Story Of A Girl

di Akarai92
(/viewuser.php?uid=20411)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Piece of Heaven ***
Capitolo 2: *** Magic Summer Night ***
Capitolo 3: *** Dancing Queen ***
Capitolo 4: *** Requiem for a dream ***



Capitolo 1
*** Piece of Heaven ***


Piece of Heaven     Piece of Heaven



Alagaesia. Valle Palancar. Villaggio di Carvahall.
Un ragazzo sui diciassette anni aprì gli occhi al mondo, disturbato dalla luce del sole che penetrava dalla sua finestra. Due meravigliose pozze color del mare si guardarono attorno ancora assonnate, cercando di dare al loro possessore una minima idea di che ore fossero. Il cervello ancora totalmente appannato dal sonno del giovane non gli permise di farsi un’idea. Ma a tutto c’è rimedio. “Forza Eragon muoviti!!!! C’è parecchio da fare oggi!!” Ora però il ragazzo era completamente sveglio, grazie al miracoloso urlo di suo zio Garrow. Eragon si alzò a fatica dal suo letto e provvedette a sciacquarsi il viso e a cambiarsi. L’immagine del ragazzo che finalmente uscì dalla stanza non era per niente male: capelli biondi corti, occhi azzurri molto grandi, alto, abbastanza muscoloso, vestito con una semplice veste da contadino. Lentamente si avvicinò alla porta, la aprì e uscì all’aperto. “Ma perché devo sempre fare tutta questa fatica?!” esclamò stiracchiandosi. “Perché se vuoi mangiare devi darti da fare, tutto qui!!” gridò ridendo un ragazzo dai capelli castani dall’altra parte del campo. Suo cugino Roran. “AhAhAh” rispose Eragon ironicamente. Comunque, nonostante le sue lamentele, il ragazzo cominciò a lavorare. In fondo suo cugino aveva ragione: se voleva mangiare, avrebbe dovuto lavorare. E poi c’era abituato, erano anni che viveva nella fattoria, e il lavoro ormai non lo preoccupava più. Infatti, Eragon era arrivata al villaggio di Carvahall quando era ancora un neonato in fasce, portato lì da sua madre, Selena, la sorella di Garrow. Lei poi era corsa via e non era più tornata. Erano passati diciassette anni da quel giorno. Il ragazzo era diventato grande e aveva cominciato a desiderare di uscire dal villaggio e vedere il mondo. Forse era anche per quel motivo che si era offerto di andare a caccia sulla Grande Dorsale, la catena di montagne che sormontava la Valle Palancar, da sempre considerata maledetta e abitata da strane creature. Ma Eragon ancora non sapeva quanto si sarebbe allontanato dalla sua casa, trascinando con sé anche la persona per lui più importante.

Una bella ragazza correva per le stradine di Carvahall. Non era vestita con i tradizionali abiti delle donne del villaggio bensì con una tunica verde e marrone e degli stivali alti di pelle. Forse era per questo che tutte le donne che incontrava le lanciavano un’occhiata strana. In mano aveva un sacchettino e sembrava avere una gran premura. Come un fulmine, passò davanti alla locanda e salutò di sfuggita il proprietario “Buongiorno, Horst!” “Buongiorno a te, Rae (si pronuncia “Rè” NdM)!” La giovane sembrava correre verso la fattoria di Garrow, e abitando all’intermo del villaggio, si sarebbe dovuta fare un bel pezzo di strada. Finalmente, dopo venti minuti buoni, riuscì ad arrivare in vista della fattoria. Il sole che splendeva alto nel cielo illuminava pacificamente il tetto di paglia dell’abitazione, e lanciando riflessi stupendi sulle foglie e sull’erba bagnate ancora di rugiada, faceva assomigliare il paesaggio ad un piccolo frammento di paradiso. Si fermò un attimo a riprendere fiato, poi ripartì più lentamente, diretta alla fattoria.

Eragon si era ritirato nel fienile, per prendersi una piccola pausa dal lavoro e una piccola tregua dal sole cocente. Erano già le undici del mattino e lui lavorava dalle otto. Completamente sudato, si sedette su una balla di fieno e cominciò a giocare con delle pagliuzze che ne sporgevano. “Ehi cuginetto! Si batte la fiacca?!” Roran entrò ridendo nel fienile, anche lui fradicio di sudore e si parò dritto davanti ad Eragon, guardandolo con aria di sfida. Il cugino lo osservò con un sopracciglio pericolosamente alzato. “Cerchi guai, Roran?” disse con un ghigno. Per tutta risposta, il ragazzo ridacchiò con fare di scherno. “Bene, fatti sotto allora!!” e gli si lanciò contro. I due cominciarono a combattersi, prima con dei bastoni, poi azzuffandosi sul fieno, rotolando tra le pagliuzze. “Siete proprio due bambini!” Una voce femminile li interruppe, lasciandoli uno sopra all’altro. Entrambi si voltarono verso la porta del fienile, da dove era provenuta la voce. Davanti all’entrata si stagliava l’esile profilo di una ragazza vestita con una tunica verde e marrone. I suoi capelli erano raccolti in una treccia che le arrivava a metà schiena e i suoi occhi erano due luminosi smeraldi. Li stava guardando con le mani sui fianchi, tentando di sembrare arcigna. I due si alzarono in tutta fretta, fecero finta di rassettarsi, poi si avvicinarono e le fecero un inchino. “Perdonateci, vostra signoria, ma il lavoro ci ha debilitato e avevamo bisogno di riprenderci…” cominciò a dire Eragon, poi entrambi scoppiarono a ridere. “E bravi, così mi prendete anche in giro… peccato, e pensare che vi avevo persino portato la colazione…” disse la ragazza con un sorrisetto malizioso. Alla parola colazione i due si attivarono, in fondo il lavoro mette fame, e tornarono seri (se così si può dire). “Oh avanti Rae, lo sai che scherziamo… non farci questo…” le disse Roran con voce pietosa. “Non lo so ci devo pensare…” “Ti prego Rae…” Eragon le si era avvicinato e aveva messo su un paio di occhi da cucciolo abbandonato, a cui nemmeno lo stesso Galbatorix avrebbe potuto resistere. Lo detestava quando faceva così, perché lui sapeva benissimo che non era capace di resistere a quell’espressione. In fondo erano migliori amici da quando avevano due anni. “E va bene, ma solo perché mi fate pena!” e detto questo posò il sacchettino sul piccolo tavolo di legno. I due si fondarono letteralmente sul cordoncino e lo aprirono: il piccolo fagotto di pelle conteneva dei graziosi e rotondi biscotti, color beige. Gli occhi dei due ragazzi si illuminarono “Rae… te lo abbiamo mai detto che ti adoriamo!” esclamò Eragon, correndo verso la ragazza e schioccandole un bacio su una guancia, seguito a ruota da Roran. “ Sì, sì… ma se fino a due minuti fa mi odiavate!” disse la ragazza, mentre i due si avventavano letteralmente sui biscotti. Li osservò per un po’, poi con noncuranza chiese: “Sono buoni?” Nessuno dei due ragazzi rispose, ma entrambi fecero un segno di assenso con la testa. “…li ho fatti io!!” esclamò tutta contenta. Eragon e Roran si fermarono di colpo, e, guardandosi terrorizzati, fecero finta di tossire per eliminare il sapore dei biscotti. “Ma non potevi dircelo prima!” “Per poco non ci uccidi! Assassina!” I ragazzi erano sul punto di soffocare, sia per i falsi colpi di tosse, sia per le risate mal trattenute alla vista del muso che Rae aveva messo su. “E dai, adesso non ti offendere! In fondi ci piacciono i tuoi biscotti… molto in fondo…” “Grazie Roran, tu sì che sai come risollevare il morale alla gente.” Rispose ironica. “Su, perdonaci! Non mettere il muso, sei più carina quando sorridi!” Eragon lo disse con l’aria più suadente che gli riusciva, e riuscì a strappare un sorrisetto alla ragazza, che però lo nascose subito, voltandosi verso l’uscita e cominciando ad uscire. “Vedo che qui io e i miei biscotti non siamo graditi, perciò me ne vado!”. I due ragazzi rimasero un attimo esterrefatti, poi si scambiarono uno sguardo maligno. “Non credo proprio!” Rae si voltò di scatto, trovandosi Roran proprio di fronte. Il ragazzo sorrise malefico, poi improvvisamente si piegò e la sollevò tra le braccia. “RORAN, SEI IMPAZZITO?!!!!!”. Ma invece di risponderle il ragazzo cominciò a ridere, facendo finta di lasciarla cadere. “Roran, mettimi giù!!!!!!” “Va bene…” E infatti la mise giù… a suo modo. La lanciò letteralmente in mezzo ad un mucchio di fieno. “Ma sei completamente impazzito?!!!!” gridò, tentando di sembrare arrabbiata. “Mi hai detto tu di lasciarti!” le rispose lui con un visino taaaaanto innocente. Rae fece per alzarsi, sbuffando alle parole del ragazzo, quando un peso molto… pesante le piovve addosso. Si ritrovò praticamente stesa sul fieno, con Eragon seduto sul suo stomaco. “Eragon, gentilmente… potresti toglierti?!!! Pesi!” gli disse con un sopracciglio pericolosamente alzato. “…e cosa mi succede se non lo faccio?!” chiese il giovane con negli occhi un guizzo malizioso. Rae si avvicinò al suo naso, poggiandoci poi la punta del suo. “Tante cose terribili…” e approfittando del momento di incertezza del ragazzo, lo girò e gli si sedette a sua volta sullo stomaco. “Prova solo a dire che peso!” Il tono della sua voce non ammetteva repliche. Eragon sembrava in procinto di dire qualcosa, ma venne interrotto da un’improvvisa apparizione di Roran che, con nessun apparente sforzo, prese la ragazza per la vita e la sollevò dal corpo del povero Eragon. Così la fece volteggiare per tutto il fienile, tenendola stretta e facendole occasionalmente il solletico. Intanto Eragon li seguiva, tentando di far soffocare Rae dalle risate dicendole: “Respira, respira!!” Ma all’improvviso qualcosa li interruppe: un colpo di tosse. Abbastanza eloquente. Sulla porta del fienile era apparsa la fidanzata di Roran: Katrina. I suoi occhi dicevano tutto. In effetti la scena era abbastanza ambigua: Roran, seguito da Eragon, teneva stretta tra le braccia Rae, rossa in viso e con le lacrime agli occhi per le risate, con i capelli completamente scarmigliati e pieni di pagliuzze di fieno. Tossicchiando, i due si divisero. “Ciao Katrina…” dissero tutti i tre. Roran li guardò solo per un attimo, poi uscì in giardino con lei. Rae sospirò: come al solito, alla fine era sempre colpa sua. Le grida di Katrina si sentivano fino al fienile, chiare come se i due fossero stati a pochi centimetri da loro: “La devi smettere!!! Non ce la faccio più!!! Sei sempre attaccato a lei!!! Ogni volta che vi vedo siete abbracciati!!!! OGNI VOLTA!!!! Ora devi scegliere: O LEI O ME!!!!” Eragon vide Roran rimanere di sasso: come poteva chiedergli una cosa del genere, Rae era la sua migliore amica. Lo vide abbassare lo sguardo, poi abbracciare Katrina. Aveva scelto, forse… Sospirando, si voltò. Rae era in un angolo della stanza e si stava rifacendo la treccia. Sicuramente aveva visto e sentito tutto. Quando ebbe terminato il complicato lavoro delle sue mani sui capelli, fece un sospiro e si voltò. Senza guardarlo in viso, fece per andarsene. “Dove vai?” Una domanda stupida. “A casa… non ho più voglia di stare qui.” La sua voce sembrava leggermente spezzata. Eragon le prese delicatamente la mano e la avvicinò a sé. Lei lo guardò: aveva gli occhi lucidi di lacrime. “Accidenti a Roran!” esclamò irato, prima di intrecciare le sue dita con quelle di lei. “Non preoccuparti, andrà tutto bene. Non può… aver preferito lei a te.” Finalmente la ragazza gli regalò un sorriso. Poi lo abbracciò, stringendolo e posando il viso nell’incavo del collo. Lui la strinse protettivo, affondando il volto tra i suoi bellissimi capelli, quella piccola parte lasciata apposta fuori dalla treccia, e si lasciò inebriare dal suo profumo, così simile a quello delle rose.  “Grazie… di tutto…” si divisero e Rae lo baciò dolcemente su una guancia: cosa che lo fece arrossire non poco. Salutandolo con la mano, si avviò verso il giardino. Roran e Katrina se ne erano andati. Prima che voltasse l’angolo per il sentiero Eragon le gridò: “Vieni stasera!” “Perché?!” “Stasera è la notte delle stelle cadenti!!! Le dobbiamo vedere insieme!!” “Allora ci sarò!” gridò sorridendo, poi si voltò. Ma il ragazzo riuscì comunque a vedere una dolce lacrima solitaria solcarle il viso.


--------------------------------------------------------------------
Ciauz a tutti! Questa è la prima fic che pubblico, quindi siate clementi! Non so se pubblicherò anche gli altri capitoli, dipende da quanti la recensiranno!! XD E per quelli che non lo hanno capito (tanto non si capisce) nel secondo chap svelerò anche il mistero del nome dei miei capitoli. Mi raccomando, recensite! XD

Akarai

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Magic Summer Night ***


Magic Summer Night  Magic Summer Night





Una Rae praticamente mezza nuda si aggirava per la sua stanza, tentando con una mano di legare i lacci che le tenevano la tunica, e con l’altra di convincere i pantaloni ad allacciarsi, mentre tra i denti teneva il suo fermaglio per i capelli, completamente in legno, marrone con delle intagliature dorate. Finalmente riuscì a sistemare i pantaloni, ma i lacci non ne volevano proprio sapere. Dopo centinaia di tentativi e di nodi diversi, oltre che d’imprecazioni non dette, la ragazza si arrese. Facendo ricadere le braccia indolenzite lungo il corpo, sbuffò: “Ma tutto stasera mi doveva capitare! Sono pure in ritardo! Che bella giornata!” Chiuse gli occhi per calmarsi, con il fermaglio in mano, quando all’improvviso sobbalzò: un paio di mani calde le avevano afferrato i lacci della tunica e avevano cominciato a legarli. Rae si voltò trattenendo il respiro, ma non appena vide l’uomo dietro di lei si tranquillizzò immediatamente. Un uomo alto e muscoloso, con barba e capelli neri e dolci occhi nocciola, le sorrideva affidabile. Indossava una tunica completamente nera, leggermente aperta sul davanti, e una mantella bianca. Un tatuaggio rosso spiccava sul dorso della sua mano come una macchia di sangue nella cenere, sulla sua pelle leggermente scura, e una grande collana pendeva dal suo collo, un cristallo color avorio, retto da una cordicella. Quell’uomo si chiamava Norvadia ed era un indovino e un mago, il più famoso d’Alagaesia, dopo il re. Quell’uomo era suo padre.
L’ultimo laccio venne sistemato e finalmente la ragazza fu a posto, a parte i capelli. “Sbaglio o diventi ogni giorno più bella?!” le disse suo padre facendola voltare. Rae ridacchiò: “Il classico complimento di un padre alla figlia, sei monotono, Norvadia!” Norvadia. Lei non lo aveva mai chiamato padre, semplicemente perché lui non lo aveva mai richiesto, semplicemente si accontentava che lei lo chiamasse per nome, e questo ormai era normale per entrambi e per tutti, anche se ancora al villaggio qualcuno li guardava in maniera strana, quando passavano per le strade ridendo oppure semplicemente chiacchierando, come fossero fratello e sorella. “Ragazzina, portami rispetto! Ringrazia che non ti abbia obbligato a fare gli allenamenti stasera!” La giovane rise: “Ma di solito sono io che mi offro volontaria per allenarmi, o sbaglio? Sto anche diventando più brava di te!” In realtà non erano veri e propri allenamenti, erano più propriamente lezioni. Infatti Norvadia, quando aveva del tempo libero, insegnava a sua figlia come combattere con diverse armi: il bastone, la spada, il pugnale e l’arco. In più la istruiva sull’arte della magia, e Rae era già abbastanza esperta in materia, sapeva già usare qualcuna delle magie elementali di base.  Comunque il mago all’affermazione della figlia era scoppiato in una sonora risata. “Ti ci vorrà ancora molto per superarmi, ragazzina!” Detto questo le scompigliò i capelli e se andò. Rae sospirò, poi sorrise e cominciò a sistemarsi i capelli.
Dopo neanche due minuti, era seduta sul suo letto, con i capelli raccolti in una crocchia, e si stava mettendo gli adorati stivali di pelle che le aveva regalato suo padre. Poi per precauzione, infilò nella fodera anche un piccolo pugnale: “Non si sa mai!” pensò prima di uscire, coprendosi le spalle esili con un mantello nero. Attraversò l’intera casa e giunse davanti alla porta d’ingresso, confinante con lo studio gigantesco di suo padre, sempre pieno di libri enormi e di scartoffie. Norvadia era chino sulla scrivania, a quanto pareva stava scrivendo qualcosa, così decise di lasciarlo da solo. Aprì la porta e uscì dalla casa, respirando a pieni polmoni l’aria dolce del paese. A giudicare dal terreno bagnato e dall’odore d’umido che aleggiava nell’aria, doveva aver piovuto, ma fortunatamente il cielo era sereno. “Bene, le stelle si vedranno meglio!!” esclamò prima di avviarsi verso il sentiero che portava alla fattoria di Garrow.

Eragon sedeva solo su una pietra all’esterno della sua casa, e ogni tanto si passava la mano tra i capelli. Era leggermente teso. Rae sarebbe arrivata a momenti. Ma non era il suo arrivo che lo agitava, bensì la sua reazione davanti a… Roran. Che proprio in quel momento era uscito dalla fattoria. Si avvicinò e si sedette vicino a lui. “Credi… che sia arrabbiata?” sembrava preoccupato. “Forse… più amareggiata che arrabbiata…” Roran sospirò. “Speriamo solo che mi voglia almeno ascoltare.” Dopo un silenzio che sembrò durare un’ora, il ragazzo si alzò e, come suo cugino pochi minuti prima, si passò una mano tra i capelli. Eragon si alzò a sua volta e gli si avvicinò. “Fratello…” non era raro che Roran lo chiamasse così, in fondo erano praticamente fratelli. Fece una pausa poi ricominciò: “… quando io… beh… hai capito… te ne prenderai cura tu vero? Le resterai vicino?” I suoi occhi erano tristi e si aspettavano una risposta affermativa. “Ma certo!” il ragazzo più giovane sorrise, provocando il riso anche dell’altro. Roran gli posò una mano sulla spalla. “Grazie, fratello”.

Finalmente Rae sbucò dalla boscaglia vicino alla fattoria, ritrovandosi in una situazione simile a quella della mattina. Mentre si avvicinava alla costruzione, vide due figure nel cortile, illuminate dalla lanterna della casa. Eragon e Roran. “ERAGON!!!!! RORAN!!!!!!! Urlò a squarciagola, cominciando a correre verso di loro. I suddetti si voltarono appena in tempo verso di lei, prima che il tornado a forma di ragazza gettasse loro letteralmente le braccia al collo. Ridendo, stampò un bacio sulla guancia prima all’uno poi all’altro. Eragon se la scollò dal collo e ne approfittò per abbracciarla e dirle nell’orecchio, non visto da Roran: “Guarda che ti deve dire una cosa… ascoltalo…”. La ragazza lo guardò per un momento negli occhi, poi si voltò verso Roran, squadrandolo: “Allora, cosa devi dirmi?!” disse sorridendo. Eragon si portò una mano a coprire gli occhi. Delicatezza: zero. Il ragazzo gli inviò un’occhiata estremamente omicida, con la chiara intenzione di fargliela pagare prima o poi. “Ehm… ecco… ti ricordi… cosa mi aveva detto Katrina… mi aveva chiesto di scegliere…” Rae annuì. Eccome se lo ricordava. “Beh… io ci ho pensato molto oggi e…” La ragazza chiuse gli occhi, pronta a sentirsi dire di stargli lontana. Ma improvvisamente si sentì circondare da un paio di braccia e qualcuno che le sussurrava nell’orecchio, come aveva fatto Eragon poco prima: “Le ho detto che amo solo e soltanto lei, ma che tu sei troppo importante per me per cancellarti dalla mia vita. Sarebbe come dimenticare una sorella. Siete entrambe le mie donne!” Aprì di scatto gli occhi. Roran la stava guardando, tenendola tra le braccia. D’un tratto le lacrime cominciarono a farsi strada nei suoi occhi. Lo abbracciò, stringendolo a sé: “Roran non sai quanto mi hai fatto felice!!! Grazie! Grazie!” “Piano, piano che così mi uccidi! Non è volermi bene questo!” Lo lasciò frettolosamente e si asciugò gli occhi con il dorso della mano. Prese un gran respiro ed esclamò: “Allora, cosa aspettiamo?!! Le stelle non durano per sempre! Forza!!!” e detto questo si avviò di corsa verso la loro collina, il posto dove tutti gli anni se ne stavano, sdraiati sull’erba con gli occhi al cielo per guardare le stelle, cadenti o meno. Ma venne subito fermata da qualcosa o meglio qualcuno, che la abbrancò all’altezza della vita. “Io non mi merito nemmeno mezzo abbraccio?” Con fare annoiato Rae si voltò: ovviamente era Eragon. “No, tu non te lo meriti.” Due occhioni da cucciolo la guardarono sofferenti. Accidenti a lui! “Perché, cosa ho fatto?” La ragazza sospirò. “Perché non sei un cavaliere, dovrebbe essere l’uomo ad abbracciare la donna, non il contrario. Ma ti devo insegnare proprio tutto! Impara da Roran, lui sì che è un gentiluomo!” Roran mise su un’aria compiaciuta, guardandosi attorno pomposo e facendo imbestialire Eragon. “Parlando di buone maniere, dovresti imparare anche tu! Ma una signorina non dovrebbe essere gentile, dabbene, esprimendosi in maniera carina e non vestendosi con una tunica, degli stivali e un mantello? Tu mi sembri tutto il contrario!” “Ma che peccato che tu mi consideri una cattiva ragazza, avevo quasi intenzione di abbracciarti… Ma se mi lasci andare, forse…” aggiunse davanti all’espressione affranta del ragazzo. Sospirando, Eragon la lasciò andare. Questo fu un errore. Infatti non appena libera, Rae cominciò a correre verso la collina: “Prendimi se ci riesci!!” “La devo prendere come una sfida?!” le gridò di rimando. La ragazza annuì, ridendo. “Povera te…” detto questo cominciò a correre verso di lei. Ma i due correvano alla stessa velocità, così erano nella stessa posizione quando arrivarono alla collina. Un semplice sollevamento del terreno, con un gigantesco salice piangente in cima. Fu proprio accanto al salice che lei decise di rallentare, sfinita dalla corsa. Si voltò indietro e vide solo lui correrle dietro. Dovevano aver lasciato Roran molto indietro. Finalmente, Eragon la raggiunse, praticamente travolgendola e insieme caddero a terra. Rae cercava di divincolarsi, ridendo allo stesso tempo, mentre lui la teneva stretta a sé. Rotolarono così fino ai piedi del salice, dove, senza fiato, si fermarono, ridacchiando e cercando di respirare. Solo dopo qualche secondo si accorsero che la situazione era alquanto spinosa: rotolando, Eragon era finito a cavalcioni di Rae, bloccandole le braccia, così la ragazza si trovava inchiodata a terra dal peso del ragazzo. Smisero entrambi di ridere. Senza volerlo, finirono per incatenare ognuno lo sguardo in quello dell’altra. Verde e azzurro. I prati e il cielo. Complementari.

 Entrambi avevano il respiro fermo in gola, ma stavolta non per la corsa. Rae, esattamente come Eragon, sentiva qualcosa nello stomaco, qualcosa di molto simile ad uno sciame di farfalle impazzite, ed era sicura di essere diventata color pomodoro maturo. Ma fu quello che accadde dopo a farle mancare più di un battito al cuore: il ragazzo si era lentamente chinato verso di lei, con gli occhi socchiusi. E quello che non la fece più raccapezzare fu che lei si stava ancora più lentamente protendendo verso di lui. In fondo la prospettiva di baciarlo non le dispiaceva. Proprio quando le loro labbra furono ad un millimetro di distanza, sentirono un leggerissimo colpo di tosse. Più veloce della luce, Rae spinse via Eragon, facendolo cadere a terra, e si alzò precipitosamente. Roran si trovava ai piedi della collinetta, e li guardava sospettoso: “Ho interrotto qualcosa?!” chiese, quasi ironicamente. Sembrava abbastanza corrucciato. “Ma no!! Ci stavamo chiedendo quando ti saresti deciso ad arrivare!! Lumacone!” esclamò ridendo la ragazza, decisa in tutto e per tutto a dimenticare quello che era appena successo.  “Ahi!! Certo che sei lento, Roran!” esclamò Eragon, rialzandosi. Roran per un secondo lo guardò imbronciato, poi gli sorrise. “Sai, io sono un po’ troppo grande per questi giochi da bambini!” disse con fare altezzoso, da adulto. Rae rise sonoramente, esattamente un secondo prima di spingerlo a terra, e di cominciare a fargli il solletico, aiutata da Eragon, che sembrava avere le sue stesse esatte intenzioni riguardo all’episodio di poco prima. “Va bene! Va bene! Avete vinto, non sarò mai abbastanza grande! Ma ora smettetela, vi prego!! Devo respirare!” Senza fiato per le risate, Eragon e Rae caddero pesantemente sull’erba, sdraiandosi supini, guardando il cielo. Nessuna nuvola lo oscurava e ogni stella brillava come un diamante, ognuna posata nella magnifica rete del firmamento. I tre ragazzi rimasero incantati dalla bellezza di quella magica notte d’estate, mentre cercavano frenetici la minima traccia di una stella cadente, simbolo d’augurio e speranza per tutto l’anno. Ottima occasione anche per esprimere i propri desideri, affidandoli al cielo e sperando che qualcuno, dell’alto delle nuvole, se ne prenda cura e li esaudisca.

Eragon, Rae e Roran non seppero mai dire quanto rimasero distesi sotto le stelle, con l’erba come letto e cuscino. Seppero solo che passarono tutta la sera appoggiati l’uno all’altro: Eragon, sdraiato sull’erba, aveva la testa di Rae appoggiata al petto, mentre Roran appoggiava la sua sullo stomaco di Rae. Finalmente dopo una lunga attesa, Eragon esclamò: “Guardate, una stella!” “Forza, esprimiamo un desiderio!” Tutti e tre chiusero gli occhi, pensando al proprio desiderio. Alla fine li riaprirono. “Voi cosa avete desiderato?” chiese curiosa Rae. “Ma non lo sai che non si possono raccontare i desideri affidati alla stella? Non si avvereranno!” disse Eragon concitato, come fosse un bambino. “Io credo che se alla stella importa del desiderio, non si curerà se lo abbiamo detto a qualcuno! Avanti ditemelo!” Ma i due rimanevano zitti. “Va bene! Allora lo dico io per prima!” Sembravano proprio dei bambini, eccitati per aver visto la stella e aver espresso il loro desiderio. “Ho desiderato… di rimanere per sempre con voi due… per sempre” lo disse con voce estremamente seria, molto diversa da quella infantile di poco prima. “Io… ho desiderato… di non essere mai separato da voi due… per nessun motivo” Anche Eragon era tornato serio. Detto questo, si mise a giocare con una ciocca dei capelli color del legno di Rae, per nascondere l’imbarazzo. “Io… ho chiesto alla stella di tenerci legati per tutta la vita, nonostante tutto quello che ci capiterà” Roran l’aveva detto ad occhi chiusi, forse per non guardare in faccia gli altri due. “Credo proprio che la stella si curerà di tre desideri uguali, anche se sono stati detti!” disse la ragazza, sorridendo. Ora erano allegri tutti e tre, dimentichi del mondo e di tutto ciò che li circondava. Ma come al solito, quando si è nel proprio mondo personale, c’è sempre qualcuno che ha il compito di riportare alla realtà. Spesso quel compito è affidato agli adulti. “Ragazzi, credo che sia ora che torniate a casa! Ormai è notte fonda!” Lo zio di Eragon e Roran, Garrow, era ai piedi della collina. I tre si alzarono come una sola entità, e s’incamminarono verso l’uomo. “Buonasera, signor Garrow, scusi se prima non la ho nemmeno salutata.” Disse Rae, sorridendo all’uomo che in pratica le era zio. “Non importa, Rae, non preoccuparti. Mi dispiace interrompervi, ma credo che i miei ragazzi debbano tornare, soprattutto tu, Eragon! Stanotte sei a caccia, ricordatelo!” “Cosa? La caccia è stasera? Perché non me l’hai detto?” esclamò la ragazza, guardandolo imbronciata. “Mi sono scordato, tutto qui! Davvero!” aggiunse vedendola ancora arrabbiata. “Forza, allora, tutti dentro! Ah! Rae ovviamente tu sei compresa! Non ho la minima intenzione di lasciarti andare in giro da sola a quest’ora della notte, devi anche attraversare una boscaglia! Meglio che tu dorma qua.” “Grazie mille, signor Garrow!” disse la giovane, sorridendo. “Come sai, abbiamo solo i nostri letti, e visto che abbiamo disponibili solo i letti dei ragazzi, dovrai scegliere uno dei due. Anche se credo propenderai per il nostro giovanotto, qui!” esclamò l’uomo, scompigliando i capelli ad Eragon. “Già, non vorrei scatenare reazioni omicide in Katrina, ci tengo alla pelle!” e detto questo i tre entrarono in casa, augurando la buonanotte, prima a Garrow, poi a Roran. Finalmente, i due entrarono in camera. Per Rae era assolutamente normale dormire in camera con Eragon, era come dormire con suo fratello. Stiracchiandosi, la ragazza si guardò in giro, in cerca di qualcosa. “E adesso dove l’hai messa?” “Ah, devo averla messa… qui! Trovata!” riemergendo da una cassapanca, il ragazzo le lanciò una piccola camicia da notte, che le arrivava pressappoco al ginocchio, completamente bianca, la solita che indossava quando dormiva da loro. “E come mai era in fondo a quel baule?!” chiese lei, fingendosi contrariata. “Perché l’abbiamo lavata!” Rae, accontentatasi della risposta, fece spallucce e cominciò a slegarsi i lacci della tunica. Eragon si voltò di scatto verso il muro. “RAE!! Lo sai che non lo sopporto quando lo fai! Mi metti in imbarazzo!” “Non fare lo stupido, Eragon! Mi hai visto nuda un sacco di volte! Abbiamo pure fatto il bagno assieme da piccoli!” Intanto era arrivata ai pantaloni, e si era già tolta gli stivali e sciolta i capelli. “Sì, appunto eravamo piccoli… non eri così… così…” “Così?” “Così… beh… bella…” lo disse sottovoce, ma Rae sentì benissimo. Finalmente si era infilata la camicia da notte e si era avvicinata a lui. “Grazie, Eragon!” Lui si voltò di scatto, coprendosi gli occhi: “Ti sei vestita?” “Sì, stupido, sono vestita!” Il ragazzo fece cadere le mani dagli occhi. “Bene… …. Senti… per prima… sulla collina… io… mi dispiace…” Sembrava molto imbarazzato “Non devi scusarti!” Lui sgranò gli occhi “E’ normale che tu mi voglia baciare, bella come sono!” disse questo, sorpassandolo, con fare da donna vissuta. “Ehi! Adesso non montarti la testa!” esclamò Eragon, acchiappandola e facendole il solletico. Cominciarono a ridere, ma… “RAE!! ERAGON!!! FATE SILENZIO!!!” i due si guardarono un attimo disorientati, poi si misero a ridacchiare: Roran aveva sentito tutto dalla stanza accanto, la sua. Ancora ridacchiando, i due si misero sotto le coperte, abbracciati per scaldarsi, poiché, nonostante fosse estate, di notte faceva abbastanza freddo.
Stettero così per un po’, ma nessuno dei due riusciva a prendere sonno. “Rae…” “Mhhhh?” “Sei sveglia?” “Ora sì!” “Bugiarda, non dormivi.” “Può essere… che vuoi?!” Eragon rimase zitto per un minuto, poi disse: “Non ti manca mai tua madre?” Quella domanda svegliò per bene Rae. La ragazza sospirò, poi disse: “A volte… ma vivo bene con mio padre… e poi ho due fratelli meravigliosi!” sembrava allegra, ma nella sua voce c’era una nota triste. Infatti sua madre era morta pochi anni prima, per la precisione cinque, quando Rae aveva solo dodici anni. Da quel giorno lei era sempre vissuta con suo padre, cercando di alleviare il dolore di entrambi. “E a te? A te manca tua madre?” Anche Eragon sospirò, poi rispose: “A volte… in fondo lei mi ha abbandonato… ma poi penso che ho una sorella e un fratello meravigliosi, e allora mi tiro su!” Sorrise, e lei sorrise a sua volta. “Grazie,… fratello! E buonanotte.” “Dovere, e buonanotte… sorella!” E detto questo si addormentarono, l’una tra le braccia dell’altro.

Era notte fonda. Eragon lentamente si alzò dal letto, dove aveva lasciato Rae a dormire. Quella notte, infatti, doveva andare a caccia sulla grande dorsale, per trovare della carne e venderla al macellaio del villaggio. Uscì dalla stanza, dando un’ultima occhiata alla ragazza accoccolata tra le coperte, prese l’arco e uscì dalla porta, diretto alle montagne.

Un’elfa. A cavallo. Ha i capelli castani. Dietro di lei, due cavalieri. Sono elfi anche loro. Un’ombra tra gli alberi. Il sibilo di una freccia. Cosa succede? Il primo elfo cade, morto. Un altro sibilo. Il secondo cade da cavallo. E’ morto anche lui. L’elfa è spaventata. Un terzo sibilo. Il suo cavallo s’impenna. L’ha colpito una freccia. Lei cade da una scarpata. Urla. E degli ordini. Una voce velenosa e dei capelli rossi. Una pelle color della neve. Poi tutto cambia. Un ragazzo. E’ biondo. Ha un arco in mano. Eragon? Cosa ci fai lì? Ma l’elfa? Dov’è finita? Ma lui non ti sente. Sta puntando un cervo. L’arco tirato. E’ pronto a scoccare. Fuoco. Eragon! Ma non lo vedi più. L’elfa è tornata. Ha la spada in mano. Sta correndo a perdifiato. Tiene qualcosa, sulle spalle. Una sacca. Altro fuoco. La figura dai capelli rossi si avvicina. E’ uno spettro. Lei lo chiama Durza. Lui la chiama Arya. Lei gli dice di andare via. Lui le chiede l’uovo. L’uovo? Lei tira fuori qualcosa dalla sacca. Una pietra. E’ bellissima e blu. La tiene in alto. Dice qualcosa. L’antica lingua? La pietra brilla. Lo spettro sembra allarmato. La pietra scompare con un lampo. Non c’è più fuoco. Eragon è tornato. Sta ancora puntando il cervo. Stavolta è pronto. Tira la freccia. Ma c’è un lampo blu. Il cervo scappa. La freccia s’incendia. E lui non sa cosa fare. Si avvicina alla pietra. La accarezza. E tutto prende fuoco. Tra le fiamme, appare l’elfa. Sembra soffrire. Lo spettro la tortura. Ancora fiamme. Cosa le genera? Vedi tre sagome… tre draghi? Uno è blu, sembra più gentile degli altri due. Uno è rosso, sembra minaccioso. Ti sembra di conoscerlo. Uno è nero. E quello ti terrorizza. All’improvviso, tutti e tre sputano fuoco. Appare una donna. Ha i capelli neri. Gli occhi verdi. Ti somiglia. Ha le orecchie a punta. Un elfo? Accanto a lei arriva un uomo. Lo conosci. Ha i capelli grigi ma sembra ancora giovane. Ha gli occhi neri. Ma entrambi spariscono. Nel fuoco, ora, un ragazzo. E’ vestito di nero, il colore dei suoi capelli. Ti guarda. Lo vorresti raggiungere. Sparisce anche lui. Ora ci sei tu. Sei a terra, in ginocchio. Piangi. Chiami qualcuno. Ma sei proprio tu? Hai le orecchie a punta. No. Non sei tu. Tu sei un’umana. Poi ancora Eragon. E’ accanto ad un drago. Sembra ferito. Ti guarda. Ti chiama. Ti chiede aiuto. Poi sparisce. In un lampo. Una spada rossa. Un bagliore. Una cicatrice. Un bacio. No, due baci. Un biondo. Un moro. Sangue. Poi più niente. “ERAGON!!!!”



-----------------------------------------------------------
Ed ecco il secondo capitolo!!!! Uao nn credevo di riscuotere questo successo! Avevo promesso che avrei svelato il mistrioso mistero dei miei capitoli... siete pronti?! Bene! I titoli dei miei capitoli in realtà sono...... titoli di canzoni!!! Siete delusi nn è vero?! Comunque, il primo e il secondo capitolo sono canzoni dei magici "Cascada" che fanno canzoni tanto idiote quanto divertenti. I prossimi chi lo sa! Ora voglio passare a ringraziare tutti i dolcissimi che mi hanno recensito:

@ kessachan: nn sai quanto mi hai gasato! Sei stata la prima a recensirmi! Grazie grazie grazie!!
@ Ludo91: Grazie millissime anche a te! Visto? Ho aggiornato! Ovviamente anche tu hai contribiuto al mio gasamento!!
@ Eleuthera: in effetti nn lo so nemmeno io... ma credo più al film, visto che il libro l'ho letto molto tempo fa e nn mi ricordo quasi niente. Cmq credo che in futuro farò un mix! ^^
@ Draghettina: in realtà su un sito internet avevo trovato "Angolo di Paradiso"... ma devo dir che "Mare del paradiso" mi piace molto di più. p.s. anch'io detesto Katrina, con Rae nn c'è confronto! XD
@ argentlam: grazie mille anche a te! Un bacio
@ carlottina: nn ci penso minimamente a nn continuare!!! Soprattutto adesso che sto male nn ho niente altro da fare, scriverò cm una pazza!
@ piccola: anche a me scocciava nn vedere eragon e roran comportarsi cm due ragazzi della loro età! Sn stra-contenta che ti sia piaciuta e spero che ti piacerà anche il nuovo chappy!!

Akarai

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Dancing Queen ***


Dancing Queen Dancing Queen



Il bosco sembrava ancora addormentato, nonostante fosse quasi giorno pieno. Dagli alberi filtrava una sottile luce dorata, che andava ad illuminare il fogliame a terra, rendendolo somigliante all’oro. Eragon camminava lentamente, assaporando ogni secondo di quella camminata nel bosco, in direzione di casa sua. Aveva a tracolla la sua solita borsa, dove teoricamente avrebbe dovuto infilare la selvaggina catturata. Peccato che quella notte lui non avesse preso proprio un bel niente. Ma forse qualcosa lo aveva catturato, o meglio trovato. Una grande pietra blu, liscia al tatto e a quanto pareva vuota. Doveva essere molto preziosa. Anche se ancora non si spiegava come mai fosse apparsa così all’improvviso. Comunque, il macellaio, Sloan, lo avrebbe pagato sicuramente più per una pietra preziosa, che per un fagiano o un cervo. L’arco giaceva inutilizzato sulla sua spalla, poiché il suo possessore era leggermente contrariato per aver perso una preda così facile.
Finalmente, giunse ai margini della boscaglia che copriva la catena della Grande Dorsale e scendeva fino ai bordi del villaggio. Il sentiero si divideva in due: da una parte portava alla fattoria, da una parte al villaggio di Carvahall. Distendendosi i muscoli del collo, optò per la strada che portava a casa sua, giusto per cambiarsi e posare l’arco. Dopo nemmeno dieci minuti, arrivò in vista della fattoria di Garrow. Nel campo non c’era nessuno, nemmeno Roran. “Strano, di solito a quest’ora sta già lavorando!” pensò curioso di sapere per quale motivo suo cugino non fosse al lavoro. “Zio! Sono tornato!” Non lo avrebbe mai ammesso, ma la sua voce era leggermente rotta. In fondo tornare a casa dalla caccia senza aver preso un fico secco non era proprio una cosa onorevole. Garrow apparve dalla stanza adibita a cucina e sala da pranzo. “Finalmente sei tornato! Credevo che ti fossi perso nella foresta!!” lo disse corrucciato, ma era chiaro il lampo di divertimento nei suoi occhi. Subito, i suoi occhi finirono sulla borsa a tracolla di Eragon. “Ah! Cosa hai preso stavolta?! Un cervo? Un fagiano? Una lepre?” “Ehm… ecco… veramente… ci sarebbe un piccolissimo inconveniente… io… NON HO PRESO NIENTE!!” Lo disse tutto di un fiato, tentando di trattenere l’istinto che lo portava ad alzare i tacchi e correre il più lontano possibile, anche nella stanza del re se necessario, se fosse servito ad allontanarlo dalla furia dello zio.
L’uomo lo squadrò per qualche secondo con le sopracciglia aggrottate, poi scoppiò in una grassa risata. Eragon lo guardò sbalordito. “Non preoccupati, ragazzo! Era la tua seconda battuta di caccia! Già è tanto che tu sia riuscito a prendere qualcosa la prima volta!! Non crederai mica che la fortuna non abbia di meglio da fare che stare dietro ad un cacciatore novellino! Ah Ah Ah!!!” Il giovane sospirò: suo zio certe volte aveva la sensibilità di un sasso. “Cambiando discorso zio… come mai Roran non è al lavoro oggi? Il campo è vuoto!” “Ma come, non te lo ricordi? Oggi è giorno di festa al villaggio! Ho lasciato che Roran andasse un po’ a divertirsi! Soprattutto con quello che è successo con Katrina… siete ancora molto giovani, dovete pensare solo a divertirvi! Almeno per oggi!” Garrow sembrava estremamente allegro, e, spintonandolo, obbligò Eragon a dirigersi verso la sua camera, per “mettersi in ordine”. “Mio zio sta cominciando ad avere dei serissimi problemi!” pensò mentre apriva la porta della camera.
Considerando l’ora, avrebbe quasi sicuramente trovato quella dormigliona di Rae ancora a poltrire nel letto. Ridacchiando, entrò. Soltanto per trovare il letto completamente vuoto. Le coperte erano ancora in disordine e la delicata camicia da notte della ragazza era stata appoggiata di corsa sul materasso. Il ragazzo posò lentamente l’arco in un angolo della stanza, e la tracolla con molta più delicatezza sul letto, poi si avvicinò all’armadio, ne tirò fuori una veste marrone pulita e si cambiò, tanto per accontentare suo zio. Uscì dalla stanza, con la tracolla sulle spalle, e si avvicinò alla “cucina”. “Zio, perché Rae non è ancora a dormire? Dormigliona com’è dovrebbe essere ancora a letto.” Garrow, che stava placidamente facendo la punta ad alcuni coltelli, si voltò verso di lui: “Mi sembra normale. Oggi è giorno di festa e per Rae non c’è giorno più buono! C’è molta gente al villaggio e ormai lei sta diventando famosa…” lasciò la frase a metà, come se volesse aggiungere qualcos’altro, ma non lo fece. “Giusto! Allora io vado al villaggio… credo che tornerò con Roran! A dopo zio!” e detto questo fece per uscire. Ma la voce di Garrow lo raggiunse di nuovo. “…dovresti preoccuparti un po’ di più per Rae…” Eragon si voltò verso l’uomo. Cosa voleva dire? “Cosa vuoi dire?” Ancora non capiva. “Stanotte… Rae si è svegliata urlando… il tuo nome. Roran è corso da lei… era seduta sul letto, completamente sudata… il tatuaggio sulla sua spalla… il tatuaggio degli indovini… brillava e scottava. Ha guardato Roran con degli occhi spauriti da far rabbrividire chiunque, e ha ripetuto il tuo nome… poi è tornata a dormire. Stamattina non ricordava nulla… o almeno così ci ha detto.” Il ragazzo era terrorizzato. Certo, Rae era solita fare strani sogni premonitori, in fondo con un padre come Norvadia era il minimo, ma di così strani e con quegli effetti… era la prima volta. Prese un gran respiro per calmarsi, poi disse: “Credo proprio che al villaggio le parlerò… Ora vado.” Suo zio lo guardò e annuì compiaciuto.

Dopo venti minuti buoni di camminata, Eragon raggiunse il villaggio di Carvahall. In effetti, c’erano molte più persone del solito. Il giorno successivo la notte delle stelle, infatti, era tradizione che Carvahall fosse in festa. Non importava quanto lavoro rimaneva da fare, in quel giorno specifico ogni persona doveva pensare solo a divertirsi. Lungo le strade si potevano trovare cantastorie, banchi di qualsiasi tipo, mercanti, ogni genere di personalità, anche e soprattutto stranieri. Senza mancare di guardarsi intorno, il ragazzo si diresse verso la sua meta: la macelleria di Sloan, il padre di Katrina. Una bottega ordinata, dove aleggiava perennemente un odore di sangue. Il proprietario, Sloan, sembrava più un assassino che un macellaio: oltre ad essere vestito con un grembiule completamente coperto di sangue, aveva tutto l’aspetto di qualcuno che poteva tranquillamente commettere un crimine. Comunque, Eragon si avvicinò al banco e salutò l’uomo. “Buongiorno a te, Eragon.” Gli occhi gli caddero sulla sacca: “Cosa abbiamo catturato di buono stanotte?” Il ragazzo rise amaro. “Niente…”aggiunse il macellaio con un ghigno, tornando al suo macabro lavoro. “Ma posso offrirti comunque qualcosa!” Sloan alzò gli occhi interessato. “Sentiamo…” Circospetto, Eragon tirò fuori dalla bisaccia la grande pietra blu. Il macellaio la prese in mano, soppesandola e esaminandola accuratamente. “L’ho trovata sulla Grande Dorsale… trovata!!” aggiunse, vedendo lo sguardo canzonatorio dell’uomo di fronte a lui. Ma quello sguardo, in una frazione di secondo, cambiò da divertito a terrorizzato. “Dove hai detto che l’hai trovata?!” “Sulla… Grande Dorsale…” Il viso di Sloan si trasformò in una maschera di terrore. “Puoi… puoi tenertela… non… non m’interessa! Non me ne faccio nulla! E adesso… vai via!!” “Ma…!!” “Ti ho detto vai via!!! Forza, fuori!!!” Sospirando, il ragazzo rimise la pietra nella sacca. “Accidenti e adesso?” pensò amareggiato. Ma venne distratto subito da qualcosa. Un gruppo molto folto di persone era raccolto attorno a qualcosa, in mezzo alla piazza del villaggio. Una musica soave ma sostenuta aleggiava nell’aria. Curioso, Eragon si avvicinò. La prima cosa che notò fu che la maggior parte degli astanti era straniera. La seconda fu che tutti erano raccolti attorno ad una figura. Finalmente, raggiunse una posizione favorevole… e rimase a bocca aperta. Una figura completamente vestita di bianco stava danzando in mezzo alla piazza. Una leggerissima tunica corta e senza maniche le copriva il torso e una gonna bianca volteggiava nell’aria, seguendo i suoi movimenti. Era scalza. Portava degli orecchini dorati e una miriade di braccialetti le tintinnava ai polsi, dove erano attaccati due giganteschi pezzi di tessuto lunghi quasi fini a terra, bianchi anch’essi, che le facevano di maniche e seguivano armoniosamente la sua figura. Una cascata di capelli castani le ricadeva sulle spalle, movendosi ad ogni suo minimo spostamento. Un appariscente tatuaggio rosso le copriva la spalla scoperta. Anche se la sua pelle era resa lucida dal sudore, Eragon poté comunque notare la sua bellezza. Ma fu quando si voltò verso di lui, che rimase veramente di sasso: un paio d’occhi colore dei prati, occhi in cui si era perso un milione di volte. Rae.
Anche se sapeva benissimo che Rae, nei suoi momenti liberi, danzava nella piazza del villaggio, non l’aveva mai vista ballare veramente. E sapeva anche benissimo il perché di quella scelta: dopo la morte della madre, lei e suo padre, rimasti da soli, avevano dovuto arrangiarsi, e così Rae, sfruttando la sua passione e il suo talento per la danza, aveva scelto di racimolare qualcosa danzando. Ovviamente non c’era nessuno a suonare, per donarle quella musica meravigliosa. Come minimo suo padre aveva usato la magia e la musica si diffondeva tranquillamente per la piazza. Perso com’era nell’osservarla, Eragon si accorse che la ragazza aveva smesso di ballare solo quando la folla attorno a lui cominciò a scemare, fino a lasciarli da soli. “Non ti avevo mai vista ballare… sei eccezionale!” fu l’unica cosa che il ragazzo riuscì a dire. “Esagerato! Comunque, buongiorno sono felicissima di vederti!” Rae lo baciò su una guancia, facendolo arrossire, esattamente come il giorno prima. “Però, non mi ricordavo che tu avessi quest’ascendente sugli uomini… ti guardavano tutti con delle espressioni indescrivibili!” Disse lui circondandolo le spalle con un braccio. Rae gli diede un leggero buffetto sulla guancia, ridacchiando.
Ma quell’allegro quadretto venne bruscamente interrotto. Un soldato che passava da quelle parti si avvicinò lentamente alla ragazza, squadrandola dalla testa ai piedi. Eragon strinse i pugni. Nonostante fosse ormai normale che i soldati del re si avvicinassero al centro del villaggio, e fosse altrettanto normale (se così si può dire) che ci provassero con quasi tutte le donne del villaggio, soprattutto con quelle bellissime come Rae, lui continuava a non sopportarli, come la maggior parte dei cittadini. “Ma guarda cosa abbiamo qui! Una dolce rosellina bianca!” Intanto si avvicinava sempre di più. Quando fu quasi ad un centimetro dalla giovane, Eragon si fece avanti, ma venne bloccato immediatamente da due altre guardie. Sicuramente il seccatore era il loro capitano. Sogghignando, l’uomo protese la mano verso il suo viso, per sfiorarla, quando… “Non ti consiglio di toccarla!!” Una profonda voce maschile era intervenuta. Rae si voltò di scatto. Dietro di lei si ergeva la figura di un uomo, con capelli e barba grigi, profondi occhi neri, e vestito con una tunica segnata dal tempo. “Cantastorie… ti sei già messo abbastanza nei guai, non aggravare la situazione…” il capitano si era però lentamente allontanato dalla ragazza, per fortuna. L’uomo non dava segni di volersi muovere, anzi le mise delicatamente una mano sulla spalla.
Dopo qualche minuto, il capitano si allontanò e con un gesto di stizza fece cenno agli altri due di lasciare Eragon. Quando se ne furono andati, Rae si voltò completamente versò l’uomo: “Grazie mille, Brom! Non so cosa avrei fatto se non fossi arrivato tu!” Brom. Il cantastorie più famoso e misterioso del villaggio. Ogni anno arrivava al villaggio e ci rimaneva per lunghissimo tempo, a volte mesi e mesi. Rae adorava ascoltare le sue storie e lui ne aveva sempre qualcuna speciale per lei. Era anche un grandissimo amico di Norvadia. “Oh è stato un piacere essere il coraggioso difensore di una fanciulla indifesa!” Si inchinò con fare cavalleresco, facendola scoppiare a ridere. “A proposito, cosa voleva dire quel soldato con sei già abbastanza nei guai? Cosa hai fatto?” “Nulla di cui preoccuparsi… un fatto di fagiani e fulmini… troppo complicato!” Sorridendo, le scompigliò affettuosamente i capelli. Eragon li guardava spesso giocare in questa maniera: Brom aveva sempre attenzioni speciali per Rae, sempre una storia pronta, un aneddoto per farla ridere o semplicemente per averla vicino. Certo, era sicuro che non aveva quelle attenzioni per gli altri ragazzi del villaggio. “A proposito,… lo sai che una ragazza non dovrebbe andare in giro vestita così. Soprattutto prenderai freddo…” e detto questo si tolse il mantello e lo chiuse sulle spalle della ragazza. “Cosa mi tocca fare…” sospirò, scotendo la testa. “Forza, allora, andiamo!!” “Dove?” chiese lei curiosa. “Stanotte sono riuscito a ricordarmi una storia molto molto interessante… Tutta per la nostra regina danzante!” Rae sembrava al massimo della felicità. Sorridendo a trentadue denti, batté le mani e fece una piccola piroetta, facendo volteggiare la sua gonna nell’aria. “AH! E ovviamente anche il nostro ragazzo lì è compreso…” Eragon si riscosse improvvisamente, quando vide che Brom gli sorrideva stancamente. Ma non riuscì a rispondere, perché Rae gli gettò le braccia al collo. “Forza, forza, andiamo!! Non vedo l’ora di sentire cosa si è ricordato stavolta!” Sembrava una bambina, eccitata all’idea di sognare di nuovo, cullata dalle parole di Brom, che le narrava di draghi, di cavalieri, di eroi e di principesse. Di viaggi e di avventure, e in Rae aumentava ogni giorno il desiderio di viverle in prima persona, magari assieme ai suoi “fratelli”. Allora non sapeva quanto, successivamente, avrebbe rimpianto quei desideri.

“Sono tornata a casa!… Norvadia?!” La sua casa era deserta, e non si sentiva il minimo rumore. “Sarà uscito…” Rae fece spallucce e salì in camera sua. Appoggiò sul gigantesco letto il mantello di Brom, prima o poi glielo avrebbe ridato, e provvedette a cambiarsi. Dopo qualche minuto, la gonna, la tunica e le maniche finirono sul letto, sostituite da una tunica pesante, stivali e guanti di pelle da combattimento. Infatti la ragazza era intenzionata, dopo essersi estremamente emozionata per la storia di Brom (stavolta era su un cavaliere dei draghi che combatteva per salvare la sua città e la sua famiglia), ad allenarsi con le armi nel grande cortile della casa. Prendendo l’unica arma che suo padre le consentiva di tenere in camera, la spada, scese al piano inferiore, per poi uscire nel cortile. E, come c’era da aspettarsi, non era da sola: suo padre si stava allenando, distruggendo alcuni bersagli per il tiro con l’arco con degli incantesimi, che apparentemente non gli richiedevano il minimo sforzo. “Sei venuta ad allenarti?!” le chiese senza nemmeno guardarla. “Credo proprio di sì…” “Spada, bastone o magia?” Ancora non la guardava. Non che fosse arrabbiato con lei, ma se la avesse accolta dolcemente, poi non sarebbe riuscito ad allenarsi lealmente. “Spada e poi bastone… oggi facciamo seriamente…” Si mise a posto i guanti, poi impugnò saldamente la sua spada. Norvadia si voltò e tirò fuori la sua bellissima spada dalla fodera: una spada lucida, intagliata sulla lama con lettere in oro, e incastonato sull’impugnatura, uno smeraldo lucente. “Bene, allora cominciamo!!” E detto questo, l’uomo si scagliò verso di lei, in un affondo molto veloce. Senza farsi spaventare, Rae si voltò di scatto e, quando fu a pochi centimetri, con un gesto fulmineo, si passò la spada dietro la schiena, tenendola in verticale. Le due spade, non appena si sfiorarono, produssero un mare di scintille. Continuarono a combattere per moltissimo tempo, fino a quando Norvadia non si stancò e decise di passare al bastone. Rinfoderarono le spade e presero due bastoni lavorati, con due lame alle estremità. Anche con i bastoni combatterono a lungo, ma alla fine, Norvadia disarmò Rae. Entrambi con il fiatone, andarono a posare le armi. Era ormai sera inoltrata, ed entrambi rientrarono in casa. “La nostra principessina sta diventando sempre più brava, a quanto pare” Norvadia passò un braccia attorno alle spalle della figlia, stringendola a sé. Rae appoggiò la testa sulla sua spalla, poi arrivata ai piedi delle scale che conducevano alla sua camera, gli schioccò un bacio sulla guancia, e gli augurò la buonanotte. “Buonanotte, … padre!” Prima di voltarsi, vide Norvadia cambiare espressione: i suoi occhi si spensero e il suo viso si rattristò. Chissà per quale motivo?


Erano passati tre giorni dalla notte delle stelle, e nella fattoria di Garrow regnava la pace. Eragon aveva riportato la pietra a casa, nascondendola nella sua camera, per non farla trovare a suo zio o a Roran. Roran continuava a lavorare, senza mancare di stuzzicare Rae ad ogni occasione. Era ormai pomeriggio inoltrato e tutto era tranquillo. O quasi… “Mi dispiace, ma è impossibile battermi!” “Ah sì?! Lo vedremo!!”Un gran cozzare di bastoni di legno proveniva dal cortile davanti al fienile della fattoria: due figure si stavano allenando ferocemente con i bastoni. Una ragazza castana e un ragazzo biondo. Rae ed Eragon. “Allora, stasera dormi qui, non è vero?!” esclamò il ragazzo, colpendola violentemente. “Dipende…” disse lei di rimando, cercando di disarmarlo. “Da cosa?!” “Se vinco io, rimango; se vinci tu, torno a casa!” e dopo quasi venti secondi da questa affermazione, il bastone di Eragon volò via, atterrando qualche metro più in là. “Non vale, mi hai fatto vincere!!” esclamò Rae, tentata di tirargli il bastone. “Io? Nooooo!” detto questo, la abbracciò da dietro, dandole un’infinità di baci sulle guance. “Va bene, va bene!! Ti ho già perdonato!” E ridendo, i due entrarono in casa.

Dopo aver cenato assieme a Roran e Garrow, i due si diressero come al solito nella stanza di Eragon, dove Rae di solito dormiva. Non appena entrata, notò qualcosa. “E quella cos’è?” Stava guardando verso la grande pietra blu. “L’ho trovata sulla Grande Dorsale… ho cercato anche di venderla a Sloan, ma non ne ha voluto sapere.” Mentre Eragon, parlava la ragazza si era sempre di più avvicinata alla pietra. “E’ bellissima…” sussurrò, guardandola estasiata. Lentamente, allungò una mano per toccarla… e la ritrasse subito terrorizzata. La pietra si era mossa!!! “Eragon… Eragon…” Eragon si voltò verso di lei, leggermente preoccupato. Dopo quel sogno, si preoccupava ogni volta che sembrava anche leggermente strana. Al villaggio non aveva avuto il coraggio di parlarle, non sapeva da dove cominciare. Così aveva lasciato perdere: se lei avesse voluto, gliene avrebbe parlato. Lentamente, le si avvicinò, e rimase a bocca aperta. La pietra si stava crepando!! “Ma che sta succedendo?!” esclamò lei, incapace di muoversi.
Successe tutto in un attimo. La pietra scoppiò, Rae cadde all’indietro, ed Eragon con lei. Ma quello che li lasciò più sorpresi fu che, quando riaprirono gli occhi, al posto della pietra c’era uno strano esserino violetto, coperto di squame e con due grandissimi occhi da cucciolo. I due ragazzi si accucciarono accanto all’essere. “E tu cosa saresti?” Rae sembrava ora estremamente curiosa, più che spaventata. “La pietra non era una pietra… era un uovo!” esclamò Eragon sorridendo. “Un uccello non è… non ha le piume…” la ragazza ancora rimuginava. “Non è nemmeno un altro… animale, non vedo pelo o roba simile…” Anche il ragazzo ora si era incuriosito. Ma all’improvviso a Rae si illuminarono gli occhi: sembrava aver scoperto qualcosa, che la eccitava parecchio. “Ma certo!!! …E’ UN DRAGO!!!” lo aveva urlato al massimo della felicità. “Un drago… ma dai! A te fa male sentire le storie di Brom!” Poi però osservò meglio l’esserino violetto: in effetti, aveva tutte le caratteristiche del perfetto rettile, e quelle ali… “Un drago…” Eragon sorrise: allora i draghi non erano scomparsi, come diceva Brom. Uno era rimasto. Lentamente, mentre Rae lo osservava, allungò la mano verso il piccolo. Quello si avvicinò a lui, annusandolo diffidente, come farebbe un cucciolo di cane.
Finalmente, dopo averlo annusato, il draghetto si avvicinò per farsi accarezzare. I due si toccarono. Un lampo. Eragon venne scaraventato all’indietro. “Eragon!!” Rae si avvicinò a lui. Sembrava svenuto. “Ma cosa…?!” Si voltò di scatto verso il piccolo drago e incrociò il suo sguardo. Un mare cristallino, dalle sfumature violette, dove perdersi, un mare tranquillo, ma pieno di saggezza, una saggezza inusuale per un essere nato da poco. All’improvviso, i suoi occhi si oscurarono. “Di nuovo?! NO!!!” Di nuovo quelle premonizioni, quei sogni, quelle immagini. Ma cosa stava succedendo? Di nuovo fiamme, di nuovo un drago, ma stavolta le immagini erano veloci, non si riusciva a capire nulla. Tutto bruciava. Poi un’improvvisa fitta alla spalla la scosse. Si scoprì la spalla: il tatuaggio brillava di rosso e scottava, scottava in una maniera terribile. Le immagini continuavano. Rae credeva di impazzire. Alla fine, completamente senza forze, si accasciò a terra, svenuta.

-----------------------------------------------------------------
E anche il terzo capitolo è andato!! WOW!! Mi diverto sempre di più a vedere le vostre supposizioni sulle vicende della piccola Rae!!! Come mi sento potente!! Ah!! GRAZIE MILLE A TUTTE PER LE MERAVIGLIOSE RECENSIONI SIETE GRANDI!!! X3 Ora voglio indire un concorso: indovinate quali sono le canzoni che danno i titoli ai miei capitoli, partendo da questo e vincerete......... assolutamente niente!! AHAHAHA!! Cmq grazie a tutti e, a Piccola: visto il mistero del sogno è risolto!! Siao alla prossima!!

Akarai

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Requiem for a dream ***


Requiem for a dream 4. Requiem for a Dream



Aprì lentamente gli occhi. Una delicata luce mattutina illuminava la stanza. A quanto pareva aveva dormito per tutta la notte. A giudicare dal mal di schiena e dal giaciglio che somigliava a tutto meno che ad un materasso, doveva anche aver dormito tutto il tempo a terra. Cautamente, per non aggravare la situazione della sua schiena, fece per alzarsi, ma qualcosa che le piombò dritto dritto sullo stomaco glielo impedì. Il piccolo essere sbucato dalla “pietra” si era appena accovacciato su di lei. “Grazie mille, …coso. Sei molto gentile. Spero di essere abbastanza comoda.” Sospirando, guardò la sua spalla: il tatuaggio era tornato normale, non bruciava e nemmeno brillava. Poi si voltò verso la presenza al suo fianco: Eragon ancora dormiva accanto a lei. Rae sorrise, sembrava un angioletto con quell’espressione. Lentamente, fece per avvicinarsi a lui con una mano, sostenendosi in bilico su un gomito, per sfiorargli il volto con le dita. Ma quando fu a pochi centimetri, il ragazzo aprì gli occhi di scatto. Presa alla sprovvista, lei sobbalzò, facendo cadere il piccolo drago a terra, proprio dietro la sua schiena. Il draghetto, abbastanza seccato, si scosse e, stizzito, allargò le ali, molto larghe nonostante la sua giovane età. Ed anche molto forti. Infatti, con la sua solo apertura alare, riuscì a sbilanciare Rae, facendola franare su Eragon. Il ragazzo, solo in quel momento totalmente sveglio, se la ritrovò praticamente sdraiata sopra. “Un buongiorno normale sarebbe bastato sai?! Ma devo dire che questo non mi dispiace!” Il suo sorrisetto malizioso non prometteva nulla di buono. “Non farti strane idee… il tuo drago è parecchio nervosetto a quanto pare…” disse lei rialzandosi. Stiracchiandosi, tentò di rimettere a posto quel poco di spina dorsale che le era rimasta. “Anche tu non mi sembri da meno!” anche lui si era alzato e la guardava negli occhi. Erano stanchi e affaticati, gli occhi di una persona gravata da un peso più grande di lei. “Che hai?” Le mise delicatamente una mano sulla spalla. Lei sospirò, stanca. “Quei sogni, Eragon, quelle visioni… mi stanno distruggendo. Prima o poi mi faranno impazzire. Quella notte, ieri sera,… sono sempre più frequenti. Ho paura di addormentarmi la notte!” Sembrava davvero spaventata. Anche se le capitava spesso di avere sogni premonitori, nessuno di loro aveva avuto questa pressione su di lei. Dolcemente, la abbracciò, stringendola tra le braccia. Non sapeva cosa dire. Semplicemente voleva farla sentire al sicuro. “Sai Eragon… tu ci sei spesso nelle mie visioni… anzi ci sei quasi sempre…” “Mmmmmh…  ma davvero? Allora non sono poi così terribili queste visioni!” le sussurrò nell’orecchio. Rae rise e lui sorrise di rimando. Era riuscito a farla tornare allegra.
I due si divisero, ed Eragon le fece un’affettuosa carezza sulla guancia. Rae gli prese la mano e la strinse nella sua. Fu proprio in quel momento che si accorse di un particolare. “Eragon… cosa hai fatto alla mano?!!” Sul palmo della mano del ragazzo era apparso un simbolo, che sicuramente non c’era la sera prima, rassomigliante ad un drago stilizzato avvolto a spirale. Era come inciso nella pelle del ragazzo, quasi una scottatura. “Ma cosa…?!” Lui sembrava stupito quanto la ragazza. “Ieri non c’era nulla… cosa…?” Mentre parlava, la ragazza avvicinava sempre di più la punta delle dita allo strano segno, percorrendo lentamente l’intera mano di Eragon. Lo sfiorò delicatamente e… urlò. Urlò e si portò la mano sulla spalla. Fuoco. Fuoco sulla sua pelle. “RAE!!! Che succede?!” “Brucia… il tatuaggio… brucia da morire!” Il suo viso era contratto in una smorfia di dolore, mentre la luce rossa del grande tatuaggio si poteva vedere oltre la stoffa della sua tunica. Si stringeva convulsamente la spalla, respirando a fatica. Lui non sapeva cosa fare. “Accidenti…” pensò rabbioso. Lei urlò di nuovo. Eragon prese un gran respiro, poi con risolutezza le scostò il braccio dalla spalla. Rae lo guardò stupita, per poi passare ad un’espressione incredula. Eragon le stava abbassando in malo modo la spalla della tunica, dopo averle praticamente slacciato tutti i lacci che la tenevano ferma davanti. “Ma che stai facendo?!!!!” “Sto cercando di fare qualcosa per quel maledetto tatuaggio!!!” Sembrava risoluto. Lei prese un gran respiro, semplicemente per calmarsi, non pensare al dolore e tentare di riprendere fiato, poi gli diede uno schiaffo sulla mano. “Ahi!! Ma cosa…?!” “Stupido!! Non ti viene in mente di alzarmi la manica, invece di metterti a spogliarmi?!” Era color peperone, e questo la faceva arrabbiare ancora di più. “Ah… è vero…” Sembrava alquanto stupito. Sbuffando, lei si alzò la manica della tunica, completamente aperta davanti. Per fortuna ne portava un’altra sotto, più leggera. Al contatto con l’aria il tatuaggio, che sembrava aver smesso di bruciare, riprese la sua tortura. Lei urlò per la terza volta, colta impreparata. Eragon guardò il simbolo: il colore del sangue sulla neve, brillava come se fosse stato veramente incendiato. All’improvviso le gambe della ragazza sembrarono cedere. Di scatto, lui la sorresse. “Io… cosa posso fare…” Lei sembrava non ascoltarlo. Il suo primo istinto fu di darle sollievo: le sue mani erano fredde, così decise di tentare di avvicinarle al simbolo bruciante. Lentamente, mentre con la sinistra la sosteneva, con la destra le si avvicinò. “NO ERAGON NO!!! QUELLA MANO NO!!! NON LA DESTRA!!!” Troppo tardi. La mano marchiata dal simbolo del drago si appoggiò sul tatuaggio degli indovini.

E Rae urlò come non aveva mai urlato in vita sua. Un urlo straziante, che venne udito a molti metri di distanza, da Roran e Garrow che lavoravano nei campi. Un urlo terribile che Eragon non avrebbe dimenticato mai. Roran e il padre si guardarono per un attimo, poi corsero immediatamente in casa. Irruppero nella stanza di Eragon e li trovarono. Lui la teneva tra le braccia, terrorizzato, lei ansimava e piangeva di dolore, non avendo neanche la forza di stringere la spalla. “Eragon cosa…?!” Garrow sembrava confuso ed estremamente preoccupato. Eragon scosse la testa, scosso. “Il tatuaggio… di nuovo… io l’ho appena toccata…” L’uomo pensò solo un momento al da farsi: “Io andrò a chiamare Norvadia. E’ sua figlia e lui capisce queste cose meglio di noi! Voi due… ve la affido. Prendetevi cura di lei!” Detto questo uscì dalla stanza, diretto verso la porta. Aveva anche cominciato a piovere. Roran, senza una parola, si avvicinò alla ragazza e la prese in braccio, stringendola tra le braccia. La appoggiò delicatamente sul letto di Eragon, facendole una delicata carezza sulla fronte. Lei aprì gli occhi. Sussurrò il suo nome. “Roran… … scusami…” Il ragazzo non resistette. Voltandosi, uscì dalla stanza. Lasciando Eragon a guardarla. Aveva chiuso gli occhi di nuovo, e ansimava, spasimando ogni tanto, quando il dolore si faceva più acuto. Il ragazzo uscì precipitosamente dalla porta, raggiungendo il cugino. Roran era seduto su una panca, con le mani tra i capelli. Eragon gli si parò davanti. Alzò gli occhi: stava piangendo. A quella vista, anche ad Eragon scappò una lacrima. Roran si alzò e abbracciò stretto il cugino. “Mi sento in colpa… tantissimo” Eragon aveva la voce spezzata. “Anch’io… come posso abbandonarla in un momento simile… io…” “Non starà per sempre così… forza!” Si divisero, asciugandosi le lacrime. “Allora, io vado a farle compagnia, tu vai a prendere un po’ d’acqua dal pozzo e dei pezzi di stoffa, dobbiamo bagnarle la fronte!” Roran ora sembrava veramente deciso. Eragon annuì.

Quando Eragon rientrò, Roran era seduto accanto al letto e teneva la mano a Rae. Non era cambiato assolutamente nulla nel suo comportamento: ancora ansimava, ancora spasimava. Occasionalmente anche qualche lacrima cadeva dai suoi occhi serrati, provocata dal dolore tremendo.
In poco tempo le posarono delle bende fredde sulla fronte, per darle sollievo, ma non cambiava ancora niente. Eragon era sdraiato accanto a lei sul letto, e occasionalmente le cambiava la benda e le bagnava il viso, che scottava come se fosse febbricitante. Roran le teneva la mano e la accarezzava ritmicamente sulla guancia. All’improvviso, la porta si aprì. Un uomo vestito di bianco e di nero entrò nella stanza, quasi correndo. Norvadia. Garrow era con lui. Roran si fece da parte per farlo avvicinare al letto. Lentamente, l’indovino si sedette, accanto a sua figlia e le spostò dolcemente una ciocca di capelli dal viso. Rae aprì gli occhi, e scrutò il padre. Aprì le labbra per dire qualcosa, ma non uscì nessun suono. Norvadia sembrava avere gli occhi pieni di lacrime. Poi lo sguardo gli cadde sul suo braccio: il tatuaggio brillava come se fosse stato fatto di sangue. Preoccupato, lo sfiorò: scottava come il fuoco. Sua figlia emise un piccolo lamento, a quanto pareva le aveva fatto male anche solo sfiorandola. Si alzò, serrando gli occhi. “Non credevo che il suo tempo sarebbe mai giunto…” pensò, mentre li riapriva per scrutare i due ragazzi, che lo fissavano ansiosi. Cosa gli aveva detto Garrow prima che lui corresse da sua figlia? Lui e Roran avevano trovato Rae accasciata tra le braccia di Eragon, in preda al dolore. E lui sapeva benissimo che una sola cosa poteva provocare quella reazione in una persona marchiata dal simbolo degli indovini. “Eragon…” Il ragazzo lo guardò con occhi preoccupati. “…vieni fuori, devo parlarti…” Eragon si alzò lentamente, e, prima di uscire, diede un’ultima occhiata al letto, e allo spazio buio sotto di esso: sapeva che il piccolo drago si era nascosto là sotto dopo l’urlo di Rae.

Uscì dalla stanza e si chiuse la porta alle spalle. Norvadia non lo stava guardando, era voltato di spalle. Rimasero così per qualche secondo, poi l’uomo si voltò. Lo guardò fisso negli occhi e Eragon sostenne il suo sguardo, uno sguardo inquisitore e allo stesso tempo mortalmente preoccupato. “Mostrami le mani, Eragon.” Lo disse calmo, ma in realtà stava fremendo. Il ragazzo ebbe un attimo di esitazione, poi capì che poteva fidarsi dell’indovino, e gli mostrò le mani, con i palmi protesi in alto. Il marchio del drago brillava come se avesse catturato la luce del sole e la volesse mostrare in quella giornata così cupa. A quella vista, Norvadia sobbalzò, poi si passò stancamente una mano sugli occhi. “Così sei tu… dovevo immaginarlo…” Lo guardò di nuovo dritto negli occhi, serio, poi si aprì in un sorriso luminoso e triste allo stesso tempo. “Trattala bene, Eragon. Sappi che mia figlia non lascerà mai il tuo fianco, qualunque sia la situazione. Questo ormai è il suo destino. Io e te non ci rivedremo più. La mia parte ormai è finita.” Detto questo si allontanò verso la porta principale. “Norvadia!!” L’uomo si voltò. “…cosa posso fare con Rae? Io…” “Fai quello che ti consiglia il tuo istinto… dovrai farlo sempre più spesso, d’ora in poi…” Aprì la porta, scoprendo un cielo sereno e senza nuvole. “Addio, Eragon… o meglio… Cavaliere…” La porta si chiuse alle sue spalle. In quel momento Eragon seppe che quella sarebbe stata l’ultima volta in cui avrebbe parlato con Norvadia l’indovino.

Eragon tornò silenziosamente nella stanza: Roran e Garrow erano ancora accanto a Rae. Il ragazzo incrociò lo sguardo dello zio, poi abbassò gli occhi. Roran fece per aprir bocca, ma… “Roran, andiamo! Abbiamo delle cose di cui parlare!” Lo guardò interrogativamente per un secondo, poi si alzò e lo seguì fuori dalla porta. Eragon rimase solo nella stanza con Rae. Si distese lentamente accanto a lei, e ripensò alle parole di Norvadia. “Il mio istinto…” era più un sospiro che una frase vera e propria. Cosa gli comandava di fare il suo istinto? Guardò il simbolo sulla sua mano. Poi pensò al perché Rae soffriva così tanto. Era stato il contatto di quello strano segno con il tatuaggio degli indovini a farla star male, quindi forse…
Prima di pensarci due volte, le accarezzò dolcemente la spalla marchiata con la mano destra, provocando un piccolo bagliore nel momento in cui i due simboli entrarono in contatto. Ma non successe nient’altro. Eragon sospirò rassegnato, poi la vide: Rae aveva aperto gli occhi e si stava guardando attorno spaesata. Non poté mai descrivere la sensazione che provò in quel momento. Ridendo di felicità, la abbracciò, baciandola sulle guance. “Eragon… ma che… cosa è successo???” Lui sembrava non trovare le parole adatte. “Io… tu… il tatuaggio… scottava…” “Eragon! Eragon! ERAGON!! Stai calmo!!!” Rae lo prese per le spalle, per guardarlo negli occhi e soprattutto per staccarselo da dosso. Il ragazzo prese un respiro profondo, tentando di calmarsi. “Va bene, va bene! Ora sono calmo…” Entrambi, più tranquilli, si tirarono a sedere. La giovane sembrava essersi ripresa, anche se ancora qualche goccia di sudore le imperlava la fronte. Eragon sospirò. “Non… non ti ricordi proprio niente?” Rae scosse la testa. “Ricordo solo… che Norvadia mi si è avvicinato e ha detto qualcosa… era triste…” Il ragazzo la guardò in viso: era ancora leggermente pallida, e i suoi occhi verdi al pensiero del padre erano diventati tristi, senza motivo. Delicatamente, le posò una mano sulla guancia. Lei alzò gli occhi. Lui le sorrise. “Mi hai fatto preoccupare tantissimo… ti ho toccata appena…” Mentre parlava faceva lentamente scivolare la mano, percorrendole il collo, appena sfiorandola. “Qui…” Era arrivato alla spalla, ancora scoperta. “E tu hai urlato… di dolore… non lo dimenticherò mai più…” Rae prese la mano che il ragazzo ancora le teneva sulla spalla, e la strinse tra le sue. “Poi sono arrivati lo zio e Roran… ti hanno poggiata sul letto… zio Garrow è andato a chiamare tuo padre, e Roran è rimasto con noi…” Fece una piccola pausa, per guardarla dritto negli occhi. “E alla fine è arrivato Norvadia…” “ E cosa ha detto?!” La ragazza lo guardava trepidante. “Lui… ha detto…” Ma Eragon non fece in tempo a finire la frase, che la porta si aprì all’improvviso. Una testa bionda fece capolino, assieme a tutto il corpo. Roran. “Eragon, come…?” E anche lui non riuscì a finire la frase, perché si ritrovò davanti una Rae in piena forma, seduta sul letto assieme a suo cugino. “Rae…” Lei sorrise allegra. “Ciao Roran!!” Dopo neanche un secondo, la ragazza si ritrovò di nuovo sdraiata sul letto, schiacciata da Roran, che le era praticamente saltato addosso. “Roran!! Roran!! Calmati!!” esclamò lei tra le risa. Lui continuava a baciarla sulle guance, sulla fronte, senza fare caso a dove capitassero le sue labbra. “Ehi, cugino, guarda che sono contento anch’io!!” E detto questo Eragon lo spinse via, prendendo Rae tra le braccia, e stringendola come se dovesse proteggerla da un nemico. “Ah! Vuoi la guerra, cugino?!!!” Quell’aria di sfida non prometteva nulla di buono. “No, no, no, no!! Non cominciate a litigare, non sono in vena!” esclamò la ragazza, spingendo Eragon per farsi mollare. Il ragazzo non fece obiezioni e la mise a terra. Non appena pose i piedi sulla terraferma, il mondo cominciò a girare vorticosamente, facendole improvvisamente perdere l’equilibrio. Pronta all’impatto con il terreno, chiuse gli occhi, ma li riaprì immediatamente quando sentì attorno a sé la stretta di forti braccia. Entrambi i ragazzi la stringevano tra le braccia. Infatti sia Eragon che Roran erano scattati non appena l’avevano vista cadere, arrivando a “salvarla” contemporaneamente. Così, Roran la stringeva per la vita e Eragon le cingeva le spalle. Rae sospirò sollevata e improvvisamente rassicurata dalla presenza accanto a sé di quei ragazzi fantastici, che considerava come fratelli. Felice, abbandonò la testa sulla spalla di Roran, proprio dietro di lei. “Sono felice che siate con me. Tutti e due.” Eragon le sorrise, posandole un bacio delicato sulla fronte. Roran invece non fece nulla, anzi abbassò gli occhi, puntandoli sul pavimento, guardando fisso le assi che lo componevano. Cosa avrebbe dato per restare ancora con lei…

Erano passati giorni dal giorno dell’incidente del tatuaggio e la vita scorreva normale e tranquilla nel villaggio di Carvahall. Solo a volte la pace era turbata dai soldati del re, che portavano via qualche giovane per arruolarlo come “volontario” nell’esercito. Anche i ragazzi vivevano tranquilli, continuando a vedersi e a passare intere giornate assieme. Eragon e Roran come al solito lavoravano alla fattoria dello zio, mentre Rae continuava a ballare e ad esercitarsi con suo padre.
E proprio come al solito, i due ragazzi stavano lavorando nel campo della fattoria di Garrow, arando e piantando nuovi germogli. Ma all’improvviso, Roran si fermò, posando la pala che aveva usato fino a poco prima sul terreno. Eragon si accorse che qualcosa che non andava, e smise anche lui di lavorare. Entrambi si guardarono negli occhi per qualche secondo, poi Roran prese la parola. “Ho deciso… i soldati passeranno tra qualche giorno e io ho l’età per essere reclutato… non voglio arruolarmi, soprattutto per servire un uomo che non è il mio re… partirò domani mattina!”Eragon rimase in silenzio per un po’ poi disse: “Glielo hai detto?” Roran sapeva benissimo a chi si stesse riferendo. “No… non potresti…” “No Roran! Questo devi farlo tu!” Il fatto era che nessuno dei due sopportava l’idea di vederla soffrire ancora. Roran provava una morsa al cuore ogni volte che tentava solo di pensare al volto della ragazza rigato di nuovo di lacrime. Ma fu quando Eragon guardò oltre la sua spalla e gli indicò un punto sulla collina che il suo cuore fece davvero un salto mortale: Rae stava correndo giù per la collina, con il mantello che si faceva maltrattare dal vento e i capelli raccolti nella solita treccia.

Rae era finalmente arrivata al margine della foresta, proprio in cima alla piccola collina. Il cielo era, come al solito in quei giorni, sereno, e solo alcune nuvolette bianche macchiavano l’azzurro. I campi verdi attorno alla fattoria di Eragon lasciavano intravedere l’arrivo della piena estate. Due figure erano in piedi in mezzo ad uno di quei campi, a prima vista stavano parlando tra loro. Ovviamente, anche da lontano la ragazza seppe riconoscere le teste bionde dei suoi due migliori amici. Ad un tratto, Eragon e Roran si voltarono e lei cominciò a correre giù per il versante della collina, sventolando le mani in segno di saluto. I due non fecero in tempo a salutarla, che il piccolo tornado piombò loro addosso, stringendoli entrambi nel solito abbraccio collettivo. Ma l’abbraccio quel giorno era diverso. Roran, senza guardarla negli occhi, si scostò e la lasciò tra le braccia di Eragon. “Roran… tutto bene…?” Si liberò dalla stretta di Eragon e raggiunse il biondino. Roran la guardò di sottecchi, poi la prese per mano e la trascinò in un angolo del giardino, più ombreggiato del resto dell’area, dicendo: “Ti devo parlare!” Quando si trovarono faccia a faccia, Rae aspettò che Roran spiccicasse parola, ma il ragazzo non si decideva a parlare. “Roran… hai detto che mi devi parlare…” Quelle parole sembrarono scuoterlo, perché Roran alzò la testa e la guardò fissa negli occhi. Come in trance, mosse la mano e la poggiò sulla pelle liscia della sua guancia, in una carezza amara. C’era nei suoi occhi dorati tanto di quel dolore che Rae stentava a riconoscere il suo caro Roran. “Forse… forse Eragon aveva ragione quella notte, sulla collina… non avremmo dovuto rivelare i nostri desideri…” Lei non riusciva a capire. Adesso cosa significavano le stelle e i desideri? Cosa voleva dirle il ragazzo? “Roran, spiegati… non capisco” Una pausa ed un sospiro, come a voler raccogliere il coraggio per pronunciare quelle due parole, quelle parole maledette, che non volevano uscire dalla gola.
“Domani parto” detto con una semplicità unica, come se quella certezza non scalfisse minimamente il suo cuore di adolescente, ma fu come una frustata per la giovane di fronte a lui. Solo per pochi secondi, il suo cuore sembrò cessare di battere, il suo respiro spezzarsi per non tornare mai più, lacrime prepotenti salirono a lambire quegli smeraldi preziosi che le illuminavano il viso. Chiuse gli occhi, per fermarle, per impedire loro di scendere perfide sulle sue guance e così mostrare a Roran il suo dolore. Il suo orgoglio glielo impediva. “Dove andrai?” La sua voce era ghiaccio. Non disperata, non triste, solo fredda. Lui rimase esterrefatto a quella reazione. “Voglio… voglio andare a Dras-Leona, lì i soldati sono già passati” Un altro silenzio. “Bene! Buona fortuna!” Adesso sorrideva. Rae sorrideva con uno di quei sorrisi aperti e dolci che solo lei sapeva tirar fuori. “Ma…!” Roran non ebbe il tempo di replicare: lei era già corsa via, verso Eragon. L’unica cosa che gli restava da fare era guardarla allontanarsi, con il cuore stretto, con la quasi certa sensazione di averla persa per sempre.
“Torno a casa… ero passata solo a salutarvi” Eragon avrebbe creduto a qualsiasi altra cosa: -Inventati qualcos’altro-  Mentre la stringeva a sé, cercava di guardarla negli occhi, per capire. Anche se era più che certo di sapere il perché di quell’improvvisa voglia di tornare a casa. “Rae… sei sicura di star bene?” Domanda retorica. Ovvio che non stava bene. Per niente. Era chiaro che non avrebbe mai fatto tutta la strada da casa sua alla fattoria di Garrow solo per andarli a salutare. E poi quei grandi occhi verdi non potevano mentire. “Ma certo che sto bene, cosa vai a pensare!… Però adesso devo proprio andare…” E così salutandolo con la mano si avviò per la strada, intenzionata a mettere tutta la distanza possibile tra lei e i suoi due amici prima di scoppiare a piangere.
Ma quando fu arrivata a metà sentiero, sentì dei passi dietro di lei. Cocciuto. Un pezzo di marmo. Ovviamente era Eragon. Senza lasciarle nemmeno il tempo di parlare, la abbracciò, stringendola al suo petto, tentando di farla sentire protetta, al sicuro, …capita. Ma ottenne solo l’effetto contrario. Stava facendo esattamente ciò che lei non voleva facesse. (contorta lo so!^^” NdA) In malo modo, si allontanò da lui, sciogliendo l’abbraccio, e incrociò le braccia davanti al petto, a mo’ di scudo. Eragon non tentò nemmeno di riavvicinarsi. Era come una lupa selvatica, in quei momenti. Intrattabile. Rassegnato, fece per andarsene, ma all’ultimo momento ricordò cosa realmente doveva dirle: “Rae… verrai domattina a salutarlo?” Lei lo guardò solo per un momento, poi senza una parola gli voltò le spalle e corse via, verso la foresta, verso la sua casa, lasciandolo lì a guardare il bosco pieno d’ombra. Affranto si voltò di nuovo verso la sua stessa casa.
Leggere gocce caddero sul suo viso. Alzò gli occhi al cielo: cupe nuvole nere avevano coperto l’azzurro, gonfie d’acqua. Altre piccole ma pesanti gocce caddero su di lui, bagnando la sua pelle e i suoi vestiti. Poi lo sguardo gli cadde su un angolo del giardino: Roran era ancora lì, dove lo aveva lasciato. E guardava alternamente lui e il bosco dove Rae era sparita. I vestiti e i capelli color del grano erano fradici. Il suo viso rigato di pioggia.
Ma Eragon avrebbe giurato che non fossero tutte gocce.



-------------------------------
Salve a tutti, rieccomi qua!!! Scusate la lunghissima attesa, ma la scuola mi ha distrutto! xp Comunque ecco a voi il nuovo capitoletto. Da qui in poi le cose cominciano a farsi movimentate!!! Ghhghghghgh!! Mi raccomando commentate!! Alla prossima!!
Akarai

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=116239