A K A I

di kaminari
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***



Capitolo 1
*** I ***


Quando Kibum si trasferì nella capitale, era ancora uno studente delle superiori. Non si prepose l’obiettivo di faticare e sgobbare sui libri per dare una bella impressione ai suoi professori, non era mai stato un tipo studioso e fare i compiti era tra le ultime delle sue priorità in una giornata. Ma comunque dimostrava di non essere uno stolto, studiando il minimo indispensabile, come d'altronde faceva quando si trovava a Daegu.

Quello che Kibum desiderava davvero ottenere nella sua nuova vita a Seoul, era una reputazione di un certo spessore. Negli anni passati, non aveva mai pensato a come ci si potrebbe sentire ad essere popolari, non gli aveva mai sfiorato la mente perché era occupato a fare altro e inoltre i ragazzi popolari della sua scuola non riusciva a digerirli proprio. E’ proprio durante il viaggio di trasloco che si chiese ‘Come sarebbe stare dall’altra parte? Come sarebbe essere popolari?’. Così colse l’occasione del trasferimento per cercare di raggiungere quello scopo, per quanto lui riconoscesse che fosse uno scopo abbastanza inusuale e sicuramente un bel po’ frivolo. Ma sapeva che se fosse diventato un ragazzo conosciuto e stimato da tutti nella sua scuola, ne sarebbe stato infinitamente felice e la sua felicità veniva prima di qualsiasi altra cosa, si diceva.

Dopo pochi giorni di scuola, Kibum non poté ignorare il fatto che effettivamente la gente avesse preso a parlare di lui e ad additarlo per il corridoio, bisbigliando qualcosa con il sorriso sulle labbra. A lui non parve che lo criticassero negativamente, del resto l’unica cosa che faceva era essere socievole e disponibile con tutti, anche con quelli che gli andavano meno a genio.

Ma tra le tante persone che non andavano a genio a Kibum, ce n’era una che non riusciva a non detestare. Era un ragazzo della sua classe: Choi Minho. La prima cosa che notò di lui, a parte la statura da giocatore di basket, fu il suo essere estremamente poliedrico. Dopo una settimana di scuola, non era ancora riuscito a trovare una sola cosa che quel ragazzo non sapesse fare: era uno dei primi della classe, se non dell’intero istituto; era disponibile con tutti nel dare ripetizioni o consigli; era un asso negli sport, collezionava svariati trofei e medaglie, anche a livello nazionale. Come se non bastasse, era terribilmente popolare. Aveva un centinaio di amici stretti e tutti lo trattavano come un campione – perché in effetti lo era – e orde di ragazze, anche più grandi,  gli andavano dietro con la speranza di ottenere un appuntamento. Ciliegina sulla torta, aveva senso dell’umorismo, era generoso e persino modesto.

«Minho-ah, perché quest’anno non ti candidi a rappresentante d’istituto?»
A Kibum quasi andò di traverso il tè freddo che si accingeva a bere, non potendo ignorare quello di cui discuteva un gruppetto di suoi compagni a qualche metro da lui, disposti a muraglia attorno al banco di Minho.
“Questo è davvero troppo…” pensò.
«Sarebbe davvero troppo.»
Kibum sgranò gli occhi. Aveva le vene ben in vista che gli pulsavano sulle tempie per la collera.
«Ho poco tempo libero, tra i compiti e le attività del club sportivo… E comunque non credo di esserne all’altezza.»
“Della tua falsa modestia non ce ne facciamo niente, Choi.” Avrebbe davvero voluto dirlo chiaro e tondo perché tutti i ragazzi lì ammassati potessero ascoltarlo e condividere il suo pensiero, lodando la sua schiettezza e il suo coraggio. Ma purtroppo la sua posizione attuale glielo impediva, era ancora troppo ‘anonimo’ per poter tener testa ad un titano di popolarità come Choi Minho, e ciò non gli piaceva affatto.

Uscì dall’aula, ne aveva davvero abbastanza di quel teatrino raccapricciante. Decise che avrebbe consumato il suo pranzo nel cortile, ma proprio mentre stava per varcare la soglia, sentì il tocco gentile di una mano sulla sua spalla. Si voltò di scatto e si trovò faccia a faccia con un ragazzo che aveva l’aria di essere una matricola a causa della sua altezza, o meglio, ‘bassezza’, ma dal suo atteggiamento spavaldo non sembrava essere un hoobae. Aveva un sorriso che quasi lo abbagliò.

«Ciao, tu sei quello nuovo della 2-C, vero?» fece il tipo, senza far sparire quel sorriso dal suo volto.
«Sì, Kim Kibum…»
«Ah, piacere Kim Kibum, io sono dell’ultimo anno, mi chiamo Kim Jonghyum.»
“ULTIMO ANNO?” Kibum era basito, ma fece di tutto per non darlo a vedere, sarebbe stato irrispettoso.
«Kibum, non ti sei iscritto ancora a nessun club, vero?» chiese il più grande frugando nella sua tracolla, in cerca di chissà cosa.
«Ah, no. Non ancora.»
«Non ti rimane molto tempo. Senti, se per ora non ti interessa nessun club, prova con questo.»
Il ragazzo porse a Kibum un volantino un po’ sgualcito, sul quale vi era una scritta a caratteri cubitali: ‘Club della Musica’. Più in basso, in piccolo, c’era scritto: ‘Il club per gli appassionati di musica apre quest’anno!’. Fece scorrere lo sguardo ancora più in basso. ‘Presidente del club: Kim Jonghyun (3-C)’.

Alzò lo sguardo e incontro quello di Jonghyun, che lo fissava insistentemente in attesa di una risposta.
«Hyung, sei tu il presidente del club?»
«Già!» rispose soddisfatto, sfoderando di nuovo quel sorriso che si allargava da un orecchio all’altro.
«E cosa suoni?» chiese Kibum incuriosito.
«Chitarra, basso elettrico e pianoforte. Non sono un fenomeno, ma mi piace suonare.» disse il più grande ridacchiando.
«Caspita, sono proprio curioso di sentire come suoni!» esclamò Kibum, decisamente con troppo entusiasmo.
«A dire il vero, la cosa che mi piace fare di più è cantare.»

Lo sguardo di Jonghyun si perse al di là della finestra. Chissà cosa guardava, chissà a cosa pensava, chissà perché si comportava così. Kibum fu sinceramente incuriosito da quello strano ragazzo. Parlarono per qualche altro minuto e non c’era falsità nel suo insistente chiedere, non un filo di esagerazione nelle sue reazioni. Stava genuinamente morendo di curiosità.

«Kibum, non importa se la musica non è esattamente la tua passione, ma ti sarei infinitamente grato se tu ti iscrivessi al mio club! Essendo un club appena formato, sarà dura fare in modo che abbia successo, ma io voglio provare comunque…»
Kibum guardò Jonghyun negli occhi e fu come se in qualche modo ormai non avesse più alcuna via di scampo. Comunque sono sembrava che a lui dispiacesse, nonostante la sua idea iniziale fosse quella di iscriversi al club sportivo per dimostrare a ‘quel pallone gonfiato di Minho’ chi fosse il migliore. A malincuore, dovette ammettere a se stesso di non avere speranze di batterlo, almeno non nel campo dello sport.
«… Va bene, magari faccio un salto.» disse il più piccolo accennando un sorriso.
«DAVVERO?» fece Jonghyun e dopo essersi accorto della sua reazione un tantino esagerata, rise da solo, come un idiota. «Grazie, grazie, grazie!»

E dopodiché, corse via diretto chissà dove.

×××××

Il mattino seguente, Kibum si alzò prima per poter far colazione al bar vicino alla scuola. Tutti nella sua classe non facevano che parlarne bene e sentendosi un po’ tagliato fuori dalle loro conversazioni, decise di andare a fare un salto, per poter dire anche lui la sua.

Entrò nel locale, che aveva un’aria piuttosto accogliente. Fece lo scontrino alla cassa e si guardò intorno in cerca di un tavolino libero, ma sfortunatamente era tutto occupato. Se la prese soprattutto con un tizio che aveva occupato un intero tavolino solo per lui; Kibum odiava quel genere di persone, gli facevano saltare i nervi. Realizzò solo dopo che quel tizio non era uno sconosciuto qualunque, bensì Choi Minho.

Sgranò gli occhi e si girò in fretta, temendo di essere riconosciuto. Si maledisse mille volte per aver deciso poco saggiamente di sacrificare il suo prezioso sonno per andare in un bar ‘infestato’ da Choi Minho. La situazione non fece che degenerare quando quella voce inconfondibile chiamò il suo nome.

«Kibum-sshi!»
Kibum non osò girarsi, fece finta di non aver sentito, o di non chiamarsi così.
«Kibum-sshi, non trovi posto? Puoi sederti qui se vuoi!» fece quello senza demordere.
A quel punto, fu costretto a voltarsi, sfoderando uno dei peggiori sorrisi falsi mai visti prima.

«Minho-sshi… che sorpresa…» rispose il ragazzo, evitando di guardare negli occhi l’altro per paura di lasciarsi scappare qualche insulto. Prese posto accanto a Minho, facendo attenzione a tenere la debita distanza da lui.
«Anche tu sei rimasto incuriosito da quello che dicono i nostri compagni a proposito di questo bar?»
«Già… Una roba del genere…»

Non vi era la benché minima traccia di enfasi nelle parole di Kibum e Minho non poté che notarlo. Non era di certo un allocco.
«C’è qualche problema?» chiese, improvvisamente serio. Quel tono grave di voce fece venire i brividi a Kibum, che non si aspettava un cambio di espressione così repentino.
«Ah! N-no… no…» rispose accarezzandosi i capelli dietro la nuca, cercando di nascondere alla meglio tutto l’imbarazzo che stava provando in quel momento.

Si diede dell’idiota; nonostante l’odio che provava nei suoi confronti, doveva a tutti i costi mantenere in piedi la sua immagine di ‘amicone dell’umanità’ e l’umanità includeva anche Minho, che lui volesse o no.
Per riparare al danno, gli chiese: «Com’è il caffè?»
Minho alzò lo sguardo dalla tazzina ormai vuota e sorrise mostrando due file di denti bianchissimi. Le sue labbra, che facevano da cornice a quello splendido sorriso, avevano un naturale colore rosso tenue e davano l’impressione di essere tremendamente soffici. Kibum ammise che, effettivamente, Minho era un bel ragazzo, ovviamente mai al suo livello. Ovviamente.
«E’ davvero buono!» disse ‘mister universo’.
Kibum involontariamente si lasciò scappare un sorriso, questa volta sincero. Appena se ne accorse, tossì nervosamente, tornando al suo consueto atteggiamento da superbo.

«Ah, Kibum-sshi, c’è una cosa che vorrei chiederti.» esordì Minho, dopo qualche minuto di imbarazzante silenzio.
«Di che si tratta?»
«Ieri, durante l’ora di chimica non ho capito bene l’ultimo argomento che ha spiegato il professore…»
“Cosa? Come come? Minho non ha capito qualcosa?” Kibum rizzò le orecchie.
«… Mi chiedevo se potessi aiutarmi rispiegandomelo…»
Sgranò gli occhi.
“Aspetta. Perché lo sta chiedendo a me? Dopotutto in classe ci sono almeno altre dieci persone che sono più brave di me!”
«Ah, ovviamente se non ti va non importa… È solo che mi sembri un ragazzo parecchio sveglio. E poi ti sai esprimere molto bene, sono sicuro che se tu mi rispiegassi quell’argomento, lo capirei all’istante.»

Kibum era in una situazione estremamente complicata. Se avesse accettato, si sarebbe ritrovato a familiarizzare con il nemico; d’altra parte, se si fosse tirato indietro, sarebbe stato come ammettere apertamente di essere una capra in chimica. E lui non lo era affatto! Era solo molto svogliato…

«Uhm… N-non c’è problema, posso aiutarti.»
Si pentì della sua risposta subito dopo aver aperto bocca e proferito parola.
«Perfetto! Ecco l’indirizzo di casa mia…»
Minho scrisse l’indirizzo su un tovagliolo, dopodiché lo porse a Kibum.
«Ti va bene stasera alle sette?»
Kibum annuì debolmente, prese il tovagliolo e lo guardò per un istante, probabilmente facendo finta di leggerlo. Poi, sospirando, lo piegò e lo infilò nella tasca della giacca senza alcuna cura.
«Bene, ora è meglio che mi avvii in classe, devo ripetere storia.»
Minho si alzò dal tavolino, prese le sue cose e, prima di sparire dietro la porta del bar, fece un cenno a Kibum che ricambiò scuotendo la mano poco energicamente.

“A dopo, bastardo.”




Note dell'autrice
Salve a tutti, sono kaminari! Nonostante le apparenze, questa non è la prima fanfiction che scrivo, ma siccome se dovessi classificare la mia autostima da 1 a 10 finirei ai numeri relativi, ho cancellato tutto un po' di tempo fa. Spero che non succeda così anche con questa, siccome gli SHINee sono gli SHINee.
Non lo faccio perchè sono una maledetta hipster, ma shippo la MinKey, davvero molto sottovalutata u___u'. Spero che non vi offendiate, anzi, spero di riuscire a convertirvi a questo pairing, perchè sì. Caspita, guardateli *-*. Comunque le fan della JongKey non rimarranno di certo a bocca asciutta, ho voluto accontentare un po' tutte (soprattutto me stessa, ehm.).
Siccome è la mia prima fanfiction sugli SHINee, vi sarei grata se lasciaste una piccola recensione e deste il vostro parere e i vostri consigli. Spero che la fic vi piaccia e che la seguiate con passione!
KAMINARI 

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Capitolo 2
*** II ***


Nel primo pomeriggio, Kibum si ricordò delle attività del club. Doveva andarci per forza, era come vincolato. Non avevano fatto una promessa verbalmente, ma gli sembrò che Jonghyun l’avesse presa come tale.
Come un idiota, si era dimenticato di chiedere in che aula si svolgessero le attività. A ciò si sommava il fatto che Kibum non conoscesse ancora bene l’ambiente, e nel giro di qualche minuto si perse.

La palazzina in cui si trovava in quel momento sembrava deserta. Quando si fermò, ci fu il silenzio più assoluto. Una volta che l’eco dei suoi passi si fu completamente disperso, tese l’orecchio e gli sembrò di sentire un pianoforte suonare; forse ce l’aveva fatta.
Corse nella direzione della melodia, sbagliò un paio di volte aula, ma alla fine entrò in quella con il pianoforte. Non si stupì più di tanto nel vedere che colui che lo stava suonando era Jonghyun, ma la cosa che lo lasciò più perplesso era che non c’era nessun’altra anima viva nell’aula. Solo lui, Jonghyun e il pianoforte. E un paio di sedie capovolte su dei banchi rovinati.

«Ehi, Kibum!» disse sorridendo, anche se i suoi occhi non erano affatto tesi. Quel sorriso aveva un che di malinconico.
«Hyung… Dove sono gli altri?» domandò Kibum, leggermente preoccupato.
Jonghyun sospirò, tenne un accordo per molto tempo con il pedale del forte, poi lasciò la presa e si voltò verso Kibum, senza alzarsi dallo sgabello. Aveva la schiena incurvata e ciò gli conferiva un’aria da poveraccio.
«Non ci sono. Non esistono. Siamo gli unici membri del club della musica… a quanto pare.»
Sospirò un’altra volta.
Kibum rimase in silenzio. Non sapeva cosa dire. Jonghyun era palesemente demoralizzato e lui non aveva idea di cosa si facesse in situazioni simili, quando un semi-sconosciuto è giù di corda. Confortarlo come si fa con gli amici intimi sarebbe stato troppo confidenziale. Ignorarlo completamente sarebbe stato da insensibili. Alla fine si lasciò guidare dall’istinto. Tossì un paio di volte, poi prese una sedia e si mise accanto al più grande.
«Beh, tanto meglio per me, no?» disse alla fine, sfoderano un sorriso furbastro.
Jonghyun ridacchiò come suo solito e Kibum fu sollevato nel vedere che era riuscito a tirarlo un po’ su.
«Bene, allora da dove vogliamo cominciare?»
«Suona qualcosa.» fece Kibum senza esitazioni, né ‘per favore’.
Jonghyun rimase per qualche secondo sconcertato dalla sfrontatezza del più giovane, ma anziché rimproverarlo, si mise nuovamente a ridere alla sua maniera.
«S-scusa, hyung! Non volevo risultare scortese…»

Jonghyun non rispose, almeno non a parole. Iniziò  a suonare una melodia leggera e dolce, che aveva un tono prepotente di nostalgia. Alle orecchie di Kibum, suonava come qualcosa di meraviglioso. Non riusciva a smettere di fissare le mani di Jonghyun che si muovevano veloci sui tasti bianchi e neri. A momenti sembrava come se li stesse accarezzando, altre volte, aggredendo. Sussultò appena, quando con uno scatto velocissimo, Jonghyun era passato alle ottave più basse, vicino a dove era seduto lui.
La melodia cominciò a farsi più intensa, il ritmo sempre più incalzante, sempre di più… Il ragazzo riprese a suonare il riff iniziale, con molto più vigore, quasi volesse ferire a morte il pianoforte, innocente complice. L’ultima parte della melodia era un miscuglio di mistero e inquietudine, puntinato qua e là di passione. Le dita erano quasi invisibili agli occhi di Kibum, per quanto erano veloci.

Quando Jonghyun smise di suonare, alzò lo sguardo che era ancora assorto nella melodia, ma sgranò gli occhi, quando incontrò quelli di Kibum.
«Ehi! Va tutto bene?» chiese preoccupato, avvicinandosi a lui.
Kibum non capiva del perché di quella reazione improvvisa, così si limitò a rispondere tranquillamente.
«Uh? Sì, sto bene…»
Jonghyun nel frattempo aveva pescato un fazzoletto di carta dalla tasca dei pantaloni della divisa. Non lo porse a Kibum, ma si avvicinò al suo viso e cominciò a sfregarlo.
«Che… stai facendo?» chiese Kibum, che stava per implodere dall’imbarazzo. Non poteva saperlo con certezza, ma aveva il presentimento che il suo viso fosse diventato rosso.
«Ti asciugo le lacrime, no? Sta’ fermo.» rispose l’altro, con un tono sempre più preoccupato.
“Lacrime?” si disse Kibum. Si portò una mano sul viso e poté constatare che Jonghyun non stava farneticando: il suo viso era rigato da lacrime, calde lacrime. In uno scatto, prese il fazzoletto dalle mani del ragazzo e indietreggiò asciugandosi gli occhi.

«Che figuraccia…» si disse ad alta voce. Rise per sdrammatizzare e Jonghyun seguì il suo esempio.
«Va tutto bene, hyung. Credo di essermi… commosso… un po’…» continuò, evitando lo sguardo dell’altro per la vergogna.
«Ahh, che carino!» esclamò il più grande, pizzicandogli una guancia. Kibum sprofondò nell’imbarazzo.
«Vuol dire che ti è piaciuta la canzone, vero? Ne sono felice.» Sorrise a trentadue denti.

I due passarono un bel po’ di ore a suonare, cantare e a scambiarsi opinioni varie. Kibum si sentiva a suo agio con Jonghyun, nonostante l’imbarazzo iniziale. Era felice di aver trovato una persona con cui parlare serenamente di qualsiasi cosa e gli faceva piacere che anche per l’altro ragazzo fosse così. Fuori dalla finestra era già quasi buio e fu lì che Kibum si ricordò. Estrasse il tovagliolo sgualcito dalla giacca della divisa. Non lo aprì. Non avrebbe voluto andarsene, ma non presentarsi a casa di Minho sarebbe stata la sconfitta delle sconfitte. Prese coraggio, e si rivolse al suo hyung.

«Mi dispiace, ora dovrei andare, ho una faccenda che devo sbrigare…»
«Non ti preoccupare, Kibum, va’ pure. Avremmo dovuto staccare già un bel po’ fa.»
Jonghyun rise, poi continuò: «Ci vediamo qui anche domani pomeriggio, se ti va.»
Kibum annuì sorridendo, poi salutò il più grande e si chiuse la porta dell’aula alle spalle, lasciando Jonghyun da solo.
“E così siamo rimasti soli…” pensò Jonghyun, probabilmente riferendosi al pianoforte. Cominciò a suonare una melodia molto più delicata della prima, ma non del tutto allegra. Sapeva di tenerezza e malinconia. Non finì nemmeno di suonarla che poggiò gli avambracci sui tasti, provocando un gran frastuono. Posò la testa sulle sue braccia e chiuse gli occhi; aveva un sorriso quasi impercettibile sulle labbra. Impercettibile ma per niente trascurabile.

×××××


Quando Kibum arrivò a destinazione, aveva controllato l’orario, erano le otto e ventisei. Il suo ritardo alimentò l’ansia che provava già prima, al pensiero di dover dare delle ripetizioni a quella spina nel fianco di Minho. Davanti a lui vi era un piccolo cancello di ferro. Era aperto, così decise di entrare senza suonare il citofono. Chiamò un paio di volte il nome del proprietario, ma niente, non rispose nessuno. Arrivato alla porta di casa dopo aver percorso un vialetto di ghiaia, suonò al campanello una, due, tre volte, ma ancora niente. Indietreggiò senza sapere che cosa fare, poi si guardò intorno circospetto. Spiò sul retro della casa dove c’erano delle luci accese.

Fece qualche passo e giunse su una veranda dall’atmosfera calda, decorata con piante e fiori. Al centro, addossate alla parete della casa, c’erano alcune sedie, un tavolino basso e un dondolo da giardino. Su quest’ultimo vi era Minho, che probabilmente era in piena fase REM. Aveva il libro di chimica aperto poggiato sullo stomaco e sembrava che ne avesse ancora per molto, in quanto a sonno. Kibum si lasciò scappare una risata. Si avvicinò a Minho e cominciò a chiamarlo.

«Minho-sshi~… Ooohi.» Niente di niente. Non si mosse nemmeno.
«Minho-sshi? Minho… Minho! YAH! Svegliati!» Nonostante avesse alzato il tono della voce, l’altro non accennava ad aprire gli occhi. Kibum prese una delle corde del dondolo e cominciò a scuoterla, sperando che questa volta Minho si svegliasse. Realizzando che era ancora addormentato, prese a chiamarlo e scosse la corda ancora più energicamente, facendo dondolare pericolosamente il ragazzo che finalmente si svegliò con tutta la calma possibile, non molto cosciente su quanto stava accadendo.
«Ciao, Kibum. Scusa, mi sono addormentato aspettandoti.» disse.

Il ragazzo rimase interdetto per qualche istante. Nonostante il suo colossale ritardo, Minho si era scusato con lui e non l’aveva rimproverato affatto. Poi però si ricordò che aveva di fronte l’infallibile e perfetto super-uomo Choi Minho, che non avrebbe mai osato scomporsi a discapito della sua immagine, perciò non c’era nulla per cui valesse la pena essere sorpresi.

«N-non fa niente… Cominciamo a studiare?» propose Kibum.
«Va bene.»

I due studiarono per più di due ore, fermi, immobili, quasi abbarbicati a quell’odioso capitolo di chimica che a Minho proprio non voleva entrare in testa. Kibum mantenne il suo atteggiamento distaccato per tutto il tempo, anzi, più passava del tempo con quel ragazzo, più era convinto di odiarlo. Sottovalutò un’altra volta le capacità intuitive del compagno di classe, che era ormai consapevole del rancore che provava Kibum nei suoi confronti. Aveva tollerato quell’atteggiamento per parecchio tempo, ma sentiva che non ce l’avrebbe fatta ancora. Così glielo chiese. Gli chiese quella cosa che avrebbe voluto chiedergli praticamente dal primo giorno di scuola.

«…Kibum-sshi, tu mi odi, vero?»

La matita scivolò dalla mano di Kibum, cadendo a terra con un tintinnio che, in quel momento di assoluto silenzio, pareva assordante. Rimase per un paio di secondi con gli occhi leggermente sgranati, fissi sul libro di chimica, poi, a scoppio ritardato, scosse un po’ la testa, come per svegliarsi dalla catalessi, e raccolse la matita. Si schiarì la voce nervosamente.

«Ehm… Perché me lo chiedi?»
Minho si voltò verso Kibum e lo fissò insistentemente per farlo sentire a disagio e per costringerlo a ricambiare lo sguardo. Quando Kibum si voltò, notò che l’espressione di Minho non era classificabile. Non riuscì a definirla perché non rientrava sicuramente nelle espressioni di rabbia e nemmeno in quelle di tristezza, tantomeno in quelle di felicità. Non era neanche neutrale. Forse era un miscuglio di tutte quante, ma sicuramente non era una brutta espressione, anzi.
Ecco, lo aveva fatto di nuovo. Prima nel bar vicino alla scuola, ora qui, nel giardino dei Choi. Aveva ammesso che Minho era bello, per ben due volte, e la cosa non gli piaceva affatto. Anche perché non era esattamente il momento più appropriato per arrossire come una ragazzina.

Si voltò di scatto dall’altra parte con il pretesto di scrivere chissà cosa sul quaderno degli appunti.
FANCULOFANCULOFANCULO…

«Nel senso… Cosa ti fa pensare che io ti odi?» Proseguì Kibum dopo un lungo, lunghissimo silenzio, cercando di risultare sicuro di sé.

«Con me ti comporti diversamente che con gli altri.»
«Sarà stata una tua impressione…» ribatté l’altro, con un tono di sufficienza che darebbe ai nervi a chiunque.
Minho lo guardò con un’aria quasi schifata, perché era chiaro, anzi, cristallino, che Kibum stava mentendo spudoratamente. Chi non avrebbe notato il suo odio verso quel ragazzo? Anche il più stolto se ne sarebbe reso conto e Minho non era uno stolto, quindi a maggior ragione, aveva capito tutto perfettamente.

Kibum si sentì colpevole con gli occhi di Minho puntati addosso. Sembrava che stesse ispezionando il suo cuore ai raggi X. Non poté che distogliere lo sguardo un’altra volta, questa volta ammettendo una piccola sconfitta morale.

«E va bene, siccome mi odi, non vedo perché debba costringerti a darmi ripetizioni. Puoi anche andare, buonanotte.»

Minho fece per alzarsi, ma chissà per quale ragione, Kibum afferrò prontamente un lembo della maglia del ragazzo, bloccandolo.
«Aspetta!» esclamò con un tono eccessivamente alto che fece sussultare Minho. Questo si voltò con un’espressione confusa dipinta sul volto. Kibum arrossì violentemente, non sapeva quello che faceva; oppure lo sapeva molto bene, ma non era d’accordo. La sua mente era un gigantesco groviglio di pensieri.
Mollò la presa all’istante.

«V-vabbè, a domani.» e sgattaiolò via raccogliendo in fretta e furia le sue cose.




Note dell'autrice
Innanzi tutto, scusatemi per il ritardo ;__;. Contavo di pubblicare questo capitolo prima che partissi, ma ad un certo punto mi sono accorta che una metà abbondante mi faceva un po' schifo, quindi quando sono tornata, l'ho riscritta. Anche ora non mi convince per niente, ma spero di fare meglio nel prossimo capitolo >_<'. Comunque iniziamo subito con le info bonus (?): la prima canzone che suona Jonghyun è questa. E' una canzone che adoro dal profondo del mio cuore e se qualcuno la suona mentre sono nel raggio di 20 metri, puntualmente mi commuovo ç__ç (come Kibum, lol). Ovviamente l'ho ascoltata mentre scrivevo quella parte, perciò spero di aver reso l'idea... Invece, la canzone che suona mentre è da solo è questa. Ehm, no comment xD. Chi vivrà vedrà (????).
Ora passiamo ai ringraziamenti *_*. Grazie a Rana483 e a BitterBeauty per le recensioni, in qualche modo mi avete spinta ad andare avanti xD. Poooi ringrazio LunaAnderson per aver inserito la storia nelle preferite, MomoVVip per averla inserita nelle ricordate e per finire, Lee Fei Taemin e Lessvoice per averla aggiunta alle seguite. Mi fa molto piacere che questa fanfiction sia apprezzata! Al prossimo capitolo!~
KAMINARI 

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