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di lispeth_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue ***
Capitolo 2: *** Not on my way ***
Capitolo 3: *** Untitled book ***



Capitolo 1
*** Prologue ***



Entrò nella mia vita un grigio giovedì di novembre. Un giovedì qualsiasi, come ce n’erano stati centinaia prima di allora.
Il caldo del termosifone della biblioteca mi faceva arrossare le guance di un colore innaturale. Sembrava che fossi l’unica ad avere così caldo in quel posto. Schiere di studenti seduti ai tavoli sfogliavano i loro libri di testo cogliendo solamente frasi sconnesse che probabilmente non li sarebbero servite a nulla per passare l’esame imposto da ogni professore prima delle vacanze natalizie. Ero lì per lo stesso motivo, ma preferivo studiare in riva al fiume dove gli unici rumori che potevano disturbarmi erano le macchine di passaggio e non gli iphone vibranti dei ragazzi annoiati. Ed è in quel momento che lo incontrai, tirato a lucido come un modello di copertina. Era appoggiato allo stipite della porta e fissava il cielo come se riuscisse davvero a coglierne qualcosa di inaspettato.
«Dicono che in qualche angolo del cielo si celi il nostro futuro» dissi improvvisamente senza tentare un approccio normale tra ragazzi. Ma ero fatta così, nulla era del tutto normale in me e spesso ne traevo vantaggio da quella mia condizione. Le spalle del ragazzo si irrigidirono immediatamente turbate dalla mia entrata in scena inaspettata.
«Non è sempre un bene conoscere il proprio futuro. Sarebbe troppo facile o troppo difficile a seconda dei punti di vista» disse il ragazzo voltandosi verso di me e mostrandomi finalmente il suo viso perfettamente abbronzato dall’ultimo sole di fine autunno.
«A prima vista può essere tutto terribilmente troppo facile, solo dopo ci si accorge della complessità del mondo ma penso che sapere il proprio futuro non sia così malvagio anzi ci aiuterebbe nelle scelte»
«Oppure semplicemente limiterebbe le tue scelte» fece una smorfia che non avevo mai visto in nessun ragazzo, era terribilmente audace e impacciato nello stesso momento che lo avrei abbracciato lì,subito, davanti a tutti. Semplicemente perchè lui era diverso. Nonostante il suo aspetto ordinario lui mi capiva.
«Comunque io sono Storm piacere di conoscerti» mi disse con un sorriso famigliare. Lo era terribilmente anche se scavando nella mia memoria non riuscivo a ricordare assolutamente niente che avesse a che fare con il suo sorriso o con il suo nome. Storm. Come la tempesta estiva che lasciava il nulla al suo passaggio.
«Io sono Winter» risposi con un cenno della testa rimettendomi a guardare il cielo leggermente annuvolato.
«Lo so» disse solamente con un sorriso amaro che prosciugò tutto il suo fascino.

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Capitolo 2
*** Not on my way ***


«Signorina Jones! Vuole partecipare anche lei alla lezione?» la voce acuta della professoressa Chance interruppe  i miei pensieri rivolti a qualcosa che sicuramente non aveva a che fare con la lezione. Perchè ripetere sempre la stessa solfa ogni anno? In fondo nessuno stava effettivamente seguendo la lezione. Tranne Tracy. Oh Tracy era in grado di leccare il culo a chiunque pur di avere una bella pagella per il college. Non mi interessava il mio futuro, almeno era troppo presto per pensarci. Se avessi dovuto decidere in quel momento probabilmente mi sarei indirizzata verso veterinaria nonostante la settimana prima avessi urlato al mondo che odiavo gli animali. La mia vita non era fatta di piani, in fondo non venivano mai rispettati.
«Certamente» risposi con un sorriso smagliante che sembrò bastarle.
Emily Chance, un cognome che dava una certa speranza a noi poveri studenti del suo corso; in realtà era la professoressa più stronza della scuola. Si nascondeva dietro a un paio di occhialetti rossi con montatura da film porno e si presentava ogni giorno con la scollatura al vento. La sua camminata imitava Angelina Jolie nel film The Tourist anche se l’effetto era completamente l’opposto: sembrava una sessantenne in cerca di attenzioni che camminava storta a causa dei tacchi troppo alti.
Riprese la sua spiegazione sui minerali, qualcosa a che fare con polimorfia o qualcosa del genere. A volte mi chiedevo che cosa ci trovassero di affascinante nei sassi?
Insomma perchè non concentrarsi in qualcosa di più serio come la psicologia? O almeno su qualcosa di animato che sapesse almeno parlare.
Pensare troppo all’inutilità di quella materia non l’avrebbe certo cancellata dalla faccia della terra quindi ripresi a fissare la lavagna con un sorriso finto-soddisfatto sulla faccia.
Winter Emma Jones era il mio nome intero. Ma odiavo terribilmente il mio secondo nome che non lo usavo mai da nessuna parte, avevo vietato i miei genitori a inserirlo in qualche carta burocratica che mi riguardasse.
Emma dava troppo l’idea di ragazza con il mondo ai suoi piedi. Sicuramente doveva essere stata una regina o qualcosa del genere, me la immaginavo nel suo vestito gonfio di orgoglio di una tinta tendente al rosa ma adornata da un nome con accento francese.
Winter invece richiama a qualcosa di più freddo, più sinistro nonostante non abbia niente a che fare con la sottoscritta. La gente tremava nel ripetere il mio nome, mi faceva sembrare una tiranna senza nemmeno aver aperto bocca. Ma era meglio così, meglio essere temute che scernite. Certo l’effetto non era uguale per tutti, sarebbe stato troppo bello non essere considerata da nessuno nella scuola o nella vita in generale, ma era un livello di indifferenza che potevo benissimo sopportare.
No, state sbagliando. Non stavo per essere accettata nella più importante scuola di magia e stregoneria e state certi che non mi lasciavo abbordare da uno stupido vampiro luccicante che non scopa da più di cento anni. Non ero nemmeno una ragazza difficile che improvvisamente piaceva a tutti. No, quella non ero io.
Avete presente una ragazza normale? Una di quelle che non fa niente per salvare il mondo e che non ha voglia di studiare? Bè quella ero –e sono ancora- io. Qualcosa di noioso che sicuramente non suscita interesse ai nostri lettori ma scusate non posso certo raccontar balle solamente per costringervi a continuare a leggere.
 
La campanella strillò improvvisamente  facendomi sobbalzare. Quel suono significava che era finita quell’assuefante lezione di geologia o quello che era. Mi alzai comunque controvoglia dal mio banco, ormai avevo preso confidenza con la mia sedia ma venni trascinata fuori dalla marea di studenti che non vedeva l’ora di andare a mangiare. I miei libri finirono rumorosamente sul tavolo facendo tremare la zuppa che ci avevano propinato quel giorno. Dovevo decisamente darmi una svegliata, sembravo essere una morta di fame che non amava se stessa e il mondo.
Per migliorare la situazione arrivò Samantha. La spumeggiante Samantha con una massa di capelli rossi e un viso pieno di deliziose lentiggini che circondavano il suo sorriso troppo bianco per appartenere ad un’adolescente. A lei non serviva parlare, anzi non lo faceva poi così spesso, le bastava semplicemente sorridere al mondo ed esso le dava tutto ciò di cui aveva bisogno. Leggermente invidia faceva. Insomma chi di noi non ha mai desiderato avere una vita stipata di favori e regali?
Desideri qualcosa e ti viene dato all’istante senza nemmeno darti il tempo di spegnere le candelline o di aprire gli occhi. Ti passa anche la voglia di desiderare sinceramente.
«Come è andata con la Chance mi hanno detto che ti ha beccata fantasticare» mi disse la sua voce melodiosa come un’arpa accordata alla perfezione. Si mise a decifrare la tabella nutrizionale del suo yogurt alla fragola. Ecco, un suo difetto era proprio quello: guardava le calorie di ogni singolo alimento che ingeriva in quel corpicino esile fino allo stremo. Prendeva troppo sul serio la sua forma fisica, ma quello solo perchè proveniva da una famiglia di atleti che miravano alla perfezione ogni secondo della loro vita. Nonostante questo Samantha faceva parte di quel 30 % di persone che amavano la propria vita ed erano felici; il restante 70 % fasciava tutto il resto del mondo.
«Si ma niente di così esaltante. Mi ha beccata a bocca aperta con bava alla bocca mentre sognavo Brad Pitt» dissi con un piccolo sforzo ficcandoci dentro dell’umorismo che faceva bene a piccole dosi la mattina. Riuscii a rendere visibile nuovamente il suo sorriso mentre le sue unghie curate aprivano lo yogurt con la velocità di un bradipo zoppo.
«Hai notato che oggi sono troppo silenziosi?» disse leccando rumorosamente la linguetta di alluminio pregustandosi la parte migliore del suo pranzo. Mi guardai attorno e notai che tutti erano composti ai loro tavoli. Mangiavano talmente lentamente e silenziosamente tanto da pensare che qualcuno fosse morto o che il preside avesse messo un ordine di restrizione ai fumatori entro il perimetro scolastico. Alzai le spalle con indifferenza decidendo che fosse più plausibile la mia seconda ipotesi in fondo il nostro preside odiava talmente tanto i fumatori che gli avrebbe sterminati con un mitragliatore, preferiva la prigione piuttosto che morire in mezzo al fumo e gli davo abbastanza ragione, tranne per lo sterminio ovviamente. Ripresi a giocare con un pezzo di qualcosa dentro al mio piatto. Sembrava un pezzo di osso di qualche animale innaffiato per bene dal brodo di carne , le scaglie di formaggio grana scaduto da due giorni erano stati messi apposta per nasconderlo ma l’avevo beccato senza alcun problema e non avevo alcuna intenzione di morire avvelenata.
«Cindy Harper è sempre stata così sexy?» mi chiese nuovamente Samantha squadrando per bene la ragazza al tavolo di fianco. Capelli biondi, occhi azzurri e una stupida risata, certo se sei un tipo a cui piacciono le oche, Cindy è sicuramente la persona della tua vita anche se il suo nome ricorda più un nome per assorbenti interni.
«Da quando ti interessa?»
«Mhm solo oggi ho notato che si è messa la minigonna» nemmeno una mente tanto intelligente come quella di Samantha era arrivata a capire che Cindy si era messa quella gonna solamente per essere osservata nonostante le sue gambe fossero storte e ossee. Ma Sam sembrava rapita dai suoi gesti e dal modo in cui si controllava il lucidalabbra allo specchietto. Dovevo veramente farle capire quali erano le persone al suo livello altrimenti sarebbe finita con la ragazza sbagliata.
«Andiamo stai parlando sul serio? Cindy? La ragazza spazzolino? Sinceramente il mio spazzolino dura di più della sua disponibilità a darti la sua vagina...e poi ci sono ragazze più belle per te Sam...decisamente più intelligenti» era uscita da una storia di due anni con una ragazza più grande che veniva da Brooklyn. Si chiamava Gwen e avevo imparato a capirla solamente quando aveva deciso di andarsene via e mollare la mia amica come una vecchia scarpa con i buchi. Mi sarebbero mancati i suoi assurdi orecchini con le piume e il suo neo a forma di cuore vicino alla bocca.
«Per una volta decido di ascoltarti, ma solo perchè sei mia amica»
«Alleluja» dissi alzando le mani al cielo in segno di ringraziamento divino. Era una delle poche volte in cui decideva di ascoltarmi, doveva essere davvero un giorno diverso dagli altri nonostante non avesse nulla di diverso rispetto a quello precedente. O forse era semplicemente un segno che stava per succedere qualcosa di inaspettato.
Come se quella teoria fosse pienamente fondata la porta della mensa di aprì con un tonfo che fece eco per tutta la stanza trasportando un po’ di quell’aria gelida di una giornata di settembre.
William Clarke aveva fatto la sua appariscente entrata in scena, proprio come da copione e il suo pubblico è in completa adorazione.
Castano chiaro, occhi piccoli di un colore insignificante e un passo da vip sbronzo per la metà della giornata, Will non era altro che il più pomposo e egocentrico ragazzo della nostra generazione. Era assurdo come si sentisse la puzza del suo ego immerso nel dopobarba di marca anche da un kilometro di distanza.
No se state pensando a quello che penso io, siete completamente fuori strada.
Non era certo mia intenzione cambiare il carattere di quel povero ragazzo perduto con il bacio del vero amore. Il mio obbiettivo era quello di stargli lontana il più possibile, la mia vita si era incrociata anche troppo con la sua in passato. Sbagli di gioventù si chiamano.
E Will lo era stato, un’irresistibile sbaglio che mi aveva resa uguale alla maggior parte di tutte le ragazze della scuola. Io uguale a cindy Harper? Mi veniva un conato di vomito al solo pensiero.
Persone come me e William non erano destinate a stare insieme o il destino dovrebbe prendersi una bella sbronza per decidere una simile eresia.
Primo: io e lui eravamo l’opposto, e la puttanata degli “opposti si attraggono” è infondata siccome due persone diverse si detestano.
Secondo: lui è di natura odioso, un adorabile antipatico...un sexy stronzo. Ok è meglio finirla all’istante prima che mi fotta tutte le mie decisioni mentali nei suoi confronti solamente con una frase.
Mi girai verso Narciso e come c’era da aspettarsi si stava specchiando su un cucchiaio di metallo. La prevedibilità era così  esatta su di lui. Se fosse stato per lui le pareti della scuola sarebbero state più belle ricoperte di specchi.
Specchi che avrebbero ritratto la sua travolgente bellezza totalmente sprecata.
«Non vi vedete più tu e il simpaticone?» mi chiese Sam cercando di essere il più disinteressata possibile riuscendo comunque a farmi sfuggire un sorriso divertito da quella situazione.
«Ho la faccia di una che esce don William Clarke per caso?» le chiesi sarcastica puntandomi il dito indice su al petto assumendo una posa da copertina di supermodelle dimenticate. Sam rise di gusto pensando di aver fatto la domanda più stupida al mondo e probabilmente era così ma poche volte ci divertivamo in quel modo, quindi lasciai che le nostre risate interrompessero l’entrata trionfale con tanto di colonna sonora del nostro protagonista.
«Seriamente che è successo tra di voi?» mi chiese Sam tra una risata e l’altra.
Uno sguardo acido mi trafisse direttamente la spalla e mi accorsi che Will si era fermato a guardarci con pugni stretti e l’aria di un toro pronto a scattare.
«Diciamo che non eravamo sulla stessa lunghezza d’onda e poi dai persone come lui vanno bene solo a sè stesse» dissi mimando un inchino in segno di scuse al ragazzo dall’altra parte della stanza che decise di sedersi al suo tavolo lisciandosi i capelli e riprendendo a parlare probabilmente di sè. 

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Capitolo 3
*** Untitled book ***


Come poteva essere una persona così odiosa? Mi faceva tendere i nervi solamente a dodici metri di distanza, se si fosse avvicinato in quel momento probabilmente mi sarei messa a urlare per tutta la mensa senza nessun problema di tutta la gente che vi era presente.
«Pensa davvero di essere attraente con quel paio di pantaloni? Andiamo gli strizzano il sedere come un omosessuale in una palestra. Certo non ho niente in contrario con quel genere di uomo ma insomma un po’ di pudore è necessario, soprattutto a scuola» mi lamentai mentre continuavo a infilzare la mia carota ormai diventata vittima del mio nervosismo.
Era sempre la stessa storia da tempo. Lui si presentava nel mio piccolo mondo e io diventavo peggio di un serial killer appena uscito di prigione. Probabilmente in quei cinque minuti avevo inscenato la sua morte almeno in cinque ambientazioni diverse.
«Datti una calmata Psycho Killer, cerchiamo semplicemente di cambiare discorso. Per esempio oggi sono capitolata a culo per aria davanti a tutta la scuola» disse semplicemente Sam inventandosi la prima fandonia che potesse per un secondo smetterla di incenerire con lo sguardo la nuca di William. A malincuore lo smetto di fissare e mi concentro sulla mia amica.
«Deve essere stato terribilmente deleterio per la il tuo status sociale» la mia voce sarcastica ormai era un mio marchio. Dove c’era il sarcasmo c’era Winter Jones mentre non ero del tutto sicura del contrario.
«Oh lascia perdere, perfino quella sfigata di Elyse si è messa a ridere. Ma dico si è mai guardata allo specchio ultimamente? Con quell’orrendo brufolo che ha in mezzo alla fronte. E comunque non è finita qui: William Clarke, mi ha chiesto di uscire con lui» disse Sam cercando di non mettersi a ridere di gusto come faceva anche troppo spesso. La guardai sbalordita.
Meno male che dovevamo cambiare discorso brutta stronza!
«Non ci credo! Quell’uomo ha esaurito ogni sua facoltà mentale, si vede a distanza che tu sei lesbica»
«E’ una cosa che si nota così facilmente?»
«Non lo so. Ma la prima volta che ti ho vista l’ho pensato immediatamente senza concentrarmi specialmente su qualcosa nel tuo aspetto. Semplice istinto sessuale, se si può chiamarlo in questo modo» alzai le spalle facendo ridacchiare la mia amica. Non riuscivo a intendere se fossi realmente simpatica o se ogni cosa che dicessi la facesse sempre ridere. Non era divertente sentirsi normali e stupidi nello stesso momento.
«Potrebbe rivelarsi un incontro interessante. Potrei metterlo in difficoltà come mi piace fare. Ti ricordi quel tizio con cui sono uscita con delle disfunzioni sessuali?»
«Sam, quel tizio aveva solo problemi di incontinenza. Certamente non ha niente a che fare con William.»
«Ah allora il ragazzo è dotato!»
«Ti posso assicurare che sei fuori strada» dissi soffocando una risata e diventando leggermente rossa sulle guance. Non arrossivo spesso, e soprattutto non parlando di quegli argomenti. Mi succedeva solamente quando ero troppo a mio agio a parlare di qualcosa, decisamente un controsenso nel vero significato del gesto.
«Peccato, magari mi faceva cambiare idea» guardai male Sam la quale non sarebbe diventata etero nemmeno se Alex Pettyfer in persona gli avesse ballato nudo davanti. E poi William non era quel genere di ragazzo del quale ti innamori perdutamente, non aveva la faccia da romantica storia d’amore.
Avevo quella teoria che due persone per essere perfette l’una con l’altra dovevano semplicemente riconoscersi al primo impatto. Non c’entra il colpo di fulmine o altre stronzate varie ma una semplice consapevolezza di essere di fronte alla persona adatta a te e che probabilmente potrebbe essere quella della tua intera vita.
Stronzate da ragazzina? Pensatela come volete, era la mia unica teoria sull’amore.
Finimmo di mangiare quello che era rimasto nei nostri vassoi ed uscimmo dalla mensa a passo spedito verso il parco. Il nostro posto era completamente vuoto e non ci pensammo due volte ad occuparlo.
«Con chi vai al ballo della scuola?» mi chiese Sam accendendo l’ennesima sigaretta giornaliera.
«Non c’è nessun ballo Sam» le risposi decisamente stranita dalla sua domanda. Lei come risposta si mise a ridacchiare come al solito tenendo in equilibrio tra le labbra la sigaretta mentre era in cerca del suo cellulare nella tasca dei suoi pantaloni troppo stretti.
«Non so, di solito le ragazze della nostra età parlando di queste stronzate. Effettivamente questo liceo è una vera palle, è l’unico che non organizza una vera festa di fine anno»
«Dobbiamo fare la parte dei ricconi con la puzza sotto il naso. Siamo superiori alle feste di fine anno con ponch corretti e vestiti da matrimonio»
«Bè magari a qualcuno piacerebbe mettersi uno di quei vestiti pomposi»
«Sam ti prego! Non mi diventare superficiale come la maggior parte delle ragazze in questa scuola, potrei non parlati più»
«Non ti abbandonerò mai socia» mi diede un leggera spinta che mi sbilanciò leggermente dalla mia posizione.

Il ritorno a casa non fu poi così tranquillo come speravo. L’autobus era più pieno del solito e una vecchietta aveva deciso di usarmi come porta borsa per tutta la durata del viaggio facendo finta di non avermi notata. Parlavamo di rispetto per gli anziani? E il rispetto per i poveri giovani senza mezzo di trasporto privato ne volevamo parlare? Entrai in casa con umore nero sbattendo leggermente la porta, questo non servì per rendere partecipe la mia famiglia del mio arrivo. Trovai conforto nel mio letto, nelle morbide coperte appena lavate che profumavano di lavanda. Mi fiondai su di esse tirando una sorta di sospiro di sollievo.
Trovai conforto tra le pagine ingiallite dal tempo del mio libro preferito. Non aveva un titolo in particolare, la copertina si era rovinata a causa delle intemperie. Non sapevo nemmeno chi fosse l’autore. Mi ero però trovata a leggerlo diverse volte tutto d’un fiato. Per tutta la notte, se era necessario non mi scollavo da quelle pagine intrinseche di sentimenti troppo antichi per appartenere alla nostra società. Era un libro che mi aveva regalato mia nonna prima di morire. Me lo aveva piantato in mano dicendomi che mi avrebbe aiutata nella vita. Come poteva un libro aiutarmi non lo sapevo ancora. L’unica cosa che aveva fatto in quel periodo era evitarmi la noia del troppo silenzio della mia casa.
La storia non era complessa. Parlava di una ragazza che riusciva a trovare il vero amore, qualcosa di talmente perfetto da sembrare quasi impossibile. Perde tutto improvvisamente ma nonostante tutto prosegue nella sua vita come se non fosse stata toccata dall’accaduto. La sua fortuna è quella di riuscire a ritrovare il suo amato senza alcun sforzo, si sposano, hanno dei figli e poi lui lascia lei per una ragazza più giovane.
Vi aspettavate un lieto fine alla “e vissero felici e contenti”? Andiamo ne esistono di libri che propinano quella stronzata nelle ultime pagine.
Mi avevano fatto capire che l’amore, quello vero esisteva ma era concesso a pochi. E poche persone erano veramente fortunate a trovarlo. Era il problema delle ragazze di quel secolo a pensare di essere le “prescelte”. Purtroppo per loro l’amore era come l’influenza, capitava per caso o dopo un’esposizione prolungata al freddo.
«Winter?» la voce di mia madre interruppe i miei pensieri. Chiusi il mio libro e lo lasciai riposare sul mio letto.  Emily Redwood era la donna più incasinata del mondo, oltre ad essere mia madre. Artista di professione, single per scelta e con una massa di capelli ricci che la facevano sembrare un leone appena alzata dal letto. Quel giorno aveva trascinato una marea di scatoloni in casa, sembrava quasi che qualcun altro volesse trasferirsi nella nostra casa.
«E questo casino ha un significato logico?»
«Oh avanti Winter non cominciare con il tuo sarcasmo e aiutami» disse immediatamente mia madre mentre trascinava scatoloni sul pavimento troppo pesanti per essere sollevati. Solo dopo aver portato esattamente quindici volte venti chili di materiale artistico capii esattamente che cosa passasse per la testa di quella donna.
«Hai intenzione di trasferire il tuo studio in casa» affermai con un tono alla Sherlock Holmes.
«Complimenti ho una figlia davvero perspicace! Almeno passeremo un po’ più di tempo insieme»
«Bè quando porterai modelli nudi da immortalare fammi un fischio» dissi con un mezzo sorriso divertito che fece sorridere perfino sorridere mia madre.
Io e mia madre non avevamo un brutto rapporto, anzi potevo anche affermare di volerle troppo bene. Era esattamente l’opposto di me ma nonostante tutto riuscivano ad andare d’accordo. Perché rovinare la magia di un simile legame con uno stupido atteggiamento da adolescente depressa?
«Ci sono novità?» quella domanda arrivò spontanea mentre i piatti della cena tintinnavano nel lavello della cucina, pronti per essere lavati. Alzai le spalle piegando la bocca di lato. Era una domanda troppo generale alla quale avrei potuto semplicemente rispondere con un “niente” e terminare il discorso sulla mia vita oppure cominciare a raccontare ogni mio singolo problema e continuare probabilmente per tutta la notte. Siccome mia madre sicuramente avrebbe cominciato a psicanalizzarmi se non avessi parlato decisi di intraprendere una via di mezzo. Un buon accordo per entrambe.
«Lo sai della scuola non parlo, ma Sam mi ha detto che William si è talmente rimbambito da averle chiesto di uscire» dissi mentre ponevo i piatti al loro posto.
«William Clarke!» sospirò mia madre lasciando in sospeso quel nome irritante «è proprio uguale a suo padre. Affascinante, egocentrico e testa di cazzo»
«Mamma!» esclamai dopo aver sentito quelle oscenità uscire dalla sua bocca. Non le avrei detto altro, in fondo il padre di William se le era meritate quelle parole. Era uscito con mia madre per circa un mese, lei era terribilmente sexy per la sua età mentre lui non è altro che la fotocopia di suo figlio solamente con più gusto nel vestire. Dopo un mese l’ha semplicemente mollata perché non era abbastanza alta. Nemmeno si era azzardato a trovare una scusa migliore, uno stronzo di merda senza un minimo di sensibilità! Per fortuna Emily aveva capito immediatamente di che pasta fosse fatto quell’uomo e arrivati alla separazione non aveva versato nemmeno una lacrima.
«Che c’è? Ho sbagliato a giudicare quel povero ragazzo? In fondo ha deciso di mollarti proprio come suo padre ha fatto con me. Secondo me si sono messi d’accordo»
«Si mamma, il loro piano era sedurre e mollare le ragazze Jones. A quale scopo secondo te?» le chiesi divertita da quel pensiero. Mia madre in risposta alzò gli occhi al cielo scuotendo la testa, atteggiamento che avevo preso da lei.
«Ci rifletterò mentre lavoro nel mio nuovo studio. Non aspettarmi alzata» disse dandomi un veloce bacio sulla fronte e correndo in taverna. Raggiunsi la mia camera nel momento esatto in cui mia madre accese la sua solita musica alta per concentrarsi. Come faceva solamente a pensare con una musica così alta?
Mi rituffai nel mio morbido letto e mi lasciai cullare dal crepitio della pioggia che cominciò a battere sulla mia finestra.
E novembre era già arrivato.

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