarmi il tempo di ribattere, così tornai sconfitto dagli altri, gli diedi la buona notte e mi fiondai in camera a dormire.


Uno squillo.
Due squilli.
Tre squilli.

Questo non è un sogno, è il cellulare.
Jane.
E' Jane.
Vuole tornare da me.

"Jane dimmi amore" risposi emozionato.
"Ma che Jane, sono Scooter. Alzati pelandrone, il sole è alto, gli uccellini di tua madre cinguettano ed è mezzogiorno" urlò il mio tormentatore.
"Scoot smettila di rovinarmi la vita" lanciai l'aggeggio contro il pavimento e premetti il mio viso sul cuscino.
Il mio iPhone.
Merda.

Mi alzai con uno scatto felino e notai con mia grande sofferenza di aver rotto il mio amato.
Merda.
Il mondo stava complottando contro Justin Drew Bieber ed io stavo amaramente perdendo.
Presi i vari pezzi e li poggiai sulla scrivania, indossai i jeans, la canotta bianca e le mie immancabili supra e in un attimo fui in strada assalito dalle Beliebers.
Fanculo.
Dimentico sempre che sono famoso e la gente mi assale come fossi acqua nel deserto.
Iniziai a correre come un disperato alla ricerca di un negozio di elettronica, ne intravidi uno e mi gettai dentro, chiudendomi le "pazze" dietro la porta a vetro che con mia grande fortuna riuscii ad aprire.
"Ho bisogno di un nuovo telefono" gli porsi il mio.
"E anche di un po' d'educazione" rispose il commesso.
"Mi scusi, è che sono come dire un po' nei guai".
"Paga in contanti?" mi chiese il ragazzo.
"Si grazie" estrasse la SIM dal vecchio cellulare e la inserì nel nuovo iPhone 5.
"Vuole una custodia?" prese i soldi dalle mie mani.
Feci cenno di no con la testa.
"Ecco a lei. Emmh le conviene uscire dal retro" mi mostrò una porta dalla quale vidi un taxi parcheggiato a qualche metro di distanza, a passo svelto lo raggiunsi e, anche se a pochi metri dall'albergo, mi feci accompagnare.
Ero sveglio da circa mezz'ora e già avevo visto abbastanza, avrei voluto passare il resto della giornata chiuso in quella camera, ma, puntuale come un orologio svizzero, alle quattro Kenny bussò alla porta.
"Andiamo" mi fece cenno di muovermi.
"Si un secondo" presi il nuovo telefono dal mobiletto.
"Ma?" non fece neanche in tempo a parlare che lo fermai "Storia lunga. Credimi che non vorresti saperlo".

Arrivammo in sala ricevimento dieci minuti dopo.
Era un enorme pedana in spiaggia, ornata di fiori e conchiglie, con lampioni alti circa due metri che emettevano una fioca luce così da rendere tutto più romantico.
"Ehi Carin" abbracciai la mia amica.
"Ehi" mi strinse a sé.
"Cosa devo fare?" le chiesi.
"Tu dovrai aiutare la figlia dell'organizzatore a sistemare i tavoli e le torte in quell'enorme bancone lì in fondo" indicò una ragazza dai capelli rossi voltata di spalle.
Il suo corpo maledettamente familiare.
La vidi voltarsi sventolando i suoi capelli boccolosi.
Notai il sorriso, le labbra, gli occhi, le guance.
Jane.

Quando finalmente si accorse di me cambiò espressione.
Felice.
Triste.
Amareggiata. 

Ma per me comunque perfetta.
"Tu?" venne velocemente verso di me.
"Ciao Jane" cercai inutilmente il suo sguardo.
"Ciao? Ciao? No. No. Io, io non lo sapevo. Non era nel programma. Non sapevo chi fossero gli Scooter e Carin in considerazione. Merda, merda. Papà?" urlò con tutta la voce in gola.
"Che c'è piccola?" il padre la raggiunse in un attimo.
"Tu lo sapevi?" gli rivolse uno sguardo assassino.
Rimasi immobile a guardare la scena.
Chi era diventata?
Perché non mi amava?
Jane, tesoro, torna da me.
Jane, sii mia.
Jane, amami come ti amo io.

"Cara, io e Carin l'abbiamo fatto per non vedervi più soffrire" cercò di calmarla il padre.
"Soffrire? Soffrire? Non credete che io possa soffrire di più nel vedere la faccia del ragazzo che mi ha fatto del male? Del ragazzo che mi ha spezzato il cuore? Dello stesso energumeno che un tempo diceva di amarmi" era furiosa.
"Io ti amo" dissi tutto d'un fiato.
"Beh, io non più. Ora prendi quel vaso e vieni con me, ma sappi che non dovrai rivolgermi la parola, dovrai solo ubbidire ai miei comandi" si sistemò la maglietta e torno sui suoi passi.
Jane che ti succede?
Jane non sei tu.
Jane torna.
Torna.


Passammo il pomeriggio a scambiarci sguardi impregnati d'odio da parte sua e d'immenso amore da parte mia.
Era il mio diavolo nella città degli angeli.
"Amore mi passeresti quei fiori?" mi portai subito la mano davanti alla bocca.
"Come mi hai chiamata?" mi intimò.
"Scusa ho sbagliato" abbassai lo sguardo.
"Allora non farlo più" prese una torta dal tavolo.
"No, scusa, non ho sbagliato, io ti chiamo amore perché ti amo, ti amo, ti amo da morire Jane" sperai che nessuno mi avesse sentito.
Vidi il suo corpo irrigidirsi e poi ciò che sentii fu un forte tonfo alla testa e mi ritrovai una torta spiaccicata in faccia.
"Che cazzo fai Jane?" la guardai stizzito, adesso irritato.
"Tu non mi ami, no. Altrimenti non mi avresti tradito" prese un'altra torta ma la precedetti e gliene tirai io una prima.
"Sei una cogliona, cogliona ti dico. Che cazzo! Era una scopata, una scopata facile" le tirai un'altra torta.
"Certo, mentre il mio cuore si frantumava tu scopavi. Mentre io morivo in tua assenza tu scopavi" un cheesecake mi colpì in pieno viso.
"Perché secondo te tu non mi mancavi? Ero distrutto" presi un bicchiere e lo gettai per terra.
"Tu sei distrutto nel cervello Justin" prese un piatto e me lo lanciò contro. 
"Fermatevi" Scooter ci interruppe.
Quella scena aveva dell'incredibile, del folle, ma l'amore era maledettamente folle.
"No, io lo devo uccidere" scalpitò lei.
"E io devo farle sapere quanto è ridicola".
Jane amami anche così, anche da pazzo.
Io ti amo, e tu sei come me, sei pazza.

"Adesso, se il padre di Jane è d'accordo, voi due rimarrete qua a pulire tutto mentre noi andremo a casa. Appena finite vi fate una doccia là dietro e tornate a casa. Fate gli adulti" andarono via lasciandoci da soli.
"Io con te non chiarirò" mi lanciò uno sguardo di sfida.
"Ma chi vuole chiarire, sei una psicopatica" raccolsi il primo pezzo di vetro da terra.
"Bene, allora tu pulisci la tua parte e in doccia, dato che sono comunicanti, manterremo il silenzio, ciao" e così si voltò non rivolgendomi parola.

"Mi passi il bagnoschiuma?" chiesi con la massima attenzione a non proferir troppe parole.
"Non hai le mani?" continuò a sciacquarsi senza fare caso a me.
"Beh, allora devo venire nella tua doccia" le feci l'occhiolino.
"Tanto mi odi e ti faccio schifo" ruppe una bollicina di sapone. 
Varcai la soglia della sua doccia ed ebbi quasi un mancamento.
Era più bella del sole.
Era il sole.

Mi abbassai per prendere il bagnoschiuma quando la vidi osservarmi.
"Non ti facevo schifo?" la guardai sottecchi.
"Può darsi. Ma tu mi odi, quindi non cagarmi no?" fece spallucce.
"Se ti odiassi non farei questo" non le diedi il tempo di spostarsi e mi impadronì delle sue labbra.
Baciami Jane, non smettere mai.
Baciami fino a prosciugarmi le labbra.
Baciami fino a farmi impazzire, ma baciami per sempre.
La sua lingua così calda, così familiare eppure sempre nuova, sempre nuova per il mio cuore.

"Non lasciarmi" le sussurrai in un orecchio.
"Io ti ho già lasciato" si staccò da me con un sorriso beffardo, indossò l'accappatoio e uscì dalla doccia, lasciando me e un baciò a metà.































~ Spazio Autore

Okay Okay, non uccidetemi vi preeeeego.
Tipo non aggiorno da due mesi, ma mi serviva ispirazione, mi serviva bisogno d'amore e io queste due cose le ho quando sono depressa, riesco a scrivere sotto depressione e quindi eccomi qui. Cioè sono come la swift e Adele, una persona triste è più creativa LOL, basta cazzate dai.

Allora come informate tipo due mesi fa rimanevano pochi capitoli quindi è di mio dovere dirvi che questo è il terzultimo e che ce ne saranno solo altri due, spero che qualcuno caghi la mia storia e che le vecchie persone ci siano ancora e bona niente, vi amo tanto ragazze, ciaaauZ.

sbii 

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** ~ Capitolo tredicesimo ***


                                                                          Fighting for a dream
                                                                           - Capitolo tredicesimo












“Jane aspetta, io non riesco a stare senza di te, tu sei come la musica, sei la mia chitarra ecco cosa sei, ed io senza la mia chitarra non so stare” Justin mi raggiunse in accappatoio in riva al mare.
Avevo trovato il mio posto tra le sue braccia, avevo perso quel posto e adesso che stava per tornare avevo paura, paura di soffrire ancora, di dover piangere altre lacrime amare.
“Sarò la tua chitarra, ma mi hai tradito con il pianoforte” era stupido continuare a mentire, io l'amavo, l'amavo come ron ama hermione, come woody il suo cappello, come un ubriaco ama il suo bicchiere di vodka. Avevo provato la disintossicazione, ma l'amore persiste nel tempo, perdura nella sabbia, purtroppo, o per fortuna, l'amore non è biodegradabile.
Continuai a camminare per la spiaggia senza voltarmi indietro, seguita da Justin.
“Jane fermati, sono le dieci e mezza di sera, siamo in spiaggia da soli, ti prego dammi un'occasione” era strenuato dal continuo avanti e indietro.
“Un'altra occasione? Justin io non voglio stare male. Mi avevi promesso che sarebbe andata bene, mi avevi promesso che ci saresti stato, tu, ti ricordi? Sei lo stesso ragazzo che accompagnato da una chitarra promette alla sua ragazza di prenderla in caso di caduta?” ero stufa di lottare, ero stufa di distruggere l'amore.
“Jane e se questa volta fossi caduto io? Sono un ragazzo, ho diciotto anni, passerò il resto della mia vita a sbagliare e a rimediare ai miei sbagli, ma so che tu, tu sei la cosa migliore che mi sia capitata, tu mi dai la forza di continuare a sognare, forse perché adesso sei tu il mio sogno, ma non ho intenzione di farti soffrire, perciò vai, lasciami, abbandonami” Justin si sedette per terra ed affogò il viso tra le lacrime.
Cos'è la vita senza amore e perdono?
Aiutami Justin, non farmi affogare, non farmi sprofondare in fondo all'oceano, non far gelare il mio cuore.

Eliminai tutto ciò che in quel momento copriva il mio corpo; mi tolsi la maglietta, gli short e la biancheria, e per una volta cercai di seguire l'istinto.
Mi gettai nelle tiepidi acque di quel mare sconfinato, nuda, senza pensieri, io e Justin che osservava ogni mio movimento dalla sua postazione in riva al mare.
Mi avvicinai a lui, vestita solo di acqua marina, e come una sirena lo feci mio, presi il suo volto tra le mie mani e mi lasciai andare a ciò che più desideravo. Lo spogliai del suo unico indumento e lo portai con me in acqua.
“Ho paura degli squali lo sai” sembrava quasi incredulo.
“Io ho paura di te, eppure mi sto lasciando andare” strinsi la sua mano e insieme ci dirigemmo verso le acque più profonde.
Solo la luce della luna illuminava i nostri corpi; conoscevo a memoria qualsiasi suo addominale, conoscevo ogni singola cicatrice che solcava il suo corpo, conoscevo forse lui meglio di me, ma quella notte avrei conosciuto anche me stessa, la ragazza che mi terrorizzava, quella capace di prendere le iniziative, e lui era la mia iniziativa, la mia salvezza.
Baciai il suo collo per svariati minuti, accarezzando contemporaneamente i suoi morbidi capelli biondi, passai a stuzzicare gli addominali senza mai abbandonare il suo collo.
“Grazie Jane” sussurrò tra un brivido di piacere.
“Ssssh, fa che questa notte sia solo nostra e che il nostro amore non sia accompagnato da parole” cominciai a baciare dolcemente le sue candide labbra.
Ad un certo punto sentimmo provenire in lontananza una musica quasi leggiadra e piccoli fuochi d'artificio si intravidero.
“Questa notte non ci saranno errori, non ci saranno partenze, ci saremo solo noi due, e a quanto pare qualcun altro sta festeggiando”.
Mi prese in braccio e mi adagiò sul bagnoasciuga, si mise a carponi sopra di me ed iniziò a disegnare piccoli cerchi tra l'incavo del mio seno, mentre io gustavo il piacere crescere dentro di me. Con lo stesso giochetto appena intrapreso da Justin, iniziai a disegnare piccoli cerchi sulla sua schiena sentendo adesso il suo sesso protrarsi verso di me. Cercò di intravedere se sul mio viso ci fossero segni di disappunto, così per eliminare il pericolo feci semplicemente cenno di iniziare quella magnifica operazione che avrebbe reso di nuovo lui mio, ed io sua.
Entrò, quasi con paura, dentro di me.
La prima volta fu magnifica, eravamo io e lui, era il nostro 'ciao' ed il nostro 'arrivederci', era intriso d'amore quanto di sofferenza, adesso era semplicemente un 'bentornato per sempre', era un 'non abbandonarmi', era un 'eccomi, mi fido di te'.

Arrivammo all'orgasmo con calma, volevamo goderci ogni singolo movimento del nostro corpo e così fu.
Appena finimmo mi sdraiai accanto a lui e continuai ad accarezzargli una spalla.
“Sai, credo che non tornerò in Italia” vidi un sorriso spuntargli sul volto.
“E tua madre?” chiese.
“Capirà, qui ho mio padre, magari viene anche lei e tutto potrebbe ritornare come un tempo” gli baciai la spalla.
“Beh, in questo caso io sono qui e ci sarò finché il respiro mi darà vita”.
“Lo so, adesso lo so” mi prese per mano.
“Credevo di averti perso” respinse una lacrima.
“Credevo anche io così tante cose Justin. Eppure sai cosa so adesso? Esattamente niente, so che sono qui, nuda, accanto al ragazzo che amo, e abbiamo appena finito di far l'amore e sono felice”.
“Il mio amore è come una stella, non sempre puoi vedermi ma ci sono comunque” mi baciò la mano.
“Non si rubano le frasi a Demi, la chiamo e ti denuncio per plagio” risi, e dopo tanto tempo lo feci di gusto.
“Beh rendeva bene dai” continuammo a ridere per un po', fin quando non appoggiai la testa sulla sua spalla e accompagnata dal suo canticchiare mi addormentai.














~ Spazio Autore

Lo so, vi verrebbe voglia di mangiarmi perché sono una patatina che pubblica capitoli in fretta ultimamente, ma. . la vostra felicità verrà placata dalla mia cattiveria; come potrete notare questo capitolo non è lunghissimo, proprio perché mi serviva qualcosa per arrivare alla fine, bene, il prossimo capitolo sarà l'epilogo perciò in poche parole questo è l'ultimo capitolo. 
Spero di pubblicare presto l'epilogo finale e vi ringrazio per non avermi lasciato priva di recensioni, davvero grazie mille! 

Alla prossima,

sbii

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** ~ Epilogo ***


 

                                                                            Fighting for a dream
                                                                                        Epilogo


                                                                                                                                                                 23 Marzo 2013.




Justin non vedeva Jane da ben tre mesi, dopo l'ultimo incontro a Los Angeles il padre l'aveva costretta a tornare a Roma per finire gli studi, così Justin e Jane avevano accettato la distanza a malincuore, sentendosi giorno dopo giorno, contando i mesi, le ore, i minuti, che mancavano alla prossima visita della popstar in Italia, e finalmente quel tanto aspettato giorno era arrivato.
Justin atterrò a Bologna alle otto del ventitré marzo, con la sua crew si diresse all'arena e iniziò le solite prove; avrebbe visto Jane il giorno successivo, sarebbero stati insieme sotto le stelle, e si sarebbero scambiati, finalmente, altri sguardi intrisi d'amore.
“Justin io vado a fare delle commissioni” Scooter salutò Justin.
“Va bene, a stasera” urlò Justin, cercando di sovrastare il rumore della base musicale.
In parallelo Jane stava affrontando un'altra lunga e noiosa giornata di scuola; dopo il ritorno della ragazza in Italia, nessuno le aveva più fatto del male, e le giornate se pur buie e sole, prendevano un'aria più felice quando alla sera, acceso il pc, il suo ragazzo le sorrideva e le mandava piccoli baci su Skype, ma quel giorno sarebbe stato diverso, le avrebbe sorriso in faccia, e il suo profumo avrebbe penetrato le sue narici, dopo ben tre mesi.
Quando suonò la campanella, si diresse correndo negli spogliatoi della scuola, indossò i jeans scuri a sigaretta, la camicetta azzurra con piccoli fiori bianchi, e con le sue Dr. Martens ai piedi uscì dall'edificio e raggiunse la BMW nera parcheggiata in fondo al vialetto.
“Ciao Scoot” aprì lo sportello Jane.
“Ehi Jane, ma. . Ti sei tinta i capelli di biondo?” Scooter le scombinò i capelli con la mano.
“Dai Scoot, i capelli i capelli, smettila” disse divertita lei.
“Sei proprio uguale al tuo ragazzo” la lasciò andare lui.
“Allora come sto?” si mise in posa.
“Sei bellissima, ora allaccia la cintura che siamo in ritardo”.
Erano le 16.15 e una BMW stava sfrecciando per le autostrade da Roma a Bologna, mentre in un'arena, un biondo canadese stava finendo il soundcheck con le venti beliebers fortunate.
“Justin, chi sarà la OLLG di stasera?” chiese una ragazza dai capelli neri.
“Chi lo sa, non lo decido io, per me voi siete tutte le mie OLLG, ma non ci stiamo tutti sul palco” sorrise lui.
“Justin, ti amo” urlò una belieber in lacrime.
“Sali sul palco” la incitò il biondino.
La ragazza salì sul palco e Justin l'abbracciò.
“Ragazze voglio dirvi una cosa; Senza di voi io non sarei qui, credetemi quando vi dico che siete tutto quello che ho, quando vi ringrazio, o quando vi dico che vi amo, perché senza di voi il mio sogno non si sarebbe realizzato, voi vi fidate di me, ci avete creduto in me, ed io mi fido di voi e credo in voi, e se il vostro sogno è quello di abbracciarmi, sappiate che prima o poi, ad una ad una io vi abbraccerò, e per quel minuto voi sarete mie come avete sempre sognato” si asciugò le piccole lacrime che spuntarono sul suo viso e diede un ultimo bacio alla belieber, lasciando poi il palco e iniziando a prepararsi per il concerto.

“Dov'è Scooter?” urlò Justin dal suo camerino.
“Non lo so Justin, calmati” cercò di tranquillizzarlo Carin.
“Ha il mio cubo di Rubik, non posso esibirmi senza toccare il cubo” iniziò ad ansimare lui.
“Tieni Justin, Scoot l'ha dato a me, basta chiederlo” Ryan glielo lanciò dal divano.
“Dio grazie” Justin tirò un sospiro.
“Bene, ora andiamo, siamo in ritardo” Carin lo spinse per la spalla e insieme si diressero verso il palcoscenico.

 

“Scoot siamo in ritardo” Jane finì di truccare gli occhi, alla bella e meglio nello specchietto della macchina.
“Tranquilla, tu devi entrare alle ventidue, siamo arrivati” Scooter parcheggiò dietro l'ingresso e insieme i due ragazzi si diressero nel backstage.
“Jaaaaane” Alfredo prese la ragazza per i fianchi e le fece fare un giro su sé stessa.
“Abbracciami Jane” Ryan raggiunse la mischia.
“Janeeee” Carin raggiunse la troupe e il resto della crew la salutò da vicino il palco non potendo allontanarsi.
Carin accompagnò la ragazza, appena arrivata, in bagno, le fece sistemare i capelli dalla parrucchiera e insieme iniziarono ad aspettare il loro momento dietro la tenda del palco.

 

“Bologna, date il benvenuto alla mia OLLG di stasera!” Justin aprì la tenda e si ritrovò davanti la sua Jane, la sua amata Jane. Quasi scioccato, e in preda alle prossime lacrime, la prese tra le braccia, la strinse forte a sé per non farla scappare mai, e la portò con se sullo sgabello.
I loro occhi, gli uni in quelli dell'altro.
I loro volti così vicini.
Uno.
Due.
Tre.

Justin la baciò sulle labbra; un bacio veloce, sfuggevole, ma intriso d'amore.
Lasciò il suo sguardo, e lo rivolse al pubblico iniziando a cantare.
Jane aveva finalmente raggiunto il suo amore, il suo sogno.

Le sue braccia cingevano il suo corpo, le sue mani sfioravano le sue gote arrossate e lentamente Jane vide il suo viso avvicinarsi al proprio orecchio per un dolce sussuro: "Sei la mia one less lonely girl piccola, sono qui per farti sentire al sicuro, non piangere perché le tue lacrime oscurano il tuo meraviglioso fragile sorriso".













~ Spazio Autore

Zazaaaaaan, ok, niente lacrime, lo so, è finita, la disperazione vi sta mangiando vive, adesso vi ucciderete ecc ecc ecc ecc, ma insomma cosa ci possiamo fare? Niente dura per sempre, tutto ha una fine, e anche per questa storia è arrivato il suo tempo. . OK BASTA CAZZATE LOL

Non so da dove cominciare, sono quasi emozionata, ho iniziato questa storia a Giugno, avevo paura che non potesse piacere a nessuno e invece guardo tra le recensioni e ce ne sono 135 fino al 13esimo capitolo, più di duemila visualizzazioni, capite che sono emozionata, fiera di me, ma vi ringrazio tutte, una per una, e per favore lasciatemi una recensione, anche chi non l'ha mai fatto, per favore, fatemi sapere cosa ne pensate!

Tornerò, promesso,

Ciauz

sbii

 

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1159886