The Lake.

di Hey_Ashes
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***



Capitolo 1
*** 1. ***


Bhè si, sono tornata con una long tutta mia! In effetti non so quanto sarà long e ogni quanto riuscirò a postare, ma mi ci butto lo stesso perchè è un'idea che mi martella da una settimana.
L'ispirazione l'ho tratta dal bosco sconfinato e inquietantissimo che si vede dal terrazzo della mia stanza nella casa al mare, quindi bho, da qui potete capire che immaginazione assurda e malata posso avere(?)
Con un pò di presunzione(?) mi auguro di riuscire ad eguagliare la mia piccola primogenita, XOXO, Callie in quanto a recensioni ed apprezzamenti perchè sinceramente, penso che quest'idea sia una bomba c^c
Ho anche preparato un banner ma adesso non ve lo metto, altrimenti si capiscono troppe cose e.e (No, in realtà non sono sicura di esserne capace.)
Questa fic la dedico in particolare a xCyanide, Pane e MissNothing (Non vi ho scritte in ordine di importanza eh e.e) che si sorbiscono i miei scleri giornalieri e li alimentano senza ritegno. Spero che non vi offenderete per un obrobrio del genere(??)
Ora, dopo questa intro lunghissima per i miei standard vi lascio leggere! Ci si vede sotto!

xDisclaimer: I personaggi non mi appartengono blablabla.

The Lake.
-Chapter 1-


Bene e adesso passiamo al prossimo servizio in questo nebbioso Venerdì 17: quali sono le superstizioni più comuni del popolo americano?

Spensi la radio sbuffando: non ero un tipo superstizioso, affatto. Il fatto che quel giorno -un normalissimo venerdì- coincidesse con il diciassettesimo giorno del mese era soltanto un caso astrale, o qualcosa del genere.

Non credevo che un meteorite si sarebbe schiantato sul tetto di casa mia o un'altra qualsiasi di queste stronzate. Ero passato milioni di volte sotto le scale ed ero sopravvissuto. Stesso si può dire per i gatti neri che attraversano la strada.

Mi godetti il silenzio dell'abitacolo adesso libero dal borbottio scricchiolante dell'autoradio: era pomeriggio tardi, il cielo cominciava a passare da un bell'indaco rosato ad un blu ben più scuro e vagamente minaccioso. Adoravo guidare, soprattutto in strade come quella: le tipiche strade americane costeggiate da boschi fitti e profondi. Ma di notte, o comunque dopo il tramonto, me ne tenevo alla larga, se possibile: non temevo troppe cose, ma se c'era qualcosa che mi terrorizzava abbastanza erano i boschi di notte. Anche di giorno non mi facevano impazzire: troppo misteriosi, silenziosi per i miei gusti, ma era anche vero che di giorno era anche più facile immaginarli come la dimora di un qualche orsetto goloso di miele.

Di notte invece, la mia testa disegnava animali morti ai lati della strada, e bestie demoniache che mi attendevano nel fitto degli alberi. Era più forte di me: ho sempre avuto un'immaginazione più che fervida.

...E non è sempre un bene.

Quella sera poi, ero ben più nervoso del solito: ero stato trattenuto a lavoro -per questo mi trovavo in mezzo ai boschi alle otto di sera- e avevo addosso una strana sensazione che non sapevo bene come catalogare.

A metà tra l'inquietudine e un brutto presentimento.

Qualsiasi cosa fosse, riusciva comunque a farmi rizzare i peli della nuca.

Una nebbiolina leggera e minacciosa strisciava dal sottobosco sulla strada, come le mani impalpabili di un qualcosa di non definito che aveva dimora tra quegli alberi.

Qualcosa che -me lo sentivo- entro pochi attimi avrebbe sollevato la mia macchina come se si fosse trattato di un giocattolo e la avrebbe trascinata chissà dove in mezzo alle conifere.

Ad aumentare il mio senso di inquietudine -che attenzione, si stava rapidamente trasformando in terrore, alimentato da questi pensieri- c'era il fatto che in quel bosco sparivano persone: un paio di ragazzi, qualche turista, scomparivano tutti nei pressi di una specie di lago che sapevo trovarsi lì da qualche parte, a qualche chilometro dall'inizio del bosco. Le autorità sostenevano che si trattasse di un lupo, o una lince: la seconda era un po' difficile da incontrare nei boschi del Jersey, ma non era da scartare l'ipotesi che fosse arrivata qui da qualche stato limitrofo, non sarebbe stata la prima volta che un animale di grossa o media taglia intraprendeva un percorso del genere. Per quanto riguarda i lupi, alcuni esemplari erano stati reintrodotti nei boschi per il ripopolamento, e se ne poteva contare circa un centinaio a distanza di qualche anno, da quanto ne sapevo.

Il problema è, che i corpi non sono mai stati ritrovati. E questo è strano, perchè anche il più vorace dei carnivori lascia sempre qualche “avanzo”.

Dopo l'ultima scomparsa, un ragazzo di circa vent'anni, mi pare si chiamasse Josh, venne dragato il lago e setacciato il bosco, alla ricerca di un qualsiasi indizio che andasse da un cadavere ad un ossicino del braccio.

Niente. Non fu trovato assolutamente niente.

I cani da ricerca andavano nel panico ogni volta che arrivavano nei pressi del lago, nascondendo la coda tra le gambe ed iniziando ad uggiolare.

Ricordo che seguii il caso molto attentamente, comprando giornali e seguendo tutti i notiziari speciali: venne tratta la conclusione che il comportamento dei cani fosse tale per la vicinanza del nascondiglio della Bestia.

Perchè si, dopo un certo periodo smisero anche di chiamare la...cosa lupo o lince, o chicchessia. Venne adottato il nome di Bestia e bam, un bel timbro sopra e siamo apposto.

Dopo due anni di indagini il fascicolo venne chiuso, poiché nessuna pista portava da nessuna parte, così come tutti quelli dei casi precedenti.

I boschi limitrofi alla città sono stati dichiarati zona non sicura, e persino nelle ore diurne l'accesso alla foresta è sconsigliato se non nelle ore con maggiore luce. Ergo, dalle undici e mezza alle una e mezza circa.

Ma ciò implicherebbe anche la fascia più calda della giornata, quindi è abbastanza ovvio che nessuno abbia voglia di farsi una sudata per niente: ogni tanto si vede qualche anziano con la sua camicia da boscaiolo che si addentra nei meandri del bosco armato soltanto di un cestino.

 

Scossi lentamente la testa, come per allontanare quei pensieri cupi dalla mente, quando qualcosa al limitare della strada, sulla destra, attirò la mia attenzione.

Qualcosa lampeggiò.

E non erano fari, o una lampada.

Erano occhi.

Rallentai.

Occhi che continuavano a brillare a mezz'aria nel buio, il proprietario protetto dal buio che iniziava a calare e dall'ombra degli alberi.

Occhi gialli.

Un sudorino freddo iniziò a scendermi lungo la schiena, mentre inconsapevolmente, come se non riuscissi a controllare il mio corpo, il piede sull'acceleratore diminuiva la pressione, portando la macchina a rallentare.

Gli occhi, con le pupille ristrette come capocchie di spilli, seguivano la traiettoria della macchina.

Accostai, senza pensare, e scesi dall'auto con le gambe che mi tremavano come se fossero fatte della gelatina più scadente e molliccia.

Non volevo farlo, ma il mio corpo continuava ad avanzare con passo malfermo fino al limitare del bosco.

Ero a pochi metri dalla Cosa, adesso. Tre metri, due, uno.

Sudavo, tremavo come se avessi avuto la febbre, eppure non potevo trattenermi dall'avanzare.

Il mio braccio si mosse da solo, alzandosi per andare a sfiorare l'oscurità che sembrava irradiarsi dal primo tronco d'albero in poi.

La creatura scrutava con attenzione i miei movimenti.

Un ringhio basso si propagò nell'aere quando le mie dita, come quelle di un automa, si indirizzassero nella sua direzione.

 

Un urlo disumano mi lacerò i timpani.

Un urlo che non poteva certamente appartenere al mondo umano, ma difficilmente a quello animale, ne ero sicuro.

Seguì il trambusto delle foglie secche e dei rametti calpestati, mentre l'essere che fino a pochi attimi prima avevo avuto davanti batteva la ritirata nel fitto del bosco, mentre io ero pietrificato dall'orrore.

In uno sprazzo di lucidità vidi chiaramente che si muoveva su due gambe.

 

Il naso iniziò a sanguinarmi mentre come in trance tornavo in auto, gocciolando copiosamente sulla maglietta bianca.

Non me ne curai, mentre con mano tremante mettevo in moto e acceleravo fino al limite consentito per allontanarmi il più in fretta possibile da quel luogo.

 

Quando arrivai a casa mi liberai della maglia gettandola direttamente nella pattumiera: volevo liberarmi di qualsiasi cosa che avrebbe potuto ricordarmi quell'incontro, in futuro.

Non persi tempo a farmi una doccia: mi sentivo improvvisamente spossato e continuavo a percepire come una presenza costantemente alle mie spalle.

Mi raggomitolai a letto, con le spalle ben vicine al muro e cercai per ore, invano, di scacciare quel suono demoniaco che continuava a martellarmi le orecchie e il cervello, rischiando di farmi esplodere il cuore dalla paura.

 

Quella notte, l'abat-jour sul mio comodino restò accesa fino all'alba.

Quella notte, dormii si e no mezz'ora.

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Ash corner: bhè, spero di avervi messo almeno un pò della curiosità necessaria a spingervi a recensire, preferire e ricordare. Ci terrei molto, perchè come ho detto questa fic è importante per me visto che i miei ultimi scritti erano abbastanza scadenti (Li ho eliminati tutit, non a caso). Per quanto riguarda la traduzione (Se mai importa a qualcuno) mi sono presa un momento di pausa perchè voglio dedicarmi esclusivamente a questa. Posterò quando mi sarò portata abbastanza vanti qui.
xoxo
Ash

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Capitolo 2
*** 2. ***


The Lake
2.

 

Il giorno dopo telefonai a lavoro chiedendo una giornata di permesso lamentandomi di non essermi sentito troppo bene, quella notte.

Il che in effetti era vero: l'epistassi si era prolungata praticamente fino all'alba, costringendomi a rigirarmi nel letto per ore con un fazzoletto premuto contro il naso, tentando invano di firmare l'emorragia.

Verso le quattro cedetti, alzandomi per andare in bagno ad inumidire una pezza da tenere poggiata sulla nuca. Mi pareva si facesse così, in certi casi. O qualcosa del genere.

Mi raggomitolai difronte al televisore, cambiando canale in continuazione e senza seguire veramente ciò che veniva trasmesso, negli occhi ancora gli avvenimenti della sera prima.

Crollai alle sei in un sonno agitato, perseguitato da pupille d'ambra sospese nel buio e da dita ornate di artigli affilati che emergevano dall'ombra per cavarmi gli occhi e strapparmi il cuore dal petto.

 

Mi svegliai di soprassalto verso le sette meno venti, madido di sudore e tremante come una foglia. Sentivo la bocca impastata come calcestruzzo, la salivazione azzerata.

Barcollai fino al bagno per lavarmi i denti e bere un bicchiere d'acqua. Il riflesso che vidi nello specchio non era meno spaventoso dei mostri che avevano infestato la mia mezz'ora scarsa di sonno: occhiaie profonde di un viola livido sotto gli occhi, i capelli appiccicati alla fronte per il sudore, il naso ancora incrostato di sangue. Ero pallido come un cadavere, a volerla dire in modo carino.

Mi lavai il viso con l'acqua fredda, sperando di svegliarmi un po': ero troppo distrutto per farmi una doccia: non avrei retto nemmeno il peso delle gocce d'acqua. Mi trascinai in cucina con l'intenzione di farmi un tè, bello forte, magari.

Mentre accendevo il gas sotto il bollitore presi il telefono e digitai un numero, incurante dell'ora.

 

-Frank! Che piacere vederti!-

Jamia, la mia compagna di università mi saltò al collo appena varcata la soglia di casa mia.

L'avevo invitata con la scusa di studiare per un esame imminente, quando in realtà avevo solo bisogno di un po' di compagnia.

Farsi un'ora di bus per venire fin qua soltanto per ripassare qualche pagina con me fu molto carino, da parte sua.

La strinsi a mia volta, sorridendole sinceramente felice di vederla: in quel momento sarei stato felice di vedere persino un docente universitario: qualunque cosa, pur di non restare solo in quella casa per molto.

-Ti...ti offro qualcosa, prima di cominciare?- Le sorrisi indicandole il frigorifero

Scosse la testa declinando educatamente l'offerta, facendomi presente che avevamo così tanto da studiare che avremmo a malapena il tempo per respirare.

La sua compagnia diluì in minima parte l'agitazione che sentivo fremermi in corpo, ma mi impedì comunque di dare di matto, cosa che pensavo avrei fatto se avessi passato un altro minuto da solo in quella casa.

Le pagine da studiare erano effettivamente molte, e ci impiegammo più tempo del previsto dal momento che non riuscivo a concentrarmi in nessun modo: ad intervalli quasi regolari cadevo in una sorta di iperventilazione, gli occhi sbarrati che trasmettevano le stesse immagini che mi tormentavano da tutta la notte come la filmina inceppata di un vecchio proiettore.

Dovetti ripetere più volte la scusa del “Oh, tranquilla Jam, sono solo un po' affaticato. Sai, a lavoro mi fanno fare il culo ultimamente.” per cercare di allentare i sospetti della mia amica.

Quando il naso iniziò a sanguinare di nuovo, diedi la colpa all'ansia pre-esame.

Cristo, quell'epistassi continua iniziava a preoccuparmi seriamente, avrei dovuto vedere un dottore il prima possibile.

Iniziava a farsi buio quando finalmente chiudemmo anche l'ultimo tomo di fisica.

Jamia gettò un'occhiata preoccupata alla finestra che iniziava ad incorniciare un crepuscolo violaceo come lo schermo di un cinema.

-Frankie lo so che è tardi, ma...insomma, non è molto sicuro per una ragazza tornare da sola coi mezzi a quest'ora...-

Si morse un labbro pregandomi con lo sguardo, evidentemente sperando in una risposta affermativa da parte sua.

Un brivido violento scosse il mio corpo al solo pensiero della strada costeggiata dal bosco, delle ombre, del grido...

Cercai di ribattere, ma il suo sguardo era talmente supplichevole che non potei farne a meno.

Sospirai pesantemente, frugando nelle tasche della felpa in cerca delle chiavi della mia auto malamente parcheggiata in cortile dopo il trauma di ieri sera.

Buttai giù qualche pillola per l'ansia mentre lei si dava una sistemata in bagno: ne avevo sempre una scatola in casa, ero sempre stato molto ansioso sin da quando ero un bambino. Certe volte non riuscivo a farne a meno per evitare una crisi di panico.

Una crisi di panico che in quel momento, mi sembrava più una cosa certa che una patologia abbastanza comune.

 

Man mano che mi avvicinavo al tratto di strada in mezzo agli alberi la salivazione diminuiva, il battito accelerava e l'ansia si faceva martellante.

Giunto al limitare del bosco strinsi le nocche sul volante, fino a farle diventare bianche, conficcando le unghie nella pelle della testata della manopola del cambio.

Respirai profondamente, pestando sull'acceleratore fino a superare il limite consentito davanti alla piazzola dove mi ero quasi inconsciamente fermato la sera prima.

Ignorai prontamente Jamia che mi guardava preoccupata dal sedile del passeggero, fingendomi tranquillo e rilassato.

O qualcosa di simile.

 

Il paese dove viveva Jamia era molto, molto carino. Accogliente, con la tipica aria di vicinato felice e stronzate varie. Le villette a schiera dai toni neutri, le vecchiette a passeggio coi cani...niente a che vedere con il mio, di isolato: ipermoderno, tutto cemento e barre d'acciaio.

In uno scatto di follia, quasi le chiesi di lasciarmi dormire da lei: tutto, pur di non dover riattraversare il bosco da solo.

Ma viveva ancora coi suoi genitori: sarebbe stata abbastanza imbarazzante come cosa.

Mi fermai a prendere un caffè di cortesia, anche se la caffeina era l'ultima cosa di cui avevo bisogno in quel momento, poi mi misi al volante, tremando leggermente.

 

Per la prima metà del tragitto tutto andò bene. Non vidi niente di strano o inquietante, nemmeno nei dintorni della piazzola che mi aveva provocato così tanti problemi la notte prima.

Ero quasi giunto al limitare del bosco, cominciavo a rilassarmi: il piede allentava la pressione sul pedale, i polpastrelli iniziavano a seguire il motivo trasmesso dalla radio tamburellando sul volante.

Quando li vidi. Di nuovo.

Occhi che mi fissavano curiosi.

Che mi chiamavano.

Occhi gialli che non intendevano distrarre lo sguardo.

Un gemito isterico oltrepassò la barriera delle mie labbra, mentre un pugno colpiva il volante, facendo sbandare la macchina leggermente.

Svoltai violentemente, parcheggiando nella corsia preferenziale e sbattendo la portiera dell'auto con evidente esasperazione.

Come da copione, la creatura si ritirò nelle profondità della foresta con un lamento.

Eppure non riuscivo ad andarmene. Iniziai a tremare di rabbia, muovendo un passo nel sottobosco secco e scricchiolante di foglie.

Osservai attentamente i tronchi degli alberi, ricoperti di licheni e rampicanti: erano tutti straziati da segni profondi: la corteccia scorticata da impronte di unghie.

Quello che qualche attimo prima era sfuggito al mio sguardo era qualche metro più avanti, nascosto nell'ombra, emettendo i lamenti più inquietanti che poteva.

Riempii d'aria i polmoni che andavano a fuoco, e dalla mia gola uscì un grido rabbioso di cui non credevo nemmeno di essere capace.

-Chi sei?-

Nessuna risposta. Solo il rumore di unghie contro il legno, piedi (perchè si, si tratta di piedi) che spezzano rametti, come se il mio interlocutore stesse saltellando in giro, per niente turbato dalla situazione.

Un pazzo.

-CHI CAZZO SEI, MALEDETTO BASTARDO?-

Urlai ancora per un po', finchè i polmoni non minacciarono di scoppiare.

Poi m'inoltrai correndo verso il centro del bosco, con i rami più bassi e gli arbusti che mi sferzavano il viso.


_______________________
Babababammmmmmmmmmm...*Musichetta paurosa*
Spero di avervi lasciato il dubbio/la curiosità/la quellachevipare così magari continuate a leggere...colgo l'occasione per ringraziare le sei persone che hanno recensito: mi pare un ottimo inizio per una fic che è molto più che sperimentale, spero che non mi abbandonerete e che troverete tante belle amichette con cui recensire(?) *Sguardo da madre amorevole* 
Fatemi sapere che ve ne pare!
xoxo
Ash

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Capitolo 3
*** 3. ***


Ok, ok, ok! Siete libere di lapidarmi, crocifiggermi, darmi fuoco(??? sempre ammesso che a qualcuno piacesse seriamente questa fic) e tutto quello che volete, ma non ho avuto tempo!
Mi dispiace di essere sparita praticamente per due mesi e di ripresentarmi ora con un capitolo così corto, ma è un capitolo importante(?) quindi spero mi perdonerete.
Cercherò di aggiornare periodicamente, promesso!
Ora vi lascio a questo...coso.
Ci becchiamo sotto!
xoxo
Ash

 

3.

 

Inoltrarmi un un bosco di notte. Da solo. Per inseguire un povero pazzo con l'idea di dargliele di santa ragione per le nottate insonni che mi ha fatto passare.

Che cosa da pazzi!

Eppure non riuscivo a fermare i miei piedi, che continuavano a correre verso un luogo che non conoscevo, guidati dai rumori che sentivo a qualche metro di distanza da me.

Non so per quanto tempo corsi, ma quando arrivai in una piccola radura, nascosta dai muri legnosi e scuri degli alberi, i polmoni minacciavano di esplodermi in petto.

Mi chinai, poggiando i palmi delle mani sulle ginocchia, nel disperato tentativo di recuperare quanto più ossigeno il mio apparato respiratorio era in grado di sopportare.

Fu allora che lo vidi.

Penzolava da un albero, le ginocchia piegate a fare presa su un ramo discretamente grosso, e le braccia abbandonate verso il basso che ondeggiavano avanti e indietro con un moto lento che per qualche motivo mi ricordò il rumore ritmico e pacato della risacca del mare.

La punta del naso e alcune ciocche di capelli neri come la pece incrostate di fango secco, la pelle pallida da far paura, a tratti quasi iridescente sotto la luce debole della luna calante di quella notte.

Mi guardava con un'espressione curiosa in viso: il sopracciglio destro lievemente inarcato gli dava un'aria decisamente stralunata, che si accostava perfettamente al suo modo di muoversi.

Qualcosa di molto simile ad un urletto di sorpresa mista a terrore mi sfuggì dalle labbra quando si lasciò scivolare dal ramo, atterrando senza fare rumore sul muschio che ricopriva le sponde del laghetto dopo aver fatto una capriola a mezz'aria da un'altezza di almeno cinque metri.

Il lago.

Lago.

Un lampo di consapevolezza -o qualcosa del genere attraversò la mia mente: mi trovavo sulle sponde di quel lago.

Cercai di mantenere la calma, o quantomeno di dimostrarmi in grado di gestire la situazione: farmi vedere spaventato, per quanto quel ragazzino (avrà avuto all'incirca la mia età) potesse sembrare innocuo, non mi sembrava una buona idea.

Lo tenni d'occhio mentre si spolverava con studiata noncuranza il giubbino di pelle scura per poi alzare gli occhi su di me.

-Uh, ciao.-

Come a confermare le mie ipotesi, anche la sua voce non stonava col resto dell'insieme: melliflua, con un non so che di malsano nell'intonazione.

Rimasi sbigottito per alcuni secondi, deglutendo rumorosamente mentre meditavo accuratamente sul comportamento da adottare.

-Finalmente!-

Lo fissai per altri due secondi, per poi inarcare un sopracciglio.

-Finalmente che?-

Lui arricciò il naso, vagamente infastidito dal taglio pungente della mia risposta.

Alzò le spalle, e trotterellò tranquillamente fino alla sponda del lago dove si sedette sui talloni, immergendo le mani nell'acqua nera e -ci avrei scommesso- gelida.

-Non trattarmi male!- Arricciò il naso di nuovo. Questo, sommato al tono puerile con cui aveva pronunciato quella frase, gli fece assumere un che di veramente infantile.

Mi fece venire i brividi.

Il mio istinto mi diceva di andarmene da lì, e in fretta. Ma non riuscivo a muovermi.

Mi schiarii la voce e mi sforzai di parlare:
-Chi sei?-

O cosa sei, pensai.

Sembrò non ascoltarmi, troppo preso a cercare di acchiappare con le mani un povero pesciolino che nuotava tranquillo sotto il pelo del'acqua.

La cosa inquietante fu che ci riuscì.

Lasciò penzolare il povero animale davanti ai suoi occhi per qualche istante, tenendolo per la coda con il pollice e l'indice e osservandolo interessato.

-Ti piacciono i pesci rossi?- Alzò gli occhi su di me.

Pazzo. Completamente, irrimediabilmente, innegabilmente pazzo.

-Ti ho fatto una domanda.- Ringhiai.

-Ma io non l'ho sentita.- Alzò le spalle e ributtò il pesciolino morente in acqua, per poi osservarlo mentre si nascondeva nelle profondità dello stagno con un guizzo veloce. -A me piacciono, i pesci rossi.-

-Dove abiti?-

Tentai di nuovo: se lui ignorava le mie domande, tanto valeva che io provassi ad evitare le sue osservazioni.

Lui si alzò e si prese il suo tempo per pulirsi le unghie dal fango.

-Che schifo le unghie sporche.- Commentò con una smorfia.

Scossi la testa: quella conversazione non aveva né capo né coda. Mossi un passo all'indietro, tenendo lo sguardo fisso sulla sua figura scura quanto l'ombra che l'avvolgeva.

-Senti, io me ne vado, eh...- Azzardai, preoccupato della sua possibile reazione.

Improvvisamente sembra totalmente interessato: mi si drizzano i peli del collo quando vedo un sorriso inquietante dipingersi sulle sue labbra.

-Tanto torni.-

Scossi la testa: povero illuso. Non avrei rimesso piede in quel bosco nemmeno sotto tortura.

Tanto meno di notte.

-Non credo proprio. Ciao, eh.-

Mi mossi lentamente all'indietro, senza dargli le spalle.

-Ci vediamo, tesoro.- Mi rispose con la stessa voce melliflua e non perfettamente leggibile con cui mi aveva salutato al mio arrivo.

Quando finalmente mi decisi a voltargli la schiena, lo sentii ridere.

Una risatina bassa, di gola, che mi mandò una scarica di brividi di terrore lungo la schiena.

Aspettai di essere abbastanza coperto dal buio, e cominciai a correre.

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Oddio, ma è veramente tanto corto! Vabbè, è quello che sono riuscita a spremere c.c
Oh, e salutate il Gerard della fic!
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