Soggiorno a Midgard

di IosonoOmbra
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Gentilezza inusuale ***
Capitolo 2: *** la pazza e il maniaco ***
Capitolo 3: *** Primo giorno di follia ***
Capitolo 4: *** I do what I want! ***
Capitolo 5: *** Un lavoro per il pivello ***
Capitolo 6: *** Nuovo piatto del giorno: cuore al sangue ***
Capitolo 7: *** la casetta di Hänsel e Gretel ***
Capitolo 8: *** Sono il tuo sacrificio, dimmi la verità. ***
Capitolo 9: *** Lo spartito del cuore ***
Capitolo 10: *** In Vino Veritas ***
Capitolo 11: *** Il passato non si distrugge con il fuoco ***
Capitolo 12: *** Il legittimo re di Asgard ***
Capitolo 13: *** Boccette di sentimento ***
Capitolo 14: *** Lo Spirito della fine ***
Capitolo 15: *** Epilogo: Fuoco indomabile. ***



Capitolo 1
*** Gentilezza inusuale ***


Vi avverto che questa serie è collegata, almeno per questo primo capitolo, a questa fanfic che ho scrito: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1062044&i=1 . Ma se non avete voglia di leggerla (ci sono un po' di scene di violenza) basta che sappiate che Loki, durante il ritorno ad Asgard, è stato rapito dai Chiaturi e torturato a causa del suo fallimento. Thor alla fine è andato a liberarlo, e lo ha riportato a casa.



Gentilezza inusuale
 
Loki riposava. Il suo petto saliva e scendeva seguendo un respiro regolare.
Thor sedeva al capezzale del fratello, e lo guardava leggermente accigliato.
Era stata una nottataccia.
Per entrambi.
Thor aveva seguito ansioso tutte le procedure dei medici, anche se non capiva nulla di quello che facevano. Loki era sempre stato il primo della classe, il cervellone, non lui. Lui era l’uomo d’azione, quello che bramava il sangue del proprio nemico, e la vittoria in guerra. Il fratello era sempre stato più posato, paziente... o almeno all’apparenza.
Thor lo conosceva più di chiunque altro e sapeva che dentro il suo petto si celava un cuore da guerriero. Un guerriero che combatteva sempre in prima fila nelle battaglie, ma che veniva trattato al pari di un soldato delle retro file.
Loki aveva combattuto, lo aveva sempre fatto nella vita.
E per quante volte era stato sconfitto, piegato, sottomesso, non c’è mai stata una volta che non si fosse rialzato in piedi.
E tutte le volte ricominciava a lottare.
Loki era un guerriero dalle mille sconfitte, ma la sua forza, la sua vera forza, era che ogni volta risorgeva.
 
L’esperienza sul pianeta dei Chitauri lo aveva provato, sia nel corpo che nella mente.
I medici constatarono con orrore quali torture avesse dovuto sopportare, ma la cosa più impressionante era il fatto che fosse riuscito resistere.
La sua ferrea volontà gli aveva fatto sopportare qualsiasi cosa.
“Quella detestabile testa bacata ti ha salvato la vita. – Pensava Thor mentre stava al capezzale del letto del fratello. – Ora capisco perché gli dei ti hanno fatto così testardo...”
La psiche di Loki stava tornando in condizioni ottimali nel giro di pochissimo tempo, e anche la rigenerazione riprese alla velocità consueta, senza lasciare neppure un segno sulla perfetta pelle bianca del dio.
Thor volle sapere tutto quello che aveva subito, perché aveva un piano.
Avrebbe parlato in difesa di Loki al suo processo, e avrebbe convinto la giuria a non condannarlo troppo duramente.
Dopo un accesa discussine, che vide il popolo di Asgard dividersi in due schieramenti netti, l’ultima parola fu data a Odino, che pronunciò il verdetto.
 
Loki ormai dormiva da quasi 6 giorni.
Il suo corpo si era completamente ristabilito e i medici chiamarono subito Thor appena si resero conto che Loki si stava svegliando.
Il dio moro aprì lentamente gli occhi e si guardò intorno. Quell’idiota di suo fratello lo fissava con aria preoccupata e accigliata.
“Come ti senti?” fece Thor, preoccupato.
“Bene...” Loki sospirò sonoramente e distolse lo sguardo.
“Sei sicuro? Hai passato un esperienza terribile e...”
“Ho detto che sto BENE!” gridò Loki verso il fratello.
Poi abbandonando la testa sul cuscino, distolse lo sguardo e bisbigliò:
“Detesto quando fai così...”
Thor si accigliò, sebbene ci provasse con tutto se stesso, spesso non capiva cosa passasse per la testa di suo fratello.
“Così come?”
Loki si alzò a sedere sul letto, e arricciando il naso disse:
“Quando ti comporti in questo modo così... fraterno! – Fece un gesto con la mano nella sua direzione. – Con questo tuo cuore così fragile che sembra debba spezzarsi da un momento all’altro! Io – non – ho – bisogno – di – protezione!” scandì le ultime parole con rabbia. Incrociò le braccia e si voltò dall’altra parte.
Ci fu un attimo di silenzio durante il quale Loki teneva il muso, e Thor sembrava stesse pensando a qualcosa di veramente profondo.
“Ne ho bisogno io...” sussurrò il potente dio dei fulmini.
“Cosa?”
“Io ho bisogno di sapere che stai bene. Non sono forte abbastanza per sopportare... non sono forte abbastanza per...” Le parole gli morirono in gola.
Perché parlare con Loki non era facile come parlare ai suoi compagni di battaglia?!
Il dio delle malefatte sembrava volesse dire qualcosa, poi ci ripensò, arrossì lievemente e mordendosi il labbro distolse lo sguardo.
Le parole che il fratello aveva detto qualche giorno fa, dai Chitauri, ancora risuonavano dentro la sua testa. La possibilità che Thor lo ammirasse era qualcosa di inconcepibile per lui, ma non per il suo cuore, che inconsciamente si riscaldava di gioia.
Il dio era ancora immerso nei suo pensieri quando sentì una forte botta sulla schiena.
Il suo corpo per un attimo risentì le vecchie ferite, e Loki si lasciò sfuggire un singulto.
Il dio si girò furioso verso il fratello e urlò:
“Ma che diavolo ti prende?! Sei impazzito?!”
Thor sorrideva radioso, e sembrava aver riacquistato tutta la sua forza, e il suo coraggio.
“Era solo un’amichevole pacca sulla spalla, fratello! Per constatare che tu stessi davvero bene! Ma basta chiacchiere, dobbiamo andarcene! Il Bifrost ci aspetta!”
Thor si alzò in piedi e già si incamminava verso la porta quando Loki sbottò:
“Il Bifrost... ma cosa... fratello, andare dove?!”
Thor si limitò a sorridere.
Loki non sapeva perché, ma di fronte alla sua luminosa espressione non riusciva a tranquillizzarsi, e sentiva di avere un cattivo presentimento.
“Vedrai che ti piacerà!” disse Thor, quasi leggendo i suoi pensieri.
Il fratello se ne andò come un fulmine dalla stanza, e Loki rimase da solo.
Perplesso e dubbioso si passò le mani tra i capelli.
“No, fratello... sono sicuro di no.”
 
 
Un corteo di guardie lo aspettavano fuori dalla porta.
“Ah ecco... – Disse facendo un sorrisetto ironico. – Mi sembrava che non potessi cavarmela così facilmente.”
Il corteo si mosse fuori dal castello e attraverso la città. Loki si stupiva della varietà di sguardi che riceveva dai passanti. Alcuni lo guardavano disgustati e pieni di odio, un sentimento che conosceva fin troppo bene, e altri con il sorriso negli occhi... come se volessero incoraggiarlo.
“Incoraggiare me?! Cosa diavolo sta succedendo?” cominciò a pensare Loki, evidentemente innervosito da tutto quel mistero.
Un altro punto su cui avrebbe voluto discutere era il fatto che non portasse manette, o catene. Non avevano paura che potesse ribellarsi? Impazzire, magari? Avrebbe potuto creare una grande esplosione come diversivo, fuggire nella confusione e farsi teletrasportare dal Bifrost ricostruito su qualche pianeta lontano.
Loki si guardò la mano e fece una prova. Nel suo palmo nacque una piccola scintilla di fuoco verde: aveva ancora i poteri.
Il dio non ci poteva credere. Perché i saggi non lo avevano chiuso in una delle prigioni più profonde di Asgard? Avrebbero potuto condannarlo a morte, ci sono tanti modi per uccidere un dio. Cosa significava quel clima rilassato e pacifico?
“Forse mi rimandano dai Chitauri...” soppesò Loki, senza crederci sul serio.
In definitiva la domanda che più lo ossessionava era:
“Perché tutta questa gentilezza?!”
 
Arrivarono al Bifrost, e oltre al solito guardiano musone, c’erano anche sua madre, Odino, e il fratello. Loki li guardava interrogativo.
Le guardie si fecero da parte e se ne andarono lasciandolo da solo di fronte alla sua famiglia.
La madre, che sembrava non poter aspettare oltre, si lanciò con le lacrime agli occhi ad abbracciarlo. Loki se ne stupì, ma cercò ugualmente di tranquillizzarla.
“Cosa sta succedendo?” chiese poi.
“Perché mi avete riservato questo gentile trattamento? Non riesco davvero ad immaginarne il motivo.”
Fu Odino il primo a parlare, con tono serio e grave.
“Loki, figlio mio, hai tradito la tua razza e la nostra fiducia. Prima hai lasciato che entrassero i Giganti all’interno di Asgard con la tua magia, poi li hai fermati e hai cercato di sterminarli. Hai complottato assieme ai Chitauri per la distruzione di Midgard e per poco non ci sei riuscito.” Fece una pausa molto solenne, che stava a sottintendere qualcosa del tipo “mi hai deluso, ma..”
“Ma sei pur sempre mio figlio, e sebbene tu continui a pensare il contrario, ti voglio bene come se fossi del mio stesso sangue.”
Loki a braccia incrociate distoglieva lo sguardo.
“La giuria ha deciso di darti una seconda possibilità e di esiliarti su Midgard fino a tempo indeterminato.”
Il dio moro boccheggiò e perse l’equilibrio: era peggio di quanto pensasse.
“Non potreste rinchiudermi in qualche prigione sotterranea? Oppure esiliarmi in un pianeta deserto? Preferirei qualsiasi altra cosa piuttosto che questo...” accennò un sorrisetto, ma era evidentemente disperato.
“Loki, non deludermi ancora. Dimostra di essere mio figlio.”
Odino distese le mani d’avanti a Loki e scintille verdi uscirono dal suo corpo.
Addio poteri.
Odino si allontanò solenne, e anche la madre lo seguì, non prima però di aver lasciato al figlio un bacio di buona fortuna sulla guancia.
“Ti stai divertendo?” chiese il dio, a denti stretti, e con un tono omicida nella direzione del fratello.
Thor sorrideva e sembrava se la stesse proprio godendo.
“Certo che no...”
“Cosa gli hai detto per fargli prendere una simile decisione?” disse, spazientito.
“Hai un espressione strana fratello, qualcosa non va?”
“Qualcosa... Qualcosa che non va?! Secondo te il passare la vita su uno squallido pianeta come Midgard, senza poteri, non è qualcosa che non va?!” Loki non sapeva se ridere o disperarsi. Quella situazione era folle!
Ma sentiva il sangue salirgli alle tempie e pensò che sarebbe stato proprio liberatorio un bel pugno sul muso del fratello.
“Hai passato due settimane e mezzo dai Chitauri, Loki. Midgard non sarà tanto peggio... e poi io verrò con te.”
“Non sarà tanto peggio...” Borbottò tra sé, stizzito. Poi recepì l’ultima parte della frase e disse: “Eh?! Cosa?! Frena un momento, verrai con me?!”
“Si, almeno per i primi tempi. Mi hanno concesso una specie di.. vacanza.”
“E cosa sarebbe una vacanza?!”
“Una cosa dei midgardiani.”
Loki era senza parole, cosa veramente difficile da fare al dio delle malefatte.
Senza osare chiedere altro si avvicinò insieme al fratello al Bifrost. Il guardiano fece azionare il portale, e i due sparirono da Asgard.

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Capitolo 2
*** la pazza e il maniaco ***


Nuovo capitolo! Adesso finalmente comincia a delinearsi la storia.. e a farsi più interessante! >_< ho già qualche ideuzza carina ma se avete consigli per la storia diteli pure!! :)


La pazza e il maniaco
 
Piombarono sulla terra come dei meteoriti. Ora che era senza poteri Loki rischiava di farsi male sul serio cadendo a quella velocità, e quindi Thor gli attutì la caduta avvicinandolo a sé. Riusciva ancora a farlo entrare dentro il suo abbraccio come un tempo, quando erano bambini e Loki si rifugiava nel letto del fratello, per paura del buio.
Quando il dio delle malefatte riaprì gli occhi e si trovò contro il petto di Thor si alzò di scatto urlando scandalizzato:
“Cosa pensavi di fare, idiota?!”
“Potevi farti male.”
Thor era stupito del rossore sul viso del fratello.
“Deficiente!”
Andò via borbottando e pestando i piedi come un bambino.
“Dobbiamo andare dall’altra parte!”
“Al diavolo!”
 
Era notte quando arrivarono sulla terra, infatti in questo modo Thor sperava di non attirare l’attenzione dei midgardiani. Sapeva infatti che gli uomini erano piuttosto sensibili al tema “alieni”, e voleva che il soggiorno di Loki fosse il più tranquillo possibile. Serena stava fuori in terrazza con la sigaretta tra le dita, e una fetta di torta in grembo a godersi il fresco profumo estivo, quando una baleno di fiamma attraversò il cielo. La ragazza per poco non cadde dalla sedia, si alzò in piedi di scatto, e il piatto andò in frantumi per terra.
Afferrò con entrambe le mani il parapetto e si mise in ascolto. Chiunque avesse visto quella luce avrebbe creduto di vedere una bella stella cadente, ma non questa ragazza. Serena tese le orecchie, ispirò profondamente il fumo e se ne riempì i polmoni, lo tenne così fino a quando non sentì un tonfo in lontananza. Tremò, buttò fuori il fumo e il suo sguardo sicuro tradì una forte emozione.
Lanciò la sigaretta nella notte, e corse in casa. Raccolse strumenti a casaccio e varie borse. Si fiondò fuori senza neppure prendersi la briga di chiudere a chiave. Quella era la sua occasione. L’occasione per salvare il suo nome e quello di suo padre! “E’ successo! Finalmente è successo! Che il diavolo mi porti, non lo perderò!”
 
I due asgardiani erano dovuti atterrare lontano dalla città, sempre per evitare di essere visti. A Thor non dispiaceva che qualche midgardiano gli domandasse perché i due uomini fossero caduti dal cielo, ma pensò che Loki non fosse dell’umore adatto. Si allontanarono velocemente dal luogo dell’impatto e raggiunsero una strada.
Il dio delle malefatte si guardava attorno e grazie agli occhi ereditati dai giganti, cercava di farsi un idea del posto in cui era stato esiliato. Fino all’orizzonte e per chilometri si stendevano morbide colline, dolci come dune di sabbia. La terra era nera e corposa, e l’aria profumava di fiori d’arancio. Non si udiva nessun rumore, oltre quello degli animali notturni, di qualche civetta e dei loro passi.
“Se c’è qualche uomo devono essere particolarmente tranquilli... qui è molto diverso da New York.” Pensò Loki, mentre risalivano una collina.
Gli asgardiani non potevano scegliere posto migliore per il suo esilio. In una grande metropoli sarebbe stato più facile nascondere la propria presenza ai potenti occhi del guardiano, mentre in un posto con una densità abitata così bassa, non aveva scampo.
Per un momento quasi sentì lo sguardo di Heimdallr sulla sua nuca, Loki si voltò e guardò sprezzante il cielo nero.
“Loki, siamo quasi arrivati!”
 Arrivarono in cima alla collina e ai loro occhi emerse una città. Non piccola come aveva immaginato, e anzi era abbastanza grande come centro urbano, tuttavia era tranquilla come un corso d’acqua di montagna. Le case entravano nella collina e si amalgamavano così bene con la natura che non le avresti mai dette delle costruzioni fatte dall’uomo, ma piuttosto una gentile concessione della natura.
Loki non aveva molta esperienza di architettura midgardiana, e anzi del loro miserabile pianeta non sapeva quasi niente, ma quando confrontò mentalmente i freddi e meccanici palazzi di New York con queste piccole e accoglienti casupole, si domandò per un attimo se fossero arrivati sul pianeta giusto.
“Che te ne pare?”
“E’ assolutamente... disgustoso! Non sopporterò un giorno e una notte questa calma e questa pacifica convivenza!”
“Infatti la dovrai sopportare per parecchio...”
Loki non ribatté ma già cominciava a farsi strada dentro di lui il desiderio di fare dei guai, e cominciò a torcersi disperatamente le mani. Era la sua natura! Che poteva farci? Credevano davvero che il dio delle malefatte non riuscisse a fare danni anche in un posto così tranquillo? O che magari potesse cambiare? Redimersi? Loki giurò a se stesso che gli avrebbe fatto cambiare idea, e che in un modo o in un altro sarebbe fuggito dal quel posto ributtante.
 
I due asgardiani percorsero la strada principale della città, le case erano piccole e accoglienti, tutte vicine e disposte una a fianco dell’altra. Morbide come le colline, e fatte di pietre bianche e mal tagliate che sembravano gesso. Girarono l’angolo e dopo un po’ di cammino arrivarono ad una casa un po’ più grande delle altre, nascosta sotto ad una piccola collina. Aveva un grande albero di mele fuori, dal tronco tutto attorcigliato e rigirato su se stesso, un giardino abbastanza grande, e un vialetto fin troppo ben curato.
“Per caso è venuta nostra madre a sistemare la casa prima del nostro arrivo?” il tono di Loki voleva essere ironico ma Thor lo guardò in un modo fin troppo eloquente.
“Anche se ti avessimo spedito in mezzo al deserto sarebbe stata capace di andare a sistemarti i granelli di sabbia.”
Entrarono e l’ambiente che si aprì d’avanti a loro era molto diverso da quello che Loki aveva immaginato. Mentre fuori l’aspetto era semplice, rustico e quasi spartano, dentro la casa era praticamente tecnologica. Sembrava un piccolo e accogliente appartamento di città. Le pareti curve e bianche riflettevano la luce del bancone di metallo della cucina, del tavolo di cristallo, e del camino di acciaio. Il pavimento era in parquet scuro, c’era un grande divano verde, d’avanti ad una televisione al plasma. La libreria era enorme e correva quasi su tutte le pareti.
Loki non sapeva come interpretare quello che vedeva.
“E questa sarà la mia abitazione per i prossimi tempi?”
“Esatto.”
“Ma... non vi è sembrata un po’ troppo confortevole per un traditore, e un esiliato?”
Loki andò verso la cucina e aprì il frigo: pieno di ogni strano cibo midgardiano. Lo richiuse disgustato.
“Non per te. E poi non sai ancora che...” Thor sorrise, ed incrociò le braccia.
Loki sentì un brivido scendergli lungo la schiena.
“Che dovrai lavorare e guadagnarti da vivere come un midgardiano.”
Il dio delle malefatte, a braccia conserte, abbassò un attimo il viso senza togliere gli occhi da Thor. Poi sorrise, e si avvicinò a passi cauti:
“Stai scherzando.”
“No, è la tua condanna. I saggi pensavano che...”
“I saggi vogliono svilirmi! Io che lavoro e mi guadagno da vivere?! – Si lasciò sfuggire una risata distorta. – Thor, certe volte penso che non mi conosci.”
Il dio biondi lo guardò serio, e appoggiando una mano sulla sua spalla disse:
“Adesso riposati, io esco.”
“Esci? E dove vai?!”
Thor gli fece l’occhiolino e se ne andò sbattendo la porta, come faceva sempre.
“Ah, vai dalla midgardiana...”
Il dio moro era da solo, in una prigione fin troppo comoda, e che non lo faceva rilassare. Sentiva ancora tutti i muscoli intorpiditi per quello che gli avevano fatto i Chitauri e decise di farsi una doccia. Si tolse i vestiti e andò sotto il getto di acqua calda. Poggiò la fronte contro il muro e lasciò che l’acqua portasse via tutto quello che provava, tutti i sentimenti, quelle inutili sensazioni che gli infiammavano il cuore, e che lo lasciassero vuoto, come un guscio. Chiuse gli occhi e per un momento quasi non si addormentò se non fosse che sentì una specie di trillo.
Loki tese le orecchie e lo sentì di nuovo, più prolungato stavolta. Come si chiamava quel suono? Lo usavano i midgardiani per capire se c’era qualcuno alla porta... campanello! Loki si avvolse l’asciugamano attorno alla vita,uscì dalla doccia e si diresse verso la porta senza preoccuparsi della scia d’acqua che lasciava il suo passaggio.
Aprì senza pensarci due volte.
Sulla soglia di casa sua c’era una ragazza, piccola e delicata come uno scricciolo. Aveva morbidi capelli ricci rossi, lentiggini vivaci sulle guance, e occhi brillanti e forti.
“Buonasera, sono qui per...” la ragazza si zittì. Squadrò Loki dalla testa ai piedi e disse:
“Sei per caso un maniaco?”
“Cos’è un maniaco?” chiese Loki scocciato.
La ragazza masticava una gomma, fece una bolla e la fece scoppiare.
“Non importa. Sono qui in qualità dello SREA padre e figlia.”
Loki alzò gli occhi al cielo e sopirò.
Una delle cose che detestava di più di Midgard erano le sigle.
La ragazza alzò un sopracciglio e lo guardò come per dire “Ma non lo sai?”
“Lo SREA, lo studio per la ricerca di entità aliene! Sei stupido o cosa?!”
Loki cominciava ad innervosirsi, e gli sorrise pieno di astio.
“Senti, forse non sei di queste parti, ma per caso hai visto una strana luce attraversare il cielo circa un ora fa?”
“No, perchè? Avrei dovuto?”
“No cazzo... no che non avresti dovuto.”
La ragazza fece scoppiare un’altra bolla con la gomma. Era vestita in modo davvero bizzarro, e nonostante Loki non fosse un esperto di moda terrestre, se ne accorse.
Aveva indosso un’enorme tuta da meccanico, evidentemente non sua, con tutti pezzi di metallo e ferraia appiccicati addosso. Era enorme per lei e riusciva a non perderla per strada solo grazie a tante cinghie e fasce che si era legata addosso.
“Dove vai conciata così?”
“E’ il mio abbigliamento da ricercatrice, altrimenti gli alieni possono prendere il controllo del tuo corpo! E devo essere preparata a qualsiasi evenienza, cazzo!”
A Loki sfuggì una risatina, quella pazza era l’esemplare più interessante che avesse mai incontrato su Midgard.
“Lo sai, sei davvero irritante.”
La ragazza lo squadrò.
“Anche tu, e sei anche... SOSPETTO!” lo disse quasi urlando e dopo aver preso una penna, scribacchiò qualcosa su un gruppo di fogli sparsi. Loki cercò di vedere cosa scrivesse, ma la ragazza gli lanciò un occhiataccia e mise la mano sopra le parole.
“Come hai detto di chiamarti?”
“Non l’ho detto...”
La ragazza lo squadrò di nuovo, mise i fogli sotto braccio e allungando la mano disse:
“Io mi chiamo Serena, e tu?”
Il dio prese la mano della ragazza e disse:
“Loki, mi chiamo Loki.”
“Come il dio delle malefatte?” ci pensò un po’ su e aggiunse:
“Bel nome.”
Raccolse tutte le sue scartoffie e gli diede un piccolo pugno sulla spalla.
“Buona serata, Loki il maniaco...”
Il dio sorrise placido.
“Buona serata a te, Serena la pazza...”
Detto questo gli chiuse praticamente la porta in faccia.
Quello strano incontro lo aveva rincuorato. Almeno ci sarebbe stato qualcosa di interessante da fare in quello sputo di posto.
Tutta la stanchezza gli piombò improvvisamente sulle spalle, e lo fece barcollare.
Quella forma mortale era debole, così debole...
Sentì le palpebre pesanti e si avvicinò alla camera da letto. Socchiuse la finestra e si buttò sul soffice materasso. Si avvolse tra le coperte e abbracciò il cuscino, come faceva sempre. Il profumo della notte che entrava in camera gli accarezzava la fronte, e gli baciava il viso.
Era molto... piacevole.
Pensò che forse sarebbe anche riuscito ad abituarsi a quella vita.
Dimenticare l’odio, la violenza, la vendetta.
Forse... o forse no.

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Capitolo 3
*** Primo giorno di follia ***


terzo capitolo! fuck yeah! Finalmente Loki comincia ad accorgersi in che strano posto è capitato... eheh... ne accadranno delle belle.. :) comunque davvero non so dove andrò a parare con questa storia.. mi accorgo ogni giorno di più che Loki mi guarda superbo e se ne va per i cavoli suoi.. in giro.. e io non posso fare altro che seguirlo e scrivere.. Spero vi piaccia! Baci!!!!


 
Primo giorno di follia
 
Loki aprì gli occhi e si ritrovò su un tavolo operatorio, saldamente legato, braccia e gambe. La forte luce delle lampade al neon lo accecava e non riusciva a capire cosa stesse succedendo. Poi sentì il rumore di una lama rotante. Si guardava attorno ma la luce gli bruciava gli occhi. La lama cominciò a fargli qualche ferita leggera, e sembrava che giocasse, non sapendo bene dove tagliare. Loki era in preda al panico. Sentiva il cuore bussare con forza contro il suo petto, e un gelido terrore cominciare ad attanagliarli il cervello. Cercò di ribellarsi, e di gridare, ma sulla bocca aveva ancora quella maledetta museruola. Cosa stava succedendo?! I Chitauri erano tornati per finire l’opera? Non poteva succedere un'altra volta.
Sentì la lama sprofondare più duramente nel suo petto, provocandogli un dolore atroce e lancinante. Non poteva succedere di nuovo... non poteva... non...
“NO!” Loki si svegliò di scatto nel suo letto, ansimando e con il cuore impazzito. La luce che entrava dalla finestra lo accecava, e si accorse anche del perché nel sogno si sentisse legato ed oppresso. Thor era accanto a lui, e gli era praticamente rotolato addosso.
Il dio biondo dormiva come un sasso, infatti non aveva neppure sentito gridare il fratello.
Loki lo guardò per un attimo senza realizzare il fatto che si trovassero entrambi nudi nello stesso letto ma, appena il cervello gli si riaccese, con forza inaudita, che anche lui si meravigliò di avere, scaraventò il povero Thor per terra.
Quello mugugnò un attimo, sfessurò gli occhi e borbottò con la testa sul pavimento.
“Ancora cinque minuti...”
Loki rise isterico e furibondo.
“STUPIDO FRATELLO, SVEGLIATI!”
Thor aprì un occhio, e si sollevò lentamente chiaramente infastidito.
“Che ti prende Loki, perché urli così?”
“PERCHE’ ?! FINO AD UN ATTIMO FA ERI NUDO NEL MIO LETTO, THOR!”
“...mmmh, e allora? Perché la cosa ti sconvolge tanto? Siamo fratelli, no?”
Loki gemette, disperato. Non si poteva sperare di fargli capire a parole, c’era bisogno di azioni più concrete. Andò in bagno, riempì un secchio di acqua gelata e gliela versò praticamente addosso.
“Loki, ma sei impazzito?!”
Sbraitò, stavolta svegliandosi sul serio, Thor.
Il dio moro sorrise sadico.
“Questa è stata la stessa cosa che ho provato io, svegliandomi nel mio letto e trovandomi addosso un orso come te! Da oggi si dorme sul divano!” disse, indicando imperioso l’altra stanza.
“Quando dici ‘si dorme’ intendi...”
“Intendo che TU ci dormi! E adesso, fuori di qui!!!”
Spintonò praticamente Thor fuori dalla porta a calci, e poi se la chiuse dietro le spalle.
Si passò la mano sulla faccia.
Che pessimo modo per cominciare la giornata!
 
Loki stava cercando i suoi vestiti asgardiani ma erano spariti.
Sbuffò, e strillò:
“Thor, hai preso tu i miei vestiti?!”
Ci fu un attimo di silenzio, e poi il fratello gli rispose dall’altra stanza.
“Non puoi più mettere quelli! Altrimenti i midgardiani ti guarderebbero come se tu fossi un alieno.”
“Beh, è così infatti.”
Disse accennando un sorriso.
“Non farmelo ripetere. Devi mettere i vestiti che sono dentro l’armadio!”
“Cosa diavolo è un armadio?!”
“Loki, devi farti una cultura della vita su midgard. Non sai niente!”
“So quanto c’è bisogno. Ossia che sono un popolo di esseri inferiori, nati solo per essere governati! Insetti, degni neppure di un mio sguardo e che...”
Thor spalancò la porta nel suo solito modo.
“Loki, calmati. Questi “insetti” saranno tuoi amici ancora per un bel po’”
“Amici?!” disse Loki con tono scandalizzato, quasi che la parola lo ripugnasse.
Thor andò all’armadio e gli tirò addosso i vestiti.
“Mettili, io esco.”
“Di nuovo?”
“Si... ieri sera era troppo tardi, e Jane dormiva. Non ho voluto svegliarla.”
“Oh, quanto sei tenero.” disse Loki, mostrando finta commozione.
“Si, beh... a dopo. Non combinare guai mentre non ci sono, ok?”
“Ok.”
“Promesso?”
“Croce sul cuore.” Il dio moro sorrise come un angioletto.
Thor sospirò. Guardò il fratello, poi la porta, e poi di nuovo il fratello, e alla fine uscì.
“Se pensi che farò il bravo bambino ti sbagli di...”
“Cosa hai detto?!” Thor sbucò da dietro l’angolo.
“Niente, niente! Vai pure dalla tua midgardiana, non farò niente di male!” Loki gli regalò uno dei suoi migliori sorrisi da pupetto in fasce, e alla fine rimase solo.
Un ghigno diabolico gli si aprì sul volto.
 
Indossò i vestiti, si pettinò i lunghi capelli corvini, e quindi si guardò allo specchio: indossava un paio di jeans grigio scuri, una camicia bianca di lino, e un paio di strane scarpe con una stella sul lato, color antracite.
Si considerò accettabile e uscì di casa.
Quei veloci cambi di luce lo disorientavano. Solo poche ore prima il cielo era buio come la pece, ora invece brillava di un azzurro intenso. Ad Asgard il cielo era sempre la stessa, e la luce è uguale a quella che c’è su Midgard al tramonto.
Andò in strada e la prima cosa che lo colpì era la gente. Di notte gli era sembrato quasi un paese disabitato, ora invece c’erano così tanti midgardiani che quasi faticava a camminare.
Naturalmente Loki cercava con tutte le sue forze di evitare un qualsivoglia contatto fisico con i midgardiani. Ma in quella confusione era quasi impossibile non venire sfiorati, e il dio sperava di non contrarre qualche strana infezione terrestre.
Appena si liberò dalla ressa cominciò a guardarsi in torno e si rese conto che c’era un mercato. Dalla strada venivano profumi di spezie, aromi, e odore di bucato. Il caldo profumo del pane si univa con le voci allegre della gente, e con i loro sorrisi, fin troppo cordiali. Tutti sembravano essersi alzati con il piede giusto quella mattina, tranne Loki, che imbronciato e con un’aria interrogativa si chiedeva cosa avessero per essere così contenti.
“Non combinare guai mentre sono via, Loki.” Si ricordò del monito del fratello, e perciò si mise subito all’opera. Adocchiò una vecchia signora ceca sul ciglio della strada che faceva l’elemosina e il cervello diabolico del dio delle malefatte entrò subito in funzione.
Si avvicinò silenzioso alla signora, nascondendo il rumore dei propri passi in mezzo a quello del mercato. In volto aveva un sorriso cattivo che non riusciva proprio a togliersi dalla faccia. Si chinò agile e con mano veloce raccolse tutti gli spiccioli che la donna teneva nel cappello davanti a sé.
Loki si alzò in piedi e nascose il bottino in tasca. Stava quasi per andarsene quando sentì qualcosa che lo tratteneva per una gamba.
Si girò e vide la vecchia che con espressione beata e paziente “guardava” nella sua direzione.
“Dove pensi di andare, figliolo?”
“Cosa?”
“Mi è sembrato di vedere che tu abbia preso qualcosa che mi appartiene.”
“Sei ceca, non hai visto proprio niente.”
Gli occhi annacquati della donna lo fissavano come quelli di un pesce.
“Invece ti ho visto. E farai meglio a ridarmi quello che mi hai rubato.”
La vecchia parlava con tono calmo e pacifico. Il suo viso rugoso era imperturbabile come uno specchio d’acqua. Chi è questa donna? Come diavolo ha fatto ad accorgersi che era stata derubata? Per quanto ne so i midgardiani non hanno alcun potere magico... Loki a malincuore restituì i soldi alla donna.
“Bravo figliolo ma... aspetta, voglio darti qualcosa.”
La mendicante rovistò dentro il cappello, prese circa la metà delle monete e gliele porse.
“Prendile pure, è un regalo.”
“Perché me li stai offrendo? Non hai nessun motivo per essere così gentile con me anzi, dovresti odiarmi.”
La vecchia donna fece un cordiale sorriso sdentato.
“Perché mi va così, e perché sei un bravo ragazzo.”
Gli prese la mano e glieli mise nel pugno.
“Compraci la colazione, sembri affamato!”
Poi la vecchia donna abbassò lo sguardo e tornò nel suo stato semicomatoso.
Loki andò via perplesso, non sapendo come interpretare quel gesto. Forse la mendicante  lo aveva solo voluto prendere in giro, doveva essere per forza così.
Entrò in un localino al bordo della strada.
La folla lo aveva già innervosito.
Il caffè non era molto grande ma tuttavia accogliente: c’erano tavoli con piccoli divani ricoperti di stoffa verde, vasi pieni di rose, e un piacevole profumo di caffè.
Si sedette ad un tavolo e aspettò.
Dopo poco arrivò una cameriera tutta trafelata.
“D-desidera ordinare?” balbettò arrossendo la ragazza.
Probabilmente quello era il suo primo giorno di lavoro, infatti sembrava piuttosto agitata, e non riusciva a fare a meno di serrare le dita sul blocchetto per le ordinazioni.
Il dio se ne accorse e la guardò un attimo di più, tanto per metterla a disagio, dopo di che sorrise e gli disse affabile:
“Prenderò tutto quello che mi consiglierai, Agata.”
Aveva letto il nome sulla targhetta della divisa. E il viso della povera ragazza andò a fuoco.
“A-allora le porto un caffè?”
“Va bene.”
“E una f-fetta di t-torta alla cannella?”
“Sarebbe perfetto.”
Loki lo disse con un tono fin troppo seducente, e Agata lo guardò un attimo senza parole, imbambolata e con il cuore che gli esplodeva in petto.
“Sei diventata tutta rossa, stai bene, piccola Agata?”
La ragazza corse spaventata in cucina.
Loki sorrise a se stesso. Quei midgardiani erano così facili da manovrare, un vero spasso. La ragazza tornò con passi incerti verso il dio moro.
A Loki brillarono gli occhi. Quando la ragazza fu alla  giusta distanza allungò una gamba e la fece inciampare abilmente. Agata caracollò sul tavolo, rovinando la fetta di torta per terra e il caffè addosso a Loki.
La ragazza appena si accorse del disastro combinato, balbettò qualcosa e con gli occhioni pieni di lacrime cominciò a ripulire.
“Ormai è tardi per rimediare, non credi? Sei proprio una pessima cameriera.”
Agata scappò via piangendo come una bambina a cui sono stati appena tirati i capelli da un bambino cattivo.
Loki prese un gran respiro e sorrise beato.
Il capo del bar aveva assistito alla scena, e aveva anche più o meno capito cosa era successo. Era un omone grande e di stazza robusta di nome Jeffry.
“Tutto bene, signore?” disse il barista, con fare scorbutico.
“No, non va tutto bene. Quella cameriera mi ha rovesciato il caffè addosso, non riesce neppure a tenere un vassoio tra le dita, dovrebbe licenziarla.” Loki sorrise amichevole, ma il barista gli restituì soltanto un espressione incazzosa.
“Non si trattano così le signore.” Detto questo, lo prese per il colletto della camicia e lo trascinò di peso fino in cucina, senza lasciare al dio possibilità di ribellarsi.
Jeffry posò delicatamente Loki a terra, proprio di fronte ad un gomitolo di vestiti singhiozzante, che ben presto si accorse essere la ragazza di prima.
“Chiedi scusa.” Grugnì il barista.
Il dio di rimando lo guardò ironico e disse:
“Stai scherzando non è vero, scimmione? Tu non sai chi sono io, io sono...”
“Un maleducato, e un arrogante, e ora...”
Jeffry afferrò con la grande mano la testa di Loki e lo costrinse a fare un inchino alla ragazza.
“Chiedi scusa.” Il tono era perentorio.
Loki guardò la ragazza in lacrime che non osava guardarlo, e continuava a singhiozzare disperata.
“Ti chiedo scusa...” bisbigliò.
“Non ti ho sentito.” Scandì Jeffry.
“Ti chiedo scusa! Va bene?! Mi dispiace!!!”
Agata, come per magia, smise di piangere, e lo guardò con due occhioni da cerbiatto.
Si rialzò in piedi, e si pulì il grembiule.
Jeffry con la stessa aria da scimmione disse rivolto alla ragazza:
“Ringrazialo.”
Agata arrossì un attimo, distolse gli occhi, e guardò Loki in modo strano.
Dopo di che posò un leggerissimo bacio sulla guancia del dio e fuggì via.
Jeffry lo lasciò. Loki si toccò la guancia e uscì dal locale ancora più perplesso.
Si passò rabbioso le mani tra i capelli e sbraitò:
“Questa è una città di pazzi!”
 
Loki camminò ancora per la città, fino a quando il suo stomaco non lo avvertì che aveva bisogno di nutrimento. Alzò lo sguardo per cercare la strada di casa, e si accorse frustrato di essersi perso. Era ormai il tramonto, e pensò che Thor lo stesse cercando. Non aveva alcuna voglia di sorbirsi il piccioncino innamorato, e decise così di non preoccuparsi di tornare a casa, ma soltanto di mettere qualcosa sotto ai denti.
Ad un certo punto vide una strana costruzione, in cima alla collina su cui era costruita la città. Della casa lo colpì il fatto che avesse una grande cupola di metallo sulla sommità, che in qualche strano modo gli ricordava il Bifrost. Si incamminò su per la salita e alla fine vi arrivò d’avanti. Stava con lo sguardo per aria, guardando la cupola d’acciaio quando sentì la terra mancargli sotto i piedi. Cadde e si ritrovò in una specie di trincea foderata di ferraia e colma di una specie di ragnatela di lana rossa. Loki vi si incastrò per bene e, quando cercò di strappare i fili per andarsene, la pressione innescò un allarme. Una marea di campanelle suonarono all’unisono dentro la strana cupola. Sentì poi un frastuono, e una voce femminile borbottare a voce alta. Sentì la porta dell’ingresso sbattere e qualcuno avvicinarsi velocemente.
Il dio non ebbe neppure il tempo di alzare lo sguardo che sentì qualcosa di freddo e metallico premere contro la sua nuca.
“Sei un alieno?”
Loki conosceva quella voce.
“Serena? Che ci fai tu qui?!”
La ragazza spostò la lama dal collo del dio, e fece un’espressione stupita.
“Maniaco... perché dei caduto nella mia trappola per alieni?”
“Perché piazzi trincee nel mezzo del tuo giardino?!”
Serena fece un’alzata di spalle.
“Legittima difesa.”
Poi guardandolo dalla testa ai piedi disse:
“Vieni dentro casa.”
“A-aspetta! La tua stupida trappola... mi sono incastrato...”
“Annodati.”
“Cosa?!”
“L’unico modo per uscire da lì, è provando ad annodarti, forza.”
Loki fece come aveva detto, e mentre cercava di annodarsi la corda attorno contemporaneamente gli si scioglieva di dosso.
“Ingegnoso...” ammise, un po’ stupito.
La ragazza gli fece cenno di entrare e Loki la seguì.
La casa dentro era ancora più strana di quanto fuori potesse sembrare.
C’erano aggeggi di ogni tipo, ferraglia irriconoscibile, antenne, batterie, fili elettrici, parabole, e metal detector. Il pavimento era ricoperto di macchine, e così anche il tavolo della cucina e il divano. L’arredamento era abbastanza essenziale, se non fosse stato per il colore delle pareti, di un bel verde elettrico.
Serena andò ai fornelli e si maledisse.
L’acqua della pasta aveva strabordato, e si era riversata tutta sui fuochi e per terra.
La scolò e quella che doveva essere una cena si rivelò in realtà un blob mutaforma immangiabile. Serena guardò la pasta appallottolata, si strinse nelle spalle e disse:
“Oh beh.... Anche stasera senza cena.”
“Se permetti, cucinerò io.” Disse Loki, senza neppure essere stato interpellato.
Il dio non sapeva molto di Midgard, ma aveva letto molti libri del pianeta, e tra le mani ad Asgard, vogliate crederci oppure no, gli erano capitati anche qualche volume di cucina.
“Io cucino, e poi tu mi offri la cena.”
Serena fece un gesto verso i fornelli.
“Accomodati pure.”
La ragazza si appollaiò sopra uno sgabello, mentre Loki si tirava su le maniche della camicia e metteva un’altra pentola d’acqua sul fuoco. Il dio stava constatando con meraviglia che l’orgoglio calava con l’arrivo della fame, e perciò quasi non gli diede fastidio il fatto di cucinare in un tugurio come quello.
Serena si accese una sigaretta, e si mise a fissarlo con attenzione.
Loki tagliò dei pomodori e li mise a soffriggere sulla padella più pulita che riuscì a trovare. Mentre lavorava lanciava anche qualche occhiata alla ragazza, che non la smetteva di fissarlo. Notò che finalmente era vestita decentemente. Non aveva più la tuta stile scafandro, ma una piccola salopette, e una maglietta a maniche corte. I morbidi ricci rossi gli accarezzavano il viso, e gli illuminavano gli occhi marroni. Dopo un po’ cominciò ad innervosirsi, sentendosi fin troppo osservato.
“Mi stai analizzando, per caso?” chiese, girandosi scocciato.
Serena gli soffiò il fumo in faccia e il dio tossì.
La ragazza era leggermente accigliata.
“Sei caduto dal cielo l’altro giorno, Loki?”
“Chi, io? Ti sembro così strano?”
“Mio padre diceva che dal cielo vengono due cose: le tempeste e gli angeli. Tu sei un angelo o una tempesta?”
Il dio sembrava sorpreso, e alla fine disse monocorde:
“Lo lascio decidere a te.”
Loki scolò la pasta e impiattò per due.
Il profumo era delizioso.
La ragazza spense la sigaretta sul tavolo di legno e si avventò sulla pasta con fare quasi animalesco.
Loki invece prese la forchetta e con la sua solita eleganza, nonostante avesse una fame da lupi, iniziò a mangiare.
Serena non parlò per tutta la cena, ma non la smetteva più di sorridere radiosa nella direzione del dio, e questo gli dava un certo fastidio.
La ragazza terminò il pasto con un esclamazione di trionfo:
“Ah! Erano secoli che non mangiavo così bene! Neppure mio padre sapeva fare una pasta così, era una schiappa ai fornelli proprio come me.”
Umani: dagli un qualsiasi motivo e ti racconteranno la storia della loro vita.
Serena sorrise gioviale a Loki, e disse:
“Sei decisamente un angelo.”
Il dio sentì uno strano e leggero calore sul viso.
“Ora però devi proprio farmi vedere da dove sei caduto, forza!”
Non gli lasciò neppure il tempo di finire la pasta, che prendendolo per un braccio lo trascinò su per le scale.
“Ma cosa...?!” protestò Loki.
“Shh... è segreto!”
Arrivarono davanti ad una porta di metallo, e la ragazza l’aprì.
Entrarono in una grande stanza, e quando Loki si abituò al buio si accorse di trovarsi dentro la cupola di metallo. La ragazza trafficò con alcuni meccanismi e lentamente il soffitto si aprì completamente, rivelando un cielo ricamato di stelle brillanti come diamanti. Loki rimase rapito da quella meraviglia... era così diverso dal cielo di Asgard. La ragazza lo strattonò vicino ad un enorme telescopio, che praticamente occupava gran parte della stanza.
“Da dove arrivi Loki? Dimmelo ti prego!”
“Io... veramente...”
Era un bene dire a questa ragazza dove si trovasse Asgard? Serena era evidentemente una svalvolata, forse abbandonata dal padre quando era ancora piccola... ma del resto, a lui cosa importava?
Sospirò e diede un occhiata dentro il telescopio.
“Il mio regno si trova là, dove vedi quella stella azzurra. Ma è molto lontano da qui...”
Loki gli fece posto, e Serena esclamò eccitata:
“Veramente?! Dev’essere un posto bellissimo! Pieno di angeli, e pasta col sugo, e... – Serena sbadigliò. – e alieni...”
La ragazza gli crollò contro il petto, addormentata.
Doveva essere stanca morta.
Loki alzò un attimo le mani, non sapendo se toccarla, oppure lasciarla scivolare per terra. Si maledisse, e alla fine decidendosi, la prese in braccio.
Aveva visto una specie di futon lì accanto e ce l’appoggiò delicatamente. Serena borbottò qualcosa e buttò le braccia attorno al collo di Loki.
“Rimani... rimani con me... angelo.”
“Io non sono un angelo, forse sono un demone.” Rispose Loki pensieroso.
“Io non conosco molti demoni però... sei un demone gentile...”
Serena non sembrava intenzionata a lasciarlo, così Loki decise che tanto valeva restare lì con lei.
Ma che mi prende?! Dovrei pensare a qualche bel guaio da escogitare a questa pazza furiosa, e allora perché non mi viene in mente niente? Chi è questa ragazzina svalvolata? Mi fa uno strano effetto...
Serena gli respirava sul collo, e Loki cominciò ad appisolarsi, ascoltando la cadenza di quel respiro.
“Buonanotte demone buono...” sbiascicò Serena.
Loki non disse nulla ma serrò le mascelle, proprio per non lasciarselo sfuggire quel “buonanotte anche a te.”, perché sebbene non lo ammettesse, avrebbe tanto voluto dirglielo.

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Capitolo 4
*** I do what I want! ***


Piccolo capitoletto... a cui non ho resistito! La tentazione di pubblicarlo era troppo forte.. ihih.. povero Loki.. ultimamente sto pensando che gliene sto facendo passare troppe.. :D coooomunque.. ditemi quello che ne pensate, come sempre, e prometto che il prossimo cap sarà più lungo!
p.s. credo che mi sia scappato un piccolo commento tra parentesi alla fine del racconto, chiedo venia.. eheh.. @°_°@Baci!

Jack


I do what I want

Loki si svegliò lentamente, mentre il sole del mattino gli riscaldava il viso. Aprì gli occhi e si trovò immerso tra le calde coperte del futon. Alla fine si era addormentato, e aveva passato una notte tranquilla e senza sogni. Stava quasi per riaddormentarsi quando sentì delle voci provenire dal piano di sotto, e una ragazza che rideva.
Serena...
Si avvicinò a passi felpati alle scale, e guardò di sotto.
Sentì una tazza andare in frantumi e uno scoppio di risate.
C’era qualcun altro in casa. Loki scese le scale ed entrò in cucina, da dove provenivano le voci.
“Fallo di nuovo, ti prego!” disse Serena, ridendo fino alle lacrime.
Thor sedeva al tavolo della cucina e spiegava:
“Ad Asgard quando una bevanda ci piace particolarmente facciamo così.”
E scagliò per terra l’ennesima tazza, mandandola in frantumi.
“THOR?!”
Il dio biondo e la ragazza si voltarono immediatamente.
Serena come vide Loki gli si illuminarono gli occhi e con un grande sorriso gli lanciò le braccia al collo.
“Loki!!! Buon giornooooo!”
Loki la allontanò da sé, tra il disgustato e il perplesso.
“Ehm, buongiorno...?”
Poi rivolgendosi a Thor disse:
“E tu che ci fai qui?!”
Lo sguardo del fratello era risentito e preoccupato.
“E lo vieni a dire a me? Sono stato in pensiero! Pensavo che stavi combinando una delle tue... Sei praticamente scappato!”
“Non sono... scappato... Serena, la vuoi finire?! Mi sono perso, e poi sono arrivato qui. Tu che scusa hai?!” La ragazza intanto lo abbracciava felice come una pasqua.
“Ti cercavo. Dei midgardiani ti avevano visto salire la collina, e quindi eccomi qui!”
“Loki!!! Ci prepari il caffè?! Dai fratelloneeeee!”
“F-fratellone?!” Loki arrossì e cercò di allontanare per l’ennesima volta le manifestazioni di affetto della ragazza.
Thor sembrava proprio godersela, e rideva sotto i baffi.
“E’ un po’ timido all’inizio, ma dagli tempo e vedrai che è un romanticone.”
“Romanticone... io?!”
“Oh, si.. me ne sono già resa conto! Ieri sera mi ha preparato una cenetta coi fiocchi. E poi siamo andati a dormire insieme!”
“Che carini... ti ha anche dato il bacino della buonanotte?”
Loki intanto ascoltava atterrito, non sapendo bene come reagire.
“In effetti quello ancora no... ma rimediamo subito!”
Detto questo si avvicinò pericolosamente alle labbra di Loki, che per sua fortuna era dotati di buoni riflessi. Spinse via Serena in malo modo, e lei cadde per terra.
“Questa è una città di svitati! E Thor, che tu sia maledetto, fratello!”
“Non puoi fare così, Loki!”
“Oh, si che posso! IO FACCIO QUELLO CHE VOGLIO!”
E quindi uscì furente, e a grandi passi. Pensava di aver sempre capito come ragionavano i midgardiani, ma era bastata una giornata su quell’orribile pianeta, da sconvolgere tutti i suoi piani. A cominciare dall’incontro con quella pazza da rinchiudere, di cui non riusciva mai ad intuire i pensieri, tutto era andato storto.
I suoi piccoli tentativi di combinare guai erano stati scoperti, ed erano falliti miseramente. E lui si sentiva ribollire il sangue, e prudere le mani. I saggi l’avevano pensata davvero bene, quel posto era peggio di una tortura per Loki. Ma non avevano considerato forse un vitale dettaglio, ossia il fatto che mettere Loki in una pacifica e allegra città di campagna, piena di gente stupenda, e ragazze solari, avrebbe significato la stessa cosa che mettere un serpente a sonagli dentro un pollaio: prima o poi sarebbe accaduto il disastro! Stava ancora misurando il cortile d’avanti a casa a grandi passi quando gli si accese una lampadina, o meglio, il serpente si rese conto di avere ancora le zanne. Quella sua testolina diabolica cominciò a ragionare e alla fine promise a se stesso che avrebbe fatto qualcosa di veramente terribile. Entro il tramonto del sole, avrebbe combinato un casino così grande che gli asgardiani lo avrebbero dovuto allontanare per forza da quel miserabile pianeta di decerebrati, a cui il suo “caro” fratello sembrava tenere così tanto. Ai suoi occhi ormai una gelida prigione era qualcosa di molto più allettante. Rientrò in casa sorridente e gioviale, perché sapeva che la giornata si sarebbe conclusa come voleva lui, o almeno così credeva lui. Trovò Thor che passava una benda attorno alla testa della ragazza, e Serena che nonostante tutto continuava a sorridere beata, ancora immersa nel proprio mondo di favola.
Il dio biondo si girò serio verso il fratello:
“Le hai fatto male, Loki. Devi scusarti.”
Era la seconda volta che glielo chiedevano, questo era un ulteriore motivo per andarsene.
“Perché dovrei farlo? E’ stata colpa sua...”
“Non importa, Thor, quante volte te l’ho detto! Non fa neanche tanto male...”
“Vedi, lo dice anche lei che non è niente.”
Thor lo continuava a guardare con aria di rimprovero.
“Allora per farmi perdonare vi preparerò la colazione, contenti?”
Loki sorrise, sereno come non mai, per le ragioni che sappiamo.
“Siiiii! Il mio angelo cucina!”
Thor alzò un sopracciglio e con aria interrogativa chiese:
“Angelo?”
Loki sbuffò:
“Storia lunga.”
 
Dopo aver fatto colazione, Serena trascinò di nuovo Loki di sopra.
“Hai la camicia sporca di caffè! Te ne serve una nuova... Tu toglila, io ti porto vestiti puliti d’accordo?”
“Fa lo stesso, non impor...”
Ma Serena non gli lasciò neppure il tempo di finire che se ne andò chiudendolo dentro la stanza con la cupola.
Che tipa strana...
Loki si guardò intorno, e vide che attaccata alla parete c’erano tanti disegni. La maggior parte dei quali sembravano fatti dalla mano di un bambino, ma dopo che il dio li collegò con la padrona di casa, non escluse che li avesse fatti lei di recente.
C’erano disegni di fiori, uccellini, e cuoricini. Loki stava per distogliere lo sguardo, disgustato da tanta “pucciosità”, quando vide una cosa strana sul muro, come se una parte fosse stata... rimossa! Ci poggiò le dita sopra e si accorse che era una specie di pannello. Lo spostò e l’apertura rivelò un piccolo nascondiglio, e al suo interno una scatola. La prese tra le mani, e vide che c’era qualcosa scritto sopra. La calligrafia era molto elementare e incerta come quella dei bambini quando imparano a scrivere. Sopra c’era scritto: Asgard.
Loki la aprì e cominciò a guardare i disegni che conteneva.
Erano tutte immagini del suo regno. Il castello, la città, il cielo, i suoi abitanti, tutto era raffigurato con precisione maniacale. Sembravano quasi delle foto, ma erano chiaramente dei disegni. Si accorse immediatamente anche che l’artista non era lo stesso. Quelli erano disegni eleganti, raffinati, perfetti in ogni dettaglio.
Loki sentì la mancanza di casa e si maledisse per quella sua debolezza.
Continuò a far scorrere gli occhi sui disegni e vide che non erano rappresentati solo la città, ma anche le persone. C’era Odino, sua madre, i guerrieri, Thor e... c’era anche lui.
In realtà si accorse di essere quasi in ogni disegno, e una strana morsa gli attanagliò l’addome. C’era tutta la sua storia in quei disegni, il suo passato, quello che aveva fatto, pensato, sperato... Loki continuò con mano febbrile a sfogliare i disegni ripercorrendo con le immagini il suo passato fino al presente in cui... vide se stesso intento a fissare dei fogli. Loki li gettò a terra e indietreggiò stupito e spaventato, il respiro accelerato, e il ceco desiderio di capire cosa stava succedendo. I fogli caddero per terra e sentì un rumore sordo. In mezzo ai disegni c’era qualcosa di più pesante. Il dio delle malefatte si avvicinò con mano tremante e prese una specie di medaglione da terra.
Ma non ebbe il tempo di guardarlo che sentì la familiare e squillante voce di Serena avvicinarsi.
Come un fulmine rimise tutto a posto dove aveva trovato, mise il medaglione in tasca, e sfoderò uno dei suoi miglior sorrisi da “sono stato buono buono, non ho fatto niente, giuro.”
Serena entrò raggiante come il sole in primavera.
Gli danzò davanti sventolando una camicia nera gessata.
“Che ne dici di questa, Loki? L’ho trovata nell’armadio di mio padre... Secondo me ti starebbe da dio, ti piace?”
Il dio le prese le spalle e la obbligò a fermarsi.
“Si, certo... ma a tuo padre non dispiacerà?”
“Tranquillo, a lui non servono più.” Serena sorrise.
“Cosa è successo a tuo padre?” Appena lo disse il dio si morse la lingua. Perché si interessava del passato di una sudicia midgardiana?! Certo, voleva capire cosa fossero quegli strani fogli, ma preferiva indagare il meno possibile sul passato di quella specifica ragazza. Era talmente strana, da non essere in grado di prevedere le sue mosse, e la cosa lo innervosiva abbastanza. Comunque poteva dedurre alcune cose. Come per esempio il fatto lampante che abitasse da sola, e che fosse una disordinata di prima categoria.
Tutto questo flusso di pensieri fu interrotto bruscamente appena Loki posò gli occhi sull’espressione della ragazza. Al dio sobbalzò il cuore in petto, si maledisse, e guardò lontano. Non poteva sopportarlo. Quello era lo sguardo più triste dispiaciuto che avesse mai visto. Ma per gli dei! Lui era il dio delle malefatte! Non doveva intenerirlo un semplice faccino dolce...
“Mio padre è dove stanno gli angeli, Loki.”
“Intendi, Asgard?”
Serena sorrise triste.
“...purtroppo no.” Al dio venne un altro nodo alla gola.
Il corpo di Loki si mosse da solo e abbracciò la ragazza, con fare imbronciato.
Stupido! Stupido! Stupido! Perché ti comporti così? Stai diventando sentimentale?! Questo lurido posto ti fa una strana influenza...
Restarono così per un po’: Serena che si godeva il suo abbraccio personale, e Loki che si malediceva in silenzio.
Alla fine Serena sorrise contro il petto di Loki e disse:
“Profumi di caffè.”
Il dio sospirò.
“Già, ti dà fastidio?”
“No ma... ora cambiamo questi vestiti!”
La ragazza senza che lui se ne accorgesse gli aveva sbottonato quasi tutta la camicia, e ora cercava di togliergliela in malo modo.
“Stupida midgardiana... che stai facendo?!”
Ci fu una dura battaglia, durante la quale Loki cercava di togliersela da solo, la camicia, mentre Serena non sembrava intenzionata a voler smettere di toccare e baciare il grande petto bianco del dio (e come biasimarla?).
Alla fine Loki si intrappolò da solo attorcigliandosi con le maniche, e sembrava quasi che gli avessero messo una camicia di forza.
Il dio crollò a terra, ansante e sconfitto.
Serena ghignò e poi disse cantilenando:
“Adesso ti posso fare quello che voglio...”
Al dio corse lungo la schiena un brivido gelido.
 
Thor aveva sentito dei rumori provenire dal piano di sopra e così era salito. Vide Serena uscire fischiettando dalla camera con la cupola, e quando gli chiese del fratello disse semplicemente:
“Ora è molto più carino...!”
Thor ignorò i vaneggiamenti della ragazza e si affacciò per vedere cosa fosse successo:
Loki era livido di rabbia e frustrazione e cercava disperatamente di liberarsi.
Serena lo aveva praticamente avvolto nel nastro per fare i regali, gli aveva messo un bel fiocchetto rosa in testa, gli aveva disegnato, probabilmente con il pennarello indelebile, un paio di baffetti arricciati, e sul petto a grandi lettere, e con il lapis verde, aveva scritto:
“I do what I want!”
Thor si fece delle grosse risate, ignorando totalmente lo sguardo omicida del fratello, e anche dopo aver finito lasciò che il povero Loki se la sbrigasse da solo, anche quella dopotutto faceva parte della sua punizione...

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Capitolo 5
*** Un lavoro per il pivello ***



Un lavoro per il pivello

Quando finalmente Loki si liberò e scese per cantargliene quattro, a quei due, non li trovò. In casa non c’era nessuno, e le stanze erano deserte e silenziose.
Poi però sentì dei rumori, come del motore di una vecchia automobile che fa fatica ad accendersi.
Loki si affacciò fuori casa e vide uscire una marea di fumo nero dalla rampa che portava al garage.
Sentiva le voci di Thor e della ragazza, che tossivano e si urlavano improperi a vicenda. Il dio moro li aspettò a braccia incrociate in cima alla rampa.
Alla fine quella che in origine era una cinquecento decappottabile color verde menta, ma che ora ricordava piuttosto un groviglio di lamiera accartocciato, arrivò tossendo in cortile. La ragazza sbucò dal tettino della cinquecento e a Loki sembrò di rivedere la Serena della sera in cui era arrivato su Midgard.
“Ehi, pivello... vuoi un passaggio?” Aveva la sigaretta accesa tra le labbra, i capelli raccolti in due codini, e un paio di occhialetti da sole rotondi.
Loki sentì la voce di Thor che rantolava da dentro l’auto.
“Thor è lì dentro?! Ma come ha fatto a...?”
“Quisquilie.. Salta su se non vuoi andare al paese a piedi e perderti di nuovo...”
“Dovrei entrare in quella macchina infernale?!”
“E’ solo un po’ vecchiotta, è normale che faccia i capricci... ma tanto ci siamo abituati, non è vero pivello? E ora salta su.”
Loki si lasciò sfuggire un sorrisetto disperato.
“Se la cosa non ti è di troppo disturbo, ovvio...” Serena rientrò in macchina e con un calcio gli aprì la portiera del passeggero.
Il dio sbuffò e salì contro voglia.
L’abitacolo era piccolo e scomodo. Serena aveva acceso un sigaro, e l’aria era praticamente irrespirabile. La ragazza soffiò il fumo addosso al povero dio delle malefatte che tossì ed esclamò scocciato:
“Per gli dei, potresti smetterla?!”
Serena sghignazzò, e il dio sputò tra i denti:
“Tu, lurida...”
“Loki...!”
La voce di Thor, che era piuttosto un rantolo compresso, arrivò alle sue orecchie.
“Thor, per favore non parlare. Non so, e non ho alcuna voglia di sapere, come tu abbia fatto ad entrare in questo aggeggio. Perciò taci, risparmia il fiato e soffri in silenzio.”
Il dio del tuono sembrò sbuffare, ma accettò il consiglio e non si lamentò più.
Poco prima di entrare in città Serena esclamò:
“Un gatto bianco!”
Detto questo sterzò bruscamente e la macchina con tutti i suoi passeggeri finirono dentro un piccolo fosso a lato della strada.
Loki uscì furibondo dalla cinquecento, urlando isterico:
“Dannato coso... che... tu sia maledetto! Non risalirò mai più sopra una di questi... aggeggi infernali!!!”
Serena diede l’ultimo saluto alla piccola auto gorgogliante. Thor sventrò l’auto per uscirne, e alla fine il motore tossì, rantolò e quindi si spense.
Loki prese la ragazza per le spalle, e la sollevò su di peso.
“Perché hai fatto questo?!”
“Dovresti ringraziarmi, pivello... ti ho salvato la vita.”
Loki non sembrava per nulla convinto, ma anzi solo infuriato.
“I gatti bianchi portano una sfortuna apocalittica... ti sarebbe piaciuto girare con una nuvola di fracchia sopra la testa? Non credo...”
Il dio lasciò perdere, convinto che fosse tutto fiato sprecato, come con suo fratello, il quale intanto si toglieva dei pezzi di lamiera di dosso.
“Bisogna andare, siamo già in ritardo.”
“Per cosa?!”
Thor lo guardò incuriosito.
“Come mai quella faccia spaventata, fratello?”
“Non sono spaventato. Sono atterrito! Ho una brutta sensazione... come se le pessime sorprese non fossero finite.”
“In effetti, fratellino, ti abbiamo portato qui per una buona ragione.”
“Quale?!”
Thor si grattò la testa; non trovava le parole per dirlo, e alla fine optò per la via più diretta.
“Ti aiuteremo a trovare un lavoro. O meglio, Serena ci aiuterà, dato che non conosco il posto...”
Loki incrociò le braccia.
“Mi era sembrato di essere stato chiaro su questo argomento, io non voglio...”
“Io fra qualche tempo tornerò ad Asgard e ti lascerò qui. Non voglio che tu muoia di fame per i soliti capricci del tuo carattere! Ci siamo capiti?”
I due fratelli si guardarono in cagnesco per un po’ e alla fine Loki sospirò e disse:
“Solo se sarà un lavoro degno di un dio.”
“Lo troveremo, vedrai, quello che fa per te.”
Camminarono in silenzio, mentre Loki nonostante tutto restava imbronciato.
La prima tappa fu dalla fiorista Mary.
Mary era una dolce nonnetta buona, simile a quella che si può trovare nelle fiabe, e aveva bisogno di aiuto in negozio.
Loki quando se ne accorse disse semplicemente:
“Starete scherzando spero...”
Inutile dire che il dio fu praticamente spinto a forza dentro il negozio. La nonnetta era una donna adorabile, ma camminava lenta come una tartaruga, e anche il suo udito sembrava non essere dei migliori.
Arrivò il primo cliente.
Loki fu messo al bancone, mentre Thor e Serena si erano comprati un gelato e lo guardavano con aria divertita seduti su una panchina proprio lì di fronte.
“D-desidera?” l’orgoglio del dio scalciava come un cavallo imbizzarrito, e gli impediva di dire una frase senza mordersi la lingua.
“Oggi è il nostro anniversario di fidanzamento. E volevo proprio fare un regalo bellissimo per la mia pulcina. Quel fiore di ragazza... così  gentile, carina, leggera, e la amo così tanto che sento che il mio cuore...”
“Arrivi al punto.”
Lo interruppe scocciato Loki. L’uomo sembrò prendersela un po’ ma continuò.
“Vorrei un mazzo di 12 rose rosse, incartate per bene, con un nastro rosso e tanti cuoricini.”
Loki si girò verso la nonnina.
“Vecchia, 12 rose rosse...”
“Cosa?”
La signora si portò la mano all’orecchio, per far intendere che non aveva sentito,
“Un uomo ha chiesto un mazzo di 12 rose rosse!”
“Tesoro, non sento, potresti parlare più forte?”
Loki, spazientito afferrò una rosa e gliela mise d’avanti agli occhi, o meglio, d’avanti ai fondi di bottiglia. La nonnina la prese tra le mani, e dopo un attimo di messa a fuoco esclamò:
“Ah! Un mazzo di rose rosse... perché non lo hai detto subito, ragazzo?!”
Loki si passò la mano sulla faccia.
La situazione stava precipitando, guardava la immane lentezza della vecchia, e aveva solo voglia di dargli una spinta. Ci si metteva anche il ragazzo a provocare il vulcano che Loki aveva dentro il petto, perché, oltre a chiedere ogni due minuti se il mazzo era pronto, continuava a raccontare le romantiche vicende dei due piccioncini, e di quanto si amassero, eccetera eccetera.
La nonnina si avvicinava con i suoi passetti pantofolati alle carte regalo, le guardava con attenzione, alzava una mano come se avesse scelto quale usare, e poi ci ripensava. Alla fine ne prendeva una, andava piano piano verso il tavolo dall’altra parte della stanza. Ci ripensava ancora e tornava indietro per cambiare la carta.
“Perché Sara è così dolce, e timida, oddio... quanto mi manca già il mio amore! Sono già 10 minuti che non la vedo, è un eternità per una coppia innamorata come lo siamo noi! E’ pronto il mazzo?”
La nonna prendeva una rosa e la poggiava delicatamente sulla carta. Ne prendeva un’altra, e la avvicinava alla prima. Non gli piaceva e ricominciava. Toglieva le rose, e le rimetteva nel vaso. Le scrutava, le guardava ma non si decideva.
“... e l’altro giorno gli ho regalato un cioccolatino e mi ha detto che mi ama tanto, che mi ama alla follia, e che io sono il suo dolcissimo pulcino! Sono l’uomo più felice della terra! Avrei un po’ di fretta, quanto ci avete ancora?”
E dopo aver accostato tutte le rose la nonnina prendeva un lembo della carta, e lo avvolgeva piano attorno ai gambi. Poi riapriva la carta perché magari c’era un’increspatura e ricominciava ancora, e ancora, e ancora.
“... e quando lei mi ha detto così, siamo stati tutta la notte abbracciati sotto le stelle... oddio quanto la amo. Piccolo amorino mio, dove sei ora? Stai pensando a me? Ohh.. Ma quanto ci mettete a fare un mazzolino di rose?”
Thor vide le avvisaglie della tempesta ma non riuscì ad intervenire in tempo. Alla fine Loki prese con furia il mazzo dalle mani della vecchia, uscì dal negozio e cominciò a colpire con i fiori il povero malcapitato, urlandogli contro di non tornare mai più, se teneva al proprio collo. Il povero ragazzo innamorato corse via in lacrime, la nonnina cacciò a vita Loki dal suo negozio di fiori, e il povero dio si ritrovò soltanto più nervoso e con le mani ferite a causa delle rose.
La storia si ripeté per parecchio.
Dal fornaio Loki perse la pazienza di fronte ad un fin troppo pignolo panettiere francese, che si vantava mostrandogli una statua del pensatore fatta completamente in pane integrale da lui stesso. Loki la buttò sul fuoco, e si beò della disperazione del pover’uomo, fin quando questi non gli tirò un bel pugno sul naso.
Alla pasticceria, dopo i giudizi negativi ricevuti sulla sua corporatura da una abbondante donna russa, mise il sale sull’impasto per dolci, e mise in forno le statue di cioccolato.
All’edicola non resistette alla tentazione di spostare tutti i giornali del negozio.
Al supermercato spostò tutti i cartellini del prezzo, e distrusse le ruote dei carrelli per fare la spesa.
Non osarono proporgli di fare lo spazzino perché non volevano neppure immaginare cosa sarebbe stato in grado di fare con dei sacchi dell’immondizia.
Loki si sentiva davvero come il dio delle malefatte, ma l’unica cosa strana era che non ne traeva alcun conforto, e sentiva soltanto frustrazione e tristezza.
Loki si massaggiò le braccia, e ripensò ai disegni in camera.
Era quasi il tramonto ma c’era ancora molta gente per strada, e tutti erano sorridenti e felici come pasque.
Serena li guardava con sguardo truce, sputò per terra e disse al dio moro.
“Guarda tutti questi bei faccini sorridenti, sembrano sempre così felici, così contenti... così strafatti! Solo io posso vederli per quelli che sono veramente.”
In realtà cercava di tirarlo su di morale, ma il dio era distratto.
“Certo, ne sono convinto ma... non per cambiare discorso però... ti diletti anche a disegnare per caso, Serena?”
“Qualche volta quando mi annoio... Perché?”
“Niente è che ho dato uno sguardo a quelli che si trovavano nella cupola.”
Serena impallidì, aumentò il passo e cominciò a sudare freddo.
“D-d-davvero?! Ne hai trovato qualcuno di tuo gradimento?”
“Molti in effetti.”
Serena lo guardò un attimo ad occhi sbarrati, e poi svenne.
La soccorsero, e alla fine si riprese.
Dato che Loki se ne stava in disparte pensieroso, Thor le chiese come stesse, ma la ragazza si limitò a sorridere e a dire:
“Va tutto bene, per adesso.”
Loki rimuginava su quei disegni, sull’amuleto che portava in tasca e sul pessimo presentimento che sentiva come un vento gelido sul collo.
Così non si accorse neppure di dove stessero andando fino a quando Thor lo riportò al presente con una vigorosa pacca sulla spalla.
“Eccoci arrivati! Fai vedere loro di che pasta sei fatto, fratellino!”
“Perché? Cosa... cosa sta succedendo?”
Si erano fermati all’ingresso del caffè in cui era andato l’altro giorno.
“Questo è il Black Bread! E’ un posto carino, potrebbe andare bene, non pensi fratelloooone?”
Era tornata Serena la svampita.               
“Ancora non abbiamo finito?! Vi prego...”
A Loki la voce morì in gola.
Il dio delle malefatte guardò il locale e indietreggiò un poco.
Thor lo strinse con un braccio, gli sorrise e gli fece coraggio.
Loki abbassò gli occhi.
“Volete provare ancora? Lo avete visto quello che è successo con tutti gli altri...”
“Proviamo ancora una volta, e se va male.. domattina rincominceremo. E lo faremo fin quando i midgardiani non ti avranno accettato.”
“Perché? Non mi accetteranno mai, io sono il dio delle malefatte, ed è giusto che sia così. Sei tu il dio buono e generoso che protegge questo regno.”
“Si hai ragione però... Loki, non posso farcela da solo. Hai visto anche tu quanto sono sciocchi questi terrestri, no? Pensi che da solo potrei mai riuscire a proteggerli tutti?”
“No, è impossibile.”
“Forse, a meno che non ci sia qualcuno ad aiutarmi... qualcuno come te, per esempio.”
Loki aveva un aspetto pessimo, e anche l’umore non era dei migliori.
Thor lo scrollò un po’ e poi sorridendo gli disse:
“Coraggio, fratello! Sei il più coraggioso di tutti! Ricordi?! Non ti farà paura un piccolo locale midgardiano?”
Loki gli rispose con un sorriso carico di astio.
“Certo che no.”
La ragazza intanto spiegava:
“Questo caffè è famoso per il fatto che non riesce a tenersi un cameriere per più di 24 ore! Il cartello cercasi personale all’ingresso si dice che sia appeso lì da 20 anni!”
“Grandioso, mi accoglieranno a braccia aperte, allora.” Disse Loki, sarcastico.
“Basta storie, e metticela tutta!”
L’allegra compagnia entrò nel locale e Serena e Thor si sedettero ad un tavolo. I due sembravano eccitati come due scolaretti alla prima gita di classe.
Loki sentì una forte emicrania iniziargli a tamburellargli il cervello, e il suo orgoglio che gridava di non farlo.
Al diavolo!
“Senta brav’uomo... sono qui per il posto libero di cameriere. Sarebbe così gentile da prendermi in prova per un giorno?”
Tutte quella gentilezza gli faceva ribollire il sangue, ma tentava in tutti i modi di controllarsi. Per il momento sarebbe stato al gioco, ma appena si sarebbe presentata l’opportunità... non l’avrebbe fatta scappare per nulla al mondo. E allora sarebbero stati guai. Guai grossi.
“Oh no...” si lasciò sfuggire quando vide che l’omone girato di spalle con cui stava parlando era lo stesso che il giorno avanti lo aveva obbligato a scusarsi.
Ora che non veniva sollevato di peso, e portato in giro per il locale come un sacco di patate ebbe la possibilità di guardarlo meglio: aveva un corpo grande e massiccio, e una testa piccola, con dei tratti facciali che sembravano fossero stati scolpiti e abbozzati rozzamente da qualche scultore dilettante; il petto enorme scendeva e si abbassava sotto il suo respiro, che Loki riusciva quasi a sentire sulla faccia; aveva dei capelli biondi e tagliati corti, a spazzola, occhi piccoli e porcini. Indossava un grembiule bianco, sotto aveva una maglietta che gli tirava sulle braccia muscolose, e un paio di short neri. Era leggermente gobbo, e sembrava tutto preso a pulire con attenzione una piccola tazzina, con su scritto I love you, con uno strofinaccio rosa a fiorellini, che nelle sue mani sembrava, piuttosto, un fazzolettino: la scena era a dir poco comica. Loki quasi soffocò per non ridere, ma non gli sembrava il caso, dato che Jeffry lo continuava a guardare scuro in volto, senza muovere un muscolo.
“Eheh.. quella espressione la usi per spaventare la gente, oppure è stata tua madre a farti così brutto?”
Ops, mi è sfuggita.
L’omone grugnì. Posò con una delicatezza principesca la tazzina sopra il lavello, e fece segno a Loki di seguirlo.
Thor e Serena intanto facevano il tifo dal tavolo.
Jeffry gli buttò in braccio la divisa del locale, e il dio se la mise.
“C’è qualcosa che devo sapere?”
“Lavora sodo. Non ti lamentare. Sorridi ai clienti.”
“Solo questo? Mi sembra semplice.”
Jeffry gli lanciò un ultima occhiata, prima di andarsene in cucina e disse:
“Ma soprattutto, togliti quella faccia da schiaffi che ti ritrovi.”
“Io...?”
Loki si sentì leggermente offeso e, quando vide un ragazzo alto, magro come un chiodo e brufoloso venirgli incontro, ebbe la certezza che tutto il suo orgoglio se ne sarebbe andato spontaneamente dalla porta sul retro.
“Sei il nuovo arrivato vero? Io sono Ronald, ma chiamami pure Ron...” il ragazzo gli tese la mano pallida e sudaticcia. Loki lo guardò come se fosse uno scherzo, mise la mani dietro la schiena, e in un momento riacquistò tutta la sua aria di superiorità.
“Perché mai dovrei chiamarti?”
“D’accordo, ci siamo alzati con il piede sbagliato stamattina, eh? Tranquillo amico, va tutto bene. Ora vieni con me...” Ronald aveva lunghi capelli biondi che gli ricadevano d’avanti al viso, sembrava non avere spina dorsale, e parlava lentamente, quasi che avesse paura che gli sudasse la lingua. Sembrava uno di quei hippy strafattoni, per intenderci.
I due tornarono in sala, e Ronald gli spiegò più o meno come prendere le ordinazioni e parlare con i clienti.
“L’unica cosa di cui ti devi preoccupare è di sorridere, e... magari fare qualcosa per la tua faccia.”
Era la seconda volta che glielo dicevano, cominciava a dargli sui nervi.
“La mia faccia...?! Cosa ha la mia faccia di sbagliato?!”
Il ragazzo lo guardò come se non riuscisse a metterlo a fuoco, e con la flemma che lo contraddistingueva sembrò pensarci su, mentre nel frattempo Loki sentiva montargli la rabbia e prudergli le mani.
“Nulla di sbagliato, amico... hai una bella faccia, fidati... solo che istighi alla violenza, amico, e questo non va bene...”
Loki sorrise, ma era chiaramente fuori di sé.
“No, Ronald, sei tu che mi istighi alla violenza, brutto verme strisciante, figlio di...”
Loki vide un’ombra sopra di lui e poi il vocione di Jeffry che diceva:
“Problemi?”
Il dio delle malefatte organizzò un sorriso tirato.
“Certo che no, montagna di muscoli...”
Jeffry senza scomporsi prese una penna e un blocchetto per le ordinazioni, li mise in mano a Loki, e lo spinse via con forza.
“Lavora, sorridi, e basta cazzate.”
Il dio sorrise, o almeno ci provò, quello che tirò fuori era piuttosto una smorfia.
Quello scimmione gli ricordava qualcuno di non molto piacevole, ma non riusciva proprio a ricordarsi chi... qualcuno verde per caso?
Lasciò perdere e pensò quindi che l’ideale per cominciare, era trovare un tavolo facile. Quello con Serena e Thor se lo sarebbe lasciato per ultimo, proprio non aveva voglia di ascoltare le loro “divertentissime” battute. Vide una bambina seduta ad un tavolo, tutta sola, e immusonita, forse poteva andare...
“Ciao ragazzina, vuoi qualcosa da mangiare?”
La piccola lo guardò disperata.
“Voglio un gelato.”
“D’accordo, e come lo vuoi? Al pistacchio? Alla stracciatella?”
Il grande e superiore dio delle malefatte ridotto in questo stato... cosa ho fatto di male per meritarmi tutto questo? Ah già... ho quasi distrutto un pianeta.
“Io volevo un gelato di miele di castagne e mandorle, con un una cima di panna, una spolverata di cacao, e una ciliegia sulla punta ma mi hanno detto che non ce l’hanno.. uhh...” La bambina era sull’orlo delle lacrime, quegli occhioni sembravano dighe ormai stracolme dalle quali si sarebbero rovesciati mari di lacrime, e allora sarebbe stato un bel problema fermarle. Loki guardò preoccupato il menù, ma non c’era nulla di tutto quello che avesse chiesto la mocciosa. Il dio lo sapeva bene come ci si sente... anche le sue richieste erano sempre state eccessive, e quindi, la maggior parte delle volte, ignorate.
Loki guardò la bambina, gli diede una goffa carezza sulla testa e disse:
“Te lo porto io il tuo gelato.”
La bambina colse l’occasione al volo:
“In sella ad un unicorno, che scende da un arcobaleno?!”
“Tutto quello che vuoi, basta che non piangi...”
Corse in cucina e cominciò a sondare il congelatore, alla ricerca di qualcosa vagamente simile alle richieste della bambina. In effetti non sapeva cosa fosse un unicorno... né tantomeno cosa un arcobaleno, e decise di tralasciarli per il momento, e preoccuparsi sul dessert. La cuoca, una donna grossa quasi quanto il proprietario, con accenni di baffetti ai lati della bocca, il grembiule impiastrato di sugo, e con un forte accento tedesco gli si avvicinò:
“Cosa tu fare qui?! Tu non potere entrare!”
La donna gli si avvicinava furente, con il mestolo alzato a mo’ di avvertimento.
Loki alzò le mani per calmarla, diplomatico.
“Io potere entrare, perché deve fare una cosa.”
Al dio gli sembrava di parlare con un cavernicolo.
“Cosa tu deve fare?!”
“Dall’altra parte essere bambina molto bella che piange se non porta lei suo gelato, d’accordo? Fammi fare quello che io volere. Per bambina. Io non fare disastri.”
“Per bambina?” La donna sembrò sciogliersi come un cioccolatino al latte.
“Ma perché tu non detto prima?! Fai tutto quello che tu volere per lei, tu essere uomo molto buono! Diverso da mio marito Germania, lui abbandonare me e mia figlia per andare dietro donna battona!”
“Donna battona?”
“Ja! Tu essere bravo ragazzo, continuare così... sigh!”
E lo abbracciò talmente forte da togliergli il respiro.
“Me... non... respirare...”
La donna lo lasciò e se ne tornò alle sue faccende, continuando a maledire il caro marito.
Dopo qualche minuto di ricerca si accorse che non c’era nulla di quello che la bambina aveva chiesto.
“D’accordo Loki, è ora di tirare fuori le mille risorse del dio delle malefatte!”
 
Qualche minuto dopo la bambina, che faceva dondolare ormai scoraggiata i piedi sotto il tavolo, vide tornare il dio.
Loki cercava di sorridere pacifico, ma non riusciva proprio a sembrare naturale.
“Il mio gelato?”
La voce della bambina era piena di speranza.
“Sai, sono andato di là e ho trovato il gelato che cercavi, ma poi ho pensato: ma per quella bella bambina serve un gelato molto più buono! E così ti ho preparato questo, contenta?”
La ragazzina si vide mettere d’avanti una coppa di cristallo con una montagna di gelato così bello che sembrava lo avessero fatto le mani di un dio, cosa che in effetti non si allontanava troppo dalla verità...
“E’ gelato allo yogurt con scaglie di cioccolato fondente, su un letto di pan di spagna bagnato in succo di fragole, panna, mirtilli e una cialda ai pistacchi.” Spiegò Loki.
Il gelato sembrava risplendere.
E c’era praticamente tutto! Aveva anche messo un lungo cucchiaio di argento, elegante e raffinato, una cannuccia rossa e bianca rigirata, e una spolverata di cacao sul piatto.
“Non c’erano unicorni però penso che...”
La bambina non riuscì a dire nulla, ma gettò le braccia intorno al collo di Loki e rise allegra, come un coro di campanelle a festa, e questo fu più eloquente di mille parole.
Si tuffò sul gelato e Loki se ne andò via trionfante, sentendosi come se avesse fatto la cosa più grande della sua vita.
La bamboccia almeno non ha pianto... e io l’ho fatto solo per questo, soltanto per questo. Perché devo tenermi buoni questo branco di esseri inutili fino a quando...
Un cliente attirò la sua attenzione facendogli un gesto nella sua direzione. Era un uomo attempato, di mezza età, evidentemente ansioso e agitato. Si rigirava in continuazione tra le mani una piccola scatoletta blu.
“Senti, scusami se ti rompo, amico. Ma ho bisogno di un consiglio.”
“Sul menù?”
“No, no, niente di tutto ciò, è che... vedi... sto aspettando una persona. Una donna.”
Loki alzò le mani e fece per andarsene.
“Guarda, io sono il tipo meno indicato per darti consigli di amore, credimi.”
“Si, cioè no... non mi importa. Ho solo bisogno di... qualcuno che mi ascolti, ecco.”
L’uomo si allargava automaticamente il colletto, come se non riuscisse a respirare, e sembrava disperato.
Loki sospirò, si sedette, poggiò i gomiti sul tavolo e disse:
“Lei come si chiama?”
“Karen... è bellissima, intelligente e... la voglio sposare, perché l’amo.”
“E quindi?”
“C-come scusa?”
Loki fece un gesto vago.
“Non vedo qual è il problema.”
L’uomo si morse le labbra e abbassò lo sguardo.
“Il problema è che ho paura mi possa dire di no... e non potrei sopportare...”
“Lei ti ama? Te lo ha mai detto chiaro e tondo?”
Loki lo guardava con la testa appoggiata alla mano, e con aria stanca.
“S-si... in effetti, lo ha detto molte volte. Si.”
Il dio sbuffò.
“E allora di cosa ti preoccupi? Chiediglielo e basta.”
“Ma se lei...”
Loki si spazientì, sbatté la mano sul tavolo ed esclamò:
“Se, se, se! Se sei convinto che ti ami, fallo e basta! Se non glielo chiederai prima o poi si stuferà di te! Se è una donna intelligente, come dici che sia, allora non avrà voglia di fare la crocerossina ad un vecchietto piagnone per tutta la vita, o mi sbaglio? E quando si accorgerà di quello che si sta perdendo ti lascerà e si troverà un bel midgar... ehm, cioè... un uomo giovane e bello, magari muscoloso e biondo come... come lui!”
E gli indicò Thor che era seduto all’altro capo della stanza, e che, vedendosi indicare alzò un sopracciglio con aria interrogativa.
“Scapperebbe con un tipo... come lui?!”
Gli fece eco l’uomo.
“Sicuro!”
“Senza pensarci due volte?”
“Ooh, ne sono certo!”
“E pensi che andrà tutto bene, con Karen? Lei dirà di si?!”
Loki alzò la testa con l’aria di chi ne sa più di tutti, e fece un gesto in direzione di Thor:
“Questo non lo so... ma intendi forse darla vinta a quel bel fusto laggiù?”
Il dio biondo, vide ancora il fratello che lo guardava, e come un bambino alzò la manina e salutò.
L’uomo sembrò rianimarsi.
“No! Non la lascerò tra le sue braccia! Non prima di combattere e cadere sul campo di battaglia!”
Loki sembrava proprio divertirsi.
“Gli farai vedere chi è il più forte?!”
“Certo!”
“E chi è il più forte?!”
“Sono io!”
“Non ti ho sentito, verme!”
“SONO IO!”
Si erano alzati entrambi in piedi, e sembrava di vedere una scena di Full Metal Jacket.
Alla fine Loki andò via sghignazzando, e l’uomo di mezza età pronto alla sua dichiarazione come mai lo era stato in vita sua.
Il dio sentì la porta del locale aprirsi e si affacciò per guardare.
Una bella donna, con lunghi capelli castani stava di fronte all’uomo. Il signore ebbe un breve momento di indecisione, e dopo gli incoraggiamenti a gesti del dio l’uomo si inchinò e gli fece la dichiarazione. La donna sembrò non pensarci un attimo e gli disse subito di si.
Midgardiani: così prevedibili...
Dopo varie manifestazioni d’affetto Loki tornò al tavolo, sorridente e affabile.
“Cosa ordinate?”
“Veramente ho preso già un caffè...” Cominciava a fare l’uomo ma il dio lo fulminò con lo sguardo.
“Una bella bottiglia di spumante per festeggiare andrebbe bene?”
“Oh... certo.”
“E lei signorina, le piacciono le fragole?”
“Ne vado matta...”
“Allora le porterò anche una bella fetta di torta. Auguri.”
L’uomo si avvicinò di soppiatto a Loki e gli disse:
“Grazie mille per i consigli, te ne sarò eternamente grato...”
“Non mi deve ringraziare, ho solo fatto il mio dovere. Lei dovrebbe essere contento, ha appena condannato una bellissima donna ad una vita di privazione e sacrifici.”
L’uomo sembrò impensierirsi.
“Che intendi?”
“Intendo che sarebbe stata sicuramente più felice con il palestrato biondo, ma se glielo avessi detto, non avrebbe fatto la dichiarazione e non avrebbe comprato lo spumante. Buona serata!” Detto questo sparì in cucina con l’animo un pochino più leggero per aver finalmente avuto la possibilità di dire ciò che pensava.
 
Dopo aver servito con attenzione tutti i tavoli, compreso quello di Thor e Serena, che lo guardavano come se fosse un eroe, si concesse una piccola pausa. Si sedette sulle scale che portavano al piano superiore del locale, e si ricordò improvvisamente dell’amuleto che aveva preso senza degnarlo neppure di uno sguardo. Si rovistò nelle tasche, lo prese e se lo rigirò tra le dita.
Il suo cuore gli sobbalzò in petto, e Loki per lo spavento fece cadere l’amuleto a terra, lontano da sè.
Restò un attimo così. Con gli occhi spalancati, le mani tremanti, a fissare quell’oggetto maledetto, che lui conosceva fin troppo bene.
Incerto lo riprese tra le mani e lo guardò meglio.
Era un amuleto d’oro, colato su una base circolare. Aveva preziose incisioni sulla superficie e nel mezzo un bellissimo opale, perfetto e levigato.
La pietra era verde, con riflessi e pagliuzze dorate che brillavano come polverose stelle su di un prato. Sul retro il medaglione aveva incise queste parole:
“Per il tuo cuore. L.”
Si prese la testa tra le mani.
Non poteva crederci.
Non poteva essere vero..
Era un incubo!
Loki conosceva fin troppo bene quell’amuleto, ma non avrebbe mai pensato di rivederlo. Quel medaglione non doveva più esistere, e se ora ce lo aveva tra le mani significava che... che le cose erano peggio di quanto avrebbe potuto immaginare.
Colpì con forza il muro con un pugno. Dentro sentiva montargli la paura del passato, e l’impotenza per non sapere cosa stava realmente accadendo.
Loki si morse le labbra, guardò il medaglione e bisbigliò:
“Perché mi perseguiti ancora? Non sei ancora contenta, dopo avermi schiacciato il cuore così tante volte? Gullveig...”





La storia continuaaaa!!! Vi chiedo solo una cosa.... Gullveig appartiene alla mitologia norrena... se non volete rovinarvi la sorpresa NON andate a vedere chi è..!!!!!!! altrimenti verrete a sapere dei dettagli troppo importanti.. non rovinatevi la festa... prometto che la verità verrà a galla molto presto.. eheh. Con la speranza che vi sia piaciuto anche questo cap..... commentate in tanti!!! Bacione!

Jack

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Capitolo 6
*** Nuovo piatto del giorno: cuore al sangue ***


Eccoci qui!!! La storia comincia a prendere forma, cavolo! E anche a cambiare... non si ride più tanto.. mi dispiace.. ehehe.. che dire? eccovi il nuovo capitolo...
Vi posto anche il link di una canzone degli audioslave che si chiama show me how live.. non ha ispirato questo capitolo, ma la stavo ascoltando e mi ci ha fatto pensare... ormai sento la voce di Loki in tutti i cantanti che ascolto.. devo aver perso qualche rotella.. ehehe :) 
http://www.youtube.com/watch?v=ox7_OPvTlOg

Besos!
Jack


Nuovo piatto del giorno: cuore al sangue.
 
Loki si rigirava tra le mani tremanti il medaglione. Sentiva la testa spaccarsi in due e il petto congelarsi di un gelo che gli era tremendamente familiare. Si mise un attimo le mani tra i capelli, deciso a calmarsi una volta per tutte. Gullveig era morta! L’aveva vista lui stesso bruciare tra le fiamme, e gridare di dolore... ma cosa significava tutto questo?!
Il dio sentiva dentro il cranio ribollirgli una tempesta. Tutte le domande che gli risalivano alla gola gli bucavano la pelle come spilli.
La campanella della porta di ingresso che si apriva suonò.
Era arrivato un cliente.
Loki alzò lo sguardo, e barcollante si diresse nell’altra stanza. Per un momento decise che era meglio non pensarci troppo, perchè quei ricordi... i Suoi ricordi lo avrebbe fatto diventare pazzo. Rinchiuse perciò saggiamente tutti i suoi pensieri in un cassetto.
Andò in sala e guardò ai tavoli. La coppietta felice e innamorata se ne era andata, e allo stesso tavolo si era seduta una donna. Le si avvicinò, senza prestarle troppa attenzione, e quando alzò lo sguardo per chiederle gentilmente cosa desiderava rimase pietrificato. Sentì una specie di carezza scendergli lungo la schiena e rabbrividì.
Loki non riusciva a metterla a fuoco. O meglio, la guardava ma non la vedeva.
La donna alzò lo sguardo su di lui, e il cuore del dio tremò.
La midgardiana sorrise, e io dio delle malefatte sentì quasi quella bocca piena e rossa posargli dolci baci sulla pelle.
Ricompose un’espressione guardabile, nascondendo nel miglior modo possibile il turbamento.
“Desidera ordinare?”
La donna era un bel esemplare di midgardiana. Aveva lunghi capelli castano chiari con riverberi dorati, pelle morbida e diafana, grandi occhi verdi, luminosi e brillanti come smeraldi ma... ma c’era qualcosa di più. I comuni mortali non emanano alcuna aura, sono come dei gusci di noce: tengono tutto all’interno. Ma quell’umana aveva qualcosa di diverso. Lo sentiva distintamente risuonare tra le corde della sua anima, come se la donna avesse avuto in mano la chiave del suo cuore.
Il suo sorriso, e quello sguardo, erano dannatamente familiare, e anche atrocemente dolorosi per il dio.
La ragazza gli sorrise affabile e a Loki iniziò subito a girare la testa.
“Lei cosa mi consiglia?”
Il dio tentennò un poco.
“Del caffè, magari?”
“Non mi piace il caffè.”
“Allora una fetta di torta e un tè?”
“Sono a dieta.”
“Che ne dice di qualcosa di alcolico...?”
La bocca di Loki parlava da sola, il cervello se ne era andato da un pezzo, e il dio proprio non riusciva a capire perché.
La donna guardò pensierosa il menù ma era evidente che non voleva ordinare nulla.
Perché era lì?
“Signorina, se non ha deciso posso anche tornare dopo e...”
“Sei noioso.” Lo interruppe la donna, alzando lo sguardo su di lui.
Loki sentì lo stomaco contrarsi.
“Cosa?”
“Te lo ripeto: sei no-io-so...”
La donna sorrise con espressione di scherno.
Il povero dio delle malefatte sentiva tutti i suoi sensi all’erta.. Non era la bellezza della donna a sconvolgerlo tanto. C’era qualcosa che non andava. La sua mente, di solito brillante e veloce, questa volta faceva fatica ad ingranare, o meglio, a mettere insieme i pezzi. Sentiva come un velo che lo copriva e che lentamente lo soffocava, ma non riusciva a spiegarsi il motivo.
“Vorrei che ti sedessi qui.”
Loki la guardò un attimo indeciso sul da farsi.
“Non era una domanda, siediti.” Il tono era imperativo e minaccioso, ma sul suo viso regnava un placido, per quanto inquietante, sorriso.
Il dio si sedette.
“Cosa vuoi?”
“Io? Niente di cui ti debba preoccupare! Volevo solo fare quattro chiacchiere con qualcuno che sembrava del mio livello... non sai quanto mi annoio in questo posto...! Tutto qui.”
Loki si avvicinò, e la guardò meglio, mentre la donna sembrava divertirsi da matti. Quel viso morbido, quei capelli sottili e ambrati, le ciglia lunghe, e il taglio triste degli occhi; il sorrisetto sempre sulle labbra, la piega della mandibola, e la curva del collo, le spalle forti, i polsi sottili, e la vita stretta e sinuosa: conosceva tutto di quella donna. Sapeva persino che aveva una voglia di fragola sulla schiena, appena sotto la scapola sinistra.
“Io ti conosco.” Non era una domanda.
“Oh, certo! Ci siamo incontrati dal fioraio!”
“Non mi ricordo di te...”
“E come potresti? Eri troppo occupato a malmenare quel povero disgraziato...!”
La donna si lasciò sfuggire una risata, che per quanto cristallina e melodiosa, alle orecchie di Loki sembrò grottesca.
“Comunque facciamo pure le presentazioni. Io mi chiamo Victoria, e tu?”
Il dio guardò impensierito la mano tesa della donna, ma non volle stringerla.
Più guardava Victoria e più si rendeva conto che si, non ricordava nulla di lei, ma il cuore non mente, e il povero dio era preda di un cocktail dolce amaro: il piacere e le risate, si mischiavano al dolore e alle lacrime in un contenitore che era il suo petto.
“Non mi piaci.” Concluse infine.
Victoria finse di offendersene, ed esclamò:
“Ma come?! Io faccio la carina con te, dopo tutto questo tempo! E tu mi tratti così male! Non si fa... sei un bambino cattivo.”
Loki sbuffò e stava per andarsene.
Ma la donna lo bloccò per un braccio, stringendolo con una forza spaventosa, e sovrumana.
“Non ti ho detto che puoi andartene.”
“Non mi interessa quello che vuoi.”
Gli artigli di Victoria si conficcarono nel braccio del dio, e la donna ringhiò.
“Come hai sempre fatto, del resto. Sei sempre stato un egocentrico pallone gonfiato, non hai mai accettato l’amore di nessuno, né tantomeno il mio. Mi hai fatto credere di essere dalla mia parte, e poi mi hai tradito. Sei solo una fragile marionetta di cristallo che si diverte a fare il cattivo...”
Sul viso della donna si allargò un sorriso orrendo e al dio venne la pelle d’oca. Sentiva il desiderio incredibile di farle del male, di mettergli le mani addosso e urlargli contro. Chi era quella ragazza per parlagli così?! Cosa ne sapeva di quello che era?! Forse era solo una pazza... si auto-convinse che era così, o per lo meno era l’unica idea che gli veniva in mente. Non riusciva proprio a ricordarsi dove avesse visto prima quella donna e, nonostante il dio ascoltando il suo corpo sentiva che era qualcuno di molto importante, nella sua memoria restava un taciturno oblio.
Stava per andarsene quando la donna lo chiamò:
“Ehi, Loki! Ho deciso cosa ordinare!”
Il dio si voltò con velato terrore.
“Prenderò carne al sangue. Magari, il tuo cuore!”
Era troppo.
Loki fuggì in cucina, con le pulsazioni a mille, e l’orrida risata della donna che gli risuonava nelle orecchie. Poi prese una decisione e corse al tavolo di Thor e Serena.
“Ehi, ciao Loki! Te la stai cavando bene, a quanto vedo!” approvò il fratello.
“E’ vero! Sei stato grandioso con quel nonnetto! Bravo fratellone!” squittì Serena.
Loki parlò in maniera febbrile.
“Thor ho un orribile presentimento. Sento che sta per succedere qualcosa di tremendo.”
“Ma cosa dici? Sei andato benissimo fin’ora! Ti prenderanno sicuramente!”
“Thor...”
“E poi sei corso come se avessi le ali ai piedi da un tavolo all’altro e...”
“Thor.”
“...e non hai fatto scontento nessuno, perciò non ti devi preoccupare di nulla perché...”
“THOR ASCOLTAMI!” urlò Loki sbattendo i pugni sul tavolo.
Thor per una volta aprì gli occhi, li fissò in quelli del fratello e vi lesse quanta disperazione ci fosse dentro.
“Siediti.”
Poi guardandolo serio disse:
“Che succede?”
“Prima a casa di Serena... sono successe delle cose strane... i disegni... l’amuleto... ma non volevo dirvi di questo. Hai visto quella donna Thor?”
Il dio indicò il tavolo alle sue spalle.
“Non vedo nessuno.”
Loki si voltò.
“Ma come... era lì un attimo fa! L’ho vista mentre venivo qui da voi, come ha fatto ad uscire senza che me ne accorgessi?!”
“Loki, fai un bel respiro... stai andando in iperventilazione, fratellone!” disse Serena, seriamente preoccupata anche lei stavolta.
“Thor, prima lì c’era una donna. Sei sicuro di non averla vista?”
“Su quale tavolo?”
“Quello laggiù in fondo che ti ho indicato adesso!”
Il dio cominciava a spazientirsi.
“Intendi quello dove erano seduti la coppietta felice?”
“SI!”
“Loki... – Thor gli lanciò un occhiata strana, come per capire se scherzasse. – Loki, a quel tavolo non si è seduto più nessuno dopo che se ne sono andati.”
“Cosa?” Il dio sentì la terra mancargli sotto i piedi.
“Ne sono sicuro, io da qui riesco a vederlo molto bene. E dopo quella coppia, non è arrivato più nessuno...”
Loki congiunse le dita, cercando di mantenere il suo atteggiamento distaccato.
“Thor. Capisco che il tuo livello di attenzione è molto inferiore alla media. Ma non pensavo fino a questo punto. Era una bella donna, con lunghi capelli mossi, due grandi occhi verdi, e delle belle forme, è quindi impossibile che tu non l’abbia notata.”
Serena lo difese.
“Guarda fratellone che dice la verità! Io mi sono divertita a contare i clienti, e non ho visto nessuna donna che assomiglia a quella che dici tu.”
A Loki caddero le braccia e poi in uno scatto d’ira disse:
 “Siete degli idioti!”
Andò furioso e a grandi passi dietro il bancone, dove Jeffry con la sua solita aria imperturbabile, fissava il vuoto.
“Ehi! Scimmione, dico a te! Mi serve un’informazione!”
Jeffry sembrò risvegliarsi dal suo stato di standby.
“Cosa?”
“A quel tavolo c’era una donna. L’hai vista non è vero?”
“Una donna?”
“Si, una donna! Sai almeno come sono fatte?!”
“No.”
“No cosa?!”
“Non ho visto nessuno.”
...
“... non è possibile.” La voce di Loki era incrinata.
“Guardo tutti i clienti. Non c’è stata nessuna donna.”
Detto questo l’omone riprese a fissare il vuoto, con molta attenzione.
...cosa? Cosa? COSA?!
Il dio ricorse da suo fratello.
“Thor, questo. Lo ricordi questo, non è vero?!”
Loki gli mostrò l’amuleto.
“Cos’è?”
“Cos’è?! Thor, te lo mostrai io! Ad Asgard prima di regalarlo a Gullveig!!!”
Sul viso del fratello passò un ombra interrogativa, e Loki già sapeva, prima che lo dicesse, quale sarebbe stata la prossima orrida domanda che Thor gli avrebbe fatto.
Il dio pregò che fosse solo un’impressione. Avrebbe voluto tappare la bocca del dio biondo, impedirgli in tutti i modi di dire quelle esatte parole, che sarebbero suonate alle sue orecchie più sporche di una bestemmia, ma alla fine non ne ebbe la forza; si sarebbe anche accontentato di turarsi le orecchie, tutto pur di non sentire....
“Chi è Gullveig...?”
Loki crollò a terra, le gambe non lo reggevano più, e iniziò a ridere.
Una risata però del tutto innaturale: isterica, malata e piena di disperazione.
“Loki, stai bene?”
Thor si avvicinava per toccarlo, ma il dio con uno schiaffo allontanò la sua mano, e gli ringhiò contro.
“STAMMI LONTANO!”
 
Thor lo guardò nel modo che solo lui riusciva a fare, come se lo studiasse, e gli leggesse il cuore. Poi rivolto a Jeffry disse:
“Loki non può più lavorare, torniamo a casa.”
Lo sollevò di peso, nonostante le proteste del fratello, svilito e svergognato per la propria debolezza, e a piedi, in silenzio, tornarono all’abitazione del dio.
Una volta arrivati lo posarono sul letto. Loki respirava difficilmente, e sembrava essersi addormentato.
Thor gli toccò la fronte.
“E’ bollente! Cosa gli è successo?”
“Deve aver preso la febbre... nooo, povero fratellone...”
“E’ grave?”
“Non ti preoccupare, adesso lo curiamo... e poi Loki starà meglio!”
Serena vide Thor guardare pensieroso il fratello, e uscire a grandi passi dalla stanza.
“Dove vai?!”
“Devo fare qualcosa. Il sesto senso di Loki non sbaglia mai, forse c’è davvero qualcosa che non va... devo scambiare quattro chiacchiere con mio padre.”
 
... dove mi trovo?
Cos’è questo suono? Una melodia?
“..~.. !*..~..~´..”
È come se fosse casa. Mi sento a casa...
C’è una grande stanza dorata, con tende di seta talmente leggere che danzano sul vento. La luce mi riscalda il corpo dolorante. Sento un calore bruciante dentro il petto, come se avessi nel cuore una spina avvelenata, ma questa melodia... è angelica, e mi toglie il respiro. Una donna girata di spalle sta nel mezzo della sala, e sta suonando una nychelharpa ambrata. La melodia è forte e seducente, e mi attira verso di lei. E’ incredibile credere che stia veramente suonando; con quella corporatura leggera, e quel polso fragile e sottile mi viene quasi da pensare che si possa sgretolare come una bambola di sabbia, se solo suonasse un po’ più forte. Ma non accade.
“Sai come si chiama questo strumento?” Fa lei, con quella voce che mi strega, e mi rapisce.
“E’ uno strumento midgardiano, non è vero? E’ una nychelharpa.”
“Si.. hai ragione Loki, ma ha anche un altro nome. Che io del resto preferisco...”
La melodia continua ad entrarmi nel petto e a spostare tutte le emozioni, che in teoria non dovrei avere.
“Qual è?”
Sospira, sembra delusa.
“Viola d’amore a chiavi.”
“...cosa significa?”
“Non lo so... ma lo trovo dannatamente malinconico.”
Mi avvicino e gli spostò delicatamente i lunghi capelli, scoprendo un collo bianco e incorrotto. Mi avvicino e ci poggio le labbra.
“Cos’è questo profumo?”
“Cannella... è di Midgard.”
“Pensi sempre a quel pianeta... te ne sei per caso innamorata?”
Mi sfugge una punta ironica nella mia voce, non volevo cercare di offenderla, è solo che tutto questo interesse per un mondo inferiore mi sembra... stupido.
La donna smette di suonare e lo lascia cadere a terra. La nychelharpa stona, contrariata.
“Tu sai di cosa sono innamorata...”
Mi acciglio un attimo ma la ignoro e continuo a baciarle il collo.
“Loki, lo sai cosa mi passa sempre per la testa... dimmelo. Cosa infiamma l’animo mio?”
Sospiro e mi allontano.
“Non lo so...”
“Si che lo sai. Dillo, altrimenti tutto sarà solo un gioco. E a me non piace giocare. Dillo!”
“Ti ho detto che non lo so!”
La donna scrolla la testa, sembra arrabbiata. Ma ancora non si volta verso di me, vorrei vederla in viso, ma non ho il coraggio.
“Loki, se mi ami davvero, dimmi il mio nome.”
“Cosa?” mi prende un attimo alla sprovvista, quella parola, “Amore”, sulle sue labbra sembra così estranea, così anormale, e deforme quasi... Non sa pronunciarla.
“Chiama a voce alta il mio nome. Fallo.”
“Io...” La voce mi muore in gola, vorrei esaudire il suo desiderio, ma non ricordo come si chiama.
“Basta di pensare sempre a te stesso! Dì il mio nome! DILLO!”
Quel nome l’ho detto per così tante volte, l’ho amato e l’ho odiato, e ora è impresso a lettere di fuoco sulla mia anima. Ma perché non lo vedo, perché..?!
Gli prendo la spalla e la donna si gira di scatto.
E’ deforme e lì dove dovrebbe essere il bellissimo viso di una donna, c’è solo il muso ghignante di un serpente. Mi soffia addosso e mi attacca. Il resto è un susseguirsi veloce di immagini: un corridoio buio, serpenti, una prigione, fiamme, e grida.
Le mie.
Sto urlando il suo nome, ma lei semplicemente sorride e poi muore...
 
 
Loki si risveglia tremante nel suo letto. E' sudato e ha il cuore che sembra voglia sfondargli il petto. Cerca di alzarsi in piedi ma la testa gli gira pericolosamente e arriva in cucina barcollando e reggendosi alla parete.
“Loki! Non ti devi alzare! Stai male!”
I due mi guardano con due facce preoccupate. Non devo avere una bella cera.
“La smettete di fare quelle facce da idioti e mi date una mano?”
Thor lo sorregge e lo fa stendere sul divano.
Sembra che abbia interrotto un’accesa discussione.
“Cosa dicevate alle mie spalle?”
I due si guardano e poi rivolti a Loki sorridono innocenti.
“Stavamo solo parlando della giornata in generale, Loki... Niente di cui ti debba preoccupare.”
“RIPETILO!” urla il dio delle malefatte, sconvolto.
“Cosa dovrei ripetere...? Che stavamo parlando di...”
“No, non quello! Le tue ultime parole! Esattamente!”
“Niente di cui... ti debba preoccupare.”
Loki sente un fischio acuto attraversargli il cranio.
Le stesse parole... le stesse parole della donna...
“Mi sta andando a fuoco il cervello.” Dice, prendendosi la testa tra le mani.
Thor e Serena si guardano con aria preoccupata.
Poi la ragazzina gli corre incontro con l’attrezzatura di pronto intervento. Loki si ribella ma non riesce neppure a respingerla e alla fine accetta di mal grado la tachipirina e il panno bagnato sulla testa.
Serena non osa guardarlo negli occhi.
Sta per andarsene quando Loki la blocca per un polso.
“Spiegami... spiegami cosa succede...”
Chiede ansante. Serena sospira e gli siede accanto.
“Che vuoi sapere?”
“Cosa sono... i disegni che... ho trovato in camera tua?”
La ragazza sorride, ma quell’espressione felice crolla subito rivelando tristezza. Distoglie lo sguardo e alza le spalle.
“Quelli sono solo disegni che...”
“...che hai fatto tu? Non credo.”
“La situazione è un po’ più complicata di così...”
“Non ti ho chiesto questo.” Loki era irremovibile, e non si faceva commuovere nemmeno dall’evidente stato di tensione in cui gravava la ragazza. Serena cercò di sorridere per la seconda volta, ma per la seconda volta fallì, le spalle gli precipitarono, e la ragazza si abbracciò; come alla ricerca di una protezione che gli veniva negata.
“Mio padre... è mio padre che mi ha mandato quei disegni.”
Loki restava in silenzio cercando di capire, e ignorando gli occhi che si riempivano di lacrime.
“Ogni mattina che mi sveglio lui me ne lascia alcuni sotto il guanciale... questo è iniziato alcuni mesi fa. Sapevo che voleva dirmi qualcosa, e che l’uomo che continuava a disegnare sarebbe stato molto importante per me... Loki, tu sei il mio angelo custode! Ecco cosa voleva dire mio padre ma...”
Serena alzò il suo pietoso sguardo verso Thor, che ascoltava in silenzio, e a quanto pare sapeva già tutto.
“Vai avanti... è giusto che sappia.”
Serena riabbassò lo sguardo sul dio, si morse le labbra e si accigliò. Era evidente che combatteva con le parole che sentiva salire su per la gola, e che se avesse potuto evitarlo lo avrebbe fatto volentieri.
“...ma poi i disegni sono cambiati.”
“Spiegati.”
Loki manteneva la calma a stento, avrebbe voluto prenderla, e scrollarla a testa in giù fino a quando tutta la verità non fosse uscita dalla sua piccola bocca.
“Quelli che hai visto nella scatola non sono gli unici disegni che mi ha mandato...”
Due grosse lacrime gli rigarono le guance piene.
“Ce ne sono di più brutti... che ti riguardano... e che non hai visto perché li ho nascosti...”
“Più brutti?”
Le lacrime sul viso di Serena scorrevano come due grossi ruscelli, e sembrava che gli togliessero la forza di parlare, così scosse energicamente la testa facendo segno di si.
“Quindi tu vorresti farmi credere che tuo padre, morto ormai da tempo, si sia in qualche modo messo in contatto con Asgard e che abbia avuto la bella pensata di avvertirti della mia presenza. E in più, per convincermi che non stavi mentendo ha voluto rappresentare tutto il mio passato e presente...”
La ragazza singhiozzò e dalla gola strozzata riuscì a malapena a bisbigliare:
“... e futuro.”
Tutto l’autocontrollo lo salutò definitivamente, e Loki cominciò a gridare fuori di sé:
“Non insultare la mia intelligenza, midgardiana! Stai mentendo!”
Serena si scostò, spaurita.
“Thor...” piagnucolò la ragazza, e il dio la riprese in custodia.
“Loki, calmati. Devi riposarti e basta.”
“Io non ho bisogno di riposo...  io devo... devo capire...”
Cercò nelle tasche il medaglione, ma con orrore non lo trovò più.
“Dove... la collana... dove l’avete messa?!”
Thor gli disse lentamente, come per paura di sconvolgerlo ancora di più:
“Di quale medaglione stai parlando?”
Loki lo guardò fuori di sé, si mise in piedi, sorretto più da una furia ceca che dalle sue ossa, e gli urlò contro:
“Quello che ti ho fatto vedere al caffè! Possibile che non te lo ricordi?!”
Serena era evidentemente spaventata dall’atteggiamento del dio, e si attaccava a Thor come un koala alla sua mamma. Il dio biondo si accigliò, capiva che c’era qualcosa che non andava, perché Loki su questo non sbagliava mai. Quando c’era un pericolo, soprattutto nelle battaglie, era sempre il primo che avvertiva tutti, anche quelli che magari un secondo prima stavano dormendo.
“Loki... non ci hai fatto vedere nessun...”
“Per gli dei! Ditemi che è uno scherzo!!! Che è uno stupido e orribile scherzo! Ditemelo...”
Le forze gli vennero meno e crollò a terra, mezzo svenuto.
Prima di perdere i sensi il dio sentì solo il forte corpo di Thor che lo prendeva in braccio, lo riappoggiava sul divano e gli diceva con voce bassa:
“Non ti preoccupare, Loki. Adesso ci penso io. Sistemerò tutto e scoprirò cosa succede, grazie per averci avvertito ancora una volta...”
Loki prima di andarsene si sentì quasi sollevato. Suo fratello avrebbe preso in mano la situazione, e avrebbe capito cosa stava succedendo.

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Capitolo 7
*** la casetta di Hänsel e Gretel ***


Eccoci quà. Grazie al paziente aiuto della mia beta reader (che davvero ringrazio con tutto il cuore!!!!) siamo arrivati al settimo capitolo... cavolo. *_* ancora la storia dovrà andare avanti.. e spero di stupirvi ancora e di non cadere troppo nel banale e nell'ovvio... baratro dal quale, una volta caduti non si riesce mai più. XD Spero solo che vi piaccia... Baci!!!!!!

Jack



La casetta di Hänsel e Gretel
 
Ero nella sala del trono. Tutta Asgard si era riunita in quell’ala del castello per festeggiare, o per fare una guerra. In ogni caso, sarebbero stati pronti ad entrambe. La corte parlava tra di loro, e attraverso la sala riecheggiava il bisbigliare di mille voci. Mi guardai attorno, la stanza era tutta addobbata con i fasti più eleganti e raffinati, le donne vestite a festa con gli abiti più preziosi, e i guerrieri, con le loro armature, si pavoneggiavano con le ancelle. Mi scoprii a pensare che quando si parla di manie di protagonismo, nessuna creatura dell’universo batte gli asgardiani.
Attraversai la sala e mentre andavo verso il trono una parete lucidata a specchio mi restituì la mia immagine riflessa. Anche io portavo i miei vestiti più belli, indossati alla perfezione, oserei dire. L’armatura dorata, con riflessi ramati, mi fasciava il petto senza appesantirmi; era di una lega metallica bella ma fragile, solo grazie ai miei incantesimi ero riuscito a renderla abbastanza resistente per la battaglia. Le braccia erano ricoperte dallo stesso materiale, che si avvolgeva attorno ai muscoli come oro fuso, senza impacciarmi nei movimenti. A molti guerrieri asgardiani piace l’eccesso, tanto che una grande e pesante armatura li rende fieri e orgogliosi come se avessero combattuto contro 30 giganti del ghiaccio, magari con una mano dietro la schiena. Camminano così superbi e boriosi: li odio. Anche per questo ho sempre detestato portare mantelli: li considero infantili. Ma questa è un’occasione speciale e quello che mi ricade dalle spalle è proprio un mantello, ho dovuto farmelo piacere.
Stretto nella mano destra il mio scettro, dal quale non mi separo praticamente mai. Molto più utile del rozzo martello di mio fratello.
Sentii una forte pacca sulla schiena, riconoscerei quel tocco d’ovunque.
“Thor! Per gli dei, sei delicato come sempre!”
Lui mi rivolse uno dei suoi più raggianti sorrisi.
“Loki, perché quel muso lungo? Dovresti festeggiare come fanno tutti!”
“Non ne ho molta voglia...”
“Sei il solito asociale, forza sbrigati! Stanno arrivando!”
Andammo ai nostri posti, vicino a nostro padre.
Le grandi e pesanti porte della sala si aprirono. Un messaggero entrò nella salone e urlò:
“Introduco l’ambasciatrice dei Vani e le sue ancelle!”
“Falle passare!” Tuonò Odino, dal suo trono.
I Vani era il popolo rivale degli Asi, ossia rivale degli asgardiani. Quella visita era così importante perché avrebbe sancito la nostra alleanza, o la nostra definitiva dichiarazione di guerra. Il silenzio calò in sala, come se qualcuno avesse risucchiato tutte le voci dei presenti. Ero distratto quel giorno, il mio stupido sesto senso mi diceva che sarebbe accaduto qualcosa di importante per Asgard e... per me.
Ero con la testa tra le nuvole quando mio fratello con una gomitata mi riportò alla realtà.
“Guarda che pezzo di ambasciatrice...” fu il suo ben poco elegante commento.
Io girai svogliatamente gli occhi e fu come se qualcuno mi avesse dato la scossa.
Di fronte a me c’era la più bella creatura che il Valhalla avesse mai potuto ospitare.
Era una donna alta e snella come un bocciolo. Aveva la pelle diafana e incorporea, e sembrava che non fosse mai stata toccata da nessuno, perché liscia e perfetta coma la superficie di un bicchiere di latte. I lunghi capelli castani gli accarezzavano la schiena nuda. Dalla testa gli ricadeva una specie di velo fatto di monete d’oro, il lungo vestito era prezioso ma non pretenzioso, e al corpetto erano incastonate le più belle pietre dei 9 regni.
L’andatura era quella di una creatura ultraterrena, che sembrava passeggiare in mezzo a comuni dei, per fare loro un favore. Lei si voltò verso di me e mi imprigionò dentro quegli occhi, verdi come lo smeraldo. Sentii dentro al petto una specie di rivoluzione. Chiusi le mani a pugno. Non era solo la sua bellezza a travolgermi. Quell’essere emanava un aura fatale, e terribile, la sentivo chiara e netta come se la vedessi di fronte a me. Nessuno nella sala se ne accorse, nessuno ne sarebbe stato in grado, ma per me guardare quella donna avvicinarsi, mi trasmise la stessa sensazione che mi avrebbe dato il fissare una pestilenza carica di promesse di dolore e morte. Era una creatura dannatamente seducente, maledetta nella sua bellezza fatale; io tremai alla sua sola vista. La rabbia mi corse su per la gola, annodandomela. Il dio delle malefatte non prova simili emozioni. Non ne ha mai provate, e mai ne proverà. L’amore è per i bambini, e per gli ingenui, e io non sono nessuno dei due.
La donna arrivò a pochi passi dal trono, si inchinò e disse con voce chiara e forte:
“Odino, signore degli dei, il mio nome è Gullveig, e sono qui come foriera della parola dei Vani.”
Nostro padre con la sua potente voce chiese:
“Orbene, ambasciatrice Gullveig, qual è la parola dei Vani che ci sei venuta riferirci? Stai portando sulle tue spalle la guerra o la pace tra i popoli?”
La donna si alzò in piedi, guardò fisso in direzione di nostro padre e sorrise benevola.
“Mio signore, sono venuto qui a chiedere ospitalità.”
“Non è quello che nostro padre ti ha chiesto.” La mia voce risuonò attraverso la sala, avevo la mascella contratta, e lo sguardo ferino.
Gullveig si voltò verso di me rivolgendomi un sorriso amichevole, sebbene sono convinto che io non avessi la stessa affabile espressione.
“Era sottinteso ciò che intendevo.”
“No, non lo era. Cerca di essere più chiara, ambasciatrice.” Dissi l’ultima parola sputandola fuori dai denti, con disprezzo.
“Perché, fino a prova contraria, noi non abbiamo alcun motivo per fidarci di te, e del tuo popolo.” La mia voce si era alzata di tono e questo significava che quella donna mi faceva una cattiva influenza,mi rendeva irritabile.
Thor tossì, il mio comportamento non era accettabile, stavo trattando male l’ambasciatrice dei nostri rivali, che si stava comportando apparentemente in modo gentile e pacifico. Il sorriso sul volto di Gullveig si era dissolto un attimo, a causa della sorpresa, ma risorse quasi subito, e mi colpì in viso come uno schiaffo al mio orgoglio.
“Chiedo scusa per il mio comportamento ambiguo. Col dire che cerco ospitalità presso di voi, volevo intendere che è possibile intrecciare una stabile e duratura pace tra il popolo dei Vani e il glorioso popolo degli Asi, mio signore.”
Mio padre sospirò: l’avevo deluso ancora una volta?
“E sia. Stabiliremo un incontro con il re dei Vani nel prossimo futuro per organizzare la nostra pace. Per il momento voglia tu accettare il rispetto del nostro popolo, e la nostra ospitalità.” Sentenziò Odino.
“Grazie, mio signore. Vi garantisco che le aspettative che avete nei nostri confronti non verranno deluse.”
I festeggiamenti ebbero inizio.
L’ambasciatrice si allontanò e si mischiò alla folla e per la prima volta da quando Gullveig era entrata nella sala, mi rilassai.
“Loki, che ti succede?! Perché ti sei comportato in quel modo?” chiese Thor, rivolgendomi un’occhiata di disappunto.
Mi passai le dita tra i capelli e mi morsi le labbra, frustrato.
“Davvero... davvero non lo so.”
 
Si festeggiò a lungo, e tutto il popolo era in festa, e quelli che venivano considerati i più forti e coraggiosi guerrieri di Asgard, felici e con il cuore rinfrancato, ingoiarono vari fiaschi di etere. Io dal canto mio non riuscii a bere neppure una goccia, perché la mia gola bruciava come se fosse stata di fuoco. Non riuscivo a distogliere lo sguardo da quella donna, che mi metteva addosso una strana agitazione ed inquietudine che non avevo mai provato prima. Di solito riuscivo a mantenere un ferreo autocontrollo sulle mie emozioni, sempre da me considerate futili e superflui orpelli dell’anima, ma ora... Cosa mi stava succedendo?
Gullveig era circondata da tutto uno stuolo di uomini che la corteggiavano, la lusingavano e la addolcivano con belle parole; io li guardavo con rabbia ceca, maledicendo quei luridi maiali che non meritavano neppure una goccia del suo sorriso.
Thor si accorse dello stato d’animo in cui mi trovavo. Degli sguardi torvi che lanciavo ai guerrieri e di quelli persi che lasciavo su di lei.
“Perché non vai a parlarle?”
“Perché dovrei?”
“Forse perché non gli togli gli occhi di dosso da quando è arrivata.”
“E’ pericolosa, imprevedibile e folle: non mi fido di lei.”
“Oh, questo lo vedo. Gli stai lanciando delle occhiate veramente inquietanti, ma ciò non vuol dire che non ti piaccia.”
“Cosa intendi?”
Thor mi sorrise fraterno.
“Intendo dire che ti conosco abbastanza per capire che quella donna ti fa uno strano effetto, non ti ho mai visto così assorto ed emotivo. Loki... ti sei innamorato per caso?”
“E’ più probabile che tu distrugga il Bifrost che io di innamorarmi, credimi.”
“Innamorarsi di chi, se posso intromettermi nel discorso dei miei signori?”
Gullveig si era avvicinata silenziosa, e ora compresi cos’era quella fastidiosa pressione alla bocca dello stomaco che avevo sentito, mentre parlavo con Thor.
“Stavamo solo parlando dei problemi di cuore di mio fratello... potrebbe sembrare un ghiacciolo ma in realtà ha il cuore di un grande amatore!”
Mio fratello sorrise solare in direzione di Gullveig, io guardavo Thor, e non avevo alcuna intenzione di distogliere lo sguardo dalla sua faccia.
“Si, hai ragione fratello, ogni donna che ha provato ad amarmi non mi dimenticherà mai più. Spesso accade che qualche asgardiana si faccia avanti, e mi riveli di essere innamorata di me. Io ci gioco, come farebbe un gatto col topo, coltivo le loro illusioni come un erba dolce, le coccolo, appago tutti i loro desideri. Non puoi immaginare quanto sia divertente poi alla fine rompere in mille pezzi i loro piccoli cuori innamorati.”
“Non è andata sempre così...”
“Mi ricordo ancora il viso di una donna che mi aveva dichiarato amore eterno, era davvero molto bella, ma un po’ ottusa.”
“Loki, non credo sia il caso che tu...”
Alzai la voce e coprii quella di Thor.
“Dovetti farmi trovare a letto con sua sorella, per fargli capire che era finita. Credo che la poveretta non si sia più ripresa, e che io sia stato il suo ultimo amante.”
Il discorso era andato avanti con il mio tono di voce, freddo e ironico, Thor che cercava di dissimulare il fatto che ero un vero stronzo con le donne, e il mio sguardo che andava da mio fratello al soffitto, evitando abilmente Gullveig.
Voleva forse aiutarmi con lei? Voleva che ci mettessimo insieme?? Che ce la intendessimo??? Io e Thor ci guardammo in cagnesco.
Ci fu un attimo di sospeso silenzio.
Poi Gullveig rise.
Rise in un modo che suonò melodioso e tremendo alle mie orecchie, tale da farmi stringere lo stomaco in una morsa.
Sia io che mio fratello la guardammo stupiti.
La donna sembrava essersi divertita parecchio delle nostre chiacchiere.
“Doveva essere proprio una sprovveduta, per credere che lei, mio signore, non potesse fare questo e altro...!”
Mi accigliai un attimo.
“Perché?”
Lei mi sorrise amichevole.
“Perchè?! Perché lei è il dio delle malefatte, e questa è una fama che si è guadagnato non solo tagliando code alle lucertole.” Gullveig mi fece l’occhiolino, il mio cuore sobbalzò ma non lo diedi a vedere.
“Ah, si? E cosa sai tu della mia fama?”
“Oh, mio signore, non pretendo di conoscerla come le mie tasche, ma posso affermare con certezza che conosco molto bene la maggior parte delle pieghe oscure del suo animo.”
Sorrise, e io gli restituì un’espressione interrogativa e intollerante.
“So, per esempio, che tu (posso darti del “tu”, non è vero?) senti di essere sempre il secondo, il figlio messo da parte, e che vive all’ombra del fratello. So che odi i posti troppo affollati, ma ti piace essere al centro dell’attenzione. So che hai una cicatrice sulla schiena perché tuo fratello, quando eri piccolo, ti ha fatto cadere in un roseto. So che sei affascinato dalla magia specialmente da quella oscura. So che consideri la maggior parte dei guerrieri di Asgard palloni gonfiati rozzi e rudi come cavernicoli senza cervello. So che hai un forte senso della famiglia, ma non hai mai provato amore per una donna, al di fuori di tua madre, s’intende, perché le consideri esseri sciocchi ed emotivi. Sei orgoglioso, egocentrico, sicuro di sé, presuntuoso, sadico, coraggioso, furbo e geniale... – Gullveig aveva cominciato ad avvicinarsi lentamente, senza che io riuscissi a trovare la forza di spostarmi. – E so anche che sotto la tua scorza di rigida formalità e razionalità hai un cuore che ribolle di rabbia e passione, e che non vede l’ora di mostrare, magari con la violenza, magari con il dolore, a tutto l’universo chi è davvero Loki di Asgard, e di cosa è capace...”
Era arrivato ad un palmo da me, tutti i miei nervi erano tesi come corde di violino e vibravano di rabbia e frustrazione.
“Ho indovinato?”
“Non era un roseto, ma rovi.” Sottolineai, rigido.
Gullveig rise, e mi guardò comprensiva.
Thor nel frattempo aveva assistito in silenzio, con un leggero e stupido sorrisetto sulla faccia, che glielo avrei volentieri strappato via di dosso. Fece qualche passo indietro e lo fulminai con lo sguardo. Se provava a lasciarmi solo con quel mostro di donna, dopo lo avrei ammazzato.
“Se è sempre così divertente, qui ad Asgard, vedrò di prolungare la mia visita...” disse Gullveig, affabile.
Strinsi i denti e ringhiai:
“Perché dovresti fermarti? Non ci hai disturbato abbastanza?”
Sul viso della dea si aprii un sorrisetto mordace.
“Intendi dire se non ho già disturbato troppo TE...”
Ingoiai amaro e risposi:
“Anche.”
Gullveig si mosse troppo veloce, scattante come una serpe, mi prese il mento tra le dita e si avvicinò al mio orecchio, bisbigliandomi voluttuosa:
“Ho appena cominciato con lei, mio signore.”
Mi ritrassi come se mi avessero sputato in faccia. Addosso sentivo un formicolio che non ci doveva essere, i muscoli tesi, come se mi preparassi alla battaglia, e un rumore sordo nelle orecchie. Gullveig mi guardò con quei suoi grandi occhi verdi, poi mi sorrise dolce e gentile, come la più innocente delle creature, e disse:
“Sembra proprio un cuccioletto spaventato.”
“Come ti permetti, donna?!”
“Mi lasci spiegare, prima di fraintendere di nuovo le mie parole. I cuccioli spaventati di solito quando vedono un serio pericolo reagiscono in modo violento, e con manifestazioni di rabbia legate alla follia, piuttosto che al naturale istinto di sopravvivenza. Invece di scappare, combattono. In questo momento, mio signore, avete proprio uno sguardo terrorizzato... sono io a spaventarla per caso?”
Tremavo di rabbia. Il mio orgoglio ferito mi impedii di pensare a quello che stavo facendo, e diedi uno schiaffo alla mano dell’ambasciatrice, alla quale cadde il bicchiere di etere che aveva tra le dita. Il denso liquido scarlatto si riversò a terra.
“Non sei tu a spaventarmi, ma quello che mi porti a fare!”
L’avevo lasciata senza parole, e anche Thor mi guardava stranito.
Aveva una nuova luce negli occhi, come se mi avesse visto per la prima volta per quel che ero, poi sorrise peccaminosa, con quella bocca rossa come l’etere appena distillato.
Non avevo più intenzione di rimanere succube di quella donna un secondo di più. Mi girai e mi diressi a grandi passi verso l’uscita della sala, dovevo schiarirmi le idee e riacquistare lucidità. Quella donna era strisciata come un serpente venefico attraverso qualche apertura dentro il mio cuore, se non fossi stato in grado di schiacciarle la testa, l’avrei almeno scacciata col fuoco. Me ne sarei liberato e non le avrei permesso annidare dentro il mio petto.
Prima però che riuscissi a mettermi in salvo la voce di Gullveig arrivò fino a me e disse:
“Un atteggiamento un po’ infantile per il principe di Asgard! Ascolta le mie parole: mi piaci, Loki!”
 
Loki si risvegliò nel suo letto, il sole a ferirgli gli occhi come la mattina precedente. Non si sentiva affatto riposato, ma almeno il fuoco dentro la testa si era affievolito, lasciando solo ceneri calde dentro il suo cranio. In un lampo il dio si ricordò del sogno. Scattò a sedere. E cominciò a borbottare tra sé:
“No, no, no. NON può... essere.”
La donna vista al caffè era Gullveig, o almeno aveva il suo aspetto. Ma perché era ricomparsa dopo quel tempo? La donna doveva essere morta... anzi, sapeva che lo era. Ma allora stava cominciando a diventare pazzo? Aveva le allucinazioni? Loki, dopo la sua morte, si era imposto di dimenticarla, ma non avrebbe mai creduto di farlo sul serio. Ora i suoi ricordi erano una macedonia scoordinata di sapori, troppo acerba per essere mangiata. Sapeva il punto di inizio e la fine. Sapeva cosa aveva fatto Gullveig, quello non aveva potuto non dimenticarlo, ma gli mancavano i tasselli intermedi, e il motivo per cui si sentiva così sconvolto soltanto al pensiero di quel nome.
Gullveig è morta... Gullveig è morta... Gullveig è morta...
Lo ripeteva come un mantra. Ma se lei non c’era più in questo universo questo non significava che qualcuno, che magari ce l’avesse con lui, non avesse preso in prestito il suo aspetto. Ora che la febbre se ne era andata il suo cervello geniale cominciava a rimettersi in moto e ad analizzare la situazione. Avrebbe capito quello che stava succedendo ma aveva bisogno di un parere esterno. Si fiondò in cucina e sentii un forte tuono, lo stesso che fa il Bifrost quando riporta qualcuno a casa. Loki vide Serena rientrare con il cuore leggero, poi lei lo vide, e il suo volto si colorò poco a poco di tristezza che divennero lacrime e singhiozzi:
“Non volevo che lo facesse... ho provato... a fermarlo... ma non mi ha ascoltato!”
Crollò a terra con le mani tra i capelli, e grosse lacrime scivolarono sul pavimento.
Il dio andò da lei e la prese con forza per le braccia per scoprirgli il viso.
“Cosa succede Serena? Calmati! Chi non ti ha ascoltato?!”
“Il fratelloooone... è andato dove abitano gli angeli...” I singhiozzi erano sempre più forti e a mala pena Loki riusciva a capire cosa stesse dicendo.
“Ad Asgard? Per fare cosa?!”
Serena scosse la testa, e cercò di nascondersi ma il dio la tirò su di peso e la costrinse a guardarlo.
“Cosa vuole fare Thor?!”
“Vuole... arrestarti... lui.... chiama... guardie che.... ti porteranno via...”
E poi urlò:
“Io non voglio che tu vada via!!!”
Loki la scrollò, doveva agire in fretta se le cose stavano come aveva detto la ragazza.
“D’accordo, non andrò via, ma devi farmi capire, Serena. Dimmi tutto quello che sai su questa storia. Sento che centri più di chiunque altro.”
La ragazza lo guardò supplichevole, con gli occhi umidi di acqua salata.
“Andiamo a casa mia, ti faccio vedere gli altri disegni...”
 
Uscirono in strada e corsero attraverso la città. Scapparono e svicolarono tra la gente e in meno di 15 minuti era riusciti ad arrivare davanti alla casa di Serena. Loki, che aveva il passo più lungo della ragazza, l’aveva superata. Si ricordò della trincea e la saltò, evitandola.
Serena invece incredibilmente la prese in pieno e si intrappolò nei fili rossi, dimenandosi come una pazza.
“Che diavoleria è mai questa?! Come posso uscire da questa trappola?!”
Serena si dimenava e cercava in ogni modo di liberarsi, ma nel modo sbagliato. Sul suo viso c’era un’espressione di rabbia e furia che Loki non aveva mai visto. Tornò indietro e cerò di calmarla.
“Serena, ragiona. Non è questo il modo per uscire.”
“E allora dimmelo se lo sai, stupido egocentrico figlio di...”
Serena si interruppe, e Loki la guardò interrogativo.
La rabbia ceca della ragazza si dissolse, e al suo posto comparve un’espressione pietosa e supplichevole. Grosse lacrime le rigarono le guancie.
“Per favore... non ricordo... come...”
Loki sbuffò.
“Lascia fare a me.”
Una volta che Serena si liberò corse in casa, aprii il congelatore, e tirò fuori una scatola rosa.
“Nel congelatore?”
“Era un buon nascondiglio.” Poi con mano tremante gli pose i disegni.
Loki iniziò a sfogliarli.
“Cosa ti fa pensare che Thor sia andato su Asgard a chiedere di farmi arrestare?”
“Non me lo ha detto, chiaro e tondo. Ma questi disegni... ti avevo spiegato che mostravano il futuro, non è vero? Lo dicono loro che verrai catturato, e io non voglio.”
E quello che aveva detto Serena era proprio la verità. Nei disegni si era visto braccato, circondato e catturato. Lo avrebbero riportato ad Asgard, accusato di non aver rispettato i patti stabiliti. Odino aveva deciso per la morte del dio. Thor non lo ascoltava e anzi lo accusava crudelmente. Alla fine sarebbe andata male per lui, sarebbe stato innalzato su una pira circondata di lance. Il fuoco lo avrebbe avvolto, e tutto sarebbe finito.
L’unico disegno che lo lasciava perplesso era l’incontro con la donna al bar, che lui riconobbe essere bruciato e illeggibile.
Crollò su una sedia, riflettendo. Perché suo fratello era tornato ad Asgard in quel momento? Non aveva alcun senso. O meglio, sarebbe potuto tornare per capire cosa stava succedendo su Midgard, magari voleva accertarsi che Gullveig fosse esistita davvero, e che non fosse solo un’allucinazione del suo caro fratello. Thor poteva crederlo pazzo? Loki doveva ammettere che più di una volta aveva dimostrato di avere una psiche fragile e squilibrata, in poche parole? Imprevedibile. Ma stava veramente impazzendo? Quella faccenda non lo convinceva neanche un po’, e il suo sesto senso di certo non aiutava, perché oltre a strillare come un forsennato che stava accadendo qualcosa di terribile, proprio sotto il suo naso, non dava altri indizi di sorta. Era come trovarsi dentro un campanile dove mille campane suonano all’unisono dentro la tua testa, e ti raggiungono solo frammenti di cielo in tempesta, come pezzi di vetro, taglienti come lame.
“Loki. Io ti posso aiutare.”
Il dio rialzò lo sguardo sulla ragazza che intanto, senza che se accorgesse, gli aveva preso il braccio e lo stringeva forte.
“In che senso?”
“Hai evidentemente bisogno di pensare, e riflettere, ma questo non è il posto giusto. Ti porterò dove ti potrai nascondere per un po’ e sfuggire a tuo fratello.”
Loki si accigliò, sentiva puzza di bruciato, ma non vedeva cosa andava a fuoco.
“Perché mi aiuteresti?”
“Loki! Ma perché io ti voglio bene... e tu sei il mio angelo custode, ti devo portare in salvo.” La ragazza non sembrava intenzionata a dare ulteriori spiegazioni, oltre ad un agitato ma spontaneo sorriso.
“Dove vuoi portarmi?”
“Seguimi!”
Uscirono fuori, e si immersero nella boscaglia dietro casa. Il tempo era peggiorato notevolmente e si sentivano boati fra le nuvole nere, come se in cielo si stesse combattendo una battaglia sanguinosa e cruenta. L’aria carica di morte non aiutava di certo la conversazione.
Sembra che ad Asgard stiano discutendo furiosamente.
Serena camminava davanti al dio, quasi correndo, sembrava che non vedesse l’ora di arrivare. Ma Loki era sempre più dubbioso e cominciò a rallentare il passo. Serena continuava a chiamarlo e così il dio si convinse a dare un’occhiata al posto dove fossero diretti. Dopo 30 minuti di strade quasi irriconoscibili, Loki si rese conto che non sarebbe mai stato in grado di tornare indietro. Arrivarono ad un’ampia radura in mezzo alla quale c’era una piccola casetta di legno, come quelle di montagna. Serena proseguì verso la casa, ma Loki si fermò prima ancora di mettere piede nella radura. Il dio si guardò attorno con aria stranita, sentiva che c’era qualcosa di terribilmente sbagliato in quel posto, come se fosse il luogo peggiore dove fosse potuto andare
“Loki...? Che stai aspettando, vieni!”
Il dio si concentrò, e ascoltò con attenzione. Non c’era un suono nell’aria. Non si sentiva nessun animale midgardiano fare rumore nelle vicinanze, e anche i rumori della città arrivavano in quel luogo lontani e soffocati dagli alberi. Loki aveva imparato che il silenzio è pericoloso. Il silenzio c’è prima della battaglia, e preannuncia la cruenta e disumana violenza che di lì a poco trafiggerà l’aria. Il silenzio appartiene alla malattia. Appartiene alla morte.
“Pericolo.”
“Cosa?”
“Questa casa puzza di pericolo, Serena. Perché mi hai portato qui?”
La ragazza sorrise, incerta.
“Ma cosa stai dicendo Loki, su non scherzare.”
“Non sto scherzando, non entrerò in quella casa.”
La ragazza cominciò a tremare, e a singhiozzare ininterrottamente, ma la sua espressione era fredda come il ghiaccio, e immobile come quella di una fotografia.
“E’ sicuro Loki, devi entrare e andrà tutto bene.”
“Serena... neanche se la casa fosse stata dipinta con del sangue fresco riuscirei a sentire più distintamente il sentore di morte che emana.”
La ragazza lo guardava sconvolta, come se avesse appena detto la peggiore delle bestemmie. Poi si morse le labbra e strinse i pugni, tremò di rabbia dalla testa ai piedi, e con quello sguardo sembrava che volesse trafiggergli il petto urlò:
“UBBIDISCIMI E BASTA!”
La voce di Serena era esplosa in un ringhio feroce, infernale, non era la sua voce.
La ragazza si tappò la bocca con le mani, mentre le lacrime continuavano a scorrere senza tregua.
Poi sorrise, piangendo, e disse con voce affabile e melliflua.
“Non hai nulla di cui temere... nulla di cui temere...”
“Chi sei tu?”
“Cosa dici, Loki? Sono io. Serena! Ti puoi fidare, vieni da me... vieni da me...”
La ragazza muoveva qualche passo, con gli occhi stravolti, verso il dio.
“Voglio sapere chi sei davvero, o cosa.”
“Te l’ho dettooo... te l’ho sempre detto, ma tu non ascooolti...” cantilenava Serena mentre protendeva le mani, sempre più simili ad artigli, verso Loki.
Il dio la guardava impassibile, i suoi sensi gli urlavano di andarsene e fuggire, ma sentiva che la verità era dietro l’angolo, e il desiderio di sapere lo teneva ben piantato sul posto.
Non aveva paura, era deciso, risoluto, voleva sapere.
“Serena, non mi faccio ingannare.”
“Nooo, non lo hai mai fatto. Tu sei il dio delle malefatte, sei sempre stato superiore a tutti, e tutti gli altri erano degni solo di leccarti le suole delle scarpe... ma ti dico una cosa, non conoscerai la verità di tutta questa storia se non un attimo prima che il tuo cuore muoia pulsante nella mia mano, perché sei ottuso e non vuoi capire. La verità è davanti ai tuoi occhi, ma TU NON VUOI CAPIRE!”
“Non lo hai capito solo per questo
Inclinò il viso e i capelli gli coprirono gli occhi, sorrise, e protese la mano aperta verso Loki. Gli sfuggì una risatina e poi con voce roca e gutturale disse:
“Ora vieni da me...”
Strinse il pugno.
Loki sentì una pressione contro il petto, come se un enorme mano lo prendesse e cercasse di strattonarlo con tutte le forze verso la casa. Era un incantesimo quello? No... non lo era. Era qualcosa di troppo primordiale. Non era un’imposizione quella che Serena gli aveva fatto, era una richiesta. Una richiesta che incastrandosi perfettamente con i tasselli della sua anima ora lo obbligava ad avvicinarsi, e a muovere passi sregolati verso di lei.
“Tu non potresti farmi questo... non mi conosci neppure...!”
Serena si insinuava dentro di lui come una voce diabolica, che lo faceva camminare come un burattino di cartapesta.
“Oh, io ti conosco meglio di me stessa. Non lo ricordi più? Mi hai fatto entrare anche nella tua mente una volta... forse davvero non una delle tue più brillanti idee.”
Era troppo, avrebbe voluto davvero fuggire, questa volta non se lo sarebbe fatto ripetere anche perché ora il suo sesto senso gli diceva che stava lentamente camminando verso un precipizio, e non poteva fare niente per fermarlo.
“Vieni da me, amore mio... vieni da me... stendiamoci insieme sulla pira di morte, e andiamo ad incontrare Hel, nel suo oscuro regno...”
 
Un’ondata simile ad una folata di vento travolse Loki e lo costrinse a chiudere gli occhi. Sentì un improvviso fischio alla testa, forte come il canto di una sirena, mentre la piccola radura era sconvolta dalla tempesta. Si portò le mani alla testa e poi divenne tutto nero.
 
Gullveig mi aveva stravolto il cuore. Non capivo cosa mi avesse fatto. Mi ero rinchiuso in camera mia a pensare, dovevo capire. Dentro la mia testa c’era sempre lei. Chiudevo gli occhi e la vedevo, era ovunque nella mia mente, e il ricordo si soffermava soprattutto su quelle labbra, rosse come sangue vivo. Avrei voluto morderle, baciarle... Ma cosa mi succedeva?!?! Mi alzai rabbioso dal letto, e camminai come una furia attraverso la stanza. Avevo le farfalle nello stomaco, la gola riarsa, e mi sentivo leggero come se qualcuno avesse attaccato un paio di ali al mio cuore. Perché?
“Che io... mi sia davvero... innamorato?!” Quasi sputai quella parola. Era strana pronunciarla. A quanto ricordavo, non credo che io avessi mai provato amore per una donna. Magari provavo attrazione, più per il loro corpo che per il loro piccolo cervello, ma mai Amore! Il dio delle malefatte non può innamorarsi, anche se si tratta della più stupenda e diabolica delle creature. Gullveig infatti non era soltanto bellissima, ma era così perfida e geniale. Lo sentivo come se il profumo della sua pelle me lo rivelasse. Era simile a me in quel senso. Era una maestra d’inganni, e forse era anche...
Mi fiondai fuori dalla stanza come una furia, dovevo vederci chiaro. Non ho mai sopportato le sorprese degli altri, la maggior parte delle volte non mi piacevano. Quindi mi diressi alla stanza di Gullveig. Ormai la festa era finita, e l’avrei quasi sicuramente trovata lì. Bussai forte, come se dovessi sfondare la porta. Quell’atteggiamento da pazzoide davvero non mi si addiceva, ma era la donna a farmi quell’effetto. Non mi aprì nessuno, bussai più forte.
“Gullveig! Aprimi, dobbiamo parlare!”
Sentii dei passi avvicinarsi alla porta, e la donna mi aprì.
Tutta la mia carica belligerante si dissolse in un attimo appena i miei occhi si posarono su di lei. Aveva raccolto i capelli, e ora si vedeva ancor meglio il dolce collo bianco; aveva cambiato abito, e ora indossava un largo e morbido vestito color rosa antico, con pizzo nero, che accompagnava tutte le sue curve con eleganti drappeggi. Era struccata, ma questo non toglieva nulla alla sua bellezza.
La donna notò il mio sguardo rapito.
“Ti ho tolto la parola di bocca, Loki?”
Mi maledissi.
“Dobbiamo parlare.”
Gullveig fece un’espressione falsamente delusa.
“E basta?”
Entrai senza permesso, scostandola in malo modo dall’ingresso. Lei chiuse la porta.
Mi piazzai nel mezzo della stanza con le braccia incrociate e lo sguardo tagliente.
“Sei una strega, non è vero?!”
“Cosa?” chiese, con espressione stupita.
“Non provare a negarlo, l’ho sentito subito che avevi qualcosa che non andava. Eri diversa da tutti quegli zotici là sotto. Sembra quasi che tu abbia un’aurea magica tutta intorno a te. Sei una strega, ne sono sicuro.”
La donna mi guardò piacevolmente meravigliata.
“Bravo Loki, proprio quello che ci si deve aspettare dal degno figlio di Odino... io sono una strega. Ma ora dimmi, non lo hai capito solo grazie ad una sensazione, non è vero?”
Distolsi lo sguardo, non avevo alcuna voglia di parlargliene.
Lei si atteggiò a bambina capricciosa.
“Per favore! Dimmelo... io ti ho rivelato il mio segreto... dovresti fare altrettanto!”
Sbuffai.
“Già beh... Mi... mi hai ricordato me stesso. Sei molto simile a me. Ecco come ho fatto a capirlo.”
“Ah, finalmente una cosa su cui andiamo d’accordo! Anche secondo me siamo molto simili.” La donna mi si era avvicinata, troppo per i miei gusti.
“Ho detto che siamo simili! Non uguali!”
La allontanai e attraversai la stanza sistemandomi vicino alla finestra.
“Perché ti comporti così con me?”
Mi si avvicinò lentamente.
La guardai negli occhi e vi lessi una velata ombra di tristezza che mi lasciò spiazzato per l’ennesima volta. Poi mi salì la rabbia al cervello.
“Perché TU devi comportarti così con ME?!”
Mi avvicinai, la presi per le braccia e la scossi con violenza.
“Perché devi insinuarti così subdolamente nella mia testa?! Sei un essere infido che dovrebbe essere dato alle fiamme, non è vero, strega?!?!”
Gullveig mi mostrò un paio di occhi vuoti e terrorizzati. Ogni rabbia venne meno e la lasciai immediatamente per paura di averle fatto davvero del male. Lei ricadde senza forze sul pavimento, ed iniziò a piangere con dei singhiozzi così pietosi che mi spezzarono il cuore.
“Sei... cattivo...”
Ero in piedi in mezzo alla stanza, sotto shock come se mi avessero dato uno schiaffo e non riuscivo a muovere un muscolo. La testa non sapeva bene quello che dovevo fare, ma per qualche strano motivo il cuore invece si.
Mi inginocchiai vicino a lei e la abbracciai. La donna sobbalzò quando la strinsi a me.
Incredibile... non avrei mai pensato di provare pena per qualcuno, né tantomeno per una donna. Non capivo quello che stavo facendo, ma la sensazione del corpo di Gullveig che tremava contro il mio petto mi tolse qualsiasi dubbio. Sentivo crescere in me la convinzione che dovevo proteggere quella creatura, per quanto diabolica ed infida potesse essere, dovevo proteggerla.
“Perdonami, sono stato troppo brusco. Non succederà più. Perdonami.”
La donna continuava a singhiozzare.
“Calmati... cosa posso fare per farti stare meglio? Chiedimi qualsiasi cosa...”
Gullveig sembrò pensarci su.
“Qualsiasi cosa? Me lo prometti?”
“Te lo prometto. Dimmi cosa devo fare, Gullveig...”
Mi resi conto troppo tardi di essere caduto nella sua trappola.
Gullveig tirò su la testa e vidi sul suo volto un sorriso maligno e compiaciuto. Era tutta una finta! Mi aveva ingannato!
“Baciami, dio delle malefatte.”
Il cuore dislocò direttamente in gola. Io, ingoiando a fatica, lo rispedii da dove era venuto.
“Cosa stai... perché?!”
“Perché come hai detto tu stesso, Loki, noi due siamo molto simili. Entrambi affascinati dal potere, dalla vendetta, dalla magia... siamo due anime solitarie che finalmente si sono incontrate, dovresti gioire, hai finalmente trovato qualcuno in grado di capirti. E poi lo vedo che vuoi baciarmi, non pensi ad altro da quando ci siamo incontrati.”
“Io penserei a baciarti?! Ah! Sei veramente una povera illusa... mi fai pietà.”
Per fortuna avevo riacquistato parte della mia strafottenza, perché il cuore intanto ballava la tarantella dentro il petto.
Gullveig mi guardò come una madre potrebbe guardare il figlio che ha appena rotto il vaso di fiori della nonna.
“Loki, lo sento chiaro e forte come se tu me lo dicessi. Come se mi supplicassi. – Gullveig si sistemò meglio tra le mie braccia, avvicinando il viso al mio. – E io voglio realizzare questo desiderio perché mi piaci, Loki, e mi ecciti da morire.”
“Ti... eccito?”
Gullveig si morse le labbra e mi guardò negli occhi.
“Oh, si...”
Dopo di che si sistemò sopra di me e avvicinò la sua bocca al mio orecchio.
“Tu vuoi baciarmi. Dillo. Dì che mi desideri, che mi vuoi!”
Sentivo le sue parole entrarmi dentro la testa e dentro il corpo come un caldo e dolce liquore, era impossibile scacciarle e così ne bevvi avidamente.
Passai le mani sulla vita della donna, la quale sembrò apprezzare. Avvicinai il viso al suo, guardandola rapito, e respirando il suo profumo inebriante.
“Dillo...!” insistette lei.
La strinsi più vicino a me e bisbigliai:
“Voglio baciarti... ti morderei queste labbra rosse fino a fartele sanguinare... ti desidero... ti voglio...”
Gullveig si lasciò sfuggire un sorrisetto di vittoria, mi aveva sopraffatto. Mi passò le mani sul petto, e quel suo gesto mi mozzò il respiro.
“E allora fallo. Te lo ordino.”
“Si, mia signora...”
Chiuse gli occhi, mi prese il viso tra le mani e si avvicinò per baciarmi.
Poi la donna sentì la mia mano sulla sua bocca e mi guardò.
“Scacco matto.” Sorrisi.
 Presi Gullveig e la rovesciai a terra, bloccandola con il mio corpo. Lei mi guardò ancora una volta con quello sguardo stupito che gli illuminava così tanto i suoi grandi occhi verdi.
Cercò di liberarsi ma io la bloccai tenendole i polsi.
“Cosa stai...” La zittii posando un dito sulle sue labbra.
“Pensavi di avermi già battuto? Credevo che mi conoscessi meglio di chiunque altro, così avevi detto... sai, non mi faccio abbindolare da un bel visino come il tuo. Ti ho fregato, tesoro!” Gli presi il viso tra le mani e lei sorrise.
“Oh, Loki... quel ghigno che hai sulla faccia ti si sta come un guanto e ti rende incredibilmente sexy... fammi tua, dio delle malefatte!”
“Non così in fretta, strega Gullveig, voglio che tu soffra... e solo quando mi supplicherai forse proverò a pensarci...”
“Posso supplicarti anche adesso, io non sono orgogliosa come te, il mio ego non rischia di schiacciarmi ogni volta che chiedo per favore.”
“Per quanto io ricordi non ho mai chiesto per favore.”
“Allora prometto di fartelo dire... anzi lo urlerai...”
Sorrisi, non riuscivo a smettere, era come giocare e la cosa mi divertiva da pazzi.
“Quando ci riuscirai allora il mio cuore sarà tuo. Te lo giuro...”
“Non vedo l’ora.”

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Capitolo 8
*** Sono il tuo sacrificio, dimmi la verità. ***


o mio dio... cosa ho scritto? O_O ok ok.. forse mi sono lasciata prendere la mano... perchè... è pieno zeppo di riferimenti mitologici!!!!!!!!!! ç_ç chiedo venia, ma proprio non sono riuscita a frenarmi.. mi sto facendo una cultura sovrumana.. vi dico solo che per l'incantesimo ci ho studiato una giornata intera sopra.. e poi magari neppure vi piacerà.. XD ma io ci provo.. e prego nella protezione del ventaglio di dei  che popola Asgard.. spero che vi piaccia.. e che l'attesa a cui vi ho obbligato sia servita a qualcosa... Bacii!!!!

p.s. le citazioni in parte le ho prese dall'Edda.. mentre alcune frasi sono islandese.. o_o dato che ho letto che una delle lingue derivanti del norreno erano l'islandese ho avuto la bella (?) pensata di usarlo.. ora parere al popolo!!!

Jack



Sono il tuo sacrificio, dimmi la verità

Il ricordo si interruppe bruscamente e Loki si trovò a due passi da Serena che lo guardava con la stessa espressione che avrebbe potuto avere un serpente che guarda un topolino indifeso. Il dio delle malefatte non poteva fare altro che avanzare, inesorabilmente, verso colei che sarebbe stata la causa della propria fine. Lo sentiva ora più forte che mai, e quasi riusciva a vedere il proprio destino calare la nera scure sopra il suo collo ma, nonostante tutto, non aveva alcuna voglia di resisterle. Dentro il suo petto non si faceva più largo la paura, né alcun altro sentimento che non fosse il divampare crudele di una tristezza insensata. Sarebbe andato spontaneamente dal boia che lo aspettava su quel palco, prima o poi, ma l’unica cosa che ora lo infastidiva più di tutte era il non aver capito ancora cosa stava succedendo, e perché. Non sarebbe finita così, non l’avrebbe permesso. Un fulmine squarciò il cielo e si abbatté fragoroso neppure ad un centinaio di metri da loro. Il rumore che si propagò fu simile al grido di rabbia di un dio. Serena si distrasse e Loki sentì la pressione al petto allentarsi. Non gli diede neppure il tempo di girarsi che il dio la buttò a terra e corse via più veloce che poteva. Non aveva alcun mezzo per contrastare i poteri della ragazza... l’unica possibilità di salvarsi era, purtroppo, la non fin troppo dignitosa ritirata. Fuggì attraverso il bosco senza sapere bene dove stava andando, le gambe lo portavano da solo e non aveva bisogno di nessun altro incentivo per andarsene che non fossero le grida disumane della ragazza alle sue spalle, e le fragorose esplosioni che provenivano dalla radura. Qualunque cosa stesse succedendo, era peggio di quanto potesse aspettarsi. Non avrebbe mai potuto credere che Serena, la solare ragazza che aveva conosciuto, fosse un mostro spietato e assoldato da chissà quale esercito. Il cielo era nero e ribolliva proprio come il calderone di una strega, dopo qualche minuto cominciò a piovere e le gocce d’acqua iniziarono a sferzargli il viso. Non sapeva dove stava andando, ma quella era l’ultima delle sue preoccupazioni. Per il momento voleva solo fuggire e andarsene il più lontano possibile. Appena avrebbe ritrovato la città si sarebbe trovato un qualche nascondiglio e avrebbe finalmente cercato di capire cosa stava accadendo. Anche se adesso non ho alcun potere credo che mi abbiate tutti sottovalutato. Potete legarmi, incatenarmi, spedirmi in un pozzo senza fondo ai recessi dell’universo, ma io sono il dio delle malefatte, e ho sempre un asso nella manica. Rise di se stesso. Loki si rendeva conto di quanto fosse egocentrico, ma semplicemente... non poteva farne a meno! Pretendere da lui che fosse altruista e modesto sarebbe come chiedere ad un leopardo di non inseguire più la gazzella, oppure chiedere ai cubetti di ghiaccio sull’acqua di non galleggiare, in poche parole, sarebbe stato contro natura. La pioggia cominciò a scrosciare sulla terra senza tregua, inondando le colline del profumo di terra bagnata e sale. Calò una nebbia così densa che potevi tagliarla con il coltello, e la cosa aiutava ancor meno Loki ad orientarsi. Dopo venti minuti si accorse che stava ancora correndo, nonostante il silenzio del bosco lo avvolgesse come una carezza gelata. Si impose di rallentare. Nonostante facesse molto freddo Loki sembrava non sentirlo, o non darsene pensiero. In realtà tutto dipendeva dal fatto che lui era uno Jötunn e la sua pelle era abituata a ben altre temperature. A quanto pare, anche in questa forma mortale, la mia natura di gigante di ghiaccio non sembra avermi abbandonato. Continuò a camminare senza badare a dove stesse andando, tanto una direzione valeva l’altra in quelle condizioni. Si mise a riflettere, e quasi che la pioggia e la nebbia contribuisse a favorire la sua concentrazione riuscì ad elaborare un piano che forse poteva funzionare. Certo, avrebbe avuto bisogno di alcune cose, gli ingredienti fondamentali già ce li aveva... ma non sarebbe stato facile. Per un mortale fare un incantesimo è impossibile, ma non posso credere che gli Asgardiani abbiano veramente creduto, rinchiudendomi in questa debole forma terrestre, di fermarmi. Che esseri sciocchi e creduloni! Certe volte penso di essere l’unico in tutto l’universo ad avere un briciolo di cervello, o almeno che è in grado di usarlo. Ma per quello che ho in mente di fare dovrei avere anche la collaborazione di un Midgardiano, e credo che sarà la cosa più difficile da ottenere. Loki mentre pensava a queste cose inciampò su una radice che sporgeva dal terreno, che a causa della nebbia non era riuscito a vedere, e cadde rovinosamente per terra. Cercò a fatica di rialzarsi ma non ci riuscì a causa della dolorosa fitta che sentiva alla caviglia sinistra.
“Solo questo ci voleva, per gli dei!” ringhiò, adirato più contro la mala sorte, che non con se stesso. Si rialzò e proseguì, cercando di appoggiare il meno possibile il piede. Per il momento avrebbe ignorato l’accecante dolore che sentiva, l’unica cosa che importava era sbrigarsi e raggiungere al più presto la città. Si accorse però che la propria andatura era notevolmente rallentata. Se Serena lo stava ancora cercando, non ci avrebbe messo molto a ritrovarlo, specialmente in quelle condizioni. La pioggia scendeva impietosa. Si ricordò delle parole del fratello, quando era venuto a salvarlo. La testardaggine era una delle sue migliori qualità, ed era proprio quella ora a sorreggerlo.
Dopo altri trenta minuti decise di fare una pausa, e ragionare. Ci stava mettendo troppo. All’andata lui e Serena non ci avevano messo tutto quel tempo. Stava forse girando in tondo? All’improvviso sentì dei rumori alle sue spalle, come i passi di qualcuno che si stesse avvicinando velocemente nella sua direzione. Si alzò in piedi senza pensarci due volte, ma il dolore alla caviglia era aumentato, e non riusciva quasi più a sopportarlo. Senza i poteri era come un comunissimo mortale e perciò il dolore, se non si fosse curato, sarebbe soltanto potuto aumentare. Proseguì incespicando sui suoi passi, e appoggiandosi come meglio poteva agli alberi. Il rumore dietro di lui intanto si faceva sempre più forte e distinto. Sembrava qualcosa di molto grande e forte. Alla fine Loki si rese conto che non serviva a nulla fuggire, e che in poco tempo quella cosa lo avrebbe raggiunto, e non conoscendone la natura, era meglio non farsi trovare in giro. Si accasciò per terra, e appoggiò la schiena ad un albero. La nebbia lo nascondeva, almeno in parte, e se non faceva rumore, nascosto tra la fitta vegetazione poteva anche salvarsi. La cosa arrivò subito dopo, quasi che avesse aspettato che Loki si nascondesse. Si fermò e ascoltò l’aria. Il dio delle malefatte sentiva il respiro pesante di quella cosa, che sembrava più una bestia, che un uomo. Intravedeva gli sbuffi di aria calda del suo respiro e una spietata malinconia gli preso lo stomaco. Quella cosa gli ricordava terribilmente Fenrir... il suo amato Fenrir. Si ricordava ancora di quando lo allevava, e lo portava nella foresta a cacciare. Un lupo crudele e intelligente, degno figlio di suo padre. Certo, glielo ricordava, ma non poteva essere lui. Non poteva o... poteva? Trovare suo figlio in quello sputo di pianeta sarebbe stata l’ennesima controprova che era impazzito, dato che Fenrir era imprigionato e incatenato saldamente sull’isola di Lyngvi. Si affacciò lentamente dall’albero dietro cui si nascondeva, e vide un’alta figura nera immobile, a pochi metri da lui. Aveva la forma umana, ma era troppo grande per essere un Midgardiano, o almeno così credeva Loki. La pioggia gli cadeva sulle grandi spalle, e la figura sembrava quasi essersi addormentata in piedi. Il dio si mosse un po’ tra l’erba, e dei ramoscelli scrocchiarono. L’uomo si girò di scatto in direzione del rumore, e Loki si lasciò sfuggire un singulto. Si appiattì subito a terra, tappandosi la bocca con le mani. Non aveva paura, ma tutto sarebbe stato inutile se si fosse fatto trovare. L’uomo mosse qualche passo verso Loki. Il dio serrò gli occhi e sperò soltanto che quella cosa se ne andasse il più velocemente possibile. Alla fine sentì i passi dell’omone allontanarsi. Aspettò ancora un po’ e poi si rialzò. Ce l’aveva fatta! Era sopravvissuto a quell’ ennesima prova.
“Di certo questo pianeta non mi ama.” Borbottò tra sé, mentre con cuore ormai leggero si rimetteva sulla strada. All’improvviso però sentì un rumore di foglie secche alle sue spalle. Il dio si girò di scatto e quando vide la figura nera dell’uomo di poco prima sovrastarlo sentì il cuore sobbalzargli in petto. Provò a correre ma non fece neppure un passo che finì per terra.
L’omone lo guardava, immobile.
“Ti ho trovato.” Scandì con voce monocorde.
“Si, esatto, complimenti! Ora cosa vuoi? Un premio? Te lo darei anche ma non ho nulla che ti possa interessare.”
L’omone sembrò non curarsi delle parole di Loki e si abbassò su di lui.
“Cosa stai facendo? No, aspetta. Non... ah!”
Le grandi mani dell’uomo gli avevano afferrato la caviglia senza tante cerimonie.
“Sei ferito.” Si limitò a constatare, lapidario.
“Hai indovinato anche questo! Devi essere un vero genio, credevo che su questo pianeta di scarti non ci fosse un solo essere in grado di fare un ragionamento complesso come il tuo. E’ una cosa che hai ereditato di famiglia, assieme alla tua stazza, naturalmente, vero?” Borbottò ironico Loki, mentre cercava di capire se quello fosse un nemico oppure un amico. L’omone era coperto da un giaccone pesante che gli copriva l’enorme corpo. Il cappuccio che teneva alzato gli nascondeva i lineamenti del viso, e il dio non riuscì a capire chi fosse.
“Ti porto in un luogo asciutto.”
L’uomo fece per prenderlo in braccio, ma Loki lo allontanò bruscamente, indietreggiando nonostante il dolore alla caviglia.
“Cosa pensi di fare?!”
“Solo trasportarti. Non puoi camminare. Non riesci neppure a stare in piedi.”
“Io non posso... non posso stare in piedi?! Stai a vedere, scimmione!” sbraitò Loki, irritato. Si rialzò a fatica, appoggiandosi all’albero che aveva accanto, poi lasciò il suo unico sostegno e stette in piedi, tremante.
“V-vedi? C-cosa dici?”
“Dico che sei testardo ed ottuso. Ora basta.”
Senza altri preamboli lo tirò su di peso, e partì.
Loki si dibatteva come un matto, il suo orgoglio sanguinava copiosamente.
“Smettila di fare i capricci come un bambino permaloso, altrimenti ti do in pasto ai lupi.” Lo ammonì l’omone.
Loki emise un verso di stizza, incrociò le braccia, e sul viso si disegnò un broncio corrucciato.
“Non è possibile. Io dovrei essere un dio temuto e rispettato! L’incarnazione del male! Il demone che dimora nei vostri peggiori incubi! E allora perché mi devono aiutare sempre tutti?! Ho forse scritto in fronte ‘Ho bisogno di un abbraccio?’ Perché se è così, ti prego, dimmelo!” borbottava intanto il dio raggomitolato tra le enormi braccia dell’uomo. Poi Loki si nascose il viso tra le mani e aggiunse:
“Non riuscirò più a guardarmi in faccia, per la vergogna.”
L’omone taceva, e sembrava apparentemente non ascoltare i lambiccati ragionamenti di Loki. Dopo un po’ di cammino alla fine intravidero la città, ma l’uomo si limitò a girarci attorno da lontano. Sotto le case, più in basso sulla collina, c’era una piccola casetta di mattoni, dal cui comignolo usciva del rassicurante fumo grigio.
Arrivarono sulla soglia e l’uomo aprì. Dopo essere entrato poggiò Loki su un divano e si tolse il cappotto bagnato.
Il dio strabuzzò gli occhi ed esclamò:
“JEFFRY?!”
Tutti si era immaginato potesse essere, tranne il barista del caffè dove lavorava.
Sul volto dell’uomo non c’era nessuna strana espressione, ma solo il suo solito cipiglio, e quello sguardo serio ma indifferente.
“Devi toglierti quei vestiti zuppi. Metterai i miei, anche se ti staranno larghi, intanto che si asciugano. Poi ti curo la caviglia, mentre ti riscaldi vicino al fuoco.”
“Perché... perché...” riusciva soltanto a smozzicare il dio, mentre guardava Jeffry affaccendarsi per la casetta.
“Perché se no starai male.”
“Non ti intendevo questo ma perché...”
“Intanto fai come ti ho detto, dopo ti dirò tutto quello che vuoi.”
L’omone gli tirò dei vestiti, che Loki pensò fossero i più piccoli che possedesse, e sparì nell’altra stanza. Facendo attenzione alla caviglia si svestì. Guardò il colore della sua pelle e si accorse, con una certa ansia, che era diventata tutta blu. Si rigirò i palmi delle mani, e osservò le strisce più chiare che solcavano come tatuaggi la sua pelle. Cercò uno specchio e l’immagine che gli restituì fu quello di un piccolo gigante del ghiaccio, con occhi rossi e un’aria piuttosto sorpresa in viso. Si rivestì velocemente, e si diresse zoppicante vicino al fuoco. Jeffry tornò dopo un attimo con una piccola cassetta pronto soccorso che, tra le sue grandi mani, sembrava veramente minuta.
L’omone spostò uno sgabello davanti a Loki e gli prese la caviglia cercando di non fargli male. Il dio delle malefatte si era irrigidito notevolmente. Il fatto che Jeffry lo avesse visto in quello stato aveva fatto sorgere in lui una voce sospettosa. Non sembrava spaventato dal suo aspetto, e non sembrava neppure intenzionato a chiedergli nulla. La cosa lo infastidiva da morire, e Loki, accigliato, si mordeva nervosamente il labbro inferiore, senza riuscire a distogliere gli occhi dall’uomo.
La caviglia era livida e gonfia.
“E’ solo una storta. Te la fascio e con un po’ di riposo tornerai come nuovo.”
Jeffry era meticoloso e attento, e nonostante quelle mani bestiali era dotato di una delicatezza disumana.
Fatto questo sistemò la cassetta al suo posto e accostando lo sgabello al fuoco si mise anche lui a riscaldarsi. Loki aveva la mascella contratta, e lo fissava con uno sguardo misto a furia e inquietudine.
L’omone sospirò e disse:
“Chiedimi ciò che vuoi.”
Loki non se lo fece ripetere due volte.
“Non sembri uno che abbia una notevole capacità di osservazione, questo è certo, ma non puoi non aver notato la strana colorazione della mia pelle.” Disse, mostrandogli la mano blu.
“Si, e allora?”
“E allora?!”
“Non giudico un uomo dal colore della sua pelle, non vedo perché con te dovrei comportarmi diversamente.”
“Ok, ma non pensi che sia un po’ troppo... come dire... innaturale?”
“Non mi importa.” Rispose semplicemente l’uomo, rivolto verso di lui.
Loki sospirò e si passò una mano tra i capelli.
Si guardò ancora una volta le mani e vide che il calore del fuoco lo stava finalmente facendo tornare normale. Odiava quel suo essere mostruoso che si nascondeva dentro di sé, avrebbe voluto distruggere quella parte di se stesso, e se solo avesse potuto lo avrebbe fatto con crudele voluttà. Il suo essere un gigante del ghiaccio era uno dei principali motivi che lo aveva allontanato da Asgard, dalla sua famiglia, da Thor... nessuna di queste cose gli era mai appartenuta.
“Spiegami come mi hai trovato nel bosco e perché eri lì.”
“Spesso vado a fare passeggiate nel bosco, mi rilassa. Ma sentendo la tempesta arrivare mi sono sbrigato a tornare a casa. Poi ho sentito degli strani rumori e ti ho trovato.”
Loki osservava lo sfrigolare delle fiamme, sovrappensiero.
“Se è davvero come dici, perché mi hai aiutato? Perché ti dimostri così gentile nei miei confronti? Non ho fatto nulla per guadagnare il tuo aiuto.”
“Ma neppure nulla per non meritarlo.”
Poi aggiunse:
“Se hai bisogno di qualcuno con cui parlare, fai pure. Ti ascolterò. Nel frattempo preparo qualcosa da mettere sotto ai denti, devi mangiare.” Detto questo Jeffry si alzò e andò a trafficare in cucina.
Loki si spazientì.
“Beh, si, certo! Potrei cominciare con il raccontarti che sono un dio, che proviene da un altro pianeta, e che pochi mesi fa ho cercato di distruggere il vostro miserabile mondo con un esercito di alieni. Un gruppo di esaltati però, soprannominati “Vendicatori”, mi ha fermato e sopraffatto. Potrei raccontarti che ora sto scontando la mia pena su questo sputo di terra, dimenticato dagli dei, ma che il mio piacevole soggiorno è stato turbato dallo spauracchio di una strega, nonché amante, ormai morta e bruciata tra le fiamme. Questo dovrei dirti?!”
Jeffry si girò e alzò le spalle:
“Si.”
“Per Odino...! Non riesco davvero a comprendere cosa ci sia dentro i vostri piccoli cervelli da primate!”
Poi aggiunse scocciato.
“Comunque non so per quale malato motivo te lo sto per chiedere, ma voglio sapere il vero motivo che ti ha spinto ad accogliermi in casa.”
Jeffry lo guardò dubbioso.
“Davvero.”
L’uomo finì di cucinare, e gli mise in grembo un piatto con della carne e del purè.
Loki storse il naso, ma iniziò a mangiare senza dire nulla, aveva una fame da lupi. Fuori la tempesta imperversava furibonda, lampi precipitavano prepotenti, e il rimbombo dei tuoni scuoteva i vetri della casa.
Jeffry si sistemò sullo sgabello, e cominciò a fissare le fiamme con occhi persi.
Storia della propria vita fra tre, due, uno...
“Sono sempre stato solo. Tutta la vita. Nessuno mi ha mai voluto al suo fianco, non che la cosa mi pesasse, non mi ha mai importato. Ero diverso e quindi allontanato, così funzionano le cose, e anche tu sembri saperlo.”
Loki rispose con un gesto della testa, scocciato.
“Ho trovato questa casa. Ho aperto il mio caffè e ho conosciuto gente tranquilla, e gentile. Ho vissuto bene per molti anni. Solo, ma relativamente felice. Poi un giorno è successo qualcosa. C’era un temporale molto forte. Il cielo era nero come pece, e i fulmini bruciavano la terra. Stavo in casa quando ad un certo punto sentii un ululato straziante provenire dal bosco. Un ululato così forte che riusciva a superare il rumore dei tuoni, e il frastuono della tempesta. Un urlo bestiale.”
Alzò lo sguardo su Loki, e il dio si accorse, con un certo fastidio, che, preso dalla storia di Jeffry, aveva la forchetta a mezz’aria e la bocca leggermente aperta.
Posò il piatto, tossì e incrociò le braccia, arrossendo.
“E allora? Cosa c’era nella foresta?”
Jeffry continuò:
“Attirato da quei lamenti spaventosi sono uscito nel bosco alla sua ricerca, e alla fine la trovai. A fare tutto quel baccano era un piccolo cagnolino grigio. Era finito sotto un albero e per poco non era rimasto schiacciato. Cercai di avvicinarmi ma mi ringhiò contro, e mi abbagliò. Era spaventato e dolorante, non si sarebbe fidato di nessuno, così mi avvicinai e alzai l’albero di peso. Il cagnolino rimase sorpreso. Lo portai a casa e da quel giorno è sempre stato con me. Fu l’unico ad accettarmi per quello che sono.”
“Un cagnolino?” disse Loki con aria incredula.
“Si. Era uno scricciolo di animale, forse un volpino, e lo chiamai Tuono. In un certo senso me lo ricordi.”
Loki alzò un sopracciglio e rise in segno di scherno, una risata di cuore. La prima da molte settimane, e la cosa gli alleggerì il petto.
“Quindi mi hai portato a casa, e mi hai curato, perché ti ricordavo il tuo cane? E in che cosa, se posso chiedere, te lo ricordo?”
Jeffry non sembrò offendersi della presa in giro del dio, ma anzi i suoi occhi seri si illuminarono di una velata sfumatura di gioia.
“C’è un motivo per cui l’ho chiamato Tuono. E la ragione è che, nonostante la sua piccola stazza, aveva la voce di un gigante. Quando abbagliava sembrava che dentro la sua gola avesse il frastuono del tuono. Era piccolo ma molto orgoglioso, e la sua opinione la faceva sentire a gran voce. Non sei anche tu in questo modo, Loki? Non sei anche tu piccolo e indifeso, e tuttavia agguerrito ed egocentrico?”
La risata del dio gli si era spenta in gola, come se l’omone avesse gettato dell’acqua sopra delle braci.
“Ora dov’è Tuono?”
L’omone scrollò le spalle.
“E’ morto di vecchiaia. E’ stato con me fino alla fine, era un cane testardo, e anche in punto di morte rifiutava il mio aiuto.”
Loki si avvicinò al fuoco e distolse lo sguardo. La morte era una cosa che i Midgardiani conoscevano molto bene. Gli dei non se ne rendevano conto perché loro era relativamente immortali, a meno che qualcuno non togliesse loro la vita con la forza, avevano l’eternità davanti. Gli uomini invece dovevano fronteggiare lo spauracchio della morte ogni giorno, ogni momento, e solo ora se ne rendeva conto.
“Sei pietoso...” Disse semplicemente.
“Forse, ma ora raccontami cosa è successo di così grave tra te e la tua famiglia.”
Loki si girò di scatto.
“E tu come sai che...”
“Ti si legge negli occhi che ci tieni molto, e che sta succedendo qualcosa di brutto.”
Loki sbuffò.
“Non so esattamente cosa stia succedendo, ma so per sommi capi che mio fratello sta tramando contro di me. Del resto dovevo aspettarmelo. Dopo quello che ho combinato, come potevo pretendere che fosse gentile con me, come una volta?”
Jeffry gli posò una mano sulla spalla.
“Sono sicuro che tuo fratello si sta adoperando solo per il tuo bene, devi aver fiducia.”
Lo sguardo di Loki si scurì e divenne freddo.
“No, non voglio. Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio, così dite voi midgardiani. Se ti dovessi chiedere aiuto, sei disposto ad offrirmelo?”
L’omone fece di si con la testa.
“Perfetto...”
 
La tempesta dopo un po’ cessò. Il cielo era ancora buio e borbottante, ma per lo meno non pioveva più. I due uscirono di casa. Jeffry era in testa al gruppo, e Loki lo seguiva a ruota, con il passo claudicante a causa della caviglia. Non avrebbe accettato che Jeffry lo trasportasse ancora, e così si era fatto prestare un bastone, che bene o male riusciva a sorreggerlo. Camminarono in silenzio, con solo il rumore del bosco bagnato e del respiro affaticato del dio. Alla fine arrivarono dove Loki gli aveva detto. Per fare quello che voleva il dio aveva bisogno di una fonte d’acqua, ma non credeva che nelle vicinanze poteva davvero essercene una. Jeffry si fermò e Loki cominciò ad ispezionare il posto. Gli alberi nascondevano la radura alla vista, una sporgenza di roccia delimitava la fonte a settentrione, e un grande albero sorgeva sulla riva destra. Si avvicinò e parlò trionfante:
“Perfetto! E’ un frassino, proprio quello di cui avevo bisogno!”
Fece segno a Jeffry di avvicinarsi e di svuotare la borsa che aveva portato sulle spalle. L’uomo eseguì e tirò fuori tre bottiglie di vino, fiammiferi, varie spezie, un bicchiere di cristallo, candele, sale, zucchero, un coltello d’argento, e un accetta. Poi, mentre guardava il dio prendere il coltello tra le mani e passare due dita sulla lama, chiese preoccupato:
“Cosa devi farci con questa roba?”
“Te l’ho detto. Devo fare un incantesimo. Fra poco saprò la verità su mio fratello.”
Jeffry non sembrava molto convinto, specialmente quando Loki passò un polpastrello sul filo della lama, per appurare che fosse abbastanza affilata. Si ferì e una goccia di sangue sporcò l’arma bianca. Sulle labbra di Loki sfuggì un sorriso trasognato e diabolico. Poi il suo sguardo rapito incontrò quello accigliato di Jeffry. Distolse gli occhi, si portò una mano alla bocca e tossì. Poi cercò di assumere un’aria innocente e quasi che potesse leggere nella mente di quell’uomo disse:
“Tranquillo... non farò nulla di pericoloso o avventato!”
Jeffry grugnì.
“Ora però ho bisogno che tu vada a prendere una cosa... per me. Lo puoi fare?”
L’uomo fece vigorosamente di sì con la testa.
Potrei anche chiedergli di andare a prendere un pezzo di luna e lui correrebbe a cercarmelo, ma per quanto ottuso possa essere rischierei comunque di fargli accendere la lampadina del dubbio, e non posso permettermelo. Me lo devo togliere di torno.
“Mi dovresti procurare una piccola pietra, un lapislazzuli. E’ azzurro con delle schegge d’oro al suo interno. Dopo averlo trovato mettilo nell’acqua bollente per almeno 2 ore, e poi torna qui.”
“Tu non vieni?” Domandò incerto.
“No, devo preparare l’incantesimo. Non è una cosa facile, devo ricordarmi le formule, i gesti... tu vai tranquillo senza di me!”
L’omone diventò serio e afferrando Loki per il bavero, come la prima volta che si erano incontrati disse:
“Prometti che non farai nulla di stupido.”
“Prometto... ma ora lasciami andare.”
Jeffry lo posò gentilmente a terra e se ne andò via a grandi passi.
Io non faccio mai nulla di stupido. Magari pericoloso. Questo sarebbe stato l’aggettivo che avresti dovuto usare, ma meglio per me. Dopotutto non si può fare un incantesimo di questo genere senza un po’ di spargimento di sangue, e la cosa non mi dispiace...
Loki aveva calcolato un tempo di azione di circa 2 ore e mezzo. Ma avrebbe finito molto prima, o almeno sperava. Non sapeva come il suo corpo mortale avrebbe reagito, ma non gliene importava. La cosa più complicata sarebbe stata quella di mettere in contatto quel rozzo e primitivo contenitore mortale con Asgard, e i flussi di idee che volteggiavano attraverso lo spazio. Poi delle conseguenze si sarebbe preoccupato in seguito.
 
Iniziò subito con i preparativi. Doveva fare alla svelta. Prese l’accetta e fece tre grosse incisioni sul retro dell’albero. Sulla parte davanti del tronco, invece, quella che guardava sullo specchio d’acqua, iniziò ad intagliare i simboli che gli sarebbero serviti.
Alla base, vicino alle radici, intaglierò una specie di 4.
Simbolo della terra e dell’umanità, che ricorda anche in parte la runa Sol, segno di luce ed energia vitale. Dovrebbe garantirmi il successo di questo incantesimo.
Poco più in alto un 8, l’infinito, lo scorrere eterno del tempo e delle forze vitali che collegano impercettibilmente i 9 regni. Quindi in cima all’albero, vicino ai rami scriverò un 3, a rappresentare la potenza divina che regge e governa su tutto l’universo. Esattamente a metà del tronco, cercando di incidere con più forza, e più in profondità, scriverò una specie di F, ossia la runa Ass, che rappresenta la capacità di parola e la fonte di verità. Credo che alla fine una delle poche cose buone che Odino abbia fatto, sia stata l’invenzione delle rune, oltre a questo, quel vecchio orbo riesce solo a risultarmi ottuso.
Continuò il suo lavoro incidendo a fianco di Ass, in alfabeto runico, il proprio nome, ossia “Loki Laufyson” e quello di suo figlio “Sleipnir Svaðilfœrison”. Nel frattempo il dio delle malefatte si era scolato già due bottiglie di vino.
Questo corpo, e la sua odiosa coscienza, rappresenta una gabbia per la mia magia. Questa condizione mortale mi fa sentire come se qualcuno mi abbia legato ad un masso, e fossi stato gettato in un lago senza fondo. La pressione mi schiaccia, ma non muoio, e non posso liberarmene in alcun modo. Oppure sarebbe la stessa cosa che si prova ad essere rinchiusi in una bara, saldamente sigillata, ancora vivi e disperatamente coscienti.
Quello che devo fare ora però è liberarmene, e questo è il modo più veloce ed efficace.
Continuò incidendo sul tronco formule della memoria e scrisse “í minningu um Mímir uppspretta.”
Questa fonte mi ricorda terribilmente quella di Mimisbrunnr, fonte di conoscenza inesauribile, che giace alle radici del sacro albero Yggdrasill, e si stende fino al mondo dei giganti. Andrà bene così... la sua lontana somiglianza mi aiuterà a sorreggere la mia mente durante il viaggio.
Diede fuoco all’erba sul ciglio della fonte, e quando le fiamme avvamparono si formò una specie di irregolare cerchio. Il fuoco piano piano iniziò a lambire anche l’albero. Loki finì l’ultima bottiglia di vino e prese il coltello d’argento. Era grande e lucente, nonostante sembrasse sporco come la lama di un macellaio. Sul viso del dio accalorato dal vino passò un sorrisetto inquietante e, con un gesto fulmineo, si tagliò entrambi i palmi delle mani. Loki si avvicinò all’albero e lasciò che il suo sangue colasse sulle incisioni fatte, percorrendo le scanalature dall’alto verso il basso.
“ Ein sat hon úti, þás enn aldni kom yggiungr ása ok í augu leit.
- Hvers fregnið mik? hví freistið mín? Alt veitk, Óðinn, hvar auga falt í enum mæra Mímis brunni -;
drekkr miöð Mímir morgin hverian af veði Valföðrs. Vituð ég enn eða hvat?”

Cominciò a ripetere Loki mentre guardava il sangue colare fino a terra. Nella fonte di Mimir, secondo la leggenda, Odino aveva fatto cadere il suo occhio, e così facendo gli sarebbe stato permesso di bere quell’acqua di sapienza. La testa aveva cominciato a girargli, e il vino sembrava fare effetto.
“Alt veitk, Óðinn, alt veitk…” (Tutto so, Odino, tutto so…)
Continuava a ripetere quelle parole, mangiandosele con la lingua, mentre entrava nella fonte, e lo sguardo perdeva la messa a fuoco.
Vi si immerse quasi completamente, appoggiandosi all’albero che aveva dietro le spalle, restando solo con la testa fuori dall’acqua. Il fumo del fuoco lo intontiva, e gli bruciava la gola, le ferite sulle mani pulsavano e il sangue continuava ad uscire, macchiando come inchiostro l’acqua fredda della fonte. Il cielo ricominciò a ribollire di tuoni, e fulmini che cadevano in lontananza.
Le parole della Völuspà gli rimbombavano in testa, prima di uscirgli dalle labbra. Alcune gocce di pioggia gli cominciarono a bagnare il viso. Poggiò la testa contro l’albero e cominciò ad ascoltare.
Le fronde dell’albero risuonavano come mille lingue fatte suonare dal vento. Sentiva la magia percorrergli il corpo, e scontrarsi con quella mortalità così fastidiosa.
Chiuse gli occhi e pronunciò a fior di labbra:
“Ég er fórn þína, ég vil sannleikann…” (Sono il tuo sacrificio, voglio la verità…)
E lo ripeté per molte volte, fino a quando si sentì trascinare lentamente.
“Ég er fórn þína, ég vil sannleikann…”
Si lasciò andare e la fonte nera lo sommerse, portandogli la testa sott’acqua.
Forse perse coscienza, ma la sua mente, se perse consapevolezza da quel lato del mondo, si aprì dall’altra parte. Attraverso un paio di occhi intravide la luce dorata di Asgard. Si trovava in quelle che dovevano essere le stalle reali, sempre così riccamente decorate. Ascoltò il respiro forte di colui con il quale si era messo in contatto.
Il cavallo si lasciò sfuggire un nitrito sorpreso, a quanto pare si era reso conto di quello che stava succedendo.
“Sleipnir, trova Odino...”
L’unica risposta fu il rumore degli zoccoli sul selciato, come se la creatura volesse dir di si.
Gli occhi attraverso cui Loki spiava su Asgard iniziarono a guardarsi attorno, uscirono dalla stanza e si diressero verso l’ala nord del castello. Attraverso i corridoi dorati ed eleganti si sentiva il rumore di 8 zoccoli, e Loki sorrise tra sé ricordando quanto quel rumore gli fosse così dolcemente familiare. Appena si accorse del suo stupido sentimentalismo, però, cacciò via con forza quella sensazione, non doveva permettersi assolutamente di distrarsi, sarebbe significato fallire.
Sleipnir era uno suo figlio, uno stupendo stallone a 8 zampe, il più bel cavallo che i 9 regni avessero mai partorito. Una volta messo al mondo, Loki, in segno di uno strano, e per lui innaturale, sentimento di altruismo, lo aveva dato in dono ad Odino. Erano molte lune che il dio non vedeva più Sleipnir, e pensando a questo Loki sentì un amaro senso di malinconia e frustrazione scendergli giù per la gola.
Il cavallo si mosse fino alla grande sala, e si avvicinò a Odino che sedeva sul suo trono. Thor era in piedi di fronte a lui e i toni della discussione sembravano molto accesi.
Il viso del fratello era contratto dall’ira.
“...padre, ti rendi conto di quello che significherà per lui?!” gridava Thor a gran voce.
Odino lo guardò serio, ma non rispose.
“Secondo me non ti sei ancora reso conto di quanto Loki abbia sofferto per quella storia!”
Il viso di nostro padre si accigliò un attimo e, alzandosi in piedi, tuonò:
“Sofferto?! Lui avrebbe sofferto?! E’ stato proprio a causa sua se poi morte e sciagura si sono abbattuti sul nostro regno! Le tre Norne mi avevano avvertito che c’era un cattivo presagio a gravare su Asgard, ma mai avrei pensato...”
“Loki non voleva fare del male a nessuno! E’ stato manovrato, padre!” lo interruppe Thor, digrignando i denti.
“Non fin dall’inizio, Thor. Al principio si è avvicinato a quella donna di sua spontanea volontà. E se conosco bene mio figlio, non si è lasciato ingannare tanto facilmente. Quella volta ci ha tradito lo devi ammettere anche tu, per quanto sia doloroso credevo che ormai lo avessi superato.”
“E’ tutta colpa di quella donna! Adesso, come allora! Come puoi riporre così poca fiducia in Loki...”
La voce di Thor si spense, mentre quella di Odino proruppe con il fragore di un terremoto.
“Come ti permetti di parlare così a tuo padre! Io ho sempre riposto fiducia in Loki! E’ mio figlio, e lo sarà sempre... anche dopo tutto quello che ha fatto. Ma non per questo sono cieco sul suo cuore, e credo di conoscerlo abbastanza bene da dire che questi accadimenti, che sono capitati durante il suo soggiorno a Midgard, non sono una coincidenza.”
“Ma padre...”
Odino mosse impetuoso un braccio e fece tacere Thor.
“Così ho deciso. Manderò alcuni dei nostri guerrieri su Midgard per catturare quella bestia, e tu dirigerai le operazioni. Quella specie di mostro non merita neppure una stilla della mia tolleranza, troppo tempo ha beneficiato della mia ospitalità! Lo porteremo ad Asgard e lo faremo morire tra le fiamme, che Loki lo voglia, oppure no.”
Le ultime scene che si susseguirono nella sua mente fu il viso di Thor che si abbassava in segno di rassegnazione, e la sua voce bassa che sentenziava:
“Si padre, farò come mi hai ordinato.”
 
Loki sentì qualcosa afferrarlo con forza e strattonarlo fuori dalla fonte. Delle grandi mani cominciarono a battergli sulla schiena e il dio tossì tutta l’acqua che aveva involontariamente bevuto.
“Ti avevo detto di non fare nulla di stupido! Avevi promesso!”
Jeffry aveva il viso rabbuiato dalla rabbia, e se solo non stesse in quello stato, Loki pensò, che lo avrebbe molto volentieri preso a sberle.
Quando il dio riacquistò la parola disse, gorgogliando:
“Sei davvero ottuso come sembri... cough... se credi alla parola del dio delle malefatte.”
L’omone aspettò placido che Loki si ristabilisse, dandogli colpetti abbastanza forti alla schiena.
“E comunque... a cosa serviva tutta l’altra roba che mi hai fatto portare?” Chiese interdetto Jeffry.
Loki sorrise, comprensivo.
“Solo per distrarti, scimmione.”
Jeffry si impensierì un attimo e poi disse:
“Dio delle malefatte? Non sei un po’ troppo gracile?”
Loki lo guardò e gli restituì un sorriso pieno di astio.

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Capitolo 9
*** Lo spartito del cuore ***


Siamo arrivati al nono capitoloooo... non so bene cosa io abbia scritto e/o il ruolo che questo dovrebbe avere.. diciamo solo che è un cap di transizione.. una specie di Bifrost letterario... spero solo di non annoiare nessuno ma dovrebbe scorrere bene.. ditemi che ne pensate.. o__O Bacioni!!!!

Jack



Lo spartito del cuore
 
La nostra relazione con il passare delle settimane divenne sempre più forte. Gullveig non se ne andò nel giro di qualche giorno, come aveva promesso, ma anzi chiese a Odino di prolungare la sua ospitalità, senza dare ulteriori spiegazioni. Nostro padre acconsentì, e io non potevo esserne più felice. Gullveig era una donna bella e raffinata, intelligente, nonostante potessi leggerle in viso quanto la sua mente fosse contorta. Giocavamo come se fossimo stati due adolescenti. Io fingevo di resisterle, e lei studiava sempre nuovi metodi per far crollare il mio autocontrollo. La prendevo in giro dei suoi modi così falsamente buoni e gentili, ma Gullveig non se la prendeva a male, e anzi rideva di cuore, come se sapesse cosa aveva scatenato nel mio cuore. Quasi tutti i giorni ci ritrovavamo nella biblioteca di Asgard, che si diceva fosse la più imponente dei nove regni, e che contenesse tutti i volumi dell’universo. Non dimenticherò mai la prima volta che la condussi in quel luogo.
“Loki... ti prego toglimi la benda dagli occhi! Cadrò!”
“Non ti farò cadere... hai la mia promessa.”
“Non voglio la tua promessa, sappiamo bene entrambi quanto poco le rispetti.”
Mi fermai un attimo e le lasciai le mani.
“Loki?”
Chiunque mi avrebbe guardato in quel momento avrebbe letto nei miei occhi una profonda delusione e tristezza. Ma per fortuna Gullveig era bendata, e allora cercai di dissimularla con la voce.
“Nulla, non ti preoccupare... siamo quasi arrivati.”
La condussi fino alla grande porta dorata della biblioteca, e aprii.
Le feci fare qualche altro passo e poi le tolsi la benda.
Sul suo viso si dipinse un’espressione di pura sorpresa e gioia, le si illuminarono gli occhi, e mi sorrise radiosa dicendo semplicemente:
“E’ bellissima!”
La sua bellezza mi colpì come la luce calda dell’alba e io gli restituì un sorriso intontito.
Gullveig corse attraverso l’immensa biblioteca. Grandissimi scaffali di legno, pesanti e massicci, sostenevano gli enormi volumi che contenevano. La volta della stanza era riccamente decorata da affreschi, e il pavimento era ingioiellato da mosaici preziosi.
Lanciai un’occhiata e vidi che le figure sul soffitto si muovevano e sembravano parlare tra di loro. Ancora non ero abituato a queste manifestazioni di magia che Gullveig faceva soprattutto quando era emozionata.
“E’ bellissima.. è davvero bellissima, Loki!!!” Sembrava non essere capace di dire altro, e anche io avevo stranamente perso la mia solita lingua argentina.
Un giorno che ci eravamo rintanati in biblioteca Gullveig aveva voglia di giocare; scappò e si nascose dietro ad uno scaffale. La chiamai ma non mi rispose. Gli affreschi si fermarono a guardarci. Stava architettando una delle sue. Pronunciai un incantesimo di protezione perché con lei non si sapeva mai. E come se le avessi letto nella mente, appena girai l’angolo fui investito da una palla di fuoco. La bloccai facilmente, era magia da quattro soldi, quella. Gullveig rideva a crepapelle, come se avesse fatto il più divertente degli scherzi. Io invece ero abbastanza innervosito.
“Dovresti vedere la tua faccia! Ahahah!”
“Gullveig! Ti rendi conto che avresti potuto rovinare qualche libro! Perché hai fatto una cosa così incosciente!”
Sapevo che era un motivo futile per arrabbiarsi, e forse anche infantile.
La strega mi guardò con rinnovato interesse.
“Perché tieni tanto a questo posto? Intendo... sono solo un ammasso di carta rilegata, e di parole scritte su fogli bianchi. Cosa porta il dio delle malefatte ad amare così tanto un luogo così pacifico?”
La guardai accigliato, non volevo risponderle ma la bocca parlò da sola.
“Perché dovrei amare un luogo così silenzioso, mi chiedi? Forse non sai esattamente tutto di me... come ti illudi di credere. Questo posto... è l’unico in cui io mi senta accolto. Sempre e comunque, anche quando ne combino una delle mie. Il silenzio per la mia testa è rigenerante, e quasi dimentico la vendetta e l’odio quando sono qui. Stare immersi in quest’aria carica di polvere e parole scritte per me è come stare tra le braccia di una madre che non recrimina il figlio.”
La donna mi si era avvicinata e mi accarezzava con le sue lunghe dita il petto. Poi sorrise comprensiva e mi dette un bacio leggero, una carezza che prometteva però tanti doni più dolci. Io rimasi immobile, sempre stranito da quella sua aspra gentilezza. “Loki... tu non devi fuggire da ciò che sei. Devi essere fiero di essere il dio delle malefatte. Devi alimentare il tuo odio e la tua vendetta perché è questo che sei. E nessuno oltre a me capirà mai quanto sei prezioso. La tua famiglia è ottusa, non vuole capire, non vuole comprendere quanto tu sia importante. Mettono sempre Thor al primo posto, Thor di qua, Thor di là, non c’è altro che Thor nei loro pensieri, me ne sono resa conto fin troppo bene. Meriterebbero tutti una punizione... una crudele punizione.”
E in quelle parole c’era come una orribile e segreta promessa di morte, ma io finsi di non sentirla.
Mi baciò ancora, ma per quanto quel bacio mi risultò amaro e insopportabile io gliene restituì uno carico di trasporto e passione. La presi per la vita e la baciai con forza. Sentivo il serpente che albergava dentro il mio cuore stringere le sue spire attorno alla mia anima, ma non ci potevo fare niente se non constatare quanto stesse prendendo potere su di me. Mi allontanò lei, posandomi una mano sul petto. Io ero ansante e la guardavo furioso.
“Fammi vedere un posto più bello di questo, fammi vedere qualcosa di davvero prezioso.”
Le presi la mano e, senza dire niente, uscimmo dalla biblioteca. La condussi nelle segrete, nei piani più bassi del castello di Asgard, dove solo i reali potevano entrare. C’era un intricata rete di allarmi e blocchi magici ma per me era uno scherzo aprirli. E così la condussi, come se fosse la persona di cui mi fidavo di più, nella stanza del tesoro. Quando la pesante porta di pietra si aprì, e ai suoi occhi arrivarono i riverberi dei preziosi ori conquistati in battaglia, dei rubini, degli zaffiri, dei diamanti più grossi che Midgard avesse mai potuto possedere, e di molte altre ricchezza, vidi Gullveig trattenere il respiro. Per la prima volta da quando l’avevo conosciuta sul suo viso passò un velo di reale meraviglia, e stupore. Fece qualche passo nella sala, come se fosse in trans, e si guardò attorno con gli occhi spalancati e l’espressione indecifrabile. Il suo viso si era velato di un’ombra scura e inquietante quando sorrise.
“E’... è...”
“Bellissimo?” conclusi quella frase rimasta sospesa.
“Loki... non potevi portarmi in un luogo più meraviglioso...”
Calde lacrime gli scivolarono giù dalle guance e io, allarmato, le presi il viso tra le mani.
“Che succede?!”
Lei mi guardò trasognata, accennando soltanto un piccolo sorriso, con occhi che brillavano come un cielo trapunto di stelle.
Mi buttò le braccia al collo e mi baciò sfrenata, come non aveva mai fatto. Ricademmo sulla montagna d’oro e ci rotolammo tra i tesori. Alcune monete finirono tra i suoi capelli e lei rise divertita, come una bambina che viene portata al parco giochi. Ad un certo punto sentii la pesante porta dietro di noi chiudersi, e guardai Gullveig che sorrideva maligna. Voleva tenermi con lei, non mi avrebbe permesso di scappare. Ma a mio parere non c’era pericolo. Per tutta la notte respirai il profumo di corallo della sua pelle, e bevvi quei gemiti che mi facevano tremare. La sua voce mi leccava il petto, e mi mozzava il fiato. Me ne sentivo inebriato come neanche il più forte degli idromele era mai stato in grado di fare. Gullveig era violenta, e quando si parlava di fare l’amore questo aspetto di lei si manifestava con più forza, era totalmente sadica. Mi gettò più volte con la schiena sulle pietre della sala, mi morse il collo, e mi graffiò la pelle, e alla fine ne uscii dolorante e pieno di lividi. Non potevo desiderare compagna più simile ai miei gusti, dato che quel dolore mi faceva tremare di lussuria. All’alba mi addormentai con il viso tra i suoi capelli, e la sua guancia sul mio petto. Eravamo stati fin troppo lì dentro, ma non mi importava. Mi appisolai come un bambino in fasce, con il cuore leggero come non lo avevo mai sentito.
 
Il nostro legame divenne sempre più stretto. Passavamo tutta la giornata insieme, non ci lasciavamo un momento e scoprii sempre più cose su di lei. Era una strega, ma lavorava soprattutto a corte, dai Vanir, dove la sua opinione era tenuta molto in considerazione. Gli incantesimi che preferiva praticare erano quelli arcani, più simili a maledizioni che a vere e proprie malie. Mi rivelò anche che qualche volta le tre Norne gli rivelavano frammenti del futuro, e grazie alla sua spiccata capacità riusciva ad intuire il destino di chiunque. Gullveig diceva che ogni essere vivente ha una specie di spartito dentro il cuore e che uno può leggere le note che vi sono scritte.
“Imparare quella melodia significa possedere quella persona, il suo corpo e la sua mente...” Sorrideva trasognata, mentre diceva queste cose.
“E tu hai mai letto le note del mio spartito?”
Lei mi guardò negli occhi, ma fu come se guardasse più in profondità.
“Sono riuscita a vederne qualcuna, ma sei un enigma per me, Loki. La tua anima è come un pozzo, e se voglio sapere davvero quello che nascondi, dovrò caderci dentro. Ti prometto però che un giorno imparerò tutte le note, e allora sarai solo mio.”
“Io non sarò mai di nessuno...” Le sorrisi, scherzando, e lei mi diede un buffetto in testa.
“Sei troppo sicuro di te stesso e alla fine cadrai...”
La nostra vita proseguì tranquilla come una primavera senza fine.
Andavamo in giro per le sale della reggia a fare scherzi alla servitù e a mio fratello, soprattutto a mio fratello.
Un giorno ricordo che ci imbattemmo in Thor e in quel suo gruppo di burini, suoi amici.
Fandral allungò l’occhio e quando ci passò fischiò dietro a Gullveig urlando uno dei suoi ributtanti apprezzamenti. Io lo guardai fuori di me, sentivo le mani tremare e anche una gran voglia di ucciderlo. La strega mi prese per un braccio e capii che non avrei dovuto abbassarmi al suo livello, anche in una situazione del genere ci si poteva divertire.
“Stupiscimi...” mi bisbigliò, in modo che non sentissero anche gli altri.
“Davvero non vedo perché una bella donna come l’ambasciatrice debba interessarsi ad uno sgorbietto come Loki. Così debole e insignificante... perché non provi a passare del tempo con dei veri uomini?” Disse strafottente rivolto alla mia Gullveig. Fandral fece qualche passo verso di lei, e il mio sguardo astioso si trasformò in un sorriso gentile.
“E tu saresti un vero uomo?”
Thor conosceva molto bene quel sorriso, e appena se ne accorse cercò di intervenire.
“Loki, Fandral scherzava, non è vero? Non c’è bisogno di prendersela a male...” lanciò un occhiataccia al suo amico, ma lui rispose soltanto restituendoci un sorriso di scherno.
“Certo che lo sono, e tu cosa sei? Nessun uomo può definirsi tale se non è neppure in grado di tenere in mano una spada!”
In quel momento mi venne in mente un’idea luminosa e gli dissi in tono di sfida:
“Vediamo allora l’uomo che sei! Sfodera la tua arma! Scommetto che non riuscirai a tenerla in mano neppure per un secondo perché sei solo un vigliacco...”
Fandral sembrò non prendersela molto bene.
Portò la mano all’impugnatura della sua spada e la sfoderò.
Ma al posto della sua bella arma bianca in mano aveva un cobra che gli sibilava a bocca spalancata. Fandral per lo spavento lasciò subito la presa e il serpente ricadde per terra, continuando a soffiargli contro e mostrandogli i denti acuminati. Anche gli altri guerrieri alla vista del serpente sfoderarono le loro armi, e a loro volta si ritrovarono ad indietreggiare di fronte a bisce e serpi squamose.
Thor restò impassibile con quella sua faccia rassegnata che ormai avevo imparato così bene a leggere sul suo viso, quando ne combinavo una delle mie.
Mi avvicinai al cobra e me lo feci salire sul braccio, per poi offrirlo a Fandral.
“Ti è caduta la tua spada, vero uomo.”
Ma lui non prese il serpente e si limitò a maledirmi tra i denti.
“Non la vuoi? O beh, allora significa che non ti serve più.”
Il serpente si trasformò in un aquila dal piumaggio rosso, questa guardò per un attimo il suo padrone e poi volò via lontano, e la stessa cosa fecero gli altri serpenti. Fandral e gli altri non poterono fare altro che guardare impotenti le loro armi allontanarsi, a bocca aperta.
Gullveig vedendo le loro espressioni rise di cuore, mentre i guerrieri la guardavano con espressioni furiose.
Ce ne andammo via senza che loro aggiungessero altro, sorridendo al pensiero di come avrebbero fatto a recuperare le loro armi.
 
Circa 3 mesi dopo regalai a Gullveig il medaglione di giada, lei lo prese tra le mani e lo baciò. Glielo misi al collo, e lei mi sorrise.
“Ti piace?”
“E’ meraviglioso...”
Ero incantato da quella bocca angelica, e non pensai a quello che dicevo.
“Anche Thor aveva detto che avevo avuto una buona idea...” Il sorriso che avevo sulle labbra si spense velocemente quando vidi il cambiamento di espressione del suo viso.
“Thor...? Lo hai chiesto a Thor prima di darmelo?” Aveva la mascella contratta e cercava inutilmente di mantenere il controllo.
“Si... volevo un parere esterno... perché...”
Mi spezzò le parole in bocca con uno schiaffo che mi prese in pieno viso. Era stato improvviso, e immotivato. La guardai accigliato, cercando di capire perché avessi meritato un simile trattamento.
I suoi occhi bruciavano di gelosia e rabbia ceca. La dolce linea della bocca si storse in una smorfia crudele, che nulla toglieva tuttavia alla sua bellezza.
“Sei uno stupido, Loki! Ancora non hai capito! Dovresti essere un dio ingegnoso e intelligente ma cominci a farmi ricredere.” Il suo tono era duro e crudele, si allontanò velocemente da me e aggiunse:
“La tua famiglia sta sempre al centro dei tuoi pensieri! Anche io vengo dopo tutti! Sarò l’eterna seconda nel tuo cuore!” Gridò fuori di sé.
“No, non è vero. Gullveig! Tu sei la cosa più importante per me! Davvero!”
“Stai mentendo! Se dovresti scegliere tra me e la tua famiglia mi abbandoneresti in qualche isola deserta, fingendo di avermi dimenticato!”
Era percorsa da una rabbia ceca, e non riuscivo davvero a vederne il motivo.
La presi con forza e la scrollai.
“Gullveig, tu sei la cosa più preziosa che possa avere. La mia famiglia, loro, vengono sempre dopo di te. Ricordalo.”
“Promettilo...” disse a fior di labbra, gli occhi velati da una strana espressione.
“Prometti che per me saresti disposto a fare qualsiasi cosa. Prometti che per me potresti anche tradire tutta la tua famiglia, entrare nelle loro camere di soppiatto e squartargli le gole. Oppure venderli al nemico, ordire contro di loro, e contro la tua amata Asgard. Promettilo per me. Promettimelo.” Il dolce tono di Gullveig era diventato rigido, freddo e perentorio. Il suo sguardo mi trafiggeva come uno stiletto di ghiaccio. Non potevo credere a quelle parole. Era come se per la prima volta vedessi Gullveig quale era realmente, nonostante sapessi già che la strega era un mostro spietato e velenoso, aveva sempre cercato di dissimularlo con me... e forse avevo cominciato a credere che fosse una fata buona che mi amasse davvero. Che sciocco.
“Gullveig... cosa stai dicendo?!”
Le presi il viso tra le mani, e la guardai negli occhi.
Non riuscivo a capire perché fosse così cattiva... o forse non volevo capirlo.
“Cosa sto dicendo?”
Mi guardò come se mi sondasse dentro il cuore. Non riuscivo a pronunciare una parola, e la tristezza e la delusione mi attanagliavano lo stomaco rendendo il mio viso freddo e inespressivo. Gullveig poi sorrise, e si rimise la sua maschera.
“Scherzavo, amore mio. Non ti preoccupare.”
“Non capisco cosa...” la donna mi tappò la bocca con un bacio.
“Ho capito io, non ti preoccupare. Ho capito io.”
 
Jeffry lo svegliò toccandogli una spalla con una delle sue grandi mani. Il dio sobbalzò, e ci mise un attimo a mettere a fuoco l’omone che lo guardava con aria preoccupata.
“Stavi parlando nel sonno. Era un incubo?”
“Dove siamo?”
Loki si guardò attorno ma sentiva tutto il corpo dolergli.
“Siamo a casa mia. Hai perso conoscenza al ritorno. Hai fatto qualcosa di molto stupido.”
“Non mi aspetto che voi mortali possiate capire la magia! Anche se riesco a comprenderne il motivo... con un corpo così pesante ed inutile sarebbe solo dannoso per voi praticarla. Vi logorerebbe pezzo dopo pezzo e alla fine di voi non rimarrebbe che un mucchietto di polvere.”
Jeffry sbuffò.
“Hai capito cosa sta succedendo?”
Loki si mise a sedere sul letto e si prese la testa tra le mani.
“Mio padre ordisce contro di me. Presto verrà un gruppo tra quelli che sono i migliori guerrieri di Asgard a prelevarmi, e quindi mi condanneranno a morte. Che ironia... per una volta che non avevo fatto nulla di male.” Il dio delle malefatte sorrise tra sé con espressione amara.
“Forse non sei riuscito a...”
La loro conversazione fu interrotta da qualcuno che bussava alla porta.
Loki e Jeffry si guardarono e poi lanciarono occhiate preoccupate in direzione dell’ingresso.
Bussarono ancora con più forza. Chiunque fosse, voleva entrare, e subito.
Jeffry guardò serio Loki, il quale gli disse lentamente di no con la testa.
Non dovevano trovarlo.
L’omone aiutò Loki ad alzarsi e lo trascinò praticamente fino al centro della stanza. Qui tolse il tappeto e aprì quella che sembrava una botola.
“Che ci fai con una stanza sotto il pavimento?!” bisbigliò Loki.
“Ci faccio i prosciutti. Nasconditi ora.”
Jeffry richiuse tutto e andò ad aprire. Loki si sedette sui gradini della botola. Ancora la caviglia gli doleva, e non gli permetteva di stare in piedi troppo a lungo senza sostegno. Il dio sentì la porta aprirsi e delle voci provenire da sopra la sua testa. Una fioca luce illuminava l’ambiente, ed effettivamente quella sembrava proprio una cantina. Niente bambini intrappolati, orfani rapiti o roba del genere.
La voce che sentiva sembrava quella di una donna. Era isterica e percorreva a grandi passi la stanza, spostandosi da una camera all’altra e continuando a gridare in direzione di Jeffry.
“Sicuro di non sapere dove si nasconde?!”
“Non so di chi tu stia parlando. E poi stai facendo disordine.”
Dal piano di sopra provenirono schianti e rumori di cose che andavano in pezzi.
“Stai mentendo! Ho visto le gocce di sangue che arrivavano fino alla tua stupida catapecchia! DIMMI DOVE SI TROVA!”
Serena era fuori di sé dalla rabbia, ma Jeffry sembrava mantenere il suo solito atteggiamento distaccato e rimase in silenzio.
“D’accordo. Se non mi vuoi aiutare a trovarlo. Lo stanerò da sola, quel topo!” sibilò la ragazza.
Loki sentì un fischio acuto trapassargli in cervello da parte a parte e si prese la testa tra le mani.
“Lokiii, tesoro mio, vieni fuori... Ho una sorpresina per te...”
Cantilenò Serena con vocina isterica.
Non crederà davvero che esca fuori di mia spontanea volontà?
“Lokiii, il mio amore... dov’è? Non mi fare aspettare. Vieni fuori.”
Il dio guardò incredulo il proprio corpo alzarsi, e muoversi verso la botola.
Ma cosa sto facendo? Perché non riesco a... Perché?!
“Loki. Esci fuori... Non sfidare la mia pazienza, angelo mio.”
Quella parola la sputò tra i denti con una rabbia ceca e demoniaca.
Il dio allungò la mano e le dita si strinsero attorno alla maniglia.
Le orecchie continuavano a fischiargli, e come se una serpe gli strisciasse dentro, sentiva il sibilare orrendo di quel mostro.
Resisti... resisti... non gli devi ubbidire... non gli appartieni... non...
“LOKI, VIENI DA ME!”
Ringhiò Serena, con una voce che non gli apparteneva.
Il dio serrò la mano con forza attorno alla maniglia e spinse.
Loki chiuse gli occhi, e già si aspettava quel mostro di ragazza sorridergli venefico come il peggiore dei veleni, prenderlo tra le sue grinfie, e poi chissà cosa sarebbe successo. Ma non accadde nulla di tutto questo. La botola, semplicemente, non si alzò. Loki provò con più forza ma non servì a nulla. Restò lì, inebetito, ringraziando la sua buona stella, quando in realtà avrebbe soltanto dovuto ringraziare quell’omaccione di Jeffry che, prevedendo una cosa del genere, si era messo sopra la botola.
“Qui non c’è chi tu cerchi. Vai via.”
Il tono risoluto di Jeffry era impressionante. La ragazza emise un verso di stizza, e se ne andò sbattendo la porta. Quando l’omone gli aprì, Loki aveva l’aria sconvolta ma felice.
L’omone lo aiutò a tirarlo su.
“Cosa voleva la ragazza?”
“Me, a quanto pare. Ma ancora non sono riuscito a capire perché le interesso così tanto...”
Jeffry lo guardò pensieroso.
“Perché quell’espressione accigliata?” chiese il dio.
“Perché è tanto che conosco Serena, e non l’ho mai vista così. E’ sempre stata una ragazza solare e simpatica, un po’ strana forse ma...”
“Ma...?”
“Ma ti posso garantire che quella NON è Serena.”
“Che vuol dire?”
L’uomo scrollò le spalle.
“Beh, comunque sono finito in un vicolo cieco. Per far luce su questa storia è necessario che io vada da lei ma ora non posso affrontarla in nessun modo. Significherebbe la sconfitta, e una morte pietosa.”
Di fronte all’espressione interrogativa di Jeffry, Loki aggiunse:
“Il dio delle malefatte non può morire per mano di una ragazzina! Sarebbe disonorevole.”
“Già beh, dio... ora non hai nulla che possa farti sembrare tale.”
Il cielo fu spezzato da un fragore dirompente. Un fulmine si era abbattuto poco distante. Loki spalancò gli occhi e uscì di casa, zoppicante.
“Dove vai?!”
“A trovare quell’idiota di mio fratello, che non riesce mai ad essere più discreto di così!”
 
Dietro la casa di Jeffry c’era un enorme distesa di grano che prima Loki non aveva notato. Il dio attraversò il campo e arrivò sul punto dell’impatto.
La terra era nera e cotta dal fulmine, ma di Thor sembrava non esserci traccia.
“Thor?”
L’unica cosa che gli rispose fu il sibilare della spighe, leggermente piegate dal vento estivo, e il dio cominciò a pensare che forse era stato solo un semplice fulmine.
Maledetto fratello... come può prendersi così gioco di me?
Poi però cominciò ad insinuarsi nella sua testa un dubbio. Il cielo sopra di lui era stranamente pacifico, e il ribollire della tempesta, si era acquietato in un innaturale silenzio. Iniziò a guardarsi attorno, ansioso.
Però forse sono stato troppo precipitoso. Mi riesce difficile credere che quello stupido, dopo tutto quello che ho combinato, voglia voltarmi le spalle proprio adesso, ma se Thor tramasse davvero contro di me, e abbia veramente intenzione di riportarmi ad Asgard, come nostro padre gli ha ordinato? Allora sarei caduto nella sua trappola, sarebbe finita...
Una mano gli prese la spalla con forza, e Loki si girò di scatto.
“Thor! Mi hai fatto prendere un colpo! Dove eri finito?!”
Il fratello però non rispose e lo guardò con un espressione cupa in viso.
“Thor...?”
“Mi dispiace, fratellino...”
Loki lesse negli occhi dell’asgardiano un’angoscia tormentosa, rassegnata e piena di tristezza. Il dio sentì un brivido gelido percorrergli la spina dorsale e una delusione accecante gonfiargli la gola.
“Allora è così...” disse, con la mandibola contratta, e i pugni chiusi con forza.
Thor sembrò capire, sgranò gli occhi e alzò le mani come per frenare la tempesta che si stava per abbattere su di lui.
“Loki ascolta...”
Alla delusione si aggiunse la rabbia, una furia ceca simile all’esplosione di un incendio dirompente. Si scostò con forza dal fratello, e urlò fuori di sé:
“Vuoi davvero ubbidirgli! Accetterai senza muovere ciglio ciò che nostro padre ti ha ordinato?! Sei sempre stato un ipocrita! Hai sempre detto di stare dalla mia parte e ora, non solo mi porterai al patibolo, ma sosterrai la mano del boia quando calerà la sua scure su di me!”
Thor lo guardava ora con un espressione sorpresa in volto, e leggermente accigliata.
“Come fai a sapere che nostro padre...”
“Sono anni che mi conosci Thor... ma ancora mi sottovaluti. Ma non è questo il punto! Il fatto che tu ora sia qui di fronte a me a scusarti significa solo una cosa! E cioè che tu non meriti neppure una stilla del mio rispetto e dell’amore che provavo per te! Tu per me sei morto. Non sei più mio fratello...”
Thor era senza parole di fronte alla rabbia colma di frustrazione di Loki, ma ben presto si riscosse e prese il dio per le spalle, guardandolo negli occhi.
“Loki, non so cosa tu abbia sentito della mia conversazione con nostro padre. Ma ti stai sbagliando. Le cose non stanno come pensi.”
Il dio sorrise, sardonico.
“Davvero? E come posso fidarmi...?”
“Con questo...”
Thor cercò tra il grano e prese una specie di asta metallica.
“Prendila.”
“Il mio... scettro. Perché...?”
Ora la rabbia si era trasformata in sorpresa e sospetto.
“Loki, io voglio continuare a fidarmi di te, ma mi devi giurare una cosa.”
Il dio si accigliò.
“Centri qualcosa con quello che sta succedendo? Cosa sai di Gullveig?”
Loki sgranò gli occhi.
“Gullveig...?! Allora ricordi!”
Thor scosse la testa.
“Ho ricordato solo dopo essere tornato ad Asgard, ma rispondi alla mia domanda. Centri qualcosa con quello che sta succedendo?”
Il dio delle malefatte si sentiva ancora una volta il meno informato, quello che veniva dimenticato di essere messo a parte della verità.
Strinse i pugni, e le unghie si conficcarono nei palmi delle mani.
“Perché... cosa sta succedendo?!”
Thor si scostò un momento, come per guardarlo da più lontano.
“Allora davvero non sai... però, ora che ci penso, è meglio così. E’ meglio che tu di questa storia sappia il meno possibile. Anzi, io stesso farò in modo che tu non ne sappia niente.”
Negli occhi di Thor c’era quella dura espressione di amore fraterno, irremovibile e quasi minacciosa, che non avrebbe ammesso repliche a riguardo.
“Perché è meglio così?” Loki frenava a malapena la lingua; la sentiva bruciare.
“Perché se sapessi la verità...”
Al dio biondo morirono le parole in gola e distolse gli occhi.
“Perchè?!” lo scosse il fratello.
“Perché soffriresti e basta!”
Negli occhi di Thor passò un’ombra di pietà e a Loki andò il sangue alla testa.
“E così vuoi fare ancora una volta il dovere del bravo fratello maggiore, eh...? Pensi che in questo modo riuscirai a fare... cosa?! Guadagnarti l’affetto del tuo fratellino? Quello di una volta, piccolo e indifeso, che stravedeva per te?! Io sono cresciuto Thor! Non ho più bisogno di protezione! Mi fai schifo.” Gridò quella parola come se gli facesse ribrezzo, come se fosse una atroce bestemmia. Loki indietreggiò per andarsene ma, dimentico della caviglia, cadde tra il grano.
Thor lo soccorse e lo aiutò a rialzarsi, accorgendosi del piede.
“Loki... ma sei ferito! E queste mani... cosa diavolo...?!”
Il dio scostò via Thor con forza, digrignando i denti.
“Smettila! Lo stai facendo di nuovo! Io ti ODIO!”
Thor si immobilizzò e guardò il fratello con aria sofferente e meravigliata.
Gli aveva fatto male e Loki se ne accorse dalla sua espressione, la stessa che avrebbe avuto se gli avesse conficcato a tradimento un pugnale nel petto.
Il dio delle malefatte non sopportò oltre quella vista e, appoggiandosi al suo scettro, se ne andò zoppicante. Prima che però un altro fulmine portasse via Thor da lì, Loki sentì distintamente il fratello pronunciare queste parole:
“So che detesti essere protetto... ma lo farò ugualmente. Presto ricorderai questa storia con un sorriso di scherno e con la certezza che sia stato soltanto uno stupido incubo. Ma nel frattempo... non metterti nei guai. Presto sarà tutto finito.”
Il rombo troncò le parole del dio. Loki si fermò e guardò un attimo indietro, dove prima stava suo fratello. Quel dio sembrava così forte, con quelle grandi mani e con i capelli del colore del grano. Ma allora perché... perché... Perché (?!) doveva mostrarsi sempre così fragile in sua presenza?
“Non sei l’unico a rivolere tuo fratello, anche tu sei cambiato, Thor. E poi non sono d’accordo. Non finirà prima che lo dica io.”
 

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Capitolo 10
*** In Vino Veritas ***


In Vino Veritas

La pioggia era finita e, sebbene il cielo continuasse a ribollire come il lavandino sporco di una domestica, l’afa estiva ricominciava a scaldare la terra. Loki sentiva distintamente i guerrieri asgardiani attraversare il cielo alla ricerca di qualcosa. E, nonostante all’inizio avesse pensato che stessero cercando lui, a quanto pare si sbagliava. Se avessero voluto catturarlo, in primo luogo Thor, a dispetto del suo nobile cuore, non gli avrebbe ridato lo scettro magico dandogli così l’opportunità di difendersi, e poi, in secondo luogo, se davvero lo avrebbero voluto prendere, ora sarebbero già lì. Invece Loki sentiva distintamente il rumore degli asgardiani che marciavano fieri tra le nuvole, cercando qualcosa che non era lui. Quel qualcosa era la chiave di tutta quella storia, il dio ne era assolutamente certo, e proprio per questo motivo avrebbe dovuto trovarla primo di loro. Thor aveva promesso che non gli avrebbe detto niente, per il suo bene, e propria questa consapevolezza era riuscito a rendere Loki più impulsivo di quanto avrebbe dovuto essere.
“Sono un passo avanti a loro. Non mi batteranno, questa volta ho la mano vincente.”
Continuava a borbottare il dio, mentre si inoltrava nel bosco. Appena aveva ricevuto lo scettro Loki se ne era andato di gran carriera. Se solo fosse tornato da Jeffry per spiegargli quello che aveva in mente di fare, allora era sicuro che l’omone lo avrebbe seguito e fermato. Non poteva permetterlo.
“Si, scimmione... sto facendo ancora una volta una cosa impulsiva e stupida. Ma è l’unico modo, e non ho paura delle conseguenze.”
Il bosco si faceva sempre più fitto, e attraverso la vegetazione provenivano odore di muschio e lamponi.
Si faceva strada appoggiandosi al bastone, e pensando a quale tattica avrebbe dovuto adottare contro quel nemico che per lui era un vero e proprio enigma.
So solo che Serena vuole me e la mia testa... Oltre a questo ha parlato solo di cuore dati in pegno, tradimenti, e morte data dal fuoco. Forse è davvero solo una squilibrata, e io mi sono solo lasciato impressionare. Beh, lo scopriremo presto.
Loki era pensieroso e naturalmente, come faceva di solito, non prestava la benché minima attenzione a dove stesse andando. Aveva capito presto che Gullveig centrava fino al collo con questa storia, ma non vedeva quale ruolo avesse nella partita a scacchi che si stava giocando. Cercava di ricordare qualcosa di più su di lei, e ogni volta che ci provava sentiva solo una morsa attanagliargli la testa, e bloccare la sua memoria.
E’ come se non volessi ricordare. Come se la mia mente mi volesse proteggere da un ricordo troppo doloroso, o insopportabile. Proteggere... Mi sento come se avessi un piccolo Thor a dirigere l’archiviazione dei miei pensieri. Forse sto impazzendo davvero oppure, come ha detto mio fratello, questo è davvero solo un brutto sogno, e nulla di tutto questo è mai accaduto.
Loki si fermò improvvisamente, tendendo le orecchie. Sentiva l’aria tremare, come se l’aura di qualcosa di davvero potente e arrabbiato si ripercuotesse attraverso gli strati sensibili della materia. Loki sogghignò.
Ho trovato il mio filo di Arianna.
Il dio ascoltò quella traccia e la seguì. Le vibrazioni divenivano sempre più forti, assieme al suo sesto senso che ricominciava a farsi sentire dicendo qualcosa del tipo:
“Si, ok, stai andando nella direzione giusta... se vuoi morire e fare una terribile fine. Non mi senti?! Ferma le gambe e torna indietro! E’ troppo pericoloso!”
Ma al dio delle malefatte il pericolo intriga più di una bella donna, e quando si parla di mettersi nei guai è l’ultimo a tirarsi indietro.
Come aveva immaginato la scia lo portò alla radura dove Serena l’aveva condotto. La casa, ai sensi di Loki, sembrava grondare di sangue e pericolo. Era come una trappola mortale che gridava a gran voce che chiunque fosse entrato, lo avrebbe fatto a suo rischio e pericolo. La verità sarebbe costata al dio delle malefatte la vita? Tanto meglio... non si prospettava comunque un futuro radioso nella sua esistenza, e se anche i saggi di Asgard lo avrebbero perdonato dopo qualche secolo, a quali condizioni gli sarebbe stato permesso di tornare? Lavori forzati a vita nelle scuderie reali? Domestica nelle stanze di Thor? Oppure giullare di corte?
Preferirei togliermi la vita con le mie stesse mani...
Pensò il dio, stizzito da quelle improbabili situazioni.
Si avviò verso la casa, zoppicante, ma con il cuore fermo e fiero.
Posò una mano sulla maniglia e girò. La porta si aprì lentamente, cigolando, e rivelando un ambiente nero come la pece. Una folata di vento lo investì, annodandosi tra i suoi capelli corvini. Non un raggio di sole mostrava l’interno di quella casa di morte. Loki si guardò un attimo intorno e poi entrò. Non appena lo fece la porta sbatté con forza alle sue spalle, avvolgendo il dio nel buio della casa, come se lo avesse divorato. I suoi occhi di Jötun non servivano in quella notte senza stelle perché non era un’oscurità naturale, e Loki se ne accorse subito.
Il mio amore è tornato fra le mie braccia finalmente...” la voce che arrivò alle sue orecchie era come il sibilare di un serpente, la voce ridotta ad un sussurro che risuonava come un eco lontana.
Il mio amore... il mio amore...” cantilenò quella voce ripugnante.
“La verità. Dimmela.”
Loki fece qualche passo nell’oscurità.
“Dimmi cosa sei. E cosa sta succedendo.”
La verità...? Per questo sei venuto...? Non vuoi giocare con me...?
La voce che parlava era rauca e sembrava quella di una vecchia a cui mancasse il fiato, e che respirasse a mala pena. Sembrava molto divertita, ma anche piena di rabbia e desiderio.
“Hai giocato anche abbastanza non credi? E io non mi sto divertendo.”
Loki era fermo e irremovibile, la paura di quello che stava per accadere non lo toccava minimamente.
Oh... questo lo so... ma io non voglio che tu ti diverta... io voglio solo che tu soffra!”
Un vento furioso si abbatté sul dio, il quale chiuse gli occhi e prese un gran respiro.
“Perché la tua voce è così insopportabilmente familiare?”
Familiare...
Una folata di vento accarezzò la testa di Loki, per poi lambirgli dolcemente il collo.
Questo lo ricordi...?” L’ira di quella voce si era calmata per un momento, e alle orecchie risultava quasi umana.
“Si... ricordo questo tocco. Ma non ho memoria della persona cui apparteneva.”
Il vento gli accarezzò il viso e gli sfiorò le labbra.
Cosa senti...?” Sospirò una voce molto vicina all’orecchio del dio.
Loki guardò l’oscurità con disprezzo e velata tristezza.
“Rabbia, dolore e disgusto.”
La voce del dio era fredda come pietra.
Il vento, o qualsiasi cosa fosse, cessò immediatamente.
D-disgusto... è così allora? Io ti trasmetto... disgusto!”
Una risata gelida e tagliente come una cascata di vetri rotti si propagò nell’ambiente.
Dopo tutto questo tempo... è questa l’accoglienza che riservi ad una vecchia amica?! Mi hai deluso ancora una volta, dio delle malefatte... ma voglio darti una seconda... opportunità...
Delle mani incorporee e gelate si strinsero attorno al collo di Loki.
E’ l’ora di giocaaare... voglio giocare con te, Loki... ma non posso garantirti che ti piacerà. A me di certo, piacerà molto...!”
“La... mia... testa...” gorgogliò il dio.
“Che mi stai... facendo...?”
L’ombra sembrò meravigliarsi e sorridere.
“Oh, nulla Loki! Stai semplicemente ricordando!”
 
Mi infilai nelle camere reali di mio fratello. Lui doveva essere fuori, a caccia o all’allenamento. Non ci sarebbe stato nessuno e io avrei potuto entrarvi indisturbato. Aprii la porta e scivolai dentro. La camera era illuminata da una lama dorata di luce che filtrava attraverso la finestra. Spostai con un incantesimo il pesante letto di legno massiccio, e cominciai a tracciare simboli sul pavimento. Dovevo agire in fretta, non farmi sentire né vedere.
Sapevo quello che dovevo fare.
Tracciai un cerchio al cui interno scrissi Thuris, la runa di Thor, e Naudr, quella del Vincolo. Vi bruciai una ciocca di capelli di Gullveig e scrissi in alfabeto runico il nome del Mjöllnir. Continuai tracciando altre formule magiche in modo simmetrico, con le rispettive rune chiave, che avrebbero funzionato nell’incantesimo come ingranaggi di un orologio. Tracciai Kaen, la runa del fuoco, e Yr, la protezione, in seguito Tyr, il guerriero, e Isa, il ghiaccio. Avrei finito a breve ma sentii un rumore sospetto sul corridoio. Avrei riconosciuto quel passo sgraziato e pesante ovunque. Mi sfuggì un lamento frustrato e di corsa sistemai tutto al suo posto, il letto e qualsiasi cosa avessi spostato. Se fossi uscito in quel momento sicuramente Thor mi avrebbe visto, e allora avrebbe cominciato a fare domande e a sospettare uno dei miei soliti scherzi, ma su quello che stavo facendo non c’era nulla di divertente. Celai la mia presenza con un incantesimo e mi appoggiai contro il muro, immobile. Thor entrò con la sua solita eleganza. Sbatté la porta e si tolse la pesante armatura che aveva usato per l’allenamento. Cattivo umore, sommato ad un rientro anticipato, significava che aveva di nuovo litigato con il suo istruttore, forse aveva distrutto un’altra attrezzatura con la sua forza. Si buttò sul letto e chiuse gli occhi, sospirando pesantemente. Perfetto. Se fosse rimasto ad occhi chiusi mi sarei anche potuto spostare e uscire dalla porta che aveva lasciato incautamente sfessurata. Mi mossi a passi leggeri attraverso la stanza. Gli occhi incollati su mio fratello. Ripensai a che punto fossi arrivato con l’incantesimo. Non era ultimato, naturalmente. E allora il mio passo si fece titubante. Non sapevo come avrebbe reagito la malia, a quel punto della sua preparazione, con Thor che ci ballava tranquillamente sopra, per quello che ne potevo sapere, il cerchio magico avrebbe anche potuto reagire e scagliarsi su mio fratello. Non che la cosa mi preoccupasse, ma non volevo che i miei intenti fossero scoperti così facilmente. La colpa sarebbe ricaduta completamente su di me. Decisi di tornare indietro. Mi mossi a passo felpato verso di lui. Thor era accigliato e respirava forte. A pochi passi dal letto mio fratello colpì con forza il materasso con un pungo, e io trasalii. Riaprii gli occhi e mi costrinse a bloccarmi.
“Quel maledetto! Non è colpa mia se sono così forte! Non capisco perché devo ancora sottopormi a questi stupidi allenamenti perché...”
Thor si interruppe e si mise a sedere sul letto. Si guardò attorno con aria interrogativa.
Maledizione.
Sniffò l’aria come un cane da tartufo borbottando:
“Ma cosa...”
Quel tontolone di mio fratello non sapeva trovarmi quando ero celato sotto un incantesimo, ma l’abitudine, e la quotidiana vicinanza con la mia magia, aveva fatto si che i sensi lo avvertissero su cosa il suo primitivo cervello non riusciva a capire da solo.
“C’è un odore strano... un profumo di cannella e more, come quello di mio fratello.”
Cosa?! Non vorrai farmi credere che riconosci il mio odore, non è vero?
Mossi leggermente le dita per incantarlo e farlo appisolare. Naturalmente non funzionò. Usare una magia del genere su Thor poteva sortire lo stesso effetto narcotizzante di una camomilla data ad un orso grizzly. Il pavimento fu scosso da una quasi impercettibile scossa. Cavolo, il cerchio stava già entrando in azione, le cose si mettevano male. Il legno cigolò e scricchiolò come se qualcosa di molto pesante cominciasse a spingere e a tirare. Mi morsi il labbro inferiore e quasi senza pensare mossi qualche passo all’indietro. Thor si voltò istantaneamente verso di me. Non poteva vedermi, ma questi incantesimi di invisibilità sono più efficaci se si resta immobili, e gli occhi di Thor mi avevano visto più di una volta fare giochetti simili. Mio fratello strizzò gli occhi verso di me, li riaprì e per un momento mi sembrò che riuscisse quasi a mettermi a fuoco. Il pavimento tremò ancora una volta terribilmente e cominciò a bussare con forza come se qualcuno stesse martellando sotto il letto. Thor distolse lo sguardo e decisi che era il momento di fare qualcosa.
“Thor! Maledizione, dove sei?! Idiota!”
Loki entrò sbattendo la porta con tutta la forza che aveva in corpo, coprendo in parte il rumore che veniva dal pavimento. Thor si girò di scatto e gli rivolse uno sguardo confuso e sorpreso, come se non dovesse essere lì.
“Loki...? Perché stai urlando in questo modo?”
Il mio perfetto sosia gli rivolse uno sguardo spaventato e colmo di terrore, un’espressione che raramente Thor aveva visto sul mio volto, e la cosa infatti lo stupì. Si alzò di scatto e per poco non mi travolse quando corse verso l’altro me.
“Devi venire subito con me! Sbrigati, altrimenti succederà qualcosa di terribile!”
La voce di Loki era rotta dall’agitazione e da una sottile, ma efficace, vena teatrale. Grandi occhi lucidi fissavano disperato Thor, e lui dopo avermi visto in quel modo non se lo fece ripetere due volte. Il mio sosia e mio fratello se ne andarono di gran carriera dalla camera e io finalmente potei tirare un sospiro di sollievo. Mi concessi un sorrisetto, mio fratello era stato sempre facilmente ingannabile. Abboccava sempre, come un pesciolino all’amo, quando gli facevo qualche moina e sguardo lacrimoso, eppure non mi stancavo mai di fregarlo. Mi ricordai all’improvviso del cerchio magico e scaraventai il letto di lato. Le strisce del vincolo bruciavano come se fossero state di magma incandescente. Vi passai le dita, ma il calore mi costrinse a ritirarle velocemente. Tracciai velocemente quattro simboli attorno al cerchio, pronunciando vecchie formule di sutura. Il legno scricchiolò e tremolò visibilmente, mi allontanai e dopo qualche minuto di assestamento il fuoco dell’incantesimo si ammorbidì, e alla fine si spense con un ondeggiare di fumo. Mi sfuggì un sospiro di sollievo, anche se Thor era lontano gli avrebbe potuto fare del male e la cosa, anche se non l’avrei ammesso mai, neppure sotto tortura, mi scocciava. Ricominciai da capo e alla fine, a processo ultimato, nascosi con un incantesimo i segni tracciati sul pavimento. Le incisioni sprofondarono nel legno scomparendo a qualsiasi sguardo, come se non ci fossero mai state.
Uscii dalla stanza di Thor e me ne andai velocemente, guardingo. Il mio sosia doveva essersela cavata egregiamente, l’ordine era “portalo lontano e fuori dai piedi, e poi fai perdere le tue tracce”. Camminavo pensieroso quando il mio sesto senso mi strillò direttamente sui timpani delle orecchie. Gullveig girò l’angolo in fondo al corridoio. Mi fermai dove mi trovavo appena il suo sguardo mi colpì. Quella dolce bocca rossa, che troppe volte aveva fatto tacere la mia, era storta in una smorfia disperata, gli occhi socchiusi erano inondati di grosse lacrime che a mala pena resistevano sul dirupo di quel viso angelico. Mi corse incontro incespicando sui suoi passi, e appena mi vide mi rivolse uno sguardo disperato e bisognoso di aiuto, come se da quello che avrei fatto dipendesse tutta la sua vita. Con le gambe tremanti, crollò tra le mie braccia.
“Loki... Loki...”
Gullveig riusciva solo a ripetere il mio nome, come se fosse l’unica cosa cui aggrapparsi per non sprofondare nella disperazione. I suoi occhi, fissi nei miei, lasciarono finalmente andare le calde lacrime di paura che soffocavano quello sguardo dentro cui mi perdevo attimo dopo attimo. Si aggrappò a me e alle mie vesti come un gatto in cima ad un albero troppo alto.
“Loki... Loki...” continuava a ripetere, ansimando.
Io gli accarezzai gentilmente la testa.
“Calmati... che succede?!”
Alla donna sfuggì un gemito disperato, e quando parlò la voce era rotta dalle lacrime.
“Credono che... li abbia traditi... tradimento! E ora vogliono... la mia... testa.... Loki!”
“Chi vuole la tua testa?! Chi?! Gullveig parla! Spiegati, dannazione!”
La donna ascoltando la rabbia nella mia voce si spaventò, e socchiuse appena la bocca, guardandomi con degli occhi pietosi.
Sospirai.
“Perdonami... dimmi cosa devo fare, amore...”
Forse la cosa le risultava più facile, e senza dire nulla mi prese per mano e mi condusse attraverso i corridoi del palazzo, mentre cercava di spiegare cosa fosse successo di così grave.
“I Vani... credono che li abbia traditi. Mi hanno accusato di aver fatto la spia, di aver cospirato contro di loro rivelando i loro segreti...”
“Cosa credono che tu abbia rivelato?”
“Dicono che ho venduto i loro punti deboli al nemico, e lo avrei fatto per una manciata d’oro e pietre preziose! In questo modo gli Asi potrebbero dichiarare guerra ai Vani e uscirne vittoriosi. Avrebbero un grande vantaggio dalla loro parte...” Gulveig cercava di sbrigarsi e correre, ma i singhiozzi sembravano ostacolarle anche i passi, e le lacrime oscurarle gli occhi.
“Come possono accusarti così ingiustamente?! Quali prove hanno a loro carico?!”
La donna rallentò e fissò lo sguardo su un punto lontano, di fronte a lei.
Poi si girò di scatto verso di me, con un’espressione triste e lacrimosa che sembrava voler dire “Tutto ma non questo”.
“Dicono che hanno un informatore.” Disse tutto d’un fiato.
Io non dissi nulla, anche se in realtà non c’era nulla da dire. Ma in quelle parole avevo sentito una specie di domanda, una richiesta supplichevole, la necessità della verità.
Fissò i suoi occhi nei miei. Poi mi prese il viso tra le mani e chiese in un sussurro:
“Tu non centri niente con questa storia, vero, amore mio...?”
Il cuore mi sobbalzò in petto e mi allontanai dalle quelle sue mani che mi cercavano.
Il mio viso divenne freddo come il ghiaccio, l’espressione tagliente, e i miei occhi severi e crudeli.
“Come puoi anche solo pensare...”
Nonostante la rabbia che sentivo dentro, la mia voce uscì spezzata e stridente, fragile e ferita come non mi era mai capitato di sentire.
“Come puoi...”
Mi allontanai ancora, con il cuore trafitto e pulsante.
Gullveig cadde in ginocchio e mi guardò con sguardo supplice, come quello che dovrebbe avere un condannato a morte di fronte al suo boia, o una moglie che suo marito ha scoperto essere puttana.
“Loki... perdonami... senza di te sono persa!”
Si aggrappò a me con tutte le sue forze, tirandomi le vesti e singhiozzando a gran voce.
Dentro il petto avevo un temporale di emozioni, e non sapevo a quale abbandonarmi, ancora una volta però, Gullveig decise al posto mio.
“Aiutami. Mi devi aiutare. Aiutami!”
Serrai la mascella, e dissi con voce strozzata:
“Tutto quello che vuoi.”
 
Il ricordo si dissolse lentamente, come i vapori di una droga. Loki si guardò attorno, dimentico soltanto per un attimo del perché si trovasse in quel luogo.
Il dio era saldamente legato ad una sedia con una catena d’acciaio. L’enorme lucchetto che la chiudeva gli ricadeva sul petto.
Ora la casa non era più buia, ma una specie di occhio di bue illuminava la zona dove si trovava. Di fronte al dio c’era un tavolo di cristallo con tre coppe di vino posate sopra a eguale distanza. Nella sedia dirimpetto al dio c’era Serena, che gli rivolgeva un sorriso placido e pacifico, in forte contrasto con la luce cattiva degli occhi che prometteva tutt’altro che gentilezza e riguardo. La ragazza indossava un lungo vestito bianco, molto teatrale, e a Loki ricordò le vesti che indossavano le donne gravide ad Asgard. I capelli ribelli era sciolti e disordinati davanti al viso.
“Perché questi legami? Hai paura che fugga dopo che sono venuto spontaneamente da te?”
La ragazza gli allargò il sorriso, restando però con gli occhi freddi e duri.
“Te l’ho detto Loki, ho voglia di giocare, e non credo che il gioco piacerà anche a te. Meglio prevenire che curare e poi... si dice che per trattare col dio delle malefatte sia necessario tenergli le mani legate e cucirgli la bocca.”
Loki scrollò la testa e la guardò impertinente.
“Tutte voci che non rendono giustizia alla mia persona... anche in quel modo riuscirei ad ingannarti.”
Serena rise, o almeno quella era l’intenzione, perché lo strano verso distorto che uscì dalla sua gola non poteva assolutamente essere paragonato ad una risata, era fin troppo inquietante.
“Hai ragione, tu sei l’ingannatore per eccellenza, giusto? Anzi... tu sei l’Inganno!” esclamò allargando le braccia e mostrando un accenno di inchino.
Quel sorriso storto non lasciava mai il viso di Serena, e anche Loki non sembrava essere turbato della situazione nella quale si trovava, ma sorrideva tra sé e sé. Se qualcuno lo avesse guardato in quel momento, con quella strana luce negli occhi, sicuramente avrebbe detto che, o era qualcuno molto sicuro di sé, oppure era un folle. Più probabile che fosse entrambe le cose.
“D’accordo Loki... iniziamo a giocare. Vedi queste tre coppe di vino?”
Sul tavolo c’erano delle coppe di cristallo finemente decorate contenenti un liquido denso e scarlatto. Sul bordo esterno erano incise delle parole che se guardate insieme, potevi leggere la frase “In vino veritas.”
“Dovrai scegliere una coppa e io ti farò bere il contenuto. Ti dico però che solo su un bicchiere c’è del vino, nelle altre... sarà una sorpresa.”
Sorrise affabile e il dio alzò un sopracciglio.
“Tutto qui? Non mi sottoponi a orrende torture? Non mi bruci le dita? Non mi leghi ad un letto con sopra un ascia che oscilla come un pendolo e che, scendendo lentamente, alla fine mi taglierà la pancia?”
“No! Per chi mi hai preso?!”
“Per una sadica, una pazza, e un mostro.”
Serena sghignazzò.
“La tua immaginazione è sempre stata molto fertile; e comunque, non è detto che questo gioco non sia meno ingegnoso di quelli che hai elencato un attimo fa.”
“Ok, quindi... devo scegliere una coppa?”
Serena si sporse in avanti.
“Si... e dopo che lo avrai fatto dovrai rispondere ad un indovinello.”
“E se mi rifiutassi? Se non volessi bere da nessuna delle coppe? Potrei non fidarmi delle tue parole, chi mi dice che non abbia messo del veleno in ciascun bicchiere?”
“Se tu ti rifiutassi, beh... passeremmo direttamente alla parte finale del gioco e si concluderà male per te, naturalmente. Vuoi arrivare al game over prima dei tempi? Non bruciare le tappe, tesoro, fai come ti ho detto.”
Loki si dondolò sulla sedia, e guardò la ragazza con aria altezzosa.
“Cosa hai per sorridere così, Loki?”
“Non pensi neppure lontanamente che potrei avere un piano? Non ti sembra sospetto il fatto che io sia andato volontariamente nella tela del ragno? Io se fossi in te, conoscendo il dio con cui stai trattando, non sarei così tranquilla...”
Sorrise maligno, ma Serena non si fece impressionare e rise frivola.
“Un dio! Si... Loki hai ragione, una volta eri un dio. Adesso però sei solo un debole mortale, la cui vita è fragile come lo stelo di un fiore. Potrai essere ingegnoso quanto vuoi, amore mio, ma guarda...!”
Serena girò attorno al tavolo e gli sedette in grembo.
Le sue piccole mani strinsero con forza sovraumana attorno al collo del dio. Il sorriso sul viso di Loki però non accennava a spegnersi, e la cosa sembrava infastidire Serena.
Strinse più forte e il dio cominciò a respirare con difficoltà.
“Sei... banale...”
Gracchiò Loki.
Serena lo alzò e lo scaraventò con forza sulla sedia.
“E tu sei fastidioso come sempre. Scegli la coppa, prima che perda davvero la pazienza.”
Il sorriso di Serena stava in piedi a mala pena, e già potevi intravedere la facciata crudele e mostruosa che celava sotto.
Loki invece, anche tra i colpi di tosse e il respiro mozzato, continuava a mantenere quel sorriso impertinente che gli stava addosso come un guanto di seta.
“Ti vorrei strappare via quel ghigno a suon di schiaffi. Ma dopo rovinerei troppo il tuo viso, la bellezza è una cosa preziosa, goditela finché la morte non te la porterà via...” borbottò la ragazza, mentre si rimetteva a sedere dall’altra parte.
 
Loki aveva un piano. Certo che ce lo aveva. Ma non poteva certo considerarsi, come si suol dire, “a prova di proiettile”. Il fatto che ora fosse legato come un salame ad una sedia non aveva intaccato per nulla la sua tattica, che ricordava piuttosto quella di un soldato ubriaco mandato all’attacco; forse il suo passo sbilenco, e la totale incoscienza, gli poteva portare la pellaccia in salvo.
“D’accordo... una coppa. Vediamo... quale mi consigli tu?”
“Quale ti consiglio di bere?” gli fece eco Serena.
“Si, beh... prima in realtà dovrei sapere a cosa miri, quali sono i tuoi piani per me... anche se credo di immaginarlo. Cosa ho fatto per farti arrabbiare così tanto?”
“Cosa hai fatto...” Serena sorrise, questa volta mesta, ricordando qualcosa del passato.
“Lo so che... non sono uno degli dei più apprezzati di questo universo ma... ora che ci penso... ci sono davvero tante persone che mi detestano, troppe davvero. Ma se posso chiedere chi sei tu, tra quelle?”
“Vuoi forse prendere tempo? Guarda che non sono così stupida...”
“E tu stai deviando il discorso evitando di rispondere.”
“Quale discorso?! Non stiamo facendo nessun discorso!”
“Uno scambio di battute, o di domanda e risposta, tra due o più persone può di fatto considerarsi una conversazione bella e buona. Quindi rispondi alla mia domanda...”
“Quale?” chiese, già mezza innervosita la ragazza.
“Fuori piove, oppure è tornato il sole?”
Il sorriso di Loki era impareggiabile, e rimase stampato sulla sua bocca e sui suoi occhi anche quando Serena gli mollò uno schiaffo in pieno viso.
“Ai... mi hai fatto male.”
“Ti avevo avvertito di non farmi perdere la pazienza, buffone. Scegli, oppure sceglierò per te.”
Loki sbuffò, ma aveva un’aria molto divertita.
“D’accordo sceglierò quella in mezzo... anzi no, quella a destra. La tua destra, dannazione! Quanto sei sbadata...”
Serena gli rivolse un sorriso tirato che sembrava voler dire “Tanto prima o poi ti ammazzo.”, poi prese la coppa e l’avvicinò alla bocca di Loki.
“Ci ho ripensato. Posso cambiarla?”
Serena non aveva più voglia di giocare, gli tirò indietro la testa, tirandolo per i capelli e lo costrinse a bere.
“Fai il bravo... fino all’ultima... goccia.”
Gli cantilenò lei, mentre anche l’ultima stilla di liquido finiva dentro la gola di Loki.
Quando si allontanò lo sguardo del dio si era leggermente rabbuiato, e infastidito.
“Come ti senti?” chiese Serena, avendo ritrovato tutta la sua crudele affabilità.
“Quella roba faceva schifo. Se era vino, era invecchiato un po’ troppi anni. Devi scegliere cantine migliori perché se no...”
Loki sentì uno strano intorpidimento alle dita della mano e la vista che cominciava a sdoppiarsi.
“Quella sorta di aceto andato a male... cos’era?” disse lui, buttando là un sorrisetto che riuscì a stare a galla sul suo viso soltanto qualche momento.
“Oh, non c’è motivo per cui tu debba saperlo... diciamo soltanto che ti aiuterà nel prossimo gioco. Non voglio che tu perda conoscenza durante la parte più bella.”
“La... parte più bella?” smozzicò il dio, mentre cercava di tornare lucido.
“Ossia quando ti strapperò quell’avvizzito muscolo, che dovrebbe essere il tuo cuore, via dal petto, amore mio!” cantilenò Serena con voce squillante e terribile.
Intanto Loki sentiva come se venisse lentamente sommerso da una calda marea, doveva agire in fretta.
“Prima però... voglio che tu risponda ad un indovinello.”
“Non credo che la tua fantasia possa stupirmi più della stupida trovata di poco fa...” gorgogliò il dio.
“Non voglio stupirti, voglio solo capire. Alcuni dicono che sei cambiato, che non sei più il dio di un tempo... io non credo proprio però voglio darti un margine di fiducia perché tanto, e scusa il gioco di parole, hai le mani legate.”
Serena spostò la sedia davanti al dio e ci si mise a cavalcioni.
“Ah! Prima però...”
La ragazza prese le due coppe e le rovesciò, il liquido nero cadde a terra e cominciò a bruciare e corrodere il pavimento come acido cloridrico.
Sorrise dolcemente e disse:
“Ho mentito, non c’era del vino, però hai scelto la sostanza meno dannosa. La tua solita fortuna sfacciata immagino, non è vero?”
“Non mi sento esattamente fortunato in questo momento...”
“Fai sempre il melodrammatico! Guarda la situazione da un punto di vista positivo!”
“Quale?” sogghignò il dio.
“Già, beh... credo che non che sia uno in effetti. Ma ora basta parlare!”
Poi gli prese il mento tra le mani e disse:
“Mostrami quello che sei, Loki. Rispondi a questo: chi è l’uomo che dice alla propria donna di amarla con tutto il suo cuore, e che non la tradirebbe mai? Chi è quell’uomo che guarda al proprio amore e promette che è sempre al centro dei suoi pensieri, e che per lei darebbe la vita, e quella della sua famiglia in pegno? Chi è quell’uomo? Dimmelo, Loki!”
“L’uomo...” borbottò il dio, mentre sentiva la testa pulsargli dolorosamente e il petto appesantirsi come se dentro qualcuno stesse facendo una gettata di cemento.
“Chi è l’uomo che dice ti amo ad una donna?”
Loki sogghignò.
“Non mi stai rendendo le cose facili con quella cosa che mi hai fatto bere.” Disse mentre cercava di ritrovare la concentrazione.
“Eppure dovresti avere una mente geniale, non è vero? Possibile che una pozione così blanda ti abbia già mandato in pappa il cervello?” disse Serena mentre dava piccoli colpetti alla testa del dio.
“Però, adesso che mi ci fai pensare, non avevo considerato che ora se un mortale. Chissà quali effetti avrà sul tuo fragile corpo, sono curiosa!” squillò la ragazza, emozionata.
Loki sentiva la testa rimbombargli come il ventre cavo di una grotta, lo sguardo che perdeva la messa a fuoco.
Guardami!
Lo sguardo del dio fu richiamato da quello della ragazza come una calamita.
Gli occhi di Serena brillavano come fuochi dentro dei pozzi.
“Chi sei...?”                                                
“No, Loki, non è questa la domanda. La domanda è: Chi è quell’uomo?” la voce dolce della ragazza era tornata roca e infernale.
“Io non lo so...”
Gli artigli della donna presero il viso di Loki con forza.
Te lo ripeto soltanto un'altra volta. Chi è l’uomo che dice di amare la propria donna?” Scandì le ultime parole con rabbia repressa.
Loki sapeva la risposta. C’era una voce dentro la sua testa che glielo aveva suggerito subito. Per lui era chiaro come la luce del sole, ma non sapeva se la risposta che lo avrebbe salvato era anche quella giusta. Guardò la furia degli occhi di Serena, che già si preparava, nel caso, a spezzargli l’osso del collo, e alla fine decise di accontentarla.
“Il bugiardo.” Smozzicò Loki.
Serena lo guardò un attimo sorpresa, e al dio sembrò di leggere nei suoi occhi una vera e profonda tristezza, prima che una risata bestiale gli uscisse dalla gola.
“Ahahaha! Esatto, amore mio! Il bugiardo! Hai vinto anche questa volta! Beh, del resto, chi poteva saperlo meglio di te?”
“E cosa... ho vinto se posso saperlo?”
Il sorriso di Serena si allargò ancora di più.
“La verità, e la morte. Purtroppo sono a pacchetto unico, e hai vinto entrambi, mi dispiace. Ma almeno mi hai confermato di non essere cambiato! Anche non ricordando sei riuscito a dare la risposta giusta...”
“Non ricordando COSA?!” sbottò alla fine il dio, innervosito dal dolore e dalla voce isterica della ragazzina.
Serena avvicinò il suo viso a quello del dio. Una lacrima solitaria rigò il suo viso insensibile, e bisbigliò:
“Tutto, amore mio. Tutto, ma soprattutto questo.”
La ragazza gli posò le labbra sulle sue. Un bacio leggero ma possessivo.
Loki non ebbe neppure il tempo di stupirsene perché un dolore accecante gli trafisse il cervello. Era come se qualcuno gli avesse aperto il cranio con un ascia, e adesso stesse rimescolando velocemente quello che conteneva.
Ma fu solo la questione di un attimo, e all’improvviso ricordò tutto.
Capì cosa gli era sfuggito di tutta quella storia, e quanto fosse stato stupido a non comprendere che la soluzione era lì davanti ai suoi occhi, e che non era più difficile del trovare il risultato di 2+2.
Ricordò ogni cosa.
Serena si allontanò e guardò Loki negli occhi, seria.
L’espressione del dio era indecifrabile.
“Tu...”
La ragazza gli sorrise, per la prima volta senza furia omicida.
“Tu sei...”
“Si, Loki. Ma non avremo tempo per salutarci, perché ora dovrai morire.”
La ragazza tirò fuori un pugnale lungo e affilato, ma Loki fu più veloce.
Girò su se stesso e distrusse la sedia addosso alla ragazza, liberandosi dalle catene.
Si allontanò velocemente, ma il suo corpo però richiese il pagamento per quello sforzo eccessivo, e quando si ritrovò Serena di nuovo addosso riuscì solo in parte ad evitare il successivo fendente.
Il pugnale colpì e gli procurò una ferita di striscio al costato.
Annaspò lontano, giunse le dita delle mani e le fece ruotare. Lo scettro si materializzò nelle sue mani appena in tempo per parare il successivo attacco della ragazza.
Il colpo fu forte e l’arma volò via, lontano da lei.
Serena però non sembrò sorprendersi e ghignò, quasi che si aspettasse una simile reazione. La ragazza fu fulminea e avvicinò una mano al torace del dio. Loki non ebbe neppure in tempo di rendersene conto che fu scaraventato lontano da un’onda d’urto dai riverberi dorati. Il dio annaspò un momento, mentre la magia, che si propagava attraverso il suo corpo come una scarica elettrica, gli procurava dolore.
Serena rise e si avventò ancora su Loki, sommergendolo di attacchi che gradualmente diventavano sempre più veloci, come gli affondi di una serpe. Il dio sentiva il corpo intorpidito a causa della pozione che aveva bevuto, e non riuscì a parare tutti gli attacchi della donna. Riuscì ad evitare i colpi diretti ai punti vitali, ma le mani vibranti di energia di Serena lo colpirono alla spalla destra, al ginocchio, e gli procurarono una ferita di striscio alla testa. Loki con un balzo si allontanò dallo scontro, nel tentativo di riprendere fiato. Il sangue colò giù dalla sua fronte, e gli bagnò le labbra.
“Mi stai deludendo...” cantilenò Serena, strabuzzando gli occhi e mostrando le fauci che sembravano quelle di un serpente.
Loki non disse nulla, ma cercava disperatamente di concentrarsi sulla caviglia che gli bruciava come se fosse fatta di fuoco e di non pensare a nient’altro.
“Stai parando tutti i miei attacchi. Questo non è il tuo stile di combattimento, lo so bene. Perché lo fai?”
Il dio abbassò lo sguardo, non poteva più sopportare quegli occhi, soprattutto ora che era chiaro il motivo per cui gli fossero così familiari.
“Beh? Che ti succede?”
Loki strinse i denti e le ringhiò contro.
Dalle labbra di Serena sfuggì un riso atroce.
“Come la prima volta che si siamo incontrati! Sembri proprio un cucciolo spaventato! Ma, diversamente da allora, ora ho capito cosa sei veramente.”
La ragazza sorrise guardando nella sua direzione ma senza vederlo veramente.
“Non sei mai stato alla mia altezza perché sei solo un verme, una creatura strisciante che si illude di essere un falco. Pensa di vedere tutto dall’alto quando in realtà stai solo osservando i granelli di polvere della terra. Me lo hai dimostrato quella volta. Mi hai dimostrato di non valere NIENTE!”
Loki aveva iniziato a tremare, ma non riusciva a dire nulla.
“Sono riuscita a far tacere il dio degli inganni?! Incredibile, questa è un’impresa che verrà scritta nelle più importanti mitologie! Mi ricorderanno per questo! Il mio nome verrà scritto a lettere di fuoco nella storia!”
I veloci attacchi della donna non gli avevano dato il tempo di pensare, ma ora i ricordi cominciavano a crollargli addosso come una valanga di rocce.
Serena lesse negli occhi di Loki il suo spaesamento.
“Beh, ti sono mancata?”
Il dio la guardò con gli occhi spalancati e mosse qualche passo all’indietro.
“Non è possibile.” Gracchiò alla fine.
“Oh si, amore mio, che può esserlo. E’ possibile e vero quanto il sangue che ti bagna le labbra.”
“No. Non puoi. Non voglio...” smozzicò lui mentre un sudore freddo gli scendeva lungo la schiena.
“Sai, Loki, all’inizio non volevo credere che tu avessi dimenticato tutto. Che tu avessi voluto dimenticare. Ma poi... ho capito. E’ stato il tuo cuore a volerlo, non la tua testa. Anche in questo momento sta accadendo la stessa cosa. Tremi come la fiamma di una candela che sta per spegnersi perché la tua mente ti dice la verità e tu non vuoi conoscerla. Hai sempre avuto un’anima così complicata, Loki... ingarbugliata come un gomitolo di lana, o come una scatola di gatti. Sempre in contraddizione con te stesso, in guerra con la tua famiglia, tuo fratello e con il mondo intero. Non hai mai voluto la distruzione, ma la brami spasmodicamente. Sei autolesionista, e sembra quasi che tutto quello che fai sia diretto contro te stesso, come se tu volessi punirti per qualcosa di cui ti penti inconsciamente. Loki, sei sempre stato il migliore bugiardo che i 9 regni abbiano mai partorito non per la tua astuzia, e neanche per la tua mente geniale, non  per il fatto che tu sia un figlio del Caos, e neppure per le tue incredibili doti magiche. Sei il migliore bugiardo perché riesci a mentire anche a te stesso.”
Loki non ascoltava davvero, e le parole gli entravano nelle orecchie come se fossero state incorporee. Sentiva come se nella sua testa si stesse svolgendo una complicata arringa.
Non è possibile è solo un trucco ben congeniato. Non ci credere, non ci cascare.
Hai sentito le sue labbra sulle tue. E’ lei.
Non può esserlo. Io l’ho vista morire, e non c’era alcun trucco, alcun inganno.
Accetta la realtà dei fatti. Perché ora lei è qui davanti a te e sorride.
Lo sai bene quello che è successo, te lo devo proprio dire.
Non devi frugare nel passato, non c’è motivo per cui tu debba parlarne.
Era appena terminata la condanna, e quando tutti se ne furono andati scesi fino al suo tumulo, e frugai tra le ceneri calde.
Mai sentito dire della fenice vero? Cosa te ne importa di quello che è stato?! Ora è viva... Viva!
Lo sai che non è vero...
Sai che lo è...
Non può esserlo perché io quel giorno...
Non lo dire! Non importa!
IO HO MANGIATO IL TUO CUORE!”la voce uscì dalla gola di Loki con uno sforzo sovrumano, graffiata, rotta, incrinata dal dolore e dalla rabbia. Dopo averlo gridato restò, ansimante, ad osservare l’espressione impassibile, e anche leggermente scocciata, della ragazza. Poi lei fece un gesto vago con la mano e disse:
“Si, beh, lo hai fatto. Eri sconvolto e fuori di te. E’ comprensibile. Ti avevano strappato dalle braccia il tuo tenero amore e ti eri convinto che con lui se ne fosse andato anche il tuo cuore. Ma quello che hai fatto è servito almeno a qualcosa? Oltre a riaffermare quanto tu sia pazzo e fuori di testa? Il tuo cuore è tornato al suo posto? Io credo invece che il tuo petto sia ancora freddo e ghiacciato come una volta, prima che arrivassi io. Dentro quel petto tu non hai niente, se non forse un muscolo congelato e in putrefazione. Ma prima che tu te ne vada me ne accerterò io stesso, te lo giuro.”
La ragazza si era avvicinata a Loki e gli aveva posato gentilmente una mano sulla fronte, accarezzandogli i capelli.
“Ora, dì il mio nome, Loki. Fammi capire che sai qual è la verità e che non ti stai coprendo gli occhi con le mani come un bambino, sarebbe infantile. Dillo.”
Loki sospirò. Era in trappola e ci era andato di sua spontanea volontà, ma aveva lo scettro, e mai aveva pensato che pur tenendolo tra le dita non avrebbe potuto usarlo. Come se la sua arma lo avesse ascoltato gli scivolò lentamente via dalla presa allentata, e cadde con clangore metallico a terra. Il dio guardò negli occhi Serena e per un momento gli sembrò di rivedere la bella donna che lo aveva stregato, i suoi occhi luminosi che gli scandagliavano il pozzo del suo cuore, e quella bocca che tante volte lo aveva ammaliato. L’unica che lo avesse amato accettandolo per quello che era, ossia il dio delle malefatte.
Alzò la mano pallida, e le accarezzò il viso morbido.
“Gullveig... sei viva.” Sospirò il dio.
“Proprio così, amore mio... tornata da Hel solo per te.”


_________note dell'autrice_____________
più comodoscrivere infondo che annoiarvi fin dall'inizio del cap.. non credete? cooomunque.. appena l'ho finito di scrievere l'ho riguardato velocemente e mi sono accorta che non succede fondamentalmente una beneamata mazza... XD come riesco a scrivere pagine senza far andare avanti la narrazione.. lo sa solo Odino....
p.s. spero di non avervi stomacato con il fatto del cuore.. ma la mitologia parla chiaro... ç__ç


Annuncio importante!!!
Ho bisogno del vostro prezioso contributo per il prossimo capitolo.. (che forse sarà l'ultimo, vedremo...) Quindi vorrei chiedervi una cosina.. *__* pensate intensamente a Loki.. ok? Visualizzatelo per benino.. poi pensate ad una musica triste che potrebbe essere il suo spartito del cuore.. mi seguite? Non vi posso dire altro altrimenti addio sorpresa!!! Nelle recensioni mettetemi il link della canzone che credete possa adattarsi a Loki, e al suo essere il dio delle malefatte.. un po' malinconica.. commovente.. insomma tristezza a palate!!!! Cercherò di commuovervi alla fine di questa storia.. che la saggezza di Odino guidi la mia mano.. ehehe.. XD

Con affetto,
Jack!!!

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Capitolo 11
*** Il passato non si distrugge con il fuoco ***


Il passato non si distrugge con il fuoco


Gullveig mi trascinò di corsa attraverso il castello di Asgard, io non opponevo resistenza e per come mi sentivo in quel momento mi avrebbe anche potuto conficcare uno stiletto affilato nel petto, non avrei opposto resistenza.
Attraversammo un lungo corridoio, e quando la strada svoltava Gullveig lasciò la mia mano e le posò entrambe sul muro. Tastò velocemente le rocce incastonate e ne spostò una. Sulla parete si aprì un passaggio largo nemmeno mezzo metro e vi ci infilammo attraverso, chiudendo la porta segreta dietro le nostre spalle. Per un momento mi chiesi come facesse a conoscere quella strada, ma poi mi resi conto che avevamo trascorso le settimane a girovagare nel castello e a fare l’amore nei posto più improbabili. Alla fine le avevo mostrato praticamente tutte le stanze e i passaggi segreti che io conoscevo fin da quando ero bambino. Ci trovammo di fronte ad una ripida rampa di scale a chiocciola. Gullveig aveva smesso di piangere, ma il respiro era rotto ugualmente da una disperazione pesante. Le percorremmo in silenzio, e precipitosamente; alla fine arrivammo in una grande sala circolare. Gullveig si volse verso di me e disse, con tono affannato:
“Questa è la stanza in cui convergono le linee di comunicazione con il regno dei Vani, vedi?”
Mosse appena le dita e delle linee di luce, sottili come ragnatele, divennero visibili.
“Loki, ho bisogno del tuo aiuto. Non posso farlo da sola.”
“Cosa devo fare?”
I suoi occhi disperati si riempirono di gratitudine. Il mio sguardo restava freddo e gelido, ma dentro stavo tremando.
“Devi aprire un varco con il mondo dei Vani. Il castello, e tutta Asgard è piena di protezioni, non posso farlo da sola! Se tu imponessi il tuo nome all’incantesimo, in quanto autorizzata dallo stesso figlio di Odino, potrei aprire un portale senza che il vostro re se ne accorga.”
“Perché?”
Gullveig mi guardò sconcertata.
“Perché cosa?! Perché dovresti aiutare la tua donna quando lei ti chiede in lacrime di farlo? Perché dovresti proteggerla a costo della vita? O perché è necessario che Odino non venga a sapere che ho aperto un portale nel suo regno, in ala segreta del castello, che conduce al popolo rivale degli Asgardiani?! Se non vuoi aiutarmi dillo chiaro e tondo e vattene per sempre dalla mia vita!”
“Chiediamo a mio padre di aiutarci, sicuramente farà da mediatore e risolverà le cose prima che...” Lo sguardo gelido e stravolto sul viso di Gullveig mi fece morire le parole sulla lingua.
Deglutii e la guardai senza vederla davvero, cosa dovevo fare? Crederle, e aiutarla davvero in quella follia? Sapevo bene che un portale aperto verso il popolo dei Vani, senza che Asgard ne venisse a conoscenza, era la cosa più pericolosa che si potesse fare in quelle circostanze. Sapevo che se avessi acconsentito alle richieste di Gullveig avrei messo in pericolo la mia famiglia e la mia terra. E li avrei traditi... ancora una volta. Le presi il viso tra le mani e la guardai negli occhi, quegli occhi dentro cui riuscivi a vedere  l’immensità dei nove regni, e le loro stelle che bruciavano. Non avevo mai visto il suo viso angelico talmente straziato dalla rabbia come in quel momento, e mi si gelò il sangue nelle vene.
“Ancora non sei in grado di fidarti di me... ti ho dato il mio cuore in pegno, e tu ancora non ti fidi! Tutto quello che c’è stato tra di noi non significa niente per te... NIENTE!”
“Smettila... non è vero...”
“Niente! Niente. Niente...”
I singhiozzi gli inghiottirono le parole.
Le soffocai la testa nel mio petto, come la prima volta che ero andato da lei, come la sera in cui tutto era iniziato. Sentivo la mia testa gridarmi che stavo sbagliando, che tutto quello era un fottutissimo sbaglio. Ma quanto mi piaceva... ormai ne ero inebriato. Il suo affetto verso di me alimentava il dio delle malefatte ormai da mesi, e mi domandai perché me ne fossi accorto solo adesso. Era come se quella donna fosse diventata per me il pane del caos, così dolce e amaro allo stesso tempo. Una droga per la mia fervida cattiveria. L’avrei protetta, ormai era l’unica cosa che contava, che contava davvero almeno.
“Io mi fido di te, come di nessun altro. Darei la vita per salvare la tua, e questa cosa non cambierà mai. Io sono il tuo umile servitore, dimmi quello che devo fare.”
No... quella non era la mia bocca a parlare. Quella era la bocca e la voce di un re spodestato, di un dio senza più adoratori che chiede supplichevole qualcuno che creda ancora in lui, di un Loki torturato da un sentimento che non poteva essere amore, ma che bruciava prepotente dentro ogni fibra del suo corpo. E faceva male.
“Loki... sapevo che su di te avrei sempre potuto contare. Farai quello che ti dico?”
Non sembrava una domanda, ma io risposi ugualmente, illudendomi così di avere ancora libero arbitrio sulla faccenda.
Affondai il viso tra i suoi capelli e dissi di sì.
Il suo viso si illuminò come l’orizzonte all’alba. Si liberò velocemente dalla mia presa e, avvicinatasi al muro, cominciò a scrivere numerosi segni in aria. Intrecciò molti incantesimi con la facilità di un’abile tessitrice, impose rune forti sugli incroci, e fasce di malie lungo i bordi del triangolo che aveva formato. Io la guardavo estasiato, e con velata soddisfazione e un pizzico di orgoglio riconobbi che alcune delle magie utilizzate gliele avevo insegnate io neppure qualche settimana fa, e già le utilizzava meglio del sottoscritto. La preparazione richiese neanche venti minuti, durante i quali io rimasi ad osservare Gullveig come rapito, riflettendo a lungo se quella fosse davvero la scelta giusta. La risposta era: No... non era la scelta giusta, e neppure quella sbagliata.
 
Era l’unica che potessi fare.
 
Alla fine mi guardò, il respiro leggermente affannato, e sorrise. Io mi avvicinai alla malia, aveva fatto un lavoro perfetto. Una tela di incantesimi intessuta con così tanta perizia e velocità non l’avevo mai vista in vita mia. Non riuscivo a vedere tutte le rune che aveva imposto all’incantesimo, alcune nascondevano altre, per quante ne aveva tracciate e imprigionate nella rete. Toccai, esperto, i fili che mi servivano per completare l’opera. Imposi il mio nome all’incantesimo e le protezioni di Asgard si sciolsero come neve al sole. Gullveig si avvicinò.
“Ora possiamo richiamarli...”
“Ferma!”
Le bloccai d’improvviso la mano che stava per toccare i segni.
Lei mi guardò fuori di sé con una rabbia che celò malamente.
“Perché lo hai fatto?”
“Guarda meglio...”
Le indicai un punto attraverso la fitta rete di incantesimi, attraverso i fili dorati delle malie si intravedeva appena un sottile filo scarlatto.
“Cos’è?”
“E’ il nome di Odino. Credi che abbia dato ai suoi figli il permesso di sciogliere tutte le protezioni del regno? Ci ama molto, ma è pur sempre il custode della saggezza, e di certo non è uno stupido.”
“E allora cosa possiamo fare?!” chiese, allarmata.
Riacquistai un po’ della mia fiducia, e le sorrisi, impertinente.
“Ancora una volta mi sottovaluti, Gullveig... credi che io non abbia scoperto anni fa come sciogliere la proibizione di Odino? Sta’ a guardare...”
Infilai le dita tra gli incantesimi, spostai quelli principali, una runa di Thor mi graffiò appena il palmo della mano destra ma arrivai comunque al filo rosso.
Pronunciai una vecchia formula in celtico e il filo si sgretolò come se fosse stato fatto di terra secca.
Il portale si aprì istantaneamente, come se una forte corrente d’aria avesse spalancato una finestra.
I contorni del paesaggio tremolarono appena, e poi il profilo della città divenne visibile. C’erano grosse torri, case strette e costruite le une addosso alle altre. L’enorme roccaforte in pietra giaceva pesante e vecchia sulla sommità di una collina. Il cielo era oscurato da una distesa di nuvole nere, che scrocchiavano come le ossa di una vecchia.
Mi voltai verso Gullveig e vedere la sua espressione fu come ricevere un pugno nello stomaco. La donna mi guardava con un espressione di commiserazione crudele, come se fossi stato il più stupido tra gli sciocchi, o il più ingenuo tra i bambini.
Ingoiai amaro, e strinsi i pugni.
Sapevo che quella donna non era un angelo, sapevo che aveva secondo fine che prima o poi mi avrebbe rivelato, ma non avrei mai creduto che potesse arrivare a mentirmi in un modo così plateale.
“Era tutta una farsa...” smozzicai, indietreggiando.
Mi sorrise, ma in quella bocca non c’era traccia di amore, né di alcuna forma di affetto, solo ribrezzo.
“Sapevi quello che avrei potuto fare, perché mi hai aiutato ugualmente? Ho ingannato davvero il dio degli inganni?”
“Non avrei mai creduto che tu...”
“E io non avrei mai creduto che potessi essere così sentimentale e stupido. Evidentemente... mi sbagliavo.”
La afferrai per le braccia, e la scossi con violenza, fuori di me.
“Cosa vuoi dire?!”
“Ti ho fatto credere che i Vani mi avessero accusata per convincerti ad aprire il portale! In una zona così interna al castello il mio popolo potrà entrare indisturbato, e allora inizierà una guerra senza pretendenti che vedrà finalmente il glorioso popolo di Asgard cadere!”
La mia espressione era diventata di ghiaccio, mentre sentivo quelle parole, così crudeli nella sua dolce bocca. Il mio corpo tremava.
“Tra tutti gli asgardiani tu sei stato l’unico a diffidare sempre di me, sin dal principio, anche se riuscivo a sentire quanto al contempo fossi attratto dal pericolo che emanavo. Per attuare il mio piano avevo bisogno di un alleato, e quale compagno migliore potevo volere se non il dio delle malefatte, il figlio di Odino? È stato così facile irretirti, e farti cadere nella mia tela d’amore... devi ammettere però che ci siamo divertiti.”
“Vuoi dire che è stato sempre tutta una recita, la tua?” la voce mi mancava, mentre una rabbia placida e venefica mi scorreva dentro la testa.
“No, Loki. Io ti ho amato davvero, e ti amo ancora...”
A quelle parole la allontanai bruscamente, con le mani che mi prudevano, e gridai:
“E il modo migliore per dimostrarmelo era tradirmi?!”
L’espressione stupita di Gullveig si tramutò in rabbia:
“Come osi tu... tu, dio da quattro soldi, accusarmi così ingiustamente?! Io non ho fatto nulla che tu non avessi fatto per primo!”
Riacquistò la calma, e mi sorrise acida.
“Loki, metti sempre al primo posto la tua famiglia! Io non valgo nulla per te! Me ne sono accorta qualche giorno fa... dici di odiare tutti, il tuo stupido fratello, il tuo ottuso padre, e quegli zoticoni di Asgard, ma in realtà hanno per te un’importanza vitale. Non ti accorgi del male che ti hanno fatto?! Non ti hanno ferito e usato già troppe volte?! Loro non ti hanno mai amato come lo faccio io!”
“Ti sbagli. Asgard non vale niente per me.”
“Allora unisciti a me e torna a casa, dai Vani. Asgard sarà rasa al suolo, e noi potremo stare insieme, quando tutta questa storia sarà finita.”
Non dissi nulla perché mi mancò il fiato. Cominciai a riflettere, e quella prospettiva iniziò ad essere allettante. Andare con Gullveig avrebbe significato essere accettato finalmente per il dio che ero, senza che nessuno più mi mettesse i piedi in testa, senza più dover rivedere Thor, Odino, Frigga, la mia odiata Asgard...
La mia... Asgard?
Davvero non volevo più rivedere le alte torri dorate, il glorioso palazzo reale, le stoffe preziose, e l’eleganza di quei luoghi? Andarmene avrebbe avuto come conseguenza il fatto di non poter più godere dello sguardo amorevole e gentile di Frigga, né di quello severo ma comprensivo e paterno di Odino, e dimenticare per sempre i non richiesti abbracci di quel testone di mio fratello, che troppe volte mi aveva imprigionato tra le sue braccia, senza che potessi opporre resistenza.
Gullveig mi guardò negli occhi e, come se avesse letto i miei pensieri, scoppiò in un nuovo impeto d’ira.
“Lo vedi?! Tu mi tradisci tutte le volte! Asgard è una donna che non posso avvelenare con pozioni, o uccidere con un pugnale affilato. Ma stai pur certo di questo, Loki, se non puoi essere mio, non sarai di nessun altra! Neppure della tua detestabile famiglia!!!”
Lessi nei suoi occhi l’ombra velata di un piano diabolico.
“Cosa hai fatto?! Rispondimi!”
I suoi occhi brillarono di cattiveria.
“Ho solo inviato un regalino ai tuoi familiari... forse l’ultimo che riceveranno mai!”
Detto questo dalla sua gola uscì una risata crudele. Non le lasciai aggiungere altro e mi scaraventai fuori da quella stanza, correndo a per di fiato. Dovevo raggiungere le stanze reali prima che potesse succedere l’irreparabile. Non sapevo a cosa stavo andando incontro, ma qualsiasi cosa fosse stata, conoscendo Gullveig, prevedeva una abbondante dose di dolore. Il mio pensiero volò soltanto un attimo alla stanza di Thor, ma decisi di non fermarmi, non avevo tempo. Mio fratello se la sarebbe cavata, o almeno speravo. Corsi attraverso i corridoi, mentre il tradimento di Gullveig mi bruciava nel petto come se vi fosse conficcata una spada. Dopo aver risolto quel problema sarei tornato da lei, non potevo farne più a meno, e l’avrei convinta a desistere dai suoi piani. L’avrei convinta a restare ad Asgard insieme a me, ad accettare la protezione di Odino, e se una guerra ci doveva essere, l’avremo combattuta insieme. Gli avrei dato il mio cuore in pegno, e se anche questo non avrebbe funzionato... davvero non so cosa avrei fatto.
Risalii le scale che arrivavano alle stanze reali, a quell’ora del giorno Frigga e Odino si coricavano per un riposo pomeridiano, e sarebbero stati tremendamente  volubili. Arrivai d’avanti alla porta e vidi le guardie fuori, stramazzate per terra.
“Oh, no...”
Spalancai le porte appena in tempo per vedere un enorme serpente scagliarsi sulla gola di Odino. Il rumore del mio arrivo fece svegliare mio padre, ma io fui veloce e chirurgico. Imposi il braccio sul serpente che si bloccò subito, pietrificandosi e restando con le zanne spalancate. Dopo un attimo l’enorme rettile si dissolse in un pugno di polvere. Anche Frigga si era svegliata, e il suo sguardo smarrito andava da me a Odino, e viceversa. Avevo il fiato corto, e il sollievo per essere arrivato appena in tempo mi fece cedere le gambe.
La potente voce di mio padre mi richiamò però alla realtà.
“Loki? Cosa significa questa storia?!”
Avevo letto una velata nota di accusa in quella domanda, e mi affrettai a scagionarmi.
“Non centro niente con tutto questo, padre... è stata...” ma le parole mi morirono in gola.
“Ebbene?!”
Strinsi i pugni e abbassai lo sguardo.
“È stato tutto... un mio stupido scherzo. Mi è sfuggito di mano, mi dispiace.”
E la colpa ricadeva ancora una volta sul dio delle malefatte, troppe volte usato come capro espiatorio anche per cose in cui non centrava niente. Questo sembrava essere il mio destino.
Sentii un rumore provenire dalle stanze di Thor, e me ne ricordai all’improvviso.
Il petto di Odino si era già gonfiato per rifilarmi una delle sue ramanzine, ma non gli lasciai neppure pronunciare una sillaba che già ero fuggito nei corridoi.
Il rumore in camera di mio fratello continuava, come se qualcosa andasse in pezzi, o ci fosse una piccola battaglia.
Ad ogni passo sentivo i rumori diventare più forti.
Arrivai alle sue stanze e aprii le porte.
Thor era in piedi, sopra la cassettiera della sua stanza, e cercava disperatamente di arrampicarsi sopra l’armadio senza riuscirci. Il pavimento era ricoperto di serpenti che cercavano di avventarsi su di lui. Ma l’incantesimo che avevo imposto su mio fratello lo proteggeva. Mjölnir sembrava aver preso vita e si dimenava come un matto per aria, dando colpi sugli animali, e distruggendo il pavimento.
“Loki! Dammi una mano! Ci sono s-serpenti... ovunque!” gridò Thor, appena mi vide all’ingresso, terrorizzato. Mi sfuggì un sorrisetto, e sghignazzai.
“Non è affatto divertente, Loki!”
“Dimentico sempre la tua fobia per i serpenti e, in generale, per tutte le bestioline viscide e squamose.”
La situazione, nonostante le urla e gli sguardi pieni di orrore di mio fratello, sembrava sotto controllo, e non avevo alcuna intenzione di metterci le mani.
Sorridevo placido di fronte agli attacchi isterici di Thor, e sentivo la testa leggera, come se davvero non ci fosse una strega pazza e gelosa in giro per il castello, come se mio padre non stesse per arrivare e impormi una delle sue, sempre ben studiate, punizioni, come se tutto questo non fosse mai accaduto.
Mi sentivo come se fossimo tornati giovani, i fratelli di una volta, senza gelosie, o inganni; quando ancora eravamo allo stesso piano, e io non vivevo all’ombra di un fratello cresciuto più in fretta di me. Scagliai via con rabbia quel pensiero, e mi risuonarono in mente quelle parole: “...non avrei mai creduto che tu fossi così sentimentale!”
“Non lo sono...” smozzicai con rabbia.
Stavo per porre fine a quella farsa dei serpenti quando sentii un rumore secco e rimbombante, provenire da fuori le mura di Asgard.
Le vibrazioni si propagarono attraverso il castello, facendo tremare il palazzo.
Quel risuonare sordo mi ricordò il rumore che facevano i fulmini scagliati da Thor nelle sue “giornate no”. Un brutto presentimento mi attraversò le ossa. Stava per accadere qualcosa di tremendo, e lo stuolo di guardie, che sbucarono fuori dal nulla e in un attimo mi circondarono, sembrò confermare le mie sensazioni.
Le guardie mi puntarono le loro lance contro, e io mi feci scuro in volto. Non avevo mai avuto il giusto trattamento che un figlio di Odino meritasse, nei miei confronti tutti si comportavano come se avessero di fronte un figlio bastardo, e la cosa mi faceva andare sempre il sangue alla testa.
“A cosa devo questo gentile trattamento?” chiesi, con fare affabile e velenoso.
“Loki, figlio di Odino, hai il diritto di rimanere in silenzio, e di non provare ad attuare nessun maleficio o inganno.”
Li guardai negli occhi, sfrontato.
“Malefici? Per liberarmi di voi non ho bisogno di usare la magia, mi sarebbe sufficiente una parola.”
“Ed è proprio quella che ti viene negata... ci è stato dato l’ordine di scortarti nelle prigioni della torre.” Sentenziò un soldato.
Mi passò un brivido lungo la schiena. La torre era stata costruita da nostro padre per i condannati a morte, e per i traditori; era inoltre progettata per ospitare prigionieri dotati di intense abilità magiche.
“Cosa significa tutto questo...? Pretendo delle spiegazioni, come osate?!”
Mi furono addosso, e senza tanti mezzi termini mi fecero indossare delle manette speciali, per bloccare la mia magia, e una museruola con una specie di morso che mi infilarono in bocca.
“Questi sono le disposizioni date da Odino in persona, non opporti e accetta la volontà di tuo padre, Loki...” mi spiegarono, tra uno spintone e l’altro.
La rabbia mi montò ceca, ma prima che potessi fare qualcosa di veramente avventato mio fratello mi fermò. Thor si era finalmente liberato dei serpenti e, avendo assistito alla scena, si precipitò sulle guardie.
“Perché gli state facendo questo? Qual è l’accusa?!”
Thor mi aveva preso per un braccio, e mi strattonava verso di lui, ma prima che le guardie potessero tranquillizzarlo ci fu un altro tonfo in lontananza, seguito da urla e il rumoreggiare di una folla che si riversava per le strade.
“Cosa succede?!” espresse a parole il mio pensiero, Thor.
Guardammo tutti in fondo al corridoio, e vedemmo Frigga correre nella nostra direzione. Era affannata, e lo sguardo gentile era velato da una preoccupazione materna.
Appena la regina si impose di fronte alle guardie quelle la fecero passare. Mi si avvicinò e mi toccò una guancia, con fare amorevole.
“Sei innocente, non è vero, figlio mio?”
Non sapevo esattamente per cosa fossi stato accusato, ma il fatto che mia madre dubitasse della mia buona fede mi raggelò il sangue. Il mio sguardo si fece duro e crudele. Come poteva tradirmi anche lei in questo modo?!
“Non fare così, figlio mio... non congelare il tuo cuore. Non con me, ti prego.”
Mi abbracciò e mi strinse a sé, ma io non le dimostrai lo stesso affetto.
“Madre, spiegaci cosa sta succedendo! Perché Loki è stato incatenato?!” chiese Thor, per l’ennesima volta.
“L’ambasciatrice... ci ha tradito tutti. Sta aprendo un varco sul lato orientale di Asgard che conduce al regno dei Vani. Non siamo pronti per una guerra, non ora. Thor devi aiutare tuo padre! Sta andando dall’ambasciatrice per fermarla, ma ho paura...”
“E noi che ci siamo fidati di lei... ma cosa centra Loki, con tutta questa storia?”
Frigga guardò Thor con aria supplichevole, come se non la obbligasse a dire quelle parole.
“Un varco attraverso i mondi è una magia che persino una strega potente come l’ambasciatrice non può fare da sola. E poi... e poi c’è l’imposizione del nome di Loki su quel varco.”
Thor e Frigga guardarono contemporaneamente verso di me, io mi sentii accusato da quegli occhi indagatori, ma sostenni il loro sguardo.
L’espressione di Thor era indecifrabile.
“Mjölnir!”
Chiamò, e il suo fedele martello gli arrivò tra le mani.
“Vado ad aiutare mio padre.”
Non disse altro e se ne andò veloce, e lontano dal mio sguardo.
Frigga rimase ancora un attimo e poi sussurrò, senza guardarmi:
“Mi dispiace...”
Mi volse le spalle e andò via.
 
Trascorsero 15 giorni. 15 giorni durante i quali dimostrai una tenacia ammirevole. Le guardie cercarono di farmi parlare, ma io rimasi silenzioso come una pietra. Aprii la bocca solo per chiedere di Gullveig. Non mi importava d’altro, ma nessuno sembrava interessato ad informarmi.
Alla fine cominciai a reagire con violenza. Anche attraverso tutte le restrizioni magiche riuscivo comunque a far trapelare un filo sottile di malia, impossibile da contenere. Grazie a quella architettavo inganni studiati contro i miei aguzzini che infine, stanchi di uscire dalla mia cella feriti e contusi, decisero che fosse più prudente lasciarmi nella mia prigione in isolamento, in cima alla torre.
Trascorsero quindi 15 giorni prima che venissi a sapere quello che era effettivamente successo. Sentii un rumore dietro la porta della mia prigione, e capii subito chi fosse.
“Thor, perché ci hai messo così tanto?” chiesi, scorbutico.
Già ero stupito dal fatto che non si fosse presentato al mio cospetto prima di allora, ma quando vidi che non voleva neppure entrare dentro la mia cella e guardarmi negli occhi, mi innervosii. Avrei scommesso la vita che mio fratello avrebbe convinto la guardia che mi sorvegliava ad entrare, ma non ci provò neanche, e decise, contro ogni previsione, di restare lontano da me.
Un comportamento del genere da parte di Thor, che cercava sempre di fare il fratello gentile e protettivo, significava che la situazione era più brutta del previsto.
Lo sentii sospirare, e cercare le parole più giuste da usare.
“Dimmi solo come sono andate le cose. Il tuo cervello sottosviluppato non è in grado di fare complicati giri di parole.” Lo rimproverai.
“A quanto sento ti hanno tolto la museruola, Loki. Meglio così... altrimenti ci avresti tenuto il muso per chissà quanto tempo...”
Mi scaraventai sulla porta della cella, furioso.
“Thor! Non sono in vena di battute di spirito. Dimmi-cosa-è-successo!” scandii, sputando le parole tra i denti, come il peggiore dei veleni.
Thor sospirò di nuovo.
“L’ambasciatrice è stata fermata. Nostro padre sta bene, e il portale è stato richiuso. Tuttavia, dopo il comportamento dimostrato, non credo che si potrà più sperare in una pace lunga e duratura. Odino sta ancora riflettendo sul da farsi, ma è molto probabile che uno scontro sia inevitabile. Dichiareremo guerra ai Vani. Certo, sarà una battaglia lunga e difficile, ma sembra non esserci altra strada praticabile...”
Mi salii la rabbia alla gola, in quel momento le vicende diplomatiche di Asgard era l’ultima delle mie preoccupazioni. Mi controllai, e dissi:
“Thor, sai perfettamente che non ho il più pallido interesse di queste cose, ora. Adesso voglio sapere di lei! E questo perché nessuno ha avuto la fantastica idea di dirmelo prima, nemmeno tu...”
“Stai parlando dell’ambasciatrice... perché vuoi saperlo...?”
Il tono di mio fratello era diventato severo e ammonitore.
“Perché non dovrei?” lo provocai.
“La tua posizione è già molto compromessa. Non dovresti chiedermi di queste cose! Dimenticala, Loki! Per te non esiste più...”
La durezza nel tono di voce di Thor mi colpì come un macigno. Mio fratello non mi avrebbe mai negato una richiesta del genere, specie se si trattava della donna che amavo. Ormai sapevo per esperienza che qualsiasi cosa facesse Thor, nei miei confronti, era per una cosa ed una soltanto: proteggermi.
“Dimenticarla?! Come potrei?! Lei riesce a capirmi e a comprendermi! È l’unica che mi abbia mai amato incondizionatamente e abbia accettato senza rimorsi il dio delle malefatte! L’unica!”
Erano strane quelle parole nella mia bocca, e mi sembrò quasi che un’altra voce parlasse al posto mio.
“L’unica...?” mormorò Thor, come se gli mancasse il fiato.
“Ammetto di non averti mai compreso del tutto, Loki. Sei un enigma, un rompicapo troppo complicato. Ma come lo sei per me, allo stesso modo non credo che Gullveig sia mai riuscita a comprenderti veramente, forse ti sei solo illuso che lo avesse fatto davvero. La tua bellezza sta proprio nel non essere come gli altri, Loki, nella tua capacità di pensare e agire diversamente... anche fuori dalle regole a volte. Non ripudiare te stesso, non devi mai farlo. Io ti accetto per quello che sei... Su una cosa sola però voglio darti ragione: io non ho mai amato il dio delle malefatte.”
Fece una pausa durante la quale io trattenni il fiato, e Thor inspirò profondamente.
Lo sentii appoggiare la fronte alla porta della cella.
“Io amo Loki. Mio fratello. Quel dio un po’ dispettoso che però alla fine ci vuole bene, anche se è troppo orgoglioso per ammetterlo. Ti voglio bene, e non soltanto io, ma molte altre persone. Lei, quella donna, ama solo il tuo essere figlio del Caos... non farti ingannare, Loki... non dare il tuo cuore ad un essere così  spregevole...”
Ascoltavo in silenzio, non sapendo esattamente cosa dire.
“Fratello... ascoltami...”
Lo stavo facendo.
Stavo quasi per cadere in quel discorsetto così ben costruito, amorevole, e fraterno. Ci stavo per cascare davvero, e se ora ci ripenso, mi viene la nausea.
Ad interrompere le sue amabili parole fu un coro di voci che proveniva dalla grande piazza che si apriva sotto la torre. La prigione che abitavo era stata costruita con una grande finestra, protetta da spesse e resistenti sbarre con anima di diamante, che permetteva al condannato di avere una ampia, e quasi romantica, vista su Asgard. Mi avvicinai alla finestra, appoggiai il viso alle sbarre e guardai giù: sulla piazza si stava radunando una folla enorme, una marea di teste ondeggiavano sotto i miei occhi; una fila di guardie teneva lontano la gente dal centro della piazza dove sembrava si stesse preparando qualcosa. Dopo un attimo riuscii a capire cosa stessero facendo.
Annaspai, corsi alla porta della mia cella e bussai con tutte le mie forze.
“Thor! Maledizione, perché stanno preparando una pira?! Per chi è?!”
Ero fuori di me, e le parole che pronunciava la mia bocca mi arrivavano alle orecchie solo in un secondo momento, come da un eco lontana.
“Loki... ti prego, non farmelo dire. Sai esattamente per chi è...”
Nel suo tono lessi dispiacere e un senso strano di lutto prematuro.
“No, che non lo so! Mi avete rinchiuso in questa fogna per più di due settimane senza uno straccio di notizia! Come pensi mi sia sentito, eh?! Altro che fratello amato e prediletto! Io sono il bastardo della famiglia per voi! Ma ora basta... dimmi per chi è quella pira!” gridai fuori di me, e ora compresi perché Thor aveva preferito restare fuori dalla mia cella.
“Gullveig. È stata processata e condannata a morte. L’esecuzione è per le 21:00 di questa sera...” Thor continuò a parlare, ma io non l’ascoltavo più.
“Che ore sono, adesso...?” riuscii, infine, ad articolare.
“Sono le 20:45...” sentenziò.
Appena lo disse iniziarono a torturarmi il cervello immagini simili ad allucinazioni o premonizioni. Vidi il discorso di Odino, la condannata che veniva portata sul rogo, la gente che urlava insulti crudeli, e il fuoco che infine divampava. Le gentili carni di lei sarebbero state avvolte dalle fiamme come un vestito scarlatto, ma ben presto avrebbero cominciato a bruciare e a mangiarla viva, e allora la sua espressione serena e sfacciata sarebbe stata offesa dal dolore, e le lacrime non sarebbero servite né per lenire quella tortura, né per commuovere la Morte in cammino.
Mi portai le braccia dietro la schiena, e iniziai a percorrere la prigione a grandi falcate, sue giù, dando rapide e ansiose occhiate alla piazza e ai preparativi.
“Stai scherzando spero... è solo un orribile scherzo, Thor, dimmelo. Dimmi che non è vero....” ingoiai a vuoto perché sentivo la gola secca come una polverosa strada senza ombre, sotto un sole cocente.
Ma mio fratello rimase in silenzio, ascoltando i miei vaneggiamenti.
Avevo una gran confusione in testa. Gullveig in quei mesi era entrata nella mia mente, e aveva spostato e ridotto al caos il programmatico ordine dei miei pensieri. Ma si dice che la testa segua il cuore, e viceversa. E quando in quel momento desiderai riacquistare lucidità e ragione, e mantenermi impassibile, almeno agli occhi di mio fratello, ottenni soltanto l’effetto inverso. La calma divenne rabbia, la frustrazione divenne paura, e la ragione e la logica, dolce follia. Presto cominciò a mancarmi il fiato, e la testa a girarmi pericolosamente. Mi appoggiai alla parete e mi lasciai scivolare a terra, prendendomi la testa tra le mani.
“Thor... Thor...” lo chiamai, supplichevole.
Avevo bisogno di un sostegno morale, qualcosa di tangibile che mi tenesse in contatto con la realtà, altrimenti sarei impazzito.
Mio fratello, di fronte alla mia invocazione accorata, non riuscii più a trattenersi ed entrò, spalancando la porta. Lo guardai disperato, senza ben capire quello che stava succedendo. Thor mi crollò addosso come una montagna e mi imprigionò nel suo abbraccio, sempre così grande, dentro cui stavo caldo e comodo come dentro ad un nido.
“Ora ti porto via. Non devi vedere una cosa del genere. Non lo permetterò. Ti proteggerò io, Loki...”
Proteggere?!
Lo allontanai con rabbia, e ripresi per un attimo consapevolezza e lucidità.
Mi avvicinai alla grata, e guardai giù ancora una volta.
La folla radunata era cresciuta ancora, sembrava che si fosse presentata tutta Asgard per vedere quello spettacolo osceno. Il sole all’orizzonte creava lame di luce sul terreno. Mai, come in quel momento, i profili dorati della città erano sembrati ai miei occhi più crudeli. Odino aveva già cominciato il suo discorso di apertura, seduto su uno scranno d’oro e riccamente decorato. Sembrava essere invecchiato di 100 anni, la sua espressione dura, severa e irremovibile.
Provai a urlare a mio padre di desistere da quella follia, lo avrei supplicato, e avrei gridato fino allo sfinimento se solo fosse servito. Thor però me lo impedì, mi coprì la bocca con una mano e mi ricacciò l’urlo in gola. Mi sollevò di peso e mi portò lontano dalla finestra. Io mi divincolavo, anche se inutilmente, perché quelle mani mi tenevano con forza.
“Loki, smettila!”
Ma io mi dibattevo in ogni modo, e cercavo di sfuggire da quelle braccia, fin troppo forti per me. Volevo gridare e urlare, mai mi ero sentito la bocca scottare come quel giorno, perché ero convinto che se solo mi avessero fatto parlare, l’avrei salvata. Se solo mi avessero ascoltato...
Morsi la mano di Thor, che si ostinava a tapparmi la bocca, e quasi mi liberai. Ma prima che riuscissi a tornare alla finestra mio fratello mi sorprese.
Mi riportò contro di lui con uno strattone, sbattei la testa contro l’armatura del petto e per un attimo rimasi stordito. Mi passò una mano sulla vita e chiuse ogni spazio tra i nostri corpi. Poi mi prese il viso e l’avvicinò al suo. Premette con forza le sue labbra sulle mie e in questo modo riuscì finalmente a farmi tacere. Il profumo di sole che emanava la sua pelle mi entrò dentro i polmoni come un balsamo, e mi tranquillizzò come se ascoltassi la cadenza delle onde del mare. Thor, non appena vide che mi ero calmato e non cercavo più di prenderlo a pugni, allentò la presa e addolcì quel bacio, che all’inizio era sembrato quasi una violenta imposizione. Mi guardò per un attimo negli occhi e poi li chiuse, respirando a fondo il mio odore.
Io rimasi a guardarlo, stupito e piacevolmente sorpreso, come restavo sempre di fronte a quelle manifestazioni di affetto non richieste, ma sempre così dolci. Quel morbido bacio non era niente di malizioso o osceno, nulla di licenzioso o recriminabile. Le sue labbra giacevano sulle mie come se fosse stata la cosa più naturale del mondo, come se fossimo sempre stati così. Quello era un semplice bacio fraterno, come se ne ricevono tanti sulla guancia quando si è piccoli. Era qualcosa di puro e semplice che mi calmò, almeno per un attimo.
Restammo ancora un momento così, senza volere nulla di diverso se non il silenzio. Poi si allontanò da me e mi chiese:
“Ora va meglio?”
Mi accarezzò una guancia, e mi accorsi che stavo piangendo senza che nemmeno me ne fossi accorto.
Quel bacio mi aveva tranquillizzato, questo era vero, ma non aveva spento il fuoco che sentivo bruciare dentro al petto. Non aveva sostituito Lei.
“Thor, mi devi lasciar guardare. Non posso permettere che... che Gullveig se ne vada senza che io provi almeno a fare qualcosa.”
“Ma cosa puoi fare?! Non puoi uscire da questa torre, e quell’orrendo spettacolo ti procurerà solo dolore.”
“Prometti che non mi impedirai di guardare... Thor, promettilo!” le parole mi uscirono dalla gola strozzate, ma dure e piene di rabbia.
“Te lo prometto solo se, quando tutta questa storia sarà finita, avrò ancora Loki tutto intero. Lo sai che non sono mai stato bravo a raccogliere i pezzi...”
“Perché non ne hai mai avuto la necessità. Tu pensavi sempre a distruggere, ad aggiustare di solito ci pensavo io...”
Mio fratello sospirò e mi guardò accigliato.
“Spero solo che tu sappia cosa stai facendo, fratello.”
“Mai come in questo momento.”
 
Avevo un piano. Uno dei miei soliti stratagemmi ideati all’ultimo momento. Thor aveva sempre detto che quando la situazione si faceva critica, in battaglia, io ero il loro asso nella manica, perché anche nelle situazioni più disperate riuscivo a farmi venire in mente qualcosa. Thor era considerato “l’eroe di Asgard”, quando in realtà entrambi sapevamo la verità. Lui era la forza bruta, io il cervello. Avevamo sempre avuto pari meriti, ma mai pari riconoscimenti. Tornai alla finestra, deciso a mantenere il controllo, pur sapendo che presto lo avrei perso di nuovo. Appoggiai il viso alle sbarre e guardai giù, Odino era tornato a sedere sul suo trono, accanto a lui c’era Frigga che teneva gli occhi bassi. Tutto il popolo rumoreggiava come un mare in tempesta. Thor si sedette accanto a me, e mi guardava con quell’espressione di taciuta disapprovazione.
La pira era pronta, il sole era quasi tramontato, e le strade erano illuminate da delle torce accese. Un vento stranamente freddo sferzava la torre, e mi congelava la pelle.
Poi d’un tratto tutti i rumori cessarono, la gente smise improvvisamente di parlare, e sulla piazza calò un silenzio innaturale. Tutti si voltarono verso un punto della città, come se si aspettassero che da quella direzione giungesse una calamità venefica e carica di morte.
Trattenni il fiato, e da un vicolo fiocamente illuminato iniziò a sfilare una processione di guardie e gente armata. Il mio sguardo fuggiva da una parte e dall’altra, alla sua disperata ricerca. Ero in astinenza di Lei, dovevo vederla. E quasi che il mio desiderio fosse stato ascoltato da una misteriosa presenza, la vidi. Era in mezzo a quel corteo, circondata da guardie e stuoli di soldati. Era coperta di catene, le mani legate, le braccia immobilizzate. Riconobbi anche dei guanti speciali, che venivano impiegati per coloro che praticavano la magia ad alti livelli. Annaspai quando la vidi e bisbigliai il suo nome.
“Gullveig...”
Quasi che lei avesse potuto sentirmi sollevò immediatamente lo sguardo verso di me, e verso la crudele torre che ci separava.
“Gullveig...” ripetei, senza forze.
La donna mi guardò per un attimo che parve interminabile, e poi mi sorrise.
Avrei cominciato a smontare la torre a mani nude, se solo non avessi avuto lo sguardo indagatore di Thor sulle spalle.
Ma la donna non mi lasciò bere da quel sorriso ancora per molto, e distolse lo sguardo, ripiantandolo per terra. Mi morsi le labbra, e strinsi con forza le sbarre.
La condannata fu portata a fianco della pira, e Odino si rimise in piedi.
“Gullveig, ambasciatrice dei Vani, secondo la giustizia asgardiana, sei stata condannata alla pena di morte. Hai tradito la nostra fiducia, e la nostra ospitalità. Hai da dire qualcosa, prima che si dia inizio alla tua condanna?”
La voce del padre degli dei risuonava forte e poderosa, tanto da arrivare fino alla cima della torre, dentro la mia prigione.
Gullveig mi dava le spalle, ma il silenzio in piazza era tale che riuscii a sentire anche la sua voce, quando rispose.
“Voglio dire solo una cosa. Ascoltate tutti con attenzione...”
Si girò verso di me, e mi mostrò uno dei suoi più sfrontati e crudeli sorrisi.
“È tutta colpa di Loki, se mi trovo in questa situazione. Mi hai sentito?! Dio delle malefatte! È colpa tua se ora morirò, ricordalo per sempre! Che sia la tua maledizione!”
Le sue parole vibrarono attraverso la piazza, e produssero un'eco disumana dentro il mio petto.
“Ora finalmente ho capito cosa non va in te. Capisco perché nessuno ti ama, e perché ti detestano tutti... perché sei uno sbaglio! Sei solo uno sbaglio senza rimedio! Non dovresti mai essere nato, dio delle malefatte! Una cosa senza senso, un aborto di dio!”
Sorrideva mentre diceva queste cose, sorrideva in quel suo modo atroce e dolce allo stesso tempo che sapeva rodermi il cuore.
Voleva ferirmi, gli era sempre piaciuto vedermi star male, era una parte di lei, quell’amore malato. Credeva davvero di potermi piegare dicendo quelle cose?
“Sei l’aborto di un dio!”
Di potermi fare del male? Si sbagliava, le sue parole non mi toccarono neppure.
E questo perché in fondo lo sapevo. Sapevo che tutto quello che aveva detto era vero. Lo avevo sempre pensato anch’io.
Thor mi toccò una spalla, e si avvicinò guardandomi negli occhi, come per costatare che stessi bene.
Io non lo guardai neppure, ma continuavo a perdermi negli occhi della donna, senza sapere se sorridere, o gridare.
Passai un braccio tra le sbarre e lo tesi verso Gullveig, quasi che potessi toccarla.
“Gullveig! Non farlo! Non devi... non puoi abbassarti a morire in questo modo, Gullveig!”
Nessuno comprese le mie parole. Solo noi sapevamo la verità. La strega era molto più forte di quanto non volesse sembrare. Si era lasciata catturare di proposito, era evidente. Si era lasciata incatenare, imprigionare e ora si sarebbe lasciata morire. Tutto per colpa mia...
“Gullveig! Non farlo! Ti prego... Non farlo!”
“Cosa stai dicendo, Loki?! Mi stai forse supplicando? Non dicevi che quando il dio delle malefatte avrebbe implorato il suo cuore sarebbe stato mio?”
“Ti do il mio cuore, ti do tutto... ma smettila con questa follia! Ti supplico! Non farlo! Salvati e vattene da qui!”
“Mi dispiace Loki... le cose non sarebbero dovute andare così tra di noi. È stata tutta colpa tua, e non voglio aggiungere altro.”
Il suo sguardo era duro e accusatore. Sapevo di essere lo sbaglio, ma perché avrebbe dovuto pagare lei?!
“Gullveig...” continuavo a chiamarla, come se in questo modo le cose potessero cambiare. Che con la voce riuscissi a convincerla della veridicità dei miei sentimenti. Ma era come parlare a qualcuno che si trovasse dietro ad un muro. La donna abbassò lo sguardo, Odino mi guardò per l’ultima volta, e poi fece un cenno alle guardie.
Gullveig fu sollevata di peso e portata in cima alla pira.
La legarono al bastone portante con altre catene.
La voce mi mancava e sentivo tutto galleggiare in una realtà colma di finzione. Come se quella fosse tutta una recita. Fra poco l’avrebbero slegata, tutta la gente se ne sarebbe andata a casa, e mio fratello mi avrebbe detto che era solo uno scherzo. Un fottutissimo scherzo. Thor si era avvicinato e mi avvolgeva con le braccia, immergendo la testa nella mia schiena, ma era come se non lo sentissi.
La gente intanto aveva ricominciato ad urlare. Gridava insulti e inveiva contro la condannata. Sembravano pieni di una rabbia furiosa, animale, e Odino li lasciava fare, quasi che Gullveig meritasse tutto questo. Guardavo la scena, ma mi sentivo come svuotato, come se non provassi più nulla.
Quando poi una guardia diede fuoco alla pira, fu come se qualcuno mi avesse colpito con forza in pieno viso. Tornai bruscamente alla realtà e una scossa elettrica mi percorse la spina dorsale.
“NO!” gridai dalla mia prigione, tendendo il braccio verso la pira che avvampava velocemente. La mia voce superò il fragore della folla, e per un attimo tutti si voltarono verso di me.
“Loki, calmati...” mi sussurrò Thor, ma lo ignorai e cercai di divincolarmi dalla sua presa che cominciava a togliermi il respiro e a soffocarmi.
“BASTA! LASCIATELA ANDARE!”
Era una richiesta stupida. Davvero speravo che la liberassero? No, non lo speravo, lo pretendevo. Gullveig sollevò appena il viso per guardarmi, con quella luce negli occhi. Mi stavo rendendo ridicolo, era questo che mi stava dicendo, ma come poteva pensare ad una cosa del genere in quel momento?
Le fiamme arrivarono fino ai suoi piedi e avvamparono bruscamente.
Gullveig sollevò il viso, come se volesse allontanarlo dal calore, e vi lessi una nota di sofferenza. Il fuoco l’avvolse in un attimo e la folla gridò in un urlo bestiale di gioia.
Persi la testa.
Tesi il braccio ancora attraverso le sbarre, il più che potevo, stirandomi i muscoli e le ossa.
Sentii la magia percorrermi i nervi e arrivare sulla punta delle dita.
“Non finché... avrò vita...” mormorai.
La prigione in cui mi avevano rinchiuso era fatta in modo tale da bloccare la mia magia alla radice, ma se ascoltavo attentamente la sentivo ribollire proprio dietro lo sterno.
Mi concentrai, e chiusi gli occhi. Non dovevo lasciarmi prendere dal panico, altrimenti non ci sarebbe stato più nulla da fare.
Sentivo il fuoco sfrigolare e mi imposi di non ascoltare. Attraverso quella prigione di malie, che si incatenavano alla mia anima e tintinnavano come spade sospese, doveva esserci una via di fuga. Magari un nodo legato meno stretto degli altri, una malia storta, una runa non perfettamente equilibrata... doveva esserci!
Cercai disperatamente, tra gli incantesimi, e le malie che ricoprivano le pareti della prigione. Poi finalmente la trovai!
Era un piccolo varco, una crepa, attraverso cui avrei potuto liberare la mia magia, anche se con enorme sforzo. Forse il tentativo mi avrebbe ucciso, ma dovevo provare.
Sforzai la mia magia attraverso quello spiraglio, le dita sfrigolarono. Riaprii gli occhi, chiusi il pugno e lo riaprii all’istante. Una folata di vento improvviso si abbatté sulla piazza, spazzandola come il picco inospitale di una montagna. Le fiamme avvamparono per un attimo, tremolarono pericolosamente e poi si spensero. I muscoli mi facevano male per lo sforzo, ma ce l’avevo fatta. L’avevo salvata. Guardai boccheggiante Gullveig, pregando che fosse ancora viva. La donna sollevò il viso verso di me, stupita. Era indenne, e la cosa alleviò il dolore che sentivo ai muscoli di tutto il corpo. La folla era basita, ci fu un attimo di silenzio prima che il fragore di tutte quelle voci riesplose di nuovo, più scandalizzate che mai.
La confusione e la paura si avvilupparono nelle loro menti come una piovra spietata. Nessuno si era accorto di quello che ero riuscito a fare, tranne Thor che mi guardò con un’espressione stupita e accigliata.
“Loki, sei stato tu?”
“Mi sottovaluti sempre, fratello...” dissi, mentre mi sfuggiva un sorrisetto.
Sentivo il sollievo colarmi dentro il petto come un dolce liquore.
“Quindi sarebbe questo il tuo grande piano? Spegnere il fuoco ad oltranza fino a quando si stancheranno di riaccenderlo e decideranno di giustiziarla in un altro modo?” il tono di Thor era sarcastico ma velato da una nota di preoccupazione.
“Certo che no, idiota. In queste situazioni si vede proprio quanto tempo tu abbia dedicato allo studio delle nostre tradizioni. Tra le leggi della giustizia di Asgard c’è una voce che recita così: Se il fuoco di una pira, dove era stata stabilita la giusta fine di un condannato a morte, dovesse spegnersi per ben tre volte, il giustiziato deve essere liberato. È una tradizione vecchia secoli, neppure Odino potrà fare nulla per opporsi.” Sghignazzai, come se tutto ormai si fosse risolto. Ma perché rivelavo quelle cose a mio fratello? Ero così sicuro che non mi avrebbe mai tradito? La ceca devozione di mio fratello mi ricordava la stupida fedeltà dei cani ai loro padroni. Non lo comprendevo, ma dovevo ammettere che spesso era utile. Thor mi teneva ancora stretto tra le sue braccia, lo notai con disgusto e glielo dissi:
“E ora puoi anche lasciarmi andare. Sai che non apprezzo queste infantili manifestazioni di affetto. Ti fanno sembrare solo più stupido...”
Thor si allontanò ma non sembrò ascoltare quello che dicevo. Si accigliò e mi guardò attentamente. Mi passò una mano sulla fronte, e nei suoi occhi lessi una nota di preoccupazione.
“Loki, sei di ghiaccio. E stai anche tremando... che succede? È stato per lo sforzo di prima, per la magia che hai utilizzato qui dentro?!”
Mi allontanai da quel tocco, e lo guardai, glaciale.
“Cosa te ne importa?”
“Molto, in effetti, o hai già dimenticato il discorso che abbiamo fatto prima?”
Stavo per ribattergli qualcosa di mordace, ma il rumoreggiare della folla mi richiamò alla realtà. Stavano per riaccendere la pira ed io dovevo concentrarmi. Dovevo essere veloce e chirurgico.
Odino era tornato a sedere, lo sguardo leggermente più cupo. Di certo non aveva apprezzato ciò che era successo. Il popolo mormorava e gridava al maleficio.
Le guardie avevano disposto fascine nuove sulla pira, addossandole anche sulle gambe della mia amata. Presero una torcia e la riaccesero. Il fuoco divampò e illuminò la piazza, sulla quale ormai era calata una notte fredda e nera.
Riallungai il braccio attraverso le sbarre e tesi le dita. Thor si mise a guardarmi, con quel suo cipiglio con il quale mi osservava quando facevo i miei incantesimi.
Ritrovai la stessa crepa e forzai la magia attraverso quello spiraglio. Il mio corpo si lamentò e una fitta mi percorse la schiena. Tremai appena, ma fu sufficiente a Thor per allarmarsi.
“Smettila! Ti farai del male!”
“Zitto, devo concentrarmi, non posso ascoltare i tuoi sproloqui. Tu non sai cosa significhi per me!”
La magia ha un prezzo, lo ha sempre, e io lentamente sentivo che stava iniziando a riscuoterlo. Le restrizioni alle pareti, e le malie furono sollecitate dai miei tentativi. Fu come se qualcuno mi avvolgesse delle cinghie attorno alle braccia e al torace, ed iniziasse a stringere forte. Per un attimo mi mancò il respiro e boccheggiai, appoggiandomi alle sbarre.
“Loki!” Quel testone mi venne subito in soccorso, cercò di toccarmi ma lo allontanai furibondo. Se lo avesse fatto avrei soltanto sentito dolore.
“Lasciami. Fare.” Scandii. Era un ordine, e Thor per una volta si lasciò sopraffare dalla sua condizione di cagnolino. Girai il polso e sentii la magia che cercava di defluirvi, ma era difficile, e faceva male.
Le cinghie strinsero ancora ed io trattenni il respiro.
Ora Gullveig aveva lo sguardo fisso su di me, e mi osservava con espressione indecifrabile; come se non credesse a quello che stavo facendo. Sì, guardami, amore mio... guarda cosa riesco a fare per te!
Le fiamme avvolsero di nuovo il palo portante della pira, iniziandole a sfiorare la carne bianca e pura, mentre gli incantamenti e le malie imposte alle mura della mia prigione iniziarono ad essere visibili. Le pareti ne erano completamente ricoperte. Simboli, pentacoli, rune e formule. Tutti quei segni pulsavano come se fossero stati cuori rivelatori.
La lingua di una fiamma leccò crudelmente il viso di Gullveig, che si bruciò e gemette.
Strattonai il braccio e lo tesi il più possibile attraverso le sbarre. Alla fine la magia riuscì a liberarsi da quei vincoli magici e a defluire.
La folla aveva ricominciato a urlare contro la pira con le loro voci bestiali, e a invocare a gran voce (con quale diritto, poi?) la giustizia.
Imposi la mano sul rogo e cominciò ad alzarsi una leggera brezza gelida. La gente, appena la sentì, si ammutolì all’istante. Cominciò a guardarsi attorno spaesati e a gettare sguardi spaventati verso la pira. Odino si alzò in piedi e fece scorrere il suo sguardo severo sulla folla. Gullveig continuava a guardare verso di me, e lentamente si aprì su quel viso un sorriso simile ad uno spicchio di luna. Con uno sforzo disumano trasformai la brezza in una bufera, che si abbatté crudelmente sulle fiamme e le soffocò per la seconda volta.
La strega guardò la folla imbufalirsi, e la confusione e la paura serpeggiare tra di loro. Gullveig sorrideva e sapevo anche il perché. Li stava deridendo. Stava prendendosi gioco di loro, e delle loro menti primitive che non riuscivano a comprendere come tutto quello potesse accadere. Di certo non avrebbero mai alzato lo sguardo sulla torre, sulla prigione di quel piccolo ed insignificante dio che era bloccato da un milione di incantamenti. Non era forte abbastanza... questo credevano.
Non appena vidi l’ultima fiamma spegnersi ed esalare l’ultimo sbuffo di fumo, crollai contro le sbarre. Strinsi il pugno e costrinsi la magia a mantenere i canali che aveva aperto per arrivare. Avevo il fiato corto, mi mancava l’aria e la testa girava pericolosamente. Thor non si avvide di quanto fossi conciato male, e mi toccò leggermente il costato. Tanto bastò per farmi guaire come un cane.
Mi appallottolai a terra tenendomi il torace tra le braccia, e distogliendo lo sguardo da quello in ansia di mio fratello.
“Loki, fammi vedere.”
Cosa avrei dovuto fare? Impedirglielo? Non ne avevo le forze. Dovevo riposarmi il più possibile prima di richiamare ancora una volta la magia, e sapevo che sarebbe stata la più difficile. I pentacoli ormai erano completamente attivi, e sembravano osservarmi come tanti occhi indagatori e diffidenti. Sembravano delle guardie che si accertavano che il loro prigioniero stesse tranquillo, altrimenti avrebbero usato i bastoni. E forse era quello che era successo poco fa. Thor mi aprì le vesti e mi liberò della pesante armatura che mi fiaccava il respiro.
“Per Odino... Loki, cosa hai fatto...?!”
Il suo sguardo si colmò di orrore quando lo posò su di me.
Cercai di sghignazzare, ma mi uscì solo un suono rachitico.
“Com’è la situazione...?”
Thor ingoiò e si fece scuro in volto.
“Sei pieno di contusioni ed emorragie. Hai il torace livido, e penso che tu abbia anche qualche costola rotta, ma non ci capisco un granché...”
Poi mi guardò furioso, e mi ringhiò contro:
“È proprio necessario fare tutto questo per lei? Ti stai consumando per salvare una traditrice, una strega e un mostro... Se lo merita davvero?!”
“No, Thor, non se lo merita!” gridai, con mio grande sforzo.
Sospirai e ripresi fiato.
“Non se lo merita, ma questo non cambia le cose. Io voglio salvarla, e lo farò a costo della vita, se necessario.”
Il boato della gente arrivò fino in cima alla torre. Una scossa mi percorse il corpo e spalancai gli occhi, annaspando.
“Non ancora...”
Mi trascinai fino alla finestra e con sforzo immane mi tirai su per vedere quello che stava succedendo. Thor mi passò un braccio attorno al suo collo e mi tirò su di peso. Perché il mio corpo doveva essere così fragile, e quello di Thor così forte? Se avessi avuto la sua potenza ora non mi troverei a strisciare come un verme, dolorante e ferito.
Ora sarei in piedi, trionfante, ad osservare il patibolo e ad aspettare la vittoria.
Guardai con orrore quanto le guardie fossero state veloci a risistemare la pira. Uno di loro era già andato a prendere la torcia per accendere il fuoco una terza volta. Odino non sedeva più al suo scranno, e guardava, molto preso dai preparativi, i lavori in corso.
“No...” annaspai.
La guardia prese la torcia e diede fuoco per la terza volta le fascine.
“No!”
Afferrai le sbarre e tesi ancora una volta il braccio fuori dalla mia prigione.
Richiamai la magia che avevo in corpo e fu come suonare un campanello di allarme. Gli operosi incantamenti si misero al lavoro e mi trafissero il petto con la loro magia. Era più o meno la stessa sensazione di sentirsi una lama fredda trapassarmi il cuore.
Barcollai per un attimo, e ingoiai a vuoto.
Strinsi i denti ma non mollai.
Chiamai ancora una volta, e ancora una volta la magia mi trafisse e mi ferì, nell’anima e nel corpo.
Guardai in direzione di Gullveig che mi osservava con una luce piena di stupore negli occhi, e un mezzo sorriso sulle labbra.
Era... orgoglio?
Le fiamme però cominciavano a lambirla, bruciandole l’orlo del vestito nero che indossava.
“Loki, non puoi più fare niente, arrenditi!” mi consigliò quello stupido di mio fratello.
“Il dio... delle malefatte.... non... si arrende... mai...” annaspai, senza fiato.
Chiamai la magia sulla punta delle dita per la terza volta, con forza e con tono d’ordine. Fu come distruggere la diga di un fiume in piena.
Gli incantesimi si abbatterono su di me come macigni. Caddi in ginocchio e mi accorsi che non avevo tempo da perdere. Le formule iniziarono a divorarmi il corpo e la mente come piragna voraci.
Chiusi il pugno e lo spalancai con il palmo rivolto verso il cielo. Una specie di fuoco fatuo si liberò in aria. Danzò morbido per un attimo, mentre tutta la gente sollevava lo sguardo per vedere cosa stesse accadendo. Era una massa informe di energia magica, blu come il ghiaccio, ed era la mia ultima possibilità.
Le fiamme avvolsero Gullveig e lei gridò. Come se gli fosse stato dato un ordine il globo si abbatté sulla pira esplodendo in una bomba di nebbia bianca.
La gente si allontanò spaventata, mentre il centro della piazza rimaneva coperto alla vista. Alcune guardie portarono altre torce per illuminare quello che stava accadendo. Io, dal canto mio, respiravo a malapena, e mi tenevo in piedi e cosciente solo perché ancora non avevo visto Gullveig in salvo. Mi sentivo la pancia bucata come un colabrodo, e sono convinto che se avessi aspettato un attimo di più per lanciare quella magia gli incantesimi avrebbero finito il loro lavoro, ed egregiamente direi. Aspettai con il fiato sospeso. Alla fine il fumo si diradò e una marea di occhi curiosi e sbalorditi si fissarono sulla pira.
Gullveig era intatta, perfettamente indenne, e il fuoco spento.
Gridai dalla felicità. Ce l’avevo fatta! Ero riuscito in qualcosa che andava contro il divino e contro qualsiasi possibilità di vittoria. Mi mossi verso le sbarre e guardai giù. Cercavo di gridare alle guardie di liberarla, di togliere quelle catene maledette e di farla scendere dalla pira. Avrebbero dovuto rispettare le tradizioni di Asgard, lo dovevano fare. Ma naturalmente non avevo fiato in corpo neppure per lamentarmi del dolore, figurati per strillare ed inveire contro una folla urlante. Odino si fece scuro in volto, e si avvicinò a passi lenti alla pira. Gullveig guardava tronfia il padre degli dei, come se fosse lei quella cui doveva essere dimostrato del vero rispetto. Il fuoco era spento, e le fascine fumavano delle fiamme appena soffocate.
“Gullveig, come sei riuscita a spegnere per tre volte la pira?”
La donna gli regalò uno dei suoi più belli e spietati sorrisi.
Fece appena un cenno verso l’altro e poi disse:
“Non l’ho fatto io, Odino. È stato il vostro trickster a volermi viva...”
Nostro padre comprese immediatamente e con gli occhi spalancati guardò verso l’alto della torre. Poi riabbassò lo sguardo e si guardò in giro, come per controllare che nessuno avesse ascoltato le sue parole.
“Bene, sei stata molto fortunata. E ora sarò costretto a mettere in atto la giustizia asgardiana. Sarai liberata, e nessuno potrà farti del male all’interno delle mura del nostro regno....”
“Risparmiami il discorso, nonno. Guarda meglio, non tutti i fuochi si sono spenti...”
Mentre diceva quelle parole sorrise come un diavolo. Odino guardò meglio e notò che tra le fascine bruciava ancora una piccola lingua di fuoco.
La voce di Odino risuonò attraverso la piazza come se fosse stata amplificata da qualche corno magico. Subito stuoli di guardie iniziarono a prendersi cura di quella piccola fiamma di morte, che avrebbe garantito la giusta fine di Gullveig.
Io osservavo la scena impietrito. Ero sicuro che tutte le fiamme si fossero spente, nessuna era rimasta accesa! Il mio sguardo convulso incontrò quello di Gullveig, amorevole e caustico. Poi mi sorrise e bisbigliò qualcosa, che compresi solo leggendole le labbra.
“Sei stato bravo, amore mio, ce l’hai fatta! Mi hai dimostrato di essere forte, molto più forte di quanto credessi... ma ora devo morire. Ora devi lasciarmi andare, smettila di interferire con i miei piani.”
Era stata Gullveig a riaccendere il fuoco! Ora capivo... Era lei infine, che voleva darsi la morte. La voleva più di tutte quelle persone lì riunite, più di Odino stesso.
“Addio, amore mio.”
Mi bisbigliò infine, e poi abbassò lo sguardo.
 
Non ricordo bene cosa accadde in seguito. Ho solo frammenti di ricordi, come di una pellicola cinematografica tagliata in più punti. Ricordo mio fratello che mi abbracciava, e che ripeteva ansante frasi smozzicate.
Ricordo poi le grida di gioia della folla, non appena le fiamme l’avvolsero e lei cominciò a bruciare come lo stoppino bagnato di una lanterna. Ricordo il fuoco rosso come il sangue, e la notte nera che incombeva sopra le nostre teste. Infine ricordo le sue grida. Quelle urla che mi trafiggevano il cranio, e riducevano la mia già instabile lucidità ad un brandello di carcassa. Alla fine Thor mi strappò dalle sbarre, e io mi aggrappai alle sue vesti, come se fossero l’unico appiglio alla realtà con il quale potessi rimanere sano di mente. E anche quando mi prese la testa tra le mani per non farmi sentire, le sue grida mi risuonavano in testa, e mi dilaniavano l’anima.
 
Quella fu una giornata orribile.
Mai avrei pensato di vedere Loki in quello stato.
Mai avrei pensato che una donna potesse ridurlo così.
Un essere ripugnante, degno di stare neppure a 100 passi da mio fratello, gli aveva rubato il cuore sotto il mio naso, e io non me ne ero neppure accorto.
Non avrei dovuto trovarmi lì con lui, in quella cella. Le disposizioni di nostro padre erano state chiare: non mi dovevo avvicinare a Loki per nessun motivo.
Quando gli chiesi il perché mi disse che meritava una punizione, avrebbe giustiziato Gullveig sulla piazza sotto la torre.
“Così potrà vedere quella donna morire, ed imparare dai suoi errori...”
Inorridii a quel pensiero di tanta perversa crudeltà, ma non ribattei nulla. Nostro padre aveva preso una decisione, e quando lo faceva non tornava mai indietro.
Questo però non voleva dire che io l’avrei rispettata.
Entrai nella cella di Loki, e rimasi con lui fino alla fine.
Cercò disperatamente di richiamare la sua magia, ma a quale prezzo?
Sulla pira c’era Gullveig, ma a me sembrava che l’agnello sacrificale fosse Loki.
Quella donna venefica mi ricordava piuttosto un lupo, o ancora, una biscia.
Cercai di fermarlo ma lui mi allontanò, furioso.
Stava sacrificando se stesso per lei, e quasi provai gelosia per quella donna legata alla pira. Mettere se stesso al secondo posto... non è questa forse la più grande dichiarazione d’amore che il dio delle malefatte possa mai fare?
Quando il fuoco avvampò per l’ultima volta, gli occhi di mio fratello divennero vitrei.
Non poteva fare più niente, e quando se ne rese conto lessi l’orrore dipingersi sul suo viso. Cercai di allontanarlo alla finestra ma non ci riuscii, era incredibile la forza con cui si teneva a quelle sbarre, e io temevo che, se avessi tirato più forte, gli avrei potuto rompere i polsi. Lo scossi e gli parlai. Gli dissi di non guardare più. Non doveva farlo, altrimenti avrebbe spento anche quell’ultima fiaccola di lucidità che vedevo morire lentamente dentro i suoi occhi.
Quando le fiamme avvolsero la donna, ed un eco bestiale si propagò tra la folla di sadici spettatori, sentii il corpo di Loki fremere, come se piangesse.
Sollevai lo sguardo su di lui, ma ciò che vidi fu qualcosa di molto peggiore delle lacrime, qualcosa che mi fece gelare il sangue nelle vene.
Un sorriso febbricitante storceva la sua bellissima bocca.
Dalla gola, tra gli spasmi del dolore, iniziava a farsi largo una risata malata, e ricolma di gracchiante follia.
Quasi riuscii a sentire la sua volontà andare in pezzi, e la lucidità e la ragione perdere i contorni e svanire in una nuvola di fumo.
“Loki, va tutto bene. Calmati. Va tutto bene.” Riuscivo soltanto a ripetere, mentre gli prendevo la testa tra le mie mani, tremanti.
Sentii le grida di Gullveig risuonare attraverso la torre, e vibrare in aria come fruste perverse.
Ero terrorizzato dal fatto di perderlo. Come potevo aiutarlo?!
Quelle urla arrivarono fino alle orecchie di Loki, che finalmente lasciò le sbarre della prigione.
Mi si buttò praticamente addosso, contro il mio petto come faceva da bambino, quando cercava protezione.
Loki si aggrappò a me con tutte le sue forze e scoppiò a ridere, affondando le dita tra le mie vesti.
Non riuscivo più a dire una parola. Quella risata mi aveva atterrito e paralizzato. Non riuscivo neppure ad abbracciarlo, e per la prima volta era Loki a cercare un affetto che io non stavo ricambiando.
Mio fratello sprofondò il viso nel mio petto, e le sue risate malate si mischiavano nell’aria con le urla di dolore di quella creatura demoniaca.
Ad un certo punto sentii qualcosa bagnarmi le vesti, e mi accorsi che Loki stava piangendo.
Mio fratello aveva bisogno di me più che mai ora, e io gli stavo negando anche soltanto una carezza amorevole.
Mi maledissi e lo abbracciai. Facendo attenzione a non fargli male, perché sembrava un nervo scoperto. Alla fine decisi di coprirlo con il mantello e di tappargli le orecchie con le mani. I singhiozzi disperati di quella risata si spensero poco alla volta, ma non le lacrime, che continuarono a rigargli il viso senza tregua, attraverso due occhi vacui come quelli di un pesce. Alla fine le urla cessarono, la gente si disperse e un silenzio innaturale ci avvolse. Quando finì tutto io e Loki ci trovavamo stesi a terra, le mie braccia attorno a lui, sempre così gracile, fin da bambino.
Aveva smesso di piangere, ma pensai che fosse solo perché aveva finito le lacrime. Gli sollevai il viso e su di me cadde il suo sguardo. Freddo, vacuo, inanimato... Per un attimo mi spaventai a morte, e gli tastai il polso ma era ancora vivo.
Decisi che Loki aveva pagato abbastanza i suoi errori e, sollevandolo di peso, lo portai fuori da quel posto. Arrivai in camera da letto e stavo per chiamare dei dottori quando il corpo che avevo deposto sul materasso svanì. Rimasi interdetto per un secondo, non riuscendo a capire come avesse fatto ad ingannarmi anche nel suo stato. Forse era semplicemente incosciente, e il solo istinto lo guidava. Sta di fatto che dovevo ritrovare Loki, e alla svelta! Non chiamai le guardie, non c’era tempo, perché oltretutto sapevo benissimo dove era diretto.
Mi affannai con il cuore in gola, e corsi a per di fiato giù per le strade di Asgard, ormai deserte.
La notte quella sera soffiava gelida sui tetti della città.
Arrivai alla piazza e mi immobilizzai.
Intravidi appena una sagoma piccola e scura vicino alla pira della donna.
“LOKI!” gridai, ma non sembrò non sentirmi neppure.
Dopo un attimo lo vidi crollare a terra, sena forze.
Lo raggiunsi in un attimo e vidi che era proprio mio fratello.
Giaceva come un bambino addormentato in mezzo al rogo, la cenere gli aveva sporcato i capelli corvini, e dato un tono livido di morte alla sua pelle candida.
Rabbrividii e lo presi di nuovo in braccio.
Aveva le mani e la bocca tinte di rosso, e la cosa mi ricordò i banchetti reali, dove servivano carne al sangue, e le pallide labbra di Loki si sporcavano sempre in quel modo. Allontanai immediatamente qualsiasi pensiero, non volevo sapere cosa avesse fatto. Ora le uniche cose di cui aveva bisogno mio fratello erano cure e tempo... tempo per dimenticare.


___________note dell'autrice (esaurita)_________________
Sto tremando per pubblicare questo cap... davvero. Onestamente ho paura di essere caduta troppo nel melodrammatico.. o___O vi prego, se sono andata OC.... PERDONATEMI!!!!!!!!! ç___ç
Per quanto riguarda la storia.. si, abbiamo scoperto quasi tutto.. ancora non sappiamo alcuni dettagli.... ma ci stiamo arrivando.. spero solo di non avervi fatto prendere un'infarto con tutte queste novità. cooooooomunque visto che non era l'ultimo capitolo? contenti? XD ripropongo la richiesta del capitolo precedente.. la canzone, ricordate? se magari vi è venuta in mente qualcun'altra.. voi non esitate e scriveteeee!!!! XD bacioni!!!

Jack

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Capitolo 12
*** Il legittimo re di Asgard ***


Il legittimo re di Asgard

Cavalcavamo le nubi come dei veri dei, quasi come nelle più fervide fantasie mitologiche che ci riguardavano, nelle tradizioni midgardiane. Ma il mio cuore non era sgombro come avrebbe dovuto essere quello del nobile dio dei fulmini, e mentre Heimdall ci guidava con la sua vista, e noi solcavamo i cieli alla ricerca della diabolica strega, sfuggita anche alla morte, non potevo fare altro che essere tormentato dai ricordi.
Mi maledivo, ricordando come non avessi compreso la gravità dell’amore di mio fratello per quella donna, quanto fosse pericolosa e contorta la mente di Gullveig e i suoi propositi, e infine, mi vergognavo di aver promesso a Loki qualcosa che ancora una volta non ero riuscito a mantenere: che fosse al sicuro.
Gli ordini di Odino erano stati chiari. Dovevamo trovare la strega degli Vani e portarla ad Asgard per essere giustiziata. Ma come poteva essere sicuro che un essere talmente ingegnoso da riuscire anche a sfuggire alla morte una volta, non potesse farlo di nuovo? Loki non avrebbe mai permesso che Gullveig fosse portata in catene ad Asgard, e giustiziata di nuovo, se avesse saputo che era ancora viva... ma io non glielo avrei permesso. Non gli avrei permesso di sapere nulla. Avevo già visto la distruzione che quella donna aveva provocato nel suo cuore e nella sua mente, e quando tutto ebbe fine con orrore lo guardai negli occhi e della sua anima vidi soltanto una distesa di sterile cenere. Ogni volta che ricordo lo sguardo spento di mio fratello, e le sue mani tremanti, mi sale una rabbia furiosa, e desidero solo vendetta. Il dio dei fulmini dovrebbe avere cuore fermo, sereno, pieno di giustizia, ma verso quella strega provo solo un bestiale desiderio di vendetta.
“Quando avrò Gullveig tra le mani, le farò pagare tutto quello che ha fatto passare a Loki. Tutto quanto...”
 
Dopo la condanna a morte lui... non si riprese molto facilmente.
La prigionia di Loki nella torre terminò il giorno stesso della condanna di Gullveig, e anche se mio padre avesse deciso di continuare con la sua punizione, io non glielo avrei mai permesso. In effetti non arrivò nessun ordine ufficiale dal padre degli dei, ma fui io stesso a portarlo via, e a dargli le cure necessarie.
Dopo una rapida visita dei dottori di Asgard arrivò la prognosi.
Il corpo di Loki era ridotto in uno stato pietoso. Avevano riscontrato contusioni, ustioni ed emorragie interne; gli ritrovarono anche delle costole rotte, e dei muscoli stirati. Come se non bastasse gli incantesimi alle pareti avevano adempito al loro compito più che egregiamente... da quanto mi spiegarono, il tessuto della sua magia, che collegava l’anima al corpo, si era lacerato durante lo sforzo, e non sapevano se Loki sarebbe mai più stato in grado di esercitare la magia.
Io ascoltavo impietrito quello che mi dissero, ma capii che c’era qualcosa di più, che non avevano voluto dirmi.
“È con il figlio di Odino che state parlando! Ditemi tutto quello che devo sapere, non sono dell’umore giusto per la clemenza, specialmente se si parla della vita di mio fratello.”
Di fronte alla mia esortazione non si fecero pregare due volte.
Avevo ragione, c’era qualcos’altro che li preoccupava.
Il corpo, essendo quello di un abile e giovane mago, si stava rigenerando velocemente, ma non erano sicuri che Loki, in seguito a quello che aveva vissuto, sarebbe stato più lo stesso. Il trauma della morte di Gullveig era stato un colpo troppo forte per la già instabile mente di mio fratello.
Quando chiesi che si spiegassero meglio queste furono le loro esatte parole:
“Mio signore, non vogliamo arrecarvi dolore dicendo quello che stiamo per dirvi, ma essendo la vostra volontà, e non potendo fare altrimenti, temo proprio che le nostre parole appesantiranno il vostro nobile cuore. Il principe Loki... è stato cosciente per tutto il tempo che lo abbiamo visitato, non ci ha rivolto una parola, né uno sguardo, anche quando abbiamo dovuto effettuare controlli piuttosto dolorosi. Quello che voglio dire è che... Loki è cosciente, ma è come se non lo fosse.”
Strinsi i pugni e serrai le mascelle.
“Posso vederlo?”
“Certo, mio signore, ma non credo che riuscirebbe a sentirvi, né tantomeno a vedervi.”
Allo mio sguardo inquieto e interrogativo il dottore con cui stavo parlando rispose:
“Mio signore... può vederlo, se questo è il suo desiderio, e so che quello che sto per dire le procurerà molte sofferenze, ma è mio dovere farle comprendere a pieno la situazione. Loki ormai è... solo un guscio vuoto. Del fratello che ricordava non è rimasto più praticamente niente. Il dolore lo ha annullato, cancellato, distrutto. In effetti, è come se il principe fosse morto.”
Non sopportai oltre quelle parole che per me risuonavano come ignobili menzogne.
Scostai l’orda di dottori, che non avevano neppure il coraggio di incrociare il mio sguardo, ed entrai in camera dove riposava mio fratello.
Il suo corpo giaceva su un lettino bianco. Loki era ricoperto da una specie di velo di energia opaco, sostenuto da alcuni macchinari sulla testata del letto che sembravano registrare le funzioni vitali di mio fratello.
Il mio sguardo cupo volava sopra il suo corpo, soffermandosi sulle enormi macchie livide che gli ricoprivano il petto, e il costato bianco. Quando alla fine mi avvicinai abbastanza per vedergli il viso un terrore insensato mi attanagliò il cuore, e mi immobilizzai.
Loki giaceva completamente immobile, la testa abbandonata leggermente di lato, gli occhi aperti. Faceva respiri corti e veloci: stava soffrendo. Mi avvicinai a passi frenetici verso di lui, e lo chiamai, ma non ottenni nessun movimento o risposta.
“Loki... Loki...”
Gli presi il viso tra le mani, sperando solo che questo mio gesto sconsiderato non gli provocasse dolore, ma anche se lo avesse fatto, non lo diede a vedere. Gli girai il volto in modo che potesse vedermi, e quando lo guardai negli occhi la sensazione che provai mi fece morire di paura.
Mi allontanai da lui come se il suo corpo fosse fatto di fuoco, indietreggiando, ma non potendo in alcun modo distogliere lo sguardo da lui. La sensazione che mi aveva attraversato il corpo era, semplicemente, che Loki non c’era più. Lo avevo toccato, guardato negli occhi, e attraverso quelle iridi, smeraldini e bellissimi come sempre, non avevo visto altro che due pozzi profondi e bui, e un vuoto infinitamente spaventoso. Se Loki era ancora lì dentro, dentro quel labirinto di disperazione, doveva essersi perso, e forse neppure io sarei mai riuscito a tirarlo fuori da quell’inferno.
Quel giorno scappai dalla sua stanza, e il potente Thor il giorno dopo non riuscì a trovare il coraggio per tornare a far visita a suo fratello, né quello dopo, né quello dopo ancora...
 
Trascorsero mesi.
Il corpo di Loki si era rigenerato alla perfezione, le ossa erano guarite, e le emorragie erano state riassorbite. La sua pelle era tornata di quel candore perlaceo e rassicurante che aveva sempre avuto. Anche la trama della sua magia era guarita “miracolosamente”, a sentire i dottori, ma lo stesso non si poteva dire della sua mente. Loki restava immerso nel suo inferno personale, senza che un solo dolore trapelasse dalla sua maschera di impassibile sofferenza. Passavo tutti i miei momenti liberi insieme a lui. Mi ero fatto preparare anche un letto, a fianco di quello di mio fratello, perché volevo che sapesse che c’ero. La sensazione di perderlo non mi abbandonò un istante, e la mia impotenza, la consapevolezza di non poterlo aiutare in alcun modo, mi faceva impazzire.
Poi una notte mi svegliai di soprassalto, un sudore freddo mi imperlava il viso, e con sguardo febbrile guardai al giaciglio di mio fratello.
Mi accorsi con orrore che Loki era scomparso.
Quella notte la luna splendeva enorme sulla città di Asgard, occupando un quarto della volta celeste, perciò il palazzo era illuminato quasi a giorno da quella strana luce trasognante.
Sentii qualcosa bisbigliarmi all’orecchio, voci che sussurravano ansiose cose che non riuscivo a comprendere. Corsi attraverso il castello, la mia mente attanagliata dal terrore. Non sapevo in effetti a cosa stessi andando in contro, ma un’orribile sensazione sembrava raggelare l’aria attorno a me. Mi inoltrai nel cuore del palazzo, chiamando mio fratello a gran voce, ma nessuno sembrò essere disturbato dalle mie urla.
Sentivo quei bisbigli dentro la mia testa, ed ebbi la sensazione che mi stessero indicando la strada. Infatti, senza sapere neppure il perché, mi inoltrai nel cuore del castello, dove la luce filtrava con più difficoltà, e la notte riacquistava il proprio regno.
Il buio mi avvolse e i sussurri cessarono. Io mi fermai e ricominciai a chiamare Loki, questa volta senza urlare come un soldato in battaglia.
Lo bisbigliai più volte, sperando solo che qualche strana magia mi portasse da lui, mai avrei pensato di fare affidamento su gli stessi trucchi che utilizzava mio fratello.
Poi qualcosa di strano attirò la mia attenzione, una luce azzurra che si trovava in fondo al corridoio e pulsava esattamente come farebbe un cuore. Mi sembrò di sentire anche della musica, ma fu una sensazione così labile, che mi convinsi che fosse soltanto la mia immaginazione. Seguii la luce che proseguì attraverso altre stanze, fino ad arrivare nel grande ambiente che erano i bagni del palazzo. La fiaccola azzurra era sparita, ma grazie all’enorme volta di cristallo che si apriva sul soffitto la luce che proveniva dall’esterno illuminava ogni cosa. La stanza principale in cui mi trovavo era la più grande e aveva al suo centro una piscina ovale e allungata, decorata di mosaici antichi e preziosi. Le acque calde che uscivano dai rubinetti d’argento, e che si riversavano nella vasca, rilasciavano dense nubi di vapore.
Quando vidi Loki camminare a passi leggeri, immerso nell’acqua fino alla vita sottile, mi pietrificai. I lunghi capelli neri, cresciuti durante i mesi di incoscienza, erano sparpagliati d’avanti al viso, e riuscivano, in un modo che non avrei creduto possibile, ad affilare ancora di più il profilo del suo viso, e ad accentuare la sua bellezza. I lineamenti erano morbidi e crudeli, preziosi come il quelli di un diamante, e la pelle bianca risaltava ancora di più, al chiarore lunare. Le vesti bagnate, color porpora, gli aderivano al corpo in pesanti e teatrali drappeggi, che gli scoprivano il petto e gli aderivano ai muscoli. La cosa che mi colpì, quando lo vidi, non fu che Loki ora si muoveva, e sembrava, almeno apparentemente, cosciente, ma la sensazione che la sua sola vista mi scatenò nel cuore.
Loki sembrava essere ammantato da un’aura di maestosa e imponente regalità. Mi mancò il respiro, la testa aveva forti capogiri, e per un attimo ebbi la sensazione di trovarmi di fronte al legittimo e indiscusso re di Asgard. Un re che però non aveva lo stesso ruolo del padre degli dei, Odino, saggio e forte uomo di sapienza, ma quello di un silenzioso e potente sovrano, che proteggeva in segreto tutto il regno e tutti coloro che lo abitavano. Un re che non aveva mai ricevuto alcun ringraziamento, ma solo ingiurie, per il bene che aveva fatto. Un re silente, nascosto nella notte, bello come una naiade. Un re orgoglioso, diabolico, ma intelligente e con un cuore tanto grande da poter contenere il cielo e gli astri tutti. Un re senza il quale Asgard cadrebbe il giorno stesso della sua dipartita. Mi ritrovai a contemplarlo in silenzio, senza che riuscissi a muovere un muscolo, sommerso dalla gioia di vederlo in piedi, e dal timore referenziale che si riserva ad esseri superiori ed ultraterreni. Quando però attraverso la nebbia intravidi il contorno di un’altra figura, tornai bruscamente alla realtà.
“LOKI!”
La mia voce echeggiò attraverso l’enorme sala, rimbombando a causa della cupola. L’essere gli si avvicinò, e gli accarezzò una guancia bisbigliandogli parole nell’orecchio. Lo sguardo di mio fratello era più cosciente ora, ma sembrava come in uno stato di trans, e io ebbi paura di perderlo di nuovo. Dovevo tirarlo fuori da quel pozzo di incoscienza prima che vi ricadesse. Dovevo salvarlo. Scesi nella vasca e mi avvicinai velocemente a Loki e alla strana figura. Ma come arrivai a pochi passi da mio fratello, quello che avrei giurato essere una persona nascosta dai vapori si dissolse rivelandosi soltanto ombre di nebbia.
Presi per le spalle Loki e lo scrollai, già vedevo il suo sguardo tornare vacuo e silente, e un orribile presentimento pervase il mio cuore.
Gli mollai un manrovescio così forte che Loki crollò in acqua come un fantoccio inanimato. Quando lo ritirai su Loki mi guardò con uno sguardo pieni di ira e di sorpresa. Si liberò bruscamente da me, mi guardò, e con voce stizzita e scandalizzata disse:
“COSA SEI, IDIOTA?! VOLEVI STACCARMI LA TESTA CON QUEL COLPO, THOR?!”
La gola mi si annodò, e una sensazione di pace mi si sciolse nel petto come un caldo abbraccio.
Loki era tornato.
Loki era tornato!
Loki incrociò le braccia, si ricompose, quasi non badando ai capelli neri che gli ricadevano d’avanti al viso, e mi chiese con voce incerta e velatamente confusa:
“Perché stai sorridendo come un ebete? E perché siamo dentro i bagni? Cosa diavolo è successo, non ricordo niente che...”
Non gli lasciai il tempo di finire che lo abbracciai, senza avere parole da sprecare inutilmente. Lo strinsi così forte che Loki ansimò, e mi insultò pesantemente, come faceva sempre. Da piccolo gli piacevano i miei abbracci, credo che si sentisse al sicuro dentro le mie braccia, ma oggi non fa altro che riempirmi di ingiurie quando lo faccio... credo sia dipeso dal prepotente orgoglio che nutre nel petto.
Alla fine la smise di lottare, sapeva che era inutile, e borbottò:
“Sei davvero stupido, fratello.”
Intrecciò le dita nel mio mantello, e quel gesto innocente mi fece annodare la gola di commozione.
“Non sai quanto sono felice di sentirtelo dire... Loki.”
“Ti piace essere insultato da me?”
“Mi piace il suono della tua voce.”
“Non mi stancherò mai di ripeterlo: se uno stupido, Thor.”
“E io non mi stancherò mai di sentirtelo dire.”
 
Loki in seguito a quell’accadimento non ricordò nulla, e per me fu un vero sollievo scoprire che, dal tradimento di Gullveig, di tutta quella storia aveva soltanto un’orribile sensazione, e null’altro. La sua fama di conoscenza e di verità, che lo aveva sempre caratterizzato, lo portò a fare delle ricerche, a chiedere alla servitù, e al popolo di Gullveig, che gli spiegassero cosa fosse successo. Ma, conoscendo mio fratello, avevo già previsto una situazione del genere, e  avevo organizzato tutte le disposizioni del caso. Nessuno ad Asgard avrebbe mai dovuto dire a Loki quello che era successo, e nessuno infatti glielo disse. Lentamente, e con il tempo la sua voglia di conoscere si affievolì, e tutto tornò alla normalità. Nei tempi che seguirono continuai a vegliare su Loki da lontano. Spesso mi ritrovavo ad osservarlo per ore, nascosto in libreria, leggere con sguardo perso uno di quei monumentali volumi che divorava come fossero stati la cosa più facile del mondo. Certe volte però alzava gli occhi dalle pagine, il suo sguardo diventava vacuo e mortalmente triste, e a me, con orrore, sembrava che cominciasse a ricordare. Ma era la sensazione di un attimo, poi le pagine lo richiamavano, il suo sguardo si illuminava di quel rapimento che riservava soltanto per i libri, io tiravo un sospiro di sollievo, e quindi me ne andavo.
 
La voce di Heimdall mi riscosse bruscamente dai miei pensieri.
“Ho trovato la strega che cercate. Ma non è sola.”
A quelle parole provai un orrore che nascosi sotto quella che poteva sembrare irrequietezza.
“Chi? Un nemico?!”
“Questo non saprei dirlo, altezza. Ad essere con lei è Loki.”
Il cuore mi si infiammò. Stava per ripetersi quello che era successo quel giorno ad Asgard. E sarebbe stato 100 mila volte peggio. Loki non poteva sopportare... non doveva vedere quella donna! Questa volta non avrei permesso a mio fratello di sprofondare, lo avrei protetto, e avrei ucciso quella donna, quel cancro...
La mia rabbia divenne ceca, e al mio secco ordine, i fedeli guerrieri che mi accompagnavano, precipitarono con me, come stelle cadenti in fiamme, giù verso la terra, dove sarebbero dovuto trovarsi Gullveig e Loki.


_____________________________________________________
 
Ero rimasto un attimo sconvolto e interdetto da quella marea di ricordi che avevano violato, così impunemente, la mia memoria addormentata. Dopo la morte di Gullveig tutt’ora non ricordo molto, so che ero in uno stato di incoscienza e che Thor, quello sciocco, mi era rimasto accanto per tutto il tempo. Poi ricordo solo il mal rovescio che mi diede nella stanza dei bagni, e ancora oggi non capisco perché me lo abbia dato, ma immagino non sia così importante.
“Ti ho visto bruciare, spiegami come fai ad essere ancora viva. Spiegami cosa è successo.”
La mia voce non tradiva nulla di quello che provavo. In effetti mi sembrava di essere solo un contenitore vuoto, e neanche la paura aveva intenzione di sfiorarmi da lontano.
La donna mi sorrise e, dopo avermi preso la mano, mi condusse con sé attraverso la stanza.
“Quel giorno... ancora ricordo la tua espressione. Non sai quanto sia stata felice di vedere la disperazione che cresceva nel tuo cuore. Hai allietato gli ultimi istanti della tua vita, cercando di salvarmi in ogni modo. Onestamente credevo non potessi essere così potente, dio delle malefatte, e quando le fiamme si spensero per la terza volta, compresi il tuo vero potere. Ma mi stavi ostacolando, Loki... stavi interferendo ancora una volta con quelli che erano i piani, e non potevo permetterlo. Ho dovuto immolarmi e farmi bruciare. Ho dovuto farlo in nome della guerra.” Si voltò per regalarmi un ghigno, un sorriso molto diverso da quelli che ricordavo eravamo soliti scambiarci.
“I Vani mi avevano ordinato di scatenare una guerra, che però non sembrasse fosse partita da loro. Quando gli asgardiani mi uccisero, il mio popolo ebbe una scusa valida per cominciare quella lunga e sanguinosa guerra che non puoi non ricordare...”
Magari avessi potuto. Quella battaglia fu uno dei più orribili scontri che la storia di Asgard ricordi. Fiumi di sangue si riversarono per le strade e un venefico sentore di morte impregnava i muri delle case, e le vesti della gente. Le forze dei due popoli si eguagliavano. E noi perdevamo tanti uomini quanti ne riuscivamo ad uccidere. Combattei io stesso sulle prime file, assieme a Thor, ma alla fine la forza bruta non servì a mettere fine a quello stillicidio. Organizzammo un tacito e, almeno apparentemente, stabile accordo. La pace era tornata su Asgard, ma a quale prezzo?
“Soltanto per questo lo hai fatto? Solo per la guerra?”
“No, Loki... avrei potuto scatenarla in altri modi. Fu per colpa tua, che decisi di immolarmi. Volevo che nel tuo cuore e nella tua mente, anche quando me ne fossi andata, restassi solo io. Per una strega come me bruciare su un rogo non significa necessariamente cessare di esistere, dovresti saperlo. E a quanto pare la scenografica uscita di stile che ho deciso di fare ha lasciato davvero un segno sulla tua mente. O almeno così mi dice il tuo sguardo.”
Sentii il mio corpo tremare, ma l’emozione che lo provocava ancora non era arrivata al cuore.
“E ora sei tornata per...”
Gullveig si fermò, eravamo arrivati in fondo alla sala. Al muro stava una lastra di metallo che sembrava tranquillamente non terrestre. Si voltò e mi regalò un sorriso radioso, che però non toccò i suoi occhi iridescenti.
“Per vendetta. Sai... potevo anche accettare che tu non mi volessi. Dopo tutti questi secoli, ero quasi arrivata a perdonarti.”
Si morse le labbra, e nel suo sguardo lessi la follia mischiarsi con la rabbia. La voce fu ridotta ad un sussurro sibilante:
“Ma non ti perdonerò di avermi tradito una seconda volta... Non te lo perdonerò... sei stato troppo cattivo.”
“Di cosa stai parlando?” Le mascelle contratte.
Serena mi guardò con occhi spiritati.
“Credevo che nessuno avrebbe mai potuto sostituire Asgard, nel tuo cuore. Ma ora che ti guardo lo vedo fin troppo chiaramente... sono stata sconfitta da tuo fratello, Thor. È riuscito a farti innamorare di lui, più di quanto io sia riuscita a fare. E questa cosa – mi manda – fuori – di testa!”
Mi spinse contro la lastra, con una forza surreale per quella gracile donna. E come seguendo un tacito ordine il pezzo di accaglio mi imprigionò il corpo, impedendomi di fare qualsiasi movimento.
“Sai perché giro con questo corpo insulso? Con il corpo della tua amica? Certo, così potevo starti più vicino, ed è stato un piacere vederti annaspare alla ricerca di una verità che ti sfuggiva tra le dita come acqua di mare, ma ogni incantesimo richiede il suo prezzo. Il mio, per avermi immolato tra le fiamme, è stato che ho dovuto rinunciare al mio corpo, e ora sono ridotta a migrare da un essere all’altro per poter sopravvivere, e perseguire la mia vendetta. Ma questo è un prezzo che pago volentieri, pur di sentire il tuo sangue zampillare, e la tua voce, implorare pietà.”
L’ambiente in cui mi trovavo fu improvvisamente illuminato da una strana fosforescenza delle pareti. Mi guardai attorno, cercando di oppormi ai legami che mi stringevano i polsi, le caviglie e che mi ancoravano a quella lastra di metallo. Ci trovavamo in una specie di santuario. Un tempio di legno abbandonato, e rozzamente decorato dalle alquanto discutibili abilità artistiche dei midgardiani.
La lastra si staccò dalla parete e, galleggiando in aria, si mise in orizzontale.
“Sai, è stato fin troppo facile per me allontanare quello sciocco di tuo fratello. Vuole sempre fare il tuo bene. Ma alla fine questo amore sarà la causa della tua morte. Sai... piccolo Loki, non vedo l’ora di guardare l’espressione che si dipingerà sul suo volto quando gli mostrerò il tuo cuore sanguinante, e il tuo corpo lacero. Addio.”
Mi girò le spalle e si allontanò di qualche passo, canticchiando. Sentivo che dovevo provare terrore, paura, e desiderio di fuggire, ma oltre ad un narcotico senso di arrendevolezza il mio cuore non riusciva che provare un’immotivata sensazione di pace. Come se tutto il dolore si stesse sciogliendo, liberandomi finalmente il respiro, dopo tanti anni di immobilità, o forse era solo che stavo diventando pazzo. Non saprei dire.
“Ah! Quasi dimenticavo, prima che ti apra il petto, eccetera eccetera... voglio fare un ultimo giochetto.”
Dalla manica della sua felpa scivolò fuori un’enorme serpente albino.
Lo avvicinò all’uncino che pendeva dal soffitto e ce lo fece arrampicare, in modo che fosse esattamente sopra il mio viso.
“Sarà divertente vederti gridare ancora una volta, per l’ultima volta.”
La mia lingua argentina riprese vita propria appena vidi il serpente aprire le fauci, dovevo fare qualcosa.
“Gullveig, non sono mai stato il tuo nemico, perché mi devi odiare così tanto?”
Una goccia di veleno gocciolò giù dal serpente, e colpì la lastra di metallo che immediatamente cominciò a sfrigolare e a corrodersi.
“Perché mi hai tradito, e voglio vendetta. Non è abbastanza?”
“Ti sbagli, il mio cuore è sempre stato tuo, perché ti ostini a non credermi?!”
“Mmmmh, vediamo, forse perché sei... il dio delle malefatte e degli inganni?”
“Ti do la mia parola!”
La ragazza rise di gusto.
“La tua parola non vale più della prestazione scadente di una vecchia prostituta in reggicalze, e con la pelle cadente! Non umiliarti più di quanto tu non lo sia ai miei occhi.”
Un’altra goccia di veleno cadde verso di me, colpendomi sullo zigomo. Il dolore fu lo stesso che avrei provato se qualcuno mi avesse toccato con un tizzone di fuoco.
“Gullveig io... io... io ti amo!”
Quelle parole uscirono dalla mia bocca come un accorato richiamo, ma appena le pronunciai fu stranissimo sentire il suono che ebbero con la mia voce. Erano parole che non avevo mai detto a nessuno, e mi bruciavano sulle labbra come se avessi avuto del sale cocente. La mia voce aveva detto raramente anche solo “ti voglio bene”, figurati quindi “ti amo”! Non credo di averlo mai neppure pensato.
Il serpente si fermò, la bocca piena di veleno che stava per versarmi addosso.
Incrociai lo sguardo di Serena che mi fissava fuori di sé.
Per un momento il suo corpo tremò e poi lo vidi accasciarsi a terra. Ma Gullveig non mi fece aspettare molto che un fumo denso e violaceo si alzò da Serena, per poi prendere forma nell’aspetto che ricordavo avesse il mio amore. La strega mi guardò, attraverso quella sua inconsistente essenza, e mi rivolse uno sguardo colmo di una furia inesprimibile, una rabbia atroce e venefica.
Mi mollò uno schiaffo così forte da farmi mancare per un attimo il respiro. Le rivolsi ancora uno sguardo e vidi il suo viso sconvolto da un desiderio folle e da un’ira bestiale.
“Dopo quello che hai detto, meriteresti di essere spellato vivo dalle mie stese mani! Sei più squallido di quello che pensavo. Viscido come un verme, meriti solo la morte che ora ti darò, dio delle malefatte. Schifosa sgualdrina di Asgard...”
Detto questo mi voltò le spalle e si allontanò dal mio sguardo. Il serpente ricominciò a far cadere il suo veleno sul mio viso, e il dolore fu accecante, ma mai quanto quello di essere stato rifiutato, dopo aver detto, per la prima volta da anni, la verità su quello che provavo.

 
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Correvamo veloci attraverso il bosco quando sentimmo la terra tremare. Heimdall era stato ingannato dalle abili doti magiche di Gullveig, e ora dovevamo cercare la strega seguendo il nostro istinto. Io non riuscivo più a controllarmi, e con il mio fedele Mjöllnir abbattevo, furente, gli enormi alberi che mi ostacolavano la strada. Quando sentimmo quel terremoto spaventoso tutti ci fermammo ad ascoltare. I terrestri avrebbero potuto scambiare quel fenomeno per qualcosa di, non dico quotidiano, ma quanto meno, normale. I miei fedeli compagni capirono subito cosa stava succedendo, ma non sentirono quello che sentii io, dietro al boato della terra che si rompeva. Quando tutto quella distruzione cessò mi appoggiai ad un albero, perché sapevo quello che avevano udito le mie orecchie, e per un attimo mi era mancata la terra sotto i piedi. Dietro quel fragore della scossa, avevo riconosciuto con orrore la sua voce, quella che avrei potuto distinguere in mezzo a cento altre ancora. La voce di mio fratello che gridava.
Mio padre aveva ordinato discrezione, ma sapevo che questa caratteristica non mi sarebbe mai appartenuta. Scagliai un fulmine attraverso il bosco, una folgore talmente potente da creare una enorme strada di desolazione, al suo passaggio. I guerrieri non mi dissero nulla, sapevo in quale stato d’animo mi trovavo, e avrei potuto anche distruggere tutta la città, pur di scovare quella donna che odiavo fin dentro il midollo delle mie ossa. Percorremmo veloci quella strada, e intravidi, in cima alla collina una casupola in mezzo ad una radura. Immediatamente sentii che Loki era lì dentro, ma immediatamente sentii anche che la situazione stava diventando sempre più precaria. Un altro terremoto rese instabili i nostri passi, e questa volta la voce di Loki si sollevò anche sopra quel rumore assordante. Mio fratello stava morendo... e lo sentivo come se la sua vita si stesse spegnendo tra le mie dita.



________________note dell'autrice (accaldata)___________________
Rieccomi.. siii.. o forse no... bah.. non so bene cosa sia questo capitolo.. sicuramente di passaggio.. e sicuramente orribile ma già il fatto che siate arrivati fino in fondo alla lettura.. mi riempe di gioia.. *____* grazie mille... e alla prossima miei pochi (ma buoni) lettori!!!!!!!! Bacioni... <3

p.s. chiedo scusa se ci sono più errori (orrori) di grammatica del solito.. ammetto che non sono stata molto tempo sulla correzzione.. ç___ç
p.p.s non so se si è notato ma, sì... sono in crisi per come far terminare la fiction.. non voglio deludervi.. e so già dove voglio andare a parare.. ma.. boh.. vedremo... T__T
p.p.p.s (quanti post scrittum sto lasciando? XD) vi lascio con l'immagine che mi ha ispirata per il personaggio di Gullveig.. così potete vedere come più o meno me la immagino.. :) 


 
(scusate la monumentale dimensione della foto.. -__- questo è il link comunque..-----> 
http://browse.deviantart.com/?qh=§ion=&q=gullveig#/d48rkvq )
Jack

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Capitolo 13
*** Boccette di sentimento ***


Boccette di sentimento
 
Un fragore, come di una nave spaziale che si abbatte su una casa, mi tramortì. Ero priva di sensi fino ad un momento fa. La guancia schiacciata contro il pavimento freddo. Sentii delle urla e un grido che si alzava sopra gli altri. Poi la terra prese a tremare e a scuotere il mio povero corpo incosciente. Ma... aspetta un momento, io sono sveglia! Cerco di aprire gli occhi e una strana luminescenza me li ferisce. Sono a terra e attorno a me sembra succedere il finimondo.
“Alzati!” mi impongo, ordinandolo mentalmente.
Faccio forza sulle braccia e riesco a tirarmi su a sedere.
Un altro rumore dirompente mi riporta alla realtà, e cerco di capire quello che sta succedendo attorno a me. Il tetto della casa nella quale sembra che io mi trovi è andato distrutto in mille pezzi, e una luce perlacea entra attraverso quell’apertura. Strizzo gli occhi e distinguo molte figure in contro luce. Riesco a metterli a fuoco e vedo 15 uomini, biondi, abbronzati e palestrati come i personal trainer delle star in tv. Sono tutti ben piantati sulle gambe forti, e sembrano assumere una posizione aggressiva. Le strane armature sbrilluccicanti li fanno sembrare degli alieni che hanno sbagliato epoca, o delle lattine di fagioli di qualche secolo fa. Un uomo si fa avanti a passi lenti e maestosi, è il più forte di tutti, e ha un senso di giustizia scolpito sui lineamenti mascolini del viso. La sua espressione mi ricorda quella degli sceriffi del vecchio West quando andavano a catturare i briganti.
Il suo sguardo plumbeo è fisso di fronte a sé. Io mi volto in quella direzione e vedo una donna, o almeno... il fantasma di una donna, eterea e bellissima, che sogghigna silenziosa. Mi fa davvero paura, e appena i miei occhi si posano su di lei un brivido mi corre lungo la schiena. Cerco di fare mente locale ma sono soltanto molto confusa. Non dico che la mia testa non fosse incasinata anche prima di incontrare quella donna, ma quando la sua voce mi entrò dentro, come il melodioso canto di una sirena, mi andò completamente in pappa il cervello, capite?
“Il grande e giusto dio dei fulmini, principe di Asgard, figlio di Odino, padre degli dei... a cosa devo l’onore di questa visita?”
La donna finse un melenso inchino, ma il suo sguardo non si abbassò per un istante.
“Gullveig, allora sei viva...” il biondo strinse i denti come un cane rabbioso, si vedeva che aveva un gran voglia di menare le mani.
Io mi appiattii contro la parete, non mi andava che mi vedessero, per il momento sia il fratellone, che la donna, mi sembravano fin troppo pericolosi.
“Tecnicamente, solo in parte. Il mio corpo è bruciato ad Asgard, non lo rammenti più?”
“E come potrei dimenticare, strega?!”
“Ah già... ce l’hai ancora con me per quella storia. Sei sempre stato molto volubile nei modi, Thor, lasciatelo dire... mai quanto tuo fratello, naturalmente.”
Le loro voci tuonavano sopra il fragore dei lampi e della tempesta che sembrava infuriare fuori dalla casupola. Cercai di ricordare quello che era successo, e d’improvviso ricordai tutto quanto. Mi salì un groppo alla gola. Gullveig si chiamava quell’essere spregevole che aveva preso possesso del mio corpo e della mia volontà... neanche la trincea fuori casa mia era servita a fermarla. Mentre mi controllava il corpo tuttavia la mia coscienza era accesa, come la spia rossa della televisione, e ho assistito consapevole di tutta la vicenda. Thor che fugge e torna a casa, ad Asgard per aiutare suo fratello... quel dio delle malefatte tanto carino... il mio fratellone Loki... già! LOKI! DOV’È?!
Mi appoggiai alla parete e cercai di sollevarmi in piedi. Era difficile riprendere possesso del proprio corpo dopo che una strega di un’altra razza e pianeta ne aveva fatto libero uso, per i suoi giochetti perversi, ma io ci provai ugualmente.
“Dimmi dove si trova.” Scandì il fratellone biondo, mentre fuori un tuono faceva tremare le pareti della casa.
“Di chi stai parlando, regale dio dei fulmini?”
“Di Loki, infida creatura! Ridammi mio fratello!”
Il sogghigno di Gullveig era glaciale e mi fece venire la pelle d’oca: non prometteva niente di buono.
“Io non conosco nessun Loki, a meno che tu non ti stia riferendo al tuo defunto fratellino...”
Mi immobilizzai alla parete quando sentii quelle parole.
Thor spalancò gli occhi e sembrò sbiancare.
La tempesta fuori divenne silenziosa come un campo santo, come il suono dell’onda del mare prima che si abbatta sulla spiaggia. Anche gli altri guerrieri si guardarono con sguardi smarriti, restando comunque alle spalle del loro fidato compagno d’armi.
A Gullveig brillarono gli occhi, e proruppe in una gracchiante ed inquietante risata.
“Non è vero, era uno scherzo. È vivo, per il momento, ma non so per quanto lo sarà...”
Thor mosse qualche passo furioso in direzione della donna, ma Gullveig alzò una mano e fece schioccare le dita. Una luminescenza rossa e pulsante illuminò l’angolo della stanza nella quale mi trovavo io. D’avanti ai miei occhi si aprirono le tende rosse di un orrido spettacolo. Mi appiattii contro la parete, cercando di indietreggiare di fronte a quello scempio. Loki giaceva, probabilmente privo di sensi, su quel lettino di metallo, che volteggiava in aria come se fosse sollevato dalla mano di uno spettro. Il suo corpo, seppur lento e rilassato mostrava evidenti segni di sofferenza. I nervi tirati al massimo e la muscolatura che sembrava supplicare pietà. Era riuscito a sollevarsi e a spostarsi da quelle cinghie, ma era ancora saldamente legato alla lastra di metallo. Il serpente sibilava sopra di lui, e ogni tanto si divertiva a far cadere qualche goccia di veleno sul corpo inerme di Loki. La cosa più orripilante, e dalla quale il mio sguardo non riuscì ad allontanarsi per un istante, fu vedere la testa a penzoloni di Loki, e il suo viso ridotto ad una maschera di sangue. Mi tappai la bocca con due mani, per non lasciarmi sfuggire quel grido che già avevo sentito salire la rampa di scale su verso la mia gola.
Gullveig fece un ampio gesto con la mano, come una presentatrice di qualche vecchio ma famoso talkshow.
“Signori e signore, ecco il principe Loki! In tutto il suo splendore! Prego fatevi avanti per guardare meglio! Non morde mica, non più almeno...” La donna ghignò in direzione di Thor. E in quel preciso istante compresi che se le parole fossero state scritte in riferimento a delle persone, sono sicura che “crudeltà” sarebbe stata posta vicino al nome di quella donna.
Lo sguardo di Thor era una tempesta di furia. Non appena vide il fratello tutta la rabbia che aveva cercato in tutti i modi di controllare oscurò la sua ragione. Si avventò furioso sulla donna che lo rispedì indietro con un’onda d’urto micidiale.
Come se gli altri guerrieri avessero avuto il via libera, partirono all’attacco. Ma io sapevo già prima che muovesse un dito, quello che sarebbe successo.
“Non fate un altro passo!” gridai, ma era già troppo tardi, e la mia voce risuonò vivida quanto lo sarebbe potuto esserlo il pigolio di un pulcino in mezzo al fragore di uno stadio di calcio.
Un enorme cerchio magico si attivò sotto il gruppo di guerrieri. I segni presero fuoco come la miccia di una bomba e le rune brillarono.
Ci fu un’esplosione fragorosa di pochi istanti, che poi inghiottì, come una bottiglia sottovuoto, tutto ciò che poteva prendere da quella stanza. Ogni rumore fu risucchiato dall’incantesimo, e il gruppo di asgardiani scomparve, senza lasciare traccia.
Quando l’incantesimo terminò, rimase solo le strisce di cenere, e un puzza di uovo marcio. Thor era stato risparmiato dal cerchio solo perché in quel momento se ne trovava fuori. E quando si accorse che i suoi più fidati compagni non c’erano più emise un verso disperato, come di un animale sofferente. Si rimise in piedi e si scagliò ancora una volta contro la strega, questa volta però, con un minimo di assennatezza in più. Schivò l’attacco di Gullveig, e fece ruotare Mjöllnir, per colpirla di fianco. Il colpo però attraversò il corpo della strega, come se fosse fatto di fumo.
La donna rise, e si preparò al prossimo attacco.
“Hey, inutile midgardiana... Serena...”
Quel sussurro strascicato lo sentii solo io, arrivandomi alle mie orecchie come lo scampanellio di un sonaglio rotto.
Spalancai gli occhi e li fissai sulle labbra di Loki, che non poteva essere cosciente, non dopo tutto quello che aveva passato!
Lo vidi prendere aria a fatica, e poi le sue labbra muoversi impercettibilmente.
“Potresti... farlo.. smettere?”
Ci misi un attimo per capire che si stava riferendo al serpente, che contento come una pasqua, continuava a far colare bava venefica sul corpo martoriato del dio.
“S-si!” balbettai.
Corsi a tastoni attraverso la stanza, ricordavo di aver visto una bacinella, o qualcosa del genere... o almeno ricordo che Gullveig lo aveva visto.
La trovai dietro una vecchia cassapanca incrostata di ruggine, e mi precipitai sotto la bocca del serpente, per raccogliere il veleno. Lo sentii sospirare di sollievo quando il veleno non corrose più il suo corpo mortale.
“Loki?! Loki! Dimmi quello che devo fare!”
La mia testa aveva bisogno di input, altrimenti sapevo che non sarei riuscita a fare nulla di mia iniziativa.
Vidi Loki soffrire, mentre cercava di parlare. Bisbigliò qualcosa che non capii e avvicinai l’orecchio alla sua bocca.
“Scusa?”
“Idiota... devi liberarmi...”
“Giusto, liberarti! Adesso ci provo!”
Posai la ciotola sul suo corpo, sperando che il serpente fosse abbastanza stupido da restare su quel punto.
Mossi le mani tremanti sui legami che tenevano Loki prigioniero, ma erano duri come il diamante... cosa potevo fare?!
Mi affrettai a svuotare la bacinella, già colma di veleno, e nel mentre che la toglievo, e il liquido ricadeva impietoso su Loki, vidi il suo corpo contrarsi per il dolore.
“Loki, non funziona! Non funziona!” gridavo, spaventata, mentre lo scontro tra Gullveig e Thor continuava, imperterrito.
Il dio dei fulmini, intestardito, menò Mjöllnir varie volte contro l’essenza della strega, senza ottenere, naturalmente, alcun risultato.
Ma il fatto che non riuscisse a ferirla in alcun modo, non sembrava farlo demordere.
Gullveig mosse appena le dita e un cerchio magico, questa volta più piccolo del precedente, si aprì sotto di Thor. Ma il dio era veloce come il fulmine, e lo schivò appena in tempo, crollando contro un piccolo altare rituale, sul quale ardevano alcune candele.
“È tutto inutile, Thor. Arrenditi. Non puoi più fermarmi, sei arrivato troppo tardi.”
Il dio le rispose con altri colpi alla cieca.
“So quanto ami tuo fratello, ma non puoi salvarlo. Ti sei illuso di poterlo proteggere per sempre, ma la realtà è che Loki non è più tuo ormai.”
Un colpo più forte divelse l’aria e fece tremolare l’immagine ghignante della strega.
“Hai perso tuo fratello nell’istante in cui ha posato i suoi occhi avidi su di me. Loki è di mia proprietà, e posso fargli ciò che voglio!”
Thor si fermò, leggermente sudato, puntando Mjöllnir vibrante contro il petto di Gullveig.
“Mio.... mio fratello...” ansimò, affaticato. “Ho sempre creduto che avesse bisogno di aiuto e del mio sostegno. L’ho sempre visto piccolo e insignificante, fragile come una bambola di porcellana che può rompersi al minimo tocco. Nei combattimenti era sempre quello che veniva deriso, beffato... sconfitto. Ascolta le mie parole, Gullveig...”
Il suo viso aspro si addolcì di quello che mi sembrò amore fraterno mischiato a rabbia.
“Non è Loki ad aver bisogno di me. Sono io ad aver bisogno di lui. E il dio delle malefatte è molto più forte di quello che pensi. Sei un’illusa peggiore di me se credi che lui sia di tua proprietà perché... Loki non appartiene a nessuno!”
Una scarica di elettricità percorse Mjöllnir trafiggendo, senza preavviso, il corpo di Gullveig che sembrò per la prima volta accusare il colpo. Fu scaraventata contro la parete che andò in mille pezzi, e per un breve istante sembrò quasi che tutto fosse finito.
Loki aveva ascoltato il discorso, e mi sembrò di vedere un piccolo sorriso ghignante sorgere sulle quelle labbra tumefatte.
“Serena... usa il cervello e aiutami a salvare... quello scemo di... mio fratello...”
Ansimò, senza più forze in corpo per dirmi altro.
Io allora fui trafitta da un’illuminazione.
Quei vincoli erano magici, avrebbero risposto soltanto ad una stessa sollecitazione!
Lasciai la ciotola dov’era e corsi attraverso la stanza, ignorano i grandi passi di Thor che si scagliava ancora una volta su Gullveig, nuovamente rimessasi in piedi. Vidi altri pezzi di legno volare attraverso la stanza, ma cercai di ignorarli. Mi precipitai all’altare rituale e spostai i detriti.
“È qui... dev’essere qui!”
Frugai ansiosa tra le macerie, ferendomi anche le mani, ma alla fine lo trovai.
“Lo scettro!”
Tornai indietro da Loki e inciampai varie volte sui miei stessi passi.
Poi un tonfo e un grido mi fecero voltare di scatto.
Thor alla fine era stato colpito. Il braccio destro fumava come se fosse stata una bistecca ben arrostita. Mjöllnir era scivolato a terra, ma il dio fu veloce, lo raccolse e indietreggiò, scansando l’ennesimo attacco della strega.
I due si fermarono, e Thor si diede un momento per riprendere fiato, mentre il suo braccio inerte gli penzolava, nero come il carbone, come un’inutile appendice senza vita. Le cose si mettevano male! Corsi, o meglio, annaspai, verso Loki.
“E ora?!”
Il dio sembrava non avere più voce. Il sangue aveva fatto un piccolo lago scarlatto sul pavimento, e io rabbrividii.
Non so come ma gli vidi muovere le dita, e gli presi la mano.
In quell’istante sentii una specie di fiume caldo attraversarmi tutto il corpo, come se mi entrasse nella bocca, mi si sciogliesse giù per la gola, fino allo stomaco, e si fermasse sul ventre, irradiando gli arti di calore.
Il mio cuore prese a battere all’impazzata, perché subito una valanga di sensazioni non mie lo travolsero.
Rabbia. Odio. Vendetta. Malinconia. Angoscia.
Amore fraterno. Speranza. Cocciutaggine. Coraggio. Desiderio...
“Loki... questo... sei tu!”
Sentii il suo respiro attraverso il mio. Intravidi l’ombra di un dolore accecante che partiva dal petto, lo attanagliava, e arrivava come una maschera di sofferenza fino al viso, era il veleno. Ascoltai per un istante la mia mente riempirsi di ragionamenti lambiccati, tortuosi come nidi di serpi, o grovigli di gomitoli di lana. Vidi l’indecisione che lo caratterizzava, e la genialità che accendeva ogni suo pensiero come un fuoco luminoso, ardente di una fiamma che non si sarebbe mai spenta.
Per un attimo ebbi una visione che mi scombussolò, come se la mia mente avesse voluto rappresentare quel caotico mondo interiore mi ritrovai in una sala da ballo immensa, illuminata da gemme iridescenti incastonate alle pareti e al soffitto.
C’erano libri ovunque, accatastati a terra in pile di cui non riuscivo a veder la fine. Di ogni forma e dimensione, quegli immensi volumi nascondevano i confini del posto in cui mi trovavo e immaginai che quelli rappresentassero la sua conoscenza. Il pavimento era ricoperto da un tappeto arabescato, con intrecci di fili d’oro. Ma il freddo che aleggiava in quella sala era inesprimibile. Mi guardai intorno e vidi che, sommersi da tutto quel sapere, c’erano delle grosse ampolle di vetro, simili piuttosto ad enormi barattoli di marmellata. Su ciascuna c’era un’etichetta. Mossi qualche passo verso la più vicina, e la lessi: sentimento per Frigga.
Dentro il barattolo si agitava una sostanza semiliquida, color carne che emanava fumi rossi. Senza un’apparente motivo decisi di aprirla. Feci ruotare il coperchio, lo sollevai e odorai quei vapori: affetto verso la propria madre, malinconia, tenerezza.
Chiusi il barattolo, e sempre più incuriosita mi diressi verso uno leggermente più grande, addossato poco lontano da quello di Frigga.
Il liquido era di un verde marcio, e i vapori che emanava giallo canarino.
L’etichetta recitava: sentimenti per Odino.
Tolsi il coperchio e respirai: timore, rispetto, dolore, odio, rabbia.
Richiusi alla svelta quel barattolo, e respirai affondo.
Vidi una strada, attraverso la pila di libri e la imboccai. Mi ritrovai quindi in una specie di piazza, sgombra di volumi, dalla forma vagamente circolare.
Centinaia di anfore giacevano silenti, mentre al loro interno si agitavano liquidi dai colori più disparati.
Lessi sentimenti per un numero infinito di persone di cui non conoscevo il nome. Provai ad aprirne qualcuna, ma l’effetto non fu gradevole. Contenevano tutti una sofferenza celata per maltrattamenti subiti, odio, e desiderio di vendetta.
Me ne spaventai e non cercai di aprirne più nessuna.
L’attenzione mi cadde improvvisamente sull’enorme altare bianco che giaceva, silente e granitico, al centro della piazza. Mi domandai come diavolo avessi fatto a non notarlo prima.
Salii i gradini di marmo dell’altare e sopra vi trovai due enormi ampolle, grandi come colonne, che si perdevano in alto in alto, oltre le pile di libri che divoravano la sala.
Su ciascuna c’era un rubinetto di cristallo.
Lessi le etichette dei contenitori: Sentimenti per Thor; Sentimenti per Gullveig.
Dentro il contenitore destinato alla strega c’era un liquido viola, denso come succo di mirtilli, che esalava vapori neri e affumicati.
Presi coraggio, aprii il rubinetto, e una goccia venefica cadde sul mio dito. La assaggiai e mi sembrò di essere sommersa da una valanga di pietre.
Amore, bramosia, lussuria, curiosità.
Pensavo fosse finito lì, ma poi un’altra ondata mi fece crollare letteralmente a terra.
Scoperta, furia, odio, vendetta, terrore, rabbia, dolore, dolore, DOLORE, DOLORE.
Annaspai, sperando che quella sensazione se ne andasse presto. Non ero riuscita a sopportarla che per pochi istanti, come poteva Loki provarla ogni volta che pensava a quella donna?!
Mi rimisi in piedi e guardai timorosa l’anfora di Thor, per quello che ne potevo sapere poteva essere centomila volte peggio.
Un liquido rosso come le fragole mature si muoveva al suo interno, lentamente, esalando fumi dorati e rassicuranti. Alla fine mi convinsi. Feci ruotare il rubinetto di cristallo, presi una goccia sulla punta del dito e me la misi in bocca, fingendo che fosse marmellata di ciliegie.
La testa mi girò vorticosamente, ansimai e mi dovetti mettere a sedere per non crollare un’altra volta.
Aspettai qualche minuto che le sensazioni si ne andassero, e poi appoggiai la schiena all’altare, cercando di riprendermi.
Sorrisi tra me e me.
Allora è questo che provi per tuo fratello... e chi l’avrebbe mai detto.
Una musica però mi distolse dai miei pensieri, e mi fece voltare.
In fondo alla piazza galleggiava a mezz’aria una fiaccola azzurra, che sembrava chiamarmi, e che sembrava la sorgente di quella melodia, di cui però non riuscivo a cogliere le note.
Mi avvicinai, o almeno provai a fare qualche passo, poi tornai in me,
ritrovandomi nella vecchia casa, con Loki morente.
Le mie braccia si mossero da sole, posando la punta dello scettro sopra il legame più grande, quello che gli stringeva il petto, soffocandolo.
“Leyst upp, í nafni Týr.” Mormorai, non comprendendo neppure cosa avessi appena detto.
L’effetto fu immediato. I legami si distrussero evaporando e dissolvendosi nell’aria.
Abbandonai lo scettro da una parte e aiutai Loki a scendere da quel lettino delle torture, anche se il serpente se n’era già andato.
Mi stavo giusto chiedendo quanto tempo avrebbero impiegato Thor e Gullveig per notarmi, ma quando Loki rantolò fu come se un campanello di allarme suonasse nelle loro menti aliene.
Si fermarono nel mezzo di uno scontro. Thor con il martello ancora sollevato, e la strega con le dita che serpeggiavano di rune nere.
Thor fu naturalmente il più veloce; approfittò della distrazione della strega per lanciarle un’altra scarica, anche se molto più debole della prima.
Poi si voltò verso di me e mi lanciò una piccola sfera violetta, dalla consistenza indefinita.
La presi al volo, ma era leggera come piuma.
“Fagliela ingoiare!” mi gridò, e io mezza spaventata, per poco non la feci cadere.
Fu questione di un secondo. Mossi le dita verso le labbra di Loki e gli misi quella piccola sfera in bocca, Gullveig si rialzò in piedi, colpì Thor brutalmente con un incantesimo, e poi allungò quelle dita nella mia direzione. Non feci neppure in tempo ad accorgermi di quello che stava succedendo. Sentii solo una scossa elettrica, percorrermi il corpo, un dolore accecante, e poi l’oblio prendermi ancora una volta.
 
Loki si sentiva completamente senza forze, o meglio, direi che sei sentiva esattamente come se fosse morto.
Dopo che il serpente aveva cominciato a colare il suo veleno sopra il suo viso, ricordava soltanto di aver gridato e gridato, e dopo un po’ tutto era diventato nero, e il suo sguardo fu oscurato dal suo stesso sangue.
Si era ripreso non molto tempo dopo, quando quell’idiota di suo fratello aveva praticamente sfondato la casa, scegliendo una delle sue solite entrate ad effetto.
Thor, quante maledette numero di volte ti ho spiegato che la sorpresa è tutto in battaglia? E che può determinare la vittoria in uno scontro?! Ma come al solito... non mi ascolti mai.
Con sorpresa si era accorto che quell’ingenua midgardiana si era risvegliata.
Già... lei, come si chiamava?
“Serena...”
Appena aveva sussurrato il suo nome, lei era riuscita a sentirlo. In realtà non lo disse molto con la voce, o con le sue proprie corde vocali. Ma cercò di insinuarsi nella sua mente come faceva un tempo ad Asgard, quando aveva ancora i suoi poteri, e non era un insignificante debole verme nato solo per essere dominato.
La ragazza però sembrava più stordita del solito, Gullveig le aveva fatto un bel casino in testa, un po’ come faceva con tutti del resto...
Gli avrebbe voluto urlare in faccia, con aria ironica, dove avesse lasciato il cervello quella mattina ma non era in grado di farlo. Alla fine era riuscito a instillare, in quella sua zucca vuota, l’idea di recuperare lo scettro e liberarlo.
Quando tornò fu sufficiente farsi toccare la mano.
Riuscì addirittura ad infondere un minimo della sua essenza dentro quella piccola creatura terrestre.
Per un momento assaporò anche l’anima della ragazza: era malinconica, e fragile, ma non arrendevole, e aveva la stessa cocciutaggine di un pesce rosso che si suicida saltando fuori dalla boccia.
Cercò di non farsi distrarre da quella vile creatura, ma con una fitta di dolore, o piuttosto, fastidio, si rese contro di quanto Serena fosse scesa in profondità attraverso la sua anima. La recuperò in malo modo, promettendo a se stesso che gliel’avrebbe fatta pagare, quando tutta quella storia fosse finita, e si fece liberare.
Non avrebbe mai creduto di mettere in pericolo Serena con quel gesto. E quando Gullveig scagliò il suo incantesimo, colpendo in pieno la ragazza, non poté fare altro che stare a guardare, recuperare le ultime forze, ed ingoiare quella piccola sfera che gli era rimasta sulla lingua.
Fu come entrare dentro un bagno di acqua termale.
Un calore che conosceva fin troppo bene crebbe dentro il suo petto, inondandolo di benessere. I muscoli si rilassarono, il corpo martoriato guarì, e il dolore si spense come il fuoco di una candela sotto una cascata.
Respirò a fondo, e si guardò il palmo di una mano.
L’aprì e la chiuse più volte, attraverso le dita fiammeggiarono piccole scintille azzurre.
Sogghignò restando ancora inginocchiato a terra, nella posizione in cui Serena lo aveva lasciato.
Sentiva attorno a sé una palpabile tensione, e capì che tutta l’attenzione era su di sé.
Tutti i suoi poteri lo ristoravano e lo tranquillizzavano, sembrava che ora nulla potesse andare storto. Ma a quel senso di calma e potere si aggiunse qualcos’altro che non riuscì a comprendere subito, era qualcosa simile alla rabbia, ma non furiosa come quella di suo fratello. Una rabbia sconsolata e imponente. Una rabbia simile ad un oceano in calma piatta, rombante di furia silente.
Si alzò in piedi senza difficoltà, e prese un bel respiro.
Poi di colpo sollevò lo sguardo da terra e lo conficcò in quello di Gullveig, che lo guardava stupita, ed accigliata. Sul viso di Loki ora non c’era alcuna traccia di sorriso.
“Sono tornato, amore mio.”
Una bestemmia sarebbe suonata più dolce di quelle ultime parole, nella bocca di Loki.
Gli occhi del dio delle malefatte fiammeggiarono, e Gullveig mosse qualche passo indietro.
Loki avanzò a passi solenni verso la strega.
“Loki, calmati. Sembri leggermente fuori di te. Non fare cose di cui ti potresti pentire... parliamone! Ti piace tanto parlare, no?”
La figura galleggiante della donna indietreggiò ancora, nei suoi occhi potevi leggere una scintilla molto simile alla paura.
“Non farlo, non vuoi farlo! Possiamo tornare ad essere amici, alleati, amanti... basta che tu lo desideri! Loki, amore mio... calmati...”
Thor stava assistendo in silenzio alla scena. Suo fratello sembrava fuori di sé, e pronto a fare qualsiasi cosa, ma quando vide i suoi occhi diventare di ghiaccio, crudeli come non li aveva mai visti, cominciò ad avere paura.
“Tu ora mi chiedi di parlare? Tu osi anche solo rivolgermi la parola...?!”
Nei suoi occhi leggevi una scintilla di follia.
Mosse lo scettro e una cascata di magia si abbatté sulla figura di Gullveig, che non ebbe il tempo di evitarla.
“Ti ho dato il mio cuore, la mia fedeltà e anche la mia dignità... ma ora basta! Non meriti nulla, Gullveig. Nulla!”
Altre scariche accompagnarono la prima, colpendo irrimediabilmente la figura immobile della donna che ogni volta si rialzava.
Thor però riuscì a capire quello che stava succedendo. Loki, dietro quella facciata di rabbia, stava soffrendo ancora, e i colpi e gli incantesimi che lanciava, piuttosto che ferire la donna, sembravano affaticare soltanto lui.
Il dio dei fulmini mosse qualche passo in direzione del fratello, ma Loki lo fulminò con uno sguardo folle.
“Non. Ti. Intromettere.” Scandii, con una voce che sembrava prendere fuoco.
Il silenzio assordante che seguì quelle parole fu rotto da un suono gracchiante.
Thor vide Loki impallidire e sgranare gli occhi.
La donna, accasciata tra le macerie, stava ridendo.
La schiena di Loki divenne rigida come un pezzo di legno, e il dio strinse i pugni.
“Ma bravo, mio tesoro... sei arrabbiato, era ora che lo fossi.”
La donna sollevò il viso e gli rivolse un sorriso dolce e orribile. Loki mosse mezzo passo indietro.
“Dobbiamo saldare alcuni conti, sono d’accordo con te, ma conosco un posto migliore. Ti andrebbe di seguirmi?”
Il dio delle malefatte la guardò da capo a piedi, e poi fece un segno di assenso.
“Molto bene... seguimi. Ma non colpirmi alle spalle, ok?”
La donna si alzò come se gli attacchi di Loki non avessero sortito alcun effetto. Pronunciò alcune parole e mosse la mano. Un passaggio enorme si aprì sul pavimento, rivelando una scalinata di pesante legno massello. La cavità era illuminata dalla stessa fosforescenza delle pareti della casa. Loki la seguì e anche Thor, che corse dietro il fratello; il passaggio si chiuse subito dietro di loro. L’unico rumore era quello dei loro passi e mentre scendevano sempre più in profondità, in quello che sembrava essere un tempio sotterraneo, dimenticato anche dal più timoroso di dio, l’aria divenne calda e irrespirabile.
“Benvenuti... nella mia dimora!”
Gullveig fece un ampio gesto con le braccia e di fronte ai tre si presentò una sala enorme, dal soffitto alto quanto un palazzo di 5 piani. Tutto l’ambiente era di legno, pesanti colonne scolpite apparentemente nel muro, reggevano il soffitto monumentale, dando un senso di solenne oppressione.
In fondo alla sala giaceva un altare lungo almeno venti metri, ricoperto di candele accese e montagne d’oro.
“Avevo dimenticato... il tuo spiccato protagonismo, e la tua ossessione per la ricchezza.”
“Avevi dimenticato molte cose, Loki.”
“Sarebbe stato meglio per me non ricordarle affatto.”
“Eppure ora sei qui per questo. Perché hai voluto sapere, conoscere, ricordare... se non fossi così egocentrico in questo momento probabilmente saresti seduto su un grande e sfarzoso scranno, al fianco di tuo fratello ad Asgard. Non saresti stato il re, ma avresti avuto comunque una vita felice...”
Thor rimase in disparte, mentre i due, camminando paralleli, arrivavano in centro alla stanza, e si ponevano l’uno di fronte all’altro.
“Non sarei mai potuto essere felice all’ombra di mio fratello, lo sai.”
“Ma io non intendevo questo, dolce e ingenuo Loki. Quando ti guardo, mi sembra quasi di leggere dentro quella tua bella mente contorta... vuoi che non abbia visto cosa ultimamente ti passa per la testa? Vuoi che non abbia visto come desideri la sua bocca, così calda rispetto alla mia... e quel corpo rovente e pesante sopra il tuo? Non vuoi che abbia visto l’amore malato, e osceno che provi per tuo fratello?!”
Gli lasciò appena il tempo di finire la frase che Loki liberò dalla mano una scarica elettrica che attraversò il petto della donna.
“Non osare lordare in questo modo i miei sentimenti per Thor! Essi sono ben lontani dal tuo morboso ed osceno amore! Non azzardarti mai più ad immaginare quello che sento!”
Il colpo che aveva lanciato sembrava aver fatto effetto, ma l’immagine della strega, dopo essere stata trafitta, vacillò e poi scomparve.
Dietro del dio comparve la vera Gullveig che, dopo aver congiunto i palmi, in un gesto velocissimo, li addossò al torace di Loki, rilasciando un’onda magica che scosse tutto il suo corpo.
“Sei sempre così volubile, amore mio...”
Il dio delle malefatte sputò una manciata di sangue, ma sul suo volto si dipinse un dolce sorriso di scherno. Il sosia tremolò e scomparve anch’esso.
“Mai quanto il tuo cuore feroce... e questo... È un trucco che non hai mai imparato bene quanto il sottoscritto...”
Sussurrò Loki, dietro le spalle, questa volta, della vera Gullveig, con il suo scettro puntato contro il ventre.
“Lo sai, dove si trova la fonte della tua magia, strega? Abbiamo passato molto tempo insieme, e non è stato difficile per me capirlo. La sorgente della tua forza si trova nello stomaco.”
“Ancora una volta ti faccio i complimenti, mio giovane bugiardo... lo hai capito nonostante abbia applicato una gran lista di incantesimi, per occultarne il ritrovamento. La fonte di magia è il punto debole di ogni strega o stregone, lo sai bene quanto me... per questo anche io conosco il tuo...”
“Non è vero, non lo hai capito.”
“Loki, tu devi comprendere che sei un libro aperto per me. Io conosco ogni cosa di te.”
“Non tutto...”
Gullveig si girò su se stessa, ritrovandosi faccia a faccia con lui.
Lo sguardo di Loki si perse dentro quello della strega, sciogliendosi come miele dentro un bicchiere di latte caldo. Tra il loro corpi sembrava non passare neanche una molecola d’aria. La donna gli sorrise benevola, e comprensiva.
“Ancora mi desideri, sciocchino di un dio? Dopo tutto quello che ti ho fatto...”
Gullveig fece passare la mano su per il petto di Loki, fino alla sua gola.
Poi lei sorrise, ma da quella bocca svanì in un sol colpo tutta la dolcezza di pochi attimi fa, rivelandosi crudele e spietata.
“È qui la tua fonte...”
La mano di Gullveig sfrigolò, Loki se ne accorse tardi.
“LOKI!”
Una saetta colpì la donna prima che potesse fare qualsiasi cosa, andandosi ad abbattere contro una parete della stanza.
Loki guardò suo fratello che teneva Mjöllnir, ancora fumante, in mano.
“Non lo fare! Ti ho detto di non intrometterti, Thor!”
Il suo fu più che altro un grido disperato, e quando il dio dei fulmini intravide gli occhi umidi del fratello tutta la sua forza venne meno.
“Loki attento!”
Il dio delle malefatte ebbe appena in tempo di voltarsi e vedere enormi serpenti magici scagliarsi contro di lui. Loki però fu veloce. Intercettò il colpo, e facendo ruotare lo scettro tra le dita deviò i serpenti che si abbatterono, in fiamme sul tetto della sala.
Ma quello era soltanto un diversivo, Loki se ne accorse da quanta poca carica magica i serpenti possedevano. Riabbassò lo sguardo e cercò di fare qualche passo indietro ma era troppo tardi. Gullveig gli era addosso. Mosse una mano e tracciò un segno sul petto del dio, esattamente sopra il cuore.
Non ci fu nessun effetto evidente e il dio reagì colpendola alla testa con lo scettro, e immobilizzandola a terra. Ignorando il groppo in gola liberò una scarica sopra il suo ventre.
L’essenza di Gullveig fu percorsa da capo a piedi dal suo incantesimo.
Il viso della donna si contorse, a causa del dolore.
“Mi hai preso, infine...?” gorgogliò, apparentemente senza forze.
“Vuoi ingannarmi ancora? Credi che sia stupido?!”
Gli posò le mani sulla pancia, abbandonando per un momento il suo scettro, e liberò tre, quattro scariche, ciascuna più tremenda dell’altra.
Quando decise di smetterla, tutto il suo corpo era imperlato di sudore freddo. Tremava da capo a piedi come se avesse subito lui quelle scariche.
Non osò sollevare gli occhi sulla donna, e si prese la testa tra le mani.
Era finito... era tutto finito ma... Cosa aveva fatto?!
Avrebbe permesso che quella donna lo incatenasse ancora una volta in quel fondo di disperazione che aveva provato fin troppe volte? Vale ancora la pena di continuare a lottare quando il tuo amore è morto, sotto le tue stesse mani, per giunta? Sarebbe riuscito a dimenticare ancora? Non voleva dimenticare...
Alzò lo sguardo afflitto su Thor, che lo prese come un via libera, e mosse qualche passo nella sua direzione. Loki si riprese il volto tra le mani. Fra pochi istanti suo fratello lo avrebbe stretto a sé, e lo avrebbe portato via da quel luogo di morte. Lo avrebbe consolato e gli avrebbe detto quelle sue solite frasi sentimentali che tanto detestava, e che lo facevano sentire strano. Magari gli avrebbe rubato anche un bacio...
Rialzò lo sguardo e gli si congelò il sangue nelle vene. Intravide un’ombra dietro le spalle del fratello, e un enorme cerchio magico attivarsi sotto di lui.
Non ebbe il tempo neanche per pensare che si scagliò su di lui, riuscendo a lanciarlo fuori dal cerchio. Loki però non riuscì ad uscirne in tempo. Intravide il ghigno di Gullveig e comprese che era caduto nel suo ennesimo gioco. Il corpo della strega, quello che aveva colpito, si dissolse, rivelandosi un altro sosia.
Sul volto del dio delle malefatte si dipinse un sorriso triste.
“Maledizione...”
 
L’onda d’urto fu spaventosa quasi quanto l’esplosione. L’aria dentro al cerchio divenne calda come acqua bollente, e un fragore mostruoso fece tremare tutta la struttura del tempio.
Thor, preso di sorpresa, era stato sbalzato contro una parete. Solo quando l’onda d’urto cessò comprese, con orrore, quello che era appena successo.
Loki si era sacrificato per salvarlo! Aveva abbassato la guardia, credendo che tutto fosse finito, e non aveva visto l’incantesimo attivarsi sotto i suoi piedi!
“Loki! Rispondi, Loki!”
La terra sopra le loro teste ancora tremava per l’enorme esplosione. Il pavimento di legno era orrendamente bruciato, e distrutto. Assi del soffitto erano crollate, precipitando fragorose a terra, mentre un’intera colonna si era staccata dal muro, rovinando sopra l’altare. Il fuoco cominciò ad avvampare impietoso.
Thor se ne accorse e si rese conto che quella casa sarebbe diventata di lì a poco un’enorme pira infuocata, un sarcofago di fiamme.
“Loki!” ogni muscolo era immobilizzato, lo sguardo fisso su quel cumulo di fumo nero che si sollevava da terra.
“Piccolo Thor... non piangere, ok? Tuo fratellino è morto da eroe... si è sacrificato per te, dovresti essere contento.”
La voce di Gullveig risuonò crudele e canzonatoria attraverso l’enorme sala. Ma Thor cercò di non ascoltarla.
Lei continuò, deridendolo:
“Non credevo che potesse essere davvero così sentimentale. Devi ammettere che il donare la propria vita, come ha fatto lui, per quella di un altro, beh... non è proprio quello che ci si aspetterebbe dal dio delle malefatte.”
“Infatti è quello che ci si aspetterebbe da Loki! Mio fratello! Non dal dio degli inganni!”
Ringhiò Thor, furioso come non mai.
“Ma guardati... fai pena, Thor. Loki non è neanche tuo fratello, come puoi dire queste cose?”
“Anche se non condividiamo lo stesso sangue lui è, e rimarrà per sempre mio fratello, strega!”
Strinse i denti, ma la loro attenzione fu catturata dal cerchio fumante, dal quale entrambi sentirono qualcuno sussurrare qualcosa.
Per un momento non sembrò succedere nulla, poi il fumo si mosse e fu come se qualcosa lo disperdesse.
Thor stette con il cuore in gola fino a quando non incontrò quello sguardo beffardo, e quegli occhi di giada.
“Loki... stai bene!”; “Sei vivo?!”
Rispettivamente esclamarono Thor e Gullveig.
“Sicuramente non grazie a te.” Disse Loki, rispondendo ad entrambi.
In mezzo al cerchio magico stava il dio delle malefatte. In piedi e apparentemente indenne, che si passava una mano tra i capelli corvini per sistemarli.
“Come...?!”
Loki le rivolse uno sorriso di scherno.
“Credi che tutti questi anni sia stato con le mani in mano? Guarda che bel gingillo mi sono fabbricato invece, durante i secoli della tua assenza...”
Sollevò appena il polso e mostrò alla donna, incredula, un braccialetto di rune nere, che brillavano come se fossero state lucidate a specchio.
“Ho impiegato 3 secoli per completarla, ma almeno è servito...”
Il braccialetto si corrose e alla fine si sgretolò come terra secca.
Gullveig ancora non si mostrava, e la sua essenza invisibile continuava a volteggiare nell’aria, in uno spazio indefinito.
Loki teneva lo sguardo fisso sulla volta, come se riuscisse a vederla.
“Thor, ora più che mai ho bisogno di te.”
Quell’improvvisa richiesta di aiuto fu subito raccolta dal fratello, che sembrava non vedere l’ora di menare le mani.
“Farò qualsiasi cosa, fratello!”
“Bene... allora promettimi questo, ossia che non interverrai per nessun motivo, chiaro? Nessuno!”
Thor vide lo sguardo di Loki oscurarsi, non era un buon segno, significava che aveva in mente qualcosa di pericoloso.
“Anche se le cose si metteranno male, non devi fare assolutamente niente. Piuttosto, guardami morire, ma non muovere un muscolo, non posso preoccuparmi anche di te... sei anche ferito...”
Sentirgli dire quelle cose era strano. Loki che proteggeva suo fratello? Non ne aveva mai avuto bisogno di essere protetto, il dio del fulmine... o almeno così aveva sempre pensato Thor.
“Loki, cosa hai intenzione di...”
“Promettimelo e basta, idiota! Questo è l’aiuto che devi darmi: non darmi alcun aiuto, intesi?!”
Gli scoccò uno sguardo collerico, e Thor fece di si con la testa.
“Bene... ora se permetti, vado a risolvere la questione. Tutta questa storia mi ha stufato.”
Mosse qualche passo verso l’altare e Thor non poté fare altro che sospirare e lasciarlo fare.
“Gullveig, ho preso la mia decisione.”
Tuonò, alla sala apparentemente deserta.
Il dio delle malefatte aprì stancamente le braccia e disse:
“Mi arrendo.”
“Cosa?!” si lasciò sfuggire suo fratello, subito zittito da un’altra occhiataccia.
“Cosa hai detto?” gli fece eco Gullveig, da chissà quale luogo preciso della sala.
“Mi hai sentito. Ho compreso di essere molto inferiore a te, le mie abilità magiche sono anni luce dalle tue. Non potrò mai batterti. Quindi mi offro come tuo sacrificio...”
“Vuoi essere il mio... sacrificio?” il tono di Gullveig era indecifrabile, ilare ed incredulo.
“Non combatterai più, e lascerai che io ti faccia ciò che voglio, e che tu meriti, tra l’altro?”
Loki mosse la testa in segno di assenso.
“Avevi detto di volere il mio cuore, di volermelo strappare dal petto... prendilo. È tutto tuo, ti è sempre appartenuto...”
Il dio delle malefatte si aprì la veste, mostrando lo stupendo petto bianco, marmoreo, e perfetto come solo quello di un dio può essere.
Loki sapeva che la runa che la donna gli aveva tracciato sopra il cuore, lo avrebbe reso incredibilmente vulnerabile. Era come se in quel momento il suo petto fosse fragile e mortale come quello di qualsiasi altro midgardiano.
Ma non poteva fare altrimenti.
Loki abbassò lo sguardo, e bisbigliò.
“Prendilo... non lo voglio più.”
Sentì Thor gridare, e capì che stava per succedere.
Che ironia, ancora una volta la vittoria in battaglia si riduceva alla riuscita dei suoi folli piani sconclusionati. Troppe volte aveva sfidato la signora Sorte, che quasi sempre si era dimostrata nei suoi confronti, una benevola dea protettrice. Sperava solo che quella non fosse la volta che la Fortuna gli sbattesse la porta in faccia.
Gullveig gli fu d’avanti, comparendo dal nulla. I suoi occhi bruciavano d’ira e di follia.
Gli prese i capelli e per il dolore Loki tirò la testa all’indietro, scoprendo il collo, e inarcando leggermente il torace.
Gullveig pugnalò quel petto bianco senza pietà, infilandovi una grossa lama di ghiaccio, e trapassandolo da parte a parte, esattamente dove si trovava il cuore.
Thor gridò ancora, ma Loki non lo sentiva più.
Pregò che funzionasse, perché se davvero l’amare quella donna era servito a qualcosa, forse era stato per questo...
Sentì il sangue colargli dalla ferita, e bagnargli il corpo freddo.
Sentì la mano lasciargli i capelli.
Loki barcollò contro l’altare e vi si appoggiò.
Abbassò lentamente lo sguardo, e vide la lama conficcata nel suo petto.
Per Odino, cosa diavolo stava facendo? Era questa la fine del dio degli inganni quindi?
Trovò incredibilmente il coraggio di alzare lo sguardo.
Da ciò che avrebbe visto dipendeva la sua vita, e il significato di quell’amore dissennato.



_____note dell'autrice (sì, è ancora viva)____________
Bene bene bene.... cosa abbiamo qui? un altro capitolo.. yuppieeeee!! Lo so.. sono una bastarda per aver fatto finire la storia in questo modo.. ma non ho saputo trattenermi.. ehehe.. XD Credo proprio che il prossimo capitolo sarà l'ultimo, quello ufficiale questa volta... E sicuramente ci saranno molti (dei pochi che mi seguono) che esulteranno di gioia sapendo che questo stillicidio finalmente è finito.. eheh.. non vi biasimo.. XD
cooooooomunque.. spero che abbiate gradito il capitolo.. e come al solito chiedo scusa per gli eventuali errori orrorifici che potrebbero essermi sfuggiti di mano... alla prossima my darlings!!! commentate!!!!!!!!! <3

p.s. la frase che faccio dire a Serena è islandese, e in pratica significa "Sciogliti, in nome di Tyr." ......più banale di così.. ^_^"

p.p.s sì, il titolo del capitolo fa proprio schifo.. fate finta che non l'abbia messo.. XD
Jack

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Capitolo 14
*** Lo Spirito della fine ***


Ebbene siii! commento a inizio capitolo come ai vecchi tempi... allooora.. io sono fedele alle promesse che faccio quanto Loki può essere il più sincero dio del Valhalla.. quindi per niente.. questo infatti è sì, il capitolo finale maaaa... a breve (si spera) uscirà il prologo.. e la fanfiction (FINALMENTE!!) avrà fine.. quindi continuate a seguirmi e non abbandonatemi! Nel prossimo cap la storia riprenderà i toni scanzonati che aveva prima dell'arrivo di Gullveig.. spero vi piaccia.. :)
Tornando a questo capitolo.. non so davvero se potrà piacervi.. lo giro e lo rigiro e... prego solo tutti gli dei di asgard che non vi faccia schifo.. XD faccio anche una preghiera accorata a tutti quelli che hanno aggiutno le storie tra le seguite e non mi hanno mai recensito di lasciarmi un commento questa volta.. essendo arrivata praticamente alla fine della storia vorrei sapere le vostre opinioni per migliorarmi... vi pregooooo ç__ç

Note per la lettura del cap:
La canzone che alla fine ho scelto.. è banale e ovvia.. ma non ho avuto un'idea migliore.. ringrazio comunque la valanga di consigli che mi avete dato.. vi giuro che ho ascoltato tutte le canzoni dalla prima all'ultima.. XD ma alla fine ho scelto REQUIEM FOR A DREAM.. CONSIGLIO: arrivate alla scena della fanfiction in cui comincio a dire che si sente una musica (vi metto un asterisco così capite dove aprire il link), quindi chiudete gli occhi, immaginatevi Loki, immaginatevelo per bene, e ascoltate questa qui---> 
http://www.youtube.com/watch?v=VMaNmalbEU0&list=FLZr1zol6RjTchslJquoN7qQ&index=5&feature=plpp_video 
Se proprio vi fa schifo scegliete un'altra canzone triste che pensate possa essere fatta per Loki.. io questa l'ho sempre vista perfetta per lui.. :)

Che altro dire se non Buona Lettura e grazie mille per tutto il vostro sostegno? Se non ci foste stati voi.. molto probabilmente la fanfiction non sarebbe mai arrivata così lontano quindi.. Grazie.. Grazie di cuore a tutti quanti.. A presto! :)
Jack


Lo Spirito della fine

Provai una dolorosissima fitta al cuore quando vidi quella scena.
Quando quella lama attraversò il petto di mio fratello, e lui non cercò di opporsi in alcun modo. Quasi mi sembrò di sentire il pugnale attraversargli il cuore, e all’istante mi mancò la terra sotto i piedi.
Mi aveva chiesto di non intervenire, me lo aveva fatto promettere ma... cosa stava facendo quell’idiota?!
Osservai con orrore Loki sbiancare, e il suo sguardo posarsi sul crudele artiglio che gli aveva aperto il petto.
I suoi occhi tradivano un velo di paura ed eccitazione, quindi era questo il suo piano?
Farsi immolare da quella strega? Farla finita, così?!
Loki barcollò indietro e si addossò all’altare, come se le gambe non riuscissero più a sostenerlo. Un rigagnolo di sangue gli bagnò le vesti e la lama candida.
Gridai, e mi precipitai verso l’altare.
Davvero mio fratello credeva che sarei stato con le mani in mano, guardandolo morire? No... Loki sapeva che sarei intervenuto, ecco perché aveva deciso di allontanarsi il più possibile da me, verso l’altare, dall’altra parte della sala.
Il suo respiro tremava, ma il suo corpo non sembrava essere attraversato da quel dolore che invece avrebbe dovuto provare.
Mi vide con la coda dell’occhio e alzò una mano, per dirmi di fermarmi.
Io quasi crollai a terra, inciampando sui miei stessi passi, per non avanzare oltre. Poi risollevai lo sguardo e la scena che vidi fu surreale.
Loki si risollevò dall’altare, e mosse qualche passo verso la strega. La sua andatura non sembrava quella di un dio ferito a morte, quanto piuttosto la trasognata andatura di Loki, un po’ sensuale, e un po’ sfacciata.
Sul suo viso pallido si aprì un sorriso bello come uno spicchio di luna.
Un sorriso di quiete, come se tutto fosse finalmente andato come doveva andare.
Gullveig lo guardava con un’espressione sconvolta, tremando come una foglia da capo a piedi. La donna indietreggiò e si mosse le mani al petto, smozzicando frasi senza senso.
“Cosa... cos...”
Attraverso le vesti svolazzanti ed incorporee della strega una larga macchia di sangue cominciò ad aprirsi sopra il suo cuore.
“Quale... quale inganno hai ordito... questa volta?!” riuscì alla fine a gracchiare, mentre il sangue continuava a colargli dalla ferita nel petto.
Loki sorrise, come raramente lo si vedeva fare, senza rancore, senza quella beffa eterna che gli toccava le labbra e gli deformava il viso. Sorrise dolcemente, e forse anche un po’ malinconico. Gli sfiorò il viso con una mano e bisbigliò:
“Nessun inganno, a te non ho mai mentito. Ti ho detto mille volte che il mio cuore era tuo. Ma non mi hai mai creduto...”
Loki estrasse il pugnale e la ferita si rimarginò quasi all’istante.
Gullveig invece cadde in avanti, rovinando sopra l’altare.
 
Nel frattempo la sala era diventata, come avevo immaginato, una trappola di fuoco. Lanciai uno sguardo angosciato verso mio fratello, che mi fece un segno col capo.
Ci dirigemmo a grandi falcate verso l’uscita. Le fiamme lambivano le pareti come una rossa carta da parati, le enormi colonne scricchiolavano terribilmente, e la struttura sembra ruggire del boato dell’inferno.
Arrivati in cima alle scale non fu difficile liberare il passaggio. Bastò un colpo del mio Mjöllnir e ci ritrovammo nella casa, già sommersa da un fumo nero come la pece.
Uscii fuori e respirai a pieni polmoni, risollevato sia nel corpo che nello spirito convinto com’ero che tutto fosse finito così. Ma mi sbagliavo. Dopo qualche passo sulla radura non sentii più la presenza di mio fratello, mi voltai ed ebbi appena il tempo di vederlo scomparire di nuovo dentro la casa.
“Loki? Dove stai andando?!”
Lo chiamai più volte, inutilmente. Tornai indietro ma un’enorme trave di legno chiuse l’entrata. Avrei abbattuto ogni cosa con il mio martello, ma temevo che Loki potesse rimanere inevitabilmente colpito. Feci il giro della casa, col cuore in gola.
Perché sei tornato lì dentro, Loki... perché?!
Poi mi ricordai improvvisamente di chi avevamo abbandonato dentro la vecchia casupola di legno...
Serena è ancora lì dentro!
Mi maledissi, e cercai disperatamente una seconda entrata.
 
Quell’idiota di mio fratello... e dovrebbe anche essere il guardiano di Midgard! Il dio benevolo e giusto, che protegge le vite di questi piccoli vermi?! Ma se non si ricorda neppure di una ragazza svenuta e ferita!
La stanza era diventata una cappa di fumo mortale. Avvertii un fastidioso groppo in gola, ma non volli ammettere a me stesso che fosse preoccupazione. Non ci volle molto per trovare la ragazza. La sollevai da terra e avvicinai un orecchio al suo viso. Aveva respirato molto fumo, ma stava bene. L’importante ora era portarla via di lì il più in fretta possibile. Il dio delle malefatte che si preoccupa della vita di un'insignificante mortale... posso cadere più in basso di così?!
La tirai su in braccio, e mi parve più leggera di quanto pensassi.
Guardai indietro, alle mie spalle, e mi accorsi che l’ingresso ormai era andato. Di utilizzare le finestre della casa come uscite di emergenza non se ne parlava, il fuoco aveva già avvampato sulle pareti, trasformando la stanza in un enorme gabbia infernale.
Sentii dei tuoni rompere il cielo sopra di noi, come se la volta si spaccasse in due, e mi nacque un sorrisetto sulle labbra.
Thor... è mai possibile che ti debba sempre far riconoscere? Il tuo desiderio di protagonismo alla “sono il figlio di Odino, e questo mi permette di fare tutto il casino che voglio” è inferiore soltanto al tuo sentimentalismo da donna incinta.
Meglio non parlare perciò di quando ti va il sangue alla testa e t'infuri... in quei casi i fulmini si sprecano.
Creai un portale sul pavimento con pochi e semplici gesti. Ora che avevo riacquistato la mia forma divina sarebbe stata una passeggiata uscire da quel posto. Le rune tremarono e poi, collegandosi tra loro come una rete invisibile, il pavimento contenuto nel cerchio divenne di una strana sostanza gelatinosa.
Vi posai delicatamente il corpo di Serena, che vi sprofondò, scomparendo alla vista. L’incantesimo avrebbe portato la ragazza fuori di lì, in salvo, e la stessa cosa avrebbe dovuto fare con me. Mi trovavo di nuovo nella mia forma divina, questo è vero, ma le fiamme sono dannose anche per creature come noi.
Dopo aver rinnovato le rune, per allungare l’incantesimo, stavo per distender mici sopra quando qualcosa catturò la mia attenzione. Delle fiamme danzavano, sopra l’ingresso della grotta sotterranea, come se mi dicessero di avvicinarmi. Imposi una runa di stallo, per tenere l’incantesimo in equilibrio per una manciata di minuti, dovevo vedere quello che stava succedendo.
Mossi qualche passo in direzione delle fiamme, e ne percepii una coscienza dentro. Come se fossero un pozzo ricolmo di sensazioni e di passato.
All’interno di quelle lingue di fiamma guizzò una scintilla bianca, come un piccolo fuoco d’artificio, che dopo essersi spento in aria, ricadde come un fiocco di neve. Lo osservai cadere, e come in tralice, tesi una mano per prenderlo prima che cadesse.
 
“Loki...?”
“Come, mio signore?”
Il servo che stava servendo la cena al padre degli dei ostentò un rispettabile inchino, credendo che la domanda fosse stata posta a lui.
Odino divenne scuro in volto e posò la forchetta che un secondo prima era sospesa a mezz’aria, diretta alla bocca.
“Marito mio, c’è qualcosa che non va?”
Chiese Frigga, posando una mano gentile sui pugni chiusi del padre degli dei.
Il re gli diede solo uno sguardo, per poi riabbassarlo verso il piatto.
“Non lo so... devo sapere.”
Detto questo si alzò di tavola, e senza degnarsi di dare altre spiegazioni, lasciò la sala, e i suoi convitati, a grandi falcate.
Pochi minuti dopo il re si trovava al Bifrost.
Doveva chiedere consiglio al suo fidato amico e guardiano.
“Heimdall, ho bisogno dei tuoi occhi.”
“Si tratta di Loki, non è vero?”
“Sì, voglio che tu guardi verso Midgard, e mi dica come sta succedendo.”
“Cosa turba il tuo cuore, mio re?”
“Ho paura per i miei figli... pochi minuti fa ho sentito come se... avessi perso Loki.”
“Guarderò verso Midgard per te.”
I potenti occhi del guardiano scrutano le profondità dell’universo, ne svelano i segreti più intimi, ne rubano le verità nascoste, sbirciando dalla toppa della porta dell’universo.
Superano mondi e regni governati dalle più disparate creature, fino ad arrivare su un piccolo pianeta azzurro, popolato da ingenue creature mortali.
“Mio re... ho guardato fino alla Terra, come mi avevate detto.”
“Ebbene?”
“Thor è in salvo ma... i miei occhi non sono riusciti a trovare Loki.”
“Che significa dunque, c’è di mezzo la magia infernale di quella strega portatrice di sventure?”
“Forse... ma non posso dirlo con certezza. Tutto quello che so è che Loki ora si trova sospeso in un luogo senza tempo, dove il passato si fonde col presente, e le parole non hanno peso. La sua coscienza è stata annullata, e se non tornerà vigile presto non potrà più tornare indietro.”
Un enorme cerchio magico si attivò a pochi passi da Heimdall e dal re.
Le rune ruotarono e divennero di fuoco per poi far comparire nel mezzo un gruppo di uomini frastornati e confusi. Il cerchio si fermò e rivelò i suoi ospiti.
I quidici guerrieri asgardiani, catturati dall’incantesimo di Gullveig si ritrovavano ora tutti insieme ad Asgard. In realtà quel cerchio non aveva voluto ucciderli, la strega non aveva la forza sufficiente per un incantesimo di una simile portata, ma soltanto di rallentarli, riportandoli a casa.
Odino comprese che la situazione era delle peggiori.
“Heimdall! Attiva il Bifrost! Andiamo immediatamente su Midgard!”
I quindici guerrieri capirono che si riferiva anche a loro, e si avvicinarono al re.
Il guardiano fece come gli era stato ordinato, ma prima di attivare il portale parlò a Odino dicendo:
“Padre degli dei, dovete sapere una cosa su Loki. L’unica possibilità di salvezza per lui è trasformarsi in uno Spirito della fine.”
“Ma questo significa...”
Il guardiano fece un solenne segno di assenso, e incontrò lo sguardo sorpreso e in apprensione del suo re. Poi fece qualche passo indietro e fece partire il Bifrost.
 
I raggi del sole s'intrecciavano alle foglie degli alberi come se l’ingioiellassero.
Questo era il mio luogo secreto, dove potevo fuggire quando le cose non andavano bene. Una piccola radura nascosta tra gli alberi secolari di Asgard, nel giardino del nostro palazzo. Qui nessuno mi aveva mai trovato, neppure Thor.
L’erba è soffice come un cuscino di seta, e ci appoggiai il viso, ascoltando i fili d’erba che crescevano tra le mie dita.
Thor quel giorno mi aveva proprio fatto arrabbiare. Mi aveva preso in giro di fronte ai suoi amici e mi aveva detto cose brutte, solo perché non volevo andare a giocare con loro. In realtà vorrei stare insieme a loro, avere degli amici ma... Sif e gli altri mi trattano sempre male, e mi evitano.
Odio i loro sguardi. Quando si posano su di me mi sento strano, come se fossi colpevole solo per il fatto di esistere. Mio fratello non si accorge di me, ed io mi sento terribilmente triste ogni volta che mi lascia solo.
Mi stringo e mi raggomitolo su me stesso.
Oggi non voglio vedere nessuno.
Resterò tutto il tempo qui, fino a notte fonda, come se non esistessi. Forse sarebbe meglio per tutti se fosse così...
Accarezzo l’erba morbida e un vento lusinghiero mi bacia la testa.
Mi ero quasi addormentato quando sentii la voce di mio fratello.
Sta chiamando il mio nome! Mi sta cercando... Thor mi troverà se non faccio qualcosa!
Mi arrampico sopra il grande albero della radura.
Tra le sue spesse fronde non mi potrà vedere, non voglio che mi veda!
“Loki...! Dove sei?”
Faccio appena in tempo a scomparire tra le foglie che Thor sbuca nella radura.
Ha il fiato corto e l’aria preoccupata.
“Loki... so che sei qui... ti prego vieni fuori...”
Mi raggomitolo contro l’albero.
Sei solo un secchione, fratello! Stai sempre a studiare, sei noioso!
Il ricordo fa male, e sento il viso bagnarsi di lacrime.
Ti odio, Thor...
“Loki! Ho sbagliato a dirti quelle cose... è che c’erano Sif e gli altri... Mi dispiace, va bene?”
“No, che non va bene! Sei solo uno stupido, Thor!”
La bocca parla da sola, e la voce è raschiata dalle lacrime, i singhiozzi non si fermano più.
“Loki stai... piangendo?”
“Cosa t-te ne importa... t-torna dai tuoi amici...”
“Ora non voglio stare con loro, voglio stare con te...”
“Hai d-detto che sono noioso, p-perché vuoi stare con me?”
Thor si arrampica agilmente sopra l’albero, venendo verso di me. I suoi capelli sono così luminosi che sembrano essere fatti d’oro.
“Non è vero che sei noioso, a me piace davvero tanto la tua compagnia! Ecco perché ti chiedo sempre di venire con me e gli altri...”
Mi stringo al ramo e distolgo lo sguardo da lui.
“Loro non mi vogliono, pensano che io sia strano.”
“Beh, io non lo penso. Anzi, credo che tu abbia una dote innata...”
“Cosa?”
“Quelle cose che fai... magia, no? Fammi vedere qualcosa... ti prego!”
Le lacrime si fermano e rivolgo lo sguardo verso Thor.
Quando mi supplica così non posso che accontentarlo.
Prendo una foglia tra le mani e ne accarezzo i lembi, pronunciando una vecchia parola magica, letta su un libro di fiabe elfiche.
Quella sembra accartocciarsi e ripiegarsi in se stessa come se morisse.
Poi con un movimento fluido la foglia diventa una piccola fata verde, dagli occhi luminosi e le orecchie a punta. Si stiracchia le ali iridescenti e prende il volo girandoci intorno.
Thor rimane estasiato a guardarla, lasciandosi sfuggire un lungo “Oooooooh”.
Io ignoro la fata e guardo quegli occhi, limpidi come la più bella fonte di Asgard.
“È bellissima, fratello! Sembra essere uscita da uno dei libri di fiabe che ci legge nostra madre! Sei incredibile!”
Il suo sguardo si posa su di me, e mi sorride luminoso, con gli occhi che gli brillano.
Sento il viso andarmi completamente a fuoco, non sono abituato a manifestazioni d’affetto così sincero, neanche da parte sua, e credo che non mi abituerò mai.
“D-Davvero...?!”
“Certo! Ma ora scendi... nostra madre ti sta cercando, ed erano tutti terribilmente preoccupati!”
Mi permetto di guardare Thor un momento di più, poi gli sorrido e cerco di rispondere con il suo stesso entusiasmo.
“Si!”

Thor va per scendere dall’albero ma un ramo si spezza e lui cade.
Grido il suo nome, con il cuore che mi schizza in gola, ma non posso fare niente.
Thor cade 15 metri più in basso con un colpo devastante. Sbatte la testa e muore sul colpo. Il suo corpo si trova a pancia in su, e ora mi guarda con  uno sguardo vacuo, terrificante. Un rigagnolo di sangue gli cola dalla fronte, ed  io non faccio che tremare.
Non doveva finire così... dovevamo scendere dall’albero indenni, e andare a giocare! Ricordo che doveva succedere questo! Cosa sta succedendo...?!
 
La stanza è buia. Dalla finestra entra una luce inquietante, e l’enorme luna che si affaccia attraverso sembra voler entrare dentro la mia stanza.
Non riesco a dormire questa notte. C’è qualcosa che freme dentro di me, e che mi fa sentire inquieto. Ho provato a chiedere a mio padre perché mi sento così, ogni volta che la nostra luna si trova in allineamento con il regno dei giganti di ghiaccio, ma lui non mi ha mai risposto. Di solito cambia argomento distogliendo lo sguardo, come se avesse un peso a gravargli sul cuore. Ho deciso che non glielo chiederò più... ma questa notte è davvero insopportabile.
Ho la fronte imperlata di sudore freddo a causa della febbre che mi costringe a letto da quattro giorni ormai.
Sento la porta cigolare e la guardo, senza riuscire a vedere chi sia ad averla aperta.
“Loki... posso venire nel tuo letto...?”
La voce di Thor riempie il gelo che avvolge la stanza.
Io non rispondo e fingo di dormire.
Sento mio fratello infilarsi sotto le coperte e avvicinarsi a me.
“Lo so che non stai dormendo, Loki... quando lo fai il tuo respiro diventa lento e regolare... ora invece... Stai male?”
“Ho solo tanto freddo, Thor... torna nel tuo letto, altrimenti ti ammalerai anche tu.”
“Sai bene che io non ho mai preso un’influenza in tutta la mia vita... vieni qui.”
Mi prende tra le braccia e mi stringe a sé, facendomi affondare il mio viso nel suo petto.
“Sei freddo come un pezzo di ghiaccio, ti devo riscaldare... va meglio?”
Annuisco senza alzare il viso, perché sono imbarazzato a morte. Non so se odiare o amare questi gesti... cosa dovrei fare? Cosa si aspetta da me? Quando Thor mi abbraccia mi sento protetto, il mio fratellone è forte e caldo come una stella.
Thor è il mio sole personale.
Sento il calore del suo corpo contro il mio, ed è come un bagno termale. Mi ritempra il cuore e lo spirito.
Mi accarezza la testa piano, passandomi le dita tra i capelli. Io mi aggrappo a lui, pronto a respingerlo, ma senza avere la forza per farlo.
“Loki... quando stai male ti vedo sempre strano, come se pensassi a qualcosa di molto brutto... cosa succede?”
Sbuffo contro il suo petto, non volevo parlarne.
“Nulla, non ti preoccupare... domani starò meglio.”
“Ti prego... dimmelo...”
Alzo un attimo lo sguardo e incrocio i suoi occhi, chiari anche nella notte più nera.
Riabbasso lo sguardo e soffoco il viso sull’incavo del suo collo.
Thor rimane un attimo interdetto, ma poi mi stringe ancora di più a sé.
“Quando Jötunheim è così vicina ad Asgard, tanto che se guardi il cielo sembra quasi che tu la possa toccare, sto male... mi sento come se degli artigli ghiacciati mi trafiggessero la pancia.”
“È normale?”
“È come un richiamo, un legame che si stringe attorno al mio petto e mi reclama verso quel mondo di mostri. Ho paura Thor... ho paura che un giorno i giganti vengano a prendermi...”
Avevo iniziato a tremare, ma ingoiavo le lacrime, perché non volevo mostrarmi, di fronte a mio fratello, più debole e stupido di quanto già non lo sembrassi.
“Loro mi vogliono... vogliono portarmi via... non capisco il perché, ma è come se gli appartenessi... e allora... allora... sento la testa girarmi e un gelo orribile mi ghiaccia il sangue e...”
Thor mi fa alzare il viso e avvicina il suo al mio.
Mi manca il respiro, le parole e i singhiozzi s'interrompono a metà.
Sento il suo respiro caldo, che sa di girasoli, contro la mia pelle, ma non so cosa fare.
“Nessun gigante ti porterà via, fino a quando ci sarò io a proteggerti, chiaro? Veglierò su di te per sempre ed io sarò sempre dalla tua parte, qualsiasi cosa accada. Mi hai capito?”
Era così vicino che le sue labbra quasi toccavano le mie, il cuore sembrava volermi uscire dal petto. Bisbigliai un sì strascicato, ma mi sentivo la bocca impastata.
“Quindi avrai più paura dei giganti?”
“...no...”
Thor sorrise, accarezzandomi la testa, e tenendomi il mento con una mano.
“Lo vuoi un bacio della buona notte, fratellino?”
Per fortuna mi trovavo già nel letto, perché se fossi stato in piedi non credo che sarei riuscito a rimanerci a lungo, con i capogiri che mi assalirono il cervello in quel momento.
“Io... ehm... cosa...?”
“O sì, o no.”
Mi morsi le labbra e bisbigliai:
“...si.”
“D’accordo, ma vorrei che me lo dessi tu, Loki...”
Boccheggiai e cercai di allontanarmi ma Thor mi riavvicinò a sé.
“Per favore...”
Thor non chiedeva mai per favore, e anche adesso, sebbene avesse il tono gentile, non stava chiedendo qualcosa, lo stava pretendendo.
“Ok, te lo do io... il bacio...”
Ringraziai la notte per il fatto che stesse nascondendo almeno in parte l’imbarazzo che, ne ero certo, mi aveva fatto avvampare il viso.
Mossi le mie mani sul suo collo, e gli accarezzai la piega della mandibola.
Come un fulmine gli lasciai un bacio sull’angolo delle labbra, e poi mi richiusi a palla contro il suo petto.
Thor lì per lì rimase sorpreso, poi lo sentii ridere di gusto.
“Non mi prendere in giro, Thor!”
“Loki, non si fa così! Lascia che t'insegni...”
Mi prese il viso tra le mani e annegò le sue labbra sulle mie.
Annaspai contro di lui, terrorizzato da quel contatto che in parte mi piaceva.
Restò così molto a lungo, muovendo dolcemente le sue labbra sulle mie. Quel bacio della buona notte mi piaceva da morire, era come bere un bicchiere di latte caldo con miele quando si sta male. Non so quanto tempo mi baciò, so solo che mi fece andare a fuoco le labbra, e che alla fine mi addormentai.

Le sue braccia divennero di fuoco, mi bruciavano la carne come se fossero state arroventate. Gridai ma non potevo fuggire, ero troppo debole.
Thor mi guardava con un sorriso crudele dipinto sul volto, come se gioisse della mia sofferenza. Non deve andare così... cosa centra questo ricordo? Le cose non sono andate così. Cosa diavolo sta succedendo?!
 
Un’enorme giardino all’inglese.
Un tavolo bianco, con sopra stoviglie di porcellana pregiata. Teiere, tazzine, tazze, cucchiaini, piatti e piattini, decorati da disegni floreali di piccole rose selvatiche: il corredo di mia moglie, a cui lei tiene particolarmente.
In primavera siamo soliti ritrovarci tutti i giorni qui, per assaporare quel tè delle Indie che ci riportò suo zio, dopo la sua terza luna di miele.
Gullveig mi sorride affabile, la tazzina a mezz’aria, tenuta con destrezza da quelle piccole mani guantate di lino bianco.
“Come va il lavoro, tesoro? Quell’impiegatuccio di città ti ha dato ancora fastidio?”
Finisco di sorseggiare il mio tè, è davvero bollente...
“No, ho risolto tutto... non ti preoccupare. Era solo un idiota che si illudeva di essere qualcuno. A te è successo qualcosa di più interessante, cara?”
Gullveig mi sorride e si anima in un momento, emozionata come una bambina.
“La signora Kingsley mi ha parlato di quanto la nostra famiglia gli sia piaciuta, e ci ha invitati al suo party, di giovedì prossimo, non è stupendo?! L’insegnante privato di Agata ha detto che nostra figlia ha un talento naturale per la musica, mentre di nostro figlio Oliver ha detto che è un vero e proprio genio.”
Sento la cravatta darmi fastidio, e cerco di sistemarla perché mi va stretta...
“Amore... c’è qualcosa che non va?”
“No, certo che no, tesoro, ma... potresti ricordarmi un momento chi è la signora Kingsley?”
“Loki, come fai a non ricordare?! È la nostra nuova vicina! Quella donna spropositatamente ricca che abbiamo incontrato anche alla partita di cricket... non puoi non ricordarla!”
“Devo avere un piccolo vuoto di memoria, perdonami, amore...”
“Non fa niente... sei così sbadato questi ultimi giorni...”
“Sbadato? Perché cosa... cosa ho fatto questi ultimi giorni?”
Mi risistemo la cravatta e Gullveig mi lancia uno sguardo feroce.
“Certo che fa davvero caldo qua fuori, non trovi?” aggiungo.
Lei sgrana gli occhi e scrolla le spalle.
“No, davvero. Anzi, io comincio a sentire un po’ freddo... credo che andrò a prendermi uno scialle, vieni con me... Loki?”
“Sì, certo...”
Seguo mia moglie attraverso il vialetto lastricato di pietra.
Una villa, anch’essa rigorosamente bianca, si apre di fronte ai miei occhi.
“Stasera abbiamo una cena di beneficienza, siamo già in ritardo... chiama Agata e Oliver e poi andiamo...”
“Gullveig, io... mi sento strano, come se ci fosse qualcosa che non va.”
Lei non mi degna neanche di uno sguardo e dice, salendo le scale:
“È la tua stramaledetta pressione bassa, nulla di cui preoccuparsi... ora vai a chiamare i nostri figli!”
“I nostri figli...”
Vagai per quella casa senza ben sapere dove andare. Mi sentivo davvero strano, e non riuscivo a spiegarmene il motivo.
So che questa casa è la mia, Gullveig è mia moglie, ed io ho due bellissimi bambini, e so che la signora Kingsley è un’ottima aristocratica, la cui amicizia ci garantirà uno status sociale di ottimo livello... quasi non sembrano miei questi pensieri.
Il caldo che sentivo cominciava a farsi rovente. Appoggiai il palmo della mano ad una parete e sentii che era gelata.
Ma non è la casa ad essere calda... sono io ad andare a fuoco...!
“Papà?”
Una voce timida e cristallina come il tintinnare di bicchieri per lo champagne mi riscuote dai miei pensieri.
È una bambina dai capelli biondi e gli occhi grigi, una bocca piena e rossa.
Subito la mia mente mi viene in soccorso e mi dice: Agata.
“Papà... vuoi venire a vedere quanto sono diventata brava al piano?”
Il sorriso ritardatario che arriva sulla sua bocca è innaturale come quello di un automa, ma acconsento alla sua richiesta. La piccola, inciampando sui suoi passi in un modo quasi dolce, mi trascina nell’enorme salotto, dominato al suo centro da un pianoforte a coda bianco, con i tasti neri. Agata si avvicina al piano mentre io mi guardo in giro.
Sul divano sta un ragazzino dalla faccia birichina, con lentiggini impertinenti che gli colorano il viso, e dagli occhi di un verde cangiante.
Lui è Oliver.
Solleva appena lo sguardo dall’enorme volume che sta aperto sulle sue gambe.
Mi siedo accanto a lui con fare automatico.
“Cosa stai studiando, Oliver?”
“Fisica aerospaziale e meccanica quantistica, una lettura disimpegnata... papà, grazie per avermelo prestato.”
Lo avevo fatto?
“Non c’è di che... posso prestarti tutti i libri che desideri.”
Agata inizia a pigiare sui tasti, ma invece della banale musica che mi aspettavo di sentire dal piano uscì un’intricata melodia, composta da arpeggi e scale vertiginose. Le dita della piccola Agata sembravano quasi volare sopra la tastiera. Ne rimasi incantato.
Mia moglie fece capolino dalla porta della sala. Entrò a passi lenti, indossando un lungo vestito da sera, blu notte, con strass che sembravano stelle cucite sulla stoffa.
Fece un giro su se stessa e mi guardò da sotto le lunghe ciglia nere.
“Come sto?”
“Sei divina...”
“Troppo gentile.” Scherzò, dandomi un lieve buffetto sul viso.
Mi si sedette vicino, prendendomi la mano.
Ascoltavamo tutti la melodia incantevole di Agata ma io... non riuscivo a rilassarmi. Ed anzi tutta quella storia mi sembrava sempre più strana. Cosa stava succedendo lì?
Mi sentivo come un attore su un palco di teatro.
Mi guardavo attorno e la mia testa mi continuava a suggerire: è stupendo, bellissimo, la tua vita è bellissima.
Ma quella non era la mia vita... quello non ero IO!
Sentii qualcosa scalpitare dentro, qualcosa che si ribellava e ingiuriava contro tutta quella nauseabonda artificiosità.
Scattai in piedi allontanandomi velocemente da quella donna serpente che mi sedeva accanto.
Gullveig mi guardò sorpresa, ma non tradì un’emozione.
“Cosa... cosa mi hai fatto, questa volta...?”
“Di cosa stai parlando, Loki, non capisco...”
Mi salì il sangue alla testa ma mi controllai. Dovevo capire cosa c’era che non andava.
“Non fingere. Non. Farlo. So che tutto questo non è reale...”
La mia testa mi suggerì che avevo appena detto una cavolata, ma sapevo che stava sbagliando. Gullveig rise, e si coprì la bocca con un gesto delicato.
“Loki, sei proprio un marito divertente! I convitati di questa sera apprezzeranno davvero molto la tua compagnia, ora però andiamo, si è fatto tardi.”
Gullveig si era alzata in piedi e già si dirigeva verso l’uscita.
Io la bloccai per un polso e la strattonai, scoprendo che quel contatto mi nauseava.
Appena la toccai Agata smise di suonare.
“So che non è reale! Lo sento in ogni fibra del mio corpo ma...”
“Loki, mi stai facendo paura...” gli occhi della donna si riempirono di lacrime.
“E allora spiegami perché mi sento così! Come se avessi appena perso qualcuno di importante... spiegami!”
“Stai rovinando tutto, Loki... smettila! Non volevi vivere così? Come una vera famiglia? Non sarebbe stato bello?!”
“Ma cosa stai dicendo?”
“Avremmo potuto avere questo e tanto di più. Il nostro amore sarebbe stato imperituro, ma tu hai deciso di tenere di più a tuo fratello che a me!”
“Quale... quale fratello?”
“Ah! Non farmi credere che ora non ricordi più chi sia! È quel biondo senza cervello che dovrebbe proteggerti, ma che ancora una volta non ci riesce! E di cui non riesci a fare a meno ed io... io...”
Gullveig scivolò a terra lentamente, con lacrime che sembravano sincere a rigargli il volto.
“...ed io mi sono stancata di provare ad ingannare il dio degli inganni, senza riuscirci...”
Presi il viso della donna tra le mie mani e la guardai negli occhi.
“Gullveig... come si chiamava mio fratello... ti prego di dirmelo...”
“Che importanza ha? Tanto non potrai mai più uscire dalla dimensione in cui ti ho portato... abbiamo un’eternità da passare l’uno a fianco dell’altra. E che tu lo voglia o no le cose non possono cambiare.” Per la prima volta non vidi nessuna ombra di crudeltà negli occhi della strega, e mi resi conto che era davvero stanca e addolorata.
“Gullveig, dimmelo. Dimmi il suo nome, ti supplico... sto andando a fuoco...”
“Cosa stai...?”
Mi portai una mano al petto, delle fitte terribili me lo attraversarono come scosse elettriche.
“Cosa mi stai facendo ancora? Ho il petto in fiamme... come se avessi un tizzone dentro i polmoni.” Crollai a terra, e Gullveig mi prese appena in tempo.
“Loki? Loki, che succede?! Io non sto facendo proprio niente...!”
“Dimmi il suo nome perché se no... non credo che avremo l’eternità ma solo altri pochi attimi...” rantolai.
Gullveig sembrava per la prima volta spaventata e preoccupata per la mia incolumità, nonostante avesse provato più volte ad ammazzarmi, e mi abbia torturato un numero imprecisato di volte.
“Come desideri, amore mio... tuo fratello si chiamava... Thor.”
Il petto mi esplose in un climax di dolore atroce. Era come sentirselo squarciare da lame arroventate.
“Brucio... Gullveig... aiutami...!”
“Per gli dei... Loki tu stai... diventando uno...”
“Gullveig...”
Mi aggrappai a lei con tutte le mie forze, ma quello era il dolore più atroce che avessi mai potuto provare.
“Sento l’anima che... che...” ansimai, senza fiato.
“Va tutto bene, Loki... calmati, passerà! E dopo starai meglio... Passerà. Va tutto bene.”
Mi prese tra le braccia e mi cullò, ma solo una cosa riusciva a passarmi per la mente, ed era: No, non va tutto bene.
 
“LOKI!”
“Thor, smettila ti prego!”
Serena provò a fermarlo, ma Thor sembrava impazzito.
Il dio dei fulmini aveva visto la ragazza comparire da un cerchio magico, e già aspettava trepidante l’arrivo di suo fratello. Ma Loki non venne. Le rune, dopo neppure dieci minuti, tremarono, e si spensero lentamente, lasciando dentro il dio soltanto un senso crescente di angoscia.
Non fece in tempo neppure a voltarsi verso la casa in fiamme che un’esplosione l’aveva divorata. Fiamme verdi distruggevano carbonizzando ogni cosa, e Loki era ancora là dentro. Ora Thor stava cercando in ogni modo di tornare in quella casa infernale, provando anche a buttarsi tra le fiamme, ma queste lo rimandavano ogni volta indietro, respingendolo.
E questo non perché il calore che bruciasse la pelle di Thor fosse così insopportabile, ma perché quel fuoco nasceva da una malia oscura e potente, contro cui il dio dei fulmini non poteva nulla. Ma naturalmente il grande cuore del dio non avrebbe mai accettato di essere impotente, in una situazione del genere. Agitò Mjöllnir in aria e una tempesta di aspetto apocalittico si abbatté sulle povere colline. Acqua scrosciante, come fiumi dalla diga rotta, rovinarono sulla valle, senza pietà, ma le fiamme non si spensero.
Allora Thor abbatté il suo martello a terra per ben tre volte. Una crepa si aprì nella terra, come una strada verso gli inferi, facendola tremare, ma non servì neppure questo.
Serena, che nel frattempo si era, almeno in parte, ristabilita, cercava di parlare al dio e di farlo calmare, senza ottenere alcun risultato, naturalmente.
Dopo l’ennesimo tentativo Serena si frappose tra il dio e la casa in fiamme.
“Smettila Thor! Non puoi fare niente per lui...”
Il dio era furioso, la sollevò di peso, urlandole contro tutta la sua frustrazione.
“Loki è ancora là dentro! Vuoi che lo lasci mio fratello morire?! Vuoi che mi arrenda?!”
Il ringhio del dio si ripercosse nell’aria soffocata dalla pioggia.
Lo sguardo feroce di Thor incontrò quello supplichevole e pieno di lacrime della ragazza.
“Certe volte è difficile ma.... è l’unica cosa da fare... perché siamo solo uomini...”
Il dio biondo scaraventò in malo modo Serena a terra, dietro di sé, e ripartì alla carica verso la casa, ora diventata una vera e propria torcia di fuoco.
Un boato spaventoso spaccò il fragore del temporale, e fra Thor e la casa si frappose tutta la guarnigione asgardiana, nel loro più fulgido splendore.
Odino era di fronte a suo figlio, e sembrava possente e forte come se i suoi muscoli fossero stati di granito, e la sua espressione autoritaria fosse scolpita nel marmo.
“Padre, cosa ci fai tu qui?”
“Thor, figlio mio, dimmi tu piuttosto... cosa stai tentando di fare...”
“Sto cercando di salvare Loki! Si trova lì dentro, e tutto per colpa mia!”
La voce di Thor era rotta dall’angoscia, ma il padre degli dei rimase impassibile nell’esternare i propri sentimenti.
“No, Thor... stai cercando di fare l’impossibile.”
“L’impossibile...? Cosa stai dicendo?!”
“Loki non può essere salvato, non da noi... non questa volta, lo capisci?”
Thor strinse i pugni e fissò un momento di troppo lo sguardo severo di suo padre.
“Padre, noi dobbiamo aiutarlo! Non può farcela da solo!”
Il tono di Thor si era alzato, e praticamente ora strava gridando.
“Te lo ripeto. Noi non possiamo fare NIENTE.”
Quella parola tuonò come un ordine che non ammetteva repliche.
Il dio biondo guardò sconvolto l’espressione dura del padre, e poi fece un mezzo passo indietro.
“Ora ho capito, padre... Loki ha sempre avuto ragione su tutto! E anche su di te non si sbagliava! Solo perché nelle sue vene non scorre il nobile sangue della nostra stirpe, ma quellobastardo dei giganti di ghiaccio, ti da il diritto di decidere della sua vita?! Ti dimenticherai così facilmente di colui che per te è stato come un figlio per tutti questi anni, senza il minimo rimorso?! Tu non lo hai mai amato! Loki per te non vale più di un verme!”
Il colpo arrivò fulmineo e devastante sul volto di Thor, che crollò a terra. Il dio si posò istintivamente una mano sulla guancia, arrossata per lo schiaffo. Quando però Thor rivolse di nuovo lo sguardo sbalordito su Odino, non vide più il poderoso e possente padre degli dei, in tutta la sua forza. Vide un padre devastato dal dolore per non poter far nulla se non atteggiarsi a re, e nascondere la sofferenza profonda che provoca la perdita di un figlio.
“Non provare mai più... a parlarmi in questo modo, Thor.”
La voce severa però era rotta da una commozione a stento trattenuta.
Thor abbassò lo sguardo, colmo di vergogna.
“Perdonami, padre. Sono stato uno sciocco.”
La pioggia continuò a scrosciare sulle figure immobili nella radura. Mentre il fuoco sfrigolava impietoso alle loro spalle, come se stesse festeggiando la propria vittoria.
Odino si mise a sedere accanto al figlio, e la guarnigione, si accampò poco più lontano.
Lo sguardo limpido del padre degli dei si perse tra le fiamme.
Ora che Thor lo guardava meglio, ogni fibra del corpo di suo padre sembrava tradire un’apprensione sofferente.
“Padre, cosa sta succedendo a Loki? Posso saperlo?”
Odino si riscosse e lanciò un’occhiata sfuggente a suo figlio, poi sospirò, e abbassò lo sguardo.
“Credevo che sareste riusciti a sconfiggere Gullveig da soli. Credevo che non fosse in grado di mettere fuori i guerrieri più potenti di Asgard, assieme ai miei figli... così come credevo che quella strega fosse morta davvero nel suo rogo. Ma ancora una volta ho paura di averla sottovalutata.”
“Padre?”
“Loki ora si trova in una dimensione diversa dalla nostra. Non una parallela, come potresti pensare. Ma una dimensione ‘probabile’. Una dimensione dove tutto il passato, il presente e il futuro si riuniscono in un’unica bolla di sostanza, e si reinventano creando realtà ‘probabili’.”
Odino incrociò lo sguardo confuso di suo figlio, e allora si lasciò sfuggire un sorrisetto.
“Ho sempre tollerato la tua mancanza nell’applicazione agli studi perché eccellevi nella forza, e nel coraggio... ma forse avrei dovuto costringerti a stare un po’ più con la testa sui libri, e meno nel sangue dei tuoi nemici.”
“Era Loki il cervellone della famiglia, padre... e comunque io riuscivo ad imparare solo dopo che mio fratello mi rispiegava la lezione.”
“Già, beh... ho paura che sia cresciuto così pieno di rancore perché non gli ho mai dimostrato quanto mi rendesse fiero essere suo padre, e di averlo accolto nella nostra casa. Spero solo che questa mia tremenda mancanza... non lo porti alla fine...”
“Non lo farà, ma ti prego... continua.” Lo incoraggiò Thor.
“Bene, cercherò di fartela semplice. Ora Loki non può uscire dalla realtà probabile nella quale Gullveig lo ha catapultato, non può a meno che non faccia una cosa...”
“Ossia...?”
 “Loki diventerà uno Spirito della fine per salvarsi. Ma dopo esserlo diventato, non potrà più tornare indietro.”
Uno spirito della fine?! Thor ricordava bene i racconti che gli erano stati narrati su quelle creature mitologiche. Attorno a loro aleggiava un’aurea di mistero inquietante. Se fosse stato necessario spiegare ai midgardiani cosa fossero per gli asgardiani gli spiriti della fine, e che cosa il solo nominarne provocava nei cuori della loro gente, sarebbe bastato dirgli di pensare ai quattro angeli dell’apocalisse, e di immaginare qualcosa di infinitamente peggiore.
Lo sguardo di Odino si velò di tristezza, poi prese il figlio per le spalle e lo guardò negli occhi.
“Thor. Loki ormai è perduto.”
 
I due possenti dei si girarono istantaneamente verso le fiamme.
Avevano sentito qualcosa.
Una nota appena percettibile, in quel marasma di rumori crudeli.
Qualcosa di udibile quanto potesse essere il rumore del passo di un gatto in una metropolitana, o ancora il tintinnare delle stelle nello sconfinato vuoto dell’universo.
Ma loro lo udirono, perché fu come se suonasse per loro.
Un’altra nota, più chiara e limpida, quanto potesse essere il suono di dita bagnate che scivolano sul bordo di un bicchiere di cristallo.
Quella che si faceva strada, tra la tempesta e il fragore delle fiamme, era una melodia. Un canto talmente dolce e sinuoso, che sembrava arrampicarsi sulle lingue del fuoco, e risuonare in ogni singola goccia d’acqua.
Tutti trattennero il respiro quando la terza nota cantò come un fulmine a ciel sereno, in mezzo a quel tuonare di voci mozzate.
La musica crollò come una collana di perle.
Sembravano note di un pianoforte.
Una melodia inquietante e sofferente, come miele amaro che si scioglie sulla gola vibrò nell’aria, prepotente.
Thor annaspò, conosceva quella canzone. Non l’aveva mai sentita mai davvero, ma era come se la conoscesse da una vita, come se l’avesse sempre avuta davanti.
“Loki...” bisbigliò senza parole.
Quella era la sua musica.
Quelle note erano l’essenza di suo fratello, era Loki stesso.
Una melodia triste ed inquietante, sensuale e grottesca, che si posava sulla pelle come baci dati da una bocca morbida e rossa.
“Sta arrivando... lo spirito della fine...” borbottò Odino, con lo sguardo perso tra le fiamme.
La musica suonò in aria con forza, sferzando come schiaffi le anime dei presenti, e strani eventi cominciarono ad accadere.
Le gocce di pioggia cominciarono a rallentare il loro corso verso la terra. Un vento sibilante gracchiò come mille voci attraverso gli alberi della foresta, al cui passaggio si piegavano docili come spighe di grano.
Tutti assistettero a quel prodigio finché un fulmine precipitò arrogante sulla terra. Attraversò il cielo, ma non ebbe il tempo neppure di arrivare al suolo che il fulmine si fermò a mezz’aria. Sembrava una fotografia proiettata sulla volta del cielo. E un prodigio simile lasciò tutti senza fiato. La luce aliena che proiettava la folgore illuminò la radura e i suoi ospiti.
Tutto questo era successo in una manciata di attimi.
La melodia continuava a suonare, e a camminare eterea tra gli astanti.
Thor scattò in piedi non appena tra le fiamme intravide una figura, e così fecero tutti gli altri.
Tra il fuoco demoniaco comparve un essere tra le cui braccia teneva una donna.
Quella cosa fece qualche passo avanti, e uscì allo scoperto nella radura, sotto gli occhi di tutti.
“Loki...?”
Thor sentì che quello era suo fratello, ma quasi nulla del suo aspetto poteva suggerirlo. Il corpo del dio delle malefatte era diventato di puro fuoco. Lingue di fiamma azzurre lo ricoprivano da capo a piedi, nascondendo i contorni del suo corpo, e perdendone la consistenza. Venature blu percorrevano, come vene incandescenti, il corpo di quell’essere. Il viso era morbido e lineare come quello di una bambola. I capelli corvini erano anch’essi di fuoco, come tutto il suo corpo del resto, e piccole fiamme ne facevano perdere i contorni, danzando senza essenza.
Quando Thor però incrociò lo sguardo di quella cosa, rimase pietrificato.
Gli occhi di Loki erano due pozzi neri come la cripta più profonda. Iridi fiammeggianti, luminose come stelle ardenti, guardavano suo fratello con un atteggiamento impassibile e distaccato. Thor ne distolse velocemente lo sguardo, perché quel fugace contatto lo aveva terrorizzato a morte. Era stato come guardare in una scatola che conteneva tutto l’universo, un caos monumentale e senza fine.
Gli occhi di Thor allora si concentrarono sulla figura che Loki teneva stretta tra le sue braccia: era Gullveig!
Tutta la sua crudeltà disumana si era spenta, e ora il suo sguardo, che non lasciava mai il viso del dio delle malefatte, era dolce, anche se un po’ triste.
L’essere mosse qualche passo verso gli astanti, e quelli ne mossero istintivamente molti indietro. Si allontanarono e gli fecero posto.
Tutti tranne Thor e Odino, che fecero in modo di non ostacolare il suo cammino, ma nemmeno di allontanarsene troppo.
Lo seguirono atterriti, e con il cuore in gola. I suoi passi lasciavano impronte di fuoco azzurro che si spengevano poco dopo, come soffocate.
Gli alberi si piegarono come se fossero stati di gomma, e le fronde cercarono di allontanarsi il più possibile dallo Spirito della fine.
Una processione solenne seguì per qualche centinaio di metri. Il silenzio rotto solo dalla musica di Loki che continuava a suonare, e a dipanarsi in struggenti scale di dolore.
Alla fine arrivarono sulla cima di una scogliera, a dirupo su di un mare in tempesta.
Thor non si era neppure reso conto di stare tremando.
Come avrebbe potuto portare indietro suo fratello, in quelle condizioni?!
Loki tremò e il suo corpo s'inginocchiò a terra, come se non avesse più forze.
In realtà il suo sguardo era tutto perso sul viso di Gullveig.
Il corpo della donna sembrava non avere più vita, le braccia erano abbandonate sul petto e la testa sollevata solo dalla mano fiammeggiante di Loki.
La donna sorrise.
“Loki... mi... dispiace...” gorgogliò la donna, con un filo di voce.
Il dio delle malefatte strinse ancora di più a sé Gullveig, ma il suo viso rimase impassibile come prima, come se non provasse nulla.
“Mi dispiace... di non essere riuscita... a portarti via... con me...”
La foresta ululava, come se dentro vi fossero state mille venti.
“Hai... una musica... bellissima, comunque...” disse, con sorriso vacuo.
“Ti amo... dio... delle... malefatte...”
Detto questo la donna spirò, e quello che rimaneva del suo corpo e della sua essenza si dissolse come se fosse fatta di polvere, ad un vento meno forte degli altri.
La melodia si spense come se una mano invisibile avesse abbassato il volume.
Tra le mani di Loki rimase, come tanti secoli addietro, solo le ceneri di quella donna cui aveva donato il suo cuore, e nient’altro.
Il dio rimase un attimo così, mentre il piccolo gruppo di spettatori non osava fiatare o aprire bocca.
Loki poi si alzò in piedi, e si girò verso gli astanti.
Il viso impassibile di quella creatura era rigato da lacrime di fuoco, dolorose come ferite di spada.
Odino parve riscuotersi. Ordinò al gruppo di prepararsi ad un eventuale attacco, e questa manovra incontrò lo sguardo incredulo di Thor, che si frappose tra Loki e i guerrieri.
Serena invece si mise in disparte, con il cuore in gola, e le lacrime agli occhi.
“Padre, che cosa stai facendo?!”
“Il bene di Asgard e di tutti noi. Ora spostati.”
“No, non lo farò.”
“Thor, sii ragionevole. Una creatura del genere, se scatenata, può annientare un mondo con un solo cenno della sua mano. So che Loki prova solo risentimento e odio verso di noi, e appena ne avrà la possibilità porrà compimento alla sua folle vendetta. Non posso permettere che il mio popolo perisca senza lottare. Anche a me si spezza il cuore a vederlo in queste condizioni, ma ormai non è più il fratello che ricordavi. Loki non esiste più, fattene una ragione e mettiti da parte!”
Lo sguardo di Thor però era irremovibile.
“Credi che Loki non sia adirato anche con te?! Nel suo cuore non è rimasto altro! E anche nei tuoi confronti non prova che odio!”
Quelle parole fecero tentennare per la prima volta il dio del tuono.
Serena si sentì chiamata in causa e urlò:
“Non è vero!”
Tutti si voltarono verso di lei.
Abbassò la voce, intimorita, ma fece qualche passo avanti e continuò dicendo:
“Non è vero che Loki ti odia, Thor... o meglio, non è l’unica cosa che prova per te. Io l’ho visto. Ho visto quello che sente... era un gran casino, questo è vero però io credo che... se c’è qualcuno che può salvare Loki, questo è lui... solo Thor può farlo.”
Il dio riportò lo sguardo rincuorato su suo padre.
“Lasciami tentare, padre. Lasciami portare Loki indietro.”
“Sai che non è possibile, e così facendo rischi solo la vita per un essere che ormai non ricorda neppure il tuo nome.”
“Questo non puoi saperlo. E poi... sono ben felice di sacrificare la mia vita per quella di mio fratello.”
Ma il padre degli dei non era ancora convinto.
“Odino, so che ora stai pensando al ben’essere di Asgard, e a quello di tutta la nostra stirpe. Ed è giusto che sia così. Perciò lasciami tentare, lasciatemi essere il fratello che Loki ha sempre meritato. Non è giusto abbandonarlo così. Non è giusto non tentare l’impossibile per lui.”
Il padre degli dei, vedendo lo sguardo limpido del figlio, fu mosso a compassione, e gli diede il via libera facendo un piccolo passo indietro.
Thor sospirò e si girò verso Loki.
La sensazione che provò rincontrando quegli occhi crudeli e folli, come quelli di chi ha visto la fine dell’universo, gli provocò un brivido lungo la schiena.
“Loki... Loki... sono io, Thor, tuo fratello... ti ricordi di me?”
Gli occhi di quella creatura si piantarono sul dio biondo, ma non ci fu nessun’altra reazione.
Allora Thor mosse qualche passo cauto verso di lui.
Immediatamente una specie di onda d’urto si ripercosse nell’ambiente circostante, facendo suonare il petto di Thor come se fosse stato un tamburo.
Era un avvertimento.
Il gruppo dietro al dio dei fulmini subito si rimise in posizione, tranne Odino, che restò, scuro in volto, ad osservare la scena.
“Non voglio farti del male, Loki. Voglio solo parlare.”
Un’altra onda d’urto scosse i presenti, facendo indietreggiare anche quelli che dovevano essere i più coraggiosi paladini di Asgard.
“So che sei arrabbiato. È stato un periodaccio, soprattutto per te. Ti hanno mandato su un pianeta di mortali, e ti hanno costretto a vivere come un midgardiano, creature nate solo per essere dominate, giusto? E poi è uscita fuori Gullveig, come se fosse tornata dal regno di Hel... è stata una pessima settimana, sono d’accordo con te. Ma ora è tutto finito. Torna a casa, fratello...” Thor gli tese la mano, e Serena trattenne il respiro.
“Torna a casa... con me.”
Loki fece un passo avanti, e come se gli fosse stato comandato i suoi muscoli si mossero da soli e il dio si ritrovò in ginocchio.
Thor sentiva una pressione spaventosa, come il peso di una montagna, gravargli sulle spalle, e tenerlo a terra.
Rialzò lo sguardo e vide per la prima volta il viso dello Spirito della fine piegato dall’emozione. Quello che lesse però era solo una rabbia e un rancore così ancestrale e profondo, da far impallidire anche il guerriero più forte di tutti i 9 regni.
Loki tremava, e sembrava che ad animarlo ci fosse solo il desiderio di annientare quel fratello la cui sola vista gli scatenava tutto quell’odio.
Allora Serena si sbagliava... suo fratello davvero non provava nei suoi confronti nient’altro che ostilità e disprezzo?
Thor decise che non poteva fare altro e abbassò lo sguardo in segno di sottomissione.
“Se il tuo desiderio è annientarmi, fallo pure. Non mi opporrò, fratello... perdonami per tutto quello che ti ho fatto passare.”
Lo Spirito della fine alzò una mano e la tese verso di Thor.
Il dio biondo sentì immediatamente la forza di quell’essere sfiorarlo da lontano, era spaventoso.
I guerrieri tremanti si mossero per soccorrere Thor, ma Odino li fermò con un solo cenno della mano.
Poi qualcosa cambiò. Thor percepì quella magia arcana e primordiale acquietarsi, diventare morbida e duttile, ma forse era solo la calma prima della tempesta, o l’ultimo inganno che il dio delle malefatte voleva regalargli. Sta di fatto che Thor alzò lo sguardo, e quando lo posò sul viso di quella creatura vide che tutto il suo odio era scomparso, sparito, sostituito in chissà quale modo da un’ironia dolce ma innocua.
La mano però rimaneva alzata su di lui, come un’arma pericolosa e mortale.
Thor aveva perso la speranza ormai, e per questo quando Loki s'inginocchiò di fronte a lui ne rimase tanto sorpreso. La mano dello Spirito della fine si spostò dal viso di Thor al suo braccio destro, quello messo fuori uso dall’incantesimo di Gullveig, e che ora ciondolava, morto e senza vita, dal petto del dio.
Thor sentì la carne sfrigolare e un dolore come di disinfettante gettato su un' ustione, ma resistette. Il braccio si rigenerò completamente, la pelle nera, bruciata, riprese vita, e così come l’utilità di quel braccio, che tornò a muoversi.
Il dio biondo mosse incredulo la sua mano, e guardò Loki, che manteneva negli occhi quell’aria ironica, e quasi canzonatoria.
Allora a Thor venne un’idea, alzò una mano e fece per toccare il viso del dio delle malefatte ma la voce tonante di Odino lo fece bloccare a mezz’aria.
“Thor, fermati! Uno Spirito della fine non può essere toccato, il fuoco brucerà la tua essenza, fino a corroderla completamente. Non farlo.”
Il dio del tuono si rigirò di nuovo verso Loki e quello che successe dopo lasciò tutti senza parole.
Loki guardò suo fratello negli occhi, prese la mano di Thor fra le sue e vi appoggiò il viso, come se la mano del dio biondo glielo accarezzasse.
Le fiamme sotto la mano di Thor non bruciavano.
“Per gli dei... uno Spirito della fine che... si lascia toccare...” borbottò, di fronte a quel prodigio, il padre degli dei.
Thor sorrise, ma il cuore gli tremava di emozione.
“Grazie, fratello... ora torna da me.”
Appena ebbe finito di pronunciare quelle parole le fiamme cominciarono a spegnersi, il fuoco, e l’essenza di Loki sprofondò di nuovo dentro il suo corpo, che finalmente riemerse.
L’espressione impassibile dello Spirito fu sostituita da quella stanca, ma finalmente serena di Loki. La pioggia ricominciò a scrosciare sulla terra, il fulmine terminò il suo percorso precipitando con fragore al suolo, e gli alberi tirarono un sospiro di sollievo tornando nella loro forma rigida e immobile.
Loki non tolse il viso dalla mano del fratello, che invece glielo prese tra tutte e due.
Thor appoggiò la fronte contro quella del dio delle malefatte e sorrise, trattenendo appena le lacrime.
“Mi hai fatto preoccupare. Credevo che non ti ricordassi più di me...”
“Thor, dovresti sapere che sono il dio degli inganni. Fingere odio per te mi è facile come bere un bicchiere di idromele.”
“Egocentrico.”
“Idiota.”
 
Odino nel frattempo aveva fatto cadere le armi, e si era diretto a passi lenti e pesanti verso i loro figli.
Loki si accorse del padre degli dei, e lo guardò.
Odino crollò anche lui a terra e accolse i suoi due figli in un grande abbraccio, stringendoseli forte a sé.
“Loki... Thor... perdonatemi. Perdonatemi vi prego...”
Nell’espressione di quel padre c’era una sofferenza silente e terribile, come di chi sa di aver scampato ad una tragedia terribile, per un soffio.
Thor rise e cercò di rincuorare suo padre, dandogli energiche pacche sulla schiena.
Loki si lamentava che i loro affettuosi abbracci lo stavano soffocando, ma anche lui sorrideva.
Serena, che ormai piangeva come una cascata da vari minuti, non seppe più trattenersi e si lanciò nella mischia, gettandosi al collo del dio delle malefatte.
“Sono così felice che sei tornato fratellino! Ora possiamo continuare a vivere insieme e magari sposarci!”
Sorrideva radiosa come una margherita in primavera, senza riuscire a fermare le lacrime di gioia.
“Cosa?!” esclamò inorridito il dio delle malefatte.
“Sì, perché rimarrai qui sulla terra ancora per tanto tempo, non è vero papà?” disse, sfoderando un sorriso a trentadue denti nella direzione di Odino, che lì per lì rimase spiazzato.
“Papà? Da quando ho figlie femmine?!”
E con quella frase, e le risate che ne seguirono, sembrò sciogliersi finalmente tutta la tensione accumulatasi durante quei giorni tremendi.
Gullveig ormai era solo un ricordo.
Per chiunque altro sarebbe stato un ricordo da dimenticare, da ripudiare, e ficcare nel fondo della memoria, sotto quella montagna di biglietti di auguri, di cui non si ricorda mai nessuno... ma non per Loki che custodì il viso sorridente di quella donna, tanto crudele, ma tanto innamorata, come uno dei più preziosi che avesse mai potuto avere.

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Capitolo 15
*** Epilogo: Fuoco indomabile. ***


Non ci credo... sono... sono.. arrivata alla fine!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! *___* ho scritto tantissimo per i miei standard.. XD e davvero non avrei scommesso mezzo penny sulla risoluzione di questa fanfiction.. ma la vostra influenza positiva è stata determinante.. ringrazio ancora una volta tutti quelli che hanno recensito, seguito, insultato (no, scherzo..) questa serie!! Spero almeno di avervi fatto passare qualche oretta di svago.. eheh.. :) che altro dire? Questo è il capitolo più lungo della serie.. paradossalmente.. godetevelo!!! Bacioni, e Grazie ancora a tutti!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

p.s. allego a fondo pagina un disegnino che ho fatto io.. presa com'ero dallo studio del personaggio.. so che fa schifo.. ma io lo posto uguale perchè io faccio ciò che voglio.. XD

p.p.s naturalmente il disegno lo andate a vedere DOPO aver letto il capitolo.. altrimenti vi spoilerate da soli.. e naturalmente il disegno non regge il confronto all'immagine che avevo in testa.. ma ho fatto del mio meglio.. ç_ç

Jack


Epilogo: Fuoco indomabile
 
Pochi minuti fa il padre degli dei mi aveva fatto convocare. Mi aveva detto che dovevo far attivare il Bifrost e dirigermi su Midgard per una cosa urgente.
“Loki vuole parlarti”.
Fu la semplice risposta che ottenni, dopo una mia richiesta di spiegazioni. Io non avevo obbiettato altro, ma credo mi si leggesse in faccia il fatto che non ero per niente d’accordo di incontrarmi con quel traditore.
“Sif, so quello che stai pensando... ma per una volta ti chiedo di avere fiducia in lui.”
“Non è azzardato riporre fiducia nel dio delle malefatte?” ribattei, non molto rispettosamente.
Odino però nella sua infinita clemenza si limitò ad osservarmi in silenzio. Poi sorrise, e la cosa mi stupì.
“È vero. È da stupidi credere nella buona fede del dio delle malefatte... ma non lo è nel credere in Loki, mio figlio. Farai quello che ti ho chiesto, Sif?”
Non era un ordine, era una richiesta. Un favore che Odino mi chiedeva non imponendo la sua autorità, ma come mio pari? Da quando era tornato da Midgard il nostro sovrano sembrava essere cambiato, e la preoccupazione che gli aveva velato lo sguardo negli ultimi mesi era scomparsa, lasciando al suo posto solo gioia e orgoglio. Che sia stato Loki l’artefice di tutta questa serenità? Non ci avrei scommesso mezza moneta d’oro.
“Lo farò, mio signore.”
Questo era il motivo per cui in quel momento mi ritrovavo su Midgard, tra le vie di una città silenziosa come se fosse stata disabitata.
Un luogo pacifico per l’esilio di Loki, dev’essere impazzito quando è arrivato qua...
Attraversai la città e arrivai di fronte ad una piccola casetta illuminata dall’interno da una fioca luce.
Feci per entrare nel cortile esterno, ma una voce mi fermò.
“Non fare un altro passo, Sif...”
Non appena riconobbi quella voce ironica e pungente, sentii il viscerale odio che provavo nei suoi confronti risalirmi in gola, come bile acida.
“Ti hanno dato un posticino davvero molto carino per scontare la tua punizione, Loki. Se le tue sorti fossero state nelle mie mani, non avresti avuto una pena così dolce...”
Un’ombra agile si spostò nel buio accanto a me, e riconobbi una figura appoggiata al muro della casa. Le braccia incrociate e il solito sorriso beffardo su quelle labbra crudeli.
“Certe volte luoghi pacifici come questi possono rivelarsi i peggiori inferni, ma tu questo non puoi saperlo... sei sempre rimasta a vivere sotto la gonnella della nostra preziosa Asgard. Abiti ancora a casa di mamma e papà?”
“Tu, piccolo...!”
Mi mossi veloce verso di lui, accecata dalla rabbia.
Non ero furiosa per quello che mi aveva detto, ma per il fatto che le sue parole mi ferissero sempre, ogni volta che apriva bocca. Sembrava avere una lama affilata al posto della lingua. Lo afferrai per il collo con una mano. Già il fatto che fossi riuscita a prenderlo mi aveva stupito, infatti Loki aveva una velocità innata che gli permetteva di schivare e prevenire tutti i miei attacchi, ma quando dalla gola gli uscì quel singulto esagerato, come se gli avessi fatto davvero male, lasciai subito la presa.
La figura di Loki ansimò passandosi una mano attorno al collo, ma si ricompose presto.
“Un altro dei tuoi inganni, Loki?”
Lo sentii sorridere nell’oscurità.
“Se pensi che diventare una creatura di fuoco vivo, e poi tornare indietro per raccontarlo, non lasci sul tuo corpo neanche un segno, sei davvero una povera illusa...”
Già, sapevo che Loki era diventato uno Spirito della fine, e che Thor era riuscito a farlo tornare normale. Ma era qualcosa di incredibile... che andava ben oltre qualsiasi comprensione. La bocca parlò da sola, senza pensare che mi trovavo ancora di fronte al dio delle malefatte.
“Com’è stato?”
“Orribile, tremendo, doloroso quanto potrebbe essere farsi spellare vivi ma... da quando t'interessa della mia incolumità, Sif? Mi hai sempre detestato, fin da piccoli. Perché adesso dovrebbe essere diverso?”
“Ti ho sempre odiato per la tua natura diabolica! Ci trattavi come tuoi inferiori, provocavi danni a catena, eri una peste ambulante, perché non avrei dovuto odiarti?!”
“Attenta Sif, questo è un atteggiamento molto ipocrita e crudele da parte tua. Davvero pensi di non aver per nulla meritato i miei scherzi? Credi che il tuo cuore sia così innocente e puro? Non ricordi il nostro primo incontro, vero?”
Nella sua voce c’era un velo di rancore senza tempo.
“Cosa intendi?”
“Oh, io invece ricordo bene, piccola Sif... la prima volta che t'incontrai eri appena arrivata a palazzo, tuo padre ci faceva da precettore, insegnandoci l’antica mitologia dei nostri antenati.”
Fece qualche passo in avanti, con le mani dietro la schiena.
La voce suadente come quella di un demoniaco tentatore.
“Appena tu vedesti Thor te ne innamorasti. Ricordo molto bene la tua espressione quando il tuo sguardo cadde su mio fratello. Colpo di fulmine, non è vero?”
“Smettila di dire cretinate, Loki... questo non ha senso.”
“Ma volevi il bel dio del tuono tutto per te. Lo capisco, è una cosa normale... però il suo fratellino era sempre tra i piedi. Thor non aveva occhi che per me, ovunque andassi io lo seguivo, e così faceva anche lui. Ti eri stancata di essere il terzo incomodo...”
Non capivo dove volesse arrivare.
“Smettila di giocare con me, e dimmi chiaro e tondo cosa vuoi.”
“Bene, te lo dirò. Ricordi che ad un certo punto il piccolo Loki non si fece più vedere in giro? Ricordi che scompariva anche per giorni, senza che nessuno riuscisse a trovarlo?”
La sua voce era calma, ma sotto la superficie vibrava cocente un odio che mi spaventò.
“Certo che lo ricordo ma...”
“E ricordi anche perché, piccola Sif?”
Rise mentre pronunciava quelle parole, una risatina folle, terribile.
“Sono passati tanti secoli da allora...”
“Vero. E questa è una più che valida giustificazione al dimenticare che il motivo per cui io sparivo per giorni interi era che tu mi rinchiudevi ogni volta in una botola buia che avevi scoperto per caso nel palazzo...”
Il largo sorriso che seguì quelle parole mi parve talmente inquietante che non potei fare a meno di sgranare gli occhi, e muovere qualche passo indietro.
Davvero gli avevo fatto qualcosa di così terribile?! Forse era solo l’ennesima trovata di Loki per non far ricadere la colpa delle sue azioni su di sé ma... ancora oggi ho un sogno ricorrente, di cui non sapevo spiegarmi il significato. Spesso di notte, sogno una botola di ferro arrugginito, serrata come una cassaforte impenetrabile, in un’ala abbandonata del castello. Una specie di passaggio segreto dimenticato, buio e nero come un pozzo, profondo e terribile come le viscere di un mostro.
Ogni notte sogno quella botola terribile, e una voce provenire dalle sue più oscure profondità. La voce di un bambino che piange, e grida il mio nome...
Sobbalzai con il cuore in gola quando mi accorsi che Loki era arrivato sotto al mio viso. Lo guardai in quegli occhi di giada, in quel momento così penetranti, e mi sembrò che quello sguardo mi entrasse dentro, e riuscisse a leggere tutte le pieghe del mio animo.
“Sai, piccola Sif, ti rivelerò un segreto...” la sua voce, ridotta ad un sussurro, mi scivolò dentro come veleno.
La paura mi serrava lo stomaco e le gambe mi reggevano a mala pena. Mossi la testa inconsciamente facendo segno di “no” ma Loki continuò dicendo:
“Non sai quante volte ho avuto la possibilità, una volta cresciuto, di buttarti in quel buco e lasciartici morire... non sai quante volte l’ho desiderato, e non sai nemmeno quante volte sono arrivato sul punto di farlo ma... Quando ero laggiù ho promesso a me stesso che ti avrei fatto pagare quella tortura ogni giorno della tua miserabile vita, nel peggiore dei modi che sarei riuscito a trovare. Credi ancora di non aver meritato tutti i miei scherzi e i miei imbrogli? Non sarà mai abbastanza di fronte a quello che tu mi hai fatto passare...” bisbigliò.
Quelle parole mi misero addosso un terrore glaciale, pesante come una spessa coltre di neve sull’anima. Io non me n’ero accorta, ma stavo tremando da capo a piedi.
Loki mi venne vicino, mi guardò ancora con quegli occhi con cui sembrava mi volesse divorare e poi... in un modo che mi parve quasi magia, sciolse tutta quella tensione con la facilità di uno schioccare di dita.
Loki iniziò a ridere di gusto e dal suo viso scomparve tutta quell'ostilità omicida.
“Dovresti vedere la tua faccia, Sif! È per questo che è così facile ingannarti, perché credi ad ogni mia parola! Ahahah! Non mi hai mai rinchiuso in nessuna stupida botola! Iniziai a sparire solo perché mi disgustava la tua compagnia e non volevo rogne... Ahahah, che stupida!”
Lui continuò a ridere, godendosi la scena. Quindi ora si spiegava tutto! Era davvero l’ennesimo inganno, l’ennesima beffa di cui ero la vittima designata! Certo... che scema, non poteva che essere così. Io non sarei mai stata in grado di fargli una cosa così crudele, davvero... ma allora perché, anche se sapevo che era stata tutta una menzogna... perché mi sentivo ugualmente così male?
“Comunque non era di questo che volevo parlarti.”
Disse, ricomponendosi, e passandosi una mano sulla bocca.
Si girò verso la casa, come se avesse paura di vedere arrivare qualcuno.
“Ti devo parlare di una cosa però andiamo da un’altra parte, qui non è sicuro...”
“Non è sicuro? Di cosa diavolo vuoi parlarmi, Loki?”
Ero spaventata, e volevo soltanto andare a casa.
Loki alzò un sopracciglio, e disse, con tono eloquente:
“Voglio parlare di Thor...”
 
Loki era scostante da alcuni giorni ormai, e io non riuscivo a capirne il motivo.
Dopo che tutta quella storia con Gullveig era tornata alla normalità, nostro padre aveva spiegato a mio fratello che non poteva ridargli i poteri, né permettergli di tornare ad Asgard.
“Capiscimi, Loki... ti prego. I saggi di Asgard non accetteranno mai che tu torni in patria dopo soltanto pochi giorni di esilio. Anche se tu sei diventato uno Spirito della fine, e hai dimostrato la tua fedeltà al tuo popolo... ancora non posso farti tornare. Lo capisci? Ti prego non portarmi rancore.”
Mio fratello aveva incrociato le braccia al petto ed era stato ad ascoltarlo accigliato, evidentemente infastidito da quella situazione. Voleva tornare ad Asgard, era evidente. Midgard e i suoi abitanti non gli erano mai piaciuti, e credo che questo sia una cosa che non cambierà mai in lui ma... almeno in quello sguardo non lessi il folle rancore che negli ultimi mesi lo aveva animato così prepotentemente.
“Fa come ti pare, padre... vi chiedo solo di non dimenticarti di me, e di venirmi a riprendere dopo i secoli che dovrò sopportare vivendo su questo sputo di terra.”
“Non ci dimenticheremo di te, Loki, neanche se volessimo perché... Thor rimarrà su Midgard con te!”
“Cosa?!”
Chiedemmo all’unisono io e mio fratello.
“Thor, voglio che tu stia qui per proteggere questa terra e i loro abitanti. Dopotutto sei il protettore di questo mondo, devi fare il tuo dovere, e poi...”
Odino abbassò la voce e mi bisbigliò:
“...e poi controlla anche tuo fratello. Che non si cacci in altri guai, ok?”
“Guarda che ti sento, padre!”
“Io non ho detto niente! Ora però vi devo lasciare, sono sparito senza dare spiegazioni neanche alla vostra povera madre...”
Odino già si allontanava quando Loki parve diventare pensieroso.
“Padre, aspetta! C’è una cosa di cui voglio parlarti prima che tu te ne vada...”
Poi mio fratello si voltò verso di me e mi disse con aria stizzita:
“In privato.”
Confuso, mi allontanai.
Avrei anche potuto sentire quello che si dicevano se Loki non si fosse portato le mani a coppa sull’orecchio di nostro padre, e gli avesse bisbigliato così piano.
Odino parve riscuotersi e anche lui, proprio come il figlio, divenne pensieroso.
Ai bisbigli di mio fratello il padre degli dei rispondeva con dei:
“Hai ragione, certo... certo che si può fare... no, non ho niente in contrario... mmmh, d’accordo glielo dirò... non ti preoccupare, stai tranquillo!”
E poi aggiunse:
“Grazie per avermelo ricordato, Loki. Con tutto questo trambusto mi ero dimenticato che fosse...”
“Padre!”
Lo azzittì subito Loki, lanciando occhiate eloquenti verso di me.
“Ah, sì, giusto... scusa...”
“Quindi hai capito tutto quello che devi fare? Parlane con Frigga, probabilmente ci sta già pensando anche lei. Tu però dille quello che ti ho detto.”
“Lo farò. A presto!”
Ci salutammo e Odino scomparve, nel boato del Bifrost.
 
Cercai di ottenere spiegazioni da parte di mio fratello, ma l’unica cosa che ottenni furono sguardi ostili e risposte ancor meno gentili.
La trasformazione in Spirito della fine gli aveva provocato fitte ed emicranie. Ma a parte una molto più alta sensibilità, e un dolore generale in tutto il corpo, Loki non sembrava aver subito altri danni visibili.
Sta di fatto che ormai sono passate due settimane.
Il suo comportamento diviene ogni giorno più strano. Ha ripreso (senza la ben che minima gioia) il lavoro al Black Bread, e tutto sembra essere tornato alla normalità ma... spesso e volentieri lo vedo confabulare di nascosto con Jeffry, e con Serena... e con un sacco di altra gente che sembra entrare nel caffè solo per poter parlare con lui! Una sera lo scovai in soffitta, nella casa di Serena, che parlava animatamente con la ragazza, e scriveva qualcosa su dei fogli sparsi a terra. Non appena entrai in soffitta Loki prese i fogli e li strappò in pezzettini così piccoli da farli diventare illeggibili.
Serena non mi aiuta. È diventata più strana di quanto già non fosse.
“Ti prego! Sono preoccupato per lui! Dimmi perché si comporta così!”
“Brotherly love!”
“Cosa?”
“Significa ‘amore fraterno’: ecco perché lo fa!”
“Cioè... mi evita e mi copre di insulti perché mi vuole bene, cosa significa?!”
“Loki mi ha detto che se te ne parlo non mi darà la busta di marshmallow che mi ha promesso!”
“Ti prego, Serena! Ti prometto che io te ne compro due di buste!”
“Con quali soldi? Non lavori neanche!”
“Gli dei non hanno bisogno di soldi... avrai tutto ciò che vuoi...”
“Posso avere un cavallo alato?!”
Ci pensai un attimo.
“Ti va bene lo stesso un cavallo con otto zampe?”
“Thor! Sei arrivato proprio a raschiare il fondo della disperazione se sei disposto anche a vendere un tuo nipotino per informazioni...” disse Loki, piombando nella stanza, dopo aver ascoltato le nostre conversazioni. A Serena brillarono gli occhi.
“Nipotino? Quindi hai dei figli, Loki?!”
“In un certo senso...”
Rispose mio fratello, con un sorriso compiaciuto sulle labbra.
Serena lanciò gridolini di gioia.
“Che bello! E chi è stata la fortunata che hai messo in cinta?! Eddaaai! Dimmelodimmelodimmelo!”
“Ehm, le cose sono un po’ più complicate di così...” provai a spiegarle, prima che Loki ne uscisse con una delle sue.
Ma mio fratello guardò la ragazza e poi aggiunse sghignazzando:
“È la stessa cosa che mi chiese mio padre quando gli dissi che stava per diventare nonno... ancora ricordo la sua faccia quando spiegai come stavano davvero le cose!”
E dopo aver detto questo sparì ridendo nell’altra stanza, portandosi via una Serena piuttosto confusa.
Una sera mi parve anche di sentire la voce di Sif fuori di casa, diedi uno sguardo ma non vidi nessuno, e anche Loki, che aveva detto di uscire per prendere una boccata d’aria, era sparito.
 Tutto questo mistero mi fa andare fuori di testa. Il fatto che nessuno mi dica niente, e che mio fratello mi ignori in questo modo mi fa sentire... messo da parte! Non sono mai stato fuori dall’attenzione in questo modo, e non credo di esserci abituato.
Se Loki fosse nella mia testa direbbe che sono solo uno stupido ebete con manie da protagonismo, ma ormai ho deciso! Sarei felice anche di farmi coprire di insulti piuttosto che vedere mio fratello ignorarmi ancora un altro giorno!
Mi dirigo a passo di carica verso la casa di Loki, rabbrividendo al solo pensiero di andare là. Sì, perché dovete sapere che sono giorni ormai che quelle quattro mura sono frequentate peggio di un bordello di alto borgo. Serena è diventata una specie di segretaria, prende appuntamenti, risponde al telefono, e sembra non avere un momento libero. Mio fratello incontra queste persone e poi si chiude a chiave in camera. Ho fatto i salti mortali per capire quello che sta combinando, senza alcun risultato, ovviamente. Sto diventando pazzo!
Arrivai finalmente davanti a casa di Loki e mi immobilizzai.
Sembrava non ci fosse nessuno in casa, e sul portone c’era un cartello con su scritto:
“Thor, razza di idiota, non sono in casa, e NON cercarmi. Per tutti gli altri, sapete quello che dovete fare.”
Strappai il foglio dal portone e lo accartocciai con rabbia.
Ancora una volta Loki mi tagliava fuori dai suoi piani. Ne stava studiando una delle sue, e stavolta non avrebbe fatto ciò che voleva.
“Heimdall! Trova Loki!”
Lo chiamai un altro paio di volte, poi finalmente la sua voce mi raggiunse.
“Mio signore, non posso farlo.”
“Che significa?!”
“Non posso dirle niente sulla questione, me lo ha chiesto vostro padre.”
“Bene, te lo ha chiesto. Io invece te lo ordino. Dimmi dov’è Loki!”
Ci fu una piccola pausa.
“Si trova al Black Bread, ma non le rivelerò altro.”
Era sufficiente. Mi precipitai a passo di carica.
Le strade erano stranamente deserte, e la cosa non mi piaceva, ma naturalmente il mio pessimo sesto senso non mi avrebbe avvertito di un pericolo neppure con una lama infilata nel petto.
Arrivai davanti al caffè e lo trovai chiuso, o almeno così recitava il cartello all’ingresso, ma spinsi la porta ed entrai lo stesso.
“Loki! So che sei qui! Esci fuori!” Gridai, non appena fui dentro.
Dalla cucina sentii il rumore di una batteria di pentole che finiva per terra, e gente che parlava in modo concitato. Subito dopo mio fratello si precipitò fuori, chiudendo le porte della cucina dietro le spalle.
Mi guardò furioso, e io persi un po’ del mio mordente.
“Che ci fai tu qui? Chi ti ha detto dove mi trovavo?” mi ringhiò, con un velo di preoccupazione nella voce. Poi alzò gli occhi al cielo e si rispose da solo:
“Certo, Heimdall...”
“Fratello, voglio sapere qui e subito quello che sta succedendo.”
Feci qualche passo avanti. Loki sgranò gli occhi , lanciò un’occhiata verso la cucina e venne verso di me.
“Vuoi davvero saperlo?”
“Certo! Voglio capire perché mi eviti in questo modo! Di solito mi odi, mi insulti, mi tratti male, a questo sono abituato! Ma non posso sopportare altra indifferenza!”
“D’accordo. Come vuoi tu, Thor. Ti spiegherò perché mi comporto così con te in questi ultimi giorni...”
Lo vidi furioso, e mi immobilizzai sul posto, mentre lui mi veniva sotto il naso, con lo sguardo che andava a fuoco.
“Sono stanco! Sono stanco di sopportare il tuo comportamento bizzoso e infantile!” Si morse le labbra, come se volesse contenere la collera. Io ero senza parole.
“Nostro padre ha voluto lasciarmi qui! Ha voluto che continuassi ad umiliarmi su questo pianeta dimenticato dagli dei perché non sono mai stato il figlio degno!”
Sputava le parole come se fosse veleno, avanzando verso di me, mentre io indietreggiavo.
“E quando mi ha riferito questa fantastica notizia tu cosa hai fatto?! Mi hai difeso? Hai cercato di stare dalla mia parte? Certo che no! Ti fregi sempre del tuo gran cuore ma alla fine sei solo un pomposo idiota! Dici di amarmi, e di volermi proteggere ma è sempre e solo una fase! Dopo salti da un fiore all’altro, e affascinato dalle bellezze di Asgard, e dalle guerre che possano darti onore e fama, ti dimentichi di me con la stessa velocità con cui puoi dirmi “Fratello, io tengo a te”. Beh, ora basta! Sono stanco di stare dietro ai tuoi voli pindarici da sentimentale senza speranza! Non voglio più avere niente a che fare con te!”
Sbattei le spalle contro le porte del Black Bread. Loki s'interruppe, aveva il fiato corto, e l’espressione sconvolta.
“E ora vattene...”
Rimasi imbambolato, senza sapere esattamente cosa fare.
“VATTENE!”
Mi scaraventò fuori dal locale, e chiuse a chiave, sparendo in cucina.
Cosa ho fatto...?
Stavo per bussare contro la porta del caffè, e lo avrei fatto fino a sfondare i vetri, o fino a quando Loki non mi avrebbe aperto, ma qualcosa mi trattenne.
“Finalmente ti abbiamo trovato, figlio di un tuono!”
Un omone enorme mi strinse tra le braccia quasi da stritolarmi le ossa. Avrei riconosciuto quella presa ovunque.
“Volstagg?! Che ci fai tu qui?”
“È questo il benvenuto che riservi ai tuoi vecchi compagni d’arme?”
“Hogun! Fandral! Sif! Ci siete tutti!”
Per quello che avevo in testa questi ultimi tempi mi ero quasi dimenticato di quanto mi mancassero i miei amici, e il solo ritrovarli mi riempì di gioia.
“Che bello vedervi, ma perché siete qui?”
Sif si fece avanti, bella come un giglio bianco.
“Ci mancavi, Thor... e abbiamo pensato che magari potevamo fare un salto a trovarti...”
“Mancavo a tutti o soprattutto a te Sif? Dì la verità...”
La ragazza sorrise, per nulla imbarazzata.
“Sei sempre il solito idiota... quindi per quanto resterai ancora su Midgard?”
Senza che ce ne fossimo accorti ci eravamo messi a passeggiare per le vie della città.
“Non saprei, credo però di essermi meritato una specie di vacanza...”
“Cos’è una vacanza?” chiese Sif.
“Un periodo durante il quale non si lavora, non si ha preoccupazioni di nessun tipo, e ci si diverte... almeno credo.”
“Mi piace come suona! Voglio anche io una vacanza!” esclamò Fandral, improvvisamente rianimato.
“Amico mio, tu sei sempre in vacanza, non ti ho mai visto alzare il filo di una spada senza che ci fosse un branco di jötun inferociti alle tue spalle.”
“Non è vero! Io sono un guerriero di tutto rispetto!”
“Certo! Soprattutto quando ti devi battere per qualche bella donna alla locanda, non è vero, Fandral?” rise Volstagg.
“Senti da che pulpito! Il guerriero che combatte al grido di battaglia di: Per i prosciutti di Asgard!”
Le nostre risate mi fecero dimenticare tutto quanto, e per un momento mi sembrò di essere tornati giovani e spensierati.
Poi però mi fermai.
Era proprio questo che Loki intendeva, la facilità con cui riuscivo a dimenticarmi di ogni problema e soprattutto... di lui!
“Bene, Thor! Ci aspetta un bellissimo giorno di vacanza, su una spiaggia dorata a cavalcare le onde, e bere birra! Sei dei nostri, giusto?”
“Amici, non posso venire con voi...”
“Cosa succede, Thor?”
“Loki... credo che ce l’abbia con me. Non posso lasciarlo solo. Magari se m i aiutaste, potremmo convincerlo a venire con noi!”
Volstagg, Hogun, e Fandral si scambiarono occhiate veloci.
Sif invece si fece avanti e disse:
“Thor, non ti preoccupare per tuo fratello. Sai come è fatto... quando è arrabbiato devi lasciarlo da solo. Si calmerà, vedrai. E poi se per un giorno non ti ha intorno, forse capirà che ha davvero bisogno di te.”
“Ho forse capirà che non ha davvero bisogno di me... Sif, non posso...”
La ragazza mi guardò comprensiva e dolce, ma ferma.
“Ti prometto che andrà tutto bene, Loki sa quello che sta facendo.”
Quella frase, sebbene non avesse senso, mi tranquillizzò almeno un poco. Forse Sif sapeva quello che stava succedendo, e se mi parlava così voleva dir che davvero non c’era da preoccuparsi.
Non mi convinceva del tutto ma alla fine cedetti:
“Quanta birra avete?”
“Più di quanta è in grado di bere Volstagg dopo un mese di dieta...”
 
Sentivo le onde correre sotto di me, come se accompagnassero la mia corsa.
Come si chiamava quello sport fantastico che stavo facendo per la prima volta? Surf?
Era un po’ come fare il bagno, ma cento mila volte più divertente.
Dopo poche e semplici spiegazioni di Sif mi ero tuffato in mare con quella tavola. Era incredibile come mi risultasse così naturale, sebbene non lo avessi mai fatto.
“Hai visto come ho cavalcato l’ultima onda?! Sono un talento naturale!”
Mi vantai, per una volta libero da qualsiasi preoccupazione.
Sif mi sorrise, sopra la sua tavola magenta.
“Si certo, al contrario di Fandral che continua a cadere come se avesse l’equilibrio di una papera.”
Fandral era anche lui in acqua, e da quando avevamo iniziato a surfare, non c’era stata una sola volta che non lo avessi visto essere divorato dalle onde.
“Quanta acqua hai bevuto, amico mio?”
Io e Sif ridemmo, mentre Fandral, con un’espressione imbronciata, ci diceva:
“A me non piace questo sport! È stupido e pericoloso!”
“Mai pericoloso quanto la bella elfa che hai cercato di avvicinare l’altra sera!”
Urlò Volstagg dalla spiaggia, con un cosciotto di pollo in un pugno, e un boccale di birra nell’altro.
Di fronte al riso generale che quella frase scatenò, Sif mi guardò con fare complice, spiegandomi:
“Diciamo solo che l’elfa si rivelò essere non proprio “femminile” come sembrava, se capisci cosa intendo... ma lasciamo perdere, a Fandral non piace parlare di questa storia.”
“Già! E voi perché restate sulla spiaggia, invece di prendervi gioco di me?!” urlò lo spadaccino verso il lido bianco.
Non venne nessuna risposta, perché era fin troppo ovvio. Volstagg non sarebbe mai riuscito a salire sopra una tavola da surf senza farla affondare, e Hogun... beh, se ne stava imbronciato e a braccia conserte sulla spiaggia perché aveva paura dell’acqua.
“Sicuro, Hogun, che non vuoi venire? È divertente!” provai.
Lui alzò un attimo lo sguardo sull’acqua, fece tanto d’occhi e poi, dopo un vigoroso “no” con la testa, tornò ai suoi pensieri, e all’allegro vociare di Volstagg.
Mi girai verso l’orizzonte e intravidi un’onda davvero meravigliosa.
“Hey, Sif! Guarda questa!”
Mi misi a nuotare più forte che potevo verso il mare aperto poi, quando mi parve di essere alla giusta distanza, girai la tavola e cominciai a remare verso la spiaggia, con forti e lunghe bracciate.
Dopo un attimo sentii l’onda prendere da dietro la tavola, e alzarmi verso il cielo.
Era il momento perfetto.
Mi sollevai dalla tavola facendo forza sulle braccia, spostai una gamba davanti all’altra, e mi misi in piedi, mantenendo l’equilibrio.
La forza dell’acqua che mi spingeva era dirompente.
Andai giù in picchiata e poi piegai alla mia destra.
L’onda era enorme, una delle più alte che avessi cavalcato. Cominciò quasi subito ad arrotolarsi su se stessa, e a rincorrere la mia folle corsa sulla tavola, come se mi volesse ghermire. Mi mancò il respiro quando mi ritrovai dentro il tunnel provocato dall’onda. Era qualcosa di magico e spettacolare. Il mare che mostrava la sua bellezza anche nel tentativo di divorarmi. Sfiorai l’acqua con le dita, e osservai i riflessi che il sole giocava su quella superficie inconsistente che pochi attimi dopo non ci sarebbe più stata.
Poi mi tornò in mente mio fratello, come se a lui non pensassi da anni.
Quell’onda me lo ricordava terribilmente.
Una creatura così bella e terribile al contempo, così instabile e precaria. Ero terrorizzato dal fatto che Loki, proprio come quell’onda, scomparisse, restando di lui solo un boato lontano, e schiuma sulla spiaggia. Persi la concentrazione e la corrente troppo forte mi fece torcere la tavola da sotto i piedi. L’onda mi divorò senza tanti complimenti, e io mi ritrovai ad essere sbattuto da una parte all’altra, rotolando come una trottola impazzita.
Avevo avuto giusto il tempo di prendere una manciata d’aria prima di venire sommerso con quella violenza. L’onda mi trascinò a fondo, senza che riuscissi ad opporre alcuna resistenza. Loki quando si infuriava e perdeva il controllo era qualcosa di travolgente. Incredibile come riuscisse ad accumulare tanto odio, tanta rabbia, senza che ci fosse alcun dettaglio rivelatore del suo malessere. Certo, non sorrideva, non andava in giro a spargere fiori, e cantare “Somewhere over the rainbow”, ma era proprio questo suo modo di fare serio, distaccato... proprio perché il suo umore era sempre nero... proprio per questo, non riuscivi mai ad intuire quando si sarebbe scatenata la tempesta.
L’onda mi aveva scaraventato con una tale forza e odio sul fondale, che pensai centrasse Loki in tutto questo. Il sole filtrava attraverso i metri d’acqua, e io rimanevo fermo, senza alcuna voglia di risalire, e tornare a quel mondo dove temevo di scoprire che mio fratello avesse deciso di tagliare ogni ponte con me. Come avrei potuto sopportarlo? Quando distrussi per la prima volta il Bifrost e lui si lasciò cadere... quando tutti credemmo che Loki era morto, fu terribile, ma andammo avanti. Mi convinsi che dimenticare era la cosa giusta da fare. Mentii come solo il dio degli inganni riesce a fare, e finsi di non avere un cuore rotto e in agonia.
Per questo non permetterò più che Loki si lasci cadere. Perché non posso vivere senza quel bugiardo mentitore e doppiogiochista. Perché è mio fratello, mio amico, e la persona a me più cara. Perché sono egoista, e voglio che Loki rimanga sempre al mio fianco. Perché gli voglio bene.
Sentii qualcosa sollevarmi di peso dal fondale, e farmi riemergere velocemente.
“Razza di idiota! Volevi farti un pisolino sott’acqua?! Ci hai fatto morire di paura!”
“Calmati Sif... avevo la situazione sotto controllo...”
“Certo, fino a quando quell’onda non ti ha inghiottito, e tu sei rimasto a confabulare con i tuoi pensieri nelle profondità degli abissi!”
“Hai visto qualche bella sirena cui presentarmi, Thor?” Rise Fandral, mentre ci veniva incontro a nuoto.
“E la tua tavola?”
“I pezzi sono sulla spiaggia. Dice che lo ha attaccato uno squalo. Io credo invece che abbia soltanto perso le staffe...”
“Sì, beh... come siano andate veramente le cose non ci interessa, voi dovreste credere alla versione ufficiale! Senti Sif...” aggiunse poi, guardando il sole ormai quasi tramontato all’orizzonte.
“Credi sia ora?”
“Lo abbiamo tenuto impegnato per una giornata intera e... Sì, penso che possa andare bene...”
“Di cosa state parlando voi due?”
“Torniamo sulla spiaggia, presto saprai tutto.” Disse Sif, sorridendo in un modo sornione, come se nascondesse il più prezioso dei segreti.
 
Tutti quanti ci avviammo lungo la spiaggia, il sole quasi scomparso all’orizzonte inondava di fiaccole di luce la volta celeste, come se un carro di fuoco avesse incendiato il cielo.
Provai a chiedere spiegazioni, cosa stava succedendo, dove stavamo andando... ma l’unica risposta che ottenni fu un testardo ed ostinato silenzio da parte di tutti.
In realtà speravo che almeno Volstagg mi dicesse qualcosa. Ogni volta che gli facevo una domanda lui prendeva aria come se volesse parlare, poi incontrava lo sguardo inferocito e severo di Sif e degli altri, e si azzittiva subito.
Perciò alla fine mi arresi a seguirli in silenzio, con il rumore del mare ad accompagnare la nostra taciturna processione.
Ad un certo punto intravidi un’enorme scogliera separare la spiaggia e buttarsi in mare.
Sif estrasse una specie di fischietto, con un’ampolla di vetro. Vi soffiò dentro, ma quello non produsse alcun suono.
“Che stai facendo?”
“Nulla che ti interessi... per il momento.”
“Lo sapete? State diventando fastidiosi con tutti questi segreti.”
“Non mettere il broncio proprio adesso, Thor, ci siamo quasi...”
Arrivammo alla base della scogliera, che vista da così vicino sembrava una frana di rocce nere, appuntite e affilate come rasogli.
“Dobbiamo oltrepassarlo.”
Fandral sospirò pesantemente e chiese, con voce stizzita.
“Ti ha almeno detto come fare, il principino?”
“Il principino...?”
Sif rivolse una sonora sberla sulla testa a Fandral, e a me un sorriso mellifluo.
“Non ascoltarlo, sta vaneggiando. Ha bevuto troppa acqua di mare oggi...”
Sif percorse lo scoglio per la sua lunghezza andando verso l’entroterra. Tra le rocce si rivelò esserci una specie di varco.
“Ecco, da questa parte...”
Centravamo tutti abbastanza agilmente, tranne Volstagg che dovette fare un po’ di torsioni, ma alla fine passò. Oltre quella specie di ingresso si apriva un corridoio scavato nella pietra nera, alcune torce erano appese nella parte più alta della parete, e ci illuminavano il cammino. Dopo circa un centinaio di metri arrivammo alla fine del corridoio, ma l’uscita era coperta da un pesante drappo rosso, che ne copriva la visuale.
Sif si girò sorridente, e mi fece segno di precederla.
Prese le tende e mi lasciò un bacio sulla guancia.
“Buon compleanno, Thor.”
Le scostò e mi spinse avanti.
Io rimasi senza parole.
La specie di caletta che quegli scogli nascondevano esplose in un coro di voci esultanti. Un’enorme folla ricopriva ogni centimetro di spiaggia, e sembrava che su quel piccolo pezzo di terra si fosse riunita tutta Asgard. Uno dopo l’altro mi vennero incontro tutti, abbracciandomi e facendomi i loro auguri. Sif intanto si faceva largo a stento tra la gente e cercava di spiegarmi.
“Sei davvero un idiota, Thor! Sei stato così preso dai fatti degli ultimi tempi che ti sei anche dimenticato che oggi era il tuo compleanno!”
“Per gli dei... hai ragione, ma... tutta questa gente?”
“Sapendo che non saresti tornato ad Asgard per l’evento, abbiamo pensato tutti di venire quaggiù... beh, in realtà l’idea non è stata nostra. Tuo fratello ha pensato a tutto.”
“Cosa?! Loki...?”
“Certo. Come hai sicuramente notato negli ultimi giorni si è comportato in modo strano... questo perché stava organizzando il tuo compleanno! Mi ha anche chiesto che oggi ti tenessi lontano da lui, e mi ha spiegato come voleva farti portare sulla spiaggia. Perciò questa è tutta una sua geniale trovata.”
“Incredibile...”
“Già... un’ultima cosa! Questa è una festa in maschera, perciò... prendi!”
Mi mise in testa delle orecchie color della paia, e sul viso una maschera intrecciata di fili d’oro.
“Il tema?”
“Animali!”
 
 Al mio arrivo non ero riuscito a scorgere molto, attraverso le strette di mano, gli abbracci, e quella marea di gente che si complimentava. Avevo visto orecchie, code, maschere brillanti coperte di pietre, e animali di ogni tipo farmi gli auguri.
Ad un certo punto mi diedero tregua e riuscii a trovare un piccolo spazio dove riprendere fiato. Solo allora mi accorsi di quello che mi circondava. La caletta dove ci trovavamo era recinta da un promontorio roccioso, nero come la pece, sulle cui pareti c’erano milioni di torce accese. Nel cielo svolazzavano lampade di carta, attaccate al suolo con dei nastri. Due enormi tavolate si stendevano parallele da una parte all’altra della caletta. Vi trovai ogni genere di ben degli dei, e anche Volstagg, che divorava voracemente ogni tipo di portata. Un palco enorme, e una specie di pista da ballo invece si trovavano sul lato opposto della caletta. Un gruppo di musicisti si stava esibendo in complicati virtuosismi. Guardai oltre la folla e intravidi gente di ogni tipo. Su di un lato c’era una serie di mangiafuoco, che illuminavano la notte con boccate voraci di fiamme. Poco distante invece c’erano mangiatori di spade, che mostravano alla gente i loro affilati strumenti, per poi farli scendere già per la gola come se fossero stati le più prelibate squisitezze dei nove regni. C’erano poi equilibristi che camminavano su nastri tesi, e sottili come il filo di una ragnatela; contorsionisti che si incastravano in scatole di cristallo, dentro cui non avresti creduto potesse entrare neppure metà del suo corpo; e ancora c’erano illusionisti, prestigiatori, ballerini, e ogni genere di intrattenimento. I convitati sembravano divertirsi, e ad ogni esibizione rispondevano con esclamazioni di stupore, ed esaltati applausi. Era tutto magnifico... ogni cosa riluceva di una familiare accoglienza, e di una preziosità non leziosa, ma gentile e lusinghiera. Davvero Loki nelle ultime due settimane aveva pensato a tutto questo? Quasi che avessi formulato quella domanda ad alta voce vidi una donna avanzare verso di me. Aveva un lungo abito color crema, una maschera con piccole piume sbiadite, e i capelli dorati tirati su in un'elaborata treccia, attorno alla testa.
Mi si sedette accanto, e solo quando aprì bocca compresi che era mia madre.
“Ti piace la tua festa?”
“È... splendente.”
“Sì, proprio nello stile di tuo fratello...”
“Loki. Davvero ha fatto tutto questo?”
Frigga mi guardò e sorrise.
“Non è la prima volta...”
Vide il mio sguardo interrogativo e continuò con voce dolce:
“Loki ha aiutato fin da bambino ad organizzare le tue feste di compleanno. Quando divenne abbastanza grande cominciò ad occuparsi di tutto. Le programmava in ogni singolo dettaglio, e anche se era arrabbiato con te, il che capitava spesso, non si tirava mai indietro, e lo faceva con una grande passione.”
“Io non lo sapevo.”
“Non ha mai voluto che te lo dicessi... Loki ti vuole molto bene, figlio mio, anche se non lo dice a parole, e credo che questo fosse il suo modo per dirti ‘Grazie’.”
“Grazie per cosa?”
Frigga scosse le spalle.
“Semplicemente... ‘Grazie per essere il fratello che sei, Thor.’ ”
Ricordai allora in un momento tutte le grandiose feste di compleanno che ogni volta venivano organizzate in quell’occasione. Aspettavo quel giorno tutto l’anno, trepidante ed emozionato ogni volta come se fosse la prima. Era il giorno più bello della mia vita. Le sale brillavano come pietre preziose. Musica, balli, risate. E ancora tutti i miei amici, che durante tutto il giorno non mi lasciavano mai un momento da solo. E i giochi, e gli intrattenimenti di ogni tipo, che ricoprivano il castello in ogni angolo, come se tutta Asgard si fosse preparata e vestita a festa tutta quanta solo per me. Era così dunque. Prima che quelle giornate meravigliose cominciassero, ogni volta, vedevo mio fratello tornare molto tardi in camera, quasi all’alba, e infilarsi nel mio letto, esausto. Gli provai a chiedere un paio di volte perché tornasse così tardi, e cosa facesse per ridursi in quello stato, ma lui si limitava a guardarmi, a sorridere, e a dirmi: “Sei un’idiota, Thor.”
“Dov’è Loki? Lo devo assolutamente trovare!”
Frigga sorrise.
“Sarà un’ardua impresa, figlio mio... ricordi come scompariva nel giorno del tuo compleanno? Non voleva che tu lo trovassi, e credo che anche oggi sarà sfuggente come la nebbia...”
“Dimmi almeno com’è vestito, madre! Lo cercherò tutta la sera se necessario!”
“Oh, non c’è bisogno che te lo dica, lo riconoscerai subito. Questa sera credo abbia superato se stesso, è... a dir poco ammaliante.”
 
Mi immergo nella folla, perdendomi tra sorrisi e pacche sulla spalla.
Loki ha fatto davvero un lavoro straordinario... Sul palco ho già visto sei gruppi diversi, e credo che ce ne saranno altrettanti per tutta la serata. Sembra un circo ricoperto di sfarzo. Passo accanto ad animali di ogni tipo ma non riesco a trovare Loki da nessuna parte. Poi alla fine vedo un’ombra scura muoversi tra quell’arcobaleno di gente. Corro nella sua direzione, ma non lo vedo più. In compenso trovo un affamato Volstagg nella zona del banchetto dedicato ai dolci.
“Thor! Il nostro principe! Vieni anche tu a gustare questo ben degli dei! È addirittura più squisito del cibo che si trova nel Valhalla!”
Il guerriero mi trascina al banchetto e mi mette in bocca un pezzo di torta gialla con fragole, intinte in un liquore dolciastro e rosso.
“La chiamano cheesecake! Non è meravigliosa?!”
“È deliziosa, amico mio, ma... hai visto mio fratello per caso?”
“Loki, dici? ‘Visto’ non è la definizione giusta, direi... credo che sia passato qualche minuto fa, quando mi ha colpito in testa con un vassoio.”
“Di certo non gli stava bene che ti ingozzassi come un cinghiale...”
“Ma è il mio costume, guarda!” rise, mentre mi mostrava le orecchie pelose che esibiva sulla testa, e la maschera scura, color del mogano.
Fandral e Hogun poi mi intercettarono, e non riuscii più a levarmeli di torno.
 
Avevo avuto tutta la giornata un nodo allo stomaco. Da quando avevo fatto quella strana conversazione con Loki non riuscivo a togliermi quell’idea dalla testa. Solo dopo le sue parole avevo cominciato a ricordare, e a rendermi conto della verità. Ripensai a quella botola di ferro arrugginita, e mi sembrò di risentire le grida di Loki dentro la mia testa. Rabbrividii.
Attraversai la caletta, dando rapide occhiate a Thor, per vedere se trovava suo fratello. Alla fine vidi che si faceva coinvolgere nella festa da Volstagg e gli altri, e tirai un sospiro di sollievo, volevo trovare Loki per prima. Avevo un piano, e sarebbe stato abbastanza facile da attuare. Salii sopra un pezzo di scogliera, che creava una sorta di terrazza naturale senza balcone. Mi ritrovai sopraelevata rispetto agli altri, e potei guardare dall’alto quella folla di gente. In mezzo alla luce le ombre risaltano come stelle in una notte buia. E infatti, in mezzo a quel mare di colori e luci, vidi una figura vestita di nero, che scivolava con passi agili tra la gente, quasi senza che nessuno si accorgesse di lui. Scesi velocemente, e cercai di farmi spazio tra i convitati. Lo avevo visto dirigersi verso un piccolo bosco, situato nella parte nord-ovest della caletta, un ottimo posto dove nascondersi. Arrivai solo molto più tardi, e molto più goffamente di Loki alla radura, e mi ci immersi. La vegetazione cresceva come se fosse stata una foresta equatoriale in miniatura. Attraverso le spesse fronde degli alberi filtrava una cascata di scintille di luce, che dava a quel luogo un aspetto etereo e surreale.
Non lo vidi subito, ma quando lo distinsi tra le ombre mi venne un colpo. Loki se ne stava appollaiato sopra un ramo di un albero, ad un metro da me, con gli occhi chiusi, e accennando piccoli movimenti a tempo di musica.
La luce non era sufficiente però per vedere esattamente come fosse vestito, riuscivo solo a distinguere un completo nero, e una maschera scura.
“Loki...” bisbigliai, cercando di non spaventarlo, e lui si riscosse di colpo.
Mi piantò sul viso il suo sguardo più indifferente, ma non disse nulla.
“Che ci fai qui? Tuo fratello ti sta cercando...” provai a parlargli gentilmente, ma le emozioni che provavo in quel momento erano più confuse che mai.
Loki mi fissò ancora, e mi sentii a disagio come non lo ero mai stata. Sentivo l’odio e la rabbia che avevo sempre provato nei suoi confronti, mischiato ad un estraneo senso di compassione e paura.
Insomma! Mi trovavo di fronte al capriccioso e diabolico Jötun, figlio di Laufey e Farbauti, un essere tanto spregevole quanto crudele, che aveva cercato di distruggere la sua stessa razza e aveva tradito la famiglia che lo aveva accolto con così tanto amore... perché avrei dovuto provare pietà di lui?!
“Thor è davvero preoccupato, vuole vederti, e non credo si gusterà appieno la festa fino a quando tu...”
“Perché sei venuta qui, Sif?” mi interruppe, con un tono di voce monocorde.
“Io sono qui perché...” balbettai, ma quando Loki scese dall’albero e mosse qualche passo verso di me mi morirono le parole in bocca.
Mi misi ad osservarlo. Non avevo mai notato quanto il suo passo fosse così agile e morbido, sensuale e quasi femminile, e ne rimasi quasi incantata.
“Ti ho spaventato per bene, l’altra sera, non è così?”
“Cosa te lo fa pensare?”
“Il fatto che al tuo odore di rose selvatiche e chiodi di garofano si rimescoli il profumo acre della paura.”
Sorrisi, cercando di nascondere l’agitazione, e mostrandomi superba come sempre.
“Ti stai sbagliando.”
Loki però fece uno scatto fulmineo in avanti, e io sobbalzai, candendo all’indietro.
Il dio delle malefatte sorrise, trionfante, e inginocchiandosi a metà, appoggiando il gomito su una gamba, mi si avvicinò.
“Ammettilo, piccola Sif, sei terrorizzata...”
Come riuscire a mentire al dio degli inganni? Decisi che il silenzio era la linea di condotta più onorevole in quella situazione.
Loki mi scansò una ciocca di capelli dal viso, ma quel gesto, che voleva sembrare dolce, mi sembrò soltanto freddo e glaciale.
“Te lo ripeto: perché sei qui?”
Ingoiai e mi decisi a parlare, puntando ostinatamente lo sguardo a terra.
“Quello che mi hai detto. La botola e tutto il resto... non era una menzogna. Era la verità, non è vero, Loki?”
Il dio sorrise scrollando le spalle.
“Ancora con questa storia? Ti ho spiegato che era solo un trucco, il mio ennesimo inganno.  Non ti devi angosciare per una stupidaggine del genere...”
Sorrise, ma io mi torsi le mani.
“Non era un inganno, Loki. Ormai ne sono sicura. Credo di ricordare qualcosa.”
Detto questo vidi il dio restare immobile, e dal suo viso si spense qualsiasi nota ironica.
“Tu... ricordi?”
“Dunque è la verità! Loki, io non volevo farti nulla di male! Ero solo una bambina... io ero solo...” mi aggrappai a lui, comportandomi come una folle. Sentivo che dovevo assolutamente fare qualcosa per rimediare al mio errore, anche se qualcosa da fare non c’era.
“Cosa ricordi?” Mi chiese, atono.
Cominciai a sentire le lacrime salirmi su per la gola, ma le ricacciai giù con forza.
“Ricordo quando scoprii la botola... l’aprii e non trovai nemmeno il coraggio di entrarvi. Però mi era venuta un’idea... quella di poterti chiudere lì dentro per qualche tempo, solo per poco... quanto sarebbe stato necessario per Thor di accorgersi di me... Loki... Loki, io... so che non servirà ma... volevo solo chiederti scu...”
Il dio delle malefatte mi troncò la parola a metà, tappandomi la bocca con la mano, in un gesto fulmineo.
Risollevai lo sguardo, e vidi il volto di Loki essere diventato di ghiaccio: la mascella contratta, i nervi del collo tesi come spesse corde di violino, e uno sguardo tagliente come il filo di una lama.
“Non dire. Quella. Parola.”
Il nodo in gola si strinse con più forza. Le sue parole vibravano di una rabbia talmente ancestrale e radicata, che sembrava fosse solo quella a tenerlo in vita.
Lo vidi rabbrividire un attimo, poi, lentamente, si portò una mano al viso, e si fece scivolare la maschera verso l’alto. Fu come guardare dietro pesanti tende di teatro, o come, appunto, spiare dentro l’anima nera di Loki, e vedere finalmente quello che vi nascondeva.
La sua espressione mi colpì come un pugno allo stomaco, e l’avrei preferito... avrei preferito di gran lunga qualsiasi altra tortura, piuttosto che guardare quegli occhi di giada, brillanti come pietre.
Su quel viso mi parve di leggere secoli e secoli di rancore, odio, e rabbia. Vidi una ferita talmente profonda da risultare inguaribile. Una ferita che si chiudeva e si riapriva, ogni volta, provocando dolori atroci. Vidi dentro quello sguardo un animo puro, distorto dalla follia, e che, proprio come fa un albero in cerca di luce, soffocato, si aggroviglia, si contorce su se stesso, in agonia, fino a quando non riesce a trovare un angolo dove riprendere a crescere. L’anima di Loki era deformata come l’immagine di uno specchio rotto, ed ero stata proprio io una delle cause.
No, non c’era perdono possibile per quello che avevo fatto. Non dentro il suo cuore. Un semplice “Mi dispiace” non sarebbe bastato a sistemare ogni cosa. Forse io avrei potuto dirlo, e dicendolo mi sarei sentita meglio, in pace con me stessa, come se davvero avessi risolto ogni cosa con delle semplici scuse. Ma Loki non voleva che lo dicessi. Non voleva che mi sentissi meglio, e sollevata. Perché non dovevo esserlo. Ora che condividevo con lui i suoi demoni personali dovevo soffrire, non combattere, non perdonarmi. Lasciarmi divorare dall’angoscia. Era la cosa giusta da fare. Il passato non si cancella, gli sbagli restano, e le ferite non guariscono.
Se le parole possono ferire, non è vero il contrario: le parole non possono guarire.
Le lacrime capitolarono finalmente giù dal mio viso, rigandomi le guance e bagnando la mano di Loki, che ancora mi teneva la bocca.
Mi guardò con quegli occhi ancora per molto, così tanto che mi parve una vita, come se stesse decidendo cosa fare di me. Avrei accettato senza fiatare qualsiasi sua decisione.
Qualsiasi. Alla fine Loki si riabbassò la maschera, e sorrise. Il dio delle malefatte era tornato. Il suo sguardo beffardo era la maschera della sua vita.
“Stai tremando, piccola Sif...”
Mi si avvicinò, e mi baciò sugli occhi, per fermare le lacrime amare che non volevano smettere di scendere.
Loki poi si alzò in piedi e si allontanò un po’ da me, permettendomi di rialzarmi a mia volta.
Mi asciugai velocemente gli occhi con l’avambraccio, come farebbe una bambina, e guardai verso la festa.
Presi coraggio e alla fine dissi:
“Loki, perché ti nascondi qui dentro?”
Lui mi lanciò uno sguardo veloce.
“Io non apparterrò mai a quel mondo scintillante. Sebbene io ci sia cresciuto dentro, sebbene ci abbia provato con tutte le mie forze... tutta quella luce è accecante per me.”
“Quindi... rimarrai nell’ombra?”
Loki sorrise a quelle parole, poi diede un rapido sguardo fuori, verso la festa.
Sembrò che un’idea divertente gli solleticasse l’anima e quindi si voltò verso di me.
Fece un inchino elegante e morbido, e mi tese la mano.
“Non appartengo a quello scintillio di vecchi aristocratici imbellettati ma... questo non significa che si debbano dimenticare di me. Mi farebbe l’onore di questo ballo, signorina Sif?”
Sorrisi, senza sapere esattamente il motivo. Quel dio delle malefatte era un rompicapo affascinante e terribile, e mi meravigliai nel pensare che, se solo Loki non fosse così pieno di dolore e odio, sarebbe stato un sovrano molto migliore di Thor.
Guardai quella mano bianca, e la presi.
 
“Giù! Giù! Giù!” incitò Fandrall, alla mia destra.
“Forza Volstagg! Ancora un altro boccale!” gridai, esultando insieme agli altri.
Lui mi guardò con sguardo perso, e annebbiato dalla birra.
Poi infilò il naso dentro il boccale che aveva in mano e buttò giù tutto in un sorso.
La folla che si era radunata per vedere quello che accadeva, esultò come di fronte ad un avvenimento prodigioso.
Sul tavolo ormai si era creata una montagna di boccali vuoti, degni del guerriero più ingordo dei nove regni.
“Un altro!” gridò, non appena ingoiò anche l’ultima goccia.
“Volstagg, penso che per oggi possa bastare. Hai prosciugato tutto l’alcol della festa.”
“Ha ragione mio figlio, lasciagliene almeno un po’...”
La voce di mio padre risuonò in mezzo alla folla, e tutti si scansarono, rispettosi, facendo passare il padre degli dei.
Indossava una veste drappeggiata di stoffa rossa, e una delle sue più belle armature.
La maschera che indossava gli copriva l’occhio ceco, ed era ricamata e impreziosita di topazi. Tra i capelli portava delle piume che mi sembrarono quelle di un’aquila.
“Sì, padre... è una festa meravigliosa.”
La maggior parte della gente si disperse.
“Bene, sono felice che sia così. Sei già andato a ringraziare tuo fratello?”
“Stasera è più sfuggente di un’anguilla. Ancora non sono riuscito a catturarlo...”
“D’accordo, allora... Buon compleanno, figlio mio.”
Sorrisi, ma qualcosa catturò ben presto la mia attenzione.
Il gruppo sopra il palco intonò una canzone lenta, ma ballabile. Sentii un mormorio vibrare attraversare la folla, e vidi gente che indietreggiava e faceva spazio a qualcuno che invece stava avanzando verso il centro della pista.
Incrociai sguardi meravigliati, e sorrisi in tralice. Corsi, facendomi largo tra la folla, ma era impossibile avanzare. Intravidi una specie di piccola impalcatura, addossata alla parete di roccia, sulla cui cima erano state sistemate delle casse per il suono. Mi arrampicai, e alla fine arrivai sulla cima. Guardai giù e, attraverso quello spettacolo di sfarzo e luce dorata, lo vidi.
Compresi immediatamente perché l’attenzione di tutti era stata così prepotentemente catturata.
Il cuore mi fece una capriola nel petto, e rimasi come fulminato.
Le gambe divennero molli, il cervello sembrò diventare poltiglia, e tutto il mondo cominciò a girare attorno a quelle due figure che ballavano qualche metro sotto di me.
Sif e Loki, stretti l’uno contro l’altra, muovevano lenti ma agili passi di danza.
Sif indossava un lungo vestito rosso, che lusingava gentilmente le dolci curve del suo corpo, e sul viso aveva una maschera, anch’essa rossa, ricoperta di paiette. Sul capo, tra i capelli neri, le spuntavano due piccole orecchie da volpe.
L’espressione di lei era a dir poco estasiata, quasi in tralice.
Ma la mia attenzione cadde solo di striscio sulla bella Sif, attirata come una calamita sulla sinuosa figura di mio fratello.
Indossava un gilet nero, decorato con ricami d’argento, che gli metteva in risalto ancora di più la sua vita sottile. Sotto portava una camicia gessata, e un paio di jeans grigio antracite, con una piccola catena d’argento che gli toccava il fianco.
Sul viso portava una maschera, anch’essa nera, con gli stessi preziosi ricami del gilet, dalla cui parte inferiore uscivano dei baffi, sottili come capelli d’angelo, che sulla punta avevano delle perline di cristallo, che sembravano quasi gocce d’acqua.
Infine, sui capelli corvini, accuratamente lisciati all’indietro, erano sistemate un paio di morbide orecchie nere da gatto. Loki sorrideva in un modo così affabile, da risultare terribilmente affascinante. I suoi movimenti erano veloci ma agili proprio come quelli di un felino. Ogni gesto, ogni passo, erano di un’eleganza fin troppo spontanee. Mi ricordò quella volta, nei bagni, quando lo avevo intravisto alla luce lunare, e anche ora mi parve avvolto di quella innata regalità. Tutti si erano ammutoliti al solo vederlo danzare. Risuonava nell’aria calda della caletta, soltanto il rumore della musica, e dei loro passi.
Devo raggiungerlo.
Scesi dall’impalcatura il più velocemente possibile, ma quando mi ritrovai in mezzo alla folla, mi avvidi di quanto fosse difficile avanzare. Ci provai lo stesso, perché una paura insensata si era impadronita di me. Temevo infatti che non appena la musica sarebbe cessata, avrei perso per sempre mio fratello.
Mentre passavo tra la gente mi guardai attorno e mi accorsi del modo in cui tutti i convitati lo guardavano. Vidi sguardi di desiderio, di piacere, di curiosità, ed immotivato affetto, vidi che qualcuno li guardava con gli occhi sgranati, senza nemmeno il ritegno di chiudere la bocca, inavvertitamente apertasi per lo stupore. Ma mi avvidi anche che nessuno si era accorto di chi fosse il misterioso ballerino.
Era quello dunque l’effetto che mio fratello riusciva a sortire su chiunque con un solo sguardo?
Loki, il dio delle malefatte, colui che può mentire, ingannare, divenire l’artefice delle peggiori efferatezze con una solo schiocco di lingua. Quello stesso dio che però può creare con altrettanta facilità un palco da teatro prezioso come il gioiello più raro. Quel dio che può affascinare ed ammaliare. Renderti succube, e schiavo, con la promessa di una sua carezza, di un suo sguardo.
Tutti dicono che Loki sia la pecora nera di Asgard, ma a me, in questo momento, sembra piuttosto la stella più fulgida sulla quale il mio sguardo si fosse mai posato.
Ero avanzato di appena qualche metro, e la coppia di ballerini si trovava almeno ad altri quindici di distanza.
Perché, Loki, devi fare sempre così? Perché devi essere sempre così sfuggente?! Più cerco di avvicinarti, di portarti dalla mia parte, sotto la mia custodia, e più ti sento sfuggirmi tra le dita, mettere mari e monti tra di noi. Perché non vuoi che ti sia vicino? Di cosa hai paura? Perché continui a dirmi che mi odi, se poi mi guardi in quel modo...?
Tra la gente si aprì un varco, e cominciai ad avanzare più agilmente, ora riuscivo quasi a vederli. Loki e Sif si guardavano negli occhi senza dire una parola, come se non fossero servite, e quando incrociai quello sguardo appassionato mi salì il sangue alla testa.
Fratello, che ti succede? Non ti riconosco... perché ti stai comportando in questo modo? Perché sotto il tuo sorriso obliquo e attraente ti vedo così arrabbiato?
Sif, dal canto suo, era completamente sotto il suo controllo, e sembrava una bella bambola tra le mani di un’abile marionettista.
Lo sentii bisbigliare qualcosa e mi tesi per ascoltare.
“Cosa vuoi che ti faccia, piccola Sif?”
“Ciò che vuoi...” rispose in un ansito, con gli occhi grandi pieni di lui.
Loki sorrise. Gli piaceva incantare e rubare l’anima alle persone, era un’arte che aveva cominciato ad apprendere fin da piccolo, e che aveva perfezionato giorno dopo giorno.
La musica continuò a suonare, e ad insinuarsi sinuosa tra gli astanti.
La luce colorata delle lampade, che volteggiavano a qualche metro da terra, dava un’atmosfera irreale, e quasi pensai che tutto quello fosse solo un sogno, o, a seconda dei punti di vista, un incubo.
Diedi qualche spallata in più e bruciai gli ultimi metri.
Loki fece scivolare la mano sulla vita di Sif, e la strinse con più forza a sé.
“Non vorresti che ci fosse Thor, al mio posto?”
“No...”
“Vuoi che ti baci, dolce, ingenua, stupida Sif?”
“...sì.”
La musica iniziò a rallentare e a spegnersi.
Il ballo stava per finire, e temevo quello che sarebbe successo.
Loki prese Sif e, sorreggendola, le fece fare un profondo caschè all’indietro.
Io ero arrivato praticamente a pochi metri da loro, ma mi fermai, bloccato da quello che vidi.
Il dio delle malefatte si avvicinò al viso della donna, aprì leggermente le labbra e socchiuse quello sguardo perso, da innamorato senza speranza.
Riuscivo quasi sentire Sif fremere, e quando le loro bocche arrivarono ad un soffio l’una dall’altra la vidi trattenere il respiro.
“Loki...” bisbigliai, senza rendermene conto.
Feci appena in tempo a vedere la luce divertita negli occhi di mio fratello e poi...
“Mi dispiace: ho mentito.”
Lasciò Sif, e la donna cadde all’indietro, finendo disastrosamente a terra.
Loki si rialzò, si lisciò il gilet, e le rivolse un sorriso beffardo.
Sif lo guardò prima confusa, e poi schiumante di rabbia.
Non l’ha baciata...
Chissà per quale motivo in testa mi ronzava soltanto questa frase, e devo ammettere... con un certo sollievo.
“Buon compleanno, fratellone!”
Una voce familiare mi si affiancò.
“Serena? Anche tu qui?”
Quello scricciolo di ragazza indossava un vestitino corto, e bianco, bordato di pizzo. Tra i ricci che le vezzeggiavano il viso invece le spuntavano un simpatico paio di orecchie da coniglietto.
Lei mi strizzò l’occhio, e poi si voltò verso Loki, che ancora non si era accorto di noi, ma se la rideva di gusto di fronte alle imprecazioni di Sif.
“Bellissimo, non è vero? Oggi ha superato se stesso.”
“Chi? Loki? Sì, lo credo anch’io...”
Poi la ragazza mi rivolse uno sguardo obliquo.
“Comunque tutta questa gelosia non ti fa bene, Thor. Ti roderà l’anima se continui così! Va’ semplicemente da lui e spiegagli come stanno le cose.”
Sgranai gli occhi.
“Io geloso di Loki?! Serena, quante birre ti sei bevuta insieme a Vostagg?”
La ragazza sorrise.
“Fratellone, si vede come se ce lo avessi scritto in faccia che sei geloso marcio. Se dipendesse da te, chiuderesti Loki in cima ad una torre per non farlo vedere e toccare da nessuno. O forse ancora meglio... dentro le tue stanze personali.”
“Ma che stai dicendo?! Mio fratello è libero di fare ciò che vuole, perché tanto alla fine fa sempre ciò che vuole... e io non sono geloso!”
Incrociai le braccia, seccato, e la ragazza sghignazzò.
“Sì, certo, ti credo... ma allora perché sei bianco come un cencio?”
Sbuffai.
“D’accordo, forse sono un pochino geloso, va bene? Ma tanto a che serve? Mio fratello mi odia, e non vuole più parlarmi...”
Serena mi rivolse uno sguardo esterrefatto.
“Ma sei scemo?”
“Sc-scusa?” Chiesi, preso in contropiede.
“Secondo te qualcuno che organizza una festa del genere, che pensa a tutti i dettagli e a tutti i dannati particolari... secondo te questo non è un enorme manifestazione di affetto? Avrebbe fatto tutto questo perché ti odia, Thor?”
“Beh, no ma... qualche ora fa mi ha detto chiaro e tondo come la pensava. Mi ha urlato contro che si era stufato di me, e che tra di noi era finita.”
Serena emise un gemito frustrato.
“Hey! Svegliaaa, gli stavi tra i piedi, Thor! Doveva finire di organizzare la tua festa a sorpresa, e tu facevi di tutto per rovinarla, la sorpresa! Negli ultimi giorni abbiamo fatto i salti mortali per non farti scoprire nulla, e anche se Loki continuava a dire che eri ottuso come il tubo di un lavandino, prendevamo tutte le precauzioni necessarie! Quando ti sei fiondato nel Black Bread stavamo lavorando alla tua torta. Ho visto Loki sbiancare e per poco non gli è caduto tutto quanto. Io non sarei stata gentile come lo è stato lui.”
“Allora era tutta una farsa?”
“Evviva! Ci siamo arrivati alla fine! Meglio tardi che mai, non è vero, Thor? Comunque io se fossi in te mi sbrigherei ad avvicinarlo, per come è fatto tuo fratello potrebbe anche scomparire di nuovo tra la folla...”
Non me lo feci ripetere due volte, e con due grandi falcate uscii da quel marasma convulso di gente in abito da sera, e mi avvicinai a lui.
Sif fu la prima a vedermi, e mio fratello, seguendo il suo sguardo, mi intercettò.
Lo vidi fare un passo indietro, e l’indecisione serpeggiare sotto la sua maschera, ma alla fine si lasciò raggiungere. Dietro di me sentivo lo scalpiccio dei passi di Serena.
“Ciao, fratellino...”
Loki mi rivolse un cenno del capo annoiato.
“Ciao, Thor...”
Ora che lo guardavo meglio, mi venne da sorridere, e a quel cambio di espressione Loki si riscosse e mi chiese:
“Perché sorridi come un ebete? Non ti sta bene quella faccia da stupido.”
“Sorrido perché sembri proprio un gatto, Loki. Ti sta alla perfezione questo vestito.”
“Avevi dei dubbi sui miei gusti nel vestire? E comunque anche a te non stanno tanto male le orecchie da leone.”
“Perché il leone?”
“Con tutti i capelli che ti ritrovi, e con il tuo spropositato orgoglio, cosa volevi fare? L’orsetto lavatore?”
Risi.
“Hai ragione fratello, comunque grazie per tutto...”
Gli rivolsi un sorriso riconoscente, ma Loki divenne scostante.
“Grazie per cosa?”
“Per aver organizzato tutto questo! È meraviglioso, neppure nelle mie più fervide immaginazioni avevo mai sognato una festa del genere.”
Loki si scostò da me e mi guardò accigliato.
“Io non ho organizzato proprio un bel niente. Di cosa stai parlando?”
“Fratello, è inutile che ti nascondi dietro a un dito. Ormai me lo hanno detto tutti che sei stato tu. Nostra madre, Sif, e ora anche Serena...”
Loki s'imbronciò, e vidi che la cosa non gli andava per niente bene.
Fulminò Serena con lo sguardo, mentre lei corse a nascondersi dietro di me.
“Sì, beh... non l’ho fatto per te! Non riempirti la testa di false illusioni, perché non ce n'é motivo. E poi perché sei così affabile adesso con me, eh?! Questo pomeriggio ti ho spiegato chiaramente quello che pensavo di te, perché sei così contento?”
Scrollai le spalle.
“Perché Serena mi ha spiegato come stanno davvero le cose.”
“Ti ha spiegato come sta...” La voce gli si spense e sbiancò.
“Serena, vieni con me. Dobbiamo affrontare un discorsetto che prima stupidamente mi sono dimenticato di farti. Vieni!”
Con uno scatto fulmineo prese Serena per un polso, e la trascinò in malo modo lontano da noi. Svicolò tra la gente e quasi sparì, ma io riuscii a seguirli.
Decisi di appostarmi lontano, e anche se sarebbe stato più difficile sentire le loro voci, almeno non mi sarei fatto scoprire. Il comportamento di Loki non aveva senso, io volevo semplicemente capire quello che succedeva.
“...Loki! Mi fai male, lasciami!”
Alla fine se la portò di fronte e le lasciò il polso.
“Cosa gli hai detto, esattamente?”
Serena parve tentennare, e poi rispose:
“Solo che per avergli preparato una festa del genere, non potevi che volergli bene... sai, era molto addolorato per le parole che gli hai detto.”
“È giusto che lo sia, se si preoccupa un po’ non gli farà male, ma quello che mi interessa sapere è un’altra: non gli hai parlato di quello che hai visto quando sei entrata dentro la mia testa, vero?”
Alla ragazza si illuminarono gli occhi.
“Ah! Quello... no, mi sono dimenticata! Ma appena lo rivedo glielo dico, va bene?”
Serena sorrise, ma Loki la prese per un braccio, con fare minaccioso.
“No, invece che non glielo dici! Se provi anche solo a fiatare non te lo perdonerò mai!”
Dentro la sua voce c’era una nota di disperazione. Serena sembrava confusa.
“Perché non vuoi? Ne sarebbe stra-felice! Sarebbe il regalo più bello che tu possa fargli.” Loki non rispose, ma Serena lo scrutò in viso un momento di più.
“Fratellino... hai paura?”
Lui si riscosse e le gridò.
“Paura di cosa? Io non ho paura di niente!”
“Paura di rovinare il vostro equilibrio di amore e odio, per esempio...”
La ragazza sorrise.
“Quando mi sono avvicinata a quell'anfora avevo paura di sentire quello che provavi per tuo fratello ma poi... mi sono dovuta ricredere! È davvero prezioso quello che senti, e secondo me è lo stesso anche per Thor.”
“Stai vaneggiando. Thor tiene a me come un cane potrebbe tenere al suo pupazzetto morbidoso. E smettila di dirmi quello che devo o non devo fare! Io faccio ciò che voglio.”
“Già, mi dispiace, signorino Tu-mi-stufi, ma quando ballavi con Sif era rosso di gelosia. Se l’avessi baciata sul serio non so cosa avrebbe fatto...”
Al suono di quelle parole Loki non poté fare a meno di sghignazzare.
“Però me lo devi promettere Serena. Prometti che non aprirai quella tua boccaccia sentimentale, ok?”
Lo sguardo di Serena parve saettare per un momento verso di me, ma forse ancora non mi aveva visto.
“Io non gli dirò niente, promesso. Ma voi dovete chiarirvi. Guarda, ora ti mostro quello di cui ti parlavo poco fa...”
Serena prese Loki per la camicia e lo attirò a sé. I loro volti si avvicinarono, e si baciarono. O almeno questo immaginai, ma dall’angolazione dove mi trovavo, ossia alle spalle di Loki, potevo solo vedere le dita di Serena intrecciarsi tra i capelli corvini, e le mani del dio delle malefatte stringersi attorno alla sua vita.
Uscii prepotente dalla folla e presi Loki per una spalla.
“Cosa diavolo state facendo?!”
Allora mi avvidi di come stava la situazione. Dove le loro bocche si sarebbero dovute incontrare c’era la mano di Serena a separarli. Entrambi mi rivolsero uno sguardo divertito.
“Che ti ho detto...?”
Loki sghignazzò e si allontanò da Serena.
“Dovresti vedere la tua faccia...”
“Bello scherzo, davvero divertente... Da quando siete diventati così amici voi due?!”
“Da quando sei diventato così geloso, Thor? Con Gullveig non hai mai fatto tutte queste storie...”
“Sì, perché... perché era diverso...”
“Diverso in che senso?”
“Perché... argh! Andate da Hel!”
Mi allontanai furioso, sentendomi il viso andarmi a fuoco.
Era diverso perché ancora non capivo quello che provavo per te.
“Thor, aspetta!”
“Lasciami in pace.”
“Era solo uno scherzo! Non ti arrabbiare, Thor!”
Mi girai di scatto, e per poco Loki non mi finì addosso.
“Sai, sei bizzoso come un bambino.”
“Già, perché mi da fastidio che mio fratello si prenda gioco di me.”
“No, perché ti da fastidio che queste labbra bacino qualcuno che non sei tu.”
Sentii la schiena irrigidirsi, ma Loki sorrideva pacato, senza alcun velo di scherno negli occhi.
“Ho sentito tutto quello che vi siete detti, tu e Serena. Di cosa stavate parlando?”
Il sorriso sul volto di mio fratello parve stemprarsi un poco.
“Nulla che ti riguardi.”
“Io invece credo proprio di si. Cosa provi per me, Loki?”
Lui fece un passo indietro.
“Non ti illudere, perché potresti rimanere amaramente deluso. La tua fervida immaginazione da romantica casalinga in meno pausa non si avvicina neppure lontanamente alla realtà.”
Mi passai una mano sul viso e bisbigliai:
“Ti detesto quando fai così...”
“Cosa?”
“Ti detesto quando giochi così con me e i miei sentimenti! Un giorno mi sorridi, il giorno dopo mi insulti, dici di amarmi e poi di odiarmi...”
Loki mi interruppe:
“Non ho mai detto di amarti...”
“Non me lo hai detto, ma i tuoi sguardi sembrano dirmelo! Se tra di noi qui c’è un bambino bizzoso, quello sei tu! Sei insensibile e crudele! Quasi mi sembra che ti piaccia confondermi le idee!”
“Forse se tu non fossi così stupido, non avresti le idee così confuse, dopotutto!”
“Ti godi la scena, non è vero Loki? Il tuo ottuso fratello che cerca invano di capirti, di vedere quello che hai dentro quel casino di testa e di cuore! Ti diverte il mio pietoso spettacolo quasi quanto guardare quello offerto da un cane che si rincorre la coda, ammettilo!”
I toni di quella conversazione si stavano alzando pericolosamente.
“No, che non mi diverte! Come potrebbe?! Anche io non ti capisco! Sei sempre in giro con tutte le donne più belle di Asgard, e poi quando ti ricordi di me ti avvicini, mi sorridi, e mi dici che il tuo fratellino è la cosa più preziosa che hai?! Mi dici una buona volta cosa provi per me, Thor?!”
Furioso lo presi per le spalle e lo scrollai.
“Ti amo, idiota!”
Le mie parole vibrarono attraverso il rumoreggiare della folla. Loki si immobilizzò.
“L’ho capito da poco, e forse è già troppo tardi. Ma te lo dovevo dire. Io ti amo. Amo il modo in cui ti prendi gioco di me, amo la tua espressione estasiata e sognante che hai quando sei chino sopra un libro che ti ha preso particolarmente, amo vederti anche solo gironzolare per il palazzo!”
“Thor...”
“Amo la tua andatura, i tuoi gesti, e quel sorriso sghembo che non ti lascia mai. Amo il tuo profumo, e quel tuo carattere testardo e infantile.”
“Thor, smettila...”
“Hai un corpo gracile, ma una mente così forte da risultare invidiabile a qualsiasi forza bruta. Sei vendicativo, immaturo ed egocentrico, ma io amo tutto questo! Ti amo, anche se tu mi odi e mi detesti, e io...”
Non mi dette la possibilità di aggiungere altro.
La sua bocca si chiuse sulla mia, e quando percepii quel contatto mi sembrò che il mio cuore si fermasse. Sentii quelle labbra, così morbide e fredde, sulle mie, e mentre un formicolio mi attraversava tutto il ventre, la testa si svuotò.
“Che stai facendo...”mormorai, mentre danzava sulla mia bocca con soffici baci.
“Ti mostro... che sei... un’idiota... perché io... non ti odio...”
Mi sentivo le gambe molli come se fossero state di cartapesta, proprio come una ragazzina alle prime armi con l’amore. Era Loki a stravolgermi. Lui ogni volta mi rompeva il cuore, e poi, con diligente cura, rimetteva insieme tutti i pezzi, li baciava e risanava ogni ferita che le sue parole avessero potuto infliggermi.
Amare Loki è come bere una boccetta di veleno, e una di antidoto, ma ne valeva la pena. Sentii le sue mani danzare tra i miei capelli, e la sua lingua lusingare la mia. Il mio respiro divenne più affannoso dopo un po’, e allora Loki, con mia disapprovazione, si allontanò da me.
“Io non ti dirò mai di amarti, Thor. Perché amare significa appartenere a qualcuno, e io non sono di nessuno. Sai che si dice di me, qui su Midgard?”
Scossi la testa.
Gli occhi del dio delle malefatte brillarono, e sul suo viso passò l’ombra di un sorriso deliziato.
Loki era il suo nome, fuoco indomabile il suo temperamento... quasi sembra che mi abbiano conosciuto. In ogni caso il fuoco brucia, è questa la sua natura, e non puoi pretendere di cambiarla.”
“Quindi mi stai dicendo che... non dovrei giocare col fuoco.”
Lui sorrise, divertito.
“Certo che no, però se lo fai, poi non sorprenderti se il fuoco risponde al gioco.”
Detto questo fece per andarsene.
“Non posso prometterti amore eterno, non posso garantirti la mia fedeltà, perché io non sono questo, Thor. Io non sono addomesticabile.”
Scandì le ultime parole con un sorriso sornione sulle labbra.
“Ma se i miei baci e le mie carezze valgono quanto dici... allora potrai anche sopportare il mio comportamento infantile, e i miei modi egocentrici.”
“Dove stai andando, Loki?!”
Era quasi sparito tra la gente, e io faticavo a stargli dietro.
“La tua festa non è ancora finita. Devo fare ancora un’ultima cosa. Tu divertiti, mangia la torta, e ridi insieme ai tuoi amici. Ci rivediamo dopo... se tutto andrà per il verso giusto.”
“Che significa se tutto andrà bene? Fratello!”
Ma ormai era già sparito. Dileguato come un’ombra, svanito come nebbia. Mi chiesi se si divertisse ad essere così sfuggente, ma mi risposi da solo... perché sicuramente sì, lo divertiva da matti.
 
La festa proseguì senza intoppi. Dopo lo scambio dei regali, verso la fine della serata, la situazione era pressappoco questa: Serena blaterava amabilmente con mia madre, con la quale sembrava esserci un misterioso feeling; Sif sembrava essersi calmata, ma quando provai a parlarle di Loki mi lanciò un’occhiataccia che avrebbe fatto tacere anche l’uomo più temerario; Volstagg dormiva soddisfatto, e con la pancia piena, sulla spiaggia, abbracciato ad una grossa botte di birra; Fandral lo vidi ballare e fare il cascamorto con molte delle invitate presenti, mentre Hogun si godeva la musica, sorseggiando un po’ di idromele. Sentii la voce di mio padre tuonare da sopra il baccano della folla, annunciando l’arrivo della torta.
Il dolce era un’imponente montagna di panna montata, organizzato su più piani, su un castello di pan di spagna. Le decorazioni erano fatte con cioccolato bianco e fondente, che davano alla torta una ricercata preziosità. A grandi lettere scarlatte sopra c’era scritto:
“Buon compleanno, Thor!”
C’era anche un disegno abbozzato con la glassa di fragole di Mjöllnir.
Guardai meglio e vidi qualcosa che forse notai solo io. Sotto il mio nome c’era scritto piccolissimo qualcosa che lessi come:
“Thor è un’idiota.”
Non potei fare a meno di farmi sfuggire un sorriso.
Feci appena in tempo a prendere il coltello e tagliare la torta che qualcosa attirò l’attenzione di tutti.
La marea di invitati si voltò istantaneamente verso il cielo, dal quale proveniva il rumore che aveva messo in allarme la gente.
Qualcosa di colorato e luminoso salì verso il cielo, ed infine esplose in una cascata di scintille rosse.
La gente rumoreggiò, meravigliata e piacevolmente sorpresa da quel prodigio.
Serena mi fu accanto in un attimo.
“Cosa sono?”Chiesi, in estasi, mentre il secondo razzo luminoso attraversava il cielo nero, e scoppiava in un arcobaleno di luci azzurre.
“Sono dei fuochi d’artificio... quando li mostrai a tuo fratello ne rimase incantato.”
Un razzo più grande degli altri salì verso il cielo, liberando scintille argentee, ed esplodendo con un enorme deflagrazione.
Serena rise e aggiunse:
“Speriamo non si faccia male con quei razzi. Era piuttosto esaltato quando gli ho dato il permesso di attingere dalla mia scorta personale di fuochi pirotecnici...”
Altre comete rosse, azzurre e gialle rotearono nel cielo come se fossero impazzite. La folla sottostante sgranava gli occhi ed esprimeva la propria meraviglia con lunghi “Aaaah!” o con “Ooooh!"
“Fuoco indomabile...” borbottai, senza rendermene conto.
“Cosa?”
“Ah, no, stavo solo pensando che... secondo te è possibile addomesticare il fuoco...?”
Le indicai i fuochi d’artificio, e in quel momento una cascata di comete fischianti raschiò il cielo ed esplose in una serie di piccole deflagrazioni luminescenti.
“Beh, non saprei... non ci ho mai provato. Ma so che se qualcuno chiude una fiamma dentro un barattolo di vetro, questa si spenge e muore. Il fuoco non può essere addomesticato e poi...”
Serena si voltò verso il cielo, e aggiunse:
“...la sua bellezza sta tutta nel fatto che lui non è tipo da essere tenuto al guinzaglio. Che divertimento ci sarebbe se Loki cominciasse a dicesse di sì a tutte le tue richieste?”
“Io non stavo parlando di Loki!”
Ma la ragazza non mi sentì neppure, e sovrappensiero disse:
“Tutte le tue richieste... beh, forse un divertimento ci sarebbe!”
Mi coprii gli occhi con una mano e Serena rise.
“Oddio no...” il tono allarmato della ragazza mi fece rialzare velocemente gli occhi.
“Speravo non lo facesse! Ma tuo fratello è un vero combina guai!”
Vidi un razzo più lento degli altri attraversare il cielo con un fischio soffocato.
“Che succede, Serena?”
“Giù! Tutti a terra!”
Odino sentì le nostre incitazioni, e ancora la sua voce risuonò sopra quella di qualsiasi altra. Gli invitati ebbero appena il tempo di buttarsi a terra che in cielo esplose un bombardamento di fuochi d’artificio. Un arcobaleno iridescente di colori tinse l’aria sopra la caletta, e illuminò a giorno tutta la zona per kilometri.
Quando tornò la pace, intontiti, ci rialzammo, e Serena sbraitò scocciata.
“Glielo avevo detto di non farlo! Ha attaccato almeno una ventina di fuochi d’artificio insieme! Voleva far esplodere la spiaggia, secondo me!”
La ragazza incrociò le braccia al petto e mostrò un’espressione da mamma che ha scoperto il figlio minore essere guastafeste e disubbidiente.
Dal silenzio, e dal vociare scocciato della folla però si levò una voce lontana, dietro gli scogli. Una voce che solo io riconobbi subito, dalle prime note, e che squillò nella notte più chiara dei fuochi d’artificio. Era la risata deliziata di Loki, che a quanto pare si era divertito come un bambino con il suo più bel giocattolo.
Anche il broncio di Serena si spense al suono di quel riso, e alla fine tutti sorvolammo sul finale esplosivo della serata. Dopotutto... era il dio delle malefatte. 

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