...And To Discover Again How Much I Was Hungry di The Cactus Incident (/viewuser.php?uid=124153)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue ***
Capitolo 2: *** Chapter 1 ***
Capitolo 3: *** Chapter 2 ***
Capitolo 4: *** Chapter 3 ***
Capitolo 5: *** Chapter 4 ***
Capitolo 6: *** Chapter 5 ***
Capitolo 7: *** Chapter 6 ***
Capitolo 8: *** Chapter 7 ***
Capitolo 9: *** Epilogue ***
Capitolo 1 *** Prologue ***
Vamp prologue
“Si dolcezza, non dovrei fare troppo tardi”
bofonchiò distrattamente nel cellulare, mentre una macchina
infuocata che era stata tirata per aria, puntava diritta su di lui.
Sbruffò e fece partire un colpo dal suo fucile.
Una palla viola e bianca che emanava luce (anche noto come proiettile
al plasma) si sprigionò dall’arma e si scontrò con
il rottame in fiamme, cambiandone la traiettoria.
“Sono in molti?” chiese la donna dall’altro capo del telefono.
“Ahn…. Un po’” cambiò arma e
sparò all’ennesimo vampiro, ne allontanò
un’altro con un calcio che lo fece volare contro il muro, il
tutto restando a telefono.
“Dovrei essere a casa per l’una e mezza” aggiunse
poi. Un vampiro gli arrivò davanti e sparò nello stomaco
del bruno a telefono, già incazzato, a cui si smorzò il
respiro.
“Facciamo per le due” brontolò con voce rotta, prima
d’infilarsi due dita nella carne, estrarre il proiettile e
metterlo in tasca.
Sentiva la carne rimarginarsi e non era per niente piacevole. Stringeva
la mascella ed emetteva strani versi, mentre gli occhi si rivoltavano
nelle orbite, trattenendo le urla. Cazzo se faceva male.
Sparò al vampiro che gli aveva sparato e lo disintegrò, mentre ancora finiva di rigenerarsi.
“Scusa tesoro, ti devo lasciare. Salutami i ragazzi”
“Certo Br… Gates” salutò la donna.
“Brava dolcezza. Ciao”
“Ciao e non farti sparare troppo” Il bruno sorrise divertito.
“Vedrò che posso fare…” rimise il cellulare
in tasca e riavviò la connessione bluetooth con gli altri della
squadra.
“Dove cazzo eri finito, Gates?!” sbottò il capo squadra. Il bruno sbuffò pesantemente.
“Che palle Shad, parlavo con mia moglie” disse mentre si
guardava attorno, cercando qualche vampiro da uccidere. Trovò
Rev che era semi circondato e si avvicinò sparando ad un paio.
“Rev hai da accendere?” urlò in quel delirio
infernale che per loro rappresentava la quotidianità da qualche
mese, ormai.
“Ti sembra il momento, Gates?” disse l’altro divertito.
“E’ sempre il momento per un buon sigaro”
“Vai ad aiutare Vee, è in difficoltà” gli
ordinò l’altro, per non mandarlo a Fanculo. Gates
alzò gli occhi al cielo e si avviò dal compagno, prima
però si avvicino ad una vettura in fiamme e si chinò ad
accendere il sigaro che aveva in bocca da più di un’ora,
spento.
Vee era bloccato dietro ad una macchina. Gates tutto tranquillo si
avviò quasi passeggiando, fra macchine che gli volavano sulla
testa e proiettili che evitava con grazia felina.
“Allora Vee, qualche problema?” chiese distrattamente, continuando a sparare.
“Ho finito le cartucce” Gates fece una smorfia e gli
tirò uno dei suoi innumerevoli caricatori: mai che si potesse
dire che Synyster Gates era rimasto a secco.
“Grazie Syn” scrollò le spalle mentre sparava
“Figurati” borbottò prima di spiccare un balzo di
sei metri con la facilità con cui un umano scende un gradino di
casa.
Sedata (o sarebbe meglio dire disintegrata) la rivolta, tornarono al
quartier generale, la città sotterranea ovvero al città
dei mezzosangue, a bordo dei propri veicoli (motociclette spaventose).
“Rev, guida come si deve” lo ammonì Shad.
“Ma pensa ai cazzaci tuoi: guido come mi pare” certo, steso
sulla moto, col cappello calato sugli occhi e tenere il manubrio con i
piedi (o meglio dire gli stivali), non era proprio uno stile di guida
degno di una qualsiasi persona con la patente, ma Rev è Rev.
Entrarono nel tunnel che declinava dolcemente verso il basso, fino ad entrare nella loro città.
Dopo pochi chilometri erano arrivati al quartier generale dei mezzo sangue.
In un mondo in cui i vampiri avevano deciso di non bere più
sangue sintetico e cibarsi di umani, la maggioranza che rischiava di
diventare minoranza, si era attrezzata e aveva chiamato in causa gli
essere più potenti che esistessero sulla terra: i mezzosangue.
Nati da padre vampiro e madre umana (prima generazione) o da due
genitori mezzosangue (seconda generazione), i mezzosangue godevano di
enorme prestigio, visto che difendevano gli umani da
un’estinzione certa, dovuta a vampiri che, dopo anni di pace,
avevano deciso di non andare più contro natura e riprendere le
guerre ormai interrotte da secoli.
Ovviamente non tutti erano così, c’erano altri vampiri che
vivevano una vita normale, con al proprio fianco un umano o un
mezzosangue, continuando a bere sangue sintetico, ma ad alcuni non
bastava ed ecco che entrano in campo loro.
Addestrati fin da piccoli ad essere delle macchine da combattimento,
erano diventati semplicemente letali per ogni vampiro sul loro cammino.
Alcune caratteristiche di questa specie: avevano una vita media di 500
anni, ma ne dimostravamo sui 25 (in cui crescevano regolarmente) fino a
più o meno 400, poi cominciavano ad invecchiare, ma sempre molto
lentamente.
Erano esseri viventi e come tali mangiavano, respiravano e si
riproducevano, anche se erano forti come i vampiri e si rigeneravano
dalle ferite nel giro di qualche secondo-minuto.
Il loro gruppo sanguigno era identificabile come CH (negativo e positivo).
I CH negativi erano i più “fortunati”: il loro
sangue risultava repellente ai vampiri, quello dei CH positivi
risultava semplicemente insipido.
Dei mezzosangue ogni tanto venivano fuori i CHS ovvero mezzosangue
segugi i cui cinque sensi erano ancora più sviluppati
(soprattutto udito e olfatto) di quelli dei normali mezzosangue,
già sopra la media umana. Oltre alle straordinarie
capacità fisiche, la tecnologia li aveva aiutati parecchio,
tanto da renderli completamente indistruttibili.
Ogni squadra era organizzata in gruppi da cinque (tutti e cinque negativi o positivi) di cui un segugio.
La squadra di cui facevano parte Shad, Gates, Vee, Rev e Christ era
chiamata A7. I nomi delle squadre venivano dati in modo completamente
casuale.
Il loro quartier generale contava come tutti quelli sparsi nel paese (e
nel mondo) poche squadre speciali e abbastanza soldati semplici. Spesso
agivano anche in altre città e spessissimo insieme, in casi di
estrema necessità.
“Salve ragazzi!” “Risparmia i convenevoli”
sbruffò Gates, tirando addosso al ragazzo la giacca della sua
tuta, bucata in due punti.
“Perchè la mia si buca sempre? Si può sapere?
Quelle degli altri resistono e la mia si disintegra. Di che cazzo me la
fai, Jeff, di cotone?” sbruffò lui incazzato. Jeff, il
nuovo (pivello) scienziato umano che si occupava delle tute e di
testarle, si sistemò gli occhiali sul naso, mezzo tremante.
“Ehm… s-scusa G-Gates. Hai conservato i
p-pr-proiettili?” Oh, ci mancava solo che cominciasse a
balbettare. Grandioso, pensò accigliato il bruno.
“Certo che ho conservato i proiettili, per chi mi hai
preso” e lanciò volutamente un’occhiata a Christ che
dimenticava puntualmente di conservarli una volta estratti dalle
proprie membra.
Posò i bussolotti esplosi e ancora sporchi di sangue nella mano
tremante del ragazzo e passò oltre andando in infermeria. Dopo
ogni colpo bisognava fare delle iniezioni, per evitare eventuali
infezioni o virus che spessissimo nascondevano nelle pallottole: erano
potentissimi ma mica immortali.
Con ancora i resti del sigaro fra le labbra, entrò
nell’infermeria ultramoderna, dove trovò Meredith,
l’infermiera mezzosangue che si era occupata più volte di
lui.
“Gates” Lo salutò gentilmente.
“Mer” bofonchiò lui secco mentre si sedeva sul lettino.
“Pronto per la punturina?” disse sarcastica mentre caricava la simil pistola di metallo.
“Se così si può chiamare un ago che ti entra dentro
cinque centimetri buoni…” borbottò muovendo i piedi
penzoloni, mentre lei caricava “l’arma”.
Quando l’ago entrò nel braccio (e se non erano cinque
centimetri, erano quattro e mezzo), Gates fece una smorfia. Sentire
quella roba azzurro fluorescente che gli scorreva dentro, e per i primi
secondi anche in modo visibile, non era una bella sensazione.
“Finito” disse lei tranquilla, sfilando l’ago.
“Oh, meno male. Avrei preferito un’altra pallottola”
“Pensa che la dose sarebbe stata più alta” disse la rossa sorridendo.
“Ciao Meredith” la salutò lui, lapidario saltando in piedi.
“Ciao Synyster” la salutò con un cenno della testa e
uscì, barcollando leggermente: quella roba faceva sempre uno
strano effetto.
S’infilò nell’ascensore, salendo fuori dai
sotterranei della città sotterranea (si, praticamente ancora un
po’ e la centrale si arrostiva il culo sul magma al centro del
pianeta), al piano di sopra, dove c’erano le case dei membri
delle squadre.
Con tutta la calma passeggiò fino alla sua villetta (tutte
esattamente uguali) con ancora i pantaloni e le scarpe
dell’equipaggiamento e sopra una canotta bianca e sporca (si suda
parecchio con quella cosa, mentre si spara e ti vola roba incandescente
sulla testa), osservò il cielo artificiale. Sarebbe stato
esattamente identico a quello reale, se non fosse stato per il fatto
che lui in alcuni punti riusciva a vedere le congiunzioni dei vari
pannelli, anche con il buio pesto delle 2 e 20 di notte, sottoterra.
Aprì il cancello del vialetto e poi la porta, senza bisogno di
chiavi. Niente nella città sotterranea veniva chiuso a chiave:
vi vivevano solo i mezzosangue addestrati e in fase di addestramento
(ma in una zona ben separata a cui si accedeva da un’altro lato
della base) ed era troppo controllata per rischiare qualche
inconveniente come ladri o altro.
Appena entrò si sfilò le scarpe (quei cosi pesavano un
pò: un umano non ce l’avrebbe mai fatta a camminarci) e li
mollò in un angolo.
Subito attirata da rumore, sbucò sua moglie, anche lei un CHS negativo.
“Bri” sospirò sorridente, mentre lo guardava.
“Ciao Mich” gli andò incontro e lo baciò,
incrociando le braccia dietro al suo collo. Brian strinse le mani
attorno alla sua vita, premendola contro di sé.
Quando uccideva gli veniva sempre voglia. Decisamente perverso, ma che poteva farci?
Il senso di onnipotenza dato dalla battaglia era adrenalina pura.
Fece scivolare le mani sul suo sedere, mentre la lingua
s’intrecciava con quella della donna che intanto infilava le mani
fra i suoi capelli e l’altra sotto la sua canotta.
“Non vuoi cenare?” chiese lei sarcastica. Lui in risposta le mordicchiò il labbro inferiore.
“Ci penserò più tardi” borbottò mentre si avviava verso la loro camera da letto.
La fece allungare sul letto e le salì sopra, poggiando le mani
sulle sue cosce e tirando via la camicia da notte di pizzo nero.
Passò le mani su tutto il suo corpo e gliela sfilò dalla
testa, prima di riprendere a baciarla. Michelle gli rotolò sopra
e gli aprì i pantaloni, infilandoci dentro una mano.
Brian soffiò l’aria fra i denti e lei sorrise soddisfatta, prima di riprendere a baciarlo.
L’uomo si sfilò i pantaloni, pronto per entrare ancora una
volta nel corpo candido di sua moglie e diventare una cosa sola. La
sentiva fremere sotto le sue mani, lo desiderava, come sempre da anni e
anni.
Le spinte aumentavano, mentre i loro corpi si fondevano e i gemiti si propagavano nella stanza, insieme ai nomi sussurrati.
“Sshh, ti… sentiranno… Ah… i bambini”
soffiò lui fra i gemiti, sforzandosi di rimanere razionale quel
poco per non traumatizzare almeno la più piccola.
“Non è colpa mia” mugugnò lei sorridendo,
prima di affondare ancora di più le mani nella sua schiena e le
labbra nel suo collo.
I gemiti di lei si fecero sempre più acuti e forti, mentre
lui li smorzava soddisfatto baciandola e facendoli morire nella sua
bocca.
Vennero contemporaneamente, lui con un gemito basso e roco e lei con
uno molto più acuto, soffocato nella spalla di Brian.
Dopo un paio di secondi per riprendere fiato, uscì da lei e si
stese al suo fianco, abbracciandola stretta al suo corpo sudato e
sporco, dopo averle posato un delicato bacio sulla testa.
“Bleah, ho sul serio bisogno di una doccia” disse senza
però scostare il corpo di lei, steso quasi del tutto su di lui.
Michelle alzò la testa, guardandolo un po’ prima di
baciarlo.
“Sei sexy tutto… sporco” sospirò languida lei, leccandosi le labbra.
“Oh grazie dolcezza, ma puzzo da far schifo. Mi fai compagnia
mentre torno tutto pulito?” disse lui piegando le labbra in un
sorriso malizioso.
“Un bel secondo round?” chiese lei maliziosa, mentre si
alzava dal suo petto per poi sedersi sul suo bacino e sfiorargli gli
addominali perfettamente scolpiti.*
Lui si alzò a sedere con lei sopra e la baciò languidamente, intrecciando la lingua con la sua.
“Naturale…” commentò prima di alzarsi con lei
allacciata al torace e dirigersi verso il loro bagno, già
completamente nudi.
“Che brutto segno…” commentò lei sfiorando la
leggera cicatrice tondeggiante sul suo basso ventre. Erano nel letto,
dopo qualcosa come il quarto round e finalmente si erano dati una
calmata.
Brian scrollò le spalle, mentre fumava.
“Che ci vuoi fare, nemmeno tu sei messa tanto meglio”
commentò lui, sfiorandole la scapola su cui c’era un segno
tondeggiante, simile al suo e a tanti altri che avevano, sparsi un
po’ su tutto il corpo.
“Questi nuovi proiettili lasciano il segno” disse lei passandovi le labbra.
“Bah è il nostro lavoro, che ci vuoi fare”
“E’ il nostro destino e oltre a questo non sapremmo cosa
fare” commento lei ridendo e tornando a poggiare la testa sulla
sua spalla.
“Ehi parla per te! Io avrei avuto successo come chitarrista”
“Si certo…” disse sarcastica
“Guarda che lo sai meglio di me che ero bravo” ribatté lui convinto e lei lo dovette ammettere.
“Sono anni che non suoni” constatò la bionda
poggiando la guancia sul suo ventre. Brian scrollò le spalle.
“Non ne ho il tempo. Uccidi là, allena di qua, aiuta quelli, salva quegli altri… che ci vuoi fare”
“Synyster Gates…. Si, forse avresti avuto successo”
*si, lo so che Gates ha la
panzetta e che è tutt’altro che scolpito, ma andiamo!
E’ una fan fiction in cui sono tutti dei supercombattenti che
ammazzano vampiri, qualche bugia ci può stare v.v
Ed eccoci qui v.v
Mi è venuta l’idea dopo aver fatto una maratona di
Underworld e dopo uno strano sogno che di certo verrà descritto
v.v
Non so se qualcuno potrebbe mai cagarsi una storia del genere, ma sono fiduciosa, dai v.v
E una Long Fic, ma non dovrebbe essere stra lunga come mio
solito…… penso al massimo una decina di capitoli, o
giù di lì v.v
Aggiornerò una volta a settimana, probabilmente sempre di lunedì v.v
“Idiota oggi è domenica”
“Oh cazzo è vero o.o grazie Jim v.v”
“Figurati, Cactus”
Beh, dopo questo strafalcione, un bacio a tutti v.v
Ci si vede al prossimo chap! :D
Me la lasciate una recensioncina? Si? Dai dai ;)
È per sapere se vedo continuarla o no….. v.v
Xoxo
The Cactus Incident
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Capitolo 2 *** Chapter 1 ***
vamp chapter 1
“Duecento…” “Duecentouno…”
“Duecentodue…” “Duecentotre…”
“Duecentoquattro…”
“Duecentocinque…”
“Brian! Mike! È pronta la colazione!” Annunciò Michelle dalla cucina.
“Si mamma, arriviamo!” Urlò il più giovane
dei due e saltarono giù da quell’asta di metallo che
attraversava la stanza da parete a parete e a cui i due Haner erano
appesi a testa in giù (un po’ a mo di pipistrello) e
facevano addominali.
“Bravo figliolo, stai migliorando” disse il più vecchio, battendo una pacca sulla spalla del sedicenne.
“Grazie pà” disse lui sorridendo.
Micheal Alan Haner era la copia sputata di suo padre che, dimostrando a
stento venticinque anni pur avendone più di quaranta, sembrava
il fratello. Alla madre non somigliava per niente, la copia di Michelle
era Bree Marie Haner, la più piccola, di dodici anni e
esattamente identica alla madre, ma con il naso e lo sguardo da stronza
del padre (che aveva anche l’altro figlio).
Entrarono in cucina e trovarono le due già sedute a tavola che mangiavano.
Gates andò a sedersi a capotavola e osservò per un secondo la sua famiglia.
Cazzo, se gli faceva strano. Eppure era sposato da diciassette anni e
aveva due figli semplicemente spettacolari che avrebbero portato avanti
il “mestiere di famiglia”.
Beh, tutto sommato aveva fatto qualcosa di buono nella sua vita oltre a
salvare la città dalla distruzione una decina di volte e il
mondo un paio (insieme agli altri, sia chiaro).
“Allora pà, che devi fare oggi?” chiese Bree scostandosi i lunghi capelli biondo scuro.
“Che devo fare oggi?” chiese lui a sua volta alla moglie che ci rifletté un attimo prima di rispondere.
“Devi passare alla scuola a fare il tuo corso”
“Oh si… me ne ero dimenticato” eh si, perché
ogni tanto il nostro stupefacente eroe mezzosangue si dedicava ai nuovi
mezzosangue desiderosi d’imparare.
Praticamente passava il pomeriggio nella palestra della scuola a
terrorizzare i ragazzini che non facevano quello che diceva lui.
In queste occasioni, Micheal si divertiva come un matto anche se Syn lo
faceva lavorare più degli altri. Era divertente vedersi davanti
quel soggetto con il pantalone della tuta, una canotta e un fischietto
appeso al collo.
“Ok, io vado. Ciao, gente” disse Mike alzandosi e dando un
bacio sulla testa della madre e scompigliando i capelli della sorella
che sbuffò irritata.
“Forza! Liz che non dobbiamo passarci la nottata, su!
Uno-due-tre-vai!” per completare soffiò
abbondantemente nel fischietto di metallo e spostò lo sguardo
dalla ragazza impegnata a tirare cazzotti al sacco da boxe, insieme ad
un’altra decina di giovincelli, per andare a controllare quelli
che facevano gli addominali, appesi per le gambe al quadro svedese, a
testa in giù.
“A quanto stiamo?!” urlò dopo aver dato un colpo di fischietto.
“Quarantanove!” Gridò quello che portava il conto.
“Farrell si chiamano addominali perché devi usare
l’addome! Se non muovi quella panza che non hai ti tiro un calcio
in culo e ti spedisco in bocca ad un vampiro!” Lo
minacciò.
“Si prof” Disse il malcapitato.
C’è da dire che Gates si divertiva come un bambino
lì. Era dannatamente sadico a vedere quella massa di ragazzi che
sgobbavano e facevano tutto quello che lui diceva. Forse avrebbe dovuto
prendere seriamente la carriera d’insegnamento… magari fra
qualche decennio, quando si sarebbe stancato delle missioni e degli
ordini di Shad.
“Haner, dai! Che corri come tua madre!” urlò al
figlio, impegnato nei giri di pista dell’enorme palestra della
scuola. Mike era il primo di tutti quelli impegnati in quel momento, ma
Syn voleva che s’impegnasse al massimo, tenendo alto il nome
della famiglia.
Finito con le sue lezioni, andò al quartier generale. Mentre
provava a ricordare cosa diamine dovesse fare, sentì un accento
dannatamente finlandese urlare il suo nome.
“Gates!” si voltò e per poco non gli cadde la
sigaretta ancora spenta fra le labbra. Un sorriso affiorò sulle
sue labbra mentre guardava il biondo che puntava diritto nella sua
direzione.
“Alexi! Brutto stronzo, che ci fai qua!” disse mentre lo stringeva in un abbraccio fraterno.
“Sono venuto a controllarti! Mai che ti facessi sentire,
eh?” disse l’altro, sciogliendo l’abbraccio e
battendo un paio di pacche ben assestate sulla spalla del soldato.
Alexi Lahio era un mezzosangue finlandese, amico di vecchia data di Gates e gli altri.
“Credo tu sappia quanto sono impegnato…”
provò a giustificarsi il bruno e il tono scherzoso della
conversazione si abbassò di parecchio.
“Si, ho saputo. Siete messi davvero male, per questo siamo qua”
“Ci siete tutti?” chiese Syn stupito, sorridendo ancora di più.
“Certo!” fece l’altro ovvio, spostandosi la lunga chioma bionda.
“Che mica hai da accendere?” Alexi alzò gli occhi al
cielo e tirò fuori l’accendino a benzina, facendo
accendere la sigaretta al povero americano in crisi d’astinenza
da nicotina.
“Oh grazie… era da ieri sera che non fumavo... porca
miseria questi impegni mi stanno distruggendo” Bofonchiò
mentre si tirava su i pantaloni che avevano cominciato ad andargli
larghi. Che fosse dimagrito per via dello stress?
“Sei stressato, yankee?” chiese Alexi quasi a prenderlo per il culo, ma davvero preoccupato per l’amico.
“Certo euro boy, non so più dove sbattere prima la
testa” il biondo fece una faccia disinvolta, tranquillizzandosi.
“Ah, quindi tutto come al solito” il bruno scrollò le spalle e tirò una grossa boccata.
“Si, direi di si. Andiamo a farci un giro?” propose.
“Con immenso piacere”
Stavano passeggiando distrattamente fra i grossi mezzi d’assalto, quando Alexi riprese una conversazione quasi normale.
“Allora…. suoni ancora?” chiese curioso e il bruno scosse la testa.
“No, e chi ne ha il tempo!” fece ovvio.
“Peccato, eri bravo” scrollò le spalle.
“E tu?”
“Certo che si, mi è impossibile stoppare per più di
una settimana, divento isterico ed essere un caposquadra isterico non
è un bene” Gates sorrise divertito.
“Spiegalo a Shad, questo concetto non gli è molto
chiaro” disse ridendo. Il suo caposquadra si che era stressato.
Aveva sempre i nervi a fior di pelle ed era perennemente scontroso. Era
raro trovarlo di buon umore.
“Ancora che urla?!” Alexi sembrava seriamente sorpreso.
“Certo che si! E’ nella sua natura urlare e sclerarci addosso. Se non lo fa non è felice”
“Ahahah! Sarebbe stato un cantante eccezionale” E Gates scoppiò a ridere.
“Ma chi? Shad? Ma se è stonato come una campana! Sembra un
vecchio tedesco all’october fest completamente ubriaco”
“Beh, una buona capacità polmonare però è
utile” Fece Alexi convinto e Gates scosse la testa, scettico.
“Se vabbè, Shad che canta. Che assurdità….. piuttosto, dove sono gli altri?”
“Ah non saprei….. i tuoi?”
“In giro a farsi gli affari loro. Ti hanno parlato di
stasera?” Chiese Gates portando il discorso su questioni
più importanti.
“Si, ci sarete anche voi?” Alexi già sapeva tutto
per quanto riguardava i programmi della serata dedicata a
tutt’altro che attività ludiche.
“Obbligatoriamente. Saremo noi due e anche un'altra squadra, adesso non ricordo”
“Uhm, bene. Ci sarà da divertirsi!” disse eccitato
il biondo e Gates sorrise, battendogli un paio di pacche su una spalla.
Erano in quindici. Tre squadre, tutti sparpagliati in gruppi ancora
minori. Gates e Rev erano capitati insieme e seguendo una pista erano
arrivati sotto ad un palazzo fatiscente.
La comunicazione era saltata, probabilmente qualche guasto o pareti isolate, comunque erano tagliati fuori e pronti a far fuoco.
“Forza Rev, da questa parte” il più alto
annuì e seguì il segugio. La traccia era dannatamente
chiara. Ne sentiva l’odore, riusciva quasi a vederla. Era
come una traccia di pulviscolo molto più visibile che
però vagava pochissimo nell’aria e rimaneva sempre
abbastanza compatta.
Erano almeno più di dieci, e non erano solo vampiri, forse anche qualche mezzosangue.
Beh, perché starsene chiusi nei sotterranei di un palazzo
abbandonato nella vecchia parte della città se non si ha niente
da nascondere?
Continuarono per quei corridoi bui e umidi, fino a trovarsi davanti ad una grossa botola di metallo.
“Devono essere per forza qui” Fece Gates.
“Si, ragnatele ovunque, tranne che in questo punto. Pure un
bambino lo capirebbe” commentò Rev, grattandosi la testa
distrattamente e alzandosi gli occhiali protettivi dalla faccia per
guardare meglio, i sensi sempre vigili e pronti al minimo rumore.
Con un colpo, Rev fece saltare la serratura e un calcio bastò ad aprirla.
Quando saltarono dentro,(almeno tre metri) la botola si richiuse sulle loro teste.
“Oh cazzo” fece Rev sorpreso e leggermente divertito. Oh, avevano provato a fargliela.
“Merda ci hanno fottuto” disse divertito Gates, preparando
il secondo fucile che era rimasto sulla schiena, inutilizzato.
“Non sono così stupidi come credevamo. Pronto Rev?”
“Come sempre, dolcezza!” Un paio di proiettili al plasma,
il portellone saltò per aria e loro saltarono fuori.
Il vuoto.
“Allora? continuiamo?” Uhhh, una traccia ben distinta.
Vampiro, donna bianca, presumibilmente capelli neri.
“Si Rev, andiamo” mentre il più alto proseguiva,
avendo già capito le intenzioni del compagno, il segugio,
seguì la traccia silenziosamente, arrivando a fronteggiare la
vampira in questione, attaccata ad una grata sul soffitto. Syn le
sparò ad una gamba e lei perse la presa, cadendo al suolo.
“Oh oh! Trovata!” disse divertito. Gli piaceva sempre fare il gioco del gatto col topo.
Alle sue spalle arrivò il compagno che puntò la grossa
torcia su di lei, dando colore alla scena completamente buia. Non che
non ci vedessero, anzi, ma un po’ di luce fa sempre comodo.
“Forza, dove sono gli altri” disse Gates, quasi scocciato. Finita la caccia, finito il divertimento.
“Uccidimi” sospirò lei, troppo orgogliosa per dire
dove si trovavano i suoi compagni. La gamba le faceva troppo male, non
ce l’avrebbe fatta ad arrivare fino al nascondiglio con due
mezzosangue armati alle calcagna. Meglio farla finita subito.
“Troppo comodo. Prima mi dici dove si nascondono gli altri assassini e poi ti uccido”
Aveva senso quella frase? Colui che minaccia di ucciderti, chiama assassini altre creature?
“E ti reputi tanto migliore di loro?” disse lei, disgustata, guardandolo negli occhi.
Gates quasi vacillò e sentì un paio di brividi
percorrergli la spina dorsale, sotto il suo sguardo di ghiaccio. Era
una distesa di odio, umiliazione e dolore, tutto colorato dalle
sfumature dell’Antartide contornate di nero.
“Dimmi dove si trovano e sarai la prima a morire” insistette, evitando la domanda.
“Facciamo che non ti dico niente. Tanto mi uccidi lo stesso! E se
non mi uccidi tu, morirò ugualmente dissanguata. Mi conviene
aprire la bocca?”
“Mi rallenti solo il lavoro. Tanto in breve tempo li troverò”
La ragazza sorrise beffarda “Certo, credici”
“Sono sopra la nostra testa, vero?” disse indicando col fucile la grata da cui era caduta.
Lei sorrise beffarda e incrociò le braccia al petto, guardando
di nuovo il mezzosangue con gli occhi scuri. Certo che quelle
mascherine quasi da aviatore erano davvero ridicole.
“Secondo te ero così cretina da scappare direttamente al
rifugio? Una volta vi addestravano meglio” si sistemò
meglio a sedere, la schiena contro la parete gelida e umida. Se proprio
doveva morire, che almeno lo facesse in una posa decente.
Il bruno rimasto in disparte per tutto il tempo, sbuffò
sonoramente e l’altro, quello che le aveva sparato, si
chinò vicino a lei.
Si spostò gli occhialetti sulla testa e la guardò negli occhi.
“Sta a te decidere. Se mi dici adesso, dove si trovano, ti uccido
subito: rapido e indolore. Se non sarà così ti
trascinerò con me fino a che non trovo il posto e una volta qui
li ucciderò uno per uno davanti ai tuoi occhi e poi se non sarai
morta dissanguata ti farò passare le pene dell’inferno e
ucciderò te, per ultima”
“Gates, smettila” Lo richiamò l’altro.
Il bruno si girò e incontrò gli occhi dell’amico, che l’aveva richiamato.
”Qual è il problema?” Chiese Gates stranito dall’ammonimento.
“Brian, sono persone” a differenza di Gates, Rev aveva
ancora un cuore, da qualche parte e quelle scenate dell’amico
erano quanto di più detestabile ci fosse.
“Sono assassini” sentenziò il segugio, convinto.
“E noi cosa siamo?”
“Protettori” fece ovvio inarcando un sopracciglio. La ragazza seduta per terra schioccò la lingua.
“Bel modo che avete di definirvi… Molto sarcastico”
disse la vampira, disgustata. Gates la guardò, stizzito.
“Tu, devi morire. Quindi lascia parlare i grandi” Le
gesticolò contro distrattamente usando il fucile che imbracciava.
Dopo uno scambio di occhiate con l’amico, si voltò a
guardare ancora la tipa che si guardava intorno, lo stesso sguardo
carico di odio e vergogna, ma l’orgoglio le lasciava ancora una
posa rigida e autoritaria, quasi regale.
“Allora, non vuoi parlare, vieni con noi”
“Non ci penso nemmeno!”
“Oh, ma non sta a te decidere” La imbavagliarono e legarono
e Rev se la caricò su una spalla, come un sacco di patate mentre
Gates continuava a cercare una nuova scia.
Finalmente la trovò e continuarono a scendere nei sotterranei del palazzo.
La vampira ne era più che consapevole, sarebbero morti tutti.
Quei due erano troppo armati e di tipo CH negativo, loro non avevano
niente con cui difendersi, nemmeno i propri denti.
Forse qualcuno sarebbe riuscito a scappare, ma fuori da lì oltre
agli altri “Protettori”, come spesso venivano
chiamati gli agenti/ soldati della IVAUS c’erano gli
altri vampiri, da cui loro stessi fuggivano.
Era la loro fine e questo faceva riempire gli occhi di lei di lacrime di rabbia che non sarebbero mai colate dai suoi occhi.
Arrivarono fino al bunker dov’erano nascosti gli altri e in pochi
secondi il bruno esaltato, quel Gates, fece saltare in aria
l’enorme porta di metallo blindato.
La prigioniera provò a liberarsi e a combattere, ma era inutile.
La roba con cui l’avevano legata e imbavagliata era
un’altro di quegli assurdi marchingegni che non avrebbe mai
potuto distruggere e in più il bisogno di sangue era altissimo.
Ne aveva perso troppo, non avrebbe resistito ancora…..
Il tipo che le aveva “dato un passaggio” la mollò per terra ed entrarono.
La scena che si trovò Gates davanti fu spaventosa.
Credeva di trovare corpi mutilati, vampiri frementi e pericolosi, armati fino ai denti e invece…..
La prima cosa che si trovò a fronteggiare fu una enorme stock da
industria di sangue sintetico. Ce n’era tantissimo, come se
avessero svaligiato un camion che doveva rifornire qualche negozio.
Bottiglie di sangue imballate sulle pedane di legno, scatole di
compresse di emoglobina sintetica che si trovavano comunemente in
commercio e nemmeno un’anima.
Erano di certo andati a nascondersi, ma in quella sorta di sala comune
c’era un po’ di tutto. Dei giocattoli, molti libri, qualche
disegno appeso alle pareti, dei libri scolastici lasciati aperti sul
grande tavolo centrale, un angolo cucina ben assortito e in un angolo
c’era anche una chitarra, abbandonata di fretta e furia.
In una stanzetta adiacente c’era una sorta di infermeria ben attrezzata con qualche macchinario e parecchi medicinali.
“Gates ma….” chiese Rev mentre prendeva in mano un orsacchiotto di peluche.
“Questi…..” aveva cominciato a parlare, ma sentirono
uno strano rumore alle loro spalle. Scattarono, ma poi si resero conto
che era la vampira che zoppicando, aggrappata ad una sedia era arrivata
fino a loro.
“C’è una piccolissima cosa che non avete capito, stronzi. Noi non siamo quei ribelli che cercate voi”
Gates inarcò un sopracciglio, sorpreso.
“Che intendi dire?”
“Che noi siamo i ribelli dei ribelli, quindi i giusti che
però scappano dai ribelli perché li abbiamo
traditi” la ragazza calò la testa, esausta e prese un
respiro profondo.
“Ragazzi! Venite fuori, sono io!” pian piano, da qualche
angolo e da dentro a degli armadi saltarono fuori persone. Buona parte
di loro erano adulti o adolescenti vampiri e mezzosangue, ma
c’era anche una piccola percentuale di bambini mezzosangue.
Gates e Rev abbassarono i fucili e si scoprirono il volto, dal pezzo di
stoffa antiproiettile che gli copriva il naso e la bocca. Poggiarono
gli occhiali sulla testa e si guardarono attorno, sconvolti.
“Ma…. siete tutti vegetariani?” chiese il segugio al
gruppo davanti a lui, riferendosi ai vampiri e tutti annuirono. A quel
punto si voltò verso la ragazza a cui aveva sparato.
“Allora perchè vi nascondete?”
“Non scappiamo solo da voi, idiota….” Gates avrebbe
voluto chiederle altro, ma la ragazza sia accasciò al suolo,
esausta e in fin di vita.
Un paio di adulti del gruppo si avvicinarono a lei e una ragazza (una
mezzosangue) disse all’altro (vampiro) di portarla
nell’infermeria.
Gates si sentì tirare per una manica e si voltò.
Una bambina mezzosangue che stringeva convulsamente un coniglietto di
pezza, lo guardava dal basso, i grandi occhioni di un azzurro intenso
sgranati, la bocca stretta di lato.
“Signore, siete voi quelli che vogliono ucciderci?” Gates si sentì morire.
Era davvero diventato un mostro così orribile? Tutti si
aspettavano che li avrebbe uccisi uno ad uno a sangue freddo? Ne
sarebbe stato davvero capace?
Preferì non darsi una risposta.
Tolse uno dei guanti e posò la mano sulla testa della bambina,
piena di capelli liscissimi e castano chiaro. A quel contatto al
bambina sobbalzò, come se avesse paura, ma poi capì che
era una semplice carezza e alzò la testa per sorridergli.
Lui alzò un angolo della bocca in risposta e la scrutò attentamente.
“No, noi non vi faremo niente” e la bambina gli mostrò un sorrisone raggiante, prima di scappare via.
“Ehm….. perdonate la nostra irruzione. Ci era stato detto
di un gruppo di ribelli che si nascondeva da queste parti, ma non
potevamo immaginare…. tutto questo”
Provò a scusarsi Rev, con un sorriso colpevole. Un vampiro si
staccò dal gruppo e si avvicinò ai due soldati, la fronte
un tantino corrucciata.
Dimostrava più o meno vent’anni e aveva gli zigomi
sporgenti, i capelli neri e, per assurdo, gli occhi scuri dannatamente
simili a quelli di Brian. Aveva un tatuaggio sul lato del collo, ma
Brian non riuscì a vedere di cosa si trattasse, vedeva solo
delle linee nere o azzurre.
Anche se il suo corpo dimostrava una giovane età, sullo sguardo
e sui modi di fare, c’era come l’evidente segno di una
qualche forza antica e potente che l’aveva reso il braccio dentro
della vampira già da molti secoli.
“Si, capiamo bene che c’è stato un equivoco, ma
adesso come facciamo con la porta?” bofonchiò scocciato
incrociando le braccia al petto.
“Sarebbe bastato bussare” commentò un vampiro
bassino e bianchissimo, con gli occhi verdi e i capelli neri abbastanza
lunghi, da dietro la spalla del tipo che aveva parlato poco prima.
Quell’insolito intervento fece ridere un po’ tutti.
“Frank, sei sempre il solito” disse un ragazzo più
alto e con i capelli rosso fuoco che stava di fianco ad uno che gli
somigliava parecchio, sempre un vampiro ma con i capelli biondi
tagliati in modo insolito.
“Beh, credo che possiamo in qualche modo ripararla. Che dici
Rev?” Fece Gates che ancora non si era ripreso dallo shock. Stava
diventando un mostro, se non lo era già diventato.
“Si, questo affare sa anche saldare, vero?” disse scrutando il fucile come se non l’avesse mai visto.
“Si, basta cambiare le impostazioni, non ci vuole granché.
Ripieghiamo le parti di metallo al loro posto e poi saldiamo”
“Vi serve una mano?” chiese il vampiro dagli insoliti occhi
scuri. Era rarissimo trovarne, di solito avevano tutti gli occhi
innaturalmente chiari.
“Grazie, sarebbe gentile. Ti chiami?” Chiese il segugio.
“Chiamatemi pure Tj” disse divertito. Il suo vero nome era
quasi impronunciabile visto quanto era antico, meglio evitarlo.
“Grazie Tj” disse Gates, scrutando i suoi occhi. Ma com’era possibile? Bah.
Scacciò via quei pensieri e tornarono alla porta blindata che
avevano distrutto, separata da quell’enorme sala comune da
un’anticamera/dispensa di emoglobina.
Riuscirono a rimettere a posto la porta abbastanza bene e quando
tornarono dentro, la vampira a cui Gates aveva sparato sembrava essersi
ripresa. Era ancora di un pallido innaturale anche per un vampiro e
aveva la faccia sofferente, ma era cosciente mentre beveva avidamente
da una bottiglia di sangue sintetico.
Syn si aprì la giacca, esausto e Rev crollò su una sedia.
“Fanculo, io la pianto con queste stronzate e mi metto a dare il
culo sull’autostrada” sbuffò il più alto con
al guancia poggiata sul tavolo.
“Rev non essere scurrile, ci sono dei bambini” lo rimbeccò Gates.
“Quei bambini ne sanno più di noi, te lo dico io” e
si tolse il pesante giaccone della tuta, appendendolo alla sedia.
Forse sarebbero dovuti tornare indietro, andare dagli altri per dirgli
che stavano bene e che era tutto ok, ma in quel momento non ce la
facevano a muovere nemmeno un passo. Syn crollò su una sedia
vicino a quella di Rev e tolse anche il suo giaccone.
Tj gli arrivò davanti e posò sul tavolo davanti a loro due birre ghiacciate.
“Oh Tj, dovrebbero farti santo” disse Rev afferrando la
birra e Syn ringraziò con un cenno della testa e un sorriso,
prendendo la sua anche se continuava a osservare incuriosito il
vampiro. La sua pelle era come in un bronzeo schiarito e i lineamenti
spigolosi gli conferivano una bellezza leggermente androgina.
“Ah, ci voleva proprio” disse convinto Gates, mentre beveva.
“Si, sparare e saltare fra roba in fiamme mette sete” asserì Jim.
“Puoi dirlo forte”
La vampira, dall’altro lato del enorme tavolo, afferrò le
stampelle poggiate lì di fianco e sia avvicinò ai due.
“Ok, grazie di avermi sparato, di avermi riportato a casa e di
aver distrutto e poi rimontato la porta. Non vogliatemene, ma dovreste
andarvene” disse secca e concisa, senza troppi giri di parole.
Tj la prese per le spalle e la fece sedere, gli piazzò in mano un’altra bottiglia di sangue.
“Sta calma e bevi. Sei ancora molto debole” La tipa sbruffò e afferrò la bottiglia.
“Io sono sempre molto debole…” borbottò aprendo la bottiglia.
“Motivo in più per stare tranquilla e calma”
Cominciò a bere avidamente e Gates ebbe modo di osservarla, finalmente.
Aveva dei lunghi capelli neri con i riflessi rossi, folti e leggermente
mossi, tenuti insieme in una coda alta che lasciava due ciocche ai lati
del viso, più corte, continuazione dell’enorme frangettone
sulla fronte che ancora un po’ e avrebbe coperto i suoi
spettacolari occhi di iceberg.
Era tipico della maggior parte dei vampiri avere gli occhi chiarissimi, chissà perché.
Il fisico perfetto, aveva una canotta nera che le fasciava il torace e
lasciava le braccia scoperte, un largo pantalone grigio scuro, tenuto
su da un grosso cinturone, di cui una gamba era stata tirata sopra per
permettere che la medicassero. Un paio di anfibi scuri e parecchie
collane.
Al collo portava una medaglietta di quelle militari, una strana pietra
blu tenuta al collo da un laccetto di cuoio che faceva due giri attorno
al collo, uno strano ciondolo di metallo a forma di muscolo cardiaco
(non il cuore da fidanzatini, proprio dalla forma realistica) di un
metallo scuro con delle insolite venature viola e quello che sembrava
un proiettile bello grosso a cui era stato fatto un foro e fatta
passare una catenina. Sulla schiena, al centro delle due scapole,
c’era un a sorta di rosone gotico che a Syn era sembrato di aver
già visto altre volte.
Era un simbolo rotondo, completamente blu, senza inchiostro nero come
tutti i tatuaggi e da qui numerosi e intricati raggi che arrivavano
fino alla circonferenza del cerchio più grande, senza
fuoriuscirne.
Proprio come quei rosoni delle chiese gotiche.
A entrambi i polsi numerosi bracciali di metallo e di cuoio, parecchi
piercing ad entrambe le orecchie e sulle braccia diverse cicatrici.
Sinceramente? Era davvero bella, come più meno tutti i vampiri e
gli occhi chiari in contrasto con lo sguardo scuro la rendevano
dannatamente sexy.
Dopo aver preso una grossa sorsata, voltò la testa verso i due.
“Allora…. come vi chiamate?” chiese distrattamente.
“Rev” “Gates” risposero i due automaticamente e lei sbuffò alzando gli occhi al cielo.
“Dico per davvero, quali sono i vostri nomi?” I due si
guardarono e Jim sorrise e strizzò l’occhio
all’amico, prima di rispondere alla donzella.
“Jimmy” “Brian”
“Oh, adesso si ragiona. Io solo Layla, ma meglio Lay” disse
facendo una sorta di smorfia, mentre si sistemava meglio sulla sedia.
“Scusami se ti ho sparato e se ti ho detto quello cose, Lay” Disse Brian, imbarazzato.
La ragazza sospirò, era davvero stanca. Era stata una nottata molto lunga.
“Capisco che facevi il tuo lavoro, ma non ti perdono. Almeno non
per adesso. Quando tornerò a camminare normalmente se ne
può riparlare”
“Mi sembra giusto” disse lui, annuendo.
“Lay, se è possibile vorrei capire una cosa. Chi siete?” Chiese Jim, gentilmente.
Lay fece un sorriso amaro e poi cominciò a parlare.
“Voi vivete nel mondo sotterraneo, al sicuro da tutto e saltate
fuori solo per sparare sui vampiri e riportare la tranquillità.
E’ giusto?” I due annuirono, anche se non del tutto
d’accordo.
“Ecco, voi siete dei soldati, non avete idea della gerarchia che
si nasconde dietro al mondo dei vampiri e dei mezzosangue che vivono
fuori dal mondo sotterraneo. Non è facile come sembra, non basta
decidere ‘io bevo sangue sintetico’ e la gente ti lascia in
pace, e il tuo clan ti lascia vivere una vita…. normale. Tutti i
presenti, e dico tutti, sono scappati da una vita segnata dalla
‘famiglia’ all’insegna dell’assassinio e per
quanto riguarda i mezzosangue…… beh, credo lo
sappiate”
Per i mezzosangue, forse, era ancora più difficile inserirsi nel
mondo ‘reale’ fuori dalle battaglie e dal campo delle
scoperte di tipo bellico che gli permetteva di vivere nel mondo
sotterraneo.
Non essendo né di una fazione, né dell’altra,
spesso non venivano accettati da nessuno delle due e spesso vivevano in
folti gruppi lontano dai giochi di potere a cui erano costretti nella
frenetica vita cittadina che spesso e volentieri sfociava nella
violenza più assoluta come in quel preciso periodo della storia
del mondo.
In alcuni casi, bambini mezzosangue venivano abbandonati e per loro non era per niente semplice.
Brian si rese conto che lo sguardo di Lay, carezzava quella bambina che
prima aveva tanto colpito il soldato con i suoi occhi e le sue parole.
“Lei, ad esempio, non ha nessuno al mondo” Brian rimase a
guardarla, mentre giocava col suo coniglietto, insieme ad altri due
bambini.
“C-come si chiama?” Chiese continuando a guardarla, mentre
i ricordi gli riempivano la mente facendo dannatamente male.
“Evie. O almeno così abbiamo deciso noi. Siamo la sua unica famiglia”
La mente di Brian fu invasa da mille immagini che aveva fatto di tutto
per rimuovere e sarebbe affogato fra di loro se la mano di Jim non si
fosse posata sulla sua spalla, riportandolo alla realtà.
Lo ringraziò con uno sguardo e tornò a guardare la vampira davanti a lui.
“Resta il fatto che, tutti i mezzosangue presenti non avrebbero
dove altro andare e i vampiri erano stanchi di vivere uccidendo e di
fare razzia come delle belve”
“Perché non vi rivolgete allo stato? C’è un
programma protezion….” cominciò Brian, ma fu
interrotto dalla bruna.
“Il tuo programma protezione ha fatto sì che mia sorella e
moltissime altre persone morissero. Ecco quanto protegge il tuo caro
programma” disse amareggiata la vampira, e per un secondo a Brian
sembrò di vedere gli occhi diventare leggermente più
scuri. Lay prese un respiro profondo ad occhi chiusi e quando li
riaprì erano di nuovo della stessa tonalità di prima.
Era stanco, forse l’aveva solo immaginato.
Si sciolse i lunghi capelli che ricaddero oltre la sedia, li
ravvivò con entrambe le mani e poi li tornò a guardare.
“Dicevo. I mezzosangue non saprebbero dove andare e i vampiri, se
venissero scoperti dai propri ‘clan’ o famiglie o come
diamine vogliamo chiamarli, verrebbero uccisi all’istante”
“Non vi fidate dello stato e non potete farvi scoprire…. perché non scappate?”
“Certo, perché poi noi vampiri possiamo tranquillamente
aggirarci per le città, senza sangue, senza soldi e senza un
posto dove andare. Astuto Brian, complimenti” Disse sarcastica,
poi voltò appena il viso verso l’altro soldato, Jim.
“Davvero vi fidate di lui come segugio? E ancora non siete morti tutti? E’ una fortuna!”
Si stiracchiò, facendo crocchiare la schiena e poi tornò a guardarli.
“Adesso, sapete cosa siamo, che non facciamo del male a nessuno e
che stiamo qui, tranquilli per i fatti nostri. Sarebbe bello se vi
faceste i cazzi vostri e ve ne tornaste al vostro mondo sotterraneo
dimenticandovi di noi”
“Dai Lay, non essere scorbutica, forse potrebbero
aiutarci...” provò a dirle Tj, sperando di calmarla almeno
un po’, ma fallì miseramente.
“Aiutarci? E a fare cosa? La fine dei topi? Io ci terrei a campare ancora, grazie”
“Non si direbbe” disse Brian e venne fulminato dagli occhi di ghiaccio della tipa.
“Tu mi hai sparato addosso, sta zitto. Non hai nemmeno rispetto
per la vita altrui. Ti credi una divinità pronta a giustiziare i
cattivi, ma in verità non sai un cazzo, sei solo un soldato
stupido e ottuso che fa quello che gli viene detto senza fare
domande”
“Lay non…”
“Tj prova a dire un sola parola e m’incazzo” poi si voltò verso il soldato dagli occhi scuri.
“Tu sei Synyster Gates, vero?” Era da quanto Jim
l’aveva chiamato Gates la prima volta che gli era venuto il
dubbio.
“Si” rispose lui, tranquillo. Era infastidito dalle parole della vampira, ma non lo avrebbe mai dato a vedere.
“Bene, credo che dobbiate andare via, adesso” disse ferma e
irremovibile. I due presero le loro cose e stavano uscendo, quando Lay
parlò di nuovo.
“Gates, salutami tanto Melissa e dille che con la Morte Blu non è di certo finita”
Melissa Gates era lo pseudonimo di Michelle.
Brian aggrottò le sopracciglia, ma non fece domande, sapendo che non avrebbe avuto nessuna risposta.
Salutarono Tj e gli altri con cui avevano scambiato qualche parola e
uscirono, ripercorrendo al contrario la strada da cui erano arrivati.
Quando finalmente uscirono nella notte che si andava sempre di
più rischiarando, la calma era tornata e non c’era
più nessun rumore.
Tornarono al punto di ritrovo e lì c’erano ancora gli altri componenti della loro squadra.
“Ragazzi! Dove eravate finiti?” Esordì Vengeance,
una sigaretta fra le labbra mentre stava pesantemente poggiato alla sua
moto.
“Eravamo preoccupati. La comunicazione era saltata già da
tempo, ma potevate avvisarci in qualche modo” disse Shad, come un
padre che rimprovera il figlio che ha sforato il coprifuoco.
“Ehi, Gates, ma gli occhiali?” Il segugio si portò
le mani sulla testa. Diamine, doveva averli lasciati al rifugio.
“Li ho dimenticati” disse istintivamente.
“Oh ma fanculo! L’importante è che adesso siano qui
e che possiamo tornare tutti a casa” Christ non si perse in
convenevoli o raccomandazioni, ma lanciò comunque
un’occhiata allegra ad entrambi, felice di vederli sani e salvi.
“Si, infatti. Il nano ha ragione. Torniamo a casa?” disse Rev salendo tranquillo in groppa alla sua moto.
“Nano ci chiami tuo fratello, coglione. Sono il tiratore scelto migliore di tutta la contea”
“Seh vabbè, insisti ancora?” disse Zee, divertito, mentre anche lui saliva sul suo mezzo.
E così, fra i soliti battibecchi e battutine di sempre, gli A7
se ne tornarono alla base, per poi tornare ognuno alle loro vite.
I due soldati non avrebbero detto niente, c’era stato come un
tacito accordo fra i due e se volevano evitare che quei ri-ribelli non
morissero, avrebbero fatto bene a tenere tutto per se.
Quando Gates arrivò a casa, erano le sei e mezzo di mattina.
Mentre stava mangiando qualcosa dopo una bella doccia, suonò la sveglia di sua moglie, segno che erano le sette.
Andò nella loro camera e la trovò come sempre dal suo
lato del letto. Faceva sempre così quando si addormentava e lui
non c’era. Diceva che sentire il suo odore sul cuscino la
rilassava.
Aspettare che il proprio uomo torni da missioni mortali non dev’essere il massimo per i propri nervi.
“Ti sei già svegliato? Non ti ho sentito rientrare,
strano” la voce ancora impastata, mentre si stiracchiava.
“In verità non ho ancora dormito. Sono tornato
mezz’ora fa” disse lui, distrutto, mentre si stendeva nel
letto. Michelle si spostò per fargli spazio e aggrottò le
sopracciglia.
“Porca miseria…. Beh, allora ti lascio dormire” le
diede un tranquillo bacio sulle labbra e poi saltò in piedi,
mentre lui sprofondava fra i cuscini, il sonno tormentato da due occhi
di giacchio dallo sguardo scuro.
Non era finita lì, ne era più che certo.
E quindi eccoci qui col primo capitolo v.v
Adesso credo che l’anteprima cominci ad avere un minimo di senso….
Anche se in effetti è un grosso spoiler o.o
Vabbè, come non detto :D
Il mio amore Log/ Vee avrebbe
potuto uccidermi, ma sfortuna vuole che Layla si chiami così da
prima che conoscessi lei, quindi v.v
Beh, si ringrazia
quell’anima buona di Dominil (di cui fra l’altro sono
“fan”, ma vabbè v.v) per aver recensito e quelli che
hanno preferizzato/seguito/ricordato la storia v.v
Al prossimo chap! :D
The Cactus Incident
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Capitolo 3 *** Chapter 2 ***
vamp chapter2
Quando finalmente Gates si svegliò, stava uno schifo.
Erano le tre del pomeriggio e a casa non c’era nessuno, ma
alzarsi dal letto fu un’impresa. Si sentiva tutti i muscoli
indolenziti e doloranti, come se gli fosse passato un carro armato
addosso.
Che diamine era? Era impensabile che fosse così dolorante. Aveva
dormito in una posizione assurda e il sonno era stato disturbato per
tutto il tempo. Praticamente quando si svegliò era più
stanco di prima, ma era stufo di stare a letto, quindi dopo una doccia
andò alla ricerca di qualcosa di commestibile.
Molto gentilmente trovò del cibo nel microonde, in attesa di lui
con tanto di bigliettino su quale tasto premere, visto che era
completamente impedito.
Prese un paio di posate, un bicchiere, qualcosa da bere e si
buttò al tavolo della cucina, aspettando che il microonde avesse
finito. Provò ad accendere la televisione, ma i colori e la voce
compivano le pareti del suo cervello come un martello pneumatico e in
pochi secondi fu costretto a stoppare.
Estrasse il cibo dal microonde e cominciò a mangiare, affamato.
Quando finì, butto tutto nel lavandino e andò a stendersi
sul divano, come se mangiare fosse stato troppo impegnativo.
C’era qualcosa che non andava.
Afferrò il telefono e chiamò l’infermeria della
centrale, non molto distante da casa sua, nel mondo sotterraneo. Pochi
secondi e a rispondere fu Meredith, la dottoressa.
“Pronto?”
“Mer, sono Gates….” la voce era impastata e
sentì quel poco che aveva mangiato tornargli sopra. Corse in
bagno e tirò fuori pure l’anima.
“Syn che succede?” chiese allarmata e il ragazzo
poggiò momentaneamente il cordless sul ripiano del lavandino,
mentre continuava a rimettere.
Quando il suo stomaco fu nuovamente vuoto, afferrò di nuovo il telefono.
“Mer, non so che cazzo mi prede…. non sto bene…..”
“Sei a casa, giusto?” chiese lei preoccupata.
“Si, dolcezza” riuscì a bofonchiare mentre si metteva a sedere con la testa contro il muro.
“Arrivo subito, non preoccuparti” e gli chiuse il telefono
in faccia. Syn rimase qualche minuto sul pavimento, immobile, girava
tutto, aveva caldo e stava sudando.
Non gli era mai capitata una cosa simile, era preoccupato. I
mezzosangue non si ammalano, tranne se sono in punto di morte e gli
mancavano almeno quattro secoli e mezzo per poterci anche solo essere
vicino.
Aggrappandosi al lavandino riuscì a tirarsi sopra e barcollando
arrivò fino al salotto, da dove sarebbe stato più facile
aprire la porta all’arrivo di Meredith.
Svenne di nuovo sul divano e quando sentì le mani fredde della
donna sulla fronte sembrò riprendere conoscenza e aprì
gli occhi.
“Meer….. sto uno schifo”
“Lo vedo Gates, adesso vediamo subito cos’hai”
Dopo una bella visita e avergli piazzato una pezza sulla fronte, con
Syn un po’ più lucido, Meredith poté tirare un
sospiro di sollievo.
“Stress” decretò alla fine.
“Stress? Ma davvero?” chiese lui, stranito e lei scrollò le spalle, ovvia.
“Si è normale. Perché non arrivate mai a capire che
non siete delle macchine, eh? Per metà siete umani, avete
bisogno di riposo e di stare tranquilli come tutti, ogni tanto. Anche i
vampiri dormono e ogni tanto si prendono una vacanza. Non mi spiego
perché voi soldati insistiate a fare i machi, e poi svenite uno
dopo l’altro”
“Quindi che devo fare?” chiese lui come un bambino. Era la prima volta, in tutta la sua vita, che si ammalava.
“Rimani a casa, ti fai una passeggiata, vai a fare shopping nel
mondo esterno, una partita a golf, ma la prerogativa è una:
RI-PO-SO. Per una settimana ti è vietato anche solo provare ad
avvicinarti ad un arma” Scattò seduto sul divano e la
pezza cadde da sopra la sua fronte.
“Una settimana?! Ma mi prendi in giro?! E come faranno i ragazzi senza di me?”
“Una vacanza non farà male neanche a loro, tranquillo. Su,
adesso stenditi e pensa che per la prossima settimana non avrai niente
di meglio da fare tranne che guardare la tv, andare a bere qualcosa con
Rev e Zack e suonare… A proposito, suoni ancora?”
“No” disse lui stizzito, incrociando le braccia al petto e la ragazza scrollò le spalle.
“Peccato, eri bravo”
“Già” continuò, offeso.
“Su, non tenermi il broncio, sai meglio di me che lo faccio per
il tuo bene. Sei uno dei migliori, ci servi in forza” e il
mezzosangue sciolse un po’ la posa rigida.
“Si, hai ragione. Vedrò di starmene a casa tranquillo”
“Ecco, bravo. Io adesso vado. Mi raccomando, riguardati” “Sarà fatto”
Quando la ragazza si chiuse la porta alle spalle, Syn stava decisamente
meglio. Il medicinale che le aveva iniettato stava facendo effetto e
cominciava a sentirsi di nuovo se stesso.
Passò tutta la giornata a poltrire e quando arrivò la sua
famiglia, spiegò che lo avrebbero avuto in giro per casa per una
settimana e che il riposo doveva essere assoluto.
“Beh, potremmo passare un po’ di tempo insieme, eh
papà?” chiese Mike, sedendosi vicino a lui e il padre lo
abbracciò, affondando il pugno nella sua testa.
“Certo, non sarebbe male. Adesso però fila a fare i
compiti” Bree si dileguò in camera sua e rimase di nuovo
da solo.
Stava pensando di chiamare Michelle, quando fu lei a precederlo.
“Amore? Mi hanno detto della tua vacanza forzata” disse divertita.
“Si, un po’ di stress, mi ha spiegato Meredith che è abbastanza comune fra noi soldati”
“Ah si? Come mai?”
“A quanto pare non abbiamo il senso della misura. Piuttosto, quand’è che torni?”
“Ho chiamato anche per quello. Ci stanno spedendo in una
città vicina che ha un paio di problemi, tornerò
stasera”
“Oh…. ok. Mi spieghi come fare per la cena?”
Michelle sorrise divertita “Chiedi ai tuoi figli, loro sanno come fare”
“Davvero?” chiese lui stupito.
“Eh si, sono in gamba i nostri pargoli. Adesso scusami ma dovrei andare a prepararmi. Ti amo”
“Anche io, dolcezza” e chiuse la chiamata.
La cena fu risolta da Bree e Mike che erano decisamente più
pratici del padre e rimasero un po’ a parlare tranquillamente,
della scuola o dei progetti per l’indomani. Sua figlia gli
spiegò come si carica la lavastoviglie e poi si misero a
guardare un film.
Quando si fece abbastanza tardi, i due andarono a letto e Gates rimase
sul divano a guardare un altro film davvero coglione sui vampiri. Certo
che gli umani si divertivano proprio ad ammassare stronzate, eh.
Dopo poco si scocciò e spostò su un live di una band metal che ascoltava da quando era giovane sul serio.
Rimase a guardare quello per un bel po’, fin quando non si addormentò sul divano.
Fu svegliato dal rumore della porta che si apriva. Alzò la testa
di scatto e vide la sagoma di sua moglie andargli in contro.
“Ehi” disse lui distrattamente e lei si smontò un
paio di pezzi della tuta mollandoli per terra, prima di rispondere.
“Ciao” disse accennando un sorriso e avvicinandosi a lui, ancora sul divano.
Michelle posò le mani sulle spalle del marito, facendogli un
massaggiò e Brian spinse la testa oltre la testiera dei divano,
il viso rivolto verso la donna, ma gli occhi chiusi.
“Diamine, sei davvero stressato”
“Mmmh, già. Quando mi sono svegliato stavo davvero uno
schifo. Tu come stai? Sembri stanca” disse aprendo appena gli
occhi e osservando il viso stanco, i capelli tirati in una coda alta
che le scopriva il collo e un paio di macchie di bruciato su guance e
braccia.
“Un po’…” sospirò distrattamente.
“Stamattina?” Chiese non davvero curioso, ma giusto per dimostrarsi interessato.
“Tutto regolare, sono stata in centrale a dare una mano. Sai
com’è, nuove reclute che rischiano di spararsi in un piede
o qualcosa di simile” Syn sorrise distrattamente, ricordando quei
suoi primi periodi, quando aveva quasi sparato a Rev e c’era
mancato poco che non lo cacciassero dal programma di addestramento.
Fortunatamente per loro, si erano ricreduti.
“Qualche volta voglio venire anche io…. sono più
bravi di noi a quell’epoca o sono messi peggio?”
“Nah, bene o male sono sullo stesso piano, però ci sono un
paio di elementi davvero buoni. Forse dovrei segnalarli” Michelle
si avvicinò all’orecchio di Gates, cominciando a
mordicchiarne il lobo e lui sorrise al vuoto, gli occhi socchiusi,
mentre sentiva le labbra e i capelli di sua moglie solleticargli il
collo.
“Si, meglio far capire da subito che c’è qualcuno che vale qualcosa”
“Mh mh” mormorò lei, mentre una mano scendeva sul torace dell’uomo.
Non si sa bene come, la donna si trovò inginocchiata sul divano,
fra le sue gambe quelle del marito, rivolta verso di lui che gli teneva
le mani in vita e la guardava dal basso, famelico.
La bionda spostò le braccia attorno al suo collo e si
chinò sulle sue labbra. Le mani si lui scesero sul suo sedere
facendosela più vicina.
“Ma tu non dovevi stare a riposo?” sospirò lei divertita, sulle sue labbra.
“Sssh, sei troppo invitante dopo la battaglia” e la fece stendere sul divano, sotto di lui, mentre rideva divertita.
Giorno tre, cominciava a rompersi il cazzo seriamente.
A casa non c’era mai nessuno, i ragazzi spesso e volentieri
avevano da fare con la propria famiglia e lui se ne stava da solo a
casa, tormentato da due occhi color iceberg, onnipresenti nei suoi
pensieri.
Ma che diamine stava succedendo?
Si alzò dal divano scocciato e andò nella sala svago,
sperando di passare un po’ il tempo in qualche modo. Avevano una
sala svago con tanto di tavolo da biliardo e minipista da bowling e lui
non la usava praticamente mai.
Si avvicinò al muro dove stavano le stecche per fare due tiri a
biliardo, quando la sua attenzione fu attratta da un altro oggetto.
In un angolino, tutta sola vicino all’amplificatore e la
pedaliera, se ne stava la sua chitarra, chiusa da anni nella custodia,
a prendere polvere.
Si avvicinò titubante e sfiorò il contenitore nero,
rigido, di pelle con le rifiniture di metallo. Dopo averla guardata per
un po’, l’afferrò e la aprì.
La sua elettrica, fatta su misura per lui facendo modificare da un
liutaio un modello della Schecter, stava lì, le corde
nuovissime, in attesa di essere suonata.
Era semplicemente stupenda, nera a righe argento, con intarsi di
madreperla sulla tastiera che rappresentavano un teschio alato e la
scritta “SYN”.
Non ricordava nemmeno quanto tempo era che non la toccava. Forse addirittura da prima che si sposasse, chi lo sa.
Le sue mani percorsero il profilo sinuoso e perfetto, come se fosse una
bella donna, e ispirò forse quell’odore che riportava alla
sua mente parecchi ricordi. Non era descrivibile, era una fragranza che
quasi gli faceva venire l’acquolina in bocca, nemmeno fosse una
pietanza o un alcolico pregiato.
Era invitante, sembrava lo pregasse, che aspettasse solo lui e le sue mani per farla cantare.
Si sedette sull’amplificatore e dopo averla accordata
sfiorò distrattamente quelle corde, provando qualche accordo o
qualche scala, giusto così.
In quel momento si rese conto di quanto gli era mancato sfiorare quello
strumento, sentire le corde sotto le mani o tirare la leva del Floyd.
Mio Dio, come aveva fatto a dimenticare la sua passione per la musica?
L’adrenalina quando il suono veniva fuori perfetto, nemmeno
stesse mostrando al mondo la sua anima in tutte le sue forme e
sfumature, dando tutto sé stesso e mettendoci tutto
l’impegno e l’amore di questo mondo.
Solo riavendola fra le mani, poté capire quanto gli fosse
mancata. La collegò all’amplificatore e attaccò
anche la pedaliera. Non si ricordava nemmeno bene a cosa servissero
tutti quegli effetti.
Sentiva il desiderio bruciante scorrergli nelle vene, come se il suo
corpo avesse bisogno di suonare e lo fece, senza darsi freni.
Perché mai frenare una cosa così bella?
In poco tempo sembrò riprendere confidenza con lo strumento e
con la pedaliera, ricordando improvvisamente l’utilizzo di ogni
singolo pezzo, come se l’avesse acquistato il giorno prima.
Fu emozionate, ricongiungersi al suo grande amore, riattaccare un pezzo della sua anima.
Non era più abituato ad imbracciare un’arma così
bella ed elegante. Aveva passato gli ultimi anni solo a fare i suo
lavoro, senza curarsi di nient’altro e non gli aveva giovato, per
niente.
Mentre continuava a suonare, improvvisare o fare pezzi che ricordava,
capì cosa fosse stato a smuoverlo (oltre alla vacanza forzata).
Quei dannatissimi occhi azzurri. Quelle iridi chiare e accusatorie,
tanto stupefacenti da smuovere qualcosa nel profondo della sua anima,
tanto da convincerlo ad abbracciare di nuovo la sua grande passione.
Si sentiva vivo, finalmente. Vivo davvero, non eccitazione da potere,
dall’essere potente e dal poter decidere della vita degli altri.
Sentiva di essere qualcuno, di non aver bisogno di dimostrarlo agli
altri, perché lo stava dimostrando a sé stesso e tutto
grazie a quei dannatissimi occhi azzurri.
Dopo chissà quanto, crollò in ginocchio sul pavimento,
sudato, elettrizzato e felice, mentre provava a regolarizzare il
respiro.
Si sentiva appagato e completo, come se avesse appena finito di fare sesso…. o forse era addirittura meglio?
No, era uguale, ma meglio ad un livello emotivo.
Era stupendo.
Poggiò la chitarra sul pavimento e corse a recuperare il
telefono. Digitò freneticamente il numero e l’attesa per
far sì che qualcuno rispondesse fu snervante.
“The Rev al vostro servizio! Chi lo desidera, di grazia?” rispose l’amico, tutto allegro.
“Merda, sono io” lo smontò l’amico.
“Ah, tu. Che mi dici cocco, hai smesso di vomitare?”
“Si spilungone. Senti un po’, tu hai ancora una batteria?”
“Certo che si, non la mollerei mai! Non dirmi che…. Oh oh
oh, cazzo si! Afferra la tua dolce arma e corri qua, tiratore di
freccette che non sei altro!” Com’era possibile che quello
spilungone lo capisse sempre al volo, era un mistero, ma continuava a
farlo da quando erano bambini e a Gates andava bene così.
“Oh, speravo me lo dicessi!”
“Ok, allora da adesso ti chiamo tiratore di freccette. Un po’ lungo, ma carino come nome”
“Jim?”
“Si, tiratore?”
“Vaffanculo”
“Ok, ma datti una mossa”
“Certamente”
Afferrò tutto l’arsenale e lo caricò nella macchina che non usavano quasi mai.
Uscì dal parcheggio e si diresse qualche isolato più a nord, a casa dell’amico.
Andò a suonare alla porta e il ragazzo venne ad aprirlo,
sorridente. Lo aiutò a scaricare la macchina e andarono nella
stanza insonorizzata dove Jim teneva la sua batteria.
“Oh Brian! Era un secolo che non la vedevo” disse
osservando lo strumento dell’amico, ancora riposto nella
custodia. Il segugio si guardò intorno imbarazzato, grattandosi
la testa.
“A chi lo dici….. Ma la tua dolce metà?” chiese curioso, visto che la casa era vuota.
“A lavoro. Ti ricordi ancora come si fa, vero?”
“Ehi, vorrei ricordarti chi è l’uomo con cui stai parlando!” Jim alzò le mani in segno di resa.
“Perdonami se mi accertavo. E’ da quando è morta Val che non la tiri fuori”
Oh, vero. Valary. Cristo santo….come aveva fatto a non arrivarci?
Valary era la defunta gemella di Michelle, nonché moglie di M
Shadows, il capo squadra di Gates, che vent’anni prima era
rimasto vedovo, solo con due figli piccoli, completamente distrutto e
accecato dall’odio.
All’epoca Gates ci aveva capito ben poco, era solo arrivato alla
conclusione che chiunque avesse ucciso la sua più grande e unica
amica donna, ridotto in quelle condizioni uno dei suoi migliori amici e
distrutto quella che all’epoca era solo la sua ragazza, doveva
morire.
Adesso Matt sembrava stare decisamente meglio e i suoi due figli maschi
avevano più o meno vent’anni e lavoravano per la stessa
centrale del padre e della sua squadra.
Era per quel motivo che aveva smesso di suonare….
Molto tempo prima, quando oltre ad uccidere avevano anche una sorta di
vita sociale, Jim, Brian, Matt e Val perdevano tempo a casa del primo,
suonando.
Erano anche bravi, qualche volta capitava che si esibissero nei pochi
locali della città sotterranea e tutti sapevano della loro
“band”.
Brian e Jim erano rispettivamente il chitarrista e il batterista,
ovviamente, mentre Matt era il bassista e Val la cantante. Era un modo
come un altro per passare il tempo, ogni tanto.
Alla morte di lei, però, non se l’erano più sentita
di andare avanti e avevano messo da parte gli strumenti.
O almeno così aveva fatto Gates, Jim aveva continuato a suonare,
non poteva smettere e Matt aveva distrutto il basso in preda
all’ira, molti anni prima, quando era ancora vedovo da poco.
“Bene…. che combiniamo?” la voce squillante e forte
di Jim ridestò Brian dai suoi pensieri e sorrise, collegando la
chitarra all’amplificatore.
“Quello che vuoi” disse divertito, prima di far scorrere le dita sulla tastiera.
***
Era buio, il mondo sapeva che lui aveva da fare e, con abiti comuni,
uscì dal mondo sotterraneo per mescolarsi al mondo comune e
bersi una birretta in santa pace.
Non era molto pratico della città, ma conosceva un paio di posti
tranquilli in cui non avrebbe dovuto avere problemi di nessun genere.
Da quando aveva incontrato quella vampira, Lay, quasi una settimana
prima, non riusciva a darsi pace. Dormiva pochissimo e male, appetito
scarso e attenzione calante. In pratica, sembrava l’adolescente
problematico che non era mai potuto essere.
Era davvero un mostro? Alla pari di quelli che uccideva? O addirittura peggiore?
Si sedette al grosso bancone di legno scuro del locale mediamente
affollato e aspettò che la barista si accorgesse di lui.
“Che ti porto, tesoro?” ispirò e vedeva la sua figura nella mente, prima ancora di alzare lo sguardo.
Bastò un’occhiata per capire che le due immagini coincidevano. Certo che era davvero potente come segugio.
“Una birra alla spina, grande” “Arriva subito”
sospirò la vampira bionda e sculettando se ne andò allo
spillatore, afferrando un grosso boccale di vetro.
Quel locale odorava di vampiri in maniera spaventosa. Sperava solo che
non sospettassero che lui fosse del mondo sotterraneo, perché
non sapeva che tipo di vampiri c’era in quel posto.
Lui lì era semplicemente Brian, un mezzosangue come tanti che voleva bersi una birra, per i cazzi suoi.
La tipa gli piazzò davanti il grosso boccale e lui le
lasciò un’occhiata di ringraziamento e i soldi in una
mano. Guardò per un po’ il liquido dorato, prima di
prenderne una grossa sorsata.
Ah, una birra come si deve. Era un po’ che non ne beveva una così buona.
Dal suo posto riusciva anche ad osservare chi entrava ed usciva dal locale, senza farsi notare.
Gli piaceva guardare le altre persone, immaginare la loro vita, quello
che avevano passato e magari farsi anche raccontare la loro storia e i
loro sguardi… Brian adorava leggere gli sguardi.
Tutto, pur di distrarsi dalla sua vita.
Gli sembrò una cosa assurda quando in quel locale entrò
Lay. Era affiancata da un ragazzo (vampiro) grosso con i capelli neri,
lo stesso naso e gli stessi occhi di ghiaccio della ragazza. Ma non era
della combriccola dei non-ribelli. O almeno, quella sera di qualche
giorno prima, lui non c’era.
Fratello? Probabile. Le teneva un braccio attorno alle spalle ed
entrarono tranquilli e sorridenti nel locale. Molta gente li salutava e
appena arrivarono si liberò un tavolo per loro.
Uhm….. c’era qualcosa che non quadrava.
Gates se ne rimase nel suo angolino e quando si trovò la vampira
di fianco, apparentemente per ordinare, rimase parecchio sorpreso.
“Che ci fai qui” sibilò lei a denti stretti.
“E’ un locale pubblico, no? Non mi pare ci sia scritto ‘vietato a Syn…”
“Ssshhh! Non dire il tuo nome. C’è troppa gente che
ti vuole morto” alzò le sopracciglia. Questa proprio gli
mancava.
“Ah si?”
“Sai com’è, sei più bravo di come
sembri” il ragazzo scrollò le spalle e buttò
giù il resto della birra, per poi tornare a guardare la ragazza.
“Piuttosto…. dovresti spiegarmi che ha fatto mia moglie”
“Il suo lavoro, ma su delle persone un po’ troppo in alto. E’ più a rischio di te”
“Oh, capisco”
La barista portò un vassoio pieno di bicchierini che Lay prese con un sorriso.
“Grazie Bess”
“Figurati Lay, questi li offre la casa, eh”
“Oh, grazie” e la tipa dietro al bancone se ne andò.
La bruna prese un bicchierino dei tanti e lo poggiò sul bancone, avvicinandolo al soldato.
“Dai, Brian, questo te lo offre la Morte Blu.. Divertiti”
Prese un bicchiere e aspettò che il ragazzo facesse lo stesso
col suo. Fecero tintinnare i bicchieri e buttarono tutto giù
d’un sorso.
Il ragazzo scosse la testa, come un cane bagnato, mentre la ragazza
fece una strana smorfia prima di dileguarsi col vassoio carico.
Finita una seconda birra, si alzò e se ne andò,
leggermente barcollante per via di quel bicchiere che le aveva offerto
la ragazza.
Chissà che razza d’intruglio era…. però era bello potente, non c’è che dire.
Uscì dal locale, evitando per un pelo di scontrarsi con alcuni
energumeni che avrebbe buttato giù con un paio di calci e
uscì nella notte fresca, fumando una sigaretta.
Beh, adesso doveva sapere chi cazzo fosse la Morte Blu e chi diamine avesse ucciso sua moglie.
Bbbene! :D
Poche visualizzazioni, recensioni ancora meno….
Questa storia sta andando alla grande, eh?
Un vero successo v.v Non facevo così schifo da…… mai.
Beh, popolarità a parte, continuerò a pubblicarla…. perchè sono stupida, testarda e ci tengo .v.
Mi sono da poco resa conto che avevo detto che avrei aggiornato ogni lunedì….
E il primo chap l’ho aggiornato di mercoledì o.o
Che donna di parola, non c’è che dire v.v
QUI
sarebbe più o meno quello che vedo nella mia mente come Layla,
magari con più capelli e senza sole (è la foto di Kimbra,
una cantante niente male se ti piace il genere v.v)
Ringrazio chiunque l’abbia letta, messa fra le preferite e le seguite ;)
Me la lasciate una recensioncina? c.c dai, al vostro piccolo cactus esaurito e palliduccio.
Ho bisogno di supporto nella calura estiva di casa mia c.c (niente mare DDD:)
The Cactus Incident
|
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Capitolo 4 *** Chapter 3 ***
Vamp chapter 3
“Associazione a delinquere” statuì Arnold alla domanda del bruno.
L’unico che era venuto in mente a Gates per avere notizie su chi
fosse la Morte Blu, era stato Arnold, uno scienziato vampiro che
lavorava là sotto e che era sempre gentile e disponibile con lui.
Aveva i capelli neri e corti, gli occhi insolitamente normali e per
qualche strano motivo indossava gli occhiali da vista. Davvero strano
per un vampiro, eppure lo era.
Gates arricciò un po’ le sopracciglia.
“Tipo la mafia?”
“Qualcosa di simile” si mise i guanti di lattice e
cominciò ad armeggiare con strane provette con liquidi dai
colori fluorescenti, mentre spiegava a Syn chi fosse la Morte Blu.
“La Morte Blu è…. una casata reale dei vampiri. Una
delle tre più potenti, e per la precisione, la più
potente di tutto il nostro continente. Insieme alle altre due si sono
sempre opposti al sangue sintetico e alla convivenza pacifica con il
mondo degli umani. Per loro sono semplicemente una fonte di nutrimento.
Per questo motivo, continuano il loro operato e noi proviamo a farli
fuori”
Oh Cristo.
“Ma sono in molti?” Chiese con tono disinvolto e
disinteressato. Syn si complimentò con se stesso con le sue doti
di attore. Nemmeno se avesse fatto un corso!
“La famiglia di per sé no, una volta erano una decina,
adesso sono in quattro, ma il grosso sono i seguaci. L’80% dei
vampiri della nostra città che non rispettano le leggi sono
affiliati della Morte Blu e così molti altri in tutto il
continente e anche in alcune parti del mondo”
“Ma dove si trovano?”
“Non si sa, comunque si pensa che qualcuno della famiglia reale
viva da queste parti. Purtroppo non siamo mai riusciti a scovarli. Solo
una volta, una delle tre figlie è uscita allo scoperto ed
è stata fatta fuori. Indovina un po’ da chi?”
Se due più due fa quattro……
“Michelle, vero?”
“Eh si. Te l’ha detto lei?” il soldato emise un mezzo verso divertito.
“Qualcosa di simile”
Gates rimase a guardare uno degli schermi in retina sintetica su cui
c’era una sorta di cartina geografica con dei puntini luminosi di
vario colore.
“Come si fa a riconoscere gli affiliati?”
Arnold si sistemò gli occhiali sul naso e sistemò la
provetta che aveva in mano al suo posto. Si avvicinò al computer
e tolse uno dei guanti. Aprì una cartella e da qui un paio di
file.
Erano due marchi. Uno nero e blu, che ricordava vagamente una stella
marina, ma stilizzata, con i tratti più spigolosi e molti
più raggi, mentre l’altro era di un bel blu zaffiro,
che decoravano quello che sembrava un rosone gotico, molto più
elegante e raffinato del primo.
Oh cazzo. Era il tatuaggio di Lay!
“Ringraziando il cielo, i vampiri sono dannatamente scenografici
e tradizionalisti. Per questo motivo, gli affiliati di queste casate si
fanno tatuare dei marchi di solito nella zona del collo. Uno è
quello degli affiliati e uno quello della famiglia reale”
Gates pregò con tutto sé stesso che il tatuaggio della
ragazza la segnasse come semplice affiliata. Lo sperò davvero,
ma fu tutto inutile.
“Affiliato” E Arnold indicò il marchio nero e blu “Famiglia reale” blu.
Merda.
Arnold aprì un’altra cartella, che aveva un posto tutto per sé nello schedario.
C’era una fila di nomi abbastanza breve, alcuni segnati in rosso
che li indicava come deceduti, pochi in bianco, segno che erano ancora
vivi.
Arnold aprì il primo documento e Gates riconobbe subito lo
sfondo verde con le scritte in nero e rosso e una foto, segno che era
una delle schede dei vampiri segnalati come pericolosi.
Vampiro, dimostrava più o meno quarant’anni, i capelli
completamente neri con un’unica ciocca bianca sul lato destro
della fronte, tirati indietro.
“Arthur Lightblue. Il capostipite della famiglia. E’ lui il
capo di tutto. E’ un vampiro potentissimo, uno dei tre più
potenti al mondo e controlla orde di vampiri”
Gates diede una rapida occhiata ai dati anagrafici dell’uomo e Arnold passò avanti.
Seconda scheda: il tipo che Gates aveva visto con Lay al bar. Somigliava moltissimo al padre.
“Maxwell Lightblue. Uno dei tre figli ancora in vita di Arthur.
Insieme alla sorella è il capo in seconda, anche se più
indicato di lei a prendere un giorno il controllo di tutto a un
eventuale decesso del padre. Sono stati lui e alcuni suoi amici ad
attaccare l’ospedale Saint Jones due anni fa”
Syn annuì, ricordava bene quell’attacco. Una cosa
terribile. Era rimasto seriamente sconvolto da quella battaglia
dannatamente cruenta e sanguinosa. Dopo quella avevano cominciato a
controllare tutti gli ospedali e a intensificare le ricerche e gli
assalti verso i ribelli.
Terzo file: ancora un ragazzo, esattamente identico al primo, ma con i
capelli ramati e gli occhi che sembravano ambra, ma chiarissimi.
“François Lightblue. Gemello di Maxwell. E’
completamente pazzo. Ha perso il lume della ragione almeno due secoli
fa e da allora passa le sue giornate chiuso Dio sa dove, relegato dal
padre. E’ un bene che faccia così, perchè quando
esce diventa pericoloso per tutti, vampiri compresi. E’ stato lui
ad uccidere Francine, moglie di Arthur nonché sua madre”
Che razza di vampiro poteva uccidere la propria madre, vampira anch’essa? Uno comune, in effetti.
Quarto ed ultimo file. Il cuore di Gates perse un battito.
“Layla Lightblue. Unica delle quattro figlie ancora in vita. Ha
dei grossi problemi di salute, ma c’è chi dice che sia
tremenda. Gates, è stata lei ad uccidere Valary e si pensa che
l’abbia fatto perché Michelle ha ucciso sua sorella”
Oh Dio…. era davvero stata quella vampira ad uccidere l’unica donna che avesse mai amato?
Eh si, nessuno lo sapeva, nemmeno Rev.
Brian aveva sempre amato la gemella di sua moglie, anche da prima che
prendesse in considerazione l’esistenza di Michelle. Si era anche
dichiarato, ma era stato inutile, lei lo vedeva semplicemente come un
amico e aveva sofferto anche lei. Dopo un po’ però, Val si
era messa con Matt e Gates si era “accontentato” della
seconda scelta, ovvero Michelle.
Era da tanto che non pensava davvero a Val…. La vedeva ogni
giorno, riflessa negli occhi della sorella, ma era un riflesso opaco e
deviato. Michelle non era Valary, e non lo sarebbe mai stata, ma a
Gates era sempre andata bene così.
Se avesse saputo prima che era stata Layla ad uccidere Valary, molto
probabilmente, avrebbe mirato alla testa invece che alla gamba.
Gates rimase un po’ in silenzio, prima di porre l’ennesima domanda, in cerca di spiegazioni.
“Problemi di salute?” Non si era mai sentita una cosa del genere.
“Si, quando ha ricevuto la trasformazione, dal padre, era in fin
di vita e questo si ripercuote sulla sua natura da vampira. E’
abbastanza debole e ha bisogno di più sangue rispetto ad un
normale vampiro perchè i suoi tessuti sono più logori.
Però, per assurdo, è immune al proiettili al
plasma”
“Immune?” Chiese Gates, sembrando seriamente sorpreso e in effetti lo era.
Non era immune, Gates lo sapeva bene. Le aveva colpito una gamba e lei
aveva sanguinato, per poi svenire. Anche se, adesso che ci pensava, il
colpo inferto avrebbe dovuto far saltare in aria entrambe le gambe e
magari anche il bacino, non solo ferirne a mala pena una.
“Si, su di lei hanno degli effetti molto ridotti. I proiettili al
plasma, quando direzionati su un essere vivente, attingono potenza
direttamente da esso. I vampiri, essendo creature potenti vengono
disintegrati; a un umano, con una carica cinquanta potresti creare si e
no una scottatura. Layla essendo debole ne risente in minime
quantità”
“Come fate ad avere tutte queste notizie?”
“Anni di ricerche e di raccolte, di spie infiltrate e cose così”
“Uhm…. capisco”
Rimase ancora a guardare il volto di Lay sullo schermo. Le due foto,
una di fronte e una di profilo, in cui sorrideva leggermente. Aveva
anche la coda di cavallo e il frangettone, come l’aveva sempre
vista Gates.
Chissà come avevano fatto a recuperare un’immagine così nitida di lei.
“Oh, ok. Grazie Arnold” Disse alla fine il soldato,
voltando la testa verso lo scienziato vampiro che gli sorrise
tranquillo.
“Figurati, è il mio lavoro. Ma, se posso sapere, come mai
queste domande?” chiese Arnold, innocentemente e Gates
scrollò le spalle con fare scazzato, nascondendo lo shock per le
notizie acquisite.
“Bah, così. Ne avevo sentito parlare e volevo capirci
qualcosa. Sei stato davvero gentile. Ci si vede, eh” gli diede
una pacca su una spalla e uscì da quella sezione del
laboratorio, prima che potesse fare altre domande, abbastanza sconvolto.
Quindi, la figlia del capo, beveva sangue sintetico e nascondeva
vampiri che probabilmente appartenevano agli affiliati nei sotterranei
di un palazzo, aveva ucciso l’unica donna che avesse mai amato,
oltre che sorella gemella di sua moglie e moglie di uno dei suoi
migliori amici ed era uno dei pochi superstiti di una delle famiglie
reali più importanti esistenti che se avessero saputo dei suoi
“piani di combutta” l’avrebbero come minimo uccisa.
Wow.
Si piazzò una sigaretta fra le labbra e uscì dal mondo sotterraneo.
Ultimamente la sotto gli sembrava di soffocare. Non ci resisteva più.
Erano le sei del pomeriggio e il cielo era tinto di rosso, arancio e viola.
Le sue braccia completamente coperte di tatuaggi erano scoperte e la
pelle leggermente bronzea risaltava sulla semplice canotta bianca che
indossava. Nonostante fossero a fine gennaio, per lui era come stare in
primavera.
C’era un venticello leggero e le due medagliette da militare che
pendevano dal suo collo, tintinnavano fra di loro come il campanellino
di un gatto.
Peccato che lui non si sentisse per niente bene nel suo ruolo da gatto d’appartamento che gli era stato affibbiato.
Lui era un randagio e lo sarebbe stato fino alla fine, fino alla morte.
Si voltò a guardare il sole che finiva di tramontare dietro la fila infinita di palazzi e grattacieli.
Aspettò che scomparisse del tutto per continuare a camminare, accendendosi un’altra sigaretta.
Con le mani in tasca e la testa alta, passò distrattamente per
quei vicoli scuri e luridi che non lo avevano mai spaventato. Forse
perché lui c’era nato fra quei vicoli, anche se non li
conosceva bene.
Passando per uno di questi si sentì tirare in uno di quelli
più bui ed era pronto già ad un combattimento corpo a
corpo, quando si rese conto che erano Tj e Layla.
“Ma vuoi proprio farti ammazzare, eh?” lo rimproverò
lei e Tj sorrise distrattamente, lasciando la presa sul braccio del
ragazzo, continuando a guardarlo divertito. Brian sbuffò
scocciato e rimase a guardare il marciapiede lurido.
“Un grazie non sarebbe male, sai?” disse lei, piccata.
“Grazie? E di cosa?”
“Di averti salvato al vita, visto che due metri più avanti
c’è gente che vorrebbe volentieri ridurti in pezzi
talmente piccoli da essere poco anche per i vermi”
“Ah beh, meno male che ci sei tu allora, no?” disse lui sarcastico, alzando lo sguardo sugli occhi chiari di lei.
“Che intendi dire” fece lei piccata.
“Niente, cara la mia Layla Lighblue” piombò il silenzio.
“Beh, io… vado a prendere…. quello che ci
serve….Ciao Brian” si dileguò l’altro vampiro
dagli occhi insoliti, a disagio.
“Ciao Tj” si limitò a dire il soldato, senza
distogliere lo sguardo da quello di Lay, che lo guardava orgogliosa e
ferita.
Tj sparì non si sa dove e rimasero loro due infondo a quel vicolo.
“Beh, allora? Non hai niente da dire?” insistette Brian,
spezzando il silenzio. Lay fece una mezza smorfia, chinando leggermente
la testa di lato come a dire ‘Ma che cazzo dici?’ e
raddrizzandola prima di cominciare a parlare, il tono un tantino alto e
irato.
“Che dovrei dirti? Si, sono Layla Lightblue, allora?”
“TU hai ucciso la sorella di MIA moglie!” sbottò
lui, indicandosi il petto. Ma Brian era davvero troppo affezionato a
Valary, avevano passato buona parte della loro vita in classe insieme
ed erano sempre stati grandissimi amici, oltre che qualcosa di
più non corrisposto. Quando era venuta a mancare era stato un
grosso colpo anche per lui. Era stato anche per questo lutto che aveva
abbracciato così fedelmente il suo ruolo nella squadra speciale.
“E TUA moglie ha ucciso MIA sorella! Chi sta messo peggio?”
Lay teneva in maniera spropositata a sua sorella, Maya e quando quella
donna l’aveva uccisa senza nessun motivo, anzi, i buoni propositi
di Lay si erano presi una bella vacanza per tornare solo a vendetta
compiuta. Per un po’ aveva pensato anche di uccidere direttamente
Michelle o quello che all’epoca era il suo ragazzo, ma aveva
desistito, decidendo di ripagarla con la stessa moneta.
Gates sembrò non riuscire a ribattere con la stessa veemenza,
difatti sembrò calmarsi e anche la sua voce risultò di
molto più tranquilla.
“Mich aveva le sue ragioni, tu no”
“La vendetta è più che una ragione e da quanto sto
intuendo, tu non sai nemmeno metà di tutta la storia, eh il mio
caro Gates?”
Brian strinse le labbra, colto in fallo e Lay gli rivolse un ghigno, incrociando le braccia al petto.
“Come immaginavo. La qualità più grande di voi
soldati è l’ignoranza. Non sapete né perché
combattete né contro di chi. Tu ne sei la prova vivente.
Dì la verità che fino a poco tempo fa non sapevi nemmeno
chi fossi. L’hai chiesto a qualche tuo amichetto o cosa?”
“Smettila con queste stronzate da anarchica e raccontami la tua versione”
“Non è la mia versione, questa è LA versione, non ce ne sono altre”
Brian voltò gli occhi al cielo e incrociò le braccia.
“Forza. Ce la fai a spiegarmela prima che sorga il sole o riesci
solo a mettere insieme stronzate?” La ragazza schioccò la
lingua e si girò di spalle. Stava per fare una grossa
stupidaggine, lo sapeva, ma non sapeva come altro fare.
“Seguimi, idiota” Girò nell’angolo del vicolo
e Gates la seguì. Si trovarono davanti un muro su cui era
piazzato un cassonetto dell’immondizia.
Lay si avvicinò ad un pannello dell’elettricità e
dopo aver girato al contrario delle manopole che di norma non
dovrebbero essere in grado di muoversi così, il cassonetto si
spostò in avanti con tutto il muro retrostante, lasciando aperta
una fessura in cui Brian sarebbe passato a mala pena stringendosi
parecchio su sé stesso.
La ragazza entrò e il mezzosangue le fu subito dietro.
Appena attraversato il muro, immersi nel buio più totale, Lay
poggiò le mani sulla parete, richiudendo la fessura e accendendo
le luci, ovvero quattro file di lampadine che segnavano gli angoli del
corridoio. Sia quelli sul pavimento che sul soffitto, alto al massimo
un paio di metri.
Proseguirono per un po’, svoltarono a destra, poi a sinistra e
poi di nuovo a destra. A quel punto arrivarono ad una sorta di bunker
ed entrarono un una stanza, piena di cuscini, cd musicali ordinatamente
riposti in un mobile enorme, uno stereo, un pianoforte, un letto enorme
dalla forma insolita che gli permetteva di combaciare con un angolo (un
po’ come se fosse una grossa fetta di un’enorme torta
rotonda) e milioni di bottiglie di sangue sintetico, poggiate un
po’ ovunque.
Le pareti erano tinte di rosso scuro, come il sangue arterioso, e i
cuscini erano panna, neri o rossi. C’erano tendine da hippie e
quando attraversarono la porta, si accesero un paio di luci basse e
soffuse e partì l’album n°3 dei Led Zeppelin.
“Ecco, qui possiamo parlare tranquillamente. Siediti dove
vuoi” Brian si guardò attorno un po’ sconcertato, ma
poi si buttò fra i numerosi ed enormi cuscini sparsi davanti
allo stereo. Lay prese due bottiglie di sangue ed una di birra e
andò a sedersi a gambe incrociate, davanti a lui. Gli
passò la birra e stappò il suo sangue sintetico.
“Allora. Adesso mi racconti cosa è successo?”
“Bel posto, vero? Mai nessuno oltre ai non-ribelli è mai stato qui. Devi ritenerti fortunato”
“Ok, ma la…”
“Si, so che sei qui per sapere cosa è successo, ma sta
tranquillo. Puoi anche tirare un respiro: non sei nel mondo
sotterraneo”
Il ragazzo sbruffò, ma provò a seguire il suo consiglio.
Quel posto infondeva tranquillità a Brian. Era come una grande
campana, il soffitto rotondo che era un tutt’uno con le pareti,
quei colori così caldi da sembrare umidi…..
Qualcuno avrebbe potuto sentirsi a disagio in un posto così, ma
a lui, adesso che provava a tranquillizzarsi, infondeva pace.
“Allora… cos’è che dovevo raccontarti? Ah si,
la storia di Maya e Melissa” Probabilmente Lay non conosceva
Michelle col suo vero nome e Brian si guardò
dall’informarla.
“Si chiamava Maya?” chiese distrattamente, stendendosi
comodamente fra i cuscini e prendendo un sorso dalla birra ghiacciata.
Lay annuì, guardando distrattamente il bordo della bottiglia.
“Le mie tre sorelle sono tutte morte: due per mano della tua
società e una per mano della mia. Maya è stata
l’ultima a morire. La prima, Alexis, è morta un paio di
secoli fa, per mano di una delle prime squadre di mezzosangue armati in
maniera consona. Dopo quell’avvenimento uno dei miei fratelli,
François ebbe una sorta di crisi e uccise nostra madre.
La seconda, Samantha, era stanca di vivere come un vampiro e voleva
inserirsi nella società comune, sposare il vampiro che
l’amava e passare l’eternità insieme, vivendo
tranquilli per i fatti propri, lontani da giochi di potere e cose
simili a cui era soggetta. Si rivolse alla tua cara città
sotterranea, in cerca del tanto acclamato ‘progetto
protezione’. In cambio le chiesero tutto quello che sapeva sulla
Morte Blu e sui suoi affiliati e lei lo fece, ci vendette per la sua
libertà, credendo che lei e il suo vampiro sarebbero stati
protetti” fino a qui il suo tono era stato dolce, ma poi
s’indurì, amareggiata.
“Per tutta risposta mio padre lo venne a sapere ancor prima che
potessero lasciare la città e uccise entrambi, in nome
dell’onore della nostra casata e cazzate del genere”
Tirò un grosso respiro, corrucciando labbra e sopracciglia e i
suoi occhi assunsero quell’insolito velo scuro che a Brian era
già parso di vedere. I suoi occhi si fecero leggermente lucidi,
ma poi prese un altro respiro e li riaprì, ricominciando a
parlare, anche se con la voce leggermente incrinata.
“La terza, Maya è morta diciannove anni fa, una settimana
prima di Valary” precisò lanciando un’occhiata a
Brian che, immobile, la osservava e ascoltava attentamente.
“François era scappato e gli unici in grado di calmarlo
siamo noi fratelli. Insieme a noi c’erano anche parecchi altri
vampiri che ci aiutavano a cercarlo.
In quel periodo avevo cominciato a distaccarmi dalla casata e da mio
padre, insieme a Tj, ma non era ancora qualcosa di sensato. Era
semplicemente un evitare di bere sangue umano e tenere tutti allo scuro
di questo cambiamento. Comunque, François stava portando
scompiglio e insieme a noi intervennero anche parecchi dei vostri
soldati e alcune squadre, fra cui quella di Melissa.
Noi non avevamo fatto niente, stavamo semplicemente cercando nostro
fratello, ma lei ha cominciato a spararci addosso. Io ero completamente
disarmata, mentre Maya aveva un’arma con forse una decina di
colpi.
Per salvarmi da TUA moglie e permettermi di scappare si è
fermata e l’ha affrontata. Melissa ha fatto questo a me”
disse indicando una grossa cicatrice sul braccio, la più grande
almeno su quell’arto “E ha piantato questo in mezzo agli
occhi di mia sorella” e sollevò il proiettile che teneva
legato al collo “All’epoca ancora non c’erano i
proiettili al plasma” specificò. Brian rimase a fissate il
pallottola di metallo scuro che pendeva dalla catena stretta nella mano
della ragazza, allibito, sperava senza darlo a vedere.
“Il tutto solo per questo cazzo di tatuaggio” lasciò
cadere l’insolito ciondolo al suo collo e si sfiorò un
po’ più già della nuca. Tornò a stare
diritta e prese un altro sorso dalla bottiglia che teneva fra le mani.
“Comunque…. Dopo questo i miei buoni propositi sono stati
messi in un angolo dalla rabbia e dalla sete di vendetta. Inizialmente
avevo pensato di uccidere te, ma eri un banale ragazzo. Avresti potuto
essere uno come tanti, magari non sareste durati più di tanto.
Meglio infierire sulla stessa parte lesa da lei e a quel punto ho
ucciso Valary” disse fredda e cinica, prima di svuotare la
bottiglia e buttarla in un angolo, aprendo l’altra.
“E’ stato davvero semplice. Avevate entrambi la stessa
stupida abitudine di girare per il mondo esterno completamente
disarmati e con quelle cazzo di medagliette che sono peggio di
un’insegna luminosa. Abbiate almeno l’intelligenza
d’infilarle nella maglietta, suvvia.
Ero talmente accecata dalla rabbia da avere la stessa forza di un
comune vampiro, mentre lei era insolitamente debole. L’ho
attirata in un vicolo e ci ho messo pochi secondi a farla fuori. Questa
che vedi al mio collo era sua” disse sfiorando la medaglietta
identificativa, ma mancava la seconda, quella di metallo con il simbolo
in viola che identificava Val come un membro di una squadra speciale,
uguale alla seconda medaglietta che portava al collo Brian, ma col
simbolo rosso.
“Con l’altra, quella mezza viola, ci ho fatto fare
questo” disse sfiorando il ciondolo a forma di cuore, parecchio
realistico.
“Non sei stata tanto migliore di Melissa” sentenziò
Brian dopo un po’, tornando a guardarla negli occhi.
“Lo so, e adesso me ne pento, ma all’epoca l’unica
cosa che riuscivo a pensare era che anche la mia ultima sorella era
morta, mentre la sua era ancora in vita e non riuscivo ad
accettarlo”
Per un secondo fece crollare la maschera fatta di odio e orgoglio,
diventando una semplice ragazza troppo giovane, pentita dei suoi gesti.
Si tolse la medaglietta identificativa e prese la mano di Brian, non
molto distante dalla sua. La aprì e vi posò dentro la
medaglietta, chiudendo poi le dita di lui attorno ad essa.
“So che non cambia nulla, ma mi dispiace” Brian alzò
lo sguardo dalle loro mani per posarlo sugli occhi di lei, del velo
scuro nemmeno l’ombra, anzi, i suoi occhi non gli erano mai
sembrati così chiari, mentre lo guardava, triste.
Ritrassero entrambi le mani, lentamente e rimasero zitti, Brian
osservava la medaglietta con su scritto Victoria Shadows (nome fittizio
di Valary) e il suo numero di matricola e Lay osservava la sua
bottiglia, mentre nella sua mente scorrevano le immagini del sangue
della giovane donna che si allargava in una pozza per terra e su di
lei, nel preciso istante in cui si pentiva di quello che aveva fatto.
La bocca imbrattata di quel rosso ripugnante da CH negativo e il mento
gocciolante di liquido scarlatto.
Le erano bastati pochi gesti, aveva reciso la carotide sentendosi
spruzzare direttamente in bocca quel sangue disgustoso e poi le aveva
rotto l’osso del collo, per evitare di farla soffrire
ulteriormente.
Suo padre l’aveva accolta come un eroe, suo fratello Max
l’aveva abbracciata, orgoglioso e anche François si era
dimostrato d’accordo a modo suo.
Tutti felici, tranne lei che si sentiva un mostro. Non aveva ucciso per
bisogno, ma per vendetta ed erano secoli che non le capitava. Non
voleva più essere quella sorta di principessa della guerra che
tutti idolatravano e rispettavano, era stufa.
“Ormai quel che è fatto è fatto. Sono stato molto
male anche io, ma sappiamo dall’inizio che questa è una
guerra e come tale comporta dei vincitori e dei vinti. Valary almeno in
quel caso era innocente, ma è andata così” disse
Brian, anche abbastanza banalmente. Mentre osservava la medaglietta.
“Brian mi fa schifo questa guerra, sono stanca di far finta di
essere ancora dei loro e spero che tu sia stupido quanto sembri e che
non abbia qualche sorta di microspia perché non vorrei dover
uccidere anche te”
“No, sono proprio un coglione, non preoccuparti” Lay
osservò i grandi occhi scuri del ragazzo che le sorrideva appena
e dopo un po’ sorrise a sua volta.
Per la prima volta lo vide come qualcosa di diverso dal “marito
di quella che aveva ucciso Maya” o da Synyster Gates, il temibile
mezzosangue dal grilletto facile e l’embolo sempre pronto a
partire.
Era Brian, un bel ragazzo con la carnagione bronzea, gli occhi scuri,
tanti tatuaggi e il fisico modellato da anni di allenamenti pressanti e
continui, a cui di sicuro piaceva la birra e starsene zitto ad
ascoltare, dal sorriso dolce e lo sguardo impenetrabile.
“Beh, però meglio non farlo sapere a Matt, eh?”
disse distrattamente Brian mettendo in tasca la medaglietta e prendendo
un altro sorso dalla birra.
“Matt?” chiese Lay, con capendo.
“Si, il marito di Valary” si affrettò a spiegare Brian.
“Uhm, beh capisco”
“Già, non credo si farebbe troppi scrupoli a farti fuori”
“Non sbaglierebbe, solo che poi si troverebbe tutta la Morte Blu
alle calcagna” Brian scrollò le spalle, mentre si alzava.
“Ci saremmo noi ad aiutarlo. Comunque s’è fatto
tardi, devo andare” Lay balzò in piedi e annuì.
“Vieni, ti accompagno” spalla a spalla uscirono dal
nascondiglio della ragazza e arrivarono fino al muro da cui erano
entrati.
Brian stava per andarsene dopo averla salutata con un sorriso e con un
cenno di due dita sulla fronte, quando lei lo afferrò
delicatamente per un polso, fermandolo e facendolo voltare.
Non sapeva nemmeno lei perché lo stesse facendo, ma Brian la
osservò curioso, aspettando che parlasse o che facesse qualcosa.
Lay si avvicinò pericolosamente a lui e Brian si sporse verso di
lei, fraintendendo. La ragazza posò le mani sulle due
medagliette appese al collo di lui e dopo aver di poco allargato
l’ampio scollo della canotta la fece scivolare dentro.
“Ecco, vedi di non farti uccidere, Brian. Ah, da qualche parte ho
i tuoi occhiali, li hai lasciati al rifugio quell’altra
sera”
“Beh, tienili pure tu. Grazie, Lay” sembrò spingersi
in avanti ancora di un millimetro, prima di allontanarsi
definitivamente e uscire fuori da quel vicolo, diretto a casa.
Lay rimase un secondo ferma e poi prese un respiro profondo, prima di dileguarsi alla ricerca di Tj.
Stava facendo una grossa stronzata ad esporsi così con uno dei
suoi nemici, ma si sentiva dannatamente attratta da quel mezzosangue
che viveva e combatteva con dedizione per cose di cui non era nemmeno a
conoscenza.
Beh, fanculo.
Ed eccoci qua col terzo capitolo v.v
Io li adoro ‘sti due :’)
Mi piacciono troppo *w*
Ho aggiornato con un giorno di ritardo, ma fotte sega.
State cominciando a farmi soffrire di depressione, davvero.
Ma fa così schifo questa storia?
Io ero così elettrizzata….
Ditemelo se fa schifo c.c me ne farò una ragione e non mi addentro più in questo genere di storie, non so
Se continua così, credo che pubblicherò i capitoli che ho finito e addio.
Peccato….
Vabbè, come direbbe mia madre “ ‘ne semp Pasqua” v.v
Ollè!
The Cactus Incident
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Capitolo 5 *** Chapter 4 ***
vamp chapter 4
Gates, pensava.
Una novità, penserete, e in effetti non avete tutti i torti.
Stava seduto sul tappeto della sala svago, con la chitarra poggiata
sulle gambe, pronta per essere suonata, ma invece carezzata
distrattamente e pensava.
Pensava a quegli occhi nocciola, quelli di Val che non avrebbe più rivisto.
Pensava a quelli marroni, di Michelle, che avrebbe avuto davanti fino alla nausea.
Pensava a quelle iridi di ghiaccio, quelle di Lay, che per assurdo gli sembravano le più calde fra le tre.
Beh, avevamo a che fare con: gli occhi di un morto, quelli di una
donna/amica/scopamica/moglie/madre dei propri figli e quelli di una
vampira piena di rancore e disperazione fino alle punte dei piedi, non
c’era una vasta scelta.
Chissà perché poi, collegava le persone agli occhi. Lui
non era di certo il tipo che la prima cosa che guarda in una ragazza
sono gli occhi, anzi, tutt’altro, ma dopo un po’, per lui,
quella determinata persona era identificata con gli occhi, gli sguardi.
Gates adorava gli sguardi. Se fosse stato capace, probabilmente avrebbe
passato le giornate a disegnare occhi di qualsiasi taglio e colore e
con qualsiasi espressione. Ma visto che era già tanto se sapeva
scrivere (con una scrittura che rasentava l’osceno, fra
l’altro), si limitava a fare tesoro di sguardi.
Adorava guardare le persone negli occhi, senza alcun timore e provare a
capire cosa diamine gli passasse per la testa. Alcune volte capitava
che si concentrasse più sugli sguardi che su quello che gli
veniva detto.
Ecco uno dei motivi per cui Synyster Gates passava per un coglione, ma
vabbè, ci era abituato e poi non gliene fotteva granché.
Si accese una sigaretta e rimase a fissare il fumo che si disperdeva nell’ambiente.
Era completamente buio e una tenda davanti a lui lasciava vedere il cielo scuro e i lampioni che illuminavano la strada deserta.
Cazzo, non riusciva a dormire. Non era stanco e aveva il cervello
troppo attivo per dormire. Michelle ronfava beatamente, così
come Mike e Bree, solo lui, ancora in vacanza forzata, non riusciva a
dormire.
Se ne stava lì, inginocchiato con la compagnia della sua chitarra ad osservare quel cielo finto, ma ben fatto.
Non era tanto sicuro che questa pausa gli avesse fatto bene, ma
vabbè, ormai era andata. Ancora un giorno e una notte e poi
sarebbe tornato utile alla società.
In casa non sapeva fare niente, fuori casa non aveva niente da fare,
tranne rompere il cazzo a Jim e Vee e nel mondo esterno non ci tornava
da due giorni prima, quando era stato nel covo di Lay.
Wow, quello si che era un giorno da ricordare.
A parte che in quel posto stava troppo bene, aveva saputo tante di quelle cose….
Ehi, che ci faceva ancora seduto lì, per terra? Aspettava che
arrivasse un uovo di Pasqua con le indicazioni su cosa fare o che?
Scattò in piedi, infilò le scarpe e una maglietta visto
che addosso aveva semplicemente il pantalone della tuta. Si
ficcò pure una felpa nera con cappuccio e la giacca di pelle e
si decise ad uscire.
Di nuovo quelle strade, di nuovo quel locale di qualche sera prima, dove aveva beccato Lay.
Si sedette di nuovo nell’angolo più remoto del bancone e ordinò di nuovo una birra.
Si guardò attorno distrattamente, il locale era mediamente
affollato, come l’ultima volta, ma di Lay nemmeno l’ombra,
c’era il fratello però. Beh, meglio farsi gli affari
propri.
Finì la sua birra, pagò, sorrise alla barista e se ne andò, in cerca di un modo per passare la notte.
Vagava distrattamente per le strade buie o poco illuminate, senza una meta precisa.
Ancora un po’ e sarebbe cominciata la stagione delle nevicate.
A Gates la neve non piaceva particolarmente. Era troppo fredda e se ci
cadevi dentro ti ritrovavi un ghiacciolo nelle mutande al posto del
cazzo, ma vabbè, gli inconvenienti della vita.
Jim l’adorava e questo implicava che le mutande di Gates fossero
popolate da pinguini dell’artico in quella stagione
dell’anno.
La neve portava sempre un sacco d’inconvenienti.
A lui piaceva il sole, il mare, la spiaggia… quanto tempo era che non andava al mare?
Era una vita che non faceva surf… chissà dove aveva ficcato la tavola.
Ultimamente si stava rendendo sempre più conto di quanto la sua
vita privata, quella fatta di passioni e interessi, fosse stata
oscurata e messa in secondo piano da quella lavorativa fatta di morte e
distruzione.
Possibile che la perdita di Valary l’avesse distrutto così?
Si passò una mano sul viso spigoloso grattandosi distrattamente
il mento ispido e poi si spostò i capelli incasinati e scuri.
La sua vita.
La sua vita era fatta solo di passioni e di amicizie.
Lui non aveva una famiglia, un luogo di provenienza o un albero genealogico.
Lui aveva un nome datogli dal soldato che l’aveva trovato e che poi lo aveva affidato alla centrale.
Non era l’unico, come lui ce n’era anche altri, ma di certo non andava a parlarne in giro.
Era stato trovato in uno qualsiasi di quei tanti vicoli bui e sporchi
come quello in cui era adesso e che era lo stesso del bunker di Lay,
dove adesso se ne stava raggomitolato con la schiena contro il muro di
mattoni e le braccia incrociate poggiate sulle ginocchia, dove aveva
affondato il viso.
Ogni ricerca sul suo passato era stata completamente inutile, ogni speranza vana e ogni tentativo superfluo.
Sembrava saltato fuori dal nulla, da quei cassonetti.
Era stato trovato in fin di vita, mentre urlava con le ultime forze che aveva il suo piccolo corpicino e stringeva i pugnetti.
Aveva sempre dovuto combattere, dal primo momento che era venuto al mondo.
Nessuno gli aveva regalato niente, nessuno l’aveva aiutato
nessuno gli aveva mai lasciato una carezza o un abbraccio, da piccolo.
Nessuno, a parte Val.
Lei lo aveva sempre capito, vedeva la tristezza nei suoi occhi che
nessun altro sembrava vedere e lo stringeva a sé, lo faceva
sorridere e gli diceva che gli voleva bene, anche se lui rispondeva
solo raramente. Troppo imbarazzato o incapace di esprimere sentimenti.
Era a Valary che aveva dato il suo primo bacio, tanti di quegli anni fa
da far spavento. Era stata una scommessa e da allora si era reso conto
dei suoi veri sentimenti per la ragazza.
Era stata l’unica donna che avesse mai amato, Michelle era solo
la sua brutta copia, quella di cui lui si era accontentato.
C’era Valary a tenergli la mano durante il suo primo tatuaggio e
c’era lui a tenerla a lei, qualche minuto dopo, mentre si faceva
tatuare.
Val era la donna migliore che lui avesse mai conosciuto.
Sapeva essere tutto: una mamma, una sorella, un’amica e
probabilmente anche un’amante, questo lui non l’aveva mai
saputo.
Lui era stato amato come un fratello e, sinceramente, gli era bastato.
Come avrebbe fatto adesso? Adesso che tutta quella tristezza che
era riuscito faticosamente a sotterrare con l’aiuto degli anni
stava tornando a galla, mentre i ricordi di un piccolo Brian che
piangeva nella notte stringendo il cuscino gli affollavano la mente o
di quei primi giorni di allenamento, quando aveva deciso che sarebbe
stato il migliore col suo corpo troppo acerbo ancora non abituato a
tutto lo sforzo a cui lui lo sottoponeva e che si ribellava poi durante
la notte, con dolori lancinanti il giorno dopo e che lui si sforzava
d’ignorare.
Lui doveva essere il migliore. Non aveva un passato? Doveva crearselo lui.
Doveva dimostrare al mondo che anche un figlio di nessuno era in grado
di crearsi una vita, da solo, senza nessun genitore che ti sprona e che
ti sorregge.
L’aveva fatto solo per lui e l’aveva fatto talmente bene da
essere diventato una macchina di morte ed era andato benissimo
così. Fin quando non si era imbattuto in Lay.
Che il destino avesse deciso di prendersi gioco di lui? Di farlo soffrire ancora?
Come se tutto quello che aveva già passato non fosse abbastanza…..
Stava per andarsene quando Lay si tuffò dal tetto di un palazzo per atterrargli davanti.
“Oh, il soldatino di piombo. E’ un po’ che non ci si vede, cominciavo a preoccuparmi”
Brian si tirò su in piedi, non aveva né la voglia né la forza di rispondere alle sue battuta.
Layla lo guardò sconcertata. Aveva gli occhi più tristi e
profondi che avesse mai visto. Erano ridotti a due fessure ed erano
lucidissimi, avrebbe potuto affogarvi dentro.
Le labbra tirate in una linea diritta.
Layla sentì un moto nel petto che non le era mai capitato. Una
sensazione così umana ed empatica che non credeva appartenesse
più al suo corpo da molti secoli ormai.
“Brian…” Vide il labbro del soldato tremare e
contemporaneamente con lei si tuffarono l’uno verso
l’altra, abbracciandosi.
Brian affondò il viso nel collo della ragazza, aggrappandosi
alla schiena apparentemente esile e piccola, mentre lei stringeva le
grandi spalle forti e muscolose che si erano incurvate come schiacciate
dal peso del dolore e dal bisogno di affetto.
Gli posò una mano sulla testa in un gesto così affettuoso
e naturale che sorprese entrambi. Era così tanto che non si
sentiva umana…..
Non aveva molti ricordi della sua vita umana, ma uno erano le emozioni.
Quelle fantastiche emozioni così pure che tanti secoli prima la investivano di continuo e le mutavano l’umore.
Era così diverso essere vampiri, sembrava che le uniche emozioni
fosse quelle di odio, dolore e distruzione ed era stato così per
secoli, fino a quando non si era imbattuta in quel soldato col cuore a
pezzi che in quel momento le chiedeva silenziosamente aiuto.
Si separò appena da lui e Brian si tirò su per guardarla,
con gli occhi gonfi di lacrime che a stento aveva versato.
“Ti va di entrare? Siamo al sicuro, lì” Lui annuì e tirò su col naso.
Era così fragile……
Uno dei più temuti agenti della IVAUS con gli occhi rossi e l’aspetto distrutto.
Aprì il piccolo varco, lo fece entrare e lo seguì, per poi richiuderlo e camminare verso il suo bunker.
Lì ce n’erano anche altri, tutti della sua banda di ribelli.
Camminarono per qualche metro, come avevano fatto la volta prima e si ritrovarono nel suo rifugio.
Era il suo posto, nessuno poteva accedervi, tranne i ragazzi e lui.
Brian entrò, ancora la faccia da cucciolo spaesato e Lay lo guardò.
“Togliti pure la giacca e buttala dove vuoi. Mettiti comodo, forza”
La vampira ripeté i gesti dell’altra volta, prendendo
qualcosa da bere e poi andando a sedersi vicino al moro che si era
messo comodo fra la coltre di cuscini davanti allo stereo, su
quell’alto e comodo tappeto.
Lei poggiò le bottiglie per terra e porse un fazzoletto di carta al mezzosangue.
Brian accettò con un cenno, si soffiò il naso e asciugò gli occhi.
“Vuoi qualcosa da bere?” Lui scosse la testa, prima di emettere una mezza risatina triste.
“Devo essere uno spettacolo penoso…. Uno dei migliori
agenti del IVAUS in lacrime come una bambina” Guardò Lay,
credendo di trovarla a ridere di lui, mentre la donna aveva un viso
serio, ma uno sguardo dolcissimo.
Si avvicinò a lui e poggiò la mano candida e fredda sulla sua, grande, calda e ambrata.
“Non sei uno spettacolo penoso. Sei vero, Bri, senza maschere e non c’è niente di più bello”
Brian era in piena crisi di nervi, come desiderava da tanti di quegli anni da non ricordarsi nemmeno più quanti ne erano.
Guardò Lay con gli occhi grandi e scuri sgranati e lei le
sorrise dolcemente, carezzandogli la chioma scura e incasinata che a
stento arrivava al collo.
Istintivamente si avvicinò al suo piccolo corpo
dall’aspetto così fragile e posò il viso
nell’incavo del suo collo.
Lay sorrise e portò le braccia a circondargli le spalle, mentre
si stendeva comoda fra i cuscini e Brian strusciava il naso sul suo
collo come un gatto, facendole quasi il solletico.
Una volta trovata una posizione comoda, portò si nuovo una mano sui suoi capelli, carezzandogli la testa.
Brian aveva dei morbidissimi e profumati capelli neri che le carezzavano la guancia delicatamente.
L’uomo, dal canto suo, si sentiva rincuorato e bene, al posto giusto nel mondo.
Sentiva una sorta di senso di protezione avvolgerlo ed era una sensazione completamente nuova per lui.
Lui era un Protettore (come li chiamavano gli umani), era lui a salvare e proteggere gli altri, non uno di quelli da proteggere.
Lui non sapeva nemmeno cosa fosse il calore materno, come poteva saperne di protezione?
Eppure scoprì essere una sensazione così bella e dolce….
La pelle di Lay aveva l’odore migliore del mondo e insieme al
profumo dei suoi capelli stava inebriando il povero soldato, balia
delle emozioni.
Erano sulla stessa barca, stavano entrambi riscoprendo sensazioni ed
emozioni dimenticate, ognuno grazie all’altro ed era una
sensazione magnifica, come se fosse tutto nuovo e dolce.
Brian era un uomo a pezzi, ferito e distrutto che si nascondeva dietro
la maschera del soldato perfetto, meglio di Capitan America.
Lay era una ex dea della guerra che aveva sterminato moltitudini di
persone per il semplice piacere di uccidere e che da vent’anni a
questa parte aveva messo da parte quel vecchio lato di sé,
provando a scoprire una nuova, vita, ma un senso costante di solitudine
la tormentava.
Se Brian aveva amato e perduto, Lay non aveva mai amato.
Certo, chiunque era in grado di concedersi notti di passioni e quelle
ne aveva avute tante la nostra ex dea guerriera, ma quel vuoto
lì, nel petto, niente e nessuno erano stati in grado di colmarli.
Il mettere da parte la sua vena sanguinaria aveva eliminato il senso di
inadeguatezza, ma non quella solitudine dell’anima, quel vuoto.
E finalmente sembrava cominciare a colmare quel vuoto, quel macigno che
aveva nel petto, proprio lì, fra i polmoni, leggermente a
sinistra.
Era colmo degli sguardi tristi di Brian che nascondevano una storia
tutto fuorché felice, dei suoi mesti sorrisi e della sua voce
calda.
C’era tutto il posto del mondo, lì, per lui e lei non
voleva altri che lui ad occupare quel posto, incidendovi il suo nome
sopra in modo indelebile.
Posò le labbra sui capelli di Brian e lui prese a sfiorare il
suo collo con le labbra, delicatamente, confondendo le carezze con i
sospiri e fondendoli.
Com’era possibile che provasse tutto quello per un uomo, un
mezzosangue, che viveva per uccidere e che in una settimana aveva
sconvolto il suo essere?
Forse ancora non erano del tutto innamorati, del resto non si
conoscevano granché, ma le loro anime erano affini, come le due
metà di un tutto che dovevano solo scoprirsi per capire di non
aver fatto altro per tutta la vita se non aspettarsi vicendevolmente.
Avevano vissuto in funzione di quel momento, in cui avevano capito di
non essere soli, dell’esistenza di una persona, umano, vampiro o
mezzosangue che fosse, che voleva lo stesso e l’amore esiste
davvero, che forse era ingiusto, ma che almeno esisteva.
E in tutto questo fu naturale per Brian alzare il viso dal suo collo e
mettersi seduto, col corpo di lei che accompagnava i movimenti
dell’altro.
Fu ovvio e giusto far sfiorare i loro nasi, con le ciglia scure ancora
imperlante di lacrime che gli sfioravano le guance e sorriderle appena,
perché il dolore si stava sciogliendo.
E per Lay fu naturale rispondere a quel sorriso e sporgersi
leggermente, facendo sfiorare le loro labbra, giusto per sapere cosa si
provava, e non riuscire più a ritrarsi da quel contatto
delicato, che la travolse e le fece chiudere gli occhi.
Era così giusta e aspettata la mano di Brian che si
poggiò sul suo collo, prendendo a muovere le sue labbra calde e
sottili con quelle fresche e più piene di lei. E senza pensarci
o senza chiedersi perché chiuse gli occhi, perché non
voleva avere altro che Lay nella sua mente, le sue labbra, il suo
profumo dolce e la sua pelle fresca.
Le labbra di Brian sembravano roventi al contatto con le sue, le
risultavano così calde e dolci, delicate anche mentre le
schiudeva insieme alle sue per approfondire il bacio e cercare la sua
lingua.
Nell’odore di Brian c’era qualcosa di sbagliato, come in
tutti i CH negativo eppure in quel momento gli era sembrato il profumo
più dolce che avesse mai sentito.
Non gli provocava alcuna sete, come tutti i mezzosangue del resto, ma
gli faceva venir voglia di passare la vita attaccata a quelle labbra, a
crogiolarsi in quel profumo sbagliato che non le era mai parso tanto
giusto.
Il suo tocco, era così caldo, rovente come ogni parte di sé al confronto del suo corpo freddo.
Certo, lei era viva, non come i vampiri di alcuni film.
Il suo cuor pompava, nelle sue vene scorreva sangue, che Brian le
faceva affluire in prossimità delle guance, le sue membra
potevano staccarsi e rigenerarsi, ma il suo corpo era freddo, sterile,
una temperatura di più o meno ventiquattro gradi era gelo per
ogni essere umano, eppure Brian non sussultò nemmeno quando la
sua mano gli sfiorò il braccio o quando gli carezzò il
viso.
Si separarono dal bacio dopo chissà quanto tempo e il mondo aveva un aspetto diverso.
Era uguale, ma adesso per Lay passava attraverso due occhi caldi e
scuri e delle labbra sottili e bollenti, mentre per Brian il mondo era
una distesa di ghiaccio rovente e caldo, liquido, in cui perdere lo
sguardo e fondere il suo.
I loro occhi erano così diversi, quasi come il loro essere, le
loro vite eppure non c’era mai stato sguardo che si fondesse come
il loro.
Lay gli sorrise, dolcemente e lui si aprì in un sorriso che
abbagliò la vampira che poi andò a raggomitolarsi fra le
sue braccia.
Brian la strinse al petto e Lay sentì il caldo del suo corpo
diffondersi nel suo e affondare fino alla sua anima se ancora ne aveva
una, dopo tutto il male commesso.
Brian le baciò la testa, prima di prendere un respiro e cominciare a parlare.
Le raccontò tutto, le raccontò di dove era stato trovato,
dei suoi genitori mai avuti, del disagio che aveva comportato la loro
mancanza, del fatto che questo l’aveva spinto ad impegnarsi nel
ruolo di agente o Protettore, come li chiamavano molti umani.
Le raccontò alcuni buffi episodi della sua adolescenza che li
avevano fatti sorridere o ridere e le aveva spiegato anche del suo
amore per Valary di quanto la sua perdita l’avesse fatto soffrire
e cambiare, chiudendo il suo mondo attorno al lavoro e per questo Lay
si era sentita in colpa più di tutti quegli anni messi insieme.
Ma gli aveva anche detto che, probabilmente, se non avesse saputo che
era stata proprio lei ad uccidere l’unica donna che aveva amato
fino a quel momento, probabilmente non sarebbe tornato a cercarla.
Le aveva spiegato anche il tormento interiore scaturito dal loro primo
incontro e aveva promesso che qualche volta avrebbe portato la chitarra
e avrebbe suonato qualcosa per lei.
E avevano riso, avevano parlato e si erano scambiati effusioni dolci ed
effimere, quasi imbarazzati come ragazzini alle prime armi con carezze
delicate e baci lunghi e dolci, mentre le mani esploravano i corpi
senza volgarità e senza malizia. Era un conoscersi, uno scoprire
di combaciare in più punti di quanti si pensava e scoprire
interessi comuni e non.
Si erano confrontati, conosciuti e in quei momenti non erano stati la
vampira superstite e ribelle nascosta dei Lightblue e il
mezzosangue Protettore dal grilletto facile.
Erano stati Layla e Brian, una donna e un uomo alle prese con l’amore.
“Il sitar? Davvero?” chiese Brian stupito mentre giocava
con i suoi capelli liberi dalla coda o osservava le loro mani
intrecciate insieme.
“Si, adesso non ce l’ho qui, ma qualche volta potrei farti
sentire. E’ uno strumento così bello e affascinante! Mica
come le banali chitarre…” fece punzecchiandolo e lui rise,
poggiando le labbra sulla sua tempia.
“Banali, uhm? Ti farò vedere io quanto è banale la
mia sei corde fra le mie mani. Mi insegnerai a suonare il sitar? Mi ha
sempre ispirato tantissimo, mi fa pensare ai Beatles”
Lay rise, travolta da secoli di ricordi.
“Ahahah! John Lennon era un tale soggetto! Era in grado di bere
talmente tanto da far svenire persino mio fratello Max e riuscire
ancora a dire il proprio nome e cantare Let It Be, poi è
diventato buddista ed è diventato un po’ più
noioso, ma sempre affabile e simpatico”
Brian sgranò gli occhi.
“Hai conosciuto John Lennon?”
“Si, e pure Jimmy Page, ogni tanto lo sento. E’ un uomo
così contorto. Ha il viso così tranquillo e un sorriso
dolcissimo e poi passa le giornate a leggere libri di esoterismo. Tutte
quelle cazzate sul fatto che sia satanista sono false, posso
assicurartelo, ma fissato con alchimia e questo genere di cose qua, si.
E, mio Dio, Robert Plant è un tale genio! Tu non puoi capire
cosa contenga quell’uomo e te lo dice una che se l’è
bevut….” Lay si arrestò bruscamente e Brian rimase
a guardarla.
Era stato inebriato dalla sua parlantina e non gli piaceva che si arrestasse così.
“Cosa? Hai bevuto da lui?” chiese lui tranquillamente e lei
annuì, imbarazzata mentre si distaccava dal suo corpo.
“Si ma come potrai notare non l’ho ucciso, e nemmeno
trasformato” disse a disagio, provando a giustificarsi. Diamine,
aveva rovinato tutto.
Brian la strinse fra le braccia e la fece poggiare di nuovo sul suo petto come prima dell’interruzione.
“Com’è bere da una persona? E’ una cosa che mi sono sempre chiesto….”
“Oh, è una cosa molto…. intima. Se non becchi
vampiri esaltati come gente che conosco io è anche molto
piacevole perché la saliva del vampiro contiene delle
particolari sostanze che mandano adrenalina e svariate quantità
di ormoni in circolo nel sangue. Questo se non sei uno stronzo che
recide la gola alla gente. In tutto questo però si aggiunge
anche il fatto che per la durata del morso, si sviluppa una connessione
fra le due menti e quindi il vampiro entra nella mente dell’umano
e quella di Robert Plant è come un alveare in cui ogni ape ha un
cervello come quello di una persona normale”
Brian rimase stupito.
“Wow, probabilmente le api si faranno spazio fra tutti quei capelli, di certo non hanno problemi di riscaldamento”
Fra una battuta e un’altra, un pezzo di mondo reciproco e
l’altro, dopo aver passato quasi tutta la notte a parlare, si
addormentarono entrambi, Lay stesa sul petto di Brian che stava
comodamente adagiato fra i numerosi cuscini, con come sottofondo un
concerto di Django Reinhardt, uno dei chitarristi preferiti di entrambi.
Brian si svegliò molte ore più tardi, verso le due del
pomeriggio e dovette obbligatoriamente svegliare Lay che stava ancora
poggiata sul suo petto.
La vampira alzò il viso assonnato e fissò lo sguardo in quello di Brian.
“Uhm? Che c’è? E’ presto” bofonchiò strusciando il viso sul suo petto.
“E’ presto per te, per me è tardissimo”
sospirò lui dolcemente, mentre le carezzava al testa,
spostandole qualche ciocca dei capelli incasinati.
“Ah già, è vero, tu segui i ritmi umani, più o meno” e Brian sorrise.
“Già, più o meno, mi fai andare? Vorrei tanto
rimanere qui, con te” sospirò triste e Lay mugugnò,
rotolando da sopra il suo corpo.
“Se mi dai un po’ ti accompagno…”
sospirò lei ad occhi chiusi. Niente da fare, era proprio un
vampiro. Con le ore diurne attaccava a ronfare come un ghiro e
svegliarla era pressoché impossibile.
“Sssh, non preoccuparti, conosco la strada” sospirò
Brian sulle sue labbra, dandole l’ennesimo bacio a cui Lay
rispose quasi per miracolo.
Uscì dalla stanza e percorse il corridoio senza sbagliare strada.
Arrivò fino all’uscita e capì in fretta come aprirle, poi la richiuse alle sue spalle.
Camminò con calma nella città frenetica anche dopo pranzo
ed entrò nella città sotterranea usando l’unica
chiave d’accesso, come sempre, che erano le loro impronte
digitali e oculari.
Camminò con calma, scese nella centrale che era l’unica
via d’accesso alla città a poi con passo tranquillo si
agirò per le strade semideserte e le villette tutte uguali.
Era tutto così dannatamente perfetto da dare la nausea, ma Gates non ci faceva caso più di tanto.
Avrebbe anche potuto vivere fuori, ma i suoi figli erano in
addestramento e non voleva vivessero da soli nelle camere insieme ai
mezzosangue abbandonati come era stato lui, e poi era più comodo
così, fra l’altro era anche vicino alla sua squadra, i
suoi amici. File ordinate di casette tutte uguali si potevano tollerare.
Quando entrò in casa erano le tre e avrebbe dovuto essere vuota.
Invece c’era Michelle, con la faccia disperata seduta sul divano.
“Mich…” chiese stranito mentre entrava.
Dio, era così strano guardare quella donna, sua moglie, dopo una delle notti più belle che avesse mai avuto.
Era stanco, affamato e bisognoso di una doccia, ma era talmente felice.
Michelle si alzò e gli andò in contro, abbracciandolo stretto.
Come ogni Protettore, anche lei era pronta ad ogni evenienza, sapeva
bene che sia lei che suo marito, sapevano quando uscivano di casa e non
sapevano quando sarebbero tornati, né se sarebbero tornati.
Era così, il loro futuro era un’incognita misteriosa.
Ma stavolta era diverso.
Lei non sapeva nemmeno quando se ne fosse andato.
Sapeva solo che si era addormentata con suo marito di fianco e si era
svegliata senza, in più nessuno sapeva dove fosse e questo
contribuiva non poco ad agitarla.
Vederlo entrare tutto tranquillo dalla porta e senza nessuna lesione di qualsiasi tipo, fu una benedizione.
Non riuscì a trattenersi dall’abbracciarlo.
Era sempre stata impulsiva, forse anche troppo per un soldato, ma non
ce la faceva proprio a trattenersi, il suo istinto era così e lo
sapeva anche l’IVAUS, dicevano dipendesse dal lato vampiro molto
forte nel suo caso, essendo figlia di un vampiro e di una mezzosangue.
Poco importava che aveva scia di vampiro su tutto il corpo, che gli abiti ne fossero impregnati e i capelli peggio.
Era lì, da lei, intero ed era questo che contava.
Michelle amava davvero quello scorbutico, egocentrico che stava
stringendo fra le braccia, per quanto strano e intrattabile, fosse. Lei
sapeva abbastanza bene come prenderlo, aveva imparato con anni e anni
di esperienza.
Syn sorrise distrattamente e l’abbracciò.
“Ehi, forza, sono vivo e vegeto, non è il caso di fare
tutte queste storie” sospirò lui semi divertito e la donna
si scostò.
No, Synyster Gates non era mi stato un tipo troppo affettuoso, quel
pensiero riecheggiò nella mente di entrambi, ma in quella
dell’uomo si aggiunse un altro piccolo pezzo.
E Brian Haner?
Salve a tutti v.v
No, per assurdo ancora non ho mollato questa storia
Ci avevo pensato in effetti, ma poi boh, preferisco postarla così non c’è rischio che la perda
So che le cose stanno andando
parecchio di fretta per i miei standard, ma la storia si concluderla
forse in una decina di capitoli e vista la GRAAAAANDE affluenza di
interessati che mi riempiono di complimenti ad ogni capitolo, nessuno
ne rimarrà offeso o in qualche modo indignato :’)
Mi basterebbe capire se è la storia il problema o che…..
Bah, fate voi v.v
Distinti saluti
The Cactus Incident
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Capitolo 6 *** Chapter 5 ***
vamp chapter 5
“Silenzio! Mi sta scoppiando la testa!” Bofonchiò Lay disperata.
Alcune volte si sentiva quasi sull’orlo dell’esaurimento nervoso.
I bambini più piccoli erano così difficili da
gestire! Erano bambini soli, volevano dei genitori che non avevano.
Delle volte le era anche passato per la mente di lasciarli
all’IVAUS, ma poi si dava mentalmente dell’idiota e si
faceva abbracciare da quei marmocchi tanto tremendi.
Andò a stendersi in camera sua, non nel suo covo, ma nel
bunker, dove erano arrivati Brian e Jim e avevano sfondato la porta.
Era stanca e aveva così sete…….
Andò a recuperare un paio di bottiglie di sangue sintetico e poi si diede una sistemata ai capelli.
Doveva tornare a casa, da suo fratello e suo padre, prima che potessero insospettirsi.
Non lo facevano mai, certo, ma meglio non rischiare. Non si poteva mai sapere cosa passasse nelle loro menti.
Si passò una mano sul viso stanco, le tempie le pulsavano
tantissimo come quasi tutti i giorni della sua vita e doveva darsi una
mossa.
Chiuse gli occhi e prese dei respiri profondi e lenti, osservando
quelle iridi scure che le si materializzavano sempre nella mente,
appena chiudeva gli occhi.
Era leggermente inquietante, ma le piaceva.
La sua mente le mostrava quello che lei desiderava di più, perché lamentarsi?
Voleva dover correre da Brian, non da suo padre.
Desiderava così tanto avere una vita normale, in cui al
massimo era la moglie di un Protettore. Un po’ d’ansia,
certo, ma voi non potete immaginare quanta la ragazza ne provasse senza
esserlo, tenendo da parte il pensiero di Brian che sparava sui vampiri.
Si pettinò la frangetta, afferrò la giacca e dopo aver salutato tutti, corse fuori senza farsi vedere da nessuno.
Puff! e la vedevi sbucare nella folla. Un attimo prima non c’era niente, quello dopo c’era Lay.
La sua lunga giacca di pelle le dava un aspetto poco
raccomandabile e il suo sguardo vitreo istigava gli altri ad
allontanarsi, ed era perfetto così.
Camminò a lungo fino ad arrivare alla fatiscente palazzina
ottocentesca in cui entrò. Superò i primi due piani di
vuoto con qualche vampiro che parlava e la salutava con profondi
inchini a cui lei rispondeva solo raramente e con dei cenni della testa.
Dio, era così brutto doversi calare nella parte della vecchia se stessa.
Salì le scale mi marmo scuro e perfettamente lucidate e
arrivò nell’ampio ingresso in cui si apriva un’altra
grossa scalinata di marmo nero che scivolava lungo la parete di fronte
a lei e su quella alla sua sinistra.
Percorse anche questa scalinata facendo scivolare la mano sul
corrimano di vetro e legno laccato e percorse l’ampio corridoio
scarsamente illuminato fino ad arrivare nel grande salone dove suo
padre parlava con altri vampiri.
Stava per entrare, quando la cameriera l’afferrò per la spalla.
“Signorina, il suo abito è pronto” Layla le
lanciò un’occhiata terribile e la donna
indietreggiò.
“Parlerò con mio padre” Disse con voce secca.
“Ma il signor Ligh…”
“So bene quasi sono gli ordini di mio padre, mi aspetti in camera”
“Si signorina”
Mentre la tipa spariva, Layla venne intercettata dal padre prima che potesse muovere un solo passo.
“Layla! Finalmente sei arrivata, oh, ma ancora non ti sei
cambiata?” disse lui scrutandola con i suoi occhi chiarissimi.
“Scusa papà, sono appena arrivata” disse lei leggermente imbarazzata.
“Forza, allora, muoviti, è una serata
importante” Layla annuì e si avviò a quelle che
erano state designate come sue stanze in cui forse in totale aveva
dormito una decina di volte.
Le sue cose comunque erano lì, quindi non aveva altra scelta.
Entrò e mandò via la domestica, dicendo che
l’avrebbe chiamata dopo, quando avrebbe dovuto sistemarle i
capelli.
Si spogliò e fece una doccia rapida, scivolando poi nel vestito nero e blu che suo padre aveva fatto preparare per lei.
Era senza spalline e quasi tutto di tulle nero con una base di seta blu elettrico.
Sul corpetto numerosi ricami e di perline blu facevano quasi aderire il tulle nero alla seta che a stento si vedeva.
Tutti i ricami sembravano ramificarsi da un complicato rosone
ricamato con perline blu sul suo fianco sinistro, uguale a quello che
aveva tatuato alla base del collo e che il vestito lasciava scoperto
completamente.
La gonna di tulle nero era leggermente più lunga sul dietro
che sul davanti, sempre con lo stesso tulle nero su fodera blu che
questa volta era leggermente più visibile.
Infilò le eleganti decolletè di pelle completamente
nere con alcuni decori dello stesso blu di lato e chiamò la
donna di servizio per farsi acconciare i capelli mentre lei si truccava.
Mentre sfumava l’ombretto blu acceso e nero che sembravano
far risaltare maggiormente i suoi occhi chiarissimi, la vampira le
sistemò i capelli in un intricato chignon fatto di miliardi di
passaggi e forcine che facevano ricadere alcune ciocche fuori e che
fece sparire il suo frangettone fissandolo in modo invisibile e
facendole la riga laterale.
Mise al collo anche un diamante blu rarissimo ed elegante (niente
di enorme e pacchiano) dalla forma decagonale, attorniato da altri
diamanti più piccoli e purissimi. Questo complicato ed elegante
ciondolo pendeva da una delicata catena di platino. Sui lobi due
orecchini molto simili al ciondolo.
Finito di prepararsi, si spruzzò del profumo e a
passò sicuro arrivò fino alla grande sala in cui si
trovava suo padre.
Quando si rese conto di avere davanti il figlio più grande
della famiglia Bàthory, Zsigmond e la sorella Anya sul suo viso
dovette aprirsi un grosso sorriso.
La famiglia Bàthory controllava l’intera Europa,
l’Africa e minima parte della Russia ed erano in pace e alleanza
da secoli ormai. Loro, insieme ai Lightblue e hai Xao Li che invece
controllavano tutta l’Asia e il resto della Russia che non
controllavano i Bàthory, erano le tre casate su cui si basava la
società vampiresca. L’Oceania era la Svizzera vampira.
Mica cosa da poco, eh.
Da quando avevano ucciso suo padre, Zsigmond teneva il controllo
della famiglia mentre la sorella Anya e l’altro fratello Gabor
dovevano seguire i suoi ordini.
Layla aveva già avuto qualche altro incontro con loro e
sapeva bene che la serata che l’aspettava non sarebbe stata per
niente divertente.
Suo fratello Max, aveva un elegante smoking di Armani con
panciotto blu intenso (e decisamente più spento della fodera del
suo vestito, quasi elettrica) e il papillon nero, una camicia Oxford
candida e un fazzoletto blu che usciva dal taschino. Su entrambe le
maniche dello smoking , i gemelli di platino con gli stessi diamanti
blu che lei portava al collo e sulle orecchie.
I capelli neri e sempre sparsi alla rinfusa sul viso, per la
serata erano stati tirati indietro elegantemente e quando si
avvicinò alla sorella le strizzò l’occhio e le
sorrise leggermente.
Suo padre indossava un frac sempre Armani, un elegante cravattino
di seta blu su cui era appuntato un diamante delicatissimo.
Anch’egli portava i gemelli di diamanti blu, identici a quelli
del figlio, ma aveva una elegante spilla maschile a forma del loro
marchio appuntata sul bavero, sempre di platino, decorata da diamanti
blu.
I due membri della famiglia Bàthory presenti osservavano i tre Lightblue con espressione tranquilla.
Erano così diversi da loro, così… russi.
Erano alti e biondi, Zsigmond sembrava Thor, la divinità
vichinga (fra l’altro molti lo chiamavano Thor, più
pronunciabile di Zsigmond) e Anya sembrava una Valchiria.
Zsigmond aveva dei folti capelli biondi e liscissimi, lunghi fino
a oltrepassare abbondantemente le spalle, quasi fino alla fine della
schiena. Era dannatamente alto e massiccio, ma essendo sempre elegante
e a proprio agio in quello smoking costoso che indossava con i gemelli
di rubini.
Il contrasto fra il vestito costosissimo e i lunghi capelli e la barba quasi incolta, era spettacolare.
Aveva dei profondi occhi color cielo e il suo colorito era decisamente più scuro e umano di quello dei Lightblue.
Il portamento fiero e le spalle larghe e forti incutevano timore e
rispetto. Quelli che lo chiamavano Thor e non sbagliavano di certo.
Anya era alta quasi quando Maxwell e aveva dei lunghissimi capelli
ramati tenuti elegantemente in due trecce che partivano da sopra la
testa e poi si univano dietro alla nuca per arrivare così
intrecciate fino ai fianchi.
Aveva una muscolatura evidente e una grazia indicibile, sembrava a
metà fra un’atleta olimpionica e un’indossatrice, ma
più bella e dall’aspetto più potente.
Indossava un abito nero liscio che arrivava fino al pavimento
aveva una sola spallina, vicino al collo e che sembrava fermarvisi
davanti con una spettacolare spilla rossa.
L’abito aveva con lo spacco sulla destra che di tanto in
tanto mostrava la gamba muscolosa e quasi ambrata, ma sempre molto
chiara, della potente vampira.
Sullo scollo e sul finale dell’abito, alcune decorazioni
rosse che ricordavano il loro simbolo, in bella mostra sulle spalle da
nuotatrice di Anya.
Era un possente e spettacolare simbolo rosso che dall’attaccatura dei capelli arrivava fino alle scapole.
Erano dei tratti decisi e forti che formavano complicate fantasie
che ricordavano alberi contorti e nodosi con figure di volatili in
volo, decorate da una sorta di nuvola di fondo, grigia che ricordava un
po’ quei tatuaggi classici giapponesi.
Come avrete di certo capitolo, il loro colore era il rosso, come
quello dei Lightblue, era il blu, mentre quello degli Xao Li era il
verde.
Banale, certo, ma almeno non si faceva confusione.
“Zsigmond, ecco Layla, mia figlia” la annunciò
suo padre, mentre Layla si avvicinava al grosso vampiro e lui le fece
il baciamano mentre lei sorrideva gentilmente.
Era enorme, era fottutamente enorme al suo confronto. Lei era di
altezza medio/bassa e abbastanza gracilina per essere un vampiro. Era
già tanto che fosse un vampiro e che il suo fisico non avesse
rifiutato la trasformazione secoli prima.
“Oh, Layla, sono passati secoli dal nostro ultimo incontro e
sembri diventare sempre più bella” Disse lui gentilmente,
calcando il forte accento nordeuropeo.
Layla sorrise gentilmente dando una risposta democratica e poi
passò alle presentazioni con Anya che la guardava incuriosita.
“E’ un vero piacere conoscerti, Layla, ho sentito
molto parlare di te. C’è chi ti definisce una vera dea
della morte” fece positivamente sorpresa.
“Oh, c’è sempre chi esagera troppo, e si parla
di secoli addietro, ultimamente non sto più in prima linea, ma
si, fino a qualche anno fa ero molto più interessata alla
battaglia”
“E adesso?” chiese incuriosito Thor/Zsigmond. Sembrava seriamente interessato a Layla.
Era affascinato dal fatto che una creatura così piccola e
dalla fisicità tanto cedevole, fosse invece una forte
combattente e stratega.
E anche se non lo fosse stato più, sarebbe stato comunque
interessato. Vedeva una scintilla in quegli occhi di ghiaccio,
così freddi rispetto ai suoi.
Gli ricordavano la Siberia, dove era nato e aveva passato la sua
vita da umano insieme alla sua famiglia così tanti secoli
addietro che potreste spaventarvi.
Sarebbe stato vantaggioso un legame fra le due famiglie. Avrebbe
reso più unito il legame di pace che regnava fra di loro, senza
più alcuna via di scampo.
Non potevano farsi la guerra, ancora, ormai i loro confini erano
ben delineati e il mondo stava andando troppo avanti per permettergli
di continuare a battibeccarsi un pezzo di terra.
E Layla era così affascinante, con quel fisico minuto e
delicato, da ballerina, con quei folti capelli colore della notte dai
riflessi rossi che gi ricordavano il sangue e l’orrore celato
dietro quell’esile figura, lo spettacolare sorriso che mostrava
la fila di perle perfette con i canini appuntiti e letali.
Gli era stato raccontato di come aveva vendicato la sorella,
uccidendo con i suoi denti una Protettrice letale di tipo negativo,
sorella dell’assassina della propria e Zsigmond aveva avuto i
brividi.
Lui aveva saggiato, erroneamente, il sangue negativo e non
c’era niente di più disgustoso, gli sembrava
un’impresa titanica recidere una gola e aspettare che morisse
dissanguata senza vomitare.
Layla osservò lo sguardo color cielo del vampiro, e rispose senza questo grande sorriso.
“Adesso mi dedico ad altro, pratiche più….
burocratiche, se così si può dire, non c’è
più bisogno di me in battaglia”
“Oh, sai bene che non è così” La
contraddisse il padre che in lei vedeva un potenziale maggiore anche
rispetto al fratello.
“Padre, questa è una storia che stata accantonata
parecchi anni addietro, non dissotterriamola” Modo elegante per
dire: fatti i cazzi tuoi.
Si aprirono le danze e Maxwell prese la mano della sorella per cominciare a volteggiare.
“Allora, che hai combinato ultimamente?” le chiese lei curiosa e lui rispose con una scrollata di spalle.
“Bah, niente di nuovo anche se quei diamine di Protettori
cominciano a darmi sui nervi, c’è una dannata squadra
capitanata da un colosso e che come segugio ha il famoso Synyster Gates
che mi sta davvero dando sui nervi ultimamente”
Il cuore di Lay ebbe un tuffo che sentì anche Max e interpretò come ansia per le sorti del fratello.
“Non ti devi preoccupare, sono solo dei mezzosangue, qualche
anno e saranno fuori combattimento, sempre se staranno al loro posto
senza ficcanasare troppo in giro”
“Si, mi pare giusto” Fece lei disinvolta, mentre dentro si sentiva morire.
Il ballo con il fratello finì e stava per spostarsi dalla pista, quando si ritrovò di fianco Zsigmond.
“Mi concederebbe questo ballo?” si sentì
chiedere dal forte accento russo e non poté rifiutare. Sarebbe
stato offensivo nei suoi confronti.
Così Layla sorrise e poggiò la sua mano piccola in
quella enorme di Thor (Chiamiamolo così, è più
comodo) e si spostarono al centro della pista, cominciando a
volteggiare.
“Si trova bene nel nuovo continente?” chiese lei con un sorriso a cui lui rispose nello stesso modo.
“Da, ma non c’è questa grande tradizione, mentre il mio continente e ricco di storia e di magia”
“Dalla storia si impara ma noi viviamo nel presente, proiettati nel futuro”
“La storia porta onori”
“Anche quella che ci si crea da soli” Thor sorrise
divertito, guardando quella ragazzetta che riusciva a tenergli testa.
“Layla, sei impegnata?” chiese di getto senza troppi
convenevoli e la vampira non capì, sgranando leggermente gli
occhi.
“Scusi, Zsigmond?” Dannazione, che nome complicato.
“Dicevo, se avevi un compagno e dammi tranquillamente del tu
e chiamami Thor, come tutti” fece lui divertito e lei sorrise,
mentre pensava una cosa ben precisa:
Sono fottuta.
***
Finalmente Gates era riuscito a dormire. Non moltissimo, ma visto
che erano quasi due settimane ormai che a stento chiudeva occhio,
poteva esserne felice.
Era passata una settimana esatta da quando aveva passato la notte nel covo di Lay e sentiva il disperato bisogno di vederla.
Era come un bisogno fisico ed era dannatamente stressante il non
sapere se fosse viva o morta, non poterne parlare con nessuno, non
avere né un dannato recapito telefonico né niente.
Quando non lo spedivano in qualche città a sterminare
vampiri o non aveva sbarbatelli da allenare, passava il suo tempo a
cercarla nel solito bar o nel vicolo del suo covo.
Era terribile, si sentiva come abbandonato.
Dov’era andata? Che fine aveva fatto? Stava bene?
Erano queste le domande che gli frullavano nella testa anche
mentre continuava a sparare, con meno battute e perdite di tempo di
come faceva prima.
Voleva muoversi, voleva avere quanto più tempo a disposizione, doveva trovarla.
Aveva appena sparato a uno che stava per lanciarsi su Vee da sopra
il tetto di un palazzo, quando un pezzo di carta blu gli volò
davanti al naso.
Gates stranito afferrò il pezzo di carta svolazzante e
mentre lo osservava tirò un calcio a uno, si beccò una
pallottola in un braccio da un altro che estrasse tenendo il foglio in
bocca, mentre con una testata micidiale prima e una mossa secca delle
mani dopo, metteva fuori uso il tipo, per poi disintegrarlo.
Il foglio era di una carta blu costosa e pesante, con sul retro, in bianco, il tatuaggio di Lay, il simbolo dei Lightblue.
C’erano scritte poche parole, di fretta, in nero.
-Quando vuoi, sai dove trovarmi
Lay-
Questo lo rincuorò, era viva ed era già una gran cosa.
Sarebbe andato da lei, il giorno seguente, perché quella
notte gli era proprio impossibile, ma sarebbe andato, poco ma sicuro.
Mancava una mezz’ora al tramonto, quando Gates arrivò
nel vicolo, stavolta facendo un’altra strada e arrivandoci da
sopra il tetto, senza farsi vedere. Saltare giù dal tetto non
era mica una prerogativa dei vampiri solo che lui la faceva in
più riprese, saltando da un muro all’altro, visto che
superati i dodici metri, con la caduta libera non se la cavava
granché.
Atterrò davanti al cassonetto con un rumore leggero e ovattato, ma non c’era nessuno.
Stava pensando di fermarsi lì ad aspettare, quando si rese
conto del biglietto blu incastrato dietro al pannello elettrico con cui
si apriva l’ingresso.
Era esattamente identico a quello ricevuto il giorno prima, ma stavolta le parole scritte rapidamente erano altre.
-Entra, tanto lo sai come fare, no?-
Mise il biglietto in tasca e non perse un altro secondo, aprendo
il pannello e girando le manopole esattamente come aveva visto fare a
Layla.
Una volta dentro, richiuse e si avviò rapido nel corridoio fino al suo bunker a cupola rossa.
La trovò che dormiva, distesa fra i numerosi cuscini e
avvolta in una coperta pesante. Le carezzò il viso e lei
aprì gli occhi di scatto, facendolo quasi sobbalzare, ma poi il
sorriso che già gli colorava le labbra si aprì
maggiormente.
Lay si tirò sopra a sedere, guardandolo con un sorriso.
“E’ bello rivederti… intero” Lui le sorrise, mentre si sedeva davanti a lei, fra i numerosi cuscini.
“Lo stesso vale per me. Dove sei stata l’ultima
settimana? Ti ho cercato, ma è stato tutto inutile” chiese
leggermente preoccupato, ma per niente accusatorio.
Layla alzò gli occhi al cielo esasperata al pensiero dell’ultima settimana, un inferno.
“Ero in Finlandia” Brian sgranò gli occhi allucinato.
“In Finlandia? E che diamine ci facevi in Finlandia?” Layla scrollò distrattamente le spalle.
“Pratiche democratiche e provavo a convincere gentilmente un
grosso vampiro biondo che si fa chiamare Thor che non ero interessata a
sposarlo né al fatto che non è lui a chiamarsi come la
divinità norrena, ma che la leggenda fosse ispirata a lui”
Brian non sapeva se ridere o piangere, così fece un po’ tutt’è due.
Mentre si sbellicava dalle risate, con le lacrime agli occhi
immaginandosi la scena di questo colosso biondo (che nella sua mente
somigliava a Zakk Wild più grosso) che offriva una margherita a
Layla, la donna lo osservava con un sorriso rapito.
Quando si riprese la guardò.
“Allora, a quando le nozze?”
“Luglio, vogliamo che ci sia bel tempo” disse tranquilla e Brian ebbe un tuffo al cuore.
“Quindi davvero ti sposi col colosso?” chiese allucinato e stavolta fu Lay a ridere.
“Ma sei scemo? Era una battuta! Dopo un po’ l’ha
capito che non me lo sposo, anche se credo la sorella si farebbe
volentieri Maxwell” fece convinta e Brian tirò un respiro
di sollievo.
“Per un momento credevo stessi davvero per sposarti. Non
farlo, è la cazzata più grande che abbia mai fatto”
Layla si abbracciò le gambe, poggiando il viso sulle ginocchia.
“Con Melissa Gates, giusto?”
“In verità si chiama Michelle”
“Oh, capisco…. Quanto tempo è che sei sposato?”
“Uhm… Sono diciannove anni a maggio, il sette” Layla rimase allucinata.
“Wow…..” e Brian si grattò la testa imbarazzato.
“Ho anche….. due figli” Si sentiva a disagio a
parlare del suo matrimonio con lei. Insomma, Lay era quella giusta, non
sua moglie, lo sapeva. Era tutto così sbagliato...
“Come si chiamano?” Chiese Layla tranquilla.
Si sentiva in colpa. Forse Brian per lei non provava questa gran
cosa come invece lei, ma l’altra sera l’aveva baciata e
stretta forte. Se non fosse stato poligamo, di certo aveva tradito sua
moglie.
Guardava quegli occhi scuri e caldi che adesso sembravano intristiti al pensiero della sua vita.
“Micheal ha diciassette anni, mentre Bree, la più piccola, dodici”
“Wow….. io in tutti i miei secoli non sono arrivata a
niente di così concreto come una famiglia, o qualcosa di
simile”
“Ehi, i ribelli sono la tua famiglia, no?” Lay si strinse nelle spalle.
“Si, ma è diverso. Io ho passato la stragrande
maggioranza della mai vita a combattere e uccidere, è ancora un
po’ strano stare calma e tranquilla”
Brian la guardò curioso.
“Quanti anni hai?”
“Ti spaventeresti, posso assicurartelo” disse divertita.
Non avrebbe voluto spaventarlo.
“Dai forza, indovina” fece divertita.
“200?” “Molti di più” disse lei
ridendo. Erano molti secoli che non aveva più duecento anni.
“Allora 600?” scosse la testa continuando a ridere. Sorrise anche Brian.
“Diamine, 800?” Layla scoppiò a ridere.
“No dai, sul serio, quanti anni hai? Ne dimostri si e no una ventina”
“Brian, sono nata nel 300”
“Diamine, nel 1300?”
“No, non 1300, proprio nel 300”
Brian sgranò gli occhi fino all’inverosimile e Layla si affrettò a spiegare.
“Avresti dovuto sospettarlo, faccio parte di una delle tre
famiglie più importanti del mondo, di certo non potevo essere
una ragazzina”
“Quindi quanti anni hai? 1700…?”
“1711, 1712 il 6 luglio se non sbaglio. Non so, negli anni
hanno fatto tanti di quei cambiamenti al calendario e ad un certo punto
hanno anche sbagliato il calcolo, posso assicurartelo” Brian era
allibito, ma non voleva sembrare scortese.
“Ehi, il mio compleanno è il 7, però parecchi anni di meno…”
“Quanti?” chiese curiosa.
“Quarantatre” Layla sorrise.
“Te li porti bene”
“Anche tu. Ma quindi sei nata dove? Europa?” La ragazza annuì.
“Nord della Francia, una zona molto vicina al canale della Manica che all’epoca aveva un altro nome”
“E poi vi siete spostati in America… quando?”
“Con la scoperta di Colombo, il vecchio continente era
troppo stretto per riuscire a contenere sia noi che i Bàthory o
tutte le altre famiglie che all’epoca si contendevano il potere.
Così ci siamo spostati e in breve abbiamo avuto il potere. In
America i vampiri erano così pochi e così poco istruiti.
Ci vedevano come delle divinità per via del colore chiaro della
pelle, mentre il loro era più scuro e in breve cominciarono a
venerarci, sia i vampiri che gli umani. All’epoca i mezzosangue
non esistevano. Era raro che si ottenesse un’unione fra un
vampiro e una donna e in quei casi la prole veniva… uccisa”
“Non credere che ora sia così differente, solo si limitano a mollarli da qualche parte” disse lui tranquillo.
“Oh, lo so, Evie ne è un esempio, come anche.. tu” Brian fece una smorfia.
“Già, ma adesso non pensiamo a questo. Quindi? Sei stata trasformata in Francia?” La ragazza annuì.
“Si, eravamo una famiglia nobile già da prima, ma mio
padre voleva più potere, voleva governare vasti territori e
farlo durante gli anni senza interruzioni o problemi di successione. I
vampiri erano delle creature selvagge che se ne stavano nascoste ed
erano impossibili da avvicinare. Però mio padre ci riuscì
con uno e riuscì a farsi trasformare. La prima che
trasformò, dopo, fui io.
Ero costretta a letto già da mesi, per via di problemi
fisici fortissimi e di una febbre che a breve mi avrebbe portato alla
morte. Nel 300 i medici non esistevano, c’era giusto qualche
guaritore o saggio convinto che la metastasi spaventosa in cui stavo
finendo, che si stava diffondendo a tutti gli organi, si curasse con
fumi e riti e che fosse dovuta all’ira di qualche divinità.
Credo fosse metastasi, non so, forse era qualche altro tipo d’infezione.
Sta di fatto che ero sul punto di morire ed è stato un
miracolo anche riuscire a trasformarsi e bere da mio padre dopo che lui
aveva bevuto da me.
Non ricordo granché di quella notte, solo un forte dolore
mentre il mio corpo mortale moriva definitivamente e quello vampiro
cominciava a vivere. Da allora fino a più o meno vent’anni
fa, sono stata uno dei vampiri più spietati del mondo.
La morte che mi aleggiava attorno mi rendeva più potente e
tutti mi temevano. Adesso me ne vergogno in maniera spaventosa. Se
penso a tutte le persone uccise per svago, alle famiglie distrutte o
anche a Hitler. Per una come me fermarlo sarebbe stato un gioco da
ragazzi, eppure non l’ho fatto, sai quante vite avrei salvato?
Ricordo che leggevo annoiata e divertita di quell’esaltato
tedesco che voleva controllare il mondo, ma che non ci sarebbe mai
riuscito. Oltre agli americani fu anche la casata che controllava
l’Europa ad intervenire, annoiata dal troppo controllo che un
semplice umano stava ottenendo.
Fu il tipo che vuole sposarmi ad ucciderlo, ci teneva a farlo con
le sue mani per qualche motivo. Quella del suicidio è solo una
mezza copertura”
Brian la guardava attentamente e lei si vergognava come una ladra. alzò lo sguardo sul suo e sospirò.
“Brian, io sono una persona orribile, non credere che
perché adesso sto provando a cambiare qualcosa, anche prima sia
stata un angelo. Ho ucciso molte più persone di quante tu
potresti anche solamente immaginare e non ne vado fiera come mio padre
crede”
Brian la guardò, si mise d’impegno per cercare l’efferata assassina che lei stava descrivendo.
Davvero, voleva vedere se da qualche parte riusciva a scorgere il
barlume della follia di cui la vampira parlava, ma non vide altro che
una donna pentita del proprio passato e che stava provando a cambiare
le cose, in qualche modo, e questo non fece altro che fargli venir
voglia di abbracciarla.
E difatti è quello che fece, si avvicinò, e la
strinse fra le braccia, poggiando la guancia sulla sua testa spettinata.
“Il passato è passato, non si può rimediare,
l’importante è cambiare il futuro” Layla si strinse
a lui.
“Vorrei tanto che fosse così” Brian le prese il viso fra le mani e lo avvicinò al suo.
“Ehi, tu stai mettendo a repentaglio la tua vita per salvare
dei ribelli, rischi davvero grosso. Non sarebbero il molti a
farlo” fece mostrandole un leggero sorrise e lei sospirò,
perdendosi nelle sue iridi scure e posizionandosi meglio sul suo corpo,
fra le sue gambe aperte.
Ispirò il profumo del suo collo e si lasciò
inebriare da quell’odore tanto strano, ma perfetto, mentre lui le
carezzava la testa e giocava con i suoi capelli lunghi.
eh si, sono qui e aggiorno dopo mesi e mesi v.v
So bene che nessuno recensirà, ma a questa storia ci tengo e
voglio che sia “messa al sicuro” fra le pieghe di EFP v.v
baci
The Cactus Incident
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Capitolo 7 *** Chapter 6 ***
vamp chapter 6
Lay teneva la guancia poggiata
sul petto caldo e ampio di Brian, sentendo il pulsare regolare del suo
cuore scontrarsi ad ondate regolari con la sua tempia. Al momento le
sembrava il suono più dolce mai creato.
Era grata a chiunque fossero stati i genitori di quel uomo per averlo messo al mondo, anche se poi l’avevano abbandonato.
Ma se probabilmente non l’avessero fatto, le cose sarebbero andate diversamente e adesso non sarebbe lì.
Pensiero egoistico, certo, ma era la pura e semplice verità.
Brian le carezzava dolcemente la testa, benedicendo quel giorno che si era infilato in quel seminterrato con Jim.
Erano ancora lì, semidistesi fra i cuscini mentre parlavano
tranquillamente oppure stavano in silenzio, godendo della reciproca
compagnia senza bisogno di fiatare.
Brian stava pensando al giorno in cui l’aveva conosciuta, in quei sotterranei sporchi e umidi.
Ecco, forse non era granché contento di averle sparato ad
una gamba, ma alla fine le cose non sarebbero andate così se non
l’avesse fatto, no?
Si, credeva, però lo sparo forse si poteva evitare.
“Ti ho lasciato la cicatrice?”
Chiese istintivamente, come se la ragazza sapesse cosa potesse passare nella sua mente.
“Come?”
“Ti ho sparato, tre settimane fa, adesso hai la cicatrice?”
Lay cominciò a muoversi sul suo corpo fino a sedersi sul
letto, tirare fuori le gambe chiarissime e perfettamente tornite
poggiandole su quelle di lui e prendere ad osservare la destra
attentamente.
Quando le sue mani arrivarono ad un punto, sul polpaccio, dove la
pelle era più scura creando una sorta di sole che si sentiva
leggermente al contatto con le dita, annuì.
Brian si tirò sopra ad osservare e storse la bocca, dispiaciuto.
“Io… Mi dispiace, sono sempre troppo istintivo”
sbuffò mentre con la punta del polpastrello sfiorava la
cicatrice.
“Beh, è il tuo lavoro, no? Certo, sul momento ti ho
maledetto in tutte le lingue che conosco, ma adesso non mi importa
più di tanto. Sono piena zeppa di cicatrici, una più una
meno”
Le dita di Brian presero a disegnare immaginari ghirigori su
quella gamba liscissima e fredda soffermandosi sul ginocchio, dove
c’era un’altra cicatrice.
“E questa?” La vampira scrollò le spalle. In
tutti quei secoli ne aveva prese di pallottole, frecce, lance e chi
più ne ha più ne metta, non poteva di certo ricordarle
tutte.
“Credo una freccia, non so, dopo il primo millennio la memoria comincia a fare cilecca”
Brian sorrise, divertito da quel “dopo il primo millennio”.
Lui, se tutto andava bene, era destinato a campare solo 500 anni che, improvvisamente, sembravano troppo pochi.
Le carezzò distrattamente il ginocchio, salendo alla
coscia, sempre scoperta per via dei pantaloncini corti che indossava.
“Eh beh, dopo il primo millennio l’età comincia a farsi sentire” disse Brian sarcasticamente.
“Sembrerà assurdo, ma si. Cominci a sentirti attempata, ma io vedo di mantenermi giovane”
Brian rise di gusto, era tutto così assurdo!
Probabilmente agli occhi di lei, lui sembrava un poppante o anche di meno, uno spermatozoo con le gambe.
Eppure prima di quel momento non avrebbe mai detto che era nata così tanto tempo fa.
“Beh, direi che ci riesci alla grande. Anche nei modi di fare, non hai niente di obsoleto”
“Perché non mi fossilizzo, è stupido rimanere
attaccati a un particolare periodo o a modi di fare di altri tempi che
in altre epoche risulterebbero completamente assurdi e insensati, tanto
passa troppo in fretta per affezionarsi, almeno per me”
“Si, in effetti…. e in tutti questi secoli hai mai,
non so, trovato un compagno, un qualcuno adatto a te?” Lay
sorrise e scosse la testa.
“Mai niente di serio, storie così anche prima che
fosse accettato il fatto che stare con una persona non equivale
obbligatoriamente al matrimonio”
Brian si senti da fottere. Uhm, bene, quindi anche lui era solo l’ennesimo della lista.
“Almeno non prima di adesso. Sai, c’è un
mezzosangue affezionato alla mia gamba che davvero sembra essere
interessante. Tu che mi consigli?” Sentendosi il petto
decisamente più leggero e palpitante, scrollò le spalle,
prima di fare una delle sue solite battute stupide.
“Beh, io direi, saltagli addosso” Lay rise e scrollò le sopracciglia.
“Ok che non sono tipa da corteggiamento, ma almeno
preferirei che fosse lui a fare il primo passo tipo, boh, con un bel
bacio che potrebbe anche diventare altro….” disse
tranquilla e pacata, come se stesse davvero parlando di qualcun altro e
non di lui che, in tutta onestà, non aveva pensato al lato
fisico del loro rapporto quanto di certo voi abbiate creduto.
Ci aveva pensato, certo, mica era diventato santo tutto di un
colpo, ma senza quell’attaccamento…. morboso abbastanza
tipico di lui.
Che cominciasse a vedere il sesso come qualcosa di diverso dalla
pratica sportiva più appagante e divertente con cui l’uomo
abbia mai avuto a che fare?
Lay era bella, forse la più bella su cui Brian avesse mai
posato gli occhi ed era anche fantastica, non solo un bel
gioccattolino. Una ragazza bella e fantastica che non aspetta altro che
un tuo bacio.
Perché non accontentarla?
Si avvicinò al suo viso, le labbra a qualche millimetro.
“Dici sul serio?” sospirò Brian con voce bassa e roca su quelle labbra spettacolari e lei annuì.
“Allora ti prendo in parola” Aggiunse prima di annullare quei pochi millimetri e baciarla.
La sentì chiaramente sorridere contro le sue labbra.
Lay era davvero fantastica, Brian l’avrebbe detto fino allo
sfinimento, fino a non avere più voce, ma non si sarebbe mai
fermato.
Probabilmente non era perfetta, ma perfetta per lui, poco ma sicuro.
Le mani della vampira s’insinuarono fra i suoi capelli neri,
mentre le sue le avvolgevano la vita, sbilanciando entrambi
pericolosamente e cadendo fra i numerosi cuscini, mentre ridevano.
Brian era sopra di lei e quando le risate si estinsero, la
baciò ancora, prima di spostarsi sul collo pallido, riempiendolo
di baci, lentamente.
Sembrava non avere la minima fretta, tutto con calma.
Si spostò sulla clavicola, mentre le mani carezzavano distrattamente un lembo scoperto di pelle, sulla vita.
Abbassò l’insolita zip della canotta che indossava la ragazza e le labbra scivolarono sul suo sterno.
Gli lanciò un’occhiata interrogativa, non indossava
il reggiseno. Lei sorrise appena e scrollò le spalle. Brian le
sorrise in risposta e continuò la discesa con i suoi baci,
arrivando a mordicchiare l’ombelico.
Posò le labbra sul ventre piatto e pallido, leggermente
freddo, mentre le dita indugiavano sull’elastico dei pantaloncini.
Layla si tirò sopra a sedere, prendendo il viso di Brian fra le mani e baciandolo, dolcemente.
Quando separò le labbra gli sorrise e lui la guardò
leggermente perso, ma non emise un solo suono, quando lei si
alzò e si avvicinò all’enorme letto dalla forma
insolita che gli permetteva di combaciare con la parete e lanciò
uno sguardo alla coperta rosso scuro con le lenzuola bianche, di cotone
leggero.
Brian la baciò di nuovo, sfiorando le spalle con la punta delle dita e facendo scivolare la canotta ormai aperta.
“Solo tu puoi avere una canotta con una zip” Sospirò lui divertito, mentre le sfiorava la spalla.
I vestiti volarono via uno alla volta, ma si guardavano fisso
negli occhi e si scambiavano qualche carezza, ancora in piedi, poco
distanti dal letto.
Brian, si sentiva stranito, non tanto per essere completamente
nudo davanti ad una donna nelle stesse condizioni e ancora in piedi,
quanto per i suoi modi di fare insoliti.
Dov’era finita tutta la foga di sempre? Quella che quasi gli
faceva strappare via i vestiti di quella che stava per scoparsi o che
spingeva la testa di una lei qualsiasi fra le sue gambe, per farselo
succhiare?
Che ne era delle mani troppo bramose che s’insinuavano sotto i vestiti mentre si scambiavano baci roventi?
Invece era tutto così inusuale e lento, adorante….. eppure Brian non vi trovava niente di sbagliato, anzi.
Non si era mai sentito così bene e tranquillo, come consapevole di quello che stavano per fare.
Non si trattava di placare quel tipo di sete che Brian conosceva pure troppo bene, no.
Era più un condividere qualcosa di diverso, più
profondo che non avrebbe fatto altro che confermargli ancora una volta
che loro erano fatti per stare insieme, contro ogni pronostico.
Lay osservava il viso di Brian tranquilla, mentre le mani
scivolavano lentamente sul torace scolpito dove a dispetto delle
braccia completamente colorate, si stagliava un unico tatuaggio,
sul cuore.
Passò la punta delle dita su quell’inchiostro, sorridendo.
“Sembra uno scherzo” sospirò divertita sul suo
torace e Brian emise un “Uhm?” interrogativo, non avendo
capito a cosa si riferisse.
La donna alzò li viso e lo guardò, sorridendo.
“Il tuo tatuaggio… Insomma, quella sorta di
associazione a delinquere della mia famiglia si chiama Blue Death,
Morte Blu, e siamo vampiri. Tu poi sul cuore hai scritto Blue Blood,
Sangue Blu, è una strana coincidenza”
Brian sorrise raggiante, prima di abbracciarla, sentendo il suo corpo contro il suo, in quanti più punti possibile.
“Vedi? Sono destinato ad essere tuo. L’ho scritto
prima ancora di saperlo” sospirò lui sul suo collo, prima
di posarvi un bacio.
Si lanciarono un ultimo sguardo, prima di scivolare in quel letto
così insolito e accostare i loro corpi, l’uno rovente di
eccitazione, l’altro non da meno, ma appena tiepido.
La mano di Brian si posò sul suo viso, scivolando sul
torace e arrivando fino al fianco, spingendo il corpo di Lay verso il
suo. A quel contatto dalla temperatura insolita ebbe un leggero fremito
e Lay aggrottò le labbra.
“Scusa, probabilmente sei abituato a qualcosa di
più……. caldo” Brian sorrise, avvolgendola
con le braccia e godendo del contatto dei loro corpi. Era una
sensazione fantastica sentirla contro di se, in ogni piega e curva del
suo corpo.
“Non c’è niente di più perfetto di te a
cui mi abituerei” sospirò guardandola negli occhi prima di
baciarla.
Paranoie di Lay a parte, Brian non avrebbe mai detto che il corpo di un vampiro potesse essere così caldo e accogliente.
Sembravano incastrarsi alla perfezione, come due tessere di un
puzzle, in un modo così naturale e sentito che li sorprese
entrambi.
I movimenti di Brian erano lenti e adoranti, mentre la toccava e
la faceva sua senza la minima fretta, godendosi spinta dopo spinta,
attimo per attimo che sarebbe di certo rimasto impresso nella memoria
di entrambi.
Non avrebbero mai dimenticato quella notte, ne erano certi entrambi.
Non si trattava di un banale incastro di due corpi per trovare piacere.
Loro stavano insieme, nel modo più umano e innocuo
possibile, mentre si rotolavano fra le coperte, arrotolandovisi e
rimanendo attaccati l’uno all’altra senza una via di fuga
che non avrebbero mai voluto.
Erano felici, completi e in pace.
Niente più vuoto nel petto per un affetto mai ricevuto.
Niente sensi di colpa per le vite strappate e spezzate.
Si sentivano amati, protetti l’uno dall’altro come mai
gli era capitato. Ne avevano avuto la sensazione stando insieme, ma non
era altro che il riflesso opaco di quello che li stava investendo
adesso.
E quando l’amplesso arrivò contemporaneamente nei
loro corpi, dovettero aggrapparsi più di quanto già non
lo fosse, l’uno all’altra per evitare di perdere
l’unico contatto con la realtà che avessero mai voluto e
sentito loro.
I loro corpi accaldati e ansanti rimasero incastrati ancora
qualche secondo in cui Brian, con gli occhi lucidi, prese il suo viso
fra le mani e le schiuse le labbra, baciandola ancora una volta, mai
sazio o stanco di quei momenti insieme che sarebbero stati sempre
troppo pochi.
“Il surf? E com’è? Bello?” chiese Lay
curiosa, mentre con un lenzuolo stretto sul petto si sedeva guardando
Brian affondato nei cuscini e completamente nudo, giusto con un lembo
delle coperte sul basso ventre.
La guardava negli occhi, mentre parlava e Layla ebbe più volte l’impressione di affogare in quello sguardo scuro.
Molti rimanevano incantati nei suoi occhi di ghiaccio, così
freddi, ma nessuno vedeva la profondità e
l’oscurità delle iridi di Brian?
Il mondo che si celava dietro ogni sguardo che lanciava? Distratto o meno che fosse?
E poi aveva un ché di così erotico mentre se ne
stava buttato lì, ancora sfatto e nudo, con quel fisico forgiato
da decenni di allenamenti pressanti e continui, in bella mostra,
decorato da quella complicata e intricata rete di tatuaggi di cu Lay
non aveva il coraggio di chiedere il reale significato.
“Oh, l’ho fatto poche volte, ma è una figata,
tutte quelle onde e il mare…. Mio Dio, mi piacerebbe tanto
vivere vicino al mare, con la spiaggia, il sole. Farei di tutto per
spostarmi in California” Rimase un attimo a guardarla e le
carezzò il viso, dolcemente.
“Con te, magari. Ti piacerebbe?” aggiunse poco dopo,
mentre con gli occhi più dolci che avesse mai avuto, guardava
quel pezzo della sua anima, seduto lì che lo osservava. Layla
scrollò le spalle.
“Dopo un po’ il mondo diventa tutto uguale, posso
assicurartelo io che l’ho girato in lungo e in largo, anche se ho
prevalentemente visto la vita notturna, sai com’è”
Si grattò la testa, leggermente imbarazzata e lui sorrise.
“Ti piacerebbe poter uscire al sole senza grossi problemi?”
“Oh, ma io posso uscire al sole, ma mi sento così
debole e stanca quando mi capita….. Sono una creatura notturna,
che ci vuoi fare, però si, non sarebbe male vedere il mondo alla
luce del sole”
“Oh per me il sole è un’attrazione fortissima,
muoio dalla voglia di buttarmi su una spiaggia, a prendere il sole col
suono delle onde a cullarmi….. voltare lo sguardo e trovare te
arrotolata in un piumone per ripararti” rise distrattamente e lei
fece lo stesso, tuffandosi di nuovo sul suo petto.
“La spiaggia di notte ha un ché di magico” sospirò sul suo torace.
“Vero…..” Asserì Brian carezzandole i capelli lunghi e mossi.
“La sabbia sembra cipria e la luce è così
fredda, in più l’acqua è caldissima”
Sospirò poggiando la guancia sul suo cuore. “Io adoro la
neve, fra un po’ dovrebbe cominciare a nevicare molto, non vedo
l’ora” Aggiunse dopo il tempo di un respiro.
Brian emise una sorta di grugnito non proprio entusiasta e Lay rise della sua faccia quasi disgustata.
“Non ti piace?”
“Per niente, il mio migliore amico, Jimmy, la adora e quando
comincia a nevicare cominciano le battaglie a palle di neve e simili.
Una volta c’erano -6°, addosso avevo una canotta e il
pantalone della tuta e mi ha svuotato un secchio d’acqua addosso.
Ci credi che mi si è congelata addosso? Avevo i ghiaccioli fin
dentro le mutande!”
Layla scoppiò a ridere, immaginandosi la scena e Brian le rise dietro.
“Non è così divertente se sei un essere a
sangue caldo, anche se sei un mezzosangue e la temperatura esterna non
fa questa grande differenza, non quella fredda, almeno” Il bello
di essere mezzosangue: non avevi (quasi) mai freddo, ma il caldo lo
soffrivi, anche se un po’ meno degli umani.
“Io non sento mai caldo, né freddo. La mia temperatura è stabile sui 22 gradi, più o meno”
“Sei un po’ più calda degli altri
vampiri” Lui di vampiri ne sapeva qualcosa, gli avevano spiegato
tutti i modi per ucciderli a scuola…..
Layla annuì, mentre si metteva a sedere di nuovo e
scivolava nella t-shirt di lui, abbandonata sul puff vicino al letto,
che le stava semplicemente enorme.
“Si, sempre per via della mia svariata quantità di
problemi fisici, credo tu ne sia al corrente, no? Sono più
debole, il sole mi da più fastidio, ho bisogno di più
sangue e la mia temperatura è un po’ più alta”
Brian sorrise e l’abbracciò facendosela cadere
addosso e rotolandole poi sopra, mentre le mani s’insinuavano
sotto il lembo della t-shirt bianca troppo grande.
Le salì a cavalcioni e le mordicchiò le labbra, mentre le torturava i fianchi in punta di dita.
“Oh si che lo so, principessa, mi sono informato. Poco, eh,
ma l’ho fatto. Però i miei cari informatori non mi avevano
spiegato che i tuoi punti debole erano questo….”
sogghignò sulla sua pelle mentre tornava a torturare il collo
già abbondantemente martoriato dai suoi morsi e succhiotti.
Lay rise distrattamente, mentre la sua mente veniva annebbiata dalla sensazione delle labbra di Brian sulla pelle.
“….e questo…” sospirò contro la
sua pelle umida, provocandole la pelle d’oca, mentre le mani
delicate della vampira artigliavano la chioma corvina e sconvolta di
lui.
Le mani grandi, ma delicate, fecero volare via la t-shirt,
scoprendola nuovamente e le labbra scesero dal collo ai capezzoli che
si mise a torturare ancora, mentre la vampira gemeva.
“Ma non ti stanchi mai?”
“Sono una macchina da guerra, la resistenza è uno dei miei maggiori pregi, sai?”
“Credevo fossero le tue capacità da segugio…”
“Ho tanti pregi, tesoro, quasi quanti i difetti”
sospirò contro il suo ventre che stava riempiendo di baci, morsi
e leccate. Gli piaceva sentirla gemere e sospirare, era più
forte di lui, stava diventando la sua dolce e tiepida droga.
“Brian Brian…... alcune volte sembri anche meno umano
di me” La testa di Brian scattò verso di lei, separandosi
dall’interno coscia che stava mordicchiando.
Si poggiò con la tempia all’interno ginocchio e agganciò l’articolazione sopraccitata, con la mano.
“In che senso?”
“I vampiri sono più belli degli umani e di molti
mezzosangue, per non parlare del fatto che in teoria sono più
forti e…. resistenti. Ecco, tu sei decisamente
un’eccezione”
“Mi stai dicendo che sono più bello di un
vampiro?” Fece lui gongolante, mentre la guancia sfiorava
l’interno coscia della ragazza. Lay voltò gli occhi al
cielo divertita. Ma di tutta la spiegazione, lui si era fermato ad
ascoltare dopo la prima manciata di parole?
“Ho detto anche questo, ma non solo” Brian fece un gesto della mano.
“Si si si, quindi sono bello?”
“Dovevo dirtelo io? E poi mi pare di averlo già accennato”
Posò un bacio sempre sulla coscia a cui ormai stava placidamente poggiato e sorrise.
“E’ diverso, se una cosa la dici tu, è più importante”
“Beh, grazie” disse lei divertita e lui sorrise dolcemente.
Certo, visto dove fosse la sua testa, uno a tutto avrebbe potuto pensare tranne che a un sorriso dolce e invece…….
Bah, che tipo.
***
Ennesima missione in un’altra città, ennesime ore
infinite passate a sparare e uccidere o a mettersi in salvo in tutti i
modi possibili, mentre di fianco ti sfila un Brian incurante di tutto.
Quello si divertiva proprio a farsi sparare, Zack ne era certo.
Buttò la cicca per terra, fottendosene del fatto che
avrebbe potuto avere un richiamo e arrivò fino a casa sua, una
delle poche sempre vive e col giardino pieno di giocattoli.
Rimase a guardare casa Baker da fuori al cancello.
A differenza di quelle villette tutte uguali di un giallino
pallido, la sua aveva ogni parete differente. La facciata era bianca di
base, ma con tantissimi schizzi di tutti i colori, sembrava una tela di
Pollock ed era stata dipinta anche nello stesso modo in cui
l’artista faceva i suoi quadri. Zack ricordava ancora tutto il
bordello nel giardino, quando sua moglie e i suoi figli si erano messi
a “ridipingere” la casa. Anche il giardino era stato degli
stessi colori, per un pò di tempo.
Era fantastico, gli piaceva un sacco la sua vita.
Aveva una moglie fantastica Roxanne, quattro figli, in ordine di
nascita: Richard, Asia, Daniel e Aurora quasi sempre su di giri,
soprattutto i due piccolini, due cani di cui un alano blu di nome
Majesty e un qualcosa di non molto identificato, ma di piccola taglia
di nome Ichabood.
Oh, e c’era anche un gatto, una femmina, Cocò e un
pitone che se ne stava sempre nella sua teca e che si chiamava Gee, ma
per Zack si chiamava Chelle, o più precisamente Michelle (si,
giusto qualche scaramuccia con la moglie di uno dei suoi migliori amici
e lui) .
In casa Baker non si stava mai tranquilli e forse era anche questo che Zack l’adorava.
Era bello arrivare a casa e trovare una famiglia così normale e vitale.
Erano le piccole cose che rendevano l’essere una macchina assassina un lavoro sopportabile.
Aprì la porta e andò in cucina, dove, come dopo ogni missione, c’era un piatto nel microonde, in sua attesa.
Aveva appena pigiato il tasto di avvio, quando sentì due
braccia avvolgergli il torace. Guardò distrattamente i due
anelli sull’anulare sinistro, di quelle mani che lui conosceva
fin troppo bene e si voltò in quell’abbraccio, incrociando
quelle spettacolari iridi verde foglia che tanto adorava.
Strinse forte a se la donna minuta e dolce che si era avvicinata, affondando il naso nei suoi capelli.
Diamine, era così stanco e aveva fame, ma un paio di minuti per la sua Roxanne li avrebbe sempre trovati.
“Ciao” sospirò lei. Era felice che fosse andata anche ‘sta volta.
Ogni stramaledetta volta che Zack, che il SUO Zack, doveva
partire, aveva il terrore che glielo riportassero indietro senza
qualche pezzo o peggio….
“Ciao” Ripeté lui dolcemente mentre le
carezzava la schiena. Avere Roxanne finalmente fra le braccia era una
delle cose migliori che Zack potesse provare. Era come un
tranquillante, come un balsamo dopo una nottata passata a fare a pezzi
vampiri aggressivi e pericolosi.
Quelle iridi color foglia gli ricordavano che lui aveva un posto
nel mondo, uno spettacolare posto in cui l’attendeva una vita
così normale e tranquilla….
Il suono del microonde li avvertì che la sua cena era
pronta e si separarono, Roxanne afferrò una presina e
poggiò il piatto sulla base di marmo dell’isola della
cucina.
Si sedettero su due sgabelli, mentre Zack mangiava.
“Perché mi hai aspettato?” La donna
scrollò le spalle, mentre osservava le macchie di bruciato sul
viso pallido o sulle braccia scoperte e forti, che oscuravano i
colorati tatuaggi di lui che a lei piacevano tanto.
“Ne avevo voglia, domani… cioè oggi è
sabato, quindi ho voluto aspettarti” Zack sorrise, anche se con
la bocca piena.
“Come se per te ci fosse qualche differenza” disse
tranquillo e Roxanne arricciò il naso infastidita, una cosa che
Zack adorava.
“Oh certo che c’è, gli altri giorni mi devo
svegliare per via dei bambini, mica sono tutti in grado di prepararsi
da soli o di farsi la colazione e di certo Richard o Asia non possono
occuparsene per tutti”
“Scusami” Fece Zack sorridendole, mentre la guardava.
Era così bella con quei capelli cortissimi e con quella
sorta di cresta che una volta aveva tinto di blu, facendo prendere un
infarto a tutto il vicinato e sorridere lui, mentre adesso era nera, il
suo colore naturale. O i pochi tatuaggi a colorarle la pelle pallida e
profumata che faceva impazzire il nostro soldato come il primo giorno.
Roxanne Artemisia Baker era una spettacolare mezzosangue cresciuta
nel mondo esterno, in una famiglia di mezzosangue da quattro
generazioni. Una cosa molto rara, in effetti.
Amava poche cose, ma sempre quelle e senza un ordine d’importanza: i suoi figli, Zack e l’arte.
Amava l’arte, amava dipingere, provava a scolpire, amava la
musica, la danza, il teatro. Tutto quello che era emozione ed
espressione la affascinava e incuriosiva e Zack adorava questo suo lato
così sensibile che spesso contagiava anche lui. Tutto merito di
Roxanne, o Roxy, come la chiamava lui.
“Scuse accettate. Com’è andata sta volta? Tutto
bene?” Zack fece una smorfia e voltò il viso di lato.
“Credo di essere ancora sporco di bruciato, ma mi hanno
preso di striscio la guancia. Solo un graffietto, ma ha lasciato un
leggero segno”
Roxy si avvicinò, sfiorando col dito il segno di cui lui
parlava e che prima non aveva notato, quasi coperto dalla macchia di
bruciato.
“Ma non avevi quell’affare davanti alla faccia?” Zack sorrise distrattamente.
“Si, ma era un po’ troppo grosso per
quell’affare, come lo chiami tu” Roxanne sbuffò
preoccupata e Zack le baciò il palmo della mano, ancora poggiato
sulla sua guancia.
“Ehi, non preoccuparti, non è niente”
“Dici sempre così, Zack, eppure sei pieno di…
di buchi. Non hai paura? Potrebbe accaderti di tutto lì fuori,
siete forti, ma non immortali” Lui e carezzò la mano che
se ne stava sulla sua guancia, stingendola nella sua.
“Roxy, non ti devi preoccupare così, è il mio
lavoro e lo faccio da quasi vent’anni ormai. Siamo bravi, non ci
facciamo uccidere”
“Mio nonno diceva la stessa cosa…” Anche il
nonno di Roxy era un soldato della IVAUS e aveva fatto una brutta fine
un po’ troppo presto per via del suo lavoro.
“Ma ai tempi di tuo nonno era molto diverso, adesso ci sono
molte più armi e molte più protezioni. Non ti lascerei
mai sola, Roxy, sei troppo importante”
Roxanne aveva quasi le lacrime agli occhi, Zack le sorrise e
l’abbracciò di nuovo, mentre lei si stringeva forte a lui.
“E’ così brutto non sapere mai quando tornerai,
né se tornerai o in ché condizioni” Zack sorrise
sulla sua spalla.
“Come sei tragica, adesso che ne dici di una doccia e poi di
una bella dormita? Ne ho davvero bisogno” Sospirò lui
baciandole la testa quasi rasata sui lati e poi prendendola per mano,
per trascinarla in bagno.
Stava recuperando un paio di boxer, quando vide Roxy deviare nel
loro bagno personale e chinarsi attivando l’idromassaggio. Vi
buttò dentro un bel po’ i bagnoschiuma alla ciliegia, il
suo preferito, e accese un paio di candele, perché detestava le
luci troppo forti del bagno.
Suvvia un minimo di atmosfera, era uscito per “una cosa da un paio d’ore” e era tornato dopo due giorni.
Quando la vasca fu piena di acqua calda e schiuma rosa, il bagno
illuminato da forse sei o sette candele profumate, Roxy si spoglio e
entrò nella vasca. Dopo un paio di minuti arrivò anche
Zack che si sfilò gli ultimi indumenti e si sedette nella grossa
vasca, davanti a lei, dandole le spalle.
“Mio Dio….. adoro questa vasca, sai? E’ stata
una grande mossa farla montare quando abbiamo ristrutturato la
casa” Sospirò lui, mentre si poggiava al suo corpo caldo,
a mo di poltrona umana e lei gli cingeva le spalle con le braccia
sottili.
Si voltò appena e la guardò, prima di sorridere maligno.
“Immersione fra tre…. due…..
uno…” L’afferrò per le spalle e la
tirò sott’acqua, mentre lei si lamentava. Se la strinse
contro e la baciò, mentre provava inutilmente a lottare per
tornare fuori da quello strato di schiuma sopra le loro teste.
Lui rise divertito e tornarono sopra, smuovendo sempre un sacco d’acqua.
Zack rideva, Roxy, gli tirò uno schiaffo su una spalla.
Mentre ancora rideva la baciò, sfiorandole la mascella e la
donna dimenticò le sprezzanti e cattive risposte che aveva da
dare.
“E’ così bello essere di nuovo qui, con
te” sospirò lui sulle sue labbra e lei gli sorrise
leggermente, prima di tuffarsi di nuovo sulle sue labbra e sul suo
corpo.
Era quella la sua paura più grande, perdere la sua Roxy,
l’unico motivo per cui non era diventato un esaltato dal
grilletto facile come Gates o un devoto alla patria come Shad.
Beh, Shad non aveva altre alternative, in effetti.
Il solo pensiero che lui potesse ritrovarsi solo, come
l’amico, gli contorceva le budella, ma poi improvvisamente si
ricordava che lui aveva ancora la sua anima gemella e non
l’avrebbe di certo persa molto presto.
Scacciò via ogni pensiero negativo facendosi strada in quel
corpo caldo e conosciuto, mentre Roxy gemeva e lui soffocava i suoi
gemiti baciandola e facendo morire nella sua gola.
“Ssssh! Evitiamo di uccidere le loro giovani menti”
“Tu potresti anche potuto non uccidere la mia, ma eri troppo
bello per non farlo” sospirò lei mordendosi le labbra e
Zack sorrise divertito.
“Tu l’hai detto, eh, poi non lamentarti se sono vanitoso”
Prima di conoscerla, Zack non avrebbe mai detto che avrebbe trovato al felicità nella vita coniugale.
Lui era uno sciupa femmine, un tipo da una ogni sera e da nessuna per più di due giorni.
E poi si era ritrovato questa ragazzetta con sottobraccio due tele
più gradi di lei è una borsa piena di colori e pennelli,
la guancia macchiata di azzurro e verde e una sciarpa fatta a mano, di
tutti i colori, talmente lunga che sfiorava quasi il marciapiede,
mentre a passa svelto attraversava quelle strade buie, troppo per una
donna così giovane.
Quella donna che quando lui si era offerto di offrirle da bere gli
rispose che piuttosto sarebbe andata col fucile che lui teneva in
spalla.
Le aveva dato filo da torcere e Zack aveva dovuto reinventarsi
corteggiatore, perchè ormai era il suo obbiettivo. Spesso quando
si insegue con troppa foga un obbiettivo poi si rimane delusi, ma non
con Roxy, una volta raggiunto l’obbiettivo, Zack aveva riscoperto
ancora un altro mondo, celato durante il corteggiamento e che a quasi
vent’anni anni di distanza da quella sera in cui
s’incontrarono, ancora non gli si svelava del tutto.
Dopo quattro anni da quella sera si erano sposati che Roxy era incinta di tre mesi e Zack glielo aveva chiesto da sette.
Era bello provare tutte quelle emozioni anche dopo tutti quegli
anni, sentire il cuore scalpitare a ogni sorriso e sorprendersi ancora,
con piccoli gesti dolci in grado di dare alla giornata una piega
migliore.
Bello il pensiero che dopo tanti anni, la voglia che aveva di lei
non fosse diminuita, anzi, la saziava quanto più possibile.
Forse anche per questo avevano quattro figli.
“Sai, Daniel ha perso un altro dentino. E’ così
gasato all’idea di avere dei denti nuovi…. Quel bambino
è un po’ strano, non lo capisco”
“E’ figlio nostro, è già tanto che sia l’unico strano di quattro, ti pare?”
“Non è l’unico strano su quattro, ma l’unico per quanto riguarda i denti”
“Già, non dimentichiamo che Asia ha i capelli
parzialmente viola e Richard la cresta da punk e i piercing” si
corresse Zack, mentre si faceva insaponare la schiena da Roxy. Era pur
sempre una vasca, no? E lui aveva macchie di bruciato ovunque e puzzava
da far schifo.
“Beh, hanno preso da noi, no?” disse divertita
la donna che, dopo aver ceduto la spugna al marito, era passata a
insaponargli i capelli.
“Poco ma sicuro, stanno venendo su bene, ne sono felice. Stai facendo un ottimo lavoro, Rox”
“Stiamo facendo, non li sto mica crescendo da sola”
“Beh, quasi, mi dispiace non essere molto presente”
disse colpevole Zack, ma era vero. Lui faceva il possibile, ma il
lavoro lo teneva anche troppo spesso lontano da casa.
“Non dire così, sei un bravo padre. Chi è che
porta Daniel al parco, che ha spiegato a Richard come si tiene su la
cresta o che tiene puntualmente la testa a Aurora quando vomita per via
della febbre?” lo rincuorò Roxy, lanciandogli uno sguardo
dolce.
“La cresta è merito tuo” sentenziò ridendo Zack e rise anche Roxy.
“Si, ok, la cresta è merito mio, ma sei stato tu a
insegnargli come decolorarla e tingerla di rosso sulle punte”
“Ti ricordi quando l’ha fatta verde acido? Mio Dio, non ci volevo credere”
“Si, Brian ancora lo chiama “gambo di sedano”” disse piccata Roxanne.
“Il problema è che aveva ragione”
“Oh lo so, ma non pigli per culo mio figlio”
“Amore, stai diventando volgare?” Roxy non diceva
quasi mai brutte parole, da notare, e anche se stava da un sacco di
anni con Zack, non aveva preso l’abitudine. Non quella almeno, ma
ne aveva prese altre.
“Quando si tratta di proteggere i miei figli tiro fuori tutto il repertorio, honey”
“Brava la mia donna”
Credo che siano le scene
“hot” (se hot si possono chiamare) più melense che
io abbia mai scritto .____.”
Che ve ne pare? A me non convincono quasi per niente e ho continuato a
modificarle fino all’ultimo, ma boh…. Soprattutto quella
fra Brian e Lay, sono piena di dubbi :/
Tanto a voi non frega una mazza e va bene così v.v
Un super enorme GRAZIE alla mia semi omonima :’)
Non so quando riprenderò ad aggiornare la mia long fic “I
Learn how to Swim?....” perché sono a corto di idee v.v
Non uccidetemi plz c.c
Baci
The Cactus Incident
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Capitolo 8 *** Chapter 7 ***
vamp chapter 7
Tornare a casa, lasciarla dopo la notte più bella di tutta la sua vita, fu un vero dolore fisico per Brian.
Doveva allontanarsi e doveva rimettere la maschera da Synyster
Gates, il soldato dal grilletto facile anche se era abbondantemente
andata in pezzi.
Quando avrebbe potuto far vedere di nuovo la luce a Brian?
Quando sarebbe stato ancora così felice? Con lei, ovviamente.
Brian non avrebbe mai dimenticato quella notte ed era certo che lo stesso valesse anche per Layla.
Quando aprì la porta di casa erano le sette e un quarto di
mattina e tutta la casa era sveglia. Sentiva i figli dal piano di sopra
e Michelle che era in cucina, appena sentì la porta aprirsi
scattò verso di lui.
“Gates, dove sei stato tutta la notte? Ero in
pensiero” disse preoccupata, mentre ancora in pigiama preparava
la colazione.
Syn si grattò distrattamente la testa.
“Uhm... in giro, non riuscivo a dormire allora ho preferito
andare….. fuori” Michelle fece una faccia triste ed emise
un “Uhm, v-va bene” prima di tornare in cucina, con la
faccia da cane bastonato.
Gates la guardò colpevole e andò a sedersi al suo posto a tavola.
Non l’aveva mai tradita. Da quando si erano sposati non era
più capitato. Quando ancora non lo erano c’era stata
qualche scappatella, certo, ma da quando aveva quell’anello al
dito non si era mai permesso.
Perché l’aveva sposata?
Come aveva fatto a ritrovarsi in quella vita senza neanche rendersene conto?
E’ una sensazione orribile non rendersi conto di come si
è arrivati ad un punto, guardare indietro e trovare il vuoto,
come se non ci fosse mai stato un passato.
Ecco, Gates si sentiva così, come se non ci fosse mai stato un passato.
Gli sembrava di essere nato adesso, più precisamente tre
settimane fa, quando aveva sparato alla gamba di una vampira che tutto
era tranne una qualsiasi.
Si era ribaltato tutto nella sua vita, era finito completamente a
gambe all’aria e adesso non sapeva più da dove partire.
Fecero colazione tutti insieme con i soliti bisticci fra Micheal e
Bree e i vari ammonimenti dei due genitori. I tre uscirono di casa e
Gates rimase lì, come un coglione a guardare una casa che non
gli apparteneva, completamente vuota.
Si dice che casa è dove appendi il cappello, dove hai la tua famiglia.
Sicuri che fosse proprio la sua? Non ricordava nemmeno granché di averla creata.
E il suo cappello? Dove erano i suoi oggetti, le sue cose, i suoi ricordi?
Oh, giusto, non ne aveva.
Certo, vestiti, alcuni pezzi dell’armatura e la sua chitarra.
Già, la sua chitarra, quella chitarra fatta su misura.
Ed è lì che si ritrovò, per l’ennesima
volta in quelle settimane, su quel pavimento, con la sua chitarra fra
le braccia. Era la sua ancora di salvezza quando era lontano da Layla,
il suo unico appiglio e punto fermo.
E non fece altro che imbracciarla e suonare, suonare fino a far
sanguinare e rimarginare le dita, di continuo, fino a non averne
più la forza, mentre la mani scorrevano da sole sul manico,
mentre quel pezzo della sua anima tornava al suo posto, nel suo petto.
Era sempre così, ogni volta che l’aveva fra le mani,
sentiva che qualcosa lì, proprio al centro del suo petto,
ritornava al posto giusto e quel ricomporsi dava nuova energia a tutto
il suo corpo.
E’ una sensazione che non potreste mai capire, se non vi
è mai capitato di avere un pezzo della vostra anima fra le mani,
che non aspetta altro che tornare al proprio posto.
E’ una delle sensazioni più gratificanti che ci possa
essere, è ricongiungersi con la persona amata, è un
sentirsi ancora meglio se si sta già bene o un tirarsi su di
morale se ne si ha il bisogno.
E’ creare, è dare vita e voce a se stessi.
Ed è quello che fece Brian, diede voce e forma al suo essere, a quello che gli scuoteva il petto in quel momento.
E scrisse, oh, scrisse, creò, dopo tanti di quegli anni che nemmeno ricordava di esserne capace.
Sentiva che doveva farlo, che doveva far uscire quelle parole,
quella musica, perchè erano chiuse nel suo cuore da troppo tempo.
E per Brian era difficile stargli dietro, tanto che erano frenetiche e confusionarie.
Erano una sorta di terremoto nel palazzo a quaranta piani della sua mente.
Tutti che si affollavano verso le uscite e i soccorsi che provavano a salvaguardare tutti, ma erano troppi, e troppo in fretta.
Fu fantastico liberarsi, sentì come un peso nel petto sciogliersi, correndo via insieme alle parole.
E quando si ritrovò a guardare quella spaventosa
quantità di fogli scarabocchiati che aveva davanti non riusciva
a capacitarsi del fatto di aver scritto tutto lui.
Stava guardando orgoglioso quei fogli, quando suonarono alla porta.
Gates si precipitò ad aprire e si trovò Jimmy davanti.
“Ohi, Jimbo bello” Jim lo guardò sospettoso, inarcando un sopracciglio e incrociando le braccia al petto.
“Che mi sono perso?”
“Uhm?” emise innocentemente Gates, non capendo nemmeno
molto a cosa si riferisse, ancora mezzo intontito da quella
“liberazione” che era appena avvenuta.
“Il “miglio amico-radar” parla chiaro e la
faccia di tua moglie anche di più, che è successo?”
Aveva incontrato la donna alla centrale ed era più che ovvio che
fosse successo qualcosa, non la vedeva con quella faccia dalla messa di
dieci anni per la morte di Val.
Gates si scansò e lo fece entrare.
Si buttarono sul divano e Brian cominciò a torcersi le mani.
“Ok, quello che sto per dirti ti suonerà
completamente assurdo e insensato, ma non è altro che la
verità”
“Sei Brian Haner, sono quarantatre anni che non hai un
senso” Rispose tranquillo l’amico, scrollando le spalle.
“Ok, ti ricordi Layla? La ragazza a cui ho sparato? Quella
che proteggeva i ribelli?” Jim annuì convinto.
“Ecco, da allora abbiamo avuto diversi incontri, abbiamo parlato
tanto….”
“E?”
“E mi sono innamorato” Jim alzò gli occhi al
cielo. “Jim sul serio, non è una stronzata, io la
amo”
“Brian, ti rendi conto che quella è Layla Lightblue?
Ti rendi conto è stata lei ad uccidere Val? Adesso farà
pure la pentita, ma resta il fatto che l’ha uccisa lei. Noi siamo
soldati, il mondo ha bisogno dei soldati perchè esistono i
Lightblue e quegli altri due rott’inculo di cui non mi ricordo il
nome….. La Morte Blu è il motivo per cui in questa
città è impossibile uscire di sera se non sei un vampiro
o un mezzosangue addestrato”
“Ma lei è diversa…”
“Questo non lo metto in dubbio, non sei proprio così coglione”
“Grazie, eh” bofonchiò Gates sarcastico.
“Figurati, il punto è che se qualcuno dovesse venire
a saperlo, verresti accusato di alto tradimento e nel migliore dei casi
ti sbatterebbero fuori. E se dovessero venire a saperlo la sua
famiglia, non oso immaginare nemmeno cosa vi farebbero” ammise
preoccupato l’amico. Non voleva perdere il suo migliore amico.
“Lo so, ci ho pensato, ma Jim, tu non capisci. Non mi sono
mai sentito così, mai. Da quando la conosco sto trovando un
senso a me stesso, sto capendo un sacco di cose…”
“Brian, tu hai una bella moglie e due figli fantastici, perché non vuoi essere felice?”
“Perché sono estranei Jim, tutto mi è estraneo, questa casa, questa vita, il mio lavoro..!”
“Anche io?” chiese preoccupato Jim.
“No, tu probabilmente sei l’unica ragione per cui non
sono diventato come quell’esaltato tedesco di Hitler. Jim, non mi
piace più uccidere, non trovo niente più di bello nel
combattere e nell’insegnare a combattere. Voglio solo Lay, voglio
passare il tempo con lei, voglio essere felice, voglio
amarla…..”
Jim lo guardò intenerito. Si sentiva orgoglioso di quell’uomo che finalmente era cresciuto.
Brian era cresciuto troppo in fretta e, per assurdo, non era cresciuto mai.
Responsabilità, certo, onore, dovere, quanti ne vuoi, ma aveva saltato tutte le tappe della vita di un uomo.
Non aveva mai capito appieno cosa significasse amare o essere
amato, non si era mai sforzato di comprendere e far parte del calore di
una famiglia.
Era semplicemente andato avanti negli anni, facendo sì che
gli eventi facessero il suo corso e se lo trascinassero dietro, come un
tronco in balia della corrente.
“Jim, che devo fare?”
“Se mi avessi detto tutto questo una ventina di anni fa, ti
avrei detto afferrala e scappate via, buttati e amala, ma le cose sono
diverse, Bri. Mi dispiace tarparti le ali, ma non sei più un
ragazzino ai primi tentativi di amore. Sei un uomo, hai dei figli, una
moglie e dei doveri verso di loro”
“Mi stai dicendo che devo essere infelice”
“Se tu vedi l’infelicità in una donna che ti ama e dei figli che ti vedono come un mito, allora si”
“Jim, non ce la faccio…. non ce la faccio più
a uccidere e distruggere, a far finta che vada tutto bene, che adori la
mai vita e che io sia nato per fare il soldato. Jim io voglio vivere,
per davvero. Voglio un lavoro normale che mi assicuri di tornare a casa
la sera dalla mia donna, una donna che amo e che non mi si è
affiancata per qualche strano motivo”
“Strano motivo tipo perchè aveva la stessa faccia del tuo unico amore adolescenziale?”
Brian rimase di gesso, guardando l’amico con gli occhi sgranati.
“Tu….. come….”
“Come lo so? Andiamo Bri, ti conosco dall’asilo,
proprio come ti conosceva Valary e di certo non mi ci voleva la sfera
di cristallo per capire che ti fossi innamorato di lei. La adoravi,
avresti fatto di tutto per lei, e lei ti vedeva come un fratello”
disse tranquillo Jim.
“Già, vedi che idiota”
“Oh no, da idiota è stato mettersi con Michelle per
ovvi motivi, mica amare Val. Avresti potuto trovare all’epoca una
donna che ti piacesse sul serio, che avresti amato e che ti avrebbe
aiutato a rimanere nel mondo reale. Bri, Chelle è un soldato,
proprio come te. Siete delle macchine da guerra, non siete fatti per
amare, ma per farvi amare e da questo imparare”
“E Matt e Val? Anche loro erano entrambi soldati….”
“Sai meglio di me che Val era in grado di mantenere entrambe
le sue identità ben separate, ma comunque presenti. Victoria
Shadows era la macchina, Valary Sanders era la donna. Secondo me
è questo concetto delle due facce che sia tu che Michele avete
confuso un po’”
“Io sto tirando fuori Brian dal dimenticatoio, finalmente,
ma ci sono prevalentemente due cose che lo fanno ancora respirare: la
chitarra e Layla” Jim emise un respiro triste.
“Bro, ho capito, ma sai bene che non puoi legarti a lei, faresti una brutta fine in breve”
“Jim, posso assicurarti che preferirei morire, piuttosto che
tornare a essere lo stesso di due mesi fa” bofonchiò Brian
con le lacrime agli occhi, e aveva ragione, diamine se aveva ragione.
Non aveva più la forza di essere sempre e solo Synyster Gates.
Il lato del soldato era crollato, adesso era rimasto l’uomo,
il chitarrista che non sapeva proprio dove andare a parare per rimanere
a galla.
“Guarda Matt, Jim, che ne è rimasto di lui? Dimmelo.
Sembra un robot delle forze armate: il capo ordina, lui esegue. Non
voglio finire come lui, ci sono stato pericolosamente vicino e non
voglio che accada mai più”
Jim sospirò afflitto e dovette ammettere che l’amico aveva ragione.
Matt non era stato in grado di rimpiazzare Val nel suo cuore, quel
posto era rimasto vacante per anni e così sarebbe rimasto per
sempre.
Matt aveva fatto proprio la fine che Brian aveva scansato per ventinove e trenta.
Aveva ragione ad avere paura, ci era andato davvero vicino, ma Brian era stato salvato da Layla, Matt no.
Matt non aveva più una donna a ricordargli cosa fosse
l’amore. Aveva due figli, certo, ma i figli crescono troppo in
fretta e Matt se li era goduti ben poco viste le continue missioni.
Quei bambini erano cresciuti con l’amore delle madri degli
altri, con la zia Michelle, o zia Roxanne, zia Lacey (la moglie di
Johnny), le altre che facevano parte della squadra della mamma o altre
mogli di soldati che si occupavano volentieri di loro.
E Jim, vi chiederete voi, chi era il suo punto fermo?
Quell’essere che gli ricordava che il mondo reale non era solo
uccisioni e proiettili al plasma? Eh eh eh…..
“Mi dispiace ammetterlo, ma hai
ragione……” sentenziò Jim e Brian fece una
smorfia vagamente somigliante a un sorriso.
“Già, è difficile che ne abbia, ma quando
capita non si può discutere” Jim gli diede un buffetto
amichevole su una guancia.
“Adesso non esageriamo, eh” disse divertito e Brian sorrise tristemente.
Jim gli posò una mano sulla spalla e lo guardò.
“Brian, davvero, è triste che tu non possa amare Lay come vorresti, ma è troppo tardi”
“Its never too late” canticchiò sarcastico Brian e Jim fece una faccia schifata.
“I Three Days Grace? E da quando?!”
“Da quando abbiamo conosciuto Adam Gontier ed è il
mezzosangue famoso più simpatico che abbia mai fatto un concerto
nel mondo sotterraneo”
“Seh, vabbè” fece divertito Jim mentre si
alzava. “Io devo andare, bellezza, ci vediamo” Brian si
alzò con lui e lo accompagnò alla porta.
Prima che potesse aprire la spessa porta di casa Haner, Brian lo
abbracciò stretto e affondò il naso nella sua spalla.
“Sei un amico, Jim, frocio, ma un grandissimo amico”
Eh si, Jimmy Sullivan era gay. Certo, il gay meno effeminato che
fosse mai esistito sulla faccia della Terra, ma lo era e conviveva con
un ragazzo spettacolare che lo amava più della sua vita.
“E tu sei la solita merda, da quarantatre anni, ma ti voglio
bene come il primo giorno all’asilo” gli lasciò un
altro buffetto affettuoso e poi se ne andò, infilandosi nella
sua macchina e tornandosene a casa, dal suo punto fisso.
Tom era di sicuro già a casa e Jim voleva passare un
po’ di tempo con lui visto che fra i lavori di entrambi ne
avevano sempre molto poco a disposizione.
Il suo ragazzo, Tom era un insegnante alla scuola dei ragazzi che
vivevano nella città sotterranea. Prima insegnava
all’università, ma da quando si era trasferito lì,
aveva preferito trovarsi un lavoro che gli evitasse di fare quaranta
chilometri al giorno ad andata e altri quaranta al ritorno.
Tom Hiddleston era uno spettacolare uomo inglese, l’unico
che Jim non detestasse. Si, perché Jim detestava tutti gli
inglesi, loro e quell’accento del cazzo, che ti trattavano sempre
come l’ultimo della specie, soprattutto se eri americano e
bevevano quel cazzo di the alle cinque.
Ecco, Tom non beveva il the alle cinque, anzi, lo detestava a
qualsiasi ora, era sempre affabile e sorridente e ti guardava sempre in
modo gentile con i suoi grandi occhi cangianti che potevano essere
verde intenso o azzurri, passando per un’infinita varietà
di sfumature che comprendevano anche un grigio nuvole in tempesta
davvero spettacolare.
Era tanto simile quanto diverso da Jim…
Tom era alto, magro e sorridente proprio come il suo uomo, ma non
aveva nessun tatuaggio o piercing perchè terrorizzato dagli
aghi. Aveva degli adorabili capelli color caramello, che se ne stavano
sempre scompigliati sulla testa in dei bei boccoli senza un
granché di senso, tranne alcuni rari casi in cui li tirava
ordinatamente indietro col gel.
Adorava musica di qualsiasi tipo, quando era allegro (ovvero
sempre) canticchiava e ogni tanto si dilettava con la chitarra anche se
non aveva mai suonato in presenza di Brian, visto che gli era capitato
di ascoltare qualche registrazione e il solo pensiero di confrontarsi
con quella bestia delle sei corde, lo terrorizzava.
Gli piacevano i fumetti della Marvel, soprattutto
“Thor” e Jim lo prendeva spesso in giro, dicendo che
somigliava a Loki, il fratellastro cattivo del Dio del Tuono.
E amava il suo ragazzo, incondizionatamente.
Prima di conoscerlo, Tom era convinto di essere etero. Gli erano
sempre piaciute le donne e gli piacevano tutt’ora, ma a lui non
piacevano gli uomini, a lui piaceva Jim.
Gli piaceva quel genio nascosto da strati d’inchiostro e dal
disordinato ciuffo nero, gli piaceva la risata cristallina e la battuta
sempre pronta.
Adorava i moti dolci che lo coglievano spesso o i suoi vaneggi da
ubriaco, quando con due birre alla spina in mano e molte di più
in corpo, ti faceva una metafora sulla vita e il rapporto fra due
persone, meglio di come avrebbe mai fatto un qualsiasi psicologo.
Inizialmente era affascinato e incuriosito da quell’uomo e
dal sua mente brillante, poi si era ritrovato completamente innamorato
di tali caratteristiche e anche del suo corpo.
Lui che aveva sempre preferito le donne bassine e formose,
così diverse da lui che era alto e magro come un chiodo, si era
ritrovato attratto da un chiodo proprio come lui, solo decisamente
più decorato.
Quando la porta di casa si aprì, non riuscì a
trattenere un sorriso, mentre lo sentiva imprecare dopo essere
inciampato nel tappeto all’ingresso per la trecentesima volta.
“Tom? Ci sei?” L’uomo si affrettò a
uscire dalla biblioteca dove stava controllando alcuni compiti in
classe dei ragazzi e andò verso l’ingresso, gli occhiali
da lettura ancora sul naso.
“Oh, Hiddleston, cominciavo a preoccuparmi” disse tranquillo Jim, mentre lo guardava divertito.
Tom sorrise e si tolse gli occhiali, appendendoli allo scollo a V dell’anonima maglietta grigia.
“Stavo solo affogando fra una marea di orrori di
ortografia… Allora? Come sta Brian?” Jim scrollò le
spalle sconsolato e andò a buttarsi sul divano. Tom si sedette
di fianco a lui e il soldato poco dopo poggiò la testa sulle sue
gambe.
“E’ confuso, molto”
“Confuso?” chiese stranito Tom.
“Si, sta attraversando un periodo della sua vita un tantino
strano e non riesce a capire quali siano le sue proprietà e
quali i suoi doveri” il professore arricciò le labbra.
“Uhm, capisco. Come fai a sapere sempre quando
c’è qualcosa che non va? E’ assurdo!” Jim rise
divertito, mentre il suo ragazzo gli carezzava la testa nera e
scombinata. Aveva dei capelli così sottili e lisci, altro che
quella zazzera che si ritrovava lui.
“Bah, sesto senso, credo, non lo so. Sarà che lo
conosco troppo bene… boh” fece stranito e Tom trattenne a
stento l’ennesimo sorriso.
Un pensiero che lo torturava da un po’ tornò a galla
e emise un sospiro strano che insospettì leggermente Jim,
insieme a quella piccola ruga che si formava vicino all’occhio
quando aveva qualcosa che voleva dirgli.
“Tom, che succede?” chiese tranquillo e il cuore di
Tom perse un battito. Come faceva a beccarlo sempre, era un mistero.
“Uhm? No, niente” emise tranquillo scrollando le
spalle, tanto sapeva che di lì a poco avrebbe parlato,
però sempre meglio provarci, no?
“Non mentire, lo sai che non ne sei capace” Possibile
che s’intenerisse così? Qualsiasi cosa che quello
spettacolare inglese facesse? Come quando si mordicchiava le labbra,
perso nel suo mondo alla ricerca di una soluzione o di un modo di dire
qualcosa.
“Allora…. è un po’ di tempo che sto
pensando a una cosa. Ho parlato con Will, un ragazzo che lavora
giù ai laboratori della centrale”
“Mi vuoi lasciare?” chiese quasi preoccupato Jim, ma
sempre con dignità. Avrebbe sclerato ad un’eventuale
risposta affermativa.
Tom sbiancò, al solo pensiero che potesse credere una cosa del genere.
“Cosa? no! Stai scherzando?” fece terrorizzato e Jim
abbassò lo sguardo imbarazzato, mentre cominciava a giocare con
le dita.
“Si, insomma, ho sempre il dubbio….. potresti avere
una vita molto più tranquilla, fuori di qui, senza l’ansia
tipica del dovermi aspettare, del non sapere quando tornerò e
poi il mondo sotterraneo non è il luogo migliore per
te….”
“Jim, io non voglio lasciarti, è proprio di questo
che ti stavo parlando” Jim aggrottò le sopracciglia.
“Va avanti”
“Ti dicevo, ho parlato con Will, un ragazzo della centrale.
E’ un vampiro e ha detto che sarebbe disposto a
trasformarmi” concluse Tom.
Jim sentì un tonfo sordo nel suo petto. Credette di essere
sul punto di avere un infarto, sul serio, si sentì morire.
Eh si, perché Tom aveva un solo, piccolo, insulso, insignificante difetto: era umano.
Tom aveva sul serio ventotto anni, non come lui che ne dimostrava venticinque e ne aveva quarantatre.
Tom era il suo piccolo, fragile umano che lo amava più di
qualsiasi cosa al mondo e Jim lo amava anche perchè era umano,
perché era giovane davvero e poi era così caldo e
spontaneo….
“Io….. beh…… cioè…..
perché?” chiese stranito Jim e Tom si strinse nelle spalle.
“Fra un po’ avrò trent’anni e io sto
invecchiando, anche rapidamente, mentre tu rimarrai così ancora
per molto tempo. In breve mi trasformerò in una prugna secca
mentre tu sai ancora un baldo giovine e sinceramente la cosa non mi
piace. Quando potrei piacerti ancora, dieci anni? Quindici? Poi
sarò una sorta di scarto e non voglio che questo accada”
Jim si tirò sui gomiti, per squadrarlo un po’ meglio, inarcando un sopracciglio.
“Tom, ma come puoi dire una cosa del genere?”
“Lo dico, perché adesso dici così, poi ti
voglio proprio vedere quando sarò un vecchietto decrepito”
Jim rise di gusto e si sedette sulle sue gambe, strusciando il viso
nell’incavo del suo collo.
“E fra quattrocento anni? Quando sarò io a cominciare
a diventare un vecchietto? Non sono immortale, Tom, solo meno
deperibile” Tom gli cinse la schiena con le braccia magre ma
forti.
“E fra quattrocento anni ci penseremo, ma il mio deperimento
è molto più vicino del tuo” Jim sospirò
afflitto.
“Lo vuoi davvero? Sei sicuro? La trasformazione non è
un gioco, soprattutto se voluta. Niente più sole, ritmi
invertiti, dieta insolita fatta di sangue sintetico e cibo comune, il
tuo corpo freddo….. è davvero questo che vuoi?”
sospirò Jim sulle sue labbra, mentre con un dito gli carezzava
il profilo del collo e Tom sospirò sulle sue labbra.
“Io voglio stare con te, sai quanto me ne frega del prezzo” sospirò in risposta Tom.
“Io non potrei esserne più felice, spero che non sia tu a pentirtene”
“Non lo farò, non te ne preoccupare” rispose divertito prima di far collidere le loro labbra.
Il bacio lento e tranquillo divenne sempre più profondo e
passionale fino a quando Jim non afferrò Tom per la maglietta e
se lo tirò sopra, sul divano.
L’inglese si mise a cavalcioni delle sue gambe, mentre sghignazzava contro le sue labbra.
“Beh, per il momento concentriamoci sul fatto che sei un
bell’umano e che mi stai seduto addosso a tuo discapito,
uhm?”
“Oh, sicuro che sia discapito?”
“Per il tuo culo, si, poco ma sicuro”
“Sopravvivrò…. anche sta volta” disse
divertito, mentre mordicchiava il lembo di pelle su cui erano tatuate
le manette, sul collo del suo ragazzo.
Tom amava i tatuaggi di Jim, adorava perdersi con lo sguardo in
quell’intricata rete d’inchiostri colorati e sfiorarli con
la punta delle dita o della lingua come in questo caso.
E Jim di certo non disdegnava le attenzioni del suo caro inglese,
mentre lentamente si strusciava su di lui con movimenti regolari del
bacino, o gli sfiorava il petto con una mano gelida, mentre la barbetta
di lui gli solleticava il collo.
Ogni volta gli sembrava di poter morire mentre quelle dannate
labbra sottili lo torturavano e passavano sul suo pomo d’Adamo,
punto cruciale che Tom sapeva bene essere.
“Lo spero bene” sospirò fra gli ansiti.
Si, forse la trasformazione non era una brutta idea.
Saaaalve! :D
So che è tipo…… un secolo? Si, giù di
lì, che non mi faccio vedere, ma tutto quello che mai mi sarei
aspettata succedesse nella mia vita è successo
E giusto per aumentare il carico mi sono iscritta ad un corso di teatro
che mi tiene impegnata due pomeriggi (interi) a settimana (oltre a gli
altri due scolastici)
Ma a voi questo non frega, sto solo provando a giustificarmi
perchè… perchè boh, è uno dei miei sport
preferiti.
Ok, quell’amore di Logan mi ucciderà per aver messo Jim
con Tom Hiddleston (perché non me lo sono inventato io, quello
spettacolare inglese esiste davvero e per chi non lo conoscesse
è l’attore che ha fatto Loki negli ultimi film della
Marvel e un’altra vagonata di film che non c’azzeccano una
mazza con i fumetti).
Ma dovete vedere che occhi *-*
E poi è uno dei pochi inglesi che mi sta simpatico :’)
Non so, ce li vedo troppo insieme v.v *comincia a rimuginare su qualche OS*
Ringrazio infinitamente Lena G e la mia amata Semi Omonima per aver recensito questa robetta qui
Baci
The Cactus Incident
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Capitolo 9 *** Epilogue ***
vamp end
Un incendio.
Le fiamme avvolgevano uno dei vecchi palazzi fatiscenti di quella
zona malmessa e quasi abbandonata della città, dove spesso e
volentieri avvenivano tutti gli scontri.
E gli A7 erano lì. Magari per via dell’insolito
incendio sarebbe saltato fuori qualche esaltato che provava ad
approfittarsi di qualche umano in difficoltà. Così mentre
i pompieri e alcuni agenti dell’ IVAUS sgombravano la zona e
controllavano che il palazzo fosse disabitato, loro si accertavano che
tutto fosse tranquillo e che la Morte Blu non sferrasse qualche attacco.
Le nevicate erano cominciate da meno di un mese e avevano
già portato qualche problema, ma alla fine era stagione, tutti
ci erano abituati.
Loro erano appena arrivati e stavano decidendo come dividersi, quando Brian la vide arrivare e rimase imbambolato a guardarla.
Lay aveva un badile poggiato su una spalla e puntava diritto verso
di lui. Un pantalone largo da uomo, un paio di anfibi, una canotta
bianca che lasciava le braccia scoperte e una sciarpa di lana nera che
le ricadeva dietro le spalle. I lunghi capelli neri legati in una coda
alta, il frangettone sulla fronte, i vecchi occhiali del mezzosangue
sulla testa e la mascella serrata. Gli occhi truccati pesantemente e lo
sguardo più scuro e cattivo del solito.
Era sexy anche così, era dannatamente sexy, la neve
attorno, il fuoco alle spalle, il cielo nero e gli occhi che stavano
perforando l’anima del povero soldato. Gli occhiali a mascherina
momentaneamente poggiati sulla fronte, per guardarla meglio.
“Gates, quella non è roba tua?” Sospirò
Rev quasi nel suo orecchio, come ad avvertirlo che anche gli altri si
erano accorti di come fissava quella vampira. Il bruno in risposta
mugugnò, avviandosi a passo svelto verso la vampira.
Gli altri lo videro seguire quella vampira sconosciuta, ma non
dissero niente. Shad borbottò al suo solito e divise gli altri
per la ronda. Con gli incendi ne venivano sempre fuori anche di tutti i
colori, meglio stare attenti, a Gates avrebbe pensato dopo.
Brian la seguì nel vicolo nel quale si era dileguata e la
afferrò per un braccio, forzando la presa per guardarla negli
occhi.
“Che diamine ci fai qui?” chiese irritato. Non gli
piaceva che corresse rischi inutili. Lei sbuffò scocciata e lo
guardò.
“Scusami tanto se la seconda uscita e bloccata!”
Aggrottò le sopracciglia, non capendo e lei buttò uno
sguardo infondo al vicolo, dove la neve accumulata aveva creato un muro
bianco che rendeva impossibile vedere la fine.
“Uhm… resta il fatto che è pericoloso”
“Devi vedere quant’è pericoloso avere dodici
fra vampiri e mezzosangue senza più uno straccio di bottiglia di
quella roba sintetica, bloccati nel bunker di un palazzo!” disse
lei frustrata, scrollando il braccio. Brian rimase di gesso e fece
cadere la mano.
“Sono bloccati?”
“Complimenti, Mister Muscolo, sei perspicace” Si
allontanò e cominciò a spalare, spostando ogni volta
grossi blocchi di neve che però erano briciole al confronto del
muro.
“Lay” La chiamò Brian, ma non ottenne nessun risultato.
“Lay, spostati..” L’avvisò di nuovo.
“Smettila di fare lo stronzo!” urlò lei, imperterrita, continuando a spalare.
Brian le mise una mano sul petto e la scansò facendola quasi fece scontrare col muro, in modo per niente delicato.
Lay si trovò bloccata contro il muro dal braccio di lui,
gli occhiali che portava quasi a mo di fascia, improvvisamente calati
sugli occhi.
Anche lui aveva gli occhiali al loro posto. Puntò il grosso
fucile verso il muro e tenette premuto il grilletto, lasciando che si
creasse una sorta di sfera luminosa con sfumature viola e blu fra i tre
pezzi di metallo presenti sulla punta, fino ad ottenere la dimensione
desiderata.
Con uno scatto del pollice, lasciò il primo grilletto e
premette il secondo facendo partire il “colpo” (se
così si poteva chiamare) e facendo sparire la neve.
In un lampo, al posto del muro bianco, solo un po’ d’acqua e qualche macchia di bruciato sul muro.
Lasciò la spalla della vampira, si tolse gli occhiali e
fece un sorriso soddisfatto, osservando il suo operato, poi si
voltò a guardare Lay.
Aveva rimesso gli occhiali sulla testa e adesso osservava
l’ingresso nascosto finalmente libero, mentre si mordicchiava il
labbro. La rabbia e il nervosismo di prima che avevano seriamente
spiazzato Brian, sembravano evaporati insieme alla neve.
Spostò gli occhi su quelli di Brian e lui come al solito si
perse in quelle iridi chiarissime con quelle leggere sfumature che
ricordavano il ghiaccio, come quegli iceberg che si vedono nei
documentari, ma con quelle rarissime pagliuzze nere sparse nelle iridi.
“Grazie Brian” Lei era l’unica a chiamarlo
così, oltre a Jim in quei rari momenti in cui mettevano da parte
il lato da supereroi tenebrosi e tornavano i vecchi amici i sempre.
Gli faceva sempre uno strano effetto sentire il suo vecchio nome, quello vero.
E poi, quella era Layla, mica una qualsiasi, vampira, umana o mezzosangue che sia.
“Figurati, L” disse quasi imbarazzato. Lei si
staccò dal muro e gli passò davanti, per entrare, ma lui
l’afferrò delicatamente per il polso.
“Ly, io….” cominciò, ma Lay lo interruppe.
“No, per favore, non lo dire. So cosa stai per dire, a te ne prego, non farlo”
“Ma…” ritentò, per essere fermato i nuovo.
“Bri, due mondi troppo diversi. Siamo di due fazioni
opposte” con una leggera spinta la fece voltare e si perse ancora
in quegli occhi di ghiaccio, lucidi e tristi, in cui brillavano le
fiamme che splendevano fuori dal vicolo.
“Non è vero! Tu non uccidi gli umani, sei buona”
Stava provando a convincerla, o a convincersi, ancora una volta.
Lui non voleva che si allontanassero, che lei sparisse dalla sua vita
come avrebbe voluto fare. Erano quasi di due fazioni opposte, certo, ma
Brian con lei tornava ad essere Brian, per l’appunto! Non era
sempre e solo una macchina da guerra! Grazie a lei aveva sentito di
nuovo di provare delle emozioni che lo avevano riavvicinato alla sua
grande passione, la chitarra. Aveva addirittura scritto delle canzoni!
Cosa che non succedeva da quasi vent’anni e gli era sembrato
incredibile… Tutto grazie a lei.
Non poteva sopportare la sola idea di viverle lontano.
Lay gli carezzò la guancia, avvicinandosi di poco a lui, a
quel corpo tanto bramato, a quel sorriso dolce e quegli occhi che
quando guardavano lei sembravano tornare giovani e bambini,
perché se c’era un cosa che aveva imparato era che il
corpo poteva anche invecchiare lentamente, ma sullo sguardo gravava
inesorabilmente il passare degli anni e le orribili cose che accadevano
sotto i loro occhi.
E adesso quel paio di occhi scuri e con i riflessi delle fiamme
che bruciavano fuori da quella piccola parentesi sicura, la guardavano
speranzosi di un'altra possibilità, di una nuova
possibilità di vita o magari semplicemente di un'altra notte
insieme, passata ad essere felici, ad avere dei sentimenti e a sentire
il cuore che pompava non solo per inerzia.
“Certo che non uccido uomini Bri, ma la mia famiglia lo fa e
se sapessero che proteggo gli altri che si sono ribellati…. non
so cosa potrebbero farmi” Brian leggeva la paura in quegli occhi
così innaturali, ma che rispecchiavano le emozioni di un
qualsiasi essere umano, o perlomeno essere vivente.
“Vieni via, con me, andremo lontano, niente più
uccisioni o famiglia vendicative, solo io e te” Sarebbe stato
bello poter credere a quelle parole, dire di si, stingere la mano di
quel bruno tenebroso e andare via, lontano da quella città in
piena rivolta.
Sarebbe stato bello, se solo fosse stato possibile.
“E dove? Sono un vampiro Bri, e sono già debole di
mio, la luce mi fa più male che agli altri, questo lo sai. E poi
tu hai una famiglia, dei figli! E io non posso lasciare i, per
così dire, ribelli….. Si farebbero uccidere o scoprire in
poco tempo che sarebbe anche peggio”
“Lay ma io ti amo…”
La ragazza chiuse gli occhi, sperando di non piangere, ma non fu
così. Le lacrime scesero silenziosamente, senza però
portare singhiozzi o altro. Le avevano insegnato ad essere troppo forte
per farsi passare per la mente l’idea di scoppiare in lacrime,
singhiozzando.
“Ti avevo chiesto di non dirlo”
“Dovevo farlo. Almeno per una volta nella vita, volevo dire
quelle due parole con un minimo di significato, e non dette per
inerzia, perché il tempo passa e ad un certo punto bisogna
dirle. Volevo che fossero vere, almeno una volta”
Si stava sputtanando. Si, perché non si trattava semplicemente di dire la verità, si stava proprio sputtanando.
Mai in tutta la sua vita era arrivato ad implorare, con le lacrime
agli occhi, mai qualcosa l’aveva distolto per più di un
secondo dai suoi doveri e dalla sua missione.
Eppure eccolo lì, a sperare che quella stupenda creatura
decidesse di fuggire via da tutto quello. Dalla sua famiglia, i suoi
figli, anche i suoi amici.
Tutto lontano, via.
Avrebbe dimenticato Synyster Gates, proprio come aveva fatto in
quegli anni con Brian Haner. Avrebbe richiuso da qualche parte nella
sua mente la macchina da guerra, quella che si era ritrovata una
famiglia senza volerla, senza farne parte e senza capire come
funzionasse.
Voleva essere vero, umano, senza dover trattenere ogni gesto, ogni
parola e ogni atto spontaneo che veniva dal petto e che veniva
puntualmente represso.
Voleva una casa che gli permettesse di vedere ogni mattina il
sole, quello vero, uscire la sera e ubriacarsi come non faceva da
quando aveva sedici anni e lui e Jim erano scappati dalla città
sotterranea.
Voleva suonare per vivere e vivere per suonare, sentendosi libero e vivo.
E voleva poter guardare quegli stupendi occhi di iceberg,
sorriderle e dirle che l’amava, in qualsiasi momento, quando
voleva.
Avrebbe imparato cosa significava davvero amare, a sopportare i
reciproci difetti e un giorno molto lontano sarebbe morto felice oppure
si sarebbe fatto trasformare, sperando che la trasformazione
funzionasse con il suo sangue negativo, così avrebbero passato
l’eternità insieme e non solo mezzo millennio.
Perché tutto questo non poteva essere possibile?
Lay gli sorrise dolcemente, le lacrime che continuavano a sgorgare dai suoi occhi colavano fino al collo.
“Brian non puoi dire così”
“Perché?” chiese lui triste e lei gli sorrise,
da dietro le lacrime che inondavano quel viso perfetto silenziosamente.
“Perché ti credo”
Brian si prese un momento per capire cosa volesse dire, ma non arrivò a nessuna conclusione.
“Perché non dovresti credermi?” chiese innocentemente il soldato.
“Non posso, perché finirei per essere egoista e
pensare solo a me e non posso” Brian abbassò il viso,
guardando la spalla di lei.
“Perché devi essere sempre così…. così…. così!” Lay sorrise, nervosa.
“Ho fatto troppi errori nella mia lunga vita, ho rovinato e
distrutto la vita di molte persone e non voglio che accada mai
più”
Con calma tornarono a dove avevano parcheggiato, col solito passo
tranquillo e disinvolto, un po’ annoiato. Brian si sentiva il
cuore a pezzi e la mente annebbiata. Si sentiva come se avesse bevuto
troppo, ma senza quell’allegria da alcol. Un po’ come
quando si era sentito male, qualche mese prima.
Era passato solo qualche mese? Era bastato così poco per mandare tutto a puttane? Diamine….
Si mise la mano in tasca e sfiorò, con le dita ancora
fasciate dai guanti, la medaglietta di Val che Lay gli aveva dato. Dopo
un’ultima stretta tirò fuori la mano dalla tasca, ma la
catena s’incastro nel guanto e la medaglietta cadde
sull’asfalto facendo un tintinnio metallico.
Brian stava per voltarsi a prenderla, ma Matt poco dietro di lui, fu più rapido.
Il caposquadra rimase allibito riconoscendo l’oggetto e il
cuore di Brian perse diversi battiti, prima di accelerare
freneticamente.
“Dove hai preso questa?” chiese osservando la medaglietta caduta, la voce che era un singulto.
“Io….” sospirò l’altro, ma la domanda tornò più insistente di prima.
“Dove l’hai presa?!” ringhiò Matt con le
lacrime agli occhi, afferrando il suo segugio per il collo e
scrutandolo a lungo negli occhi.
C’era un motivo se Shad era il caposquadra e non
perchè era l’unico davvero con la testa sulle spalle. Matt
aveva delle particolari capacità che in casi di necessità
(e a distanza abbastanza ravvicinata, facilitate anche con contatto
visivo) gli permettevano di vedere sprazzi di immagini o pensieri delle
persone con cui entrava bene in sintonia.
Gates era sempre riuscito a tenerlo fuori dalla sua testa, gli
aveva insegnato Val come fare quando non voleva che il capo si facesse
gli affari suoi, ma colto alla sprovvista non fece in tempo e Matt
poté vedere il viso di Layla nei suoi pensieri, la riconobbe e
capì tutto.
“Quella vampira …lei.... Diamine!” si voltò di scatto e cominciò a correre.
Brian rimase per un secondo impietrito prima di correre dietro al
suo capo, ma Matt era sempre stato più veloce di lui e
raggiungerlo gli fu impossibile, anche se ce la mise tutta.
Layla era appena uscita di nuovo, alcuni ragazzi non avendo niente
da fare mentre erano chiusi là sotto, si erano messi a pulire e
strane esalazioni tossiche per gli umani si erano diffuse
nell’aria, irritandole la gola, quindi aveva preferito uscire a
prendere una boccata d’aria.
L’ultima cosa che vide fu la luna che illuminava la notte scura, prima dell’urlo straziante di Brian.
“Lay! No!”
Voltò appena il viso, incrociando gli occhi scuri di Brian
e poi un dolore lancinante la colse alla spalla, poi un altro alla base
della schiena che quasi le fece saltare in aria le anche.
Brian sorpassò Shad che ancora imbracciava il fucile,
spintonandolo e raggiunse Layla, accasciata a terra e scossa da spasmi
violenti.
L’afferrò fra le braccia e la guardò, mentre
si sforzava di non ansimare e sorrideva leggermente, mentre dalle
labbra fuoriusciva un rivolo rosso sempre più grosso.
Brian non riusciva a parlare, aveva gli occhi appannati dalle
lacrime e la guardava negli occhi, mentre le carezzava i capelli scuri
e lei gli sorrideva, tranquilla, gli spasmi sempre più leggeri.
“Dì a Matt che vi saluto Val se la vedo e digli anche
che se dovesse capitare non si senta in colpa per avermi ucciso, mi ha
dato la pace, finalmente”
La mano di Lay si posò sulla sua guancia e Brian
voltò il viso per baciarne il palmo, mentre cominciava a essere
scosso dai singhiozzi. Lay voltò appena il viso e sputò
il sangue che le affollava la bocca.
Era invasa dal dolore, ma via via stava scemando. Era bello che le
ultime cose che vedeva fossero i suoi bellissimi occhi scuri. Non
avrebbe potuto desiderare morte migliore, davvero.
“No, Bri, non piangere, ti amo, sei l’unico che io
abbia mai amato in tutta la mia vita. Ci si rivede all’inferno,
uhm? E se ti rivedo prima dei quattro secoli ti inseguirò
riempiendoti di calci. Ama Michelle e ama i tuoi figli, io posso
aspettare”
“Io non credo di poterci riuscire” singhiozzò
lui. Le carezzò ancora il viso e lei accennò maggiormente
il sorriso che le colorava le labbra insieme al sangue.
“Non dire così… Dai, un ultimo bacio me lo
concedi?” la sua voce era così flebile, un sospiro
spezzato. Lui annuì e con le lacrime agli occhi le baciò
le labbra imbrattate di sangue e fredde come non erano mai state.
Quando dischiuse gli occhi trovò le sue palpebre
placidamente chiuse e il sorriso tranquillo, anche se nel viso pallido
l’unica nota di colore era il rosso del suo sangue.
Strinse forte a sé quel corpo privo di ogni forza, mentre
continuava ad emettere singhiozzi disperati e le lacrime gli rigavano
la faccia scendendo sul collo di Layla.
Pianse come non succedeva da decenni e come forse non gli era mai successo.
Sentiva il petto andare in pezzi e sanguinare insieme a lei, lì, sulla neve.
Sentì Matt avvicinarsi e lo scansò malamente.
“Non mi toccare!” urlò disperato, la voce rotta
e incrinata mentre continuava a stringere convulsamente quel corpo
gelido e a dondolare come se la stesse cullando.
“Brian, ha ucciso Val!” urlò Matt, cercando una giustificazione.
“E tu hai ucciso me!” urlò Brian e Matt non capì cosa intendesse.
Posò delicatamente il corpo di Layla per terra, unì
ancora le loro labbra e sussurrò un “Arrivo subito,
amore”.
Afferrò la sua pistola dalla fondina, caricando il colpo e
puntandosela sotto la mascella, ma Matt afferrò l’amico
per le spalle e lo incollò all’asfalto, provando a
togliergli la pistola e facendo partire il colpo verso il cielo.
“Togliti! Se non mi lasci ti ammazzo!” Brian
continuava ad urlare disperato, fino a che la pistola non
scivolò lontano e Brian si ritrovò aggrappato
all’amico, mentre continuava a piangere senza più un
briciolo di voglia di vivere.
Scivolarono entrambi fino a ritrovarsi per terra e Brian
allontanò l’amico bruscamente per stringersi di nuovo al
corpo di Layla, strofinando il viso bagnato di lacrime contro quello di
lei imbrattato di sangue.
Da quel giorno in avanti, Synyster Gates non sarebbe più esistito, ma anche Brian Haner avrebbe avuto vita breve.
Alla centrale accolsero Matt come un eroe, aveva ucciso una
Lightblue, uno dei loro acerrimi nemici, non potevano che esserne
felici e riconoscenti, premiandolo con diverse medaglie che avrebbero
dovuto portare prestigio e che a Brian sembravano dei pezzi di metallo
insulsi e inutili.
Dovevano dare una medaglia anche a lui, ma non andò alla
premiazione, preferì passare una giornata con la piccola Evie,
quella dolcissima mezzosangue che, proprio come lui, era stata
abbandonata e scrutava curiosa il mondo con i suoi grandi occhioni
azzurri.
Dopo quel fatidico giorno, Brian si premurò di fare alcune cose.
Trovò tutti i ribelli e si occupò personalmente di
trovare un posto per loro nella città sotterranea o in altre
centrali dell’IVAUS, a loro scelta.
Trovò una casa a tutti i bambini mezzosangue e alcuni
decisero di voler provare con l’addestramento come alcuni vampiri
tipo Tj che lo aiutò molto in queste cose ed entrarono fra le
loro linee.
Afferrò Matt e Michelle, si misero tutti e tre da soli in
una stanza e spiegò con calma tutto quello che aveva provato per
Val, senza il minimo pudore o vergogna. Spiegò a Michelle che
l’aveva sposata solo perchè era la sorella di Val e a Matt
che non aveva mai provato a mettersi fra loro due, ma anche che non
aveva mai smesso di amarla fino all’arrivo di Layla.
Al ragazzo disse anche che aveva ucciso la sua unica ragione di
vita e che di sicuro avrebbe dovuto trovarsi un nuovo segugio,
perchè lui aveva chiuso con la guerriglia urbana e con la IVAUS.
Michelle gli tirò un ceffone e uscì dalla stanza,
per scoppiare in lacrime solo una volta allontanatasi. Aveva intenzione
di chiedere il divorzio e allontanarsi da Brian con i figli, ma sapeva
bene anche lei che non l’avrebbe mai fatto.
Matt non disse niente e con lo sguardo triste, uscì dalla stanza.
Brian sospirò e si guardò attorno. Erano due settimane che non dormiva quasi per niente e mangiava poco.
Il suo unico interessa era salvare i ribelli, proprio come voleva Lay.
In quel pomeriggio invernale freddo e imbiancato di neve, Brian
Haner afferrò il suo Revolver nascondendolo nella fondina della
giacca e uscì dal mondo sotterraneo.
Camminò con calma fino a quella stessa strada. Regalava
sorrisi ai passanti e lasciò tutti i soldi che aveva nel
portafoglio a un barbone.
Tirò un paio di palle di neve con alcuni bambini e qualche
occhiolino a un paio di ragazze bruttine che trovò in giro. Con
tranquillità e col petto leggero arrivò fino alla piazza
dove, sotto la neve, una grossa macchia scura sull’asfalto e una
sagoma di gesso erano tutto quello che restava dell’anima di
Brian.
Spostò tutta la neve, si sedette di fianco alla sagoma e
afferrò il Revolver, lasciò una carezza alla macchia e un
leggero sorriso sia accennò sulle sue labbra.
Stava nevicando, aveva ricominciato da qualche secondo. Il cielo
bianco non gli ricordava per niente i suoi occhi, ma quel freddo gli
ricordava quello che preferiva lei e il suo tocco, il suo corpo gelido
quell’ultima notte.
Aveva ragione, la neve è davvero bella.
Un colpo solo, vicino al collo, sotto la mascella, diritto al
cervello e tutta la neve attorno a lui si colorò di scarlatto.
Basta fingere inutilmente, avrebbero finalmente avuto la pace.
Il corpo di Brian fu segnalato da alcuni umani e in breve si diffuse la verità sulla storia fra lui e Layla.
Matt e Michelle, dopo qualche anno cominciarono a vivere insieme
creando una grande famiglia di vedovi di guerra allargata, ma tennero
per loro il fatto di intendersela da un po’ di tempo a quella
parte, ben prima che Brian morisse.
Micheal Haner abbandonò l’addestramento e si mise a
studiare per diventare assistente sociale ed evitare che altri
mezzosangue crescessero da soli come suo padre.
Bree divenne psicologa, affiancando il fratello nel suo progetto.
Johnny visse la sua vita come al solito al fianco di Lacey, ma il
suo primo figlio maschio si chiamò Brian Layton Seward, in
memoria del suo amico e della donna non amata abbastanza.
Zack e Roxanne continuavano a ridipingere le pareti della casa con
metodi poco ortodossi, circondati da bambini che venivano fuori come
funghi e a essere felici con poco. Il soldato imparò a suonare
la chitarra per rendere reali gli spartiti che avevano trovato a casa
di Brian.
Tom divenne un vampiro e sposò Jim in Spagna, adottarono
Evie e continuarono a vivere nel mondo sotterraneo in un’insolita
famiglia con due papà e una bellissima bambina che per qualche
assurdo motivo somigliava ad entrambi i genitori adottivi.
Maxwell Lightblue una volta venuto a conoscenza della morte della
sorella perse il lume della ragione come suo fratello gemello e dopo
aver ucciso suo padre, si suicidò.
I Lighblue finirono, definitivamente, ma non di certo la Morte Blu.
Layla non riuscì mai a far ascoltare a Brian la sua
composizione al sitar mentre lui non riuscì mai a farle sentire
come suonava la chitarra.
Brian non seppe mai chi era suo padre, pur avendolo conosciuto. Era Tj.
Si, è finita v.v (ringraziando il cielo)
Ringrazio hi ha recensito
E’ da quella scena di Lay che arriva con la pala sulla spalla che è partito tutto.
Da un Brian con una tenuta ridicola che si trovava davanti quest’amazzone armata di badile.
E’ stato un mio sogno di un po’ di tempo fa e da qui dovevo sapere come sarebbero andate le cose.
Non so cosa ne pensiate voi e probabilmente non lo saprò mai, ma
per me, quella fra Brian e Lay nel vicolo è una delle scene
più strappalacrime che io abbia mai scritto.
Rileggendola mi sono venute le lacrime e anche se ci sarebbero
decisamente voluti un altro paio di capitoli, preferisco chiuderla qua.
Adieux
The Cactus Incident
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