Nota dell'autrice: eccomi
ritornata con una nuova fiction, spero che vi piaccia, commentate numerosi. Un
bacione V.V.B. (Kady)
1-capitolo
Era una notte tranquilla, eppure
non riesco a dormire. La mia mente vaga tra ricordi passati e memorie
lontane.
Otto lunghi anni sono trascorsi,
da allora, malgrado ciò non riesco a dimenticare, a darmi pace; mi sento
responsabile per quello che è successo.
Tutte le sere, quei maledetti
ricordi riaffiorano nella mia mente, impedendomi di dormire.
Mi fa male anche oggi pensare a
quei tempi, quando eri con me, ma non riesco a farne a meno, quei ricordi sono
parte di me, del mio passato, del mio essere…
Caro diario, sicuramente ti
starai chiedendo (Ma questo è pazzo? (Tutti) non, non è pazzo. Io sono partita col
presupposto che, chi scrive il diario, lo consideri una specie di amico, è per
questo che si rivolge al diario come se fosse un essere umano… tutto chiaro?
(Kady)) che è successo ti così terribile da rimpiangermi così…
Te lo stai domandando vero?
Bene,ora ti racconterò cosa è
accaduto, per filo e per segno.
FLASH-BACK
Era una serena giornata di
agosto, faceva molto caldo.
Io ero lì, come sempre, a casa di
Thakao.
Il cielo era limpido e non c’era
neanche una piccola nuvoletta e il sole era già sorto da parecchie ore e per un
tipo mattiniero come me, benché convivi già da parecchio tempo con loro, mi
sembrano ancora strani i loro orari.
Quello era un giorno che avrebbe
segnato per sempre le nostre vite. Era l’onomastico della ribellione dei Neoborg
e perciò andava festeggiata.
Dalla mia parte li ho accettati
più che volentieri, non sono dei grandi simpaticoni, ma è sempre meglio averli
come amici che come nemici.
Comunque, a parte gli scherzi, mi
sono sempre piaciuti, forse perché mi diverto un casino, a cercare di
strappargli un sorriso e quando ci riesci, ti sembra di aver compiuto chissà
quale eroica avventura.
Solo uno non mi è mai andato a
genio. Quel Boris. Lui è diverso dagli altri, forse sarà per il fatto che per
poco mi ammazzava in quell’incontro.
(Mi riferisco a quell’incontro
durante il primo campionato mondiale, quando c’era ancora la Borg, dove Boris,
pur di vincere, aveva quasi ammazzato Rei…(Kady))
Saranno anche passati tre anni da
allora, ma non gliel’ho ancora perdonato.
Ormai ero stufo di stare a letto,
a pensare a quello che sarebbe avvenuto in quella giornata, dato che gira e
rigira il mio pensiero ricade sempre su quel russo, per cui mi alzai, non
curante di fare rumore, e siccome, non si sono già svegliati, con tutto quel
rumore che fanno Thakao, Daici e Hilary che litigano pure mentre dormono, non si
sveglieranno certamente per me che mi alzo.
Mi diressi in cucina dove Nonno
J, mi offrì un’abbondante colazione e mi chiese, per l’ennesima volta, se mi
andava di allenarmi a kendo.
Mangiai con tutta la calma
possibile, poi sotto lo sguardo vigile del nonno, scrissi la lista delle cose
che occorrevano per la festa.
Dopo poco si presentarono in
cucina anche gli altri, fatta eccezione per il nostro lider, che ancora dormiva
beato.
Controllai anche con loro la
lista, poi me ne andai al centro commerciale.
A metà strada mi fermai sul ponte
a guardare l’acqua che scorreva.
Di solito, qui, ci passavo sempre
o con i miei amici oppure avevo così tanta fretta che non mi accorgevo neanche
di passarci.
L’ultima volta che mi ero fermato
a guardare l’acqua, era stato quando Kei era scomparso dopo
l’incontro contro Brooklin; già
una volta mi ero preso una cotta per il Dranzerblader, ma poi dopo il suo
rifiuto, lasciai perdere. Mi ricordo che passai, qui, un’intera serata, a
piangere…
risvegliandomi da quei pensieri,
mi resi conto di aver passato un quarto d’ora, quindi mi rimisi in moto per
raggiungere il supermercato.
Era quasi deserto, c’era solo
qualche anziano, che soffre d’insonnia. In effetti alle otto e mezza di mattina,
chi sen non i vecchi, vanno a fare la spesa?
Che ci posso fare, mi sono sempre
alzato presto, essendo stato abituati così al mio villaggio, dopo una certa ora
non riesco più a dormire.
Avrei dovuto andare al quarto
piano, così presi l’ascensore.
Le luci erano spente e
l’abitacolo era in penombra, ma mi sembro vuoto.
Mi appoggiai alla parete,
aspettando che giungesse alla meta.
Era abbastanza grande, con i muri
rivestiti di velluto, ma non fui in grado di capire di che colore fosse.
All’altezza dell’anca c’era un corrimano di legno che percorreva, quasi
interamente, il perimetro della
cabina.
Ad un certo punto, l’ascensore
sobbalzò e arrestò la sua salita.
Pensai subito ad un black-out, la
mia solita sfortuna.
Non prendo mai questi affari e
secondo te? L’unica volta che lo prendo rimango bloccato. Se questa non è sfiga,
ditemi voi cos’è.
Dall’angolo opposto a cui mi ero
appoggiato io, risuonò la voce di un ragazzo, roca e dura, che imprecava per
questo imprevisto.
Non mi ero accorto della sua
presenza, ma questo mi sollevò.
Mi avvicinai a quel tipo, che
subito mi sembrò famigliare. Capelli lilla, corpo snello, ma muscoloso, occhi
verdi smeraldini e freddi… ci pensai un po’ su, poi la paura mi inondò.
Già ero intrappolato qui dentro e
per di più con lui. Mi feci coraggio, cercando di non far trasparire la mia
paura, gli parlai.
R: Boris… Anche tu qui?
Con questa frase attirai, la sua
attenzione, su di me. Mi guardò con degli occhi che mi pietrificarono, ma cercai
di non darlo a vedere.
B: Anche questo adesso! Non
bastava il black-out? No, dovevo anche restare intrappolato qui con questo
cinesino!
R: Pensi che a me faccia
piacere?
Calò un pesante silenzio, più
soffocante, dell’intera faccenda.
Avevamo, gia, chiesto aiuto, ma
come risposta, ci hanno detto che non potevano fere niente, finche non ritornava
la luce.
Dopo quasi cinque ore la dentro,
l’aria cominciava a mancare.
B: È una mia sensazione, o qui
manca l’aria?
R: Si! Stavo pensando… se qui ci
fossero state 10 persone come cera scritto sul cartello, saremmo morti, per
mancanza d’ossigeno, in cinque minuti!
B: Già! Dobbiamo uscire da
qui.
Mi scappò un sorrisetto, che
attirò uno sguardo più glaciale degli altri.
B: Cos’è che ti fa tanto
ridere?
R: Noi due non ci siamo mai
sopportati e ora siamo qui che rischiamo di morire insieme. Non lo trovi
buffo?
Boris annuì con un cenno del capo
poi prese parola.
B: Su cerchiamo la botola per
uscire!
Ci mettemmo a lavorare.
Presi dalla tasca il mio
fedelissimo Driger e lo lanciai, sferrando il suo micidiale attacco artiglio di
tigre contro la tappezzeria che ricopriva il soffitto, trovando la tanto
sospirata botola.
Con tutti i nostri sforzi non
riuscimmo comunque ad aprirla, era chiusa ermeticamente.
Di aria restava solamente un
soffio.
R: A questo punto ci tocca
restare qui, colmi, e pregare che la luce torni presto.
B: Dimmi tu cinesino come si fa a
stare calmi, in queste situazioni!
Disse scuotendomi con forza.
Mi sentii mancare, non so se per
la mancanza d’aria, per lo scuotimento o per entrambi, ma mi ripresi con un po’
di difficoltà.
B: Scusa, non avrei dovuto
prendermela con te!
Ho le allucinazioni o mi ha
chiesto scusa? No, non è frutto della mia immaginazione mi ha proprio chiesto di
perdonarlo.
Solo in quel momento mi accorsi
che mi stava reggendo, poiché mi ero sentito mancare, così senza pensarci oltre mi scostai, quando…
Ci fu uno scossone e Boris mi
cadde addosso.
Provai una strana sensazione, per
la prima volta mi trovai perso nei suoi occhi smeraldini.
Come erano tristi.
Dicono che gli occhi sono lo
specchio dell’anima, e se è vero, lui dev’essere davvero molto solo.
Sembrava un cucciolo impaurito
davanti ad un cacciatore.
Pensavo che non fosse come gli
altri, che avesse accettato gli insegnamenti, di Vorcof, con piacere, ma ora so
che non è così.
Mi feci all’improvviso cupo e mi
attentai a chiedergli, con la voce che traspariva la mia paura.
R: Per quanto tempo, sei vissuto
al monastero?
Con questa domandai suoi occhi
stettero sull’orlo di mingere e con uno sforzo sovrumano trattenne le
lacrime.
Si alzò di scatto, girandosi
dall’altra parte.
B: Cosa ti importa! Non sono
c***i tuoi!
Quelle parole mi ferirono anche
se non so perché.
In una situazione normale quella
risposta non mi avrebbe fatto ne caldo ne freddo, ma allora perché c’ero restato
così male?
R: Non ne vuoi parlare?
B: Non ne ho mai parlato con i
miei compagni, figurati se lo vengo dire a te!
Ci restai ancora peggio.
Anche con Kei era stato
uguale.
L’ascensore arrivò al quarto
piano, uscimmo, promettendoci mentalmente, che non saremmo più saliti su un
ascensore.
Prima che sparisse dalla mia
vista, mi sfuggì una domanda.
R: Boris?
Mi guardò con aria scocciata,
aspettando che continuassi.
Mi stavo già pentendo di ciò che
stavo per dirgli.
R: Vieni oggi, vero? Mi farebbe
molto piacere. Magari potremmo pareggiare i conti per quella vecchia sfida!
Questa volta mi guardò davvero
male.
R: Naturalmente se ti va!
Se ne andò via senza dire niente,
lasciandomi li come un ebete, sperando in una risposta.
R: Lo sai che sei proprio un
maleducato? Non ti hai mai insegnato nessuno che, per educazione, bisogna
rispondere alle domande?
È inutile tanto non ascolta mai
nessuno.
Mi calmai, ma pensando a quel
momento nell’ascensore, diventai triste.
Non avevo mia visto Boris
così…
Beh lasciamo perdere, non vorrai
mica martirizzarti per quel tipo?
Pensiamo alla spesa.
Dopo una mezzora buona, constatai
di aver preso tutto.
Il carrello era ricolmo di
pizzette, dolci e roba di questo genere, con qualche bottiglia di bevande.
Dopo me ne ritornai a cada di
Thakao.
R: Sono tornato!
M: Dove sei stato?
Pk: Ti stavamo dando per
disperso!
R: Mi dispiace, al centro
commerciale, c’è stato un black-out e sono rimasto chiuso in un ascensore, per
cinque ore.
H: Beh almeno stai bene! Dai
vieni ad aiutarci. Abbiamo già allestito la sala con i festoni, manca solo il
cibo e gli ospiti.
R: Thakao dov’è?
M: È ancora a letto e Kei sta
cercando di svegliarlo!
Sentii un urlo provenire dalla
palestra e cominciai a ridere.
T:
Aaaaaaaaaaaaaahhhhhhhhhhhhh!!!!!!!!!!!!!!! Vadooooooooo a fuocoooooooo!!!!!!!
Aaaaaaaaaaacquaaaaaaaaaa!!!!!!!!
All’improvviso fece la sua
comparsa, il capitano, prendendo una bottiglia d’acqua, scolandosela tutta d’un
fiato. Poi arrivò anche Kei, impassibile come sempre.
Pk: Che gli hai fatto?
K: Mi avete permesso ogni
mezzo!
T: Kei come ti è venuto in mente
di farmi mangiare del peperoncino?
Disse ancora ansimante.
K: Dovevo svegliarti e ho pensato
che fosse il modo migliore!
T: Non potevi pensare ad un
metodo meno… piccante?
K: Avevo pensato ad una secchiata
di acqua gelata, ma poi ho optato per il peperoncino!
Scoppiarono in una sonora risata,
ma non mi coinvolse più di tanto.
Non riuscivo a togliermi dalla
testa quegli occhi.
Andai nel porticato, mettendomi a
guardare il cielo.
La spensieratezza degli altri,
non mi toccava, ero troppo assorto nei mie pensieri, che riguardavano tutti
lui.
Già quel ragazzo mi era entrato
nella testa e non sen ne vuole andare.
Domande.
Un casino di domande ma frullano
nella testa, a cui non riesco a dare una risposta.
Oggi perfino Kei era più allegro
di me.
K: Rei che ci fai qui da solo?
Perché non vieni di là con noi?
R: Non mi va. Voglio stare un po’
da solo!
K: È per caso successo qualcosa
che ti tormenta?
Kei si mise di fianco a me.
Da quando gli avevo svelato
quello che provavo per lui, mi ha risposto che non mi contraccambiava, si è
vero, ma mi ha donato la sua amicizia.
Da allora ci siamo sempre detti
tutto, ma oggi non me la sentivo di raccontargli quello che mi era successo. Mi
dispiace mentirgli, ma proprio non è giornata.
R: No, non è successo niente!
K: Sicuro? Allora perché sembri
così distante e distaccato?
Non mi era mai capitato di alzare
la voce, con lui, ma come ho già detto non ero in vena e iniziai a
strillare.
R: NON SI PUÒ AVERE DEI GIORNI IN
CUI SI VUOLE STARE SOLI? E POI TU MI VIENI A ROMPERE, CHE TE NE STAI SEMPRE PER
CONTO TUO!
Kei si stupì per le parole che
gli avevo appena detto e anch’io.
Diventò cupo e nascose il volto
sotto la frangia.
K: Non volevo farti arrabbiare,
scusami. Pensavo che ti facesse piacere parlare con me.
R: Sai perché mi sono arrabbiato?
Perché tu hai voglia di startene solo e nessuno ti deve toccare, e allora perché
io non posso avere il mio spazio come te?
K: Hai ragione, me ne torno in
casa dagli altri.
Kei se ne andò, lasciandomi di
nuovo solo.
Tra non molto sarebbero arrivati
i Neoborg e con loro anche lui, l’artefice di tutto. Non so se
riuscirò ad affrontarlo.
Il campanello suono, spandendo il
suo suono acuto, per tutta la villa.
Vedi? Parli del diavolo…
Eccoli già qui.
Non me la sento, me ne starò qui,
in disparte, sperando che nessuno mi cerchi.
Stetti, li da solo, per quasi un
ora, ignorando le chiacchiere e le risate che facevano gli altri.
Però una voce mi risvegliò dai
miei pensieri.
B: Non mi avevi promesso una
sfida?
R: Cosa? Ah, sei tu!
B: La sfida!
R: Non stai con gli altri a
festeggiare?
B: Mi sono stancato dei loro
futili discorsi. Non capisco cosa ci trovino di tanto divertente in uno stupido
gioco. Poi stamattina mi avevi promesso una partita a bey e io non mi posso
tirare indietro e a questo punto neanche tu!
R: Ok!
Veramente avrei preferito che non
mi venisse a cercare, ma ormai gli ho già risposto di si.
R: In palestra non possiamo
fronteggiarci, siccome si sta svolgendo la festa, c’è il giardino…
B: Oggi, facendo un giro per la
città, ho notato un posto che farà al caso nostro, seguimi!
Camminammo per parecchi minuti,
passando per i vicoli e posti desolati, ma poi si fermò davanti ad una vecchia
fabbrica abbandonata.
Dopo aver sistemato il campo
lanciammo i bey.
Passarono due ore di estenuanti
lotte, attacchi inarrestabile e
schivate dell’ultimo secondo.
Eravamo entrambi stremati e il
posto non dava molto sollievo. Faceva un caldo tremendo.
Ecco l’attacco finale.
Entrambi usammo i nostri attacchi
più devastanti, ma fu un errore.
L’onda d’urto provocato dai due
bey fece franare le colonne e poi non ricordo più niente, solo il buio.
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