Lo sguardo del tempo

di Lilyth
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione ***
Capitolo 2: *** 1 ***
Capitolo 3: *** 2 ***
Capitolo 4: *** 3 ***
Capitolo 5: *** 4 ***
Capitolo 6: *** 5 ***
Capitolo 7: *** 6 ***



Capitolo 1
*** Introduzione ***


Era una mattina come le altre, fredda al  punto giusto, nuvolosa quanto basta.
Mi alzai già stanca, come al solito insomma, e mi preparai ad un’altra di quelle meravigliose giornate che di sicuro mi avrebbero sconvolto l’esistenza.
Ciò che trovai in cucina era la solita scena; i gemelli che cercavano di ripulire le croste di latte e cereali dal tavolo e nonna Zimilda che continuava ad intimare loro di sbrigarsi se non volevano fare nuovamente tardi a scuola.
Mi sedetti con nonchalance ed iniziai a mangiare ciò che rimaneva della colazione.
< Buongiorno Gi >
Alzai la testa dalla tazza che avevo davanti ed inquadrai il viso della nonna
< Giorno nonna >
< hai sentito tua madre ieri? >
Ecco, quella era una delle domande più idiote che mi sentivo fare praticamente tutti i santi giorni.
Probabilmente molti di quelli che stanno leggendo queste poche righe non capiranno, peccato per loro che dovranno farlo il prima possibile.
< sì,diciamo che l’ho sentita. >
Ecco,  “sentirla”, come dicevo io, era alquanto relativo perché lei non si faceva sentire, bensì si faceva vedere...tipo, sì, tipo apparizione.
< non è per caso che è venuta in camera tua portandosi dietro qualcosa, no? >
Scossi la testa, cioè, era venuta in camera mia; ma non aveva nulla di ciò che avrebbe potuto interessare la nonna.
< quella donna...usa i suoi poteri come fossero giocattoli...appare di là, sparisce di qua...bah, chi la capisce è bravo. >
Ecco, appunto, mio padre non l’aveva capita.
Per lui, povero essere umano, noncurante dei poteri sprigionati dall’universo, persone come me e mia madre erano incomprensibili; ma non abbastanza da non farsi voler bene.
Sicuramente lo vedevo più spesso di lei, dal momento che abitavamo nella stessa casa, ma leggevo ogni giorno nei suoi occhi che non mi capiva, o almeno, non riusciva a comprendere fino in fondo di che pasta ero fatta.
< Gi, guarda l’orologio. Farai tardi a scuola anche questa mattina se non ti muovi! >
Mi alzai dal tavolo e mi diressi verso il bagno.
Io che arrivavo tardi a scuola non si era mai sentito, al limite comparivo direttamente seduta al mio posto senza che nessuno, nemmeno la mia compagna di banco, se ne accorgesse.
Avrei quasi l’istinto di lasciarvi così, senza una spiegazione, ma sarò buona almeno questa volta.
Per chi non l’avesse ancora capito io sono Gipsie Chini, e sì, sono una strega.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 2
*** 1 ***


Anche quella mattina arrivai puntualissima, diciamo che d’improvviso mi ritrovai alle spalle della mia migliore amica proprio al suono della campanella.
< Gi che ci fai qui? Non ti avevo vista arrivare. >
Capitava sempre
< ma come non mi hai visto arrivare, ma se abbiamo parlato anche di quello del quarto per cui hai perso la testa. >
Divenne tutta rossa e abbassò lo sguardo
< ti pregherei di non urlare, non è che a tutta scuola interessa è! >
Alzai le spalle ridacchiando
< o scusa, pensavo che già dal modo in cui lo guardi almeno la metà degli alunni dell’ala est avessero captato qualcosa. >
Senti un braccio avvolgermi le spalle
< di chi parlate donzelle? Forse del “Grande, Grande, Grande” amore di Lella? >
Lella tirò fuori uno sguardo assassino e punto i suoi occhi in quelli di Francesco Lori, uno dei pochi con cui riuscivo ad andare d’accordo senza volerlo uccidere un’ora sì e l’altra pure.
< Chicco! Piantala! Non è colpa sua se è basso! >
Ci scambiammo due sguardi complici che la mandarono su tutte le furie, girò sui tacchi e corse via furente per le scale.
< Gi pensi che abbiamo esagerato? >
Tipica domanda di routine
< no...perchè dici questo? >
Scoppio a ridere e mi spinse fino alla rampa di scale.
Novembre era uno dei mesi che odiavo, tutti i professori decidevano che era ora di infilare tre o quattro compiti in classe a materia negli stessi giorni con la scusa che da li a poco sarebbe arrivato Dicembre con le relative vacanze di Natale.
Quel giorno, oltre alle solite pallose sei ore di lezione, avevamo compito in classe di Inglese, Latino e Matematica; e pensare che fino a poco tempo fa ero convinta che fosse illegale mettere più di un compito in classe nello stesso giorno.
Buttai lo zaino a terra e mi sedetti di peso vicino ad una Lella alquanto irritata ma che da li a poco avrebbe ricominciato a parlare del “nano del quarto” senza crearsi alcun problema.
Che giornate che vivevo a scuola! Impossibilitata a sfruttare al meglio i miei poteri, costretta a stare attenta e ad andare bene...ok, non che non usassi proprio i poteri è, sia ben chiaro, ma non potevo usarli come volevo io e questo perché?!?
Ecco una cosa che non avevo ancora detto, come dimenticare che sono controllata ventiquattr’ore su ventiquattro dal caro Michele.
Chi è Michele?
Bene, lo spiegherò subito. È di uso tra noi esserini speciali avere qualcuno che ti controlla almeno nei primi anni di utilizzo dei poteri, ebbene, Michele è il mio grande controllore; grande è un po’ una parola grossa dal momento che ha solo 3 anni più di me, però beh, è abbastanza grande da fare il despota.
L’unica cosa che remava a mio favore era che il caro Lele non era più in edificio scolastico da ormai un anno, ciò però non toglieva il fatto che appena sentiva aria di magia compariva come se niente fosse per farmi una paternale che non finiva più. C’era amore e odio tra di noi (e quando dico amore non intendo attrazione fisica o quant’altro, sia ben chiaro) e forse sì, quando tra ben 2 anni sarei riuscita a diventare indipendente mi sarebbe mancato, ovviamente non glielo avrei mai detto però.
< Gi ci sei? Guarda che la prof è entrata in classe da mezz’ora. >
Mi risvegliai dai miei pensieri e guardai il foglio del compito davanti a me.
Ok, mancava mezz’ora ed io non avevo neanche letto le domande, questa volta Lele mi avrebbe perdonata (o almeno sperai che l’avrebbe fatto).
Pochi secondi e sul foglio iniziarono ad apparire le risposte alle domande poste dalla cara prof di inglese, che, come al solito, non si sarebbe mai accorta di niente.
Consegnai per prima, stupendo Lella ma non Chicco.
< tu devi spiegarmi come fai? >
Neanche a ricreazione potevo stare rilassata, dovevo sempre rispondere a domande ambigue
< come faccio a fare cosa? >
< ma come a fare cosa? Sei stata per la prima mezz’ora a guardare per aria e nell’ultima mezz’ora non solo hai finito il compito, ma hai anche consegnato per prima! >
Chicco si avvicinò sornione
< ancora queste domande Lella? Ancora non hai capito che la nostra Gi qui presente è un piccolo genio? >
Dal silenzio improvviso che si creò attorno a noi dedussi che era arrivato, infondo lo stavo aspettando; quanto ci godeva a fare il piacione!
< eccola, la donna più intelligente della terra! Vieni un po’ qui con me così possiamo parlare un po’ di come intendi combattere il buco nell’ozono... >
Venni praticamente rapita sotto gli occhi dell’intero corridoio.
Praticamente mi lanciò nel magazzino del bidello e si richiuse la porta alle spalle
< allora? Com’è andato il compito di inglese Gip? Tutto bene? >
Prima cosa, era l’unico e dico l’unico a chiamarmi Gip, il che mi dava veramente ai nervi (e lui lo sapeva bene)
Seconda cosa, il suo sarcasmo faceva vomitare
< o sì, è andato molto bene! Avevo studiato molto per prepararmi al compito. >
Mi guardò con aria riprovevole
< mi stai prendendo in giro? >
Annuii
< sì, come sei perspicace! >
< quante volte ti ho già detto che non puoi usare i tuoi poteri come se nulla fosse e per futilità del genere? >
< la mia media in inglese sarebbe una futilità? >
Mi prese per le spalle e mi scosse violentemente
< Gip piantala di fare la ragazzina! Mi hai capito benissimo! Non voglio più tornare sull’argomento! >
< va bene, va bene, hai ragione tu anche questa volta. Potrai mai perdonarmi o caro Lele? >
Aprì la porta del ripostiglio ed uscì scuotendo la folta chioma bronzea.
< potresti evitare di venire qui e fare il figo? È un atteggiamento che non sopporto! >
Si girò con un ghigno
< piantala miss “non mi scompongo” rosichi solo perché tu non fai quest’effetto in giro. >
Alzai un sopracciglio
< sinceramente non mi serve, chi è veramente interessato a me lo sarà senza che io vada in giro a sventolare la mia bellezza. >
< sei spudoratamente non modesta! >
Una ragazza gli passo davanti sorridendo, lui la guardò non curante, ma quello sguardo provocò in lei un rossore da far paura; inizio a confabulare con l’amica vicino a lei guardandolo a intermittenza.
< allora, te ne vuoi andare o no? La ramanzina me l’hai fatta, ora puoi abbandonare il campo di battaglia. >
Mi si avvicinò sornione
< ti da solo fastidio non potermi avere tutto per te, dico bene? >
Lo allontanai con una mano
< Lele, vai via. Ci vediamo fuori di qui. >
< certo,soli soletti. >
Mi diede un pizzicotto sul collo e scomparve così com’era arrivato.
 
Anche questa volta mi aveva fatto perdere l’intera ricreazione, e all’ora dopo avevo compito di Latino e l’ora dopo ancora compito di matematica.
Volevo morire!
Incontrai Chicco e Lella in corridoio, mi guardarono entrambi in modo ambiguo, come facevano ogni volta che Lele compariva e mi rapiva per tutti e 20 i minuti della ricreazione.
< allora, che hai fatto tutto questo tempo? >
scossi la testa
< niente chicco, niente. >
Lella indicò il mio collo
< che hai qua? Sembra quasi... >
< sì, un pizzicotto di Michele, se n’è andato qualche minuto fa. >
Mi guardò impaziente
< quand’è che mi dirai la verità su quel Michele? Ti sta troppo intorno per essere solo un grande amico d’infanzia... >
O certo, e come spiegarle che era il mio controllore ufficiale, che io ero una strega  e lui uno stregone?
Il solo pensiero era pura follia.
< senti, lui è ciò che ti ho sempre detto. Ora andiamo che abbiamo compito di latino. >
Chicco alzò un sopracciglio
< ma come non lo sai? >
che dovevo sapere? Un’altra novità a turbare quella giornata del cavolo?
< il prof non c’è e noi stiamo per uscire, saltiamo anche matematica. >
Ok, non era una giornata del cavolo, era la più bella giornata della mia vita!
Li abbracciai entrambi
< o gente! Come sono felice! >
Preparammo lo zaino e uscimmo di tutta fretta.
Quel giorno non avevo proprio nulla da fare, me lo sarei goduto dall’inizio alla fine.
Lella volle aspettare le 14 per vedere uscire il “nano del quarto”, Chicco rimase con lei per farle compagnia ed io iniziai a saltellare per tutto il percorso scuola-casa.
Ero quasi arrivata, mancavano giusto due isolati quando davanti a me comparve (e per comparve intendo proprio di botto) un tizio alto due metri.
Non riuscii a fermarmi, gli caddi praticamente addosso trasciandolo a terra.
Mi rialzai alla svelta pulendomi i jeans
< scusa, guarda un po’ dove compari! C’è gente normale che cammina in giro! >
Il tizio mi guardò stranito
< scusa, che hai detto? >
Lo inquadrai, ma come cristo era vestito?
Oltre ad avere uno stile prettamente settecentesco indossava una maschera e un cappello stile veneziano d’altri tempi.
< senti Casanova, ok, hai poteri magici e ci siamo capiti. Ma qui non puoi comparire per strada come se niente fosse, per fortuna hai incontrato solo me! >
Si alzò da terra, mi prese una mano ed inchinandosi mi fece un baciamano
< felice donzella, son Sir Simon Del Vecchi, per servirla. >
Scoppiai a ridere, Sir Simon che?
< scusa, credo di non capire...io sono Gipsie Chini, ma non sono assolutamente una felice donzella come dici tu. >
Ok, era del tutto fuori, l’unica cosa che potevo fare era chiamare chi di competenza.
Mi concentrai il più possibile
“nonna, nonna Zimilda...ho un problema, vieni qui, ora!”
La sentii sbuffare anche per via pensiero, ma me la ritrovai dietro in meno di un secondo.
< Gi che c’è? Sai che ho da fare! Ma cosa ci fai fuori scuola a quest’ora? >
La fermai con una mano
< ti spiegherò tutto dopo, ora abbiamo un problema. >
Spostai lo sguardo sullo stangone che avevo davanti e la nonna mi seguì.
Rimase stranita
< chi è costui? >
Si ripetè il teatrino
< o cara signora, sono Sir Simon Del Vecchi per servirla. >
Mia nonna, come me, scoppiò in una fragorosa risata che forse irritò il “cavaliere”.
< è comparso davanti a me, ma non ho ben capito né chi è, né cosa ci faccia qui, né tantomeno da dove venga questo qui... >
< da dove vengo? O, bastava chiederlo donzella, il qui presente Sir Simon giunge da Venezia, Venezia 1709...dolce epoca, dolcissima... >
Io e mia nonna ci scambiammo uno sguardo allarmato, poi prese in mano lei la situazione
< Sir Simon, ora lei non parla, non fa domande e viene gentilmente con noi. >
Così dicendo lei sparì, io lo presi per un braccio e lo portai con me, presumibilmente a casa mia.
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 3
*** 2 ***


Dopo due ore di interrogatorio serrato le uniche cose che eravamo riuscite a capire erano che Sir Simon non era affatto matto, che aveva 20 anni da poco compiuti e che veramente veniva dalla Venezia del 1700.
< non capisco però cosa ci faccia qui. È incomprensibile! >
Annuii guardando mia nonna che si scervellava
< oltretutto non si vuole togliere quella stupida maschera! Veramente, non riesco a capire perché si comporti così >
Mia nonna non mi rispondeva, stava pensando...sì, ma pensando a cosa?
Di solito, quando accadevano queste cose (non che accadessero tutti i giorni) e la nonna era così concentrata ci si doveva preoccupare.
< Gi... >
Ecco che arrivava il momento critico
< non so come, ma lui deve ritornare nella sua epoca e finchè non ci riusciamo lui deve rimanere qui, e tu ne sei la responsabile. >
Strabuzzai gli occhi
< io? Ma dico, siamo impazziti? Questo è matto! E poi, come farò a spiegargli tutto ciò che in quest’epoca esiste ma che per lui saranno solo stranezze? No, poi dimmi come farò a fargli smettere di parlare così... >
Mi trafisse con uno sguardo di ghiaccio, nonna Zimilda era famosa per le sue frecciatine
< tu fai come ti ho detto. Inventati qualcosa Gipsie, e non intendo discuterne...non vorrai mica che lo lasci in mano ai gemelli, o meglio a tuo padre che di magia non sa nulla! >
Alzai gli occhi al cielo e annuii inviperita.
< ok, ok! Ci penserò io! Spero solo che quel cretino di Michele mi dia una mano! >
Uscii dalla cucina con passo pesante, il Sir era ancora in piedi davanti alla porta e si guardava intorno con quella ridicola maschera che gli copriva tutto il volto.
Mi schiarii la voce
< ehm...Sir Simon? >
Si voltò
< mi dica donzella... >
Cercai di calmarmi per non rispondergli male
< ora lei viene con me, cercherò di spiegarle cos’è successo, l’importante è che lei stia ben attento, non opponga resistenza e soprattutto non mi chiami donzella. >
Non rispose subito, poi annuì.
 
Si lasciò trascinare in camera mia, la prima cosa che dovevo assolutamente fare era far sparire quell’assurdo abbigliamento e soprattutto quel mascherone da carnevale rionale.
< prima di tutto, lei sa cosa è successo, vero? >
Annuì
< certo! Stavo festeggiando con i miei compari il carnevale Veneziano, ho pensato di farli divertire un po’, sa, loro non possiedono i miei poteri, volevo scomparire per qualche secondo ed ora...eccomi qua. Di preciso, per quanto sono scomparso? >
Aggrottai la fronte
< beh, ad essere sincera lei è scomparso per 306 anni. >
Rimase impassibile, l’unica cosa che gli sentii dire fu un “ah” di sorpresa.
< comunque, avrà capito che fortunatamente ha incontrato qualcuno che di magia se ne intende, non si preoccupi, vedremo di farla tornare nella sua epoca...nel frattempo dovrà adeguarsi all’anno corrente...farà tutto quello che le dico, vero? >
< o certo! Lei mi dice ed io eseguo. >
Sorrisi compiaciuta, stava andando piuttosto bene
< per prima cosa si dovrà liberare dei suoi vestiti e dei suoi...ehm...accessori, non ci si veste ormai così da anni, quasi secoli... >
Rimase in silenzio
< non c’è bisogno che lo faccia subito, guardi lì c’è un bagno. Potrà entrare, farsi una doccia e spogliarsi, quando avrà fatto le farò trovare dei vestiti adatti. >
Non rispondeva più, forse non sapeva esattamente cosa fosse una doccia.
Mi alzai e raggiunsi la porta del mio bagno personale (modestamente mi trattavo bene), gli feci cenno di avvicinarsi.
Aprii l’acqua della doccia
< vede, tirando in su la manopola esce dell’acqua; a destra acqua fredda, a sinistra acqua calda. Lì c’è del sapone e qui dei teli per asciugarsi...pensa di potercela fare? >
Probabilmente si fece prendere d’orgoglio, annuì impetuosamente

Uscii dal bagno e lo lasciai al “fatto suo”.
L’unica cosa che potevo fare nel frattempo era trovare degli abiti della sua misura, peccato che il Sir era alto circa 1, 90 e nessuno che io conoscessi era così alto.
Decisi di intervenire magicamente.
Entrai in camera di mio padre, tirai fuori un paio di jeans scoloriti e una maglietta a maniche corte nera, ricordandomi che era novembre presi una felpa abbastanza nuova, un paio di calzini e tutto ciò che mi poteva servire.
Per le scarpe pensai che potessero andare bene un paio di anfibi taglia 46 che mio padre non metteva più da circa 10 anni.
Cercai di rendere il tutto di una taglia fattibile per l’ospite e tornai in camera mia.
< Sir io ho fatto se vuole... >
Era già uscito dal bagno avvolto nell’asciugamano che gli avevo lasciato.
I capelli scuri davanti al volto mi impedirono di capire che fattezze avesse.
< questi sono i suoi vestiti e queste sono le scarpe che dovrà indossare finchè sarà qui, i suoi abiti li conserverò io. >
Presi i suoi vestiti dal bagno e li portai a nonna per farli lavare, la trovai intenta a parlottare tra se e se
< nonna, questi sono gli abiti di Sir, li lasciò qui, andranno lavati. >
Annuì  senza neanche avermi ascoltata, scossi la testa rassegnata e tornai di sopra.
Era riuscito perfettamente ad infilarsi i jeans e gli anfibi, solo che la maglietta nera gli creava qualche problema.
(prima annotazione, fisico veramente niente male)
< o, è qui...avrei qualche dubbio su come si indossi questa... >
Sorrisi

Gli feci notare i tre buchi presenti sulla maglietta
< vede, quello più largo è per la testa, gli altri due per le braccia...è come la sua camicia però più stretta, ecco... >
Riuscì ad infilarsela e la stessa cosa fece con la felpa.
Aveva i capelli piuttosto lunghi, probabilmente era di usanza così.
Ancora non riuscivo a vedergli bene il viso.
< si sieda, così vediamo cosa posso fare con i capelli... >
< no! >
Rimasi paralizzata
< perché no? >
< perché i capelli non si toccano. Io li porto così, la prego di non toccarli. >
Annuii perplessa
< posso almeno sistemarli? >
Non rispose, lo presi come un sì.
Lentamente gli spostai i capelli dal viso verso l’indietro, il ragazzo aveva due occhioni azzurri bellissimi; non mi scomposi.
Aveva la barba lunga, quella andava assolutamente tagliata, notai qualcosa di strano sullo zigomo destro, gli spostai un po’ la barba e notai (come se non si potesse notare) un taglio profondo.
< e questo? >
Scosse la testa
< nulla di cui preoccuparsi, è solo un taglietto. >
Rimasi perplessa
< posso almeno tagliarle la barba? Così lunga magari, sa, ha solo vent’anni...in questa epoca si è praticamente ancora bimbi a vent’anni... >
Annuì
< con la barba faccia quello che vuole >
Ok, io il rasoio sul suo viso non lo volevo assolutamente usare, non volevo sentirmi responsabile di tagli e ferite.
Pensai ad “alta voce”
< sì  però io il rasoio no... >
Mi sorrise, bel sorriso
< se vuole faccio io...mi fornisca solo il necessario. >
Schioccai le dita e feci comparire il tutto accanto al letto
< ecco, tutto per lei...faccia con comodo...poi al taglio ci penso io. >
 
Ci mise circa mezz’ora, per poco non mi addormentai sul letto, ma a fine opera era completamente sbarbato e aveva un viso praticamente da dio.
Mi avvicinai per osservare il taglio sullo zigomo, piuttosto profondo.
< ora aspetti qui, vado a prendere del disinfettante, non vorrei che si infettasse...nel frattempo si leghi i capelli. >
Gli lanciai un elastico che lui prese al volo.
Tornando giù notai che mia nonna stava ancora vagando e parlando da sola
< nonna io... >
< shhh! Gi! Quante volte ti ho detto di non disturbarmi mentre sono in contatto con Vonny!! >
Alzai le mani in segno di scuse, Vonny era la sua più grande amica, sicuramente stavano parlando di Sir.
Tornai in camera con alcol e ovatta, lui era rimasto così come lo avevo lasciato.
< so che farà un po’ male, ma deve rimanere fermo ok? >
Annuì tranquillo
Mi sedetti sul letto affianco a lui ed inizia a tamponargli la ferita con l’alcol, non si mosse di un millimetro.
Non riuscivo a capire se era immune al bruciore o se voleva mantenere alto il suo vigore.
< ecco fatto, ora guarirà meglio. >
< Grazie... >
Cos’altro dovevo accertare prima di farlo scontrare con l’anno 2012? A sì, quel suo modo di parlare.

Mi sembrò perplesso
< intendo, io Ti chiamerò Simon...non ti darò del lei, ma del tu...ad esempio, tu non mi chiamerai donzella ma Gipsie, che è il mio nome e uguale per tutte le altre persone che incontri, tranne quelli più grandi di te...capito? >
< sì... >
Mi guardò serio
< sì Gipsie... >
Sorrisi
< bravissimo Simon...ora sei diciamo pronto per entrare a contatto con il mondo esterno, vuoi? >
Alzò le spalle
< diciamo di sì. >

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Capitolo 4
*** 3 ***


Sembrava più facile del previsto, neanche due ore dopo essermi scontrata con lui ero riuscita a cambiarlo radicalmente e a farlo girare tranquillamente per le vie cittadine senza che nessuno si accorgesse di lui (a parte per il fatto che fosse veramente un bel ragazzo).
Camminava impettito, guardando in alto e con quel codino faceva veramente il macho.
Quasi, quasi mi veniva da ridere a guardarlo.
< è tutto così strano qui, carrozze senza cavalli; gente vestita in questo modo...quel taglio di capelli... >
Stava parlando di un ragazzo con doppio taglio vertiginoso e circa 6 o 7 buchi alle orecchie.
< o, qui è normale. Molti ragazzi portano i capelli così e si vestono in questo modo... >
< e alle ragazze piace? >
Alzai le spalle
< beh, sì...ovviamente se un tipo è bello è bello sempre. >
<  e quel tipo, come dici tu, è bello? >
< beh, sì, è carino... >
Non capiva il mio genere di carino, era piuttosto ovvio.
Beh, poverino, aveva bisogno di tempo per capire in che posto si trovava e in che modo era cambiata la moda nel periodo della sua assenza.
Stavamo attraversando il parco principale quando sentii urlare il mio nome
<  Gi!  >
Non feci in tempo a girarmi che mi ritrovai a terra
< Chicco! Ma sei impazzito o cosa? >
Mi morse una guancia e si rialzò saltellando e sorridendo, poi si accorse di Simon che lo stava guardando piuttosto male.
Mi prese per le spalle e mi rimise in piedi, ero piuttosto imbarazzata
< Chicco, lui è...Simon ehm, Simone... >
< Simone, lui è Francesco, un mio amico. >
I due si strinsero le mani, non riuscivo a dire chi fosse più stranito tra i due.
Chicco lo guardò serio
< non ti ho mai visto in giro Simone...sei nuovo? >
Lui non perse la sua fierezza
< sono qui solo di passaggio, ho incontrato Gipsie e siamo, sì, diventati conoscenti... >
Presi Chicco sotto braccio e lo avvicinai a me
< non fare quella faccia! E sii ospitale ti prego. >
Era rigido come un tronco di legno, annuì
< ok, come vuoi. Ora devo andare, ci vediamo in giro Gi. >
Mi baciò sulla guancia e se ne andò teso.
Simon mi guardava serio, dall’alto del suo metro e novanta.
< in quest’epoca i ragazzi si prendono certe libertà con le ragazze? >
Lo guardai
< che intendi per libertà? >
< beh, ti ha morsa, baciata così come se niente fosse... >
< ah quello...beh, fra amici in quest’epoca si fa... >
Annuì
< ok... >
Tornammo indietro verso casa, tutte quelle novità per quel giorno potevano bastare.
 
Mia nonna era uscita lasciandomi un biglietto attaccato alla mensola della cucina
< sono da Vonny, non so a che ora torno, in camera tua ci dovrebbe essere qualcosa per te. A dopo. >
Qualcosa per me, e che poteva essere?
Salii le scale seguita da Simon, appena aprii la porta non potei non notare Michele sdraiato sul mio letto che mi aspettava con le braccia incrociate sul petto.
< ben trovata...non dovevamo forse  vederci noi dopo la scuola? >
mi accigliai
< da quando mi prendi in parola? >
< da quando esci il pomeriggio con persone che non siano Chicco e Lella? >
seguii il suo sguardo, stava parlando di Simon.
< se vuoi delle spiegazioni basta chiedere... >
Entrai in camera mi sedetti sulla sedia della scrivania, Simon si poggiò al davanzale della finestra
< lui è Simon, se nonna non te lo avesse già detto è un mago che viene dalla Venezia del 1700...finchè non riusciremo a farlo tornare nella sua epoca sarà con noi, come uno di noi. >
Annuì
< già sapevo tutto, sono il tuo controllore sai... >
< e la controlli tutto il giorno? Deve essere molto importante per te. >
Ci voltammo entrambi verso Simon, io personalmente scoppiai a ridere, Michele si irrigidì storcendo la bocca.
< è solo il mio compito, tra due anni la mollo. >
Smisi di ridere
< questo è parlare da amici, grazie Michele. >
< non mi risulta che noi due siamo mai stati amici... >
Mi irrigidii anche io
< allora perché oggi sei qui, puoi anche andartene...so badare a me stessa sa. >
Si alzò e mi si avvicinò, mi diede un pizzicotto sulla guancia
< non ho dubbi cara >
Così dicendo sparì lasciando me e Simon nuovamente soli.
Simon mi guardava serio
< hai tutti questi amici così strani, non sembrano quasi amici... >
Scossi la testa
< lascia perde Simon...sono solo degli stupidi, ecco. >
< se lo dici tu...non vorrei essere io il problema? >
Lo guardai
< tu? O no, e come potresti. >
Sentii la porta di casa aprirsi
< ehy gente, sono tornato!  >
Trasalii, era mio padre.
 
Guardai Simon
< allora, è arrivato mio padre. Tu fai finta di niente, gli spiegherò tutto io. Rimani qui. >
Scesi di corsa le scale pronta a fare la solita faccia di bronzo.
< ciao papà >
< ciao stellina...come stai? >
Sorrisi nervosa
< bene, senti dovrei dirti una cosa... >
Non mi guardava, meglio così
< dimmi, ti ascolto anche se sto poggiando le cose >
< allora, beh, da dove cominciare...oggi, tornando da scuola, mi sono scontrata con un, con un mago proveniente dal 1700. Io e la nonna abbiamo cercato di capire chi fosse e cosa ci facesse qui e abbiamo deciso che finchè non troveremo un modo per farlo tornare a casa starà qui con noi. Si chiama Simon e ora è di sopra nella mia camera. >
Rimase paralizzato
< questo tizio sconosciuto è in camera tua? >
Annuii
< sì, ma calcolando che è un gentiluomo del 1800 io se fossi in te non mi preoccuperei... >
Mi guardò serio
< fallo scendere ora... >
Annuii e corsi su
< Simon! >
Si alzò di scatto
< mio padre giù è abbastanza nervoso che tu sia qui, beh, ti prego tira fuori tutto ciò che hai di cavalleresco e scendi giù a presentarti. >
Mi seguii per le scale, fiero come al solito.
Mio padre ci aspettava con le braccia incrociate sul petto, per quanto fosse alto quando Simon gli fu vicino sembrò un nano e forse, anche per questo, smise di essere così duro.
< tu dovresti essere Simon, dico bene... >
Gli porse la mano e mio padre la strinse
< si, signore sono Simon...mi spiace di essere qui a casa sua senza conoscerla, ma la signora e sua figlia sono state così gentili da offrirmi il loro aiuto...sono loro grato per questo. >
In poche ore avevo allevato un mostro, era un attore nato, anche se non stava poi recitando così tanto.
Il volto di mio padre di distese
< bene Simon, sei un ragazzo a posto. Ti daremo tutto l’aiuto che ti serve. >
Sorrisi al mio papino, quanto poteva essere bravo quando voleva.
< grazie signore, apprezzo tutto questo e spero di poter ricambiar il favore prima o poi... >
Mio padre sorrise tranquillo e gli diede una pacca sulla spalla; ok quella scena era ridicola, mio padre che alzava in modo spropositato il braccio per arrivare alla spalla di Simon.
Però vederlo così rilassato davanti ad un individuo dotato di poteri proveniente dal 1700 tranquillizzò anche me.
 
Mio padre sciolse l’incontro ed io potei portare di nuovo in salvo Simon; in poche ero credevo di averlo stressato con tutte quelle novità.
Lo vedevo tranquillo ma non conoscendolo non riuscivo a definire bene come realmente potesse stare.
< come stai Simon? >
Mi guardò interrogativo
< bene, perché mi fai questa domanda? >
Alzai le spalle
< beh, non so...spero di non averti stressato troppo con tutte queste novità...mi rendo conto che per te il mio secolo può essere assurdo. >
Scosse la testa
< no, credo che me la caverò...se mi aiuti... >
Sorrisi
< ovvio che ti aiuto, sono qui per questo. >
Mi sedetti sul letto e accesi il cellulare, come immaginavo due chiamate di Lella e tre messaggi di Chicco.
Francesco non riusciva mai a tenersi qualcosa per se, sicuro aveva raccontato a Lella del nostro incontro e ora lei voleva sapere chi era Simon.
Che ansia quei ragazzi!
Simon rimaneva in silenzio, seduto per terra con la schiena contro il muro; sarebbe potuto tranquillamente sembrare un ragazzo dei miei giorni vestito così.
Notai qualcosa di diverso in lui, gli occhi.
< perché mi guardi così? >
mi sentii colta in flagrante
< ehm...ma i tuoi occhi... >
Sorrise
< ah, questo...è una capacità che ho da quando ero piccolo...guarda >
Ora aveva un occhio azzurro e uno verde, mi avvicinai per vedere meglio
< uao, che figo... >
< come ti piacciono di più? >
Ci pensai
< credo verdi...sì, sì verdi. >
i suoi occhi divennero di un verde stupendo, lo invidiai per quell’abilità, anche io avrei voluto cambiare il colore dei miei occhi a piacimento.
< Gi...amore... >
Mi girai di scatto
< mamma! >
Mi avvicinai a lei che mi abbracciò
< com’è sei qui? Credevo saresti stata via un bel po’ per lavoro... >
Annuì
< infatti avrei dovuto ma ho sentito che c’erano delle novità alquanto importanti. >
Puntò gli occhi su Simon dietro di me, lui le sorrise e si alzò per presentarsi.
< piacere io sono Simon Del Vecchi... >
Mia madre gli strinse la mano
< lo so, mia madre mi ha già spiegato tutto...sono qui per la riunione che ha organizzato per questa sera. >
Riunione? Quale riunione? Qui c’era qualcosa che non andava. Come si poteva organizzare una riunione senza dirmelo? Insomma, l’avevo trovato io Simon!
< deduco dalla tua espressione che non sapevi nulla pasticcino... >
annuii sconfortata
< beh, tranquilla...ci saranno solo persone che conosci, il minimo indispensabile... >
Ecco che partiva l’elenco del telefono, il concetto di minimo indispensabile nella mia famiglia era molto astratto
< tipo? >
Portò una mano sul mento e lanciò indietro la testa per far finta di dover pensare
< beh, per esempio vengono Vonny, il caro vecchio Norberto, zio Adolfo con zia Ocarina, poi i cugini Giusy e Pippo...poi, vediamo un po’, Michele con i suoi genitori... >
Alzai un sopracciglio
< solo? >
Mia madre sorrise
< o non so, bisognerebbe chiedere alla nonna...ora io scendo a darle una mano. >
Si rivolse a Simon
< è stato un piacere, ci vediamo dopo. >
< arrivederci signora. >
Mia madre scomparve e noi rimanemmo nuovamente soli.
 
Ok, un po’ mi sentivo in colpa con Simon; mia nonna aveva organizzato una riunione per discutere su di lui, sembrava quasi un fenomeno da baraccone.
< tutto bene Gipsie? >
Tornai in me e lo guardai
< sì, sì tranquillo...stavo solo pensando. >
Sorrise. Aveva un sorriso...non so, moderno.
Ok, pensiero non stupido, di più; era extra stupido...sorriso moderno, ma come mi era uscita questa.
< Simon...raccontami un po’ di te...della tua epoca. >
 Si sedette per terra
< beh, da dove cominciare...il mio nome lo sai, sono Sir Simon Del Vecchi, nobile Veneziano proveniente da una ricca e antica famiglia agiata... >
< ...dimmi di più, cosa facevi nella vita... >
Incrocio le gambe ed iniziò a giocare con il laccio dell’anfibio
< beh, ero un navigatore; vendevo spezie, amavo viaggiare...ma amavo anche stare nella mia città, soprattutto durante i festeggiamenti del Carnevale. È ancora così famoso il Carnevale veneziano? >
Sorrisi
< o sì, attrae turisti da tutto il mondo. >
Annuì continuando
< diciamo che non ero, ecco, esattamente un bravo, bravissimo ragazzo; mi piaceva divertirmi...ecco tutto. Però rispetto ai miei amici ero il più serio. >
Alzai un sopracciglio, mio padre non avrebbe mai dovuto sapere questa parte della sua storia; l’avrebbe buttato fuori di casa a calci.
< ...comunque, per quanto mi piacesse divertirmi ero profondamente innamorato di una ragazza, una Veneziana veramente bellissima...Giuditta... >
< perché dici ero? >
Mi guardò intensamente
< sai, credo che il trasferimento spazio/temporale abbia causato qualche problema al mio essere. Mi ricordo tutto, ma non provo più nulla...almeno credo... >
Storsi la bocca
< beh, è un po’ triste... >
Ci pensò
< almeno non mi manca nulla... >
Effettivamente aveva ragione, anche perché tutti quelli che conosceva lui erano morti da circa 300 anni.
< Gipsie non ci pensare, sto bene, veramente... >
Annuii
< sì, lo so >
< tu invece? In quest’epoca cosa fai? >
Mi scompigliai i capelli
<  beh, io vado a scuola; sto frequentando il quarto anno di liceo classico e niente...  >
Lo vidi, non capiva, che concetto c’era di istruzione nel 1700? A boh, fatto sta che sicuro nel 1700 il liceo classico sicuro non c’era.
< cos’è il liceo classico? >
< ehm...è una scuola dove si studia la letteratura, il greco...il latino... >
Annuì
< sì, credo di aver capito...almeno in parte. >
 
 
Sentii un urlo dal piano di sotto
<  Gipsie!!! >
Mi alzai in piedi e urlai
< che c’è?? >
<è arrivato Michele!!>
E allora? Veniva in questa casa da anni, dovevo mica accoglierlo.
< e allora? Che salisse! >
Mi rivolsi di nuovo verso Simon, era un po’ perplesso
< lo so, le ragazze nella tua epoca erano delicate...io sono più tipo scaricatore di porto. >
Scoppiò a ridere proprio mentre la porta si apriva.
Michele emanava un’aria più fredda che mai, mi voltai appena dalla sua parte e notai che non era solo.
< Gipsie, ciao. >
Mi alzai da terra
< ciao Nadia. >
Ci abbracciammo  in modo informale
< come stai? È da tanto che non ci vediamo...oserei dire 5 anni...sei cresciuta. >
Tirai fuori la mia miglior faccia di bronzo
< o sì, sono cresciuta, in tutti i sensi...come mai sei qui? >
guardò Michele
< sono qui con Lele, non ti ha avvertita? >
Stavo per rispondere io quando Michele mi interruppe
< oggi la mia protetta aveva troppo da fare per starmi ad ascoltare. Ho preferito evitare. >
che faceva? Cercava la guerra? Mi stava provocando? Beh, ci stava riuscendo a pieno!
Simon intanto si era alzato e mi stava vicino
< allora, vi siete conosciuti meglio? Ti ha intrattenuto bene Gipsie? Perché se no possiamo sostituirla è >
Rimasi in silenzio, Michele stava esagerando e non capivo proprio perché
< veramente è stata perfetta. >
Ok, non potevo non sorridere, il figo della situazione aveva appena detto che ero stata perfetta, dico e ripeto Per Fet Ta!!
< di solito con me non è perfetta...domani in che modo pensi di copiarlo il compito di latino? >
Lo guardai male
< stai scherzando spero...non ho mai copiato una versione di latino... >
< c’è sempre una prima volta. >
Quella sera si stava comportando in modo stranissimo e anche abbastanza stronzo.
Nadia si avvicinò a Simon
< tu devi essere il ragazzo venuto dal 1700... >
Lui le porse la mano
< esatto...piacere, sono Simon Del Vecchi. >
< Nadia Del Vescovo...abbiamo qualcosa in comune nel cognome... >
Simon annuì
< già, ho notato anche io...Gipsie? >
Mi voltai dalla sua parte
< sì? >
sorrise
< niente, ti vedevo persa...  >
Sorrisi anche io, aveva veramente un bel sorriso
< ragazzi sono arrivati tutti! Scendete! >
Mi liberavo da una gabbia di matti per chiudermi in una prigione tedesca.
Feci segno a Simon di seguirmi, non se lo fece ripetere.
Come immaginavo, in salotto c’erano circa 25 persone.
Simon non sembrava preoccupato, ma io lo ero anche per lui.
< Gipsie, è lui? È lui? >
Sentii questa domanda minimo 15 volte nell’arco di pochi secondi, sembrava quasi che stessi presentando un attore emergente ad una folla di fan impazienti.
Lui continuava a salutare tutti quasi non capendo quell’agitazione.
La tavola era già apparecchiata, presi per me e lui due posti a capo tavola, ci sedemmo; cercai di farmi vedere tranquilla, ma non lo ero (anche grazie a Michele, che ora oltretutto mi si era seduto vicino).
La tavola in breve si riempì, ci guardavano tutti, veramente tutti.
Mi schiarii la voce
< beh? Che c’è da guardare? >
 
Sembrava quasi di essere in un film comico, tutti ci guardavano poi d’improvviso si giravano, parlottavano e ci riguardavano.
Mi stavo spazientendo.
Mia nonna dall’altro capo della tavola si schiarì la voce
< allora...come saprete, oggi siamo qui per un motivo ben preciso; un fatto molto importante sta accadendo molto vicino a noi e abbiamo il diritto, ma cosa dico, il dovere di agire.
Non è una semplice riunione preparatoria, qui dobbiamo presentare i fatti... >
Sembrava di assistere ad un comizio elettorale, con tanto di urletti di approvazione, bisbigli e chiacchiere concitate.
Lo sguardo di mia nonna si rivolse a me
< Gi, potresti illustrarci l’accaduto? >
Stavo per rispondere che no, non l’avrei fatto, non in quel modo ma Simon mi precedette
< se permette, signora, posso raccontarlo io. >
La tavola si ammutolì, ma mia nonna annuì pacata.
Simon raccontò ancora una volta ciò che era accaduto con delle piccole finestre sulla sua storia personale.
Insomma, stava raccontando ne più ne me no di ciò che già sapevo io.
< bene, è tutto? >
< sì signora, è tutto. >
Fu così che finimmo di essere calcolati, l’attenzione scivolò da noi due a mia nonna che stava preparando un piano d’azione.
Mi rilassai sulla sedia e rivolsi il mio sguardo a Simon.
< sei stato bravo... >
Sorrise
< ho sempre avuto una buona parlantina, e una certa calma... >
Già, ciò che mancava a me, la calma.
Michele mi stava guardando insistentemente da più di mezz’ora, ad un certo punto mi stancai, lo presi per un braccio e lo portai in cortile.
<  che cosa c’è stasera? >
Incrociò le braccia sul petto in segno di chiusura
< niente! >
< ah, e tu questo me lo chiami niente? Sei fastidioso, ossessivo, stronzo...ti comporti in modo strano da oggi pomeriggio... >
Mi diede le spalle, un gesto che mi fece bollire il sangue nelle vene
< non ho nulla da dirti io. >
Lo presi per una spalla e lo voltai con forza
< quando parli con me devi guardarmi negli occhi...chi te le ha insegnate le buone maniere? >
Rimase in silenzio qualche secondo
< non ti sembra di lasciar troppo tempo da solo il damerino? Come farà senza di te? >
< allora è questo il problema...Simon è il problema.. >
Alzò un sopracciglio
< non hai capito... >
< no, io invece ho capito benissimo...tu non sopporti che le attenzioni delle persone cambino destinatari...dico bene Michele? >
Si allontanò verso la porta sbracciando
< senti,a me non interessa a chi dedichi le tue attenzioni; puoi stare con lui quanto vuoi, sposatelo se vuoi! A me non cambia nulla. >
Calcolando che con quell’uscita mi aveva appena testimoniato il contrario mi venne da ridere, lui interpretò il tutto come una presa in giro, aprì la porta ed entrò furente.
Michele era proprio stupido quando ci si metteva d’impegno.
 
< Gi...tutto bene? >
Mi voltai
< Simon...o sì, tutto bene... >
Mi si avvicinò
< sicura? Ho visto il tuo amico rientrare leggermente arrabbiato... >
Annuii
< sì, beh, abbiamo discusso; ma nulla di cui doversi preoccupare >
< sei sicura? Insomma, non vorrei che fosse...ecco, che fosse colpa mia. >
lo guardai negli occhi
< certo che non è colpa tua! Non pensare neanche una cosa del genere...è Michele che è stupido. >
Era incredibile come sembrava perfettamente adatto alla nostra epoca quando in realtà aveva circa 300 anni più di me.
< sei fidanzata? >
< eh? >
Probabilmente avevo cambiato espressione perché lui abbassò lo sguardo imbarazzato
< scusa, hai ragione, sono fatti tuoi. >
Scossi la testa gesticolando con le mani
< no, tranquillo. La potevi fare quella domanda...comunque no. >
alzò lo sguardo perplesso
< no? >
< già... >
< e perché? Se posso chiedere... >
Infilai le mani in tasca ed iniziai a passeggiare per il cortile
< sinceramente non lo so, probabilmente non ho ancora incontrato la persona giusta...non che io non sia mai stata fidanzata, ma ora, ora proprio non ne ho voglia. >
Stava guardando il cielo, quanto doveva essere cambiato quel cielo dalla sua epoca
< capisco...sì, ti capisco perfettamente... >
Sì, mi capiva, come no. La verità è che se lui fosse nato in quest’epoca probabilmente avrebbe cambiato ragazza ogni settimana per quanto era figo.
Probabilmente se fosse nato nella mia epoca non saremmo stati qui a parlare e non perché io non fossi abbastanza bella o simpatica, solo perché lui probabilmente sarebbe stato uno stronzo.
Era orrendo averlo vicino e non sapere di cosa parlarci, mi metteva a disagio.
< troppo distanti è... >
< cosa? >
< intendo, io e te, mentalmente siamo troppo distanti; zero argomenti di cui parlare, praticamente nessuna cosa in comune. >
Scoppiai a ridere
< tu mi leggi nel pensiero, di la verità... >
Rimase in silenzio, quasi imbarazzato...un attimo, io non dicevo sul serio! C’è, se mi leggeva nel pensiero praticamente aveva sentito tutto ciò che pensavo di lui da quando era arrivato. O cazzo!
< non leggo esattamente nel pensiero, diciamo che se guardo negli occhi di una persona riesco a capire cosa sta pensando...non è esattamente leggere nel pensiero. >
Non mi scomposi, appunto personale...mai guardarlo negli occhi mentre facevo commenti sul suo fisico.
< beh perché no, i tuoi commenti sul mio fisico sono interessanti... >
Probabilmente divenni bordeaux
< quante cose hai sentito dalla mia mente? Sii sincero, ti prego. >
Si passò una mano tra i capelli
< allora, beh...il commento sugli occhioni azzurri  di oggi pomeriggio; poi quando hai detto che se fossi nato nella tua epoca sarei stato uno stronzo...almeno ricordo questi... >
Mi coprii il viso con le mani
< non penserò più niente davanti a te... >
Lo sentii ridere
< oppure potresti pensare ad occhi chiusi... >
Risi anche io.
< domani devi andare a scuola, vero? >
Sobbalzai, scuola! Cavolo me ne ero completamente dimenticata! E avevo compito di latino!
< deduco dal tuo sguardo che devi andare... >
< già...dovrai rimanere tutta la mattina con mia nonna...allegria Simon! >
Sorrise
< non sarà così male...e poi mi sta aiutando a tornare a casa... >
Annuii
< giusto, tienitela buona e cara, non sia mai decida di lasciarti qui per sempre. >
 
La casa si svuotò intorno alle 23:30.
Michele se ne andò senza degnarsi di salutarmi; mia madre se n’era andata farfugliandomi all’orecchio qualcosa su me e Simon che non avevo ben capito e papà si era arrabbiato perché i gemelli non erano ancora a dormire.
Simon (solo per quella sera secondo il patto tra nonna e papà) avrebbe dormito nella mia camera nel letto che nonna aveva fatto apparire sotto la finestra.
< Simon non russi vero... >
Scosse la testa
< o almeno non credo...cosa ne posso sapere, dormo... >
Mi lanciai sul cuscino
< vabbè allora buona notte Sir... >
< notte Gipsie...spegni tu la luce? >
Allungai un braccio a cercare l’interruttore
< spengo io caro, notte. >

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Capitolo 5
*** 4 ***


Quando la sveglia suonò per poco non caddi dal letto.
Era come se mi fosse esploso un petardo in fronte, e quel giorno a scuola avevo compito di latino.
Mi voltai amareggiata verso il letto di Simon e fui immediatamente presa dal panico.
Non c’era!
Scesi rapida dal letto e corsi giù per le scale, papà era già in cucina.
< papà, Simon non è in camera! >
Lui neanche si girò
< lo so, è uscito questa mattina. Non so cosa volesse precisamente fare, ma ho pensato che non ci sarebbe stato alcun problema  se lo lasciavo andare. >
Si voltò sorridente  ma il mio volto aveva ben poco che somigliasse ad un sorriso; mio padre rimase un po’ sconvolto
< ho fatto qualcosa che non va? >
La mia voce uscì stridula
< Papà! Ma come ti è venuto in mente, Simon non conosce niente di qui!>
Lui non sapeva cosa dire e il  mio urlo doveva aver attirato l’attenzione di mia nonna che si precipitò in cucina
< Adam, cos’è che hai fatto questa mattina? >
Mio padre sgranò gli occhi, quando la nonna usava quel tono diventava poco rassicurante.
Intervenni
< Ha permesso a Simon di uscire di casa da solo! Devo andare a cercarlo. >
Lasciai mia nonna in cucina che continuava a rimproverare mio padre che da buon “senza poteri” stava accusando il colpo in silenzio.
Mi vestii alla svelta e corsi in città a cercare Simon.
Le strade erano ancora vuote ma nonostante questo se fossi stata una persona normale avrei impiegato ore prima di trovarlo, dal momento che ero un esserino magico sarei riuscita a scovare il fuggitivo in meno di dieci minuti.
Mi concentrai al massimo sull’energia di Simon, eccolo!
Era...era davanti alla scuola?
< Gipsie, buongiorno >
Sorrideva, e io avevo ben poco da sorridere
< che ci fai qui? Mi hai fatto spaventare! >
Cambiò improvvisamente espressione avvicinandosi
< mi dispiace, non pensavo di dover rimanere segregato dentro la tua camera fino al tuo ritorno, avevo capito male >
Un po’ mi fece pena, ovviamente non è che potevo impedirgli di uscire e scoprire da solo il “nuovo mondo”
< va bene dai, torniamo a casa. Troveremo una soluzione con la nonna >
Lo presi per un braccio e nel tempo di un respiro ero nuovamente in cucina.
< Gi, l’hai trovato! Meno male >
Annuii
< sì, sì era solo davanti scuola, alla fine è come noi, non si perde mica >
Nonna mi guardò fissa negli occhi
< cosa intendi dire? >
Scostai lo sguardo

Tornai a guardare la nonna che stava pensando con sguardo vitreo
< ok, ok. Può uscire, l’importante è che si faccia vivo ogni dure ore >
Lo guardò puntandogli un dito in faccia.
La nonna era alta non più di un metro e cinquanta, praticamente cinquanta centimetri più bassa di Simon, eppure aveva un non so che di autoritario che lo scosse
< certo signora, mi comporterò con adeguata prudenza >
Nonna annuì tornando alle sue faccende ed io potevo finalmente andare a recuperare la cartella per andare a scuola.

Annuii piano
< certo, nessun problema >
O meglio, il problema c’era eccome.
Nel momento in cui saremmo comparsi nel perimetro scolastico tutti, e dico tutti, si sarebbero voltati ad osservare il figo che mi accompagnava quella mattina.
L’avrei praticamente buttato in pasto ai leoni.
<  tranquilla, avevo parecchie pretendenti anche a Venezia, non mi scandalizzo mica >
sorrisi focalizzando la scuola.
 
Comparimmo entrambi alle spalle di Chicco e Lella che stavano parlando, guarda un po’, dello strano tipo che da ieri mi seguiva passo, passo.
< ragazzi, come siete pettegoli! >
Si voltarono entrambi, Lella si pietrificò e divenne bordeaux non appena inquadrò Simon
< ciao Gi, e lui è >
Sim gli porse la mano
< piacere, Simon, tu devi essere Lella vero? >
lei annuì frastornata, poi voltandosi verso Chicco biascicò
< niente di che è? Ma dove ce l’hai gli occhi? >
Non potei fare a meno di scoppiare a ridere, quei due erano incredibilmente imbarazzanti ogni volta che dovevano comportarsi come persone serie.
Mi guardai un po’ intorno.
Come avevo immaginato, lo sguardo di molti, si stava indirizzando verso il modello alla mia destra.
Alzai le spalle, se la sarebbe cavata anche senza di me.
La campanella suonò facendomi trasalire,compito di latino!
Simon mo guardò sorridente

Sorrisi di rimando
< crepi il lupo. Ci vediamo dopo >
Entrammo di fretta per mantenere i nostri ultimi banchi, il prof era già seduto in cattedra con una pila di fogli davanti.
Stavo lentamente entrando nel panico.
 
La situazione non cambiò dieci minuti dopo, quando ormai avevo il compito davanti e non riuscivo a capire niente, veramente niente di ciò che vi era scritto sopra.
Non ci pensai due volte.
Pensai velocemente che quel giorno Michele non sarebbe neanche venuto a controllarmi dal momento che era arrabbiato con me.
Sfruttai a pieno i miei poteri traducendo la versione in meno di un quarto d’ora e passai il resto del tempo a rimetterla a posto.
Chicco e Lella erano nel panico.
Li guardai.
Chicco aveva la mia stessa versione, non ci pensai due volte e gliela passai senza che il prof se ne accorgesse.
Poi presi il compito di Lella e gli diedi un’occhiata al volo.
Tradussi, o meglio, feci tradurre dalle miei capacità le frasi che non le erano venute e gliele scrissi sul banco.
Per poco non mi abbracciò durante la lezione.
Avevo salvato i miei due migliori amici, ero soddisfatta di me.
Mancavano ormai dieci minuti al suono della campana, mi alzai e lasciai il compito sulla cattedra davanti al prof, seguita da Chicco, Lella e altre persone della classe.
Quando finalmente il prof uscì dalla classe i due mi abbracciarono in preda ad una scossa di euforia
< non so come tu ci riesca ma ti amo, sappi che ti amo >
Sorrisi
< questo e altro per voi, questo e altro. >
 
Il resto della mattinata fu tranquillo, Michele non si fece né vedere né sentire il che fu un sollievo.
All’uscita davanti scuola mi aspettava Simon che aveva tutta l’aria di uno che si era divertito parecchio
< com’è quella faccia? >
Alzò le spalle
< ma, niente di che >
Lo guardai
< dimmelo! >
Rise un po’ scostando la sguardo
< oggi mi hanno chiesto di uscire cinque ragazze diverse >
Sgranai gli occhi e lui mi guardò
< cosa?  E dove? >
Indicò la piazza davanti scuola
< ero seduto qui intorno alle undici, stavo solo pensando quando ho iniziato ad attirare sguardi strani, una chiacchiera e l’altra... >
Alzai un sopracciglio
< ci uscirai? >
Scosse la testa
< certo che no. Poi con tutte e cinque, quando mai! >
 
Scoppiai a ridere
< andiamo bene, ti lascio solo qualche ora e tu mi torni con cinque appuntamenti. >
Mi guardò dall’alto sorridendo
< dalla a me la borsa >
Guardai lo zaino
< questo? O no, tranquillo non pesa >
praticamente me lo tolse di dosso e se lo caricò in spalla
< di questi tempi non si è mai abituati a simili galantuomini, dovrai darmi il tempo di farci l’abitudine >
Appena arrivammo in una strada isolata lo presi per un braccio e scomparimmo verso casa.
Fu un atterraggio brusco, uno dei peggiori della mia vita.
< ehy, che diamine... >
Riaprii gli occhi scivolando di schiena sul pavimento, misi a fuoco Michele
< chi altro poteva essere che sta sempre in mezzo >
Si pulì i pantaloni e mi lanciò un’occhiataccia
< taci >
Simon mi porse la mano e mi tirò su di scatto
< tutto bene? >
Annuii guardando Michele
< che ci fai tu qui? >
Mi guardò in cagnesco
< do le dimissioni, ecco che ci faccio. >
Per poco non ricaddi a terra
< tu...cosa? >
Distolse lo sguardo
< hai capito bene, chiedo le dimissioni. Basta ho chiuso, che ti si prenda un altro controllore >
Ok, dovevo riprendermi, dovevo riprendermi e farmi veder e impassibile agli occhi di quello stronzo pauroso che mi stava abbandonando dopo anni.
Gli diedi le spalle prendendo lo zaino dalla spalla di Simon.
 
< che c’è, non dici niente? >
Alzai le spalle senza guardarlo
< che dovrei dire? >
< ah, non so. Ad esempio addio. >
Strinsi la spallina della cartella e senza pensarci due volte mi voltai di scatto e la scaraventai addosso a Michele che la prese in pieno petto
< beh, ti accontento. Addio e a mai più arrivederci >
non rispose, era nel pieno di un attacco di tosse convulsa, gli lacrimavano addirittura gli occhi, la collisione con la mia cultura doveva avergli fatto parecchio male.
Me ne andai senza dire altro, salii le scale ed entrai nella mia camera.
Che stronzo! Che stronzo!
Sbattei la porta con tutta la forza che avevo in corpo e iniziai a ripetermi che non dovevo, non dovevo piangere!
Non doveva uscire neanche una lacrima dai miei occhi, non doveva e invece più che altro quello pronto a straripare dalle mie ciglia sembrava un fiume in piena.
 
Sentii rumori per le scale, riconobbi il passo in corsa di Michele e cercai di asciugarmi le fontane, il che mi riuscì malissimo.
Aprì la porta paonazzo, le vene sulle tempie in risalto e la fronte corrugata
< Gipsie! >
< sparisci >
mi uscì una voce flebile, tremante che sicuramente faceva capire anche se ero di spalle la situazione dei miei occhi
< Gi >
< ho detto che te ne devi andare >
Voltai appena il viso di lato e con la coda dell’occhio lo guardai, era immobile al centro della stanza, preso alla sprovvista da me
< vattene! Non ti voglio più, te ne devi andare Michele! Te ne devi andare! >
Smisi di guardarlo, allontanai le lacrime con le mani e tirai su con il naso, quando mi voltai davanti a me c’era solo Simon
< se n’è andato >
annuii piano mentre lui si avvicinava offrendomi un abbraccio che non riuscii a rifiutare.
 

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Capitolo 6
*** 5 ***


< insomma, me lo vuoi dire o no che ti è successo? >
Scossi la testa tirandomi ancora un po’ più su la sciarpa
< Gi, per favore, sono tre ore che hai una faccia da funerale e non mi vuoi raccontare nulla, mi fai preoccupare >
Quando Lella decideva di diventare assillante le riusciva fin troppo bene, non avevo fatto neanche in tempo ad arrivare quella mattina a scuola che erano partite le domande a tradimento sul perché avessi un muso lungo fino a terra.
Chicco manteneva le distanze ma sapevo che infondo anche lui era molto curioso di conoscere gli ultimi avvenimenti.
Non intendevo parlare.
< Gi >
< Lella ti prego, non oggi >
Cercai di concentrarmi sulla lezione di storia evitando di sembrare assorta in chissà quale pensiero depresso.
Odiavo sembrare depressa, anche perché non lo ero.
Alla tristezza del giorno precedente, alle lacrime e alla sonnolenza post- abbandono ora si contrapponevano rabbia, irritabilità e voglia di vendicarsi.
Alle prime due non potevo trovare soluzione, per la terza mi serviva solo un po’ di tempo e un’idea che mi sarebbe venuta molto presto.
Finalmente la campanella dell’intervallo mi liberò dallo sguardo inquisitore dei miei due migliori amici e dalla calata assillante del prof.
Uscii dall’aula e per poco non mi scontrai con Michele.
Mi tirai indietro rapidamente, il mio viso che probabilmente tradiva sorpresa e tensione.
Non gli diedi il tempo di fare nulla, anche se aveva un’espressione abbastanza emaciata.
Gli diedi le spalle e allungai il passo nel corridoio affollato
< Gi, Gi dai aspetta... >
Non mi sarei fermata neanche morta, quello che aveva fatto era troppo, troppo brutto per essere dimenticato da un giorno all’altro.
 
Mi prese per un braccio ad un passo dal bagno delle ragazze e mi tirò indietro costringendomi a guardarlo
< ora noi due parliamo >
Lo guardai negli occhi
< io non ho nulla da dirti >
D’improvviso sembrò più arrabbiato di me
< allora ascolta >
Rimasi in silenzio a guardarlo, se doveva dire qualcosa era la sua occasione, l’unica che gli sarebbe stata concessa
< io, ieri non volevo arrivare...sì, insomma, non volevo esagerare così >
< ma...c’è un ma vero >
Corrugò le sopracciglia tornando ad avere la sua solita espressione
< ma l’hai voluto tu >
Dal petto mi salì una risata smorzata, un riso amaro
< immaginavo, come potrebbe non essere colpa mia, è sempre colpa mia, giusto? >
< intendevo dire che hai provocato la mia reazione >
lo guardai, mi guardò.
Passarono quei secondi di silenzio tipici delle litigate, in cui nessuno sapeva cosa dire, se attaccare o lasciare spazio alla rabbia dell’altro.
La mia mente volava fervida sui possibili insulti da dedicargli quando lui mi prese per le spalle e mi scosse appena
< senti, mi dispiace. Vorrei rimediare, voglio rimediare. E tu me lo devi permettere! >
< Gi, finalmente ti abbiamo trovato >
 
Ci voltammo entrambi, Chicco e Lella si stavano avvicinando facendosi spazio tra la calca
< che fine avevi fatto? Ti cerchiamo da tutta la ricreazione! >
Lella guardò Michele e storse la bocca credendo di capire il mio malumore, ciò provoco una reazione a catena che spinse Michele a stringere la presa sulle mie spalle, me ad allontanarlo e Chicco ad esclamare
< no, no continuate, ce ne andiamo noi >
Li il tempo sembrò fermarsi.
La campanella suonò invitandoci a rientrare in classe
< mi dispiace Michele, devo andare >
< ci vediamo dopo... >
Abbassai lo sguardo con un buco nel petto
< non lo so >
Mi allontanai in direzione della classe, Chicca e Lello mi stavano aspettando qualche passo più in la, entrambi convinti che la love story tanto supposta tra me e Michele fosse appena finita.
Avevo ancora tre ore, tre lunghe ore ed ero sicura che non sarei mai riuscita a concentrarmi.
Non mi aspettavo di vederlo, non mi aspettavo che sarebbe venuto a parlarmi che ne avrebbe tentato di riappacificarsi con me.
Da un certo punto di vista quel tentativo mi faceva stare bene, dall’altro mi rendeva ancora più furiosa nei suoi confronti, pensava di poter risolvere tutto con uno “scusa, mi dispiace” e io non credevo affatto che l’accaduto del giorno precedente potesse essere dimenticato così.
Non pensavo di tenerci così tanto, non lo credevo fino a quel momento.
Poi mi aveva lasciato, aveva abbandonato il suo ruolo rifiutandosi di continuare a farmi da tutor, in un certo senso mi aveva tradita.
Mi sedetti in uno stato di shock che mi accompagnò fino alla fine della giornata scolastica.
 

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Capitolo 7
*** 6 ***


La campanella della sesta ora mi scosse dal mio profondo stato di temperato distacco dal mondo.
Feci la cartella ritmicamente e seguii Chicco e Lella verso le scale.
Non sapevo cosa sarebbe successo dopo l’allegra chiacchierata con Michele, forse l’avrei rivisto, forse no.
In ogni caso non doveva, non poteva mancarmi.
Davanti al portone c’era Simon, non lo aspettavo eppure era venuto a prendermi; gli dedicai quello che doveva essere un sorriso tirato (il primo della giornata) e lo seguii nel cortile esterno.
< come ‘è andata oggi? >
Alzai le spalle
< niente di che >
notai che i suoi occhi stavano perlustrando a fondo il mio viso, sapeva meglio di me che stavo mentendo
< hai per caso avuto modo di parlare con Michele? >
scossi la testa abbassando lo sguardo, poi però sentendo che lui continuava a fissarmi non potei smentire ciò che veramente era accaduto.
< è venuto a parlarmi, o almeno ci ha provato. Ma non importa. Ormai la frittata l’ha fatta. >
Mi sfilò lo zaino dalle spalle e me le cinse con un braccio
< andiamo a casa. Vedrai che tutto si sistemerà >
Beh, almeno lui ne era convinto. Io non ci credevo affatto.
Non avrei mai pensato che il mio affetto per quel coglione potesse raggiungere quel livello, eppure nel momento in cui lui aveva deciso di allontanarsi da me io avevo capito di volergli bene, ma allo stesso tempo di odiarlo con tutta me stessa.
Era un tale mix di sentimenti che non riuscivo neanche io a capirmi e a decifrarmi.
Lasciai che fosse Simon a condurmi a casa, evitai mia nonna che aveva iniziato a pormi domande a cui non avrei potuto rispondere neanche volendo, i gemelli iniziarono a corrermi intorno mostrandomi chissà quale nuovo trucchetto che avevano imparato leggendo libri non adatti a loro.
Ignorai tutti, salii lentamente le scale ed entrando in camera mi rannicchiai sul letto con le ginocchia al petto.
 
Non mi andava di parlare con nessuno di niente, tanto meno di Michele.
Nessuno della mia famiglia in realtà aveva ancora chiesto nulla su di lui, ma sapevo che prima o poi la domanda sarebbe uscita fuori e volevo assolutamente evitare quel momento.
Sentii dei passi dirigersi verso la porta che si aprì.
Rimasi voltata mentre i passi continuavano verso il letto e si fermavano in prossimità di esso.
Simon si sedette vicino a me, non mi toccò
< so che forse non sono la persona più adatta per dirti questo, ma se vuoi, e solo se tu lo desideri, io per te ci sono. Puoi parlarmi di qualsiasi cosa. Non so che rapporto ci fosse tra te e quel Michele, ma posso assicurarti che io, e mi impegnerò se questo dovesse essere un tuo desiderio, prenderò il suo posto per quanto mi sarà possibile. >
Mi sentii percorrere da un brivido, sarei voluta scoppiare a piangere, ma probabilmente avevo finito la riserva d’acqua del mio corpo.
Mi voltai appena e risposi con una voce da gatto strozzato
< grazie Simon, lo apprezzo, veramente >
Sorrise appena e mi sfiorò una mano prima di alzarsi e uscire dalla stanza.
Ci mancava solo questa, avevo vicino una persona che si stava offrendo di starmi vicino ogni qualvolta lo volessi e io non riuscivo neanche a pensare di poter sostituire quello che per anni era stato il mio supervisore.
Non avevo mai veramente avuto bisogno di lui, me l’ero sempre cavata da sola, eppure ora improvvisamente ne avevo bisogno più di quanto lui potesse essermi d’aiuto.
Ma non avrei mollato la presa, non mi sarei piegata alle sue pazzie, avevo una mia dignità e se voleva tornarmi vicino avrebbe veramente dovuto fare breccia in quella che ormai era diventata la mia scorza protettiva.
 
Non pranzai ne cenai quel giorno, non mi mossi dalla mia stanza neanche per un secondo e mi rifiutai di rispondere al telefono e di parlare con qualcuno che non fosse Simon.
Evitai perfino di parlare al telefono con Lella che aveva chiamato minimo 4 volte per sapere come stavo.
Intorno alle 20:30 gli occhi diventarono talmente pesanti che mi assopii tutta vestita senza neanche coprirmi.
Mi svegliai appena mi sentii sfiorare, spalancai gli occhi e mi alzai di botto.
Ero avvolta in una coperta di pile mi voltai di lato e riconobbi il profilo del bastardo
< che ci fai qui, chi ti ha fatto entrare? >
abbozzò una smorfia che doveva somigliare ad un sorriso
< tua nonna, sono sempre e comunque il benvenuto in casa tua. >
< non per me >
Infilò le mani nelle tasche dei jeans e sospirò
< quando potrò finalmente parlare con te e chiarire quello che è successo? >
mi irrigidii
< direi mai, visto che mi hai mollata appena ieri. Non sei più legato a me da nessun giuramento, nessun vincolo, sei libero Michele >
Rise piano
< detto così sembra quasi che io e te siamo legati da un patto matrimoniale >
mi infiammai di botto
< o, sta sicuro che non ti sposerei mai, neanche se fossi l’ultimo uomo sulla faccia della terra. Piuttosto mi faccio suora! >
Rimase in silenzio fissandomi, poi scosse la testa e uscì dalla stanza.
Mi lasciò come una scema, gonfia di rabbia ma allo stesso tempo lusingata e amareggiata per aver reagito in modo così freddo e impulsivo.
 

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