Le Nove Dee

di HeartSoul97
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo Primo ***
Capitolo 3: *** Capitolo Secondo ***
Capitolo 4: *** Capitolo Terzo ***
Capitolo 5: *** Capitolo Quarto ***
Capitolo 6: *** Capitolo Quinto ***
Capitolo 7: *** Capitolo Sesto ***
Capitolo 8: *** Capitolo Settimo ***
Capitolo 9: *** Capitolo Ottavo ***
Capitolo 10: *** Capitolo Nono ***
Capitolo 11: *** Capitolo Decimo ***
Capitolo 12: *** Capitolo Undicesimo ***
Capitolo 13: *** Capitolo Dodicesimo ***
Capitolo 14: *** Capitolo Tredicesimo ***
Capitolo 15: *** Capitolo Quattordicesimo ***
Capitolo 16: *** Capitolo Quindicesimo ***
Capitolo 17: *** Capitolo Sedicesimo ***
Capitolo 18: *** Capitolo Diciassettesimo (prima parte) ***
Capitolo 19: *** Capitolo Diciassettesimo (seconda parte) ***
Capitolo 20: *** Capitolo Diciottesimo ***
Capitolo 21: *** Capitolo Diciannovesimo ***
Capitolo 22: *** Capitolo Ventesimo ***
Capitolo 23: *** Capitolo Ventunesimo ***
Capitolo 24: *** Capitolo Ventiduesimo ***
Capitolo 25: *** Capitolo Ventitreesimo ***
Capitolo 26: *** Capitolo Ventiquattresimo ***
Capitolo 27: *** Capitolo Venticinquesimo ***
Capitolo 28: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


PROLOGO
La donna si inginocchiò di fronte all’altare, il fagotto stretto al petto. La sala era grande, interamente di marmo nero, scarsamente illuminata da candele che riflettevano sinistri bagliori sulle pareti della sala. Imponenti colonne di marmo dividevano la sala in tre navate. Un tempio. Sulla parete dietro l’altare, anch’esso di marmo nero, vi erano sette nicchie contenenti delle statue e, al centro, una gigantesca statua di marmo bianco, che riluceva in quell’oscurità. Raffigurava una donna dal viso bellissimo, i lunghi capelli che le arrivavano alla vita. Era però inquietante. Forse erano le lunghe corna che aveva sul capo, oppure la bocca piegata in un ghigno crudele. O il pugnale insanguinato che teneva in mano. Comunque, la donna si alzò, posò il fagotto sull’altare e prese il pugnale che vi era appoggiato sopra. Alzò il pugnale verso la statua e chinò la testa, iniziando a pregare con queste parole: «Lilith, Grande Dea, accetta questa bimba e fa di lei la tua discepola, in modo che un giorno possa rappresentare la Tua parola su questa terra». La donna prese il pugnale e lo passò sui suoi polsi, a denti stretti. Il rito non andava disturbato con le parole. Poi andò verso la statua e ci passò le mani sopra, dicendo: «Lilith, Grande Dea, accetta questo tributo di sangue, affinché Tu possa esaudire le mie preghiere». Dopodiché la donna prese la bambina e la portò ai piedi della statua, bagnandole il viso con il suo stesso sangue. Poi si alzò, riprese la bimba e si incamminò verso l’uscita del tempio. Davanti alla grande porta d’ebano si girò e disse: «Lilith, Grande Dea, a Te sola sarò per sempre fedele». Dopo spinse la porta e fu fuori, nell’aria fredda della notte.


**********************
Angolo autrice
Eccomi qua! Sono HeartSoul97 -ovvio- e volevo scrivere il prologo di questa storia che mi è venuta in mente qualche giorno fa. Ringrazio anticipatamente tutti coloro che recensiranno o semplicemente leggeranno il prologo e continueranno a seguire questa storia.
Un grande abbraccio e alla prossima!
HeartSoul97

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Capitolo 2
*** Capitolo Primo ***


                                                                   Capitolo Primo

                                                                                                                        Sedici anni dopo
  
                                                   

Rick sbadigliò. Si sentiva distrutto. Aveva passato la mattinata ad arare il campo, poi una breve pausa e nel pomeriggio aveva portato le pecore al pascolo. Lavoro anche piuttosto rilassante, se non fosse stato per il cane, che abbaiava come un pazzo, e per i lupi, che si erano avvicinati e Rick aveva dovuto mandarli via con il fuoco. Per riportare le pecore nell’ovile, poi… meglio non parlarne. Era sempre la stessa pecora, quella più grande: non ne voleva sapere di entrare, e il ragazzo aveva speso parecchio tempo ed energia a convincerla. Per questo adesso l’unica cosa che voleva fare era andarsene nella sua stanza e dormire, ma sapeva che, se non fosse andato a cena, i suoi genitori si sarebbero arrabbiati.  Perciò entrò in cucina e si sedette sulla sedia, esausto. Era un ragazzo di quasi sedici anni, alto e magro, con folti capelli neri e gli occhi verdi, dal fisico forte e asciutto a forza di lavorare nei campi. Non aveva passione per le armi, ma gli piaceva andare a caccia con l’arco, anche se non era molto bravo.
Rick abitava in una fattoria fuori dal villaggio di Kroal, nella parte settentrionale di Ennea. Era un’abitazione modesta e tutto sommato confortevole, a due piani. La sua famiglia era composta da suo padre, Wil, e da sua madre, Asye. Aveva anche una sorella, ma non l’aveva mai conosciuta, perché se n’era andata anni prima, dicendo di essere stufa di quel posticino sperduto. Avevano una ventina di pecore, cinque mucche e un cavallo con un carretto, che utilizzavano per andare al villaggio per vendere le stoffe che Asye tesseva.
Rick era contento della sua vita, seppur monotona. Non c’erano pericoli, a parte i lupi, e sapeva sempre cosa sarebbe successo il giorno dopo. Eppure i suoi amici del villaggio, i suoi coetanei, erano annoiati. Rick non li capiva. Non trovavano bello non avere preoccupazioni, lasciarsi vivere senza problemi?
Asye stava trafficando ai fornelli. Stava preparando qualcosa di speciale, perché quello era un giorno speciale. Era il compleanno di suo figlio. L’aveva tenuto fuori tutto il giorno, per preparare la sua sorpresa senza essere scoperta. Solo Wil lo sapeva, e l’aveva aiutata nel suo piano. Adesso Rick era in cucina, ma la sorpresa era finita da un bel po’. Stava cucinando una zuppa di legumi, e l’odore era così invitante che Rick si avvicinò.
«Cosa c’è per cena?»chiese il ragazzo.
«Zuppa di legumi. E’ quasi pronta, tu prepara la tavola».
In silenzio, Rick preparò la tavola. In quel momento Wil tornò a casa, scuro in volto, ma si sforzò di sembrare allegro: dopotutto era il compleanno di suo figlio.
Mangiarono la zuppa, chiacchierando delle fatiche del giorno, e Wil annunciò di aver comprato un nuovo cavallo, poiché l’altro era troppo vecchio. Finita la zuppa, Rick cominciò a togliere le cose dal tavolo, dimentico che quel giorno era il suo compleanno. Infatti Asye si alzò e prese la sua sorpresa, l’unico regalo che poteva fare a suo figlio: un bellissimo dolce ai frutti di bosco decorato con delle fragole. Rick era piacevolmente stupito: non si aspettava quel bel regalo! Dimenticò la stanchezza e prese un grosso pezzo di dolce, seguito a ruota da Wil e Asye. Lo mangiarono quasi tutto. Poi, sazi e soddisfatti, andarono a dormire.
Rick si svegliò quando il sole non era ancora sorto. Da fuori si sentivano delle urla, mentre sentiva le voci concitate dei suoi genitori nella stanza accanto alla sua. Guardando dalla finestra, si vedeva il baluginio di un incendio.
In quel momento la porta si spalancò, e Wil entrò nella stanza, completamente vestito, un pugnale fissato alla cintura e un fagotto in mano. Era sconvolto.
«Rick, raccogli le cose a cui tieni di più e fai un fagotto; poi scendi in cucina!».
Rick, assonnato, si vestì a casaccio, mettendo le prime cose che trovava. Poi prese il suo arco, le frecce, e un pugnale che gli avevano regalato i suoi amici l’anno prima. Dopodiché fece la domanda che più gli premeva:
«Cos’è successo?».
«Una cosa terribile! Non c’è tempo per le spiegazioni, ora! Sbrigati!».
Rick, ormai completamente sveglio, si precipitò in cucina.



*****************
Angolo autrice
Salve! Se vi state chiedendo perché il protagonista è questo ragazzo e non la bimba del prologo, la mia risposta è: lei è il secondo protagonista che spunterà successivamente. Credo che prima o poi cambierò il nome del ragazzo, perché non mi piace molto, ma non ho trovato nulla di più adatto. Come al solito, ringrazio coloro che recensiranno o semplicemente leggeranno. Credo che non aggiornerò prima dei prossimi due giorni.
Un abbraccio a tutti e alla prossima
HeartSoul97

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Capitolo 3
*** Capitolo Secondo ***


                                                                                                         Capitolo Secondo
 

Asye era in cucina. Stava raccogliendo delle provviste in un fagotto, insieme a degli otri pieni d’acqua. Quando Rick scese, gli indicò sbrigativa il mantello appeso al chiodo affianco alla porta.
«Mettitelo e calati il cappuccio»disse. Non un sorriso, nessuna parola di conforto o spiegazione. Rick non era sorpreso, anche perché la faccia sconvolta e spaventata di sua madre era inequivocabile. Wil lo prese per un braccio e lo portò fuori, fino all’ovile.
«Libera le pecore», gli disse. Poi aggiunse: «Io penso alle mucche».
Rick sapeva che le spiegazioni sarebbero venute dopo, così eseguì mentre la sua mente era affollata da cupi pensieri.
Finito il lavoro, il ragazzo trovò suo padre intento a preparare i cavalli, nella stalla adiacente alla casa.
«Liberi anche loro?»chiese, stupito.
«Scherzi? Ci danno la possibilità di fare l’unica cosa che possiamo : fuggire».
«Perché dobbiamo fuggire? Papà, che sta succedendo?».
A questo punto, Wil non ebbe scelta, e disse al ragazzo tutta la verità.
«Ieri, al villaggio, mi è giunta la voce che dei ribelli stessero organizzando una rivolta. All’inizio non mi preoccupai, perché di solito queste cose non si mettono mai davvero in atto. Poi, però, il mercante da cui ho acquistato il cavallo mi ha riferito degli attacchi ai villaggi di Lamer e Pinth. Sono due villaggi che si trovano ai lati opposti di Ennea. “Una coincidenza”, pensai. Ma mi preoccupai. E i miei timori si sono confermati».  Sospirò. Poi prese la sella e sellò Orin, il nuovo cavallo.
«Re Perk è morto, Rick»disse, guardandolo negli occhi. Il ragazzo sentì il mondo crollargli addosso. Re Perk, il sovrano giusto e onesto che da anni governava tutta Ennea, era morto.
«Non è possibile…Come è successo?»
«Me lo chiedi anche, Rick? Sono stati i ribelli. E sembra che siano guidati da qualcuno di molto potente».
Fu allora che la loro conversazione fu interrotta da un lungo, acuto e terrorizzato grido di donna.
«Asye!»gridò Wil, e corse verso la casa, circondata dalle fiamme e da strani tizi vestiti di nero, che stavano correndo via. Rick prese il cavallo per la cavezza, e lo portò vicino alla casa, incurante delle fiamme. In quel momento Wil uscì. Il ragazzo poteva vedere benissimo le lacrime che gli rigavano le guance, il corpo inerte di Asye tra le braccia, la larga chiazza rossa sul petto di sua madre.
«Rick…prendi Orin e scappa»disse.
«Ma…papà…»
«Mi hai sentito? Prendi quel maledetto cavallo e scappa, dannazione! Salvati, almeno tu! Davvero credi che quei tizi non torneranno?». Il ragazzo salì sul cavallo, ma non si mosse.
Non aveva nemmeno finito di parlare che decine di cavalli, neri come i loro cavalieri, arrivarono al galoppo vicino alla fattoria. Rick sentì un sibilo alle sue spalle, e con orrore vide un coltello da lancio che trafiggeva il petto di suo padre, dritto verso il cuore.
Stupito, Wil si guardò il petto, lì dove una larga chiazza rossa si spandeva sotto la punta del coltello; poi, senza un lamento, si accasciò a terra.
«Noooooooo!!!!!!»il grido disperato di Rick squarciò l’aria immobile prima dell’alba. Avrebbe voluto correre da suo padre, dirgli che lo avrebbe salvato, a ogni costo.
 Ma prima che potesse fare qualcosa, decine di figure nere stavano correndo verso di lui. Il ragazzo sentì il sibilo di un coltello da lancio, che gli passò accanto tranciandogli una ciocca di capelli. Poi sentì il sibilo di alcune frecce, ma le schivò, aiutato dal cielo che pian piano si schiariva.
Fu Orin a salvarlo. Si lanciò al galoppo dritto verso gli altri cavalli, poi si tuffò nel bosco dietro alla fattoria, talmente veloce da lasciare i cavalieri misteriosi perplessi. Poi un unico grido proruppe dalle gole di tutti gli uomini, e si inoltrarono nel bosco.
Orin corse anche nel bosco, agilissimo a saltare tutte le radici sporgenti di quegli alberi centenari e a schivare bassi rami che avrebbero potuto disarcionare il suo giovane cavaliere.
Il cavallo continuò a correre finché non fu esausto, con Rick che gli piangeva su una spalla. 


*******************
Angolo autrice
Eccomi tornata con un nuovo capitolo. Volevo metterlo domani, ma ho deciso di metterlo adesso. Fa un po' schifo, a dire la verità, ma ho fatto del mio meglio.
Se i lettori si chiedono ancora la fine della bimba del prologo, vi dico solo: abbiate pazienza, abbiate pazienza...
HeartSoul97

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Capitolo 4
*** Capitolo Terzo ***


                                                                                                                              Capitolo Terzo


Lasciamo Rick al suo dolore e concentriamo la nostra attenzione a quanto avviene nella parte meridionale di Ennea, nei dintorni del palazzo reale…

La ragazza si svegliò all’improvviso. Sapeva di essere sveglia, pur avendo gli occhi chiusi, perché avvertiva uno strano pavimento duro sotto di lei, e avvertiva un odore penetrante nell’aria. Si sentì prendere dal panico: com’era finita lì? Non ricordava assolutamente di essersi mossa da casa.
*FLASHBACK*
Era a casa sua, e stava consumando una cena frugale a base di formaggio e pane secco. D’un tratto sentì una strana sonnolenza intorpidirle le membra, e si accasciò al suolo, mentre tutto diventava nero.
*FINE FLASHBACK*
Le pareva tutto troppo strano. Prima il buio, poi il pavimento duro che era certa che non fosse quello di casa sua e quell’odore intenso. Non riusciva a capire. Ma era così bello starsene sdraiati lì senza fare niente…poi un dolore indicibile le attraversò il corpo da capo a piedi, e spalancò gli occhi, sorpresa.
Dinanzi a sé vide solo il cielo notturno trapunto di stelle. La sua casa aveva il tetto, come faceva a vedere il cielo?
Evidentemente non sono a casa mia, pensò. Che abbia usato l’incantesimo del trasporto mentre dormivo? Ma non è possibile. Era confusa, spaventata. Com’era finita lì?
Cominciò a respirare affannosamente, poi si impose di stare calma e riflettere. Decise di guardarsi intorno. Si girò verso destra, e a stento trattenne un grido di orrore. Era terrorizzata. Perché adesso sapeva cos’era quello strano odore che impregnava l’aria.
Sangue. Dappertutto. E lei ne era in mezzo. Lo sentiva bagnarle le dita, macchiarle i vestiti. Richiuse gli occhi. Non voleva vedere, non uno spettacolo del genere. Si alzò, sempre ad occhi chiusi, e il dolore tornò di nuovo, più forte di prima. Interrogò il proprio corpo, per capire cos’era quel dolore, e per farlo riaprì gli occhi, cercando di ignorare lo spettacolo che aveva davanti.
Adesso capiva. Era ricoperta da centinaia di piccole ferite, che stillavano minuscole gocce di sangue. Allora il sangue che ricopriva il lastricato sotto di lei era tutto suo?
Non è possibile che sia tutto mio, altrimenti sarei già morta dissanguata.Allora di chi era quel sangue?
Fece qualche passo, e scoprì di essere scalza. Si sentiva debole, non sarebbe riuscita nemmeno a fare un piccolo incantesimo di guarigione. Perciò decise di seguire il sangue, perché forse avrebbe trovato qualcuno che l’avrebbe aiutata.
Non fu una scelta saggia, perché quando seguì il sangue, venne scossa da mille singulti. Migliaia di cadaveri giacevano lì, trafitti da lance, pugnali, spade, armi qualsiasi.
Si rannicchiò a terra, le lacrime bollenti che le solcavano le guance. In qualche modo, si sentiva in colpa, perché era l’unica viva in mezzo a tutti quei morti.
Che cosa ho fatto? Si chiese. Ma io non ho fatto niente, ero a casa mia, non so nemmeno dove mi trovo! Ho paura! E se fossi morta? Se questo fosse l’inferno, se io fossi un fantasma?
Con tutte queste domande che le riempivano la testa, la ragazza si addormentò.
Fece degli incubi terribili, popolati solo da morte e distruzione, le urla di una battaglia le riempivano le orecchie, mentre una voce misteriosa non faceva che ripetere: Il prezzo è stato pagato, la sofferenza è stata inflitta…
 
Si svegliò all’alba. L’alba le era sempre piaciuta, e in qualche modo la visione del cielo che si schiariva le riscaldò il cuore.
Non poteva rimanere lì. Decise innanzitutto di cercare dei vestiti puliti, perché i suoi erano sporchissimi. Camminò un po’, e trovò una casa. Anche lì c’era sangue dappertutto, insieme ai cadaveri massacrati di chi ci abitava. La ragazza tenne a bada la nausea, ma non poté fare a meno di vedere i corpi. Una bambina e i suoi genitori. Una bambina che non avrebbe mai più visto la luce del sole, che non avrebbe potuto realizzare i suoi sogni, una bambina che non avrebbe provato più né felicità né dolore. Si sciolse in un pianto silenzioso. Ma sentiva di dover fuggire. Rovistò in una cassapanca che era nella casa, e trovò un paio di pantaloni e un corpetto. Meglio di niente, si disse. Si cambiò, poi prese i suoi vecchi vestiti per gettarli in mezzo all’erba. Ormai, dopo aver visto quell’orrore, non era più la persona di prima. Ma prima voleva dare un piccolo saluto alla sua vecchia vita. Iniziò ad accarezzare il tessuto, ad occhi chiusi. Poi trovò una tasca e infilò dentro una mano, certa di non trovarci nulla. Invece le sue dita incontrarono il foglio ruvido di una pergamena. Aprì gli occhi, incerta sul da farsi. Cosa doveva fare? Prendere la pergamena, o fare finta di niente?
La curiosità ebbe la meglio. La ragazza sfilò delicatamente la pergamena dalla tasca, per paura che potesse rompersi. Poi la guardò bene. Era una lettera da parte di sua madre, ed era indirizzata a lei.
Più la leggeva, più le si gelava il sangue nelle vene, gli occhi sbarrati dal terrore.

Figlia mia,
quando leggerai questa lettera probabilmente io mi sarò ricongiunta a tuo padre da un bel po’. Ti devo raccontare una lunga storia, che non ti piacerà affatto.
Essendo una maga, conosci perfettamente le storie che riguardano gli dèi. Ma ci sono delle dee che non conosci, e purtroppo io sì.
Sono le sette Dee del Peccato. Asth, la Dea della Lussuria; Tysh, la Dea della Gola; Eris, la Dea dell’Invidia; Bresth, la Dea dell’Ira; Ralya, la Dea dell’Accidia; Prim, la Dea della Superbia; e infine Shyn, la Dea dell’Avarizia. Si occupavano dei peccati degli uomini, e decidevano la loro via dopo la morte. Erano sette perché esso è il numero dell’imperfezione umana. Un tempo erano guidate da una grande dea, loro sorella maggiore, il cui nome è oggi dimenticato. Ma la dea rimase corrotta dai peccati degli uomini, e così fu cacciata dal cielo, divenendo Lilith, la Dea della Vendetta. Gli altri dei decisero allora di creare una nuova dea, che annullasse i grandi poteri di Lilith. Così crearono Justitia, la Dea della Giustizia, che eguaglia Lilith e mantiene la pace nel nostro mondo e in quello celeste. Sono due facce della stessa medaglia, perché il confine tra Vendetta e Giustizia è sottilissimo, ed è ancora più facile superarlo.
Ma cosa c’entra questa storia con te? Quando tu eri appena nata, tuo padre fu ucciso dal re, perché accusato di tradimento. Da allora nutro un grande rancore verso il re, e quando tornai in forze dopo la morte di Sam, decisi di consacrarti a Lilith. Volevo vendetta, e volevo che fosse compiuta attraverso te, perché io ero già troppo vecchia. Lilith accolse la mia richiesta, e da allora alberga in te, pronta a emergere, ad agire attraverso il tuo corpo.
Adesso mi pento di averti dato questo triste destino, perché porterai con te morte e distruzione, per sempre.
Mi dispiace di non avertelo detto di persona, ma pensavo che mi avresti odiata, e non avrei mai ottenuto il tuo perdono.
Addio, figlia mia. Spero davvero che un giorno tu possa tornare indietro, e perdonarmi. E soprattutto, perdonare te stessa.
 
La ragazza guardò la lettera. Era paralizzata dal terrore, non voleva credere a quelle parole.
Si rannicchiò con le ginocchia strette al petto, le lacrime le uscivano da sole. E una nuova consapevolezza le passò nella mente.
Sono stata io, a fare questo scempio. Sono stata io, a uccidere tutte quelle persone. Ecco perché sono rimasta in vita.
D’improvviso, ebbe paura di se stessa.

 

***********
Angolo autrice
Rick: Ehi, autrice da strapazzo! Che significa “lasciamo Rick al suo dolore”? Significa che nel frattempo io sto impazzendo dalla disperazione?!
Ragazza misteriosa: Autrice! Perché non ho un nome?? E perché proprio la Dea della Vendetta???
Autrice: Rick, la risposta è sì, sei disperato. E comunque dovresti essere contento, ti ho lasciato un po’ d’intimità. Ragazza cara, hai un nome ma verrà svelato a tempo debito. E ho preferito la Dea della Vendetta perché sennò la storia non era interessante!
Ragazza: Cattiva! ç_ç
Autrice: Dovreste ringraziarmi, invece, perché senza di me non avreste preso vita.
Rick e Ragazza: Ma sta’ zitta, autrice da strapazzo!
Autrice: Ikaros, sbarazzati di loro.

Ikaros: Sì.
*rumore di un’esplosione*
Bando alle ciance, adesso. Questo capitolo è stato davvero una gran fatica, spero che lo apprezziate.
Ringraziamenti: un ringraziamento davvero molto speciale va a Naitmers, perché ha recensito tutta la storia. E un altro ringraziamento va a tutti voi che leggete e basta, perché mi date la forza di andare avanti.
Alla prossima!
Heart

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Capitolo 5
*** Capitolo Quarto ***


                                                                                     Capitolo Quarto

Orin corse nel bosco, instancabile, e ben presto i cavalieri misteriosi ritornarono sui propri passi, convinti che il ragazzo sarebbe morto di stenti.
Rick aprì gli occhi. Aveva dormito parecchio, cullato dal dondolio del cavallo in corsa. I suoi occhi erano gonfi e rossi di pianto.
Quando il cavallo si fermò in una piccola radura, Rick scese automaticamente, la mente fissa su quel momento in cui aveva visto suo padre accasciarsi al suolo.
Non sono stato in grado di proteggerli.Se fossi stato più veloce, li avrei salvati.
Ma decise di rispettare l’ultimo desiderio di suo padre, quello urlato prima che il coltello lo colpisse. Si sarebbe salvato.
Cominciò a cercare qualche cosa da mettere sotto i denti, ma trovò solo alcune radici e delle bacche. Se le fece bastare.
Il mattino dopo si rimise in cammino, alla ricerca di un corso d’acqua. Anzi, di quell’unico corso d’acqua  che tagliava a metà il bosco, e poi si tuffava nel Mare Orientale.
Rick non riusciva a perdonarsi. Si limitava a sopravvivere. Mangiava quando aveva fame, dormiva quando aveva sonno, gli occhi sempre pieni di lacrime.
Poi, dopo svariati giorni trascorsi in quel modo, sentì qualcosa pulsargli nel petto. La sua muta disperazione non stava svanendo, ma stava cambiando. Sentì la collera invadergli il cuore, un’ira cieca rimbombargli nelle orecchie, mentre una sola parola riempiva la sua mente: Vendetta.
Cercare i ribelli e ucciderli, magari usando gli stessi coltelli che avevano stravolto la sua vita. Perché lo sapeva, la sua vita era cambiata. Per sempre.
Sentiva il bisogno di sfogarsi. Prese il suo pugnale, e infierì sugli alberi di quel bosco, spezzando i rami più bassi, recidendo la corteccia, mentre la resina sgorgava come sangue. Ogni colpo era accompagnato da un urlo.
Si fermò soltanto quando una stanchezza mortale gli pervase le membra. Si sdraiò sull’erba, mentre lacrime di rabbia e dolore gli rigavano il volto. Sopra di lui, le stelle brillavano, spietate e bellissime.
 
Il ragazzo si svegliò solo quando il sole era già alto. Un dolore lancinante gli attraversò tutto il corpo, mozzandogli il fiato. Si alzò. Non era ferito. Perché quel dolore?
Sei ferito nello spirito, rispose una voce nella sua testa. Perché sai che lo scempio che hai fatto ieri in questa foresta non era il giusto modo di agire, aggiunse la voce.
«Chi sei?»chiese Rick.
Sono parte di te.
Il ragazzo era confuso. Cosa significavano quelle parole?
La vendetta non è il solo modo di agire.
«Come sai che voglio vendetta?»chiese.
Io so molte cose, Rick.
«E allora quali sarebbero gli altri modi di agire, eh?»disse con fare canzonatorio.
Ragionare, per esempio. Pensare a rimediare, ma senza la vendetta.
«I morti non possono tornare in vita»
E chi ha parlato di tornare in vita?
«Allora dimmelo tu, cosa devo fare!» sbottò, irritato.
No, non te lo dirò. Dovrai capirlo da solo.
L’urlo di frustrazione di Rick squarciò l’aria pulita del mattino. 
Qualche giorno dopo, il ragazzo rimuginava su ciò che aveva detto la voce, mentre Orin procedeva al passo. Poi accadde qualcosa. Il cavallo si fermò e piegò indietro le orecchie, inquieto. Rumore di passi, fruscii di foglie.
Rick scese da cavallo e incoccò una freccia. Se c’era un pericolo, non l’avrebbe trovato impreparato.
I passi si fecero più vicini. Il ragazzo tese l’arco.
Poi i cespugli davanti a lui si aprirono, e una voce gridò: «Chi sei?»
 

 
**********
Angolo autrice
Rick: Be’? Che diavolo è successo, autrice?
Autrice: Non fare domande, idiota.
Rick: Io sarei un idiota?
Autrice: Già.
Rick: Ha parlato la tonta.

Autrice: Stai zitto, idiota.
Rick: Ma si può sapere che hai?
Autrice: Ho che questo capitolo è una schifezza, ma devo pubblicarlo.
Rick: Guarda che l’hai scritto tu.
Autrice: Lo so, non infierire.
Rick: Ma…
Autrice:  Ikaros, fallo fuori.
Ikaros: Sì.
*rumore di spari*
Fine del siparietto comico. Come ho già detto, questo capitolo è una schifezza. Anzi, un orrore. No, peggio. Comunque prometto che il prossimo sarà migliore. Sarà che il numero 4 lo detesto…
Ringrazio sinceramente tutti quelli che avranno il fegato di leggere tale schifezza.
HeartSoul97

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Capitolo 6
*** Capitolo Quinto ***


                                                        Capitolo Quinto

Aveva camminato per giorni, cercando di mettere quanta più distanza tra sé e quel luogo maledetto, le narici ancora pregne dell’odore del sangue.
Si fermava pochissimo per dormire, e i suoi sonni erano disturbati dalle immagini dei cadaveri, mentre l’orrore misto a un oscuro piacere le invadevano il petto.
Ma ciò di cui non riusciva a capacitarsi era il motivo per cui sua madre l’aveva consacrata a Lilith.
Davvero può esistere una simile disperazione, una così forte amarezza verso il mondo?
Domande a cui la ragazza aveva invano cercato risposta.
Una sera dopo svariati giorni di marcia, e dopo aver avuto l’ennesimo incubo sui cadaveri di cui lei stessa aveva fatto scempio, cercò di usare le sue capacità di maga per interrogare il suo spirito e trovare Lilith dentro di lei.
Sperò davvero che la dea fosse andata altrove, ma purtroppo non era così. Dopo aver concentrato la sua magia verso il suo spirito, aveva sentito una risata agghiacciante rimbombarle nelle orecchie, mentre il mondo si tingeva del colore del sangue.
Urlò con tutto il fiato che aveva in gola, mentre perdeva conoscenza.
Il primo respiro fu meraviglioso e dolorosissimo al tempo stesso. Aprì gli occhi. Si trovava nello stesso posto dove si trovava l’ultima volta, in quella radura sperduta in un bosco. La ragazza si alzò e si mise in marcia, cercando di dimenticare quella creatura che, ormai lo sapeva, albergava dentro di lei, nei più profondi meandri del suo spirito, pronta a emergere improvvisamente, senza controllo.
Dopo aver marciato per un paio di giorni, si trovò al limitare del bosco, dove si estendeva una grande piana. In fondo, si distingueva il profilo di qualcosa che sembrava un villaggio. Avrebbe voluto urlare di felicità. Finalmente, sarebbe riuscita a trovare qualcuno che l’avrebbe aiutata.
Valutò che per arrivare a quel villaggio ci avrebbe messo almeno tre giorni di cammino. Raccolse nel bosco un po’ di provviste, sicura che al villaggio avrebbe trovato del cibo.
Cominciò a marciare per la piana. Era solo sterpaglia gialla che si piegava al vento, ma la inquietava, poiché non c’erano luoghi in cui nascondersi per dormire.
Come previsto, in tre giorni di cammino fu in vista del villaggio. Aveva appena finito le provviste. C’era una strana atmosfera. Troppo silenzio.
Si avvicinò, e soffocò un gemito. Le porte del villaggio erano completamente sfondate.
Decise comunque di entrare. Ovunque trovò porte sfondate, cadaveri. Soffocò a forza la nausea, e proprio al centro del villaggio li trovò. Impiccati. Un bambino che poteva avere sì e no cinque anni, impiccato vicino a quella che poteva essere la sua famiglia. Gli altri volti erano irriconoscibili, e l’odore della putrefazione appesantiva l’aria.
La ragazza entrò in una casa, ignorando i cadaveri che si trovavano lì.  Frugò in una dispensa e trovò quello che cercava: un po’ di frutta, del pane secco e un pezzo di formaggio mezzo ammuffito. Li mise in un tascapane che aveva trovato lì vicino. Poi trovò un pugnale e se lo allacciò alla cintura. Si fasciò mani e piedi con delle bende, poi uscì dalla casa. Tornata nella piazza del villaggio, si costrinse a vedere quel macabro spettacolo.
Guarda bene. Tutto questo è colpa tua. Dovresti dare mille volte la tua stessa vita per riscattare la loro. Perché tu sei un mostro, e loro erano innocenti.
Le lacrime scesero bollenti lungo le guance.
Poi uscì dal villaggio e corse via, verso il bosco, cercando di scappare dalla consapevolezza.
Arrivata nel bosco cominciò a correre ancora più veloce, incespicando sulle radici sporgenti di quegli alberi centenari. Poi cadde.
Non ce la faccio, non ce la faccio più. Perché, perché io??
Non si rialzò, sfinita. Pregò che la fine arrivasse presto, che un respiro potesse essere l’ultimo. E invece il mostro dentro di lei si ribellò, prepotente, attaccato alla vita come un’ancora di salvezza.
La ragazza si addormentò.
Si svegliò al tramonto. I muscoli le dolevano da impazzire a causa di quella folle corsa nel bosco, i suoi abiti erano pieni di foglie e rametti che le si erano attaccati addosso quando era caduta. Si mise in marcia per l’ennesima volta. Voleva uscire da Ennea, voleva annullarsi nell’immenso deserto che era il mondo dopo Ennea. Voleva morire. Ma doveva trovare qualcuno che la uccidesse: a quanto aveva capito, Lilith la teneva in vita anche quando era a un passo dalla morte.
Si inoltrò nel bosco, incurante del rumore che producevano i rami spezzati con i suoi piedi, delle foglie che frusciavano dal terreno.
Poi sentì qualcosa. Un rumore diverso. Zoccoli di un cavallo al passo. Molto vicino.
Si appiattì contro un cespuglio, mentre il rumore di una freccia estratta dalla faretra rompeva il silenzio del bosco.
Un’idea le balenò nella mente. Magari, se fosse uscita allo scoperto, l’avrebbero uccisa. E con la sua morte avrebbe riscattato le vite degli altri.
Così si fece forza, uscì dai cespugli e gridò con tutto il fiato che aveva in gola: «Chi sei?»
 
Il ragazzo guardò la persona che era uscita dai cespugli. Lunghi capelli rossi pieni di foglie e rametti, un pugnale fissato alla cintura, i piedi e le mani fasciati da bende. E due occhi bellissimi, di un azzurro puro come il punto in cui cielo e mare si toccano. Rick abbassò l’arco. Una ragazzina.
«Chi sei?» ripeté quella, con gli occhi sbarrati.
«Il mio nome è Rick». Poi tese la mano, come per presentarsi.
Ma la ragazza ebbe un sussulto e scappò via, nel folto del bosco.
Il ragazzo non perse tempo e montò a cavallo, inseguendola. Lui era a cavallo, ma lei era a piedi, e Rick la raggiunse piuttosto in fretta. Le bloccò la strada, poi scese da cavallo.
«Chi sei?» una domanda semplice, a cui la ragazza però non sembrava saper rispondere.
«Io…non lo so più» disse, e scoppiò in un pianto disperato, accasciandosi a terra.
 

 
***************
Angolo autrice


Rick: Be’? Mo’ chi è questa?
Autrice: Lo saprai nel prossimo capitolo.
Ragazza: E il mio nome???
Autrice: Non rompere.
Ragazza: Ma non so nemmeno come mi chiamo! Sembro sempre più tonta di capitolo in capitolo! Ma dove si è visto??
Autrice: Così ho deciso.
Rick e Ragazza: Ma…
Autrice: Ikaros, sai quello che devi fare.
Ikaros: Sì.
*Boom*

Okay, scusatemi tanto per il ritardo mostruoso ma non ho avuto il tempo di aggiornare ^^” . Questo capitolo credo sia migliore del precedente, fatemi sapere cosa ne pensate :D
Grazie a tutti quelli che leggeranno o recensiranno o seguiranno questa storia.
HeartSoul97

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Capitolo 7
*** Capitolo Sesto ***


                                                                         Capitolo Sesto

«Mi chiamo Yvaine, ho sedici anni. Vengo dal villaggio di Racha, a est». La ragazza prese fiato. Si chiese se dovesse fidarsi di quel ragazzo, ma preferì mentire: non poteva raccontargli di Lilith.
«Il mio villaggio è stato distrutto, e io sono scappata, ma mi hanno rubato il cavallo, e non ho la più pallida idea di dove mi trovo»continuò.
«Siamo nella foresta che circonda i Monti Loar, a nord»disse Rick. Yvaine sgranò gli occhi. Da quel che sapeva, il luogo in cui si era risvegliata la prima volta era a sud: davvero aveva percorso così tanta strada?
«Piuttosto, prima, perché sei scappata appena mi sono avvicinato?»
Yvaine tremò. In quel momento Lilith dentro di lei aveva urlato, voleva andarsene il prima possibile, e la ragazza aveva provato una paura atavica solo vedendo quel giovane.
«Avevo paura, tutto qui»mentì nuovamente.
«E perché hai detto di non sapere più chi sei?»chiese Rick.
La ragazza si morse le labbra, e raccontò una verità mista a bugia.
«Perché non ho più un’identità. Il mio villaggio è stato distrutto, la mia casa bruciata, e correndo per questa foresta mi sono, per così dire, annullata».
Rick la guardò, e capì che quella ragazza era come lui. Persi in quel mondo allo sfacelo, dove il tempo sembrava essersi fermato, che li costringeva ad assistere alla distruzione della propria vita e della propria identità.
«Ma io sono certa che, se anche io ormai sono perduta, tu no. Finché sai cosa fare la strada è sempre tracciata, sebbene impervia; se non lo sai, la strada devi costruirtela da solo, e devi farcela con le tue forze».
Yvaine lo guardava con una tale intensità che il ragazzo dovette abbassare lo sguardo.
Rick sorrise, un sorriso amaro.
«E invece ti sbagli, perché io non ho la più pallida idea di cosa devo fare. La mia casa è stata messa a fuoco, la mia famiglia uccisa sotto i miei occhi, e non so cosa sia successo al mio villaggio o ai miei amici. Mi sono annullato anch’io nella foresta, ho perso coscienza di me stesso, pensando soltanto alla scena in cui ho visto un coltello nel cuore di mio padre».
Aveva parlato con foga, confidandosi con una sconosciuta, ma non si pentiva di questo. Ne sentiva un bisogno disperato, il bisogno che si ha di parlare con qualcuno quando si è soli troppo a lungo.
Yvaine lo ascoltò rapita, mentre un senso di colpa batteva sordo nel suo cuore.
Non sei stata tu a rovinargli la vita, mormorò suadente una voce all’orecchio.
Ma è come se fosse colpa mia. Come al palazzo, come al villaggio in cui mi sono fermata: indirettamente, è colpa mia, si disse la ragazza.
«Hai una meta precisa?»chiese Rick per cambiare discorso.
«No»
«Allora potremmo viaggiare insieme, ti va?».
Non aveva neppure pensato a quelle parole, le aveva dette e basta. Perché sentiva una strana comunanza con quella ragazza. Erano entrambi soli in quel mondo impazzito, e forse l’unica cosa da fare per sopravvivere era aggrapparsi l’uno all’altra, per ricostruirsi la propria identità, per smettere di annullarsi, per continuare a vivere.
Yvaine lo guardò stupita per un attimo; poi, ignorando l’urlo di Lilith dentro di lei, annuì.
 
Decisero di fermarsi in una radura nel bosco, cercandone una abbastanza grande per loro due. Per trovarla Rick salì in groppa a Orin e poi tese la mano a Yvaine per aiutarla a salire. La ragazza scosse la testa e indietreggiò. Pur essendo un semplice cavallo, la spaventava a morte.
Smettila di fare la stupida, si disse, ma non riusciva nemmeno ad avvicinarcisi. Allora il ragazzo scese dal dorso dell’animale e le disse:
«Sta’ tranquilla, è buonissimo, non ti fa’ niente»poi le prese la mano e la tirò delicatamente verso Orin, che si fece accarezzare senza problemi.
Rick salì di nuovo in sella e tese nuovamente la mano alla ragazza che, titubante, la prese e salì sull’animale.
«Pronta? Reggiti bene, mi raccomando!»
Yvaine cinse con le braccia i fianchi del ragazzo e strinse forte forte gli occhi. Poi sentì solo il vento fra i capelli, e gli zoccoli del cavallo che battevano sul terreno.
                                                                                     ***
Rick sentì che Yvaine gli cingeva i fianchi con le braccia, e arrossì un po’, sentendo la sua testa contro la schiena. Chissà se ha paura, chissà se sente anche lei qualcosa che ci accomuna. Interrogativi che dubitava avrebbero trovato risposta….
 
Si fermarono in una radura piuttosto grande, circondata da alberi da frutto che la racchiudevano in un abbraccio quasi materno.
Rick scese da cavallo e scosse delicatamente la ragazza che, chissà come, si era addormentata. Yvaine aprì gli occhi e se lì stropicciò con entrambe le mani. Sembra proprio una bambina, eppure abbiamo la stessa età, si disse il ragazzo.
Decisero di dividersi i compiti: Rick sarebbe andato a cercare qualcosa per accendere un fuocherello, mentre Yvaine avrebbe cercato qualcosa per approntare dei giacigli e raccolto qualcuno di quei succosi frutti rossi che pendevano dagli alberi lì intorno.
Si ritrovarono che era già sera. Il ragazzo aveva trovato alcuni ramoscelli che facevano proprio al caso suo, ai quali aveva appiccato fuoco con un acciarino che si era ritrovato in tasca.
Mangiarono di gusto quei frutti rossi, dolcissimi e sazianti. La ragazza tirò fuori le provviste che aveva nel suo tascapane e le divise con Rick. Yvaine era affamata di novità: non sapeva niente da quando si era messa a peregrinare nel bosco, ma scoprì che il ragazzo ne sapeva quanto lei, se non meno. Unica cosa, sapeva che Ennea era ormai in preda all’anarchia.
«Sapevo che il re avesse un figlio, Terio, ma dicono che non possa, o che non voglia, prendere il potere»disse Rick.
Che strano, pensò la ragazza,pensavo che gli uomini bramassero solo il potere.
Continuarono a chiacchierare anche dopo aver finito di mangiare, finché una sottile falce di luna non fu alta nel cielo, e il ragazzo disse ad Yvaine dei suoi genitori, di quanto gli voleva bene, della loro morte, del suo desiderio di vendicarli.
Alla parola “vendetta” la ragazza tremò, e istintivamente pensò a sua madre e a Lilith. Rick dovette intuire che qualcosa non andava, perché Yvaine era diventata pallida, e sudava.
«Cosa c’è?»chiese.
«Niente, non è nul…»non riuscì a finire di parlare che un dolore indicibile le attraversò il corpo da capo a piedi, mentre gli occhi si velavano e tutto diventava nero.
                                                                               ***
Rick vide la ragazza rotolare su un fianco, pallida. Stava male, e solo allora il ragazzo si accorse delle ferite che le ricoprivano le braccia, il collo, le gambe. Tante, troppe, era incredibile che fosse rimasta cosciente fino a quel momento. Corse da lei, le mise due dita sulla giugulare, per accertarsi che fosse ancora viva. Il battito era debolissimo, e lei emetteva dei rantoli irregolari, forzati.
Il ragazzo si impose la lucidità. Innanzitutto doveva curarla, perciò la mise supina. Non sapendo praticare la magia, si sarebbe affidato all’erboristeria. Richiamò alla mente un passato lontano, quando i suoi genitori si davano da fare il doppio per farlo studiare, e la sua materia preferita era proprio Erboristeria. Si imparavano i nomi delle piante e i loro usi, quali fossero letali e quali potevano salvare una vita. Nozioni che non gli erano mai servite finora, ma che adesso decidevano per la vita o per la morte di quella ragazza che, sebbene per lui fosse poco più che una conoscente, gli stava a cuore, perché era come lui.
Cercò delle piante per fare un impacco curativo, ma non le trovò tutte. Masticò alcune erbe e sminuzzò alla meno peggio altre erbe con il pugnale, per poi unirle e passarle sulle braccia e sul collo della ragazza. Sperò che bastasse.
Fece la stessa cosa sulle caviglie della giovane, segnate da minuscoli taglietti. Scoprì che erano infetti, ma non ci diede molto peso: le erbe che aveva usato avrebbero anche curato l’infezione.
Ringraziò a mente il suo maestro di Erboristeria.
Poi però si accorse che i vestiti di Yvaine erano sporchi di sangue: probabilmente era ferita anche sulle gambe e sulla pancia. Arrossì. No, questo non poteva farlo, si sarebbe arrabbiata. Dopotutto, per lei lui era un perfetto sconosciuto. Però…non migliorava. Le erbe facevano poco effetto, segno che o le piante che aveva usato erano poche, o le ferite erano troppe. Si decise. Le tirò su i pantaloni fino al ginocchio, e imprecò. I polpacci erano completamente ricoperti e rossi di sangue. Prese le erbe e fece lo stesso lavoro che aveva compiuto poco prima, spalmandole l’impacco sui polpacci. Poi arrivò la parte difficile. Le tirò delicatamente su il corpetto fin sotto il seno, in modo da lasciare scoperta la pancia: anche lì era piena di ferite ed erano infette. Prima di agire la guardò in faccia. Sembrava che dormisse, la fronte era distesa, gli occhi chiusi.
Si riscosse. Prese le erbe e fece il solito lavoro in fretta e furia, cercando di guardarla il meno possibile, sebbene gli risultasse difficile. Poi strappò dei pezzi di tessuto dal suo mantello, e ci fece delle bende che avvolse intorno alla pancia di Yvaine. Mise il corpetto com’era prima e la prese in braccio, per portarla sul giaciglio che lei stessa aveva preparato.
Com’è leggera, pensò.
Dopo averla depositata lì, si buttò sfinito sul suo giaciglio. Neanche un minuto, ed era già nel mondo dei sogni.
                                                                                      ***
Quando tutto era diventato nero, Yvaine aveva sentito le forze abbandonarla. Sperò sinceramente di morire, ma ovviamente Lilith la tenne in vita. Il suo urlo le riempì le orecchie, e il nero si tinse di colori sgargianti, innaturali. Davanti a lei si definì una figura. Era una donna giovane, sebbene non proprio una ragazza. Il suo bel volto aveva un’espressione severa ma giusta. I lunghi capelli neri le incorniciavano il viso, mentre i suoi occhi verdi scrutavano l’interlocutore che aveva davanti.
Non avresti dovuto metterti in mezzo!Urlò furiosa una voce sibilante, oscena, che Yvaine scoprì essere sua.
La donna che aveva davanti sorrise amara.
«Veramente sei tu che ti sei intromessa in affari che non ti riguardavano. Perché non te ne sei rimasta nella tua tana sotterranea, insieme ai tuoi viscidi servi?» chiese.
«Perché mi annoiavo, è ovvio»rispose la voce di Yvaine, con una risatina agghiacciante.
La donna batté sul terreno la lunga lancia che teneva in mano, e tutto fu avvolto da una luce dorata.
«Che tu sia maledetta, Justitia!»urlò la voce. Queste furono le ultime parole che Yvaine udì.
Quando la luce dorata si dissolse, Yvaine si trovava in un prato, un prato verde costellato di fiori di tutti i colori e dimensioni. La ragazza corse nel prato fino allo sfinimento, finché non cadde a terra, il cuore che pulsava violento nel petto. Chiuse gli occhi. Sentì delle mani fresche che le accarezzavano le braccia e le gambe brucianti. Che bello.
                                                                                     ***
Quando Rick si svegliò, il sole era alto, il fuoco spento e Yvaine dormiva tranquilla, con un lieve sorriso sulle labbra. Il ragazzo sorrise. A quanto pareva, la fatica di ieri aveva dato i suoi frutti. Guardò il volto addormentato della ragazza, e pensò che stava sognando qualcosa di davvero bello. Lui, invece, aveva sognato mostri orribili, che assumevano prima le sembianze dei suoi genitori, poi quelle di Yvaine. Insomma, aveva dormito male.
Si alzò e si stiracchiò, poi si avvicinò alla sua compagna di viaggio per verificare le sue condizioni. Sembrava stare meglio, le ferite si erano chiuse e alcune si erano già cicatrizzate. Rick si illuminò. Allora il suo lavoro non era stato inutile. Le erbe, seppur poche, avevano funzionato. Decise di raccoglierne un po’ e le mise nel tascapane. Poi prese il pugnale e caricò dei colpi verso il vuoto, per allenarsi: in caso di necessità, avrebbe saputo difendersi.
Yvaine aprì gli occhi. Era nella radura, nella radura insieme a Rick. Girò un po’ la testa, e lo vide. Caricava dei colpi verso il vuoto con il suo pugnale. La ragazza distolse lo sguardo e si alzò. Stava meglio del giorno precedente, e si accorse che le sue ferite erano state curate. Volse uno sguardo pieno di gratitudine a Rick. Proprio in quel momento il ragazzo si girò e vedendo che Yvaine era sveglia, corse verso di lei.
«Come ti senti?»le chiese.
«Ehm…bene».
«Purtroppo ho potuto curare solo una parte delle tue ferite, mi dispiace, ma credo che quelle sul petto e sulle cosce devi curartele da sola»snocciolò.  Si era preparato quella frase per un bel po’, e mentre la diceva sentiva le guance incandescenti. Lei arrossì a sua volta e tra loro scese una cortina d’imbarazzo più spessa di un muro.
«Perché?»chiese lei d’un tratto.
«Come?» chiese a sua volta Rick.
«Perché hai fatto tutto questo…per una sconosciuta?».
Il ragazzo ponderò la risposta da darle. Infine disse:
«Io…non lo so. Perché non c’erano motivi per cui non avrei dovuto farlo».
Yvaine spalancò gli occhi, stupita. Nessuno si era mai preso così tanta cura di lei. Poi si riscosse. Doveva curarsi, e avrebbe usato la magia.
«Ehm….ti spiacerebbe girarti un attimo? Devo curare le altre ferite».
Rick annuì, poi si girò.
Lei si girò a sua volta e, esitante, si tolse il corpetto, e vide le bende che le cingevano il ventre. Allora non le aveva mentito, davvero non si era spinto più in là. Mise le mani davanti a sé, ed esse si avvolsero di una luce rosata, calda e rassicurante. Appoggiò le mani sulle ferite, e pian piano quelle rimpicciolivano e cicatrizzavano. Dopo aver finito, rimise il corpetto e disse a Rick che doveva rimanere girato un altro po’.
Tolse anche i pantaloni e contemplò le ferite sulle cosce: per fortuna non erano molte, e ci mise poco a curarle, poi si rivestì.
Nel frattempo, Rick era rimasto girato a contemplare Orin che brucava placido l’erba della radura. Però poteva avere delle ferite sulla schiena, da sola non sarebbe riuscita a curarsele, si disse. I suoi timori furono confermati: era piena di taglietti rossi. Comunque decise di non fare nulla, per il momento, quindi si rigirò.
Dopo un po’ sentì i passi lievi di Yvaine che venivano verso di lui, e allora si girò. Era imbarazzata.
«Ehm….ho delle ferite sulla schiena…so che non dovrei chiederti nulla dopo quello che hai fatto per me, ma…potresti curarmele?».
Il ragazzo annuì, poi disse: «Però dovresti…ecco…toglierti il corpetto, altrimenti non posso curarti».
La ragazza annuì a sua volta, mentre Rick prendeva le erbe necessarie a fare l’impacco.
Si tolse il corpetto e, con le braccia strette al petto, si sedette. Rick arrivò con l’impacco e si sedette dietro a lei, mentre con una mano spalmava la cura sulla schiena della ragazza.
Yvaine si rilassò un poco. Perché la mani fresche che aveva sentito in sogno erano le sue, mani che curavano, mani che accudivano una sconosciuta. Poi le mani si staccarono, e la ragazza si rivestì di fretta, mentre Rick si girava e metteva a posto le erbe.
«Grazie» mormorò lei.
Il ragazzo sorrise.
                                                                                         ***
Erano passati circa cinque giorni da quando Yvaine si era ripresa, ed erano diventati amici. La routine era sempre la stessa, e ciò cominciava a stufare entrambi. Avevano bisogno di muoversi, di mettere in moto il corpo. Così una mattina Rick si decise. Preparò il cavallo, raccolse le provviste e disse alla ragazza:
«Partiamo. Devo andare a Kroal, il mio villaggio».
Yvaine annuì e si misero in marcia.

 
 
***************
Angolo autrice:
Rick: Autrice, ma sei impazzita?????
Yvaine: .///. Autrice, ma non ti vergogni????
Autrice: Dovresti ringraziarmi, ragazza! Primo, adesso hai un nome; secondo, eri ferita, dovresti ringraziarmi che ho deciso di farti curare e di non farti morire! E Rick, tu EVITA DI ROMPERE LE SCATOLE!
Rick e Yvaine: nervosetta, eh?
Autrice: Per forza! Voi mi fate saltare i nervi! E soprattutto sono in mostruoso ritardo con la pubblicazione! Quindi state ZITTI e fatemi fare il mio lavoro!
Rick e Yvaine: D-d’ accordo.
Autrice: BENE!
Ok, davvero, scusatemi per le due settimane di ritardo, ma sono tornata da poco. Per farmi perdonare ho scritto un capitolo un po’ più lungo, dai :D spero che vi sia piaciuto, ci ho lavorato per quattro ore D: ho utilizzato la parola impacco ma in realtà è una specie di "pappetta" :3
Grazie ai 78 che hanno letto il prologo, è stata la sorpresa migliore che avreste potuto farmi dopo essere tornata dalle vacanze! E grazie a Naitmers, che, come al solito, recensisce puntualissima ogni capitolo, segnandomi le cose positive e soprattutto quelle negative!
Il prossimo capitolo è già pronto, lo pubblicherò al più presto!
Heart

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Capitolo 8
*** Capitolo Settimo ***


                                                  Capitolo Settimo

Riuscirono ad uscire dal bosco in quattro giorni di galoppo, erano nella parte più interna. Per raggiungere Kroal dovevano tornare sulla strada, in modo da sapere in quale parte di Ennea si trovassero. La fortuna fu dalla loro parte: appena fuori dal bosco, infatti, si trovarono davanti a un cartello di legno con scritto “Villaggio di Kroal: 100 miglia”. Spronando Orin alla massima velocità, facendo brevi soste, ci sarebbero voluti minimo due giorni. Essendo in due su un cavallo, dovevano procedere a velocità ridotta, e le soste erano lunghe. Partirono all’alba del primo giorno fuori dal bosco. La strada aveva parecchi bivi che conducevano altrove, ma ovunque c’era un cartello che permetteva loro di non sbagliare strada.
Però erano inquieti. La strada era deserta. Rick la ricordava piena di vita, quando tornava a Kroal dopo i viaggi che faceva con suo padre per vendere alcuni dei loro prodotti.
Altra cosa che li inquietava, non c’erano posti per dormire. Dovevano mettersi sul ciglio della strada e fare turni di guardia, per non essere colti di sorpresa.
In quattro lunghi giorni arrivarono in vista del villaggio. Yvaine avvertì un terrore sordo, strisciante, che le gelava le membra. Conosceva quella sensazione.
«Magia»sussurrò la ragazza. Rick non capì, perciò chiese: «Cosa?».
«Al villaggio è stata usata una qualche magia di immensa potenza. La sua aura arriva fino a qui, e manca ancora mezzo chilometro». Yvaine aveva confessato al ragazzo di essere una maga solo dopo molte esitazioni, ma ormai aveva in lui una fede cieca.
Avvicinandosi al villaggio, trovarono le porte spalancate. C’era odore di sangue.
No, non di nuovo. Per favore, andiamo via! Non voglio assistere a questo!La ragazza supplicava con gli occhi il suo compagno di viaggio, ma lui sembrava non accorgersi di lei. Corse anzi dentro al villaggio, e li vide: i cadaveri, tutti circondati da una strana luce violacea.
Yvaine riconobbe all’istante la magia: si chiamava Incantesimo del Fermo, e bloccava o rallentava i processi naturali. Avevano usato un incantesimo ai limiti del proibito per tenere i corpi conservati, in modo che non si decomponessero, anche se ciò non impediva a qualche corvo di mangiare qualche cadavere.
Rick era sulla stradina principale, gli occhi sgranati. Sperava che fosse solo un incubo, mentre le prime lacrime gli rigavano le guance. Gente che conosceva, che lo aveva visto crescere, che lo aveva sgridato per qualche marachella o che lo aveva lodato. E i suoi amici? Dov’erano?
Andò verso la casa del suo migliore amico. Si chiamava Liro, aveva i capelli castani e gli occhi nocciola, si conoscevano da quando erano bambini. Lo trovò a casa sua, disteso sul pavimento della sua stanza, con un coltello nel petto. Quell’immagine gli ricordò terribilmente suo padre. I ricordi tornarono, quei ricordi che aveva così disperatamente cercato di cancellare, stavano riaffiorando, prepotenti. Non poteva andare oltre. Ma non poteva lasciare il villaggio prima di vedere lei.
Abitava oltre la piazza, con sua madre. La trovò ancora lì, con le braccia aperte a croce sul pavimento e il collo di porcellana squarciato da una pugnalata. I capelli biondi erano sparsi sul pavimento e gli occhi color cioccolato erano spalancati e vuoti.
«Masia…»mormorò. Aveva una cotta segreta per lei da quando si erano conosciuti, un giorno al mercato. E adesso, vedersela davanti così, senza vita, bloccata da un incantesimo…era troppo. Non ce la poteva fare. Una furia cieca lo invadeva, tanto che sferrò un pugno sul pavimento. No. Doveva calmarsi.
Stai calmo, disse la voce nella sua testa. La rabbia non porta a nulla, se non odio e morte. Ancora quella dannata voce che non lo lasciava in pace, che gli ripeteva le stesse cose che gli diceva sua madre quando, da piccolo, litigava con i suoi compagni di giochi.
Un urlo lo riscosse dai suoi pensieri. Dov’era Yvaine? Perché non era con lui?
«Yvaine!»urlò, e uscì correndo fuori dalla casa, corse verso il centro del villaggio, lì dove l’aveva lasciata. Un tizio le stava addosso, con un pugnale, cercando il suo collo. Lei si difendeva come un leone, cercando di evitare il pugnale e allo stesso tempo di ferirlo, sebbene non avesse avuto alcun addestramento militare, ma la sua disperazione dava forza ai suoi colpi. Rick se ne trovò presto un altro addosso, ma si difese alla meno peggio con il suo pugnale. Ne arrivarono altri due, a dare man forte ai compagni.
Il ragazzo sentì un colpo fortissimo alla nuca, e tutto divenne nero.
Yvaine era in difficoltà. Menava fendenti con il pugnale, ma quel tizio era molto più forte di lei. Con la coda dell’occhio vide Rick a terra, con un sacco di sangue che gli colava dalla nuca. Fu invasa da una rabbia cieca, che urlava il suo nome: Lilith. La ragazza resistette, non cedette a quell’urlo che oramai le riempiva le orecchie, che acuiva e contemporaneamente intorpidiva i suoi sensi. La presa sul pugnale divenne meno precisa, lo sguardo annebbiato, e un colpo al fianco la fece entrare in un nulla pastoso e senza fine.
                                                                               ***
Rick sognava. Era in un prato infinito e verdissimo, ma non era solo. Correva mano nella mano con Yvaine, e ridevano, ridevano, ridevano come non mai. Caddero sfiniti sul mare d’erba, che si piegava docile a ogni alito di vento. Si riposarono, mentre un sole estivo li inondava con i suoi raggi caldi, incandescenti, che li costrinse a chiudere gli occhi. Si rialzarono, e Rick guardò la ragazza. I suoi capelli rossi sembravano ancora più rossi, sanguigni, quasi minacciosi. Delle piccole gocce rosse cadevano dalle punte, mentre due corna spuntavano sul capo della ragazza, lunghe e attortigliate come quelle di un qualche gigantesco animale. A Rick parve che le pupille della ragazza si stavano ingrandendo, ma erano gli occhi che, da azzurri e puliti come il cielo a primavera, stavano diventando degli abissi di tenebra impossibili da risalire. Il suo sorriso dolce si trasformò presto in un ghigno crudele, mentre sguainava il pugnale sporco di sangue, del suo sangue, e il ragazzo si ritrovò ferito ovunque, mentre la voce nella sua testa non faceva che ripetere uno strano nome che iniziava con la lettera L…
Rick urlava e urlava, senza che nessuno potesse sentirlo.
 

 
*********
Angolo autrice
Rick: Grazie mille per farmi fare sogni spaventosi, eh?
Autrice: Non c’è di che, caro.
Rick: Io ero sarcastico!
Autrice e Yvaine: Ma a nessuno importa!
Rick: Cattive! ç_ç
Yvaine: Piuttosto, perché….
Autrice: Shhh! Stai zitta e non fare domande, idiota! Altrimenti che gusto c’è per i lettori? Se non capiscono qualcosa possono sempre chiedermelo e risponderete voi, così vediamo se avete studiato il copione!
Yvaine e Rick: Perché, esiste un copione di questa storia?
Autrice: Andiamo bene!
Okay, bando alle ciance e facciamo il vero angolo autrice. Il capitolo è uscito un po’ corto, ma spero che lo apprezziate. Non siamo ancora a metà storia, ma ci siamo quasi, per chi lo volesse sapere. Come ho già detto a teatro (vedi sopra) chi ha domande non esiti a chiedere!
-Heart

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Capitolo 9
*** Capitolo Ottavo ***


                                        Capitolo Ottavo – Prigionieri!

Quando Rick si risvegliò, si trovava su un carro aperto a mo’ di gabbia con il pavimento coperto di paglia, e aveva le mani legate dietro la schiena. Accanto a lui, scorse la figura accovacciata di Yvaine, i capelli rossi sparsi sulla paglia. Oltre a loro due, c’erano altre persone nella stanza: un ragazzino poco più piccolo di lui, un bambino e una donna dallo sguardo duro, stretta convulsamente al bimbo. Anche loro avevano le mani legate.
Rick diede un colpetto a Yvaine con un piede.
«Mmmm…»mugugnò la ragazza, poi aprì gli occhi.
«Dove siamo?»chiese al ragazzo.
Rick si accorse di non saper rispondere. La donna lo fece al posto suo.
«Siete sul carro che vi porterà dritti dritti al covo dei ribelli, o, se siete fortunati, al mercato degli schiavi».
«Da quando esiste il mercato degli schiavi?»chiese Yvaine, stupita.
«Da quando il re è caduto e quel vigliacco di suo figlio si è dato alla fuga»disse alzando le spalle.
«Pusillanime»sibilò il ragazzino, la collera dipinta sul volto.
«Non dire così, Jeor»lo riproverò la donna che, a quanto pareva, era sua madre.
«Comunque, adesso siete qui. Se volete sapere il nome di chi vi ha condotti su questo carro maledetto, ve lo dico: Fert. È tipo un “cacciatore di taglie” del Nuovo Impero. Nel senso che lui trova la gente sperduta nei villaggi, e la vende ai ribelli oppure come schiavi ai nobili, che sono passati dalla loro parte pur di non perdere il loro potere». La donna aveva un’espressione di disgusto dipinta sul volto. Il ragazzino sputò a terra.
«Comunque, io sono Ranja. Questi sono i miei figli Jeor»e con un cenno del capo indicò il ragazzino «e Hern»disse riferendosi al bambino.
«Io sono Rick, e lei è la mia compagna di viaggio, Yvaine»
La donna sorrise.
«Compagna di viaggio, eh? Va bene, vi credo. Noi veniamo da est, e adesso credo che ci stiano portando più a nord, per vedere se ci sono altri condannati da portare al patibolo».
«Io vengo da Kroal. Ho trovato Yvaine per caso nel bosco, e l’ho portata con me», disse il ragazzo.
«A quanto pare non hanno voglia di comunicarci le loro intenzioni» disse Ranja, alludendo ai loro aguzzini.
Aveva appena detto queste parole che al carro si avvicinò un uomo. Era alto e robusto, aveva un ghigno dipinto sul volto rozzo.
«Signori passeggeri» disse «Siamo lieti di annunciare che nel prossimo villaggio c’è un mercato di schiavi, ergo ci fermeremo lì.  E adesso…ragazzo, vieni con me» aggiunse, indicando Rick con il dito tozzo. Un altro uomo si avvicinò e aprì il carro-gabbia, trascinando Rick per le corde che gli legavano le mani. Fece la stessa cosa con Jeor, mentre Ranja, in preda al panico, gridava disperata di non fargli del male.
Il tempo passò. Yvaine e Ranja videro il sole salire sempre più in alto nel cielo, poi scendere e tingersi di arancione accompagnato da una corte di nuvole rosa.
I ragazzi tornarono solo quando la luna e le stelle brillavano alte nel cielo. Ranja dormiva già da un po’, una piccola ruga tra le sopracciglia tradiva la sua preoccupazione. Yvaine combatteva contro il sonno: voleva prima assicurarsi che Rick stesse bene.
Sia Jeor che Rick avevano l’aria distrutta e le labbra sanguinanti. Il più piccolo aveva le lacrime agli occhi.
«Che vi hanno fatto?» chiese Yvaine, quando l’uomo che li accompagnava se ne fu andato.
«Ci hanno torturati un po’. Gli piace giocare con il cibo, prima di mangiarlo» rispose il ragazzo.
«Perché?» chiese nuovamente la ragazza.
«Non ne ho idea. Ci hanno chiesto chi siamo, da dove veniamo, cosa stavamo facendo, cose così».
«Se potessi usare le mani, ti curerei».
«Meglio di no» disse Rick. «Sorgerebbero altre domande».
E così si addormentarono.
La mattina dopo avevano tutti una fame da lupi. Il giorno prima non li avevano sfamati. Ranja sorrise amara, ascoltando le lamentele dei compagni di prigionia.
«Forse è meglio che se ne siano dimenticati. Dopo aver mangiato, infatti, sento sempre una strana sonnolenza, mentre ieri ero più lucida. Forse ci mettono qualche tipo di droga, lì dentro».
«Ehilà, come andiamo?» chiese Fert, avvicinandosi alle sbarre del carro. Rick sentiva di detestare quell’uomo che non faceva che canzonarli dalla mattina alla sera, e che per di più aveva preso possesso del suo arco.
«Vi do una buona notizia: arriveremo al mercato entro due giorni. Nel frattempo…» schioccò le dita e subito arrivò un uomo.
«Portagli il cibo» disse. «Poi giocheremo con loro un altro po’».
L’uomo annuì e torno poco dopo con delle scodelle. Dentro galleggiava qualcosa che un tempo doveva essere verdura, ma ora era una poltiglia indefinita.
«Il pasto è servito» rise Fert. «Buon appetito!».
Yvaine lo guardò scettica. Poi chiese a Ranja: «Come facciamo a mangiare con le mani legate?».
La donna disse: «Visto che ci trattano peggio degli animali, vogliono che ci comportiamo come loro. Perciò, se non vuoi morire di fame…» si chinò in avanti e mangiò dalla ciotola, come fanno i cani, imitata subito dai figli.
«Non lo farò» disse Yvaine, «non arriverò a tanto per puro istinto di sopravvivenza!».
Rick alzò le spalle, rassegnato, e trangugiò il misero pasto, pensando al momento in cui sarebbero tornati a “giocare” con lui.
Infatti, appena dopo aver mangiato, tornarono a prelevarli. Yvaine cercò di far ragionare l’uomo.
«Perché sempre loro? Non potete prendere me? Vi prego, lasciatelo! Prendete me!».
Fert, lì vicino, si fece una gran risata.
«E perché mai? Tu sei un buon bocconcino, con quel bel faccino che ti ritrovi potresti farci fare un sacco di soldi, perché mai dovremmo sfigurarti?» e se ne andò, con Rick e Jeor al seguito.
La giornata passò esattamente come la precedente, in ansia per i due che venivano tormentati da quei tizi per uno scopo che Yvaine faticava a trovare.
Forse questo è il loro modo per divertirsi, si disse.
Ranja non disse una parola per tutto il giorno. Era strana. Trasognata. La ragazza cominciò a ipotizzare che nel cibo c’era veramente qualche tipo di droga.
I ragazzi tornarono la notte. Sembravano addirittura più stanchi dei giorni precedenti, e Jeor piangeva disperato.
Appena l’”accompagnatore” se ne fu andato, Yvaine e Rick cominciarono a parlare.
«Non si può continuare così».
«Trovi un’alternativa? Fuggire è impossibile».
La ragazza rimase zitta per un po’, poi disse:
«Forse un modo per scappare c’è».
 

 

*********
Angolo autrice
Rick e Yvaine: Scema, sceeeema!
Autrice: Piantatela, voi due!
Non so come farmi perdonare per la luuunga assenza. Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace. Chiedo perdono! Scusatemi! TT__TT
La verità è che ho avuto una specie di blocco. Un blocco mentale. Non riuscivo più a trovare un motivo per scrivere, anzi meditavo di cancellare tutto. Poi però…ho deciso. È inutile piangersi addosso. Quindi spero solo che il capitolo vi sia piaciuto e che mi perdoniate!
Ho deciso di mettere dei nomi ai capitoli, perché mi andava.
Alla prossima!!!

-Heart

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Capitolo 10
*** Capitolo Nono ***


                                       Capitolo Nono – Fuga

Quel giorno si spostarono. Il carro si muoveva lento per i sentieri sterrati, trainato da due vecchi cavalli .
Le stradine acciottolate facevano sobbalzare il carro, e Yvaine cadde più di una volta con la faccia nella paglia.
Si fermarono solo quando il sole all’orizzonte era di un vivido arancione e il cielo color indaco. Il profilo di un villaggio si distingueva nella penombra del tramonto.
Solo quando gli uomini erano andati a dormire, Yvaine alzò lo sguardo. Rick, la mascella serrata, contava i secondi per allentare la tensione, mentre Ranja si guardava furtiva intorno.
La ragazza cominciò a mormorare qualcosa dapprima a mezza voce, poi più forte. Una litania lenta e incomprensibile, che creò un alone di misticità intorno al suo corpo.  In pochi minuti, le corde di tutti erano sciolte e il lucchetto del carro era caduto. Rick tentò di prenderlo, ma dovette ritrarre la mano: infatti il lucchetto scottava. Il ragazzo si accorse inoltre che aveva perso definizione. Sembrava molle, i contorni erano sfumati, come se fosse caduto in una pentola di olio bollente.
Come se si fosse fuso.
Ranja si osservò i polsi, finalmente liberi dalle corde che la tenevano prigioniera da giorni, mentre i suoi figli accennavano un sorriso.
«Dobbiamo muoverci» disse Rick.
Yvaine annuì e si diresse verso la porta del carro, aprendola e sporgendo fuori la testa per assicurarsi che non ci fosse davvero nessuno. Poi, in fila indiana, uscirono per assaporare l’aria della libertà. Peccato che Hern cadde, facendo un baccano tremendo.
E in un attimo i banditi si svegliarono.
«Fuggite! Ora! Rifugiatevi nel bosco, andate a sud, e se potete, uscite da Ennea» disse Rick alla famigliola, mentre si preparava psicologicamente ad attaccare, a suon di calci e pugni, quei tizi che non si facevano alcuno scrupolo a venderli per fare un po’ di soldi.
Ranja non disse nulla, si caricò in spalla Hern, prese per mano Jeor e corse via più velocemente che poté.
Yvaine si guardava intorno, cieca, mentre sentiva Rick vicino a lei dire qualcosa. Qualcosa che non riusciva a capire. Non si accorse che Rick era andato via, non si accorse dei banditi che la guardavano beffardi, le facevano così male le orecchie, i suoni non arrivavano, le braccia erano pesanti…
Un rimbombo arrivava dal profondo del suo cuore. Un rimbombo che urlava un’unica parola, una voce che Yvaine aveva imparato a odiare e temere, una voce in cui aleggiava il suo miasma sanguigno.
Lilith.
No, no, no…
Perché no? Quei tizi ti hanno trattata come un cane, hanno torturato il tuo amichetto. Perché rinneghi me, e cioè te stessa?
Quella voce suadente come il miele e fredda come il ghiaccio le sfiorava il cuore, lo esaminava, ne estrapolava i segreti. La ragazza sentiva che non ce l’avrebbe fatta, no, fu rinchiusa in un angolo della sua mente, al buio.
Sola.
 
Rick osservava esterrefatto la scena che aveva davanti. Yvaine chiusa in una sorta di torpore, i banditi sghignazzanti, il buio, quella luna piena e allucinante che incitava alla pazzia.
Poi, qualcosa si mosse. Yvaine sorrise nel buio. Rick la guardava mentre, da chissà dove, tirava fuori un pugnale, e lo lanciava con una precisione straordinaria nel petto del primo uomo che aveva di fronte.
Le lunghe corna crebbero sul suo capo, quelle corna ritorte che Rick aveva visto in sogno. Adesso aveva paura, una paura incredibile, una paura che lo indusse a dimenticare la dolce ragazza con i capelli rossi che aveva trovato sperduta nel bosco. Una paura che lo costrinse a nascondersi dietro una roccia, guardando a sprazzi la strage che si stava svolgendo davanti ai suoi occhi.
Lilith alzò lo sguardo. Davanti a lei, solo uomini massacrati. I suoi piedi nudi erano immersi in una pozza di sangue. Si reputò soddisfatta. Ma prima uccise con la sua stessa lancia l’uomo che le era appena comparso davanti. Erano tanti, ma nulla in confronto alla sua forza sovrumana. Lei era una dea.
 
Rick alzò lo sguardo. Iniziava ad albeggiare. Non aveva idea di quanto tempo fosse passato. Ricordava solo una strage orribile, sperava che fosse un sogno.
La puzza di sangue gli rivelò la verità.
Si arrischiò a guardare oltre il masso. La ragazza era ancora in piedi. Si stava girando verso di lui.
Appena i loro sguardi si incrociarono, cadde a terra priva di sensi.

 
 


*************
Rick: …
Yvaine: …
Autrice: Be’, se oggi non avete niente da dire, io passo ad altro.
Ehilà gente! Sono tornata! Perdonate la lunga assenza, ma ero in crisi psicologica. Adesso è tutto a posto, ho trovato una risposta alla mia domanda e ho bocciato il progetto di cancellare tutto. E questo lo devo a delle persone che scriverò qui sotto.
naiade: solo il fatto che abbia messo questa storia tra le seguite ha alzato di qualche tacca la mia autostima.
BekySmile97: ha recensito l’ultimo capitolo e messo la storia tra le preferite. Sono assolutamente onorata per questo (saprò mai ringraziarti abbastanza?)
I lettori anonimi: Non lasciano traccia di sé, ma io so che ci sono, e li ringrazio.
E per finire… rullo di tamburi… Naitmers!
Questa ragazza mi ha fatto un’enorme sorpresa, sebbene io non le abbia chiesto nulla. E’ una ragazza d’oro, che spero continui a seguire questa storia. Prima o poi le farò DAVVERO una statua.
Finiti questi luunghi ringraziamenti, penso di dirvi qualcosa sulla storia. Per esempio che non credo di riuscire ad aggiornare con regolarità. Per esempio che non so dirvi quando metterò un altro capitolo. Per esempio che se ce la faccio aggiornerò minimo due volte al mese (sempre se ho tempo).
Per esempio che adesso vi saluto.
Alla prossima!
-Heart

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Capitolo 11
*** Capitolo Decimo ***


                              Capitolo Decimo – Sola nel buio

Yvaine era sola. Relegata nell’angolo più oscuro e recondito della sua mente, pensava. Ma soprattutto, sentiva.  Perché adesso Lilith non si nascondeva più, se prima la lasciava inconsapevole delle sue azioni, adesso non lo faceva più. La ragazza sentiva quelle emozioni che le appartenevano, ma le erano estranee, sconosciute.
Eccitazione. Beatitudine. Euforia. Giubilo. Piacere.
La ragazza sentiva sulla pelle lo scorrere di sangue non suo, i tagli che le venivano inflitti e che si rimarginavano, quella fame insaziabile di vendetta, la fiamma inestinguibile che le si era accesa nel petto.
Era terrorizzata.
Urlò, e poi di nuovo, sempre di più, finché non fu la voce potente ed euforica di Lilith a farla smettere.
Ma che cosa ti urli? La tua vendetta è più che lecita. Sei stata tu a chiamarmi, ricordi?
Quella voce suadente la mandava nel panico, la confondeva, azzerava le sue convinzioni.
No, non è vero, non ti ho chiamata!
Ma nel profondo del cuore lei sapeva che non era così. Perché sì, voleva vendicarsi. Voleva vedere quegli uomini strisciare a terra chiedendo pietà, voleva vederli inginocchiati davanti a lei.
Quella volta, era stata lei stessa a chiamare Lilith.
Si raggomitolò su se stessa, le mani premute sulle orecchie.
Io non sono così.
Quella semplice osservazione la rassicurò. Almeno la dea le aveva lasciato quel minimo di coscienza che le bastava per sentirsi assolta.
Il rimorso e il senso di colpa per ciò che stava facendo (perché sapeva benissimo della strage che Lilith stava compiendo) cominciarono a farsi strada verso di lei. Due scie bianche in quel nero assoluto, a cui Yvaine si aggrappò con tutte le sue forze. Soffriva, ma era giusto. Dopo ciò che aveva inflitto a quelle persone, era giusto soffrire.
Pensò anche a Rick. Aveva visto ciò che era, aveva visto la parte più ignobile della sua persona. Se avesse voluto allontanarsi da lei, non l’avrebbe biasimato.
 
D’improvviso il buio sparì. Davanti a lei, cadaveri su cadaveri, illuminati dalla luce del giorno.
Lentamente, si girò. Lo sguardo inorridito di Rick fu l’ultima cosa che vide prima di svenire.
 
 

 
*******
Angolo autrice
Yvaine: Autrice, sei crudele!
Autrice: Ragazza, fuori dal mio studio.
Yvaine: Ma…
*Autrice chiama la security*
*La porta sbatte*
Okay, il capitolo non è un granché, onestamente non mi piace, ma non volevo lasciarvi senza capitoli ancora un po’. E’ anche troppo corto, ma mi rifarò con il prossimo!
-Heart

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Capitolo 12
*** Capitolo Undicesimo ***


                                            Capitolo Undicesimo – Capire
 

Il ragazzo non sapeva cosa fare. Si avvicinò piano alla figura minuta che giaceva nella terra vicino a lui. Ma adesso, ora che aveva visto, non voleva aver avuto niente a che fare con quella ragazza.
Scappò.
Corse via, lontano, verso il bosco, cercando di ignorare il senso di colpa che batteva sordo nel suo cuore.
Era deluso. Quello che aveva visto era una dimostrazione di quanto poco quella ragazza si fidasse di lui. E lui le aveva aperto il suo cuore, le aveva raccontato dei suoi genitori, della loro morte, del suo desiderio di vendetta. Le aveva raccontato tutta la sua vita, l’aveva soccorsa e aiutata. Era così che ripagava la sua fiducia? Non confidandole quel segreto oscuro che portava dentro di sé? E per quale motivo?
Smettila di rimuginare, si disse, ormai hai fatto il primo passo, l’hai lasciata lì, adesso non puoi che andare avanti.
Si fermò soltanto quando le gambe gli cedettero per la fatica e i muscoli gridavano vendetta. Dalla luce del cielo, dedusse di aver corso parecchio, eppure gli pareva che la distanza tra lui e Yvaine non fosse mai abbastanza.
«Chissà dov’è Orin…» borbottò. Sperava davvero che stesse bene, non lo vedeva da quando era passato al villaggio.
Solo allora si accorse di quanto brontolava il suo stomaco. Raccolse qualche radice mangereccia dal terreno e si sedette contro un albero, consumando il suo magro pasto.
Passò il resto della giornata a guardare spiragli di cielo attraverso le foglie degli altissimi alberi che aveva intorno, ascoltando il cinguettio allegro degli uccelli.
Lentamente, la luna salì in cielo.
Rick si raggomitolò su se stesso, con le labbra secche e screpolate per la mancanza d’acqua.
Forse fu proprio questo il motivo dei suoi incubi.
 
La vedeva ovunque. Vedeva ovunque quel mostro con le fattezze di Yvaine, con quelle corna ritorte sul capo e i capelli rossi come il sangue. Il sorriso dolce della ragazza che si trasformava nel ghigno crudele di quella creatura. Eppure Rick non aveva paura.
Sentiva dolore. Un dolore vivo e pungente, al petto, lì sul cuore.
Il dolore diminuì leggermente. Adesso il ragazzo aveva solo la sensazione di qualcosa che premeva contro lo sterno e gli impediva di alzarsi.
Aprì gli occhi e…
«Orin!» esclamò sorpreso Rick. Il fido destriero era riuscito a seguire le sue tracce e lo aveva trovato, salutandolo con un allegro nitrito. Il ragazzo era fuori di sé per la gioia, aveva ritrovato un amico fedele nel bel mezzo di un momento di sconforto. Cosa poteva volere di più?
Rick guardò attentamente il cavallo. Non sembrava ferito, ma solamente esausto. Si chiese per quanto avesse corso.  
«Come stai, bello?» disse al cavallo, sebbene sapesse che non gli avrebbe potuto rispondere. Allora ebbe un’idea. Disse a Orin tutto quello che gli passava per la testa, senza curarsi del fatto che il cavallo neppure lo capiva. Si sfogò, parlò di quello che sentiva dentro, tutti i suoi pensieri, le sue angosce, le sue paure, il suo rimorso. E dopo si sentì meglio.
Anche se un po’ d’acqua non sarebbe male, rifletté.
Era quasi sera quando decise di cercare una fonte d’acqua. Non ce la faceva più, aveva un disperato bisogno di idratarsi. Salì in groppa a Orin, e lo spronò al trotto, squadrando attentamente il bosco attorno a lui alla ricerca del luccichio di uno specchio d’acqua.
E dopo un po’ di tentativi inutili, finalmente trovò un fiumiciattolo – probabilmente un affluente del fiume che percorreva i confini del bosco- per dissetarsi. Mentalmente, ringraziò tutti gli dei che onorava ogni giorno sua madre.
Ma poi accadde qualcosa di strano. Forse ho bevuto troppo, si disse.
Un minuto dopo, era svenuto.
 
Nulla. Era l’unica parola che trovava per descrivere ciò che aveva intorno. Un nulla pastoso e intenso,  dove non si vedeva, appunto, nulla.
Sei un codardo, disse una voce.
Non è vero, pensò il ragazzo.
Come descriveresti il tuo comportamento, allora?
Cosa vuoi dire?
Hai lasciato una ragazza da sola, svenuta e in un posto che non conosceva. Non è stato un gesto nobile.
Chi sei tu per dirmi questo?
Non è di me che stiamo parlando. Rimane che ciò che hai fatto è stato un gesto vile.
Come posso rimediare?
Devi trovare tu una risposta.
 
L’erba umida gli premeva contro la guancia, mentre sentiva il sole del mattino contro le palpebre.
Aprì gli occhi, e il ricordo del sogno portò con sé un acuto senso di colpa.
Che cosa ho fatto?,pensò, mentre spronava Orin al galoppo.

 
 
 
*****
Angolo autrice
Rick: Buongiorno, autrice, finalmente ci siamo dati una mossa a pubblicare ‘sto capitolo!
Autrice: Sta’ zitto, eroe da strapazzo.
Boooonjour!  Dopo tanto tempo la vostra Heart ha ripreso le attività! Mi dispiace di non saper rispettare i tempi di consegna, ma… l’importante è che pubblichi ogni tanto, no?
Il prossimo capitolo arriverà a breve, e spero che abbiate apprezzato questo!
Bye!
-Heart

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Capitolo 13
*** Capitolo Dodicesimo ***


                                                           Capitolo Dodicesimo – Paura e verità

Quando Yvaine aprì gli occhi, era circa la stessa ora di quando era svenuta. Solo il cielo le diede la certezza che fosse passato del tempo: se prima era pulito e sereno, adesso era occupato da grosse nuvolone nere, che minacciavano pioggia.
La ragazza si tirò su. La cosa peggiore dello svegliarsi dopo un fatto spiacevole è di ricordarsi di quel fatto solo dopo un po’. I ricordi assalirono Yvaine come valanghe, inclementi, spietati, terribili. Per di più, era circondata da cadaveri.
Questa situazione oramai mi è familiare, si disse con amarezza. Le sembrava che non fosse passato nemmeno un giorno da quando aveva scoperto di portare Lilith con sé. La situazione era più o meno la stessa di quel giorno. L’unica nota stonata era una, che suonava il nome di Rick.
Ormai era chiaro che non l’avrebbe più rivisto. Era perfettamente consapevole di averlo deluso, ma questa consapevolezza non bastava. Non bastava a frenare le lacrime. Il suo era un pianto silenzioso, senza singhiozzi. Le lacrime le scendevano giù per le guance e lungo il collo, piccole e perfette come perle.
Rimase così, seduta per terra, per un tempo che le parve interminabile. Quando alzò lo sguardo, la luna e la sua corte di stelle erano già in cielo a brillare.
A fatica, si alzò. Yvaine si accorse che le gambe le tremavano un po’, e la testa le girava. Ma era come svuotata. Nessun pensiero si distingueva da quel vortice impetuoso che aveva in testa.
Incerta sul da farsi, Yvaine si disse che la prima cosa da fare era andarsene da lì.
Prese una direzione qualsiasi. Non le importava la meta, l’importante era andare via. Non si accorse neppure che la vegetazione ormai dominava lo spazio circostante, o che l’erba le arrivava alle ginocchia, mentre i rami di bassi alberi le graffiavano le spalle.
Sono sola, di nuovo.
Quella osservazione la annientò completamente, distrusse le sue barriere. Le sembrava di percorrere la stessa strada all’infinito. Per qualche scherzo del destino, appena era convinta di essere alla fine tornava al punto di partenza. Una cosa comica e al tempo stesso dannatamente frustrante. Si sentiva in completa balìa di qualcosa di indomabile e incontrollabile, che si divertiva ad usarla come pedina per suo diletto.
 Finalmente la ragazza si guardò intorno. Era nel bosco. Non sapeva neppure lei come ci fosse arrivata. Ma i contorni di ogni cosa erano sfumati, tremolanti. Più cercava di mettere a fuoco ciò che vedeva, più questo diventava sfuggente.
Anche i suoni erano distanti, lontani. Il verso di una civetta sopra di lei le sembrava distante anni luce.
Perciò non aveva affatto sentito lo scalpiccio ritmico di zoccoli sempre più vicini.
Se ne accorse solo dopo un po’. Un rumore insistente, ripetuto, fastidioso. Rametti spezzati da un corpo grande e pesante.  Quando si girò, vide da lontano la figura di un cavallo, affiancata da qualcosa di più piccolo.
Non sono sola, adesso qualcuno può aiutarmi.
Era l’unico pensiero che riusciva a formulare, mentre guardava la figura che si avvicinava.
Quando riconobbe chi si avvicinava, ebbe un tuffo al cuore.
Prima di pensare, agì. Gli corse incontro, gli saltò letteralmente addosso. Entrambi caddero a terra, in un gran trambusto di foglie e rametti.
Yvaine sapeva che era venuto a cercarla. Lo sentiva. Le venne da piangere, ma si trattenne. Una lacrima, una sola, le rotolò giù per la guancia.
«Non lasciarmi mai più sola» sussurrò.
«Non lo farò», rispose Rick.
                                                                                  ***
Solo adesso Rick si rendeva conto di quanto l’avesse fatta soffrire. Di quanto quella ragazza sperduta avesse bisogno di qualcuno accanto a lei, per andare avanti.
Ma era ancora determinato ad avere delle risposte.
Quando si fu calmata, si decise a parlarle.
«Yvaine» iniziò, «tu sai che io ho bisogno di sapere, vero?»
La ragazza annuì.
«Puoi dirmi la verità? Puoi fidarti di me? Puoi affidarmi quel segreto che porti dentro e ti distrugge?».
Yvaine era ancora incerta su quello che dovesse fare. Ma non c’era altra scelta: adesso la sua unica possibilità era rivelargli tutto.
«Non devi avere paura, Yvaine».
La ragazza cercò freneticamente nelle tasche delle vesti. Era sicura di aver sempre avuto con sé la lettera di sua madre. Dopo averla trovata, la porse a Rick.
 
Più il ragazzo leggeva quelle parole, più si sentiva gelare il sangue nelle vene. Come poteva una madre aver fatto ciò a sua figlia, una sua creatura, sangue del suo sangue?
 
Quando Rick distolse lo sguardo dalla lettera, scoprì che Yvaine si era addormentata. Rannicchiata in posizione fetale, sembrava davvero piccola.
Il ragazzo la coprì con il suo mantello e si addormentò accanto a lei.
 

 
 
**********
Angolo autrice
Finalmente un po’ di tempo per mandare avanti la storia. Ho una domanda da farvi, cari lettori. Visto che il nome Rick non mi piace più di tanto, pensavo di cambiarlo (sotto suggerimento di una cara amica) ma forse non lo farò, perché Rick è una mia creatura, e non so se mi piacerebbe chiamarlo in un altro modo (anche se per alcuni è un nome un po’ da sfigato).
Tra parentesi, per chi lo volesse sapere, la conclusione della storia non è tanto lontana, ma neppure troppo vicina.
Per il resto, nessuna novità da comunicare, perciò… al prossimo capitolo!
-Heart

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Capitolo 14
*** Capitolo Tredicesimo ***


                                      Capitolo Tredicesimo – Giorni, dolcezza, magia

La pioggia li sorprese dopo tre giorni. Inzuppati fino al midollo, cercando invano un rifugio, avevano girovagato incessantemente, dormendo poche ore per poi rimettersi subito in marcia. Tre giorni d’agonia.
All’alba del quarto giorno, mentre un timido sole pian piano si alzava nel cielo, si erano accorti con stupore e allegria che la pioggia era finita.
Ritrovare Rick era stata la cosa più bella per Yvaine. Certo, anche Orin le era mancato, ma Rick era un’altra cosa.
Per un po’ sembrava di essere tornati indietro nel tempo. Come se non fosse successo nulla. Mangiavano, chiacchieravano , camminavano. Ma Yvaine sentiva che quell’armonia che c’era prima adesso era svanita. Rick la guardava in maniera strana. Con un misto di orrore e compassione, che la disorientava.
Tutto sommato si sentiva tranquilla.
Adesso c’è lui, andrà tutto bene.
Rick, invece, non era tranquillo. Yvaine suscitava in lui emozioni contrastanti. Paura, timore, voglia di proteggerla, compassione, affetto. Un gorgo vorticoso, da cui era difficile riemergere.
La sera cercavano una radura e si coricavano, senza cena. Praticamente l’unico che trovava sempre qualcosa da mangiare era Orin.
Accadde un giorno, per caso, al tramonto. Il ragazzo già dormiva, esausto per la lunga camminata, Yvaine no. Aveva troppi, troppi pensieri per la testa, non riusciva a prendere sonno, la stanchezza fisica non bastava. Guardandosi intorno, si soffermò su Rick. Sentiva di dovere tutti i “grazie” del mondo a quel ragazzo, quel ragazzo che aveva rischiato la propria vita per la sua, che l’aveva cercata, che l’aveva curata, che l’aveva consolata quando le sembrava che tutto il mondo le si fosse rivoltato contro.
Un nuovo sentimento si fece strada nel suo cuore, un sentimento strano, sconosciuto, un affetto smisurato che non aveva mai provato prima. Gli si avvicinò lentamente, si accovacciò accanto a lui. Se si concentrava, poteva sentire il suo cuore che batteva. Quello di Rick era un battito calmo e regolare, e allo stesso tempo possente, forte. Yvaine si accorse che il proprio cuore, invece,  sembrava un uccellino spaventato, le sembrava che il suo battere frenetico fosse udibile in tutto il bosco.
Alzò la testa, lo guardò in volto. Ne studiò i lineamenti, pensando che fossero belli. Il volto non era ovale, era squadrato, faceva capolino un primo accenno di barba. Era il volto di un uomo.
 Yvaine si stupì di quanto fossero lunghe e scure le sue ciglia, risaltate dai suoi occhi chiusi. Immaginò il verde dei suoi occhi sotto le palpebre, occhi sinceri, occhi amici. Infine posò lo sguardo sulle labbra, quelle labbra sottili che la attiravano irresistibilmente…
Le venne naturale, meccanico. Avvicinò il volto al suo, chiuse gli occhi. Un bacio. Lievissimo, ma che bastò a spezzare l’incantesimo. Si allontanò atterrita, stupita da ciò che il suo cuore le aveva imposto di fare.
Silenziosa, si coricò e chiuse forte gli occhi.
La mattina dopo Yvaine aveva occhiaie violacee grosse come ciambelle, e al solo pensiero di quell’ attimo diventava di uno sgradevole rosso pomodoro e le si seccava la lingua. E ci pensava continuamente.
Mentre camminavano in cerca di qualcosa da mangiare Rick si accorse del suo bizzarro atteggiamento, ma fece spallucce e continuò la sua ricerca.
Quella sera, quando si fermarono nell’ennesima radura per passare la notte, il ragazzo rivelò ad Yvaine un pensiero che gli frullava in testa già da un po’.
«Yvaine, mi insegneresti a fare incantesimi?»
La ragazza sollevò lentamente la testa, sorpresa. Un ricordo cominciò ad affiorare nella sua mente.
 
Aveva cinque anni. Stava giocando sulla strada del villaggio, calciava i sassolini con la punta delle scarpe. E poi lo aveva visto, pigolante, in mezzo alla polvere. Un uccellino che non riusciva a volare. La bambina con i capelli rossi si era avvicinata, piano, aveva istintivamente allungato una mano verso quella creatura. Aveva sentito del calore sulla mano, e l’uccellino, poco dopo, si librava nel cielo.
 
«Allora?»
Yvaine si riebbe di scatto.
«Ricordi quando mi hai detto di essere una maga?» continuò imperterrito il ragazzo. «Hai detto che saper fare magie è un vantaggio, una cosa utile, no? E allora mi è venuta l’idea di chiederti di insegnarmi».
«Ma tu avevi paura della magia» disse la ragazza in un soffio.
«È vero», disse Rick sospirando, «ma ti ricordo che è grazie alla tua magia se adesso siamo qui e non al mercato degli schiavi».
Appena ebbe detto queste parole, il ragazzo si morse la lingua. Riportare a mente quella sera era stato un passo falso. La presenza di Lilith aleggiava nell’aria, sebbene nessuno dei due l’avesse menzionata.
Yvaine preferì cambiare argomento.
«Posso provare a insegnarti» iniziò, «ma non ti prometto niente».
«Cosa devo fare?» chiese il ragazzo, allegro dopo quel breve momento di tensione.
«Be’, innanzitutto bisogna sapere se hai potenziale magico dentro di te. La magia si può imparare, certo, ma deve anche essere una capacità innata. E fortunatamente, so come si fa a sapere se una persona ha capacità magiche» disse, non senza un moto d’orgoglio. Dopotutto, aveva molto talento, come maga. «Siediti», aggiunse.
Quando Rick si fu seduto, la ragazza si sedette a gambe incrociate davanti a lui. Quando si trovò così vicina ai suoi occhi verdi, si sentì svenire, mentre il ricordo di quel bacio appena accennato tornava prepotente.
Smettila, si disse, ormai è tardi per sentirsi svenire.
Prese le mani del ragazzo tra le sue e le girò. Certo, quel rito richiedeva di tenere le mani della persona che si voleva esaminare, ma Yvaine si godette comunque quel contatto, la sensazione di quelle mani forti e virili tra le sue, così esili e femminili.
Chiuse gli occhi. Cercò la magia nel proprio spirito, immaginò di poterla muovere a suo piacimento, di spostarla fino alle dita, di metterla in contatto con quella del ragazzo seduto davanti a lei.
 
Rick osservò Yvaine. Aveva la fronte imperlata di sudore, e tremava leggermente.
Le magie stancano.
Era ciò che gli aveva detto la ragazza, quando gli aveva rivelato di essere una maga.
Lentamente, Yvaine aprì gli occhi. Sembrava provata.
«Il tuo potenziale magico è scarsissimo» disse.
Il ragazzo si sentiva vagamente deluso. Certo, doveva aspettarsi una risposta del genere, ma aveva sperato in qualcosa di più.
«Comunque ciò non vuol dire che tu non possa fare magie. Semplici, certo, ma pur sempre magie» continuò la ragazza.
Rick sorrise. «Come si fanno le magie? Basta dire una parola e bum! ecco che accendo un fuoco?»
Yvaine rise.
«Purtroppo no, o saremmo tutti maghi!»
Il ragazzo scalpitava per iniziare subito la “lezione”, ma la ragazza rifiutò.
«È tardi. Ci penseremo domani, okay?».
Detto ciò, si coricò. Rick, dopo aver controllato che Orin fosse lì con loro, la imitò e si sdraiò.
«Rick?» disse all’improvviso la ragazza. «Perché vuoi che ti insegni la magia?»
Il ragazzo sospirò. «Perché ho paura, Yvaine. E sono stanco di averne».
«E tu pensi che con la magia riuscirai a non avere più paura?»
«Con un po’ di fortuna, forse sì».
Detto ciò, entrambi si addormentarono.
 
Quella notte, per la prima volta, Yvaine sognò Rick.
 

 
 
*******
Angolo autrice
Rick: Che figata, imparo la magia!
Autrice: Già. E spero che tu abbia studiato il copione, per i prossimi capitoli.
Yvaine: Ehi, autrice! Non è giusto! Perché solo io mi devo sognare questo tizio qua?
Rick: Uh? Che succede?
Autrice: Smettetela di rompere le scatole e uscite dal mio studio!
Okay, okay. Lo ammetto, è un po’ presto per pubblicare. Ma ci tenevo assolutamente a farlo. Mi è presa una specie di frenesia, non so…
Giuro, ho riscritto la parte iniziale di questo capitolo non so quante volte. Ogni volta mi pareva più brutto. Ed è diventato terribilmente dolce, scola zucchero e miele ad ogni parola. Vi consiglio vivamente di non mangiare dolci mentre leggete, o vi verrà il diabete!
O meglio, a me pare dolce. È una dolcezza nascosta tra le righe. Non so se riuscirete a coglierla, e a non disprezzarla se la trovate. Forse è un po’ banale, ma io credo fermamente che ogni storia debba avere un po’ di zucchero da qualche parte.
Sto già lavorando al prossimo capitolo, ma per esigenze, diciamo, “letterarie” non lo pubblicherò prima delle prossime due settimane.
A presto e spero che non moriate di diabete,
-Heart
P.S.: ringrazio tanto BreakinCrystal97  (nonché detta Cara Amica) per aver letto la storia. Grazie!!! :D 

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Capitolo 15
*** Capitolo Quattordicesimo ***


***Premessa****
Okay, sì, lo so, probabilmente sono parecchio stufi di starsene nel bosco, e anche voi sarete stufi di vederli nel bosco, ma vi prego, abbiate pazienza solo un altro capitolo! E mi sono un po' dilungata sulla magia, se vi annoia saltatela pure!

                                                   
                                         Capitolo Quattordicesimo – Il tempio


Rick era già in piedi quando Yvaine si era svegliata. Non le lasciò neppure il tempo di stiracchiarsi che subito le chiese di spiegarle tutto, impaziente e allegro come un bambino.
«Non credi che prima dovremmo trovare qualcosa da mettere sotto i denti?» disse la giovane.
«Va bene…» Il ragazzo sbuffò.
Camminando nel bosco, con lo stomaco che brontolava a dismisura, i due ragazzi cercavano le solite, insipide radici.
«Ehi! Guarda qua!» esclamò improvvisamente Rick.
Yvaine si avvicinò, e vide tantissimi cespugli di lamponi. Ne presero a piene mani, e ne fecero una bella scorpacciata.
Finito il pasto, si accomodarono sul tronco di un albero caduto, e la ragazza cominciò a spiegare.
«Innanzitutto devi sapere che la nostra magia è la stessa da centinaia di anni, è la stessa dei nostri antenati. La nostra magia si basa sulla natura delle cose».
«Cioè?»
«Vuol dire che noi preghiamo gli spiriti naturali affinché esaudiscano un nostro desiderio. Secondo la tradizione, il nostro spirito è composto da altri spiriti, quelli naturali: fuoco, aria, acqua, terra, luce, oscurità. E quando facciamo magie, pregando questi spiriti, non facciamo altro che tirar fuori lo spirito naturale che c’è nel nostro spirito. Mi segui?».
«Non proprio…» disse Rick, piuttosto confuso.
«Ti faccio un esempio. Quando sei stanco, hai bisogno di energia. E la prendi riposando, no? E poi quell’energia che hai preso la utilizzi per fare qualcos’altro, quindi la tiri fuori da dentro di te, sebbene tu l’abbia presa riposando. Se paragoni l’energia agli spiriti, e il riposo alla preghiera, non è difficile».
«Va bene, mi sembra di aver capito, ci sono».
«Ovviamente ogni incantesimo ha bisogno di energia. E l’energia si accumula con le parole…».
«Che vuol dire? Come con le parole?» la interruppe il ragazzo.
«Be’, vedi, per rendere un incantesimo efficace, deve essere accompagnato da una parola, o una preghiera, che simboleggi le tue intenzioni. O meglio, per la Magia Permessa, è così».
«Cos’è la Magia Permessa?»
«La Magia Permessa è la magia che si può praticare. Comprende gli incantesimi che non sovvertono le regole della Natura. Uccidere un uomo con la magia è reato, perché non esiste una formula naturale che lo permette, e chi lo fa deve per forza ricorrere alla Magia Occulta. La magia occulta non segue l’ordine naturale delle cose. Le stravolge e le trasforma, e gli esiti possono essere mostruosi».
«Va bene, ho capito. Magia Permessa e Magia Occulta. D’accordo. Ma adesso mi spieghi meglio quella faccenda delle parole?»
«Le parole sono simboli. Ricordatelo sempre. Ogni parola dà risultati. E ogni risultato ha le sue conseguenze. Per esempio, il prezzo di una magia è l’energia. Ogni volta che fai magie, perdi energia. Sono piuttosto fragili, i maghi, da questo punto di vista!»
«Ma se le parole le usiamo di continuo…?»
 «Oh, no, in questo momento anche se parli non stai facendo magie! Vedi, le parole che si usano per le magie non sono nella nostra lingua. È questo il difficile degli incantesimi».
«E che lingua si usa per gli incantesimi?»
«La lingua antica, quella dei nostri antenati. Te l’ho detto, la nostra magia non è cambiata nel corso del tempo».
«Scusa la mia ignoranza, ma che lingua parlavano i nostri antenati? Io ho sempre pensato che parlassero come noi!» Rick era sbalordito.
«Be’, i nostri antenati più prossimi parlavano come noi, certo. Ma gli antichi testi sono scritti in un’altra lingua. Quasi tutte le parole di quella lingua antica vengono da civiltà lontane, e sono un po’ difficili da ricordare. Se vuoi, facciamo una prova». La ragazza non aveva neppure finito di parlare che il ragazzo annuì convinto.
«Va bene. Facciamo una cosa semplice. Per usare l’esempio che hai fatto ieri sera, proviamo ad accendere un fuoco». Yvaine fece una pausa.
«Devi sentire il fuoco intorno a te. E dentro di te. Accendere un fuoco è semplice, perché ogni cosa nasce dal fuoco. Fine e principio, il fuoco crea e distrugge. Adesso capisci perché il fuoco è ovunque?».
«Credo di sì. Cosa devo dire?»
«Prima di tutto, concentrati. Pensa al fuoco. Visualizzalo dentro di te. E prova ad accendere questo» disse Yvaine, prendendo un ramoscello da terra.
«Quando pensi di esserci riuscito, pronuncia la parola Pyr».
«Pyr?».
«Sì. Indica il fuoco».
Rick prese un bel respiro e chiuse gli occhi. Si concentrò più che poté, ripetendosi nella testa le parole di Yvaine.
Senti il fuoco… Senti il fuocoSenti il fuoco intorno a te… Senti il fuoco dentro di te…
 
Yvaine osservò il ragazzo di fronte a lei. I muscoli erano tesi, e la mascella serrata. Un sussurro.
«Pyr».
Non accadde nulla. Il ragazzo aprì gli occhi, e si accorse che il ramoscello era perfettamente normale.
«Non fa niente, è normale. Riprova. Magari non hai sentito bene il fuoco» lo incoraggiò la ragazza.
Rick riprovò. E ancora e ancora. Ma il risultato era sempre lo stesso.
Era praticamente notte. E finalmente, dopo aver ripetuto “Pyr” per quella che doveva essere la centesima volta, un timido fuocherello si accese sulla punta del rametto.
«Bravissimo, ce l’hai fatta!» esclamò la ragazza, allegra.
Il ragazzo fece un mezzo sorriso. Era stanchissimo: la magia stava richiedendo il suo pagamento.
Quella sera non cercarono neppure una radura. Mentre il cavallo mangiava indisturbato (ancora!) i due ragazzi si stesero sul tappeto di foglie secche vicino al tronco caduto, esausti.
 
La mattina dopo, quando si svegliarono, si sentivano ancora molto stanchi, sebbene il sole fosse già alto nel cielo.
Camminavano, raccogliendo le poche bacche che crescevano in quella parte del bosco. Quel bosco che a un certo punto si diradò.
La prima cosa che i ragazzi notarono fu la roccia. Un’immensa parete di roccia che sembrava non avere fine, che arrivava fino al cielo.
Solo dopo si accorsero del tempio. Un tempio piuttosto grande, nero, addossato alla parete di roccia come un nero parassita. Cauti, si avvicinarono.
L’edificio era di quella che sembrava onice, di colore nero. Aveva tre guglie, quella centrale era più alta delle altre. Al centro, un rosone color sangue.
Un’iscrizione fiammeggiante in una lingua sconosciuta sovrastava la grande porta nera.
In hoc loco vindicta est”. Rick era perplesso; Yvaine sperava di aver capito male.
Erano giunti al tempio di Lilith.
Il ragazzo si fece coraggio, aprì la porta ed entrò, lasciano Orin lì vicino.
L’interno era piuttosto buio, illuminato solo da alcune candele che rendevano l’ambiente ancora più spettrale. Il tempio era diviso in tre navate da enormi colonne che sembravano di marmo, nero come la notte, talmente grandi che ci sarebbero volute minimo due persone per abbracciarne una. Nelle navate laterali c’erano delle nicchie, tre sulla destra e quattro sulla sinistra. Yvaine andò a sinistra e Rick a destra.
Le nicchie contenevano delle statue. Rick le osservò bene.
La prima rappresentava una donna piuttosto robusta, che teneva un vassoio di carni tra le mani. Sulla guancia, lo scultore aveva inciso la parola Tysh. Gola.
Nella nicchia di mezzo c’era un’altra statua. Un’altra donna, anch’essa robusta, seduta comodamente su un trono intarsiato, con un abito lungo e un calice di vino in mano. Anche qui lo scultore aveva lasciato un segno: sul bracciolo del trono, l’incisione della parola Ralya. Accidia.
La terza statua aveva un aspetto strano. Una donna molo bella, in piedi con i pugni chiusi, più adirata che mai. Le sopracciglia aggrottate sembravano sorreggere l’incisione Bresth. Ira.
 
Yvaine osservò con attenzione le quattro nicchie che aveva di fronte. Ognuna conteneva una statua.
La prima rappresentava una donna bellissima. L’espressione massima della sensualità, dalle curve morbide e un abito voluttuoso. Uno sguardo seducente completava il tutto, insieme ad una parola, incisa sul petto: Asth. Lussuria.
La seconda nicchia racchiudeva una statua piuttosto curiosa. Sempre una donna, raffigurata di spalle, con la testa girata verso destra. Il suo sguardo sembrava quasi vivo, fiammeggiante. Sotto l’occhio destro, un’altra scritta: Eris. Invidia.
La terza statua rappresentava una donna davvero bella che sfoggiava ogni tipo di ricchezza. Gioielli preziosi, e un vestito tempestato di gemme. Sulla mano, poggiata vezzosamente sulla guancia, c’era una parola: Prim. Superbia.
L’ultima statua rappresentava sempre una donna, ma a differenza delle altre non era né giovane né bella. Era una vecchia raggrinzita, che indossava un mantello e teneva una lanterna nella mano. Il volto rugoso aveva un aspetto decadente. La lanterna recava l’incisione Shyn. Avarizia.
Yvaine trasalì. Le statue rappresentavano le Dee di cui sua madre le aveva parlato nella sua lettera. Le Dee del Peccato. E pensava che nell’altra navata ci fossero le altre tre. Attraversò il tempio, e quasi andò a sbattere contro Rick, che stava venendo di corsa da lei: anche lui aveva capito chi rappresentassero quelle statue.
Lentamente, si avvicinarono all’altare, anch’esso nero, probabilmente di marmo. E notarono qualcosa che prima non avevano notato.
Proprio dietro l’altare, c’era una statua gigantesca, bianca. Rappresentava una donna bellissima, con delle lunghe corna sul capo e un pugnale insanguinato nella mano. Il ghigno crudele sul suo volto era stato abilmente scolpito dall’autore, così preciso da essere quasi inquietante. Stavolta non c’era nessuna incisione. Era fin troppo chiaro il soggetto di quell’opera.
Lilith.
Sopraffatta dal terrore, Yvaine non sapeva fare altro che starsene lì a guardare. A guardare il suo peggior incubo davanti a lei.
«È così? È così che divento, quando lei mi possiede?» sussurrò.
«Be’, ecco… sì» rispose il ragazzo, quasi senza pensare.
A quelle parole, Yvaine si girò e corse via, via dal tempio, lontano da lei.
 
Rick non sapeva cosa fare. Perciò girò i tacchi e la inseguì. La pregò di fermarsi, ma sembrava non sentire nulla. Era rimasta annientata dal tempio, da quella statua.
 
Aveva paura, una paura folle. Il suo unico pensiero era fuggire. Finì di nuovo nel bosco. L’incontro con la radice sporgente di un grosso albero la fece inciampare, cadde. Piangeva, non si rialzava. Sentiva Rick vicino, cercava di consolarla, la stava abbracciando. Non capiva più niente.
 
Non sapeva cosa fare.
«Va tutto bene, tutto bene…» le disse, come se potesse servire a qualcosa. Sciolse il suo abbraccio solo quando sentì che aveva smesso di tremare.
«Ho paura. Ho paura. Ho paura» sussurrava la ragazza.
«Stai tranquilla, va tutto bene. Ci sono io con te. Non sei sola» le disse. «Te l’ho promesso, no? Che non ti avrei lasciata sola». In quel momento arrivò Orin, che sembrava quasi voler consolare Yvaine con il suo muso.
Il rumore di foglie smosse e rametti spezzati li riportò alla realtà. Non erano soli.
Un gruppetto di uomini uscì dal folto.
 

 
 
********
Angolo autrice
Rick: Ma che fai, ti interrompi così?
Yvaine: E poi, questo capitolo non è un po’ troppo lungo?
Autrice: Ma che vi siete coalizzati per caso? Volete smetterla con le critiche? E poi, il capitolo è un po’ lungo per farmi perdonare, visto che mi sento in ritardo…
 Sì, lo ammetto, sono in ritardo. Vi giuro che d’ora in poi aggiornerò una settimana sì e una no, va bene?
Adesso vi spiego perché questo ritardo.
Innanzitutto perché ho passato una settimana a casa con la febbre, e gli unici pensieri concreti che riuscivo a fare erano cose tipo “cibo” , “acqua”, “freddo”, “coperte”, “fazzoletto”, “termosifone”, et similia. Perciò, visto che riuscivo a malapena a pensare, non sono riuscita a scrivere niente. E per un’altra settimana non ha avuto tempo. Mi dispiace!
Ah, un’altra cosa: ve lo giuro, prima o poi riusciranno a uscire da questo dannato bosco!
Se va tutto bene, ci vediamo martedì 19. A prestoooo!
-Heart

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Capitolo 16
*** Capitolo Quindicesimo ***


                                                        Capitolo Quindicesimo – Terio

Terio sbuffò. Erano giorni che vagavano in quel maledetto bosco senza trovare traccia del covo dei ribelli: probabilmente la soffiata che avevano ricevuto era falsa. In fin dei conti, quanto può essere veritiera la testimonianza di un ribelle “pentito”? Forse era solo un modo per distrarlo così da allontanarlo da Aleero, la capitale. Quella capitale assalita, saccheggiata e distrutta dai ribelli che erano faticosamente riusciti a riconquistare.
Che inutile perdita di tempo, pensò irritato.
I suoi uomini apparivano irritati quanto lui, e si dispiacque di non poter fare niente tranne andare avanti: quel dannato bosco sembrava infinito.
Era trascorsa un’altra giornata totalmente priva di risultati, e Terio pensava davvero di non farcela più.
«Signore, non disperate. Vedrete che li staneremo, anche a costo di bruciare tutto il bosco. Vi auguro la buonanotte, signore» disse Vexan, il suo attendente.
«Preferirei risparmiare il bosco, ma buonanotte anche a te, Vexan» rispose con un sorriso tirato.
Da quando suo padre, il re, era morto e Aleero era stata attaccata, Terio non sorrideva più. A soli ventun anni si trovava a capo di un grande impero la cui unità era stata distrutta. La povertà aleggiava in ogni terra, i terreni sembravano ogni giorno più sterili, i bambini morivano. Il popolino era diviso tra coloro che passavano le giornate a pregare gli dèi di salvare Ennea, e coloro che dicevano che Ennea era già perduta. I nobili più spregevoli avevano voltato le spalle ed erano passati dalla parte dei ribelli; gli altri, dopo la riconquista di Aleero, avevano cercato rifugio nella città. Terio aveva accolto tutti, per tutti aveva avuto una parola di conforto, una pacca sulla spalla. Alcuni avevano cominciato a chiamarlo “il Benefattore”, altri “il Giusto”. Ma lui sentiva di non meritare nessuno di questi soprannomi.
I poveri erano ancora fuori, in balìa dei ribelli, e sapeva dei mercati degli schiavi. Una realtà con la quale Ennea non si era mai confrontata: di solito si diventava schiavi per debiti, o per cercare una condizione migliore sotto la protezione di un potente. Ma non c’erano mai stati mercati degli schiavi.
Con un sospiro, Terio si addormentò.
 
Al mattino, i suoi uomini stavano esaminando qualcosa sul terreno.
«Cosa succede, Vexan?»
«Tracce, signore. Fresche» disse l’attendente, visibilmente agitato.
«E allora seguiamole. In marcia, signori!».
Dopo parecchie ore di cammino, ancora non avevano trovato niente. Quelle tracce erano strane, non seguivano una traiettoria precisa, e spesso passavano dove erano già passate. Erano due tracce principali, insieme a quelle di qualcosa che sembrava un animale. Seguivano lo stesso percorso, per quanto strano e arzigogolato fosse.
Certo, bisognava controllare di continuo di seguire la via giusta, tuttavia il gruppo non si scoraggiò. Era qualcosa, un qualcosa che stavano cercando inutilmente da giorni, e adesso che l’avevano trovato non li avrebbe fermati niente e nessuno.
Due giorni dopo, erano ancora chini su quelle tracce. E improvvisamente sentirono un rumore diverso.
Qualcuno che gridava un nome, di continuo: «Yvaine!... Yvaine!»
Poi, qualcuno che singhiozzava. Molto vicino. Il gruppo si nascose dietro un cespuglio, cercando di capire cosa stesse succedendo.
Erano due giovani, un ragazzo e una ragazza, che furono presto raggiunti da un cavallo.
Non sembravano ribelli. Solo due ragazzi qualunque, che si trovavano per caso in un bosco.
Avevano appena scoperto di chi fossero le tracce che seguivano da due giorni.
Decisero di farsi vedere. Lentamente, sbucarono dagli alberi.
 
Rick e Yvaine osservarono con stupore il gruppo che gli era appena apparso davanti. In testa, un giovane, certamente più grande di loro, dai riccioli biondi e gli occhi di zaffiro. Accanto a lui un ometto basso e un po’ grassoccio dall’aria preoccupata.
Il giovane si avvicinò, e chiese loro: «Chi siete? Spie dei ribelli?»
Per un attimo, non risposero. Ma poi il ragazzo disse: «Siamo solo due cittadini che hanno cercato rifugio nel bosco. Io mi chiamo Rick, e lei è Yvaine, abbiamo sedici anni.  Non abbiamo fatto nulla di male. E ora, se posso, lei chi è?».
Il giovane si avvicinò e gli tese la mano. «Io sono Terio, il figlio di re Perk».
 
Quella sera, seduti vicino a un bel fuoco, i due ragazzi mangiarono il primo vero pasto dopo giorni di insipide radici: gli uomini di Terio avevano portato parecchie scorte di cibo, tra cui parecchia carne essiccata e frutta. I due mangiarono con una foga tale che il giovane chiese: «Ma da quant’è che non mangiate?»
«Non ne ho idea. Tanto tempo» disse Rick tra un boccone e l’altro.
I ragazzi scoprirono che il gruppo era lì alla ricerca di un covo dei ribelli.
«Ma probabilmente era un’informazione falsa. Abbiamo girato a vuoto per giorni».
«Be’, noi dovremmo aver fatto il giro di tutto il bosco, e vi assicuro che non c’è anima viva» aggiunse Yvaine, annuendo.
Ma poi Rick ricordò una cosa.
«Scusi se sono indiscreto…» iniziò, ma Terio lo interruppe: «Per favore, dammi del tu, in fondo siamo quasi coetanei!»
«Va bene. Scusa se sono indiscreto, ma…non ti eri dato alla fuga?» disse Rick, arrossendo. Si era ricordato di ciò che le aveva detto Ranja, quando li stavano portando al mercato.
Yvaine lo guardò con gli occhi come due piattini. È impazzito?, si chiese.
Il giovane si incupì.
«Quella è una storia che i ribelli hanno sparso tra il popolo per fargli perdere fiducia in me».
A disagio, Rick si scusò.
«Posso chiedervi come siete arrivati qui?» disse Terio, per cambiare argomento.
«Stavamo fuggendo dal mercato degli schiavi, ci siamo rifugiati nel bosco, e sono giorni che mangiamo solo disgustose radici. All’inizio non erano neppure tanto male, ma dopo un po’ stufano» disse Rick, alzando le spalle. «A proposito, i miei complimenti al cuoco. La miglior cena che faccio da giorni!» disse sorridendo.
«Vexan, il mio attendente, è praticamente l’unico del gruppo che sa cucinare».
Si coricarono. Terio disse loro: «Venite con noi. Tanto, il bosco non ha più nulla da offrire. Domani cercherò un modo per uscirne, dovessi girare in eterno».
«Be’, veramente io un’idea già l’avrei» sussurrò Yvaine tra sé.
 

 
 
******
Angolo autrice
Eeeccomi qui! In perfetto orario! Piaciuto il capitolo? Spero proprio di sì, perché è stato interessante scriverlo.
Spero di non avervi confuso, con questo nuovo personaggio, ma è da tanto che volevo entrasse in scena! E poi, forse riusciranno a uscire dal bosco! Siate felici u.u
Spero che le vacanze pasquali mi permettano di scrivere. Se va tutto bene, ci vediamo il 2 aprile. In caso contrario, il 9.
Alla prossima!
-Heart

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Capitolo 17
*** Capitolo Sedicesimo ***


                                                                             Capitolo Sedicesimo – In viaggio

Quando la mattina dopo si svegliarono, trovarono Yvaine già in piedi, indaffarata, che sembrava cercare di capire qualcosa, e scrutava il cielo.
«Cosa sta facendo?» chiese Terio a Rick, il quale rispose con un sincero «Non ne ho la minima idea».
Intorno a Yvaine si era formato un cerchio di uomini che la guardavano sbigottiti, mentre lei girava in tondo e guardava il cielo borbottando «No…non ci siamo, non è qui…dov’è?» .
Rick le si avvicinò piano.
«Senti, ma…cosa diavolo stai cercando?». La ragazza sussultò. Non si era accorta che gli altri si erano svegliati e la stavano fissando.
«Ah…ehm…» balbettò la ragazza, arrossendo lievemente.
Terio alzò un sopracciglio, tacendo una domanda.
«Ecco, io…Terio, mi dispiace di non avertelo detto ieri sera, ma…sono una maga, e conosco un modo più veloce per uscire dal bosco, piuttosto che girare alla cieca. E sto insegnando a Rick qualche magia, sotto sua richiesta» snocciolò lei, tenendo gli occhi bassi.
Al giovane si illuminarono gli occhi.
«Sei una maga? Puoi tirarci fuori da qui anche in questo esatto momento?» quasi sorrideva.
«Be’, non proprio…però conosco un modo per sapere che strada dobbiamo fare. È già qualcosa, no?» disse, accennando un sorrisetto furbo.
Rick era ammirato. «Come si fa? È come quando si prova ad accendere un fuoco?» chiese subito, immaginando già di provare quel nuovo incantesimo.   
«Rick, non puoi pensare di affrontare questo incantesimo adesso. È magia molto avanzata, anche se sembra una stupidaggine» lo ammonì la ragazza.
«Va bene…ma almeno posso sapere come si fa?»
 «D’accordo. Siccome nel nostro spirito ci sono vari elementi, oltre al fuoco, come acqua, aria, luce, terra, eccetera, devi pregare quello giusto. E per fare questo incantesimo, che richiede anche una non indifferente quantità di energia, devi pregare la luce per far sì che ti guidi nel buio. In questo caso, il bosco rappresenta le tenebre, e la luce ci indicherà la strada».
«Wow. Sembra complicato».
«E infatti lo è. Specie se sei in un bosco dove non si riesce a capire dove siano nord, sud, est e ovest» aggiunse sbuffando.
«Ma se non li hai nominati, i punti cardinali!» esclamò il giovane.
«Come pensi di trovare una direzione senza di essi, genio?» rispose piccata.
«Scusate…» disse all’improvviso Terio, «potreste far capire qualcosa anche a noi?»
Yvaine chiese a Terio dove fosse Aleero. Quello rispose che la città si trovava a sud.
E un pezzo del mosaico l’abbiamo messo a posto, pensò lei.
«Mi serve sapere dove è l’est – dove è sorta l’alba».
Vexan alzò la mano.
«L’alba è sorta di là» e indicò un punto alla sua destra «Lo so perché soffro di insonnia, e mi sono alzato presto».
Lo guardarono tutti stupiti. Yvaine fece un sorriso.
«Benissimo. Allora…»  la ragazza si chinò verso il punto indicato e posò i palmi a terra.
«Deíchny moi tò nóto» sussurrò. Lo ripeté finché dal suo indice destro non partì un raggio di luce azzurrina, che si perse nel fitto del bosco.
Sorrise. La luce aveva accolto la sua preghiera.
«Ora non ci resta altro da fare che seguire la via».
 
Anche con questo metodo, ci volle più di una settimana per uscire dal bosco. Ogni giorno Yvaine riattivava l’incantesimo, e sembrava sempre più pallida e stanca. Le ore di sonno non le facevano recuperare del tutto le energie.
Le ultime propaggini del bosco si estendevano davanti a loro. La luce azzurrina puntava dritto in quella direzione.
Si misero a correre. Correvano mentre la luce del sole si faceva più forte, fino a che li abbagliò completamente. Erano fuori.
 
La strada lastricata, le persone, i cartelli, il sole abbagliante. Nessuno sapeva esprimere quanto quelle cose gli fossero mancate. Certo, adesso li aspettava una lunga marcia.
«Siamo usciti a sud dal bosco. Non dobbiamo fare altro che proseguire dritti» disse la ragazza con un filo di voce, aggiungendo un sospiro liberatorio.
Per prima cosa si diressero verso un villaggio, visto che dovevano fare scorta di provviste. Ce ne erano vari nei paraggi, ma riuscirono a raggiungerne uno solo quando già era buio.
Presero quattro stanze alla locanda del villaggio. Il proprietario era stato molto gentile e li aveva accolti e sfamati, nonostante l’ora tarda.
Quando Rick e Yvaine entrarono nella stanza, scoprirono che c’era un solo grande letto.
«Non ti preoccupare» disse in fretta il ragazzo, rosso come un peperone. «io dormo sul pavimento».
«Va bene, se lo dici tu…» disse lei facendo spallucce, sebbene fosse parecchio sollevata.
                                                                           ***
Il giorno dopo andarono tutti insieme a comprare qualcosa per il viaggio. Per fortuna che Terio aveva pensato di portare parecchi soldi con sé.
Al mercato comprarono carne secca, formaggio, e quel poco di frutta e verdura che i campi riuscivano a dare. L’atmosfera era pesante e gli abitanti non avevano molta voglia di parlare. C’erano molti venditori che esponevano anche amuleti protettivi contro i ribelli. La compagnia era piuttosto stranita, fatta eccezione per Terio.
«Con i tempi che corrono, mi sarei stupito del contrario» disse.
Ripresero il cammino. Ci volle un’altra settimana per raggiungere la città.
Quando riuscirono ad entrare in città, Yvaine impallidì.
La strada lastricata, gli edifici eleganti, il palazzo. Le immagini che vedeva ora si sovrapponevano a ricordi. Quella stessa strada ricoperta di sangue,di cadaveri,di spade e di armi e di scudi e di tutto il resto.
Ora sapeva dove si era svegliata, quella volta. Ora sapeva dove si trovava, quando aveva trovato la lettera di sua madre. Lei aveva partecipato al sacco di Aleero.
 
Un tonfo proveniente da dietro fece voltare Rick e Terio. Yvaine era svenuta.

 
 
***
Angolo autrice
(se si può ancora definire così)
Yvaine: Ehi, ma è già la seconda volta che svengo! Perché sembro sempre così stupida??
Rick: Perché forse lo sei.
Terio: Ehm…è permesso? Si può? La porta era aperta…
Autrice: Oddio, ecco un altro scocciatore.
Terio: Ah… se disturbo me ne vado…*chiude la porta*
Autrice: Uno scocciatore piuttosto sveglio, direi. E ora, voi due, fuori!
*porta che sbatte*
Ehm, ciao a tutti! Scusate il ritardo non previsto. E scusate l’indecenza di questo capitolo, fa davvero schifo. Non ci ho messo la stessa passione che riservavo agli altri.
Il ritardo è giustificato dal fatto che le vacanze pasquali hanno avuto solo il nome di vacanze. Non ho avuto tempo di scrivere il capitolo, perciò l’ho scritto adesso (e ci ho messo anche poco…solo due ore).
Adesso devo scappare. Alla prossima!
-Heart
P.S: mi sono accorta di aver fatto un errore, parlando del tempio. Infatti nel prologo ho detto che le nicchie erano dietro la statua di Lilith, e quindi dietro l’altare, ma due capitoli fa ho scritto che erano nelle navate laterali… scusate tanto! 

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Capitolo 18
*** Capitolo Diciassettesimo (prima parte) ***


                                                         Capitolo Diciassettesimo – Aleero (parte 1): incontri

La sensazione di coltri morbide e pulite fu la prima cosa che Yvaine percepì. Subito dopo il suono indistinto di voci sconosciute raggiunse le sue orecchie, ma non riuscì a cogliere che una frase.
«Credo si sia svegliata» disse una voce.
Che cosa è successo? Si chiese mentalmente.
Aprì gli occhi. Qualcuno era chinato verso di lei, ma tutto era un turbinio confuso di colori, non riusciva a mettere a fuoco le cose. La luce le faceva male agli occhi; li richiuse, e, non sapendo né come né perché, si riassopì.
Quando si svegliò e riaprì gli occhi, la luce era diminuita, e scorse Rick seduto vicino a quella che doveva essere una finestra. Si vedeva che era preoccupato; tuttavia la sua espressione si addolcì non appena vide che Yvaine era sveglia.
«C-cosa è successo?» balbettò lei, mettendosi a sedere.
«Sei svenuta appena siamo arrivati in città, e Terio è stato così gentile da portarci al palazzo. Al momento sei nella stanza di sua sorella, che gentilmente ha offerto il suo aiuto e ha accettato la proposta del fratello. È molto simpatica, l’ho incontrata prima, e penso che andrete d’accordo» disse. Dopo alcuni istanti di silenzio, aggiunse: «Sono contento che tu stia bene. Mi hai fatto preoccupare».
Yvaine arrossì. Certo non era proprio gratificante sapere di aver fatto preoccupare qualcuno, ma si sentiva felice: forse che Rick tenesse a lei abbastanza da preoccuparsi per uno svenimento?
Una domestica entrò e, scusandosi dell’intromissione, comunicò a Rick che Terio aveva bisogno di parlare con lui.
Il ragazzo uscì insieme alla domestica, e Yvaine rimase da sola.
Rimuginò su ciò che era successo. Ripensò a Rick che si era preoccupato per lei, quando era svenuta come una stupida, e arrossì di nuovo. Lo avrebbe mai ringraziato abbastanza per tutto ciò che aveva fatto – e faceva tuttora – per lei? Che quella gratitudine, quell’affetto che provava per lui si stesse trasformando in qualcosa di diverso, più corposo, più grande e terribilmente  meraviglioso?
Scosse la testa. Basta con le fantasticherie, c’è altro a cui pensare. Ma anche volendolo con tutto il cuore, non riusciva a pensare ad altro che alla luminosità dei suoi occhi verdi.
Decise di alzarsi, e scoprì che quella stanza era piuttosto grande. Conteneva due letti, una cassapanca di legno, un tavolo sul quale erano poggiati un calamaio, una penna d’oca e svariati fogli di pergamena, e una finestra, da cui entrava la luce aranciata del tardo pomeriggio. Curiosa, la giovane prese un mano un paio di pergamene coperte da una scrittura fitta e disordinata, ma le sembrava assai poco carino e riconoscente farsi gli affari altrui, così mise a posto i fogli e decise di osservare meglio il paesaggio.
 La finestra era ampia, e da lì si aveva un’ottima visuale del giardino che si trovava sul retro del palazzo. Guardando attentamente, la ragazza riusciva a distinguere parecchie persone che passeggiavano, tra dame con abiti eleganti e uomini preoccupati dal passo frettoloso.
La porta scricchiolò e Yvaine si girò di scatto, mentre qualcuno entrava nella stanza.
Era una ragazza minuta, sui quattordici o quindici anni, che si avvicinò piano alla giovane.
Quest’ultima osservò con una discreta curiosità, tradita solo dalle sopracciglia leggermente sollevate in segno di sorpresa, la nuova arrivata.
Aveva gli occhi grandi, di un castano talmente chiaro che con la luce stemperava in un color ambra quasi innaturale. Il naso era un po’ all’insù, punteggiato da migliaia di efelidi che si estendevano fin sulle guance. I capelli, ricci e biondi come quelli di Terio, solo un po’ più lunghi, le davano un’aria sbarazzina, tenera e dispettosa nello stesso momento. Chissà perché, Yvaine sentì un nodo nello stomaco, e quella sensazione la lasciava un po’ confusa. Senza saperne il motivo, in testa le lampeggiava una sola parola: rivale.
Macché rivale e rivale, ti stai solo autosuggestionando. Non sai neppure come si chiama!
«Oh, allora ti sei svegliata. Meno male, mio fratello si stava preoccupando» disse quella, con un tono sorpreso nella voce che alle orecchie di Yvaine parve quasi scherzoso e canzonatorio. Ma accorgendosi di quello che aveva appena detto, subito chiese:
«Lei è la sorella di Terio?».
Lei sorrise. «Sì. Mi chiamo Alysia, e penso che saremo “compagne di stanza” per un po’» disse.
«Ah, giusto» ricordò improvvisamente Yvaine «Le sono infinitamente grata per ciò che ha fatto – e che sta facendo – per me, anche se a malapena mi conosce. Sono Yvaine» concluse, e le tese la mano.
L’altra la strinse con piacere, sempre sorridendo, anche se poi disse: «Lo so, Terio mi ha parlato molto di te. E per favore, dammi del tu».
Lei arrossì. Cosa le aveva detto riguardo a lei? Dopotutto, non si conoscevano molto bene!
«Se te lo stai chiedendo, mi ha detto che sei una maga, e di grande talento» disse in risposta ai suoi pensieri, e sorrise. Yvaine notò che lo faceva spesso.
Il nodo nel suo stomaco andava via via allentandosi. Forse la prima impressione non è sempre quella giusta, pensò.
«Mi sono dimenticata di dirti che di là c’è una stanza da bagno. Se ti fa piacere, puoi usarla: basta che me lo dici, e dirò a una domestica di preparare l’acqua calda» disse Alysia all’improvviso.
L’altra ci pensò su per un attimo. In effetti, non le sembrava affatto una cattiva idea, considerando il suo attuale stato di pulizia.
«Va bene, mi piacerebbe molto. Però non ho altri vestiti…»
«Non preoccuparti, te ne presterò uno mio. Vado a chiamare la domestica» disse lei, sempre sorridendo, e uscì dalla stanza.
Yvaine si lasciò scappare un sorriso. Che brava persona! Fare così tanto per una sconosciuta…
L’iniziale sensazione di scarsa simpatia che aveva provato stava svanendo, lasciando il posto alla gratitudine.
Circa venti minuti dopo, immersa nell’acqua calda, la ragazza rimuginava su un pensiero che non la abbandonava da un bel po’.
Che cosa penserebbero di me, se venissero a sapere di Lilith? Che cosa succederebbe, se venissero a sapere che ho partecipato al massacro della loro famiglia? Che anch’io ho invaso Aleero, che ho ucciso centinaia di persone?
Sprofondò in pensieri cupi, tanto che dopo un po’ le girava la testa.
Il vestito che Alysia le aveva lasciato era davvero bello. Color blu notte, semplice, senza fronzoli o ornamenti inutili, era di cotone.
Dopo averlo indossato, tornò nella stanza, dove sapeva che la domestica la stava aspettando, e le chiese come potersi asciugare i capelli. Quella, dopo averle risposto, e averle asciugato i capelli, la aiutò ad acconciarli in una semplice mezza coda; poi, raccomandandole di scendere per la cena, che si sarebbe tenuta venti minuti dopo, se ne andò, lasciandola sola. Yvaine si accorse che vicino alla cassapanca c’era uno specchio. Incuriosita, la ragazza osservò il suo riflesso, e arrossì nel chiedersi se, vestita così, Rick avrebbe pensato che fosse bella. Non era mai stato vanitosa o narcisista, ma quella sera si trovava molto carina. E se lui lo avesse notato, beh… sarebbe stata la persona più felice del mondo. È bello sentirsi speciali per qualcuno, che si tratti di bellezza o altro.
Ma non fu sola per molto: dopo pochissimo tempo Alysia l’aveva raggiunta, le aveva chiesto se il vestito le andasse bene, e se poteva aiutarla a sceglierne uno. Stupita di quella richiesta, la ragazza acconsentì.
Alysia aprì la cassapanca che c’era nella stanza, e con grande sorpresa Yvaine scoprì che non conteneva cambi di lenzuola o comunque biancheria, come pensava, ma vestiti ripiegati con cura.
«Senti Alysia, se non sono indiscreta… quanti anni hai?» chiese.
«Quindici il prossimo settembre» rispose, tirando fuori un bel vestito color ambra dal mobile.
«Che ne dici di questo?» aggiunse, dopo averlo osservato bene.
«Penso che vada benissimo, visto che somiglia molto al colore dei tuoi occhi» rispose quella con un sorriso.
«Lo pensi davvero? Allora vado a cambiarmi!» e Alysia sparì dietro un paravento.
Yvaine aveva la curiosa sensazione che si prova quando si fa amicizia con qualcuno.
 
All’ora di cena, le due ragazze scesero le scale fin ad arrivare ad una sala da pranzo piuttosto grande. Vi erano molti tavoli e tantissime altre persone; tuttavia Terio aveva preferito mangiare con i suoi due nuovi ospiti, e qualche altro nobile.
«Ciao, fratellone! E buonasera, Rick» disse Alysia, sorridente, mentre un vago rossore le si spandeva sulle guance. Yvaine se ne accorse subito, e di nuovo il nodo nello stomaco si strinse, facendo tornare quella iniziale sensazione di antipatia. Rick è mio! si ritrovò a pensare, aggrottando le sopracciglia per un attimo. Ma poi si distese: non poteva certo fare brutta figura adesso!
«Ciao, Rick. Buonasera, Terio» disse, prendendo in esempio il saluto dell’altra e facendo un piccolo inchino.
«Buonasera. Sedetevi pure, e basta con tutti questi convenevoli: non sono vecchio, e ritengo che non siano necessari» disse Terio sorridendo leggermente.
Rick non rispose, e accennò un sorriso. Riusciva solo a pensare quanto quel vestito blu mettesse in risalto gli occhi azzurri di Yvaine. Era rimasto incantato. Non riusciva quasi a paragonare la Yvaine che aveva davanti con quella che aveva incontrato sperduta nel bosco, piena di ferite e con foglie e rametti attaccati ai capelli rossi. Quella sera non c’erano più né foglie né rametti, e l’acconciatura le lasciava scoperti i lineamenti delicati del viso. In quella circostanza, per Rick quella ragazza era più bella della luna piena che c’era fuori. Certo, non era al pari della sua amata Masia… ma non voleva perdersi in ricordi dolorosi. Piuttosto si concentrò nella ragazza che aveva davanti, e si accorse che la stava fissando solo quando le guance di lei si tinsero di un bel rosso acceso, che la rendeva ancora più carina. Il ragazzo arrossì a sua volta.
Ma guardati, la fuori c’è una guerra e tu pensi a quanto è carina la ragazza che ti sta seduta di fronte! Lo ammonì una voce nella sua testa. Non era la stessa voce delle altre volte, era una voce diversa, una sorta di alter ego, abbastanza fastidioso.
Ma ho sedici anni, mi pare giusto e anche normale provare attrazione per una ragazza!
Pronto, hai capito quello che ho detto? Dovresti tirare fuori la tua dignità di uomo e andare a combattere, altro che pensare alle ragazze!
Ma senti tu quello che dico io! Ho sedici anni! Anche con la situazione che c’è, posso permettermi di rilassarmi per una sera!
Fai come ti pare, io ti ho detto quello che dovresti fare.
Il ragazzo si riscosse. Meglio distrarsi, o sarebbe impazzito.
Osservò attentamente la sorella di Terio. Si assomigliavano parecchio, e anche lei aveva un viso piuttosto grazioso, con quel naso un po’ all’insù e le lentiggini. I magnetici occhi d’ambra facevano uno strano contrasto con il suo viso, un po’ rotondo, da bambina. Non ci aveva fatto caso, prima, quando l’aveva incontrata.
«Sono contento che ti sia ripresa, Yvaine. Anche se Rick me lo aveva detto, è sempre un piacere vedere una persona che sta bene» disse Terio, facendo l’occhiolino alla giovane. L’altra arrossì più che mai.
La vuoi smettere di arrossire, o ti diverti a fare figure barbine come questa?e si diede mentalmente della sciocca.
Notò che Alysia era sempre molto rossa, quando si rivolgeva a Rick. E non le faceva affatto piacere. Le ribolliva qualcosa in fondo allo stomaco, un sentimento piuttosto sgradevole e sgradito, a differenza di un altro, molto più soffuso e dolce.
Sentiva di dover mettere le cose in chiaro. Ma non voleva. Dopotutto Alysia era una ragazza molto dolce, l’aveva aiutata: doveva ringraziarla, altro che essere gelosa. Perché sì, aveva capito che quella brutta sensazione era solo… gelosia.
Ma figuriamoci, non sono mica gelosa! pensò.
Come no, dalla a bere a qualcun altro. Un’altra voce rispose al suo stesso pensiero.
Ma mi ci vedi, a essere gelosa? Non scherziamo! È una stupidaggine!
Ti conosco, lo sai di essere gelosa. Ammettilo, dillo che non ti farebbe affatto piacere se Rick ricambiasse le sue attenzioni! E che vorresti che ricambiasse le tue.
Ma figurati! Non è mica una rivale…
Ecco, vedi? L’hai appena ammesso!
«Allora?»
Yvaine sobbalzò. Era talmente presa dal suo assurdo dialogo interiore che non si era accorta che Terio stava parlando con lei.
«La cena è un po’ povera, lo so» disse come se volesse scusarsi della minestra di fagioli che era stata servita a tutti gli ospiti.
«Oh, ma non ti preoccupare, è deliziosa. Ti ricordo che per un sacco di tempo io e Rick siamo andati avanti mangiando radici!» rispose lei.
«A proposito…» disse Rick «era da un po’ che volevo chiedertelo. Ma perché quell’incantesimo per uscire dal bosco non lo hai fatto prima?» domanda più che lecita.
«Perché non mi era mai venuto in mente» disse con sincerità.
«Posso fare anch’io una domanda, se non sono indiscreto?» disse Terio. «Yvaine, perché quando vi abbiamo trovati, tu stavi piangendo?».
«Oh. Ecco, è una storia lunga, e sinceramente non ho molta voglia di raccontarla». Sia lei che Rick impallidirono leggermente e abbassarono lo sguardo.
Il resto della serata passò così. Tra una chiacchiera e l’altra, furono raggiunti da Vexan, che li salutò un po’ impacciato, e Terio fece conoscere a Yvaine e Rick gli altri commensali.
Quando tornarono nella loro stanza, Alysia era raggiante. Si vedeva dal modo in cui sorrideva e le brillavano gli occhi.
Mentre si cambiavano, la ragazza non faceva che ripetere le stesse parole.
«Oh, quanto è bello! Ed è così gentile! Hai visto che occhi meravigliosi che ha, Yvaine? Sono così verdi, così puri! Oh…» e accompagnava il tutto con dei gran sospiri.
Ecco che ci mancava, la ragazzina innamorata! Pensò amaramente Yvaine. Poi si riscosse, scacciando quel brutto pensiero, e, mentre si infilava la camicia da notte che le era stata gentilmente prestata, si concentrò sull’altra, che continuava a parlare.
«Sarebbe bellissimo…» cominciò quella, ma non finì la frase, che subito arrossì.
Smorfie involontarie smascheravano lo stato d’animo di Yvaine. Poi però un minuscolo, piccolo pensiero le fece spuntare un sorrisetto trionfante e soddisfatto.
Puoi pensare quello che vuoi, ma io l’ho baciato.
Era incosciente, stava dormendo. Non penso che valga.
Era comunque un bacio.
La ragazza fece sparire quell’espressione dalla faccia.
«Pensi che io abbia qualche speranza, Yvaine?» continuò l’altra, non accorgendosi dei continui cambiamenti facciali dell’amica. Quest’ultima cercò di fare un sorriso incoraggiante, ma non le dovette riuscire molto bene, perché il sorriso di Alysia sparì.
«Piace anche a te?» chiese a bruciapelo.
«Ah…ecco… no, vedi io…» balbettò qualcosa a mezza voce.
«Non mentire, Yvaine. So riconoscere le bugie, quando le vedo. Basta che vedi i miei occhi, per capire che non sono normale».
Yvaine non capiva. Che intendeva dire?  
«Concentrati sui miei occhi, e capirai» disse con un sorriso triste.
La giovane si concentrò, chiudendo gli occhi. Un’energia potentissima veniva dagli occhi della ragazzina. Le era stato imposto un sigillo.
Sgomenta, riaprì gli occhi.
«Cosa è successo? Chi è stato?»
«Io…non lo so. Sono nata così. Riesco a capire se qualcuno sta mentendo, e a volte riesco anche a capire cosa pensa. Io stessa non posso mentire».
«Mi dispiace» non sapeva cosa altro dire.
«Be’, non è così brutto. Almeno riesco a capire le persone sincere». Chiuse un attimo gli occhi. Quando li riaprì, era tornata la solita Alysia.
«Torniamo a noi: quindi ti piace Rick?»
«Ehm…un pochino… va bene, tanto» sbuffò quasi, al pensiero di non poter negare nulla.
«Pensi di piacergli?»
«Non lo so… non oso neppure pensarci, figuriamoci se potrei chiederglielo!»
«Se dici così, vuol dire che vorresti potergli chiedere una cosa del genere. Ma credimi, e sai che puoi fidarti: non hai idea di come ti stesse guardando, a cena»
«Cosa? Mi stava guardando?»
«Oh, sì. E neanche poco». «Piuttosto, Terio mi ha detto che siete rimasti nel bosco per un sacco di tempo. Eravate soli, in un bosco sperduto dove non va mai nessuno… che cosa avete fatto?» disse, con un lampo di malizia negli occhi d’ambra.
Yvaine avvampò e sgranò gli occhi.
«Ma cosa dici, Alysia! Non è vero! Non abbiamo fatto niente!» Strinse le labbra.
La bionda strinse gli occhi.
«Non me la racconti giusta. Qualcosa mi dice che non mi stai dicendo tutto. È successo qualcosa».
L’altra si rassegnò. Non si poteva mentire a quegli occhi d’ambra; e così gli raccontò di quella sera, mentre sentiva le guance infiammarsi.
«Lo hai baciato?!» esclamò quella, portandosi immediatamente le mani alla bocca, un po’ perché le sembrava di aver urlato, un po’ perché era scioccante.
«Zitta, ti scongiuro. Non dirlo a nessuno!» sussurrò Yvaine.
«Non lo dirò a nessuno» sussurrò l’altra, togliendosi le mani dalla bocca. «Ma devi ammettere anche tu che è stato un gesto strano».
Yvaine si sentiva leggermente offesa.
«È stato istintivo. Meccanico, capisci?». Poi aggiunse: «L’ho solo sfiorato. Ma ho sentito che ogni cosa andava al suo posto, era tutto così perfetto e giusto. È stata una sensazione meravigliosa»
«Peccato che dormiva, però. Magari, se si fosse svegliato, avreste potuto approfondire la cosa…» aggiunse lei, sempre maliziosa.
«Oh, insomma, Alysia! Smettila! E andiamo a dormire, che è tardi» disse sbrigativa, sventolandosi il volto rovente con le mani.
«Buonanotte»
Yvaine sorrise nel buio. Era divertente parlare di ragazzi, a notte fonda, come due ragazze normali,  chiudendo tutto il resto fuori. Lilith, ribelli, battaglie: basta. Non le importava, in quel momento.
Piano, si assopì.
 
Nella stanzetta che Terio gli aveva assegnato, Rick pensava. Pensava a tutto quello che era successo, che stava succedendo. Pensò a sua madre. Pensò a suo padre. Pensò ai suoi amici. Pensò a Masia, ma non provava più alcun dolore, pensando a lei. Era solo un bel ricordo. Soffriva per la sua morte, ma nello stesso modo in cui soffriva per quella di suo padre, o di sua madre. Pensò a Yvaine, a quanto fosse cambiata. Da ragazzina sperduta a ragazza forte come una roccia, potente e bellissima.
Forse non è proprio giusto paragonarla ad una roccia, pensò.
Già, le rocce non sono così sensuali…l’alter ego nella sua mente concordava, ma Rick scacciò quel pensiero arrossendo.
Guarda in faccia la realtà, Rick. Hai visto a cena, come chiacchierava e rideva con Terio.Rassegnati, lui è un re, tu un contadino, è una battaglia persa in partenza.
Il ragazzo affondò la testa nel cuscino, che era stoffa riempita di foglie, tali erano le assurdità che stava pensando. 
Immagina la scena…disse quella vocetta suadente e insopportabile contemporaneamente.
Yvaine e Terio…
No, no. Rick affondò la faccia ancora di più nel cuscino, tanto che le foglie scricchiolarono.
…che si tengono per mano, e lui le chiede di sposarla…
Basta, basta.
…e Yvaine sorride, accettando la sua proposta…
Il ragazzo sferrò un pugno al cuscino, che emise un rumore sinistro.
La voce tacque. Lui sospirò, sollevato.
Altro che battaglie perse e proposte di matrimonio,qui bisogna solo dormire!pensò, e chiuse gli occhi.
 
 

 
****
Angolo autrice
Niente da fare, va spezzato.
Rick: Potevi spezzarlo prima.
Yvaine: Ha ragione.
Terio: Concordo pienamente.
Alysia: Io sto dalla parte di mio fratello.
Autrice: Ma vi siete coalizzati per caso? Siete insopportabili! E uscite dal mio studio, per favore. Sono in ritardo, non potrei sopportare ancora di vedere le vostre facce.
Tutti: Ma sentitela, questa sbruffona! È grazie a noi se ancora pubblichi qualcosa!
Autrice: Ma state zitti, e andate via! Chiudete pure la porta, visto che ci siete.
Okay, lo ammetto sono in ritardo. Spero che BreakinCrystal97 rinunci all’idea di uccidermi, dopo aver letto questo capitolo.
È enorme. Mastodontico. Ci ho lavorato per ore. Ditemi che non vi siete annoiati, perché io mi sono divertita come non mai. È stato divertente…
Gavroche: Do you hear the people sing? Singing the song of angry men…
Autrice: Oh, piccolo, adorabile Gavroche! Tu puoi rimanere nel mio studio… puoi anche cantare, se vuoi!
Gavroche: It is the music of a people who will not be slaves again!
Autrice: Bene.
Dicevo, è stato divertente. Spassoso. Prometto, il prossimo sarà più serio (sì, come no…).
Spero davvero che non pensiate che sia banale, perché (vista la piattezza emotiva dello scorso capitolo) volevo dare un po’ di spessore. E volevo farli vivere come dei normalissimi sedicenni.
Apprezzerete questa mia scelta? Spero di sì. Ma se avete qualcosa da dire, ditela, non fatevi scrupoli, non mi offendo e non offenderò voi.
Ah, e Gavroche è un personaggio dei Miserabili di Victor Hugo. Qui l’ho inserito mentre canta la canzone del film Lés Misérables. Giusto per info.
Okay, io vado a rintanarmi in un angolino, in attesa degli insulti.
Alla prossima!
-Heart 

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Capitolo 19
*** Capitolo Diciassettesimo (seconda parte) ***


                           Capitolo Diciassettesimo – Aleero (parte due): decisione
 
Quella mattina Yvaine si sentiva talmente bene che le sembrava impossibile che qualcosa andasse storto. Si era alzata presto, dovevano essere circa le sei, e Alysia dormiva ancora. Mentre aspettava che si svegliasse, cominciò di nuovo a fantasticare. Ma sapeva bene che le sue sarebbero rimaste solo fantasie.
Era passata circa mezz’ora da quando si era svegliata che la solita domestica (che ormai Yvaine aveva identificato come l’ancella di Alysia) entrò nella stanza a svegliare la sua signora.
Insieme, Yvaine e Alysia si prepararono per scendere a mangiare qualcosa; e Yvaine si fece dare dei semplici pantaloni di pelle e una casacca, anziché un vestito.
«Sicura di non volere nulla di più… femminile?» le chiese Alysia, facendole l’occhiolino.
«No, fidati, è meglio così. Mi sento più a mio agio» rispose l’altra, arrossendo.
Fecero colazione insieme agli altri, mentre Rick e Terio parlavano fitto di chissà che cosa.
Finita la colazione, gli ospiti si dispersero. Chi andava in giardino, chi tornava nella propria stanza, chi faceva una passeggiata in città, chi cercava di trascinare via Terio per parlare di strategie militari. Anche Yvaine si alzò, con la chiara intenzione di uscire dal palazzo: non vedeva l’ora di fare un giretto per Aleero. Dopotutto, essendo svenuta non appena era entrata in città, non aveva avuto modo neppure di vedere l’esterno del palazzo. E proprio non le andava di scavare tra i suoi ricordi alla ricerca dell’Aleero che aveva visto lei un sacco di tempo prima.
«Dove vai?» le chiese Rick.
«A fare una passeggiata. Alysia, vieni con me?»
«Non posso, ho da fare» rispose subito la ragazza. Poi aggiunse, con uno scintillio negli occhi d’ambra: «Rick, perché non la accompagni tu? Dopotutto sei già stato in città, puoi farle da guida. L’importante è che non usciate dalle mura, perché è pericoloso».
Il cuore di Yvaine fece un balzo. Che cosa stava dicendo, quell’incosciente?
Di’ di no, per favore, di’ di no…
«Certo, mi piacerebbe molto. Anch’io ho bisogno di cambiare aria». E rivolgendosi a Yvaine, aggiunse: «Dammi cinque minuti, vado a prendere una cosa e torno», e salì in fretta le scale.
Infuriata, Yvaine si volse verso l’amica.
«Mi avevi detto che non potevi mentire! Ti stai prendendo gioco di me!»
«Non essere ridicola. Ho davvero da fare, devo fare una ricerca in biblioteca. E poi ti sto aiutando. Se fai la brava, stasera ti ci porto, e ti faccio vedere tutti i libri di magia che abbiamo»
Scacco matto. Bastava una promessa del genere per convincere Yvaine.
«E va bene. Ma mi sento così in imbarazzo! Starò sola con lui tutto il giorno!».
L’altra sollevò leggermente un sopracciglio, guardandola in modo strano.
«Yvaine, sei rimasta sola con lui per un sacco di tempo. È inutile farsi scrupoli adesso, non credi? E poi, cosa ci sarebbe di diverso?».
Contro quell’espressione da smettila-di-dire-stupidaggini Yvaine non sapeva cosa dire. In realtà non ne ebbe il tempo, visto che Rick la raggiunse proprio in quel momento, con un tascapane a tracolla.
«Allora, andiamo?».
Yvaine annuì.
 
Uscirono dalla porta principale, attraversando un vialetto di ghiaia. Yvaine osservò meglio il palazzo, adesso che ne aveva la possibilità.
La struttura era enorme e irregolare, di pietra. Dal cancello, oltre al vialetto di ghiaia, partiva un altro viale alberato che sicuramente conduceva ai giardini, sul retro, visto che girava intorno all’angolo del palazzo. L’edificio era costellato di finestre e balconi, sui quali crescevano numerosi rampicanti. In fondo si intravedeva un’enorme stalla. Yvaine si chiese che genere di creature dovessero tenere lì dentro, visto che nessun cavallo aveva bisogno di stalle così grandi.
I due giovani cominciarono a camminare, seguendo il vociare confuso che anima le città sin dalla mattina. Per di più era giorno di mercato, e il mercato di Aleero era il più grande di tutta Ennea.
La strada era molto larga. Carri e cavalli passavano in continuazione, preda dell’agitazione generale per il mercato. Yvaine decise che ci sarebbe passata più tardi.
Mentre camminavano, Rick le raccontò la storia di Aleero, la stessa che il giorno prima gli aveva raccontato Terio.
«Sai cosa vuol dire “Aleero”?» le chiese.
«No».
«Nell’antica lingua – non quella dei maghi, ma in quella ancora più antica che risale alla Nascita del Cosmo – la parola “Aleero” significa “oro”. Sai perché si chiama così?»
La ragazza scosse la testa.
«La leggenda dice che tanto tempo fa, durante la Nascita del Cosmo, qui sorgesse una città magnifica. Una città benedetta dagli dèi, completamente d’oro. I palazzi erano d’oro, i muri erano d’oro. Gli uomini la chiamarono Aleero. Poi la città fu rasa al suolo, completamente, per colpa di una guerra: tutti volevano impossessarsi della città d’oro. Gli dèi la ripudiarono, perché gli umani avevano ridotto a un cumulo di macerie la loro migliore creazione. Dopo molti anni si ricostruì una nuova città, Fareh, ma alla morte del re il suo successore volle che la città si riprendesse il suo antico nome. Nome che è rimasto in queste lande, sebbene lo splendore di quella città arcana sia andato perduto».
Yvaine si riscosse. Era rimasta affascinata, non riusciva a pensare ad altro che a camminare e ascoltare la storia di quella città un po’ velata di malinconia. Mentre camminavano, Rick le indicava gli edifici e i monumenti.
«Guarda, lì c’è la Guardia cittadina, l’accademia militare dove insegnano a combattere… Lì c’è un monumento in onore di re Delios, il predecessore di Perk… lì c’è il tempio di Ekateh e Gavhi,  il dio del raccolto e la dea del commercio, anche se è stato danneggiato dalla guerra e ora lo stanno riparando… e ovviamente la fucina di Soruk. È il miglior armaiolo di Ennea, le sue armi sono strumenti eccezionali, vere e proprie opere d’arte».
La ragazza osservava tutto, meravigliata dalla città. Adesso capiva perché le fosse rimasto il nome “oro”. Quel posto era un vero tesoro, per quanto era bello. Inorridiva al pensiero di aver partecipato alla sua distruzione. Quando arrivarono alla piazza del mercato, rimasero ad occhi sbarrati.
Era gremita di gente; la fila di bancarelle si prolungava per tutta la via che continuava dietro di essa.
C’erano oggetti portafortuna, frutta, verdura, stoffe, altri prodotti alimentari e spezie a non finire. Yvaine rimase ad osservare in particolare modo un vecchio con un banchetto pieno di gioielli e pietre preziose. Il blu stupefacente di un lapislazzulo e il verde puro di uno smeraldo, accostati, facevano un bell’effetto. Rimase incantata a guardare il luccichio di un rubino, il viola dell’ametista, il delicato arancione del topazio, l’ambra imprigionatrice, il giallo del quarzo citrino. Le pietre preziose importanti quasi come le pietre runiche, pietre che, se usate con perizia, erano in grado di sprigionare un potere immenso. Ma questo era noto solo ai maghi, e neppure a tutti.
La ragazza non si era neppure accorta, incantata com’era, che Rick era andato avanti. E Rick non si era accorto di averla lasciata indietro, almeno fino a che non provò a parlarle, scoprendo con orrore che non era lì con lui. Tornò indietro, chiamandola a gran voce, cercando di sovrastare il chiasso della strada. Quando la trovò, imbambolata davanti a un banchetto di gioielli, si sentiva arrabbiato e sollevato al tempo stesso.
«Yvaine, ti ho cercata dappertutto! Mi hai fatto morire di angoscia!»
«Ah… scusa, ma mi ero incantata…». Si sentì avvampare di vergogna, lasciarsi incantare così da sette pietre!
«Bene, l’importante è che non ti sia successo niente di male, no?». Rick si sforzò di sorridere, o per lo meno ci provò. Si rendeva conto che la stava aggredendo, e davvero non voleva.
Insieme girovagarono per il mercato. L’ora di pranzo era passata da un pezzo, e comprarono uno spuntino a un banchetto di dolci: infatti Terio aveva donato al ragazzo qualche soldo con queste parole: “se vai al mercato di Aleero senza comprare niente, hai sprecato una giornata”. Era un detto piuttosto ricorrente, in città, e il ragazzo non lo aveva ben compreso finché non era giunto lì.
Guardando le bancarelle di stoffe, Rick ricordò quella di sua madre, quando c’era la fiera, sempre piena di donne che elogiavano la bellezza e la resistenza del tessuto. Si sentì sopraffatto dalla nostalgia, e realizzò che di lei non aveva altro che il ricordo. Non avrebbe più sentito il profumo della sua zuppa. Non avrebbe più visto le rughe che le si formavano agli angoli degli occhi quando sorrideva. Non avrebbe più potuto stare a guardarla mentre lavorava al telaio, mentre intrecciava trama e ordito per creare i suoi capolavori. Non c’era più, semplicemente. Non aveva neppure potuto seppellirla.
Si sentì pizzicare gli occhi, ma fece di tutto per non piangere. Neppure una lacrima. Non in quel posto, davanti a tutta quella gente. Non dopo la decisione che aveva preso.
Guardò Yvaine.
«Mi sento confuso. Andiamo via, voglio farti vedere un posto». La prese per mano e si allontanarono dalla piazza, attraverso i vicoli della città.
 
Yvaine era confusa. Cosa significava tutto quello che stava succedendo? Perché Rick era così strano? Tuttavia non riusciva a darsi delle risposte, ma riusciva solo a pensare a una cosa.
Mi ha presa per mano.
Mi ha presa per mano.
Mi ha presa per mano.
Sentiva di poter scoppiare di felicità, anche se era preoccupata.
Attraverso i vicoli della città, giunsero su una sorta di terrazza. Affacciandosi dalla ringhiera di ferro battuto, c’era il vuoto, il bianco della spiaggia. A inquadrare il tutto, il sole aranciato del tramonto che si tuffava nel mare blu, all’orizzonte. Uno spettacolo mozzafiato.
«Fantastico. Mi avevano solo parlato della bellezza di questo posto al tramonto, ma non immaginavo fosse così. A mezzodì dà tutto un altro effetto», disse Rick.
Yvaine assaporò a fondo l’odore della salsedine.
«Che posto è questo? È bellissimo!».
«Si chiama belvedere. Ci si può godere il panorama, da qui».
Il ragazzo le si avvicinò.
«Yvaine, devo dirti una cosa. Una cosa importante, che non voglio tenerti nascosta». Le prese le mani tra le sue. La ragazza sentì il cuore batterle talmente forte che temeva sarebbe esploso.
«Ho preso una decisione». La guardava fisso negli occhi, e Yvaine percepì una cosa, nella mente. Quel ragazzo aveva smesso di avere paura. Di cosa avesse avuto paura, Yvaine non lo sapeva.
«Ho deciso di partire. Vado al fronte, a combattere con l’esercito. Ho chiesto a Terio se potessi aggregarmi, e mi ha risposto di sì».
Dapprima, Yvaine non percepì niente. Il nulla assoluto. Poi, il mondo le si sgretolò sotto ai piedi.
«Come… come sarebbe a dire, al fronte? Dov’è il fronte? Tu non sai combattere, Rick!». Dovette sforzarsi di non urlare, di non piangere. Di non crollare.
«L’accampamento è a circa ottanta miglia a nord di Aleero. Abbiamo ricevuto una soffiata su un attacco dei ribelli. Possiamo fermarli. Possiamo prenderli. E comunque, mi allenerò duramente. Imparerò a combattere».
«Non…non puoi… non puoi partire. Non lo farai davvero…» le girava la testa. Dovette aggrapparsi alla ringhiera con tutte le sue forze, per non cadere.
«Tu non puoi capire, Yvaine. Non puoi capire com’è sognare ogni notte i tuoi genitori in punto di morte, rivedere quella scena, e renderti conto che sei scappato come un vigliacco! Non puoi capirlo, Yvaine! Non puoi! Io devo andare lì!». Quasi senza accorgersene, stava alzando la voce.
«Lo sai che non sei fuggito per vigliaccheria. Era l’ultimo desiderio di tuo padre. Saresti morto, se non fossi fuggito». La voce le morì in gola.
«Forse era meglio morire, piuttosto che scappare. E adesso ho l’occasione per sdebitarmi. Sarò libero dal senso di colpa. Devo partire, che tu lo capisca o no».
Adesso Yvaine cominciava ad arrabbiarsi. Una rabbia nuova, una rabbia incredibile.
«Io non capisco?  Io non posso capirti? Tu non sai che cosa passo io ogni notte! Tu non sai che cosa vedo io ogni notte! Non sai com’è vedere i volti di persone che non conosci ma che hai ucciso, per colpa dell’amarezza di tua madre! Per colpa di uno stupido rito, io sono costretta a rimpiangere persone che non ho mai visto! Non puoi capire tu com’è vedere ogni notte città e villaggi in un lago di sangue, pieni di persone trucidate a morte da questo spirito nefasto che ho dentro!». Stava urlando, e le lacrime le scorrevano inarrestabili lungo le guance. Stava rivelando cose che non avrebbe mai e poi mai rivelato neppure a se stessa. Ma ormai la diga era aperta, e l’acqua trovava la via per scorrere.
«Rick, sei stato l’unico amico che ho avuto per cinque mesi. Non mi abbandonare adesso, per favore. Non ce la faccio». D’ istinto, lo abbracciò, e ,dopo un attimo di esitazione, sentì le braccia di Rick che la circondavano.
Rimasero così, stretti l’uno all’altra, per qualche minuto. Quando si separarono, Yvaine lo guardò dritto negli occhi, con una nuova consapevolezza.
«Promettimi che tornerai. Giuramelo». Aveva capito perché volesse andare. Non poteva trattenerlo.
«Te lo prometto». Rick le prese la mano destra e intrecciò il proprio mignolo con il suo. Era una vera promessa.
Ora toccava a Yvaine fare la fatidica domanda.
«Quando parti?»
«Tra un mese».
 

 
 
****
Angolo autrice
Chiedo perdono! Perdono! Sono in ritardo! Mi dispiace! Contavo di aggiornare prima, ma la scuola mi ha risucchiato ogni istante di tempo! Scusate!
E il capitolo non è neppure un granché. Chiedo doppiamente perdono.
Intanto, alcuni chiarimenti:
- alcune cose (come i nomi dei vari dèi e la Nascita del Cosmo) non li spiegherò in questa storia, perché sto già iniziando a pensare a un’altra storia ambientata a Ennea.
- a Ennea intrecciare i mignoli equivale a fare una promessa molto solenne. Da noi è un gesto “da bambini”, ma lì è molto importante.
- non so in che stagione si trovino. Non avendolo specificato fin dall’inizio, adesso mi trovo in difficoltà, ma (decidendo sul momento che a Ennea le stagioni funzionano come nel nostro emisfero australe) diciamo che ci troviamo intorno al mese di maggio, e quindi inizia a fare fresco.
- con le vacanze conto di aggiornare molto più spesso, almeno ogni settimana, e se mi riesce pubblico due volte a settimana.
- mancano solo otto capitoli più l’epilogo alla fine della storia. Gioite, ho quasi finito di scocciare!
Okay, ringrazio sinceramente tutti coloro che mi hanno seguita fin qui.
Alla prossima!
-H

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Capitolo 20
*** Capitolo Diciottesimo ***


                                      Capitolo Diciottesimo – Allenamento e angoscia

Quando tornarono al palazzo, Yvaine era talmente abbattuta che non aveva neppure voglia di andare in biblioteca, né di cenare. Salì dritta nella sua stanza, si tuffò sul letto e ricominciò a piangere. Sapeva che era inutile, che era anche stupido piangere, dopo aver accettato, ma si sentiva ugualmente tristissima. Si rannicchiò con le ginocchia contro il petto, fissando il pavimento senza guardarlo davvero.
Dopo un tempo interminabile, Alysia entrò nella stanza.
«Ho saputo cosa è successo» disse, sedendosi vicino a lei.
«Mi dispiace. Ma non devi essere triste. Ha trovato la sua strada, ha capito cosa fare. Non è un male, in fin dei conti» continuò, cercando di consolarla e rassicurarla.
Yvaine la osservò, apatica. Aveva ancora le guance bagnate.
«Non voglio che parta. Sarò egoista, ma il pensiero che potrei non rivederlo mai più mi distrugge. Sei mai stata innamorata, Alysia?»
L’altra ci pensò un po’ su.
«No. O perlomeno, non quanto te» rispose con sincerità.
«Allora non puoi capire. Lui è tutto ciò che mi è rimasto. Come a te è rimasto solo tuo fratello, io non ho altri che lui. E’ per questo che non voglio che mi lasci sola» .
Alysia la capiva fin troppo bene. Sentiva di dover mettere in chiaro le cose.
«Guarda che anche Terio partirà. E quando lo farà, io sarò sola. Dovrò fare forza al popolo, da sola. Senza di lui, anch’io non sono nulla. Non sono in grado di reggere il peso del potere, lui sì. Ma io devo rimanere qui, e pregare. Lo faccio per lui, capito? È mio fratello, e gli voglio un bene immenso».
Deglutì, e poi continuò. «È stato lui ad asciugarmi le lacrime, quando ho visto Aleero in fiamme».
Poi si alzò e si preparò ad andare a dormire.
Yvaine si accorse che loro due erano simili. Per un mese, avrebbero vissuto lo stesso stato di ansia. Per i mesi a venire, avrebbero provato la stessa angoscia.
Con quel pensiero, si addormentò.
 
La mattina dopo, quando scese per colazione, Rick non era lì. Un servo le disse che era già andato  alla Guardia, e non sarebbe rientrato prima del tramonto.
La ragazza fu sopraffatta dalla tristezza. Non sapeva cosa fare. Non aveva calcolato che per tutto il mese Rick sarebbe stato piuttosto impegnato. Forse il giorno prima, non scendendo per cena, aveva sprecato l’ultima possibilità che aveva di vederlo prima della partenza.
Allora svegliò Alysia, e si fece accompagnare in biblioteca. Studiando, forse, poteva occupare la mente.
 
Terio, da fuori l’arena, osservava Rick, mentre combatteva. Era agile e forte, per essere un principiante. Non c’era un minuto da perdere, il ragazzo doveva acquisire, in un solo mese, l’abilità e le capacità che un soldato semplice acquisiva negli anni. Ma Terio era fiducioso. La determinazione di Rick rendeva tutto più semplice.
Adesso si stava allenando con l’arco. Sapeva già usarlo, siccome lo usava per andare a caccia.
«Non sono molto bravo, però» gli aveva detto il giorno prima. Eppure, aveva mancato solo un bersaglio. Terio disse al soldato che sovrintendeva all’allenamento del ragazzo  di riferirgli ogni progresso, e di fargli provare ogni genere di arma, scoprire quella per cui era più portato. Terio preferiva in assoluto la spada, ma sapeva utilizzare alla perfezione tutte le armi. Non era un’amante della guerra; ma un addestramento militare era fondamentale, per un re che si doveva mostrare anche un condottiero.
Rick imparava in fretta. Dopo aver provato l’arco, con il quale aveva una certa familiarità, passò a sperimentare armi che gli erano del tutto ignote. Prima tra esse, la spada: il suo allenatore, che scoprì chiamarsi Brem,  gli insegnò tutte le tecniche della scherma. Affondo, tondo, parata, stoccata, imbroccata, punta dritta, fendente, montante, ridoppio, controtempo e mezzotempo,  passo incrociato, finta semplice e composta, traccheggio, mulinello, difesa di misura. Ogni tecnica ripetuta più volte, finché Rick non sentì le braccia farsi pesanti e i muscoli gridare vendetta, tanto gli dolevano. Quando si fermarono, si appoggiò al muro per riprendere fiato, scostandosi dalla fronte i capelli bagnati. Per quanto il lavoro nei campi lo avesse reso molto robusto, forte e resistente, non era abituato a una fatica del genere.
Domani devo lavorare anche sulla resistenza fisica, pensò.
Terio gli si avvicinò con un secchio colmo d’acqua.
«Ti tirerà su. Non c’è niente di meglio dell’acqua, fidati» gli disse, porgendogli il secchio.
Rick prese il secchio e se lo rovesciò tutto sulla testa, grato del sollievo procuratogli dall’acqua.
 
Quando tornarono a palazzo, era il tramonto. Il sole stava mandando gli ultimi raggi infuocati contro i vetri delle finestre, facendo risplendere tutto il palazzo di continui giochi di luci.
Prima di tornare nella sua stanzetta, Rick rimase a chiacchierare con Terio.
«Te la cavi bene con la spada. Domani proverai l’ascia, ho già chiesto di affilarne una. E un’altra cosa…».
Il re gli mise in mano due spessi bracciali di cuoio.
«Sono strumenti di difesa. Sono difficili da spezzare, anche se non sembra. L’unico inconveniente è che l’onda d’urto di un colpo di spada, anche se parato con il bracciale, ti indolenzirà il braccio per un po’, quindi ti consiglio comunque di imparare più tecniche di difesa possibili, in modo da non contare solamente sul bracciale».
Poi se ne andò, lasciando Rick a rimuginare su quanto avesse imparato quel giorno.
A cena, Yvaine era piuttosto silenziosa. Era assorta da un libro che teneva aperto sulle ginocchia, e più che mangiare leggeva. Sembrava infinitamente triste.
Alysia si sforzava di sembrare allegra, ma da come le tremava la voce Rick capì che anche lei stava soffrendo.  Parlava a più non posso con il fratello. Chissà quanto avrebbe sentito la sua mancanza, il mese dopo.
Lui tentava inutilmente di parlare con Yvaine, ma la ragazza rispondeva a monosillabi. Aveva gli occhi lucidi. Certo il ragazzo non poteva sapere che riflessioni avesse fatto per tutto il giorno, in biblioteca.
 
Era cominciato tutto quando era entrata lì dentro. La biblioteca di Aleero… quante volte aveva sognato di poterla visitare! Era la più grandiosa biblioteca di tutta Ennea, racchiudeva i libri più illustri di quel tempo e dei secoli precedenti. La maggior parte erano originali, di copie ce ne erano pochissime. Il catalogo della biblioteca era posto su un leggio davanti ad un’enorme finestra.
Gli scaffali erano ordinati secondo l’argomento: storia, geografia, medicina, magia, lingua, popoli, matematica, armi. Il reparto che riguardava la magia era piuttosto grande, ogni scaffale era numerato, ma alcuni erano protetti da lastre di vetro, con tanto di serratura. Quando chiese il perché, Alysia non le seppe dare una risposta.
«Non lo so. Però il custode sa certamente il motivo. È una persona eccezionale, conosce quasi a memoria la collocazione di ogni volume. È dai tempi di re Delios che lavora qui, e sto parlando di circa trent’anni fa».
Alysia lo trovò nel reparto dedicato alla matematica, mentre spolverava un grosso tomo dall’aria pesante.
Era un uomo alto e magro, sulla sessantina, con una barba grigia che gli arrivava alla vita e i capelli più o meno della stessa lunghezza, che però partivano dalle tempie. Occhiali rotondi, naso adunco, mani grandi e callose e una tunica verde completavano il tutto.
Nonostante l’aspetto un po’ arcigno, l’espressione era quella di un nonno buono.
«Ciao, bambina. Cosa ti serve oggi?» le chiese con un sorriso, mettendo a posto il volume. Era l’unico di tutto il palazzo che non la chiamava “Altezza”, “Principessa”, “Maestà” o altro. Era l’unico a ricordarsi che, dopotutto, era solo una ragazzina. Per qualche anno era stato l’istitutore di Terio, finché non fu abbastanza grande da decidere per sé. Alysia, invece, aveva avuto un’istitutrice acida e severa, ma era morta l’anno prima di febbre. Il suo posto era stato perciò preso da un altro.
«Buongiorno, Floges. Io e un’amica ci stavamo chiedendo perché alcuni volumi del reparto di magia sono inaccessibili». Insieme si avviarono al reparto.
L’uomo si fece scuro in volto.
«Sono volumi di Magia Occulta. Serve un permesso speciale per leggerli, e non ho intenzione di accordartelo, bambina. Non è roba per te. Solo i maghi incaricati dal Consiglio possono leggerli. Per pura accademia, ovviamente».
Alysia non si fece impressionare.
«Tranquillo, non avevo la minima intenzione di leggerli. Volevo solo capire perché li avevi messi così, tutto qua. E comunque, la mia amica è una maga».
Quando arrivarono al reparto, Yvaine stava già perlustrando gli scaffali non protetti, incantata dai volumi di magia scritti dai maghi più illustri di tutti i tempi.
«È incredibile! Di questo testo ne avevo solamente sentito parlare! Darei qualsiasi cosa per leggerlo». Era contenta come una bambina a cui avevano dato un giocattolo a lungo desiderato.
«Sei vuoi leggerlo puoi sederti al tavolo, bambina. Puoi prendere tutto quello che vuoi, a parte quei tomi. Sono di Magia Occulta, ed è meglio che ti rimangano ignoti», le disse il vecchio sorridendo.
Yvaine aveva le lacrime agli occhi dalla felicità. Le pareva impossibile essere felice, dopo quanto le aveva detto Rick, ma adesso lo era davvero.
Aveva quindi cominciato a leggere un libro dopo l’altro, affamata di conoscenza. Scoprì incantesimi utilissimi, altri buffi, ma tutti permessi. E imparò anche qualche nozione della Magia non spirituale, quella che non si serviva degli spiriti per compiersi. Aveva tralasciato questo argomento con Rick, perché era una magia che non si praticava molto nel suo villaggio. Il suo maestro l’aveva fatta esercitare pochissimo, con quel tipo di incantesimi.
E quindi un’idea si era andata formando nella sua mente.
Se non posso stare con Rick, posso provare a proteggerlo da lontano. Devo imparare a cavarmela da sola, devo smettere di appoggiarmi a lui. Devo studiare per diventare più forte.
Questi ragionamenti ebbero il potere di calmarla. Prese il tomo più imponente sulla magia difensiva e cominciò a leggerlo e a studiarlo. Quei pensieri se li trascinò fino all’ora di cena, e decise di parlare di meno con Rick. Meno gli parlava, più era sicura di non struggersi per la sua partenza.
 
Quando tornò in camera, Rick era più deluso e amareggiato che mai. Perché Yvaine si comportava così? Capiva che era sconvolta, ma gli faceva male vederla così. Non gli aveva detto nulla. Si sentiva così impotente, davanti a lei. Non capiva cosa le passasse per la testa.
Valle a capire, le ragazze!pensò amaramente. Fu con quel pensiero che si addormentò, più stanco che mai.
 
Tornate in camera, Alysia era furibonda.
«Ma che combini, Yvaine, si può sapere? Perché ti sei comportata così, a cena? Non è stato per niente carino! E lui che sembrava così desideroso di parlarti… proprio non ti capisco».
Si gettò abbattuta sul letto.
Yvaine, in silenzio, assorbiva ogni parola.
«Non voglio più pensare a lui, Alysia. Occhio non vede, cuore non duole. È così che dice il proverbio».
L’altra la interruppe.
«Il proverbio? Basi le tue azioni sui proverbi? Mi stai facendo impazzire! Cosa pensi, che se non gli parli soffrirai di meno? Non sarà così, fidati. Puoi mentire a te stessa, ma non a me. Pensi davvero che non abbia capito quanto ti costi fare ciò che stai facendo? Guardati. Non ti riconosci neppure tu. Pensa a quel povero ragazzo, che dopo una dura giornata di allenamenti sperava di poter fare quattro chiacchiere con te e si ritrova bloccato da un muro di ghiaccio che tu stessa hai eretto!»
Non era mai stata così furiosa. Yvaine abbassò gli occhi, arrossendo di vergogna.
«Fai bene a vergognarti! E se domani non cambi atteggiamento non ti faccio più andare in biblioteca, perché sto pensando che è colpa dei libri che hai letto se stai così!». Era arrabbiata e preoccupata. Non voleva che la sua amica si spegnesse così.
«Adesso stai dicendo assurdità. È stata una mia decisione, la biblioteca non c’entra niente. Per favore. Ho bisogno di pensare». Aveva le lacrime agli occhi.
«Fa’ come vuoi. Ma se continui così, non avrai alcun appoggio da parte mia».
Detto questo, si addormentarono.
 
Il giorno dopo, Yvaine capì quanto stesse sbagliando solo quando provò una solitudine immensa e una gran voglia di parlare con Rick. Era stata stupida, e se ne era resa conto un po’ tardi.
Intanto, alla Guardia, il ragazzo si allenava con una foga ancora maggiore del giorno prima.
Non vuole parlarmi? Benissimo, allora sono libero di esercitarmi ancora meglio per combattere. E se morirò in battaglia, non importa! Le promesse non valgono nulla, a questo punto!
Si allenò per la resistenza, facendo una lunga corsa, imparò le tecniche di combattimento con l’ascia e con il pugnale. Imparò anche a utilizzare i coltelli da lancio. La sua rabbia era tale che, anziché disorientarlo e farlo fallire, aveva acuito i suoi sensi e aumentato la sua precisione. Tuttavia Brem non approvava questa furia.
«Adesso ti aiuta, ma in battaglia ti può portare alla tomba». Gli ripeteva queste parole come una cantilena, e anche quando tornò a palazzo l’eco di quella frase gli rimbombava nelle orecchie.
Yvaine attese con ansia il loro ritorno. Aveva la più ferma intenzione di emendare al suo errore, ed era piena di preoccupazioni.
«E se lo avessi fatto arrabbiare? Se non volesse parlarmi mai più? Come potrei fare?».
Alysia era contenta che avesse cambiato idea, ma non sapeva come avrebbe reagito il ragazzo.
La cena si svolse quasi come quella della sera prima, solo che stavolta era Rick a non parlare, e Yvaine tentava disperatamente di fare conversazione.
Si stavano comportando entrambi come due bambini, e ciò rischiava di rovinare per sempre la loro amicizia.
Dopo cena, Yvaine era più abbattuta che mai.
«Ecco, l’ho fatto arrabbiare. Ho rovinato tutto…». Non faceva che autocommiserarsi. Alysia la guardò con un misto di rabbia e compassione.
«Allora va’ da lui e chiedigli scusa. Scusati per esserti comportata da sciocca. Vedrai che funzionerà. Ti vuole troppo bene per rimanere arrabbiato con te».
Yvaine annuì e uscì dalla stanza. Per fortuna il giorno prima Alysia le aveva indicato dove alloggiava Rick.
Arrivata davanti alla porta, la ragazza fu presa da un’ansia angosciosa. Si attorcigliava un pezzo di stoffa dei suoi abiti tra le mani, di continuo, tanto che quando se ne accorse era tutto stropicciato. Avvicinò piano la mano per bussare, ma qualcosa la fermò e ritirò la mano. Fu tentata di tornare indietro; mosse qualche passo lungo il corridoio, ma l’istinto le disse di bussare a quella porta e farla finita. Racimolando tutto il coraggio possibile, bussò.
Toc, toc, toc.Qualcuno bussava. Rick aprì la porta con circospezione, finché non vide una chioma rossa. Aprì meglio la porta, sebbene fosse estremamente tentato di richiuderla.
Yvaine si torceva ancora le mani. Adesso che era lì, le parole le morivano in gola.
«Che c’è?» le chiese freddamente.
È arrabbiato, è molto arrabbiato. Questi gli unici pensieri della ragazza.
«Io…» le veniva da piangere. Ma si trattenne in tutti i modi possibili.
«Ti ho chiesto cosa vuoi. È tardi, e domani mi aspetta una lunga giornata». Sentiva di essere stato freddo e aggressivo, ma non gli importava. La rabbia cancellava tutto. Perché era così arrabbiato, poi? Possibile che il solo fatto di non averle parlato per una sera avesse scatenato in lui quell’amarezza?
«Mi… mi dispiace, Rick». Ecco, ce l’aveva fatta. Era riuscita a far uscire quelle parole che le premevano contro lo sterno, che non volevano uscire per orgoglio.
«E di cosa ti dispiace?» stava diventando davvero insopportabile. Ma cominciò a pentirsi di quell’atteggiamento.
«Di averti fatto arrabbiare. Scusami. Non volevo. Ma da come mi rispondi, è evidente che ti do solo fastidio. Se vuoi, vado via». Cominciò a indietreggiare. Già sentiva le lacrime sulle ciglia.
Il ragazzo si sentì terribilmente in colpa. Non poteva chiudere i conti così, era impensabile.
«Aspetta… non andare via. Sono io che mi devo scusare. Ero arrabbiato perché non mi parlavi, va bene? Non mi andava giù il fatto che non mi volessi neppure parlare». Arrossì fino alla radice dei capelli. Non si era detto queste cose neppure da solo, però era in grado di dirle a lei.
La ragazza era stupita.
«Non mi odi?» la domanda era sorta spontanea sulla bocca di entrambi. Quando se ne accorsero, venne da ridere a tutti e due. Erano di nuovo amici.
D’istinto, Rick le si avvicinò e l’abbracciò. Capì quanto le sarebbe mancata, e quanto era stato sciocco, aveva perso due giorni per parlarle. Due occasioni andate in fumo, perché si era comportato come un bambino.
Yvaine non sapeva neppure come reagire. Dopo un attimo di incertezza, ricambiò il suo abbraccio, assaporando l’odore della sua pelle, cercando di imprimerselo nella memoria come una formula magica. La cosa che la intristì fu che il loro era un abbraccio da amici. Per lui, lei non era più di questo. Ma mise da parte quel pensiero: le cose, in futuro, sarebbero potute cambiare.
Quando si staccarono dall’abbraccio, si guardarono leggermente imbarazzati.
«Buonanotte» si dissero all’unisono, l’uno entrando nella stanza, l’altra muovendosi verso il corridoio.
Nascosta dietro una colonna, Alysia osservò la scena sorridendo. Aveva fatto bene a rimproverarla, adesso sarebbe stata più serena. Sgusciò tra le ombre, rapida e silenziosa come una gatta, e tornò nella sua camera ad aspettare l’amica.
Appena Rick chiuse la porta, Yvaine tornò in camera quasi correndo, facendo attenzione a non fare chiasso, o l’avrebbero scambiata per una ladra. Raccontò tutto ad Alysia, che la guardò come sa già lo sapesse. Il dubbio che avesse visto tutto le venne per un secondo, ma non le importava, perché era grazie a lei se adesso aveva fatto pace con Rick.
 
Il resto del mese passò tranquillo. Rick si allenava sempre più duramente, imparò ad usare tutte le armi che potevano essere utili. Era un abilissimo spadaccino, forte ma agile, qualità che lo avvantaggiavano molto, rispetto ai suoi avversari. Si allenava contro gli allievi dell’accademia, quelli più forti che avrebbero seguito l’esercito al fronte: c’era bisogno di quanti più uomini possibili.
Yvaine trascorreva le sue giornate o in biblioteca, a studiare gli incantesimi di difesa a distanza – perché ancora non aveva rinunciato alla sua idea – oppure andava a vedere Rick nell’arena, mentre si allenava, con la scusa di voler fare un giretto in città o di voler vedere i progressi del suo amico. Allora si incantava a guardarlo, a vedere i muscoli che si tendevano allo spasimo mentre combatteva, contava ogni singola gocciolina di sudore che scendeva sulla sua fronte. Osservava ogni giorno il suo corpo farsi più resistente, più allenato. A cena studiava ogni minima espressione del suo volto, sapeva a memoria ogni sfumatura dei suoi occhi verdi. Conosceva i suoi gesti abituali, aveva imparato perfino a riconoscere il rumore dei suoi passi. Vista, udito, olfatto, tutti i suoi sensi erano impiegati a registrare ogni sua piccola abitudine. Era convinta che così la sua assenza sarebbe stata meno dolorosa.
Quella mattina di fine maggio, quando l’aria era fresca e il sole si vedeva a malapena sotto la coltre di nubi, Yvaine aveva la sensazione che da quel giorno sarebbe cambiato tutto. Fuori l’esercito era pronto ad una lunga marcia, mentre i cavalli scalpitavano nervosi. Ci volevano almeno quattro giorni per arrivare, cinque se si contavano le soste. Un drappello di uomini era partito pochi giorni prima, per preparare l’accampamento.
Yvaine non perse tempo. Scorse Rick e, mentre gli altri soldati la guardavano stupiti, lo abbracciò davanti a tutti. Anche alcune altre donne seguirono il suo esempio, chi abbracciava un figlio, chi il marito, chi un parente o un amico. Ci volle un corno da caccia per ristabilire l’ordine. Prima di andarsene, però, la ragazza guardò Rick dritto negli occhi.
«Ricordati. Mi hai promesso che saresti tornato. Vedi di mantenere questa promessa, o ti vengo a prendere io» si sforzò di sembrare allegra. Nonostante il sorriso, però, non poté impedire che una lacrima le scivolasse lungo la guancia.
«Dammi la tua spada». Il ragazzo estrasse la spada dal fodero e la tese a Yvaine. Lei poggiò le mani sul piatto della lama, attenta a non ferirsi. Pronunciò qualche parola nella lingua antica.
«Phýlatte tòn ándra apò tõn oplõn», mormorò. La lama si accese di una tenue luce azzurrina.
Proteggi l’uomo dalle armi. L’unico incantesimo di difesa a distanza che sembrava poter funzionare per più di tre giorni. O almeno così sperava Yvaine. Con quella speranza nel cuore, si allontanò, e riprese il proprio posto davanti al cancello.
Alysia, intanto, corse ad abbracciare il fratello, che le accarezzò la testa.
«Ritorneremo, Alysia. Stanne certa». La ragazza tornò indietro.
Lo squillo di una tromba fece tacere tutti. 
Alysia, accanto a Yvaine, tremò. Con gli occhi grandi di paura, vide il fratello avvicinarsi all’esercito, reggendo l’insegna. Sei stallieri portarono veloci tre enormi draghi. Uno era di un verde acceso, stupefacente, dagli occhi di brace; il secondo era blu, che stemperava di un azzurro tenue sul ventre; il terzo era rosso e imponente, con gli occhi gialli e una chiostra di denti affilati come coltelli. Tutti e tre avevano delle ampie ali membranose, e artigli lucenti. Terio sellò il drago rosso, il suo drago, che conosceva da quando era piccolo. Il comandante dell’esercito prese il drago blu; un altro soldato, probabilmente un cavaliere, sellò il drago verde.
Ecco cosa tengono nelle stalle, pensò Yvaine. Chissà se ce ne sono altri… dopo lo chiederò ad Alysia, aggiunse mentalmente.
La marcia iniziò. L’esercitò uscì dalle porte della città, salutato dai fazzoletti delle donne alle finestre. Il resto degli abitanti del palazzo reale rimase a guardarlo finché non fu solo una striscia nera all’orizzonte.
 

  
 
****
Angolo autrice
Eccomi qui! Sono pure in anticipo di un giorno (eheh). Il capitolo non mi piace molto, ma sentivo il bisogno di aggiornare (anche perché oggi non ho nessuno tra i piedi e ne ho approfittato).
È ancora un po’ statico, vero? Non so perché, ma non riesco a rendere i miei scritti più movimentati. Sono sempre molto fermi. Devo riuscire a capire perché.
Riflessioni mie a parte, spero che il capitolo sia piaciuto. E che continuerete a seguirmi per gli altri otto capitoli che rimangono. Spero di sì.
A parte questo, vi invito a dirmi qualsiasi cosa che non va. Sto aspettando gli insulti.
Alla prossima!
-Heart

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Capitolo 21
*** Capitolo Diciannovesimo ***


                                                        Capitolo Diciannovesimo – La tua assenza dondola nell’aria… *
 
Non erano trascorsi neanche dieci minuti da quando erano partiti, e Yvaine già sentiva un senso di vuoto indicibile, che la dilaniava insieme ad una domanda.
E adesso?
Già, e ora? Cosa avrebbe dovuto fare? Rimanere ad Aleero ad aspettare? Aiutare Alysia? Non lo sapeva, non ne aveva idea. E ciò la devastava.
Ma già dal giorno dopo capì quanto dura sarebbe stata l’attesa. Mentre Alysia era carica di cose da fare, dal momento che Terio non c’era, Yvaine non sapeva come occupare la giornata. Girava per il palazzo come un fantasma, facendosi guidare dai piedi. Ora che l’esercito era partito, anche il palazzo era praticamente vuoto. La maggior parte degli uomini abili a combattere era andata via, e dai gemiti e dai sospiri rilasciati da chi era rimasto Yvaine capì di non essere l’unica dilaniata dall’attesa.
A pomeriggio andò al belvedere. Osservò di nuovo il tramonto, il sole che spariva dietro quella sottile linea blu. Pensò con malinconia a quel giorno, quando l’aveva presa per mano, e avevano quasi litigato, quando le aveva promesso che sarebbe tornato. Senza di lui, anche un tramonto spettacolare come quello appariva meno magico.
Da quel momento, tornò al belvedere tutti i giorni.
Era il posto dove poteva ancora sentire Rick. Percepiva il fatto che fosse stato lì. Erano tre giorni che si recava lì, al tramonto, e quel giorno si sedette per terra a gambe incrociate, chiuse gli occhi. Lasciò che gli altri sensi reagissero all’improvvisa perdita della vista. Sentiva le onde infrangersi sulle rocce, a chissà quante braccia di distanza. Il profumo della salsedine le solleticava le narici, mentre minuscoli sassolini le si attaccavano alle mani, posate per terra. Con un po’ di immaginazione poteva sentire le gocce d’acqua delle onde che le bagnavano il viso. Ma soprattutto poteva immaginare di percepire Rick, il suo profumo, la sua essenza. Quando aprì gli occhi, la magia era svanita, e tornò al palazzo.
La mattina dopo i piedi la portarono davanti alla porta della biblioteca. Pensò che forse non sarebbe stata una cattiva idea ingannare il tempo leggendo, perciò spinse le pesanti ante di legno ed entrò.
Floges era seduto al tavolo e ispezionava minuziosamente un colossale tomo che aveva davanti, reggendosi gli occhialetti sottili con le dita. Quando la sentì entrare, alzò la testa e le rivolse un sorriso.
«Sapevo che saresti tornata, bambina. Non potevi non farlo». Quelle parole crearono una certa inquietudine nell’animo di Yvaine.
«Come facevi a saperlo?».
«Oh, è stato facile. Basta guardarti per capire cosa provi. Non sono come Alysia, ma… non ci vuole un potere del genere per comprenderti». La ragazza continuava a non capire. Vedendo il suo smarrimento, Floges spiegò le sue parole.
«Mi pareva che tu fossi molto legata al giovane con gli occhi verdi che è partito qualche giorno fa con l’esercito, o mi sbaglio? Sei qui per ingannare l’attesa e trovare qualcosa da fare mentre lo aspetti. A cena, i tuoi occhi assenti svelano tutto ciò che provi».
Yvaine arrossì, di imbarazzo e di rabbia. Era così semplice capire i suoi pensieri?
«Sono affari miei». Era una risposta dura e scortese, e se ne pentì subito. Quell’uomo non aveva certo intenzioni malvagie. Chiese scusa e si interessò al pesante tomo che il vecchio stava esaminando.
«Ah, politica. La cosa più disgustosa che gli umani abbiano mai inventato, dopo le viscere in salsa e la lingua di bue arrosto. Re Delios faceva servire a cena queste cose ogni volta che aveva ospiti sgraditi. Un incubo, visto che ne veniva uno circa ogni due settimane. E comunque, devo studiare la politica per evitare che la signorina Alysia ne rimanga invischiata. Terio è stato incredibilmente abile, ma sua sorella è più piccola e ingenua; non vorrei che finisse circondata di persone a cui fa gola il suo potere».
La ragazza si stupì dell’affetto con cui quell’uomo parlava di Alysia. Come una figlia, o una nipote. D’improvviso provò una grande curiosità per la sua storia, ma non fece domande.
Invece prese un libro da uno scaffale del reparto “storia” e cominciò a leggere importanti documenti riguardanti la Grande Depressione. Era un periodo in cui Ennea non aveva prosperato affatto, la popolazione era diminuita vertiginosamente a causa della fame e delle malattie. Due secoli di carestie e siccità, guerre a non finire, poca speranza. In quel periodo migliaia di maghi e maghe furono trucidati, bruciati, impiccati con l’accusa di servire il dio della morte, additati come stregoni e streghe. Una lettura per niente piacevole, che la incupì ancora di più.
Quando guardò dalla finestra, si accorse con sgomento che si era persa il tramonto. Per quel giorno non aveva potuto ammirare il belvedere.
Dopo cena, si maledisse per la sua sbadataggine e si preparò psicologicamente per un’altra, noiosa giornata.
 
Rick si sgranchì le braccia. Era sorta l’alba e la marcia doveva riprendere. Certo, camminare per giorni e giorni era piuttosto stancante, ma sapeva che sarebbe andata così. Per di più, l’armatura non aiutava. Era pesante e ingombrante, ma aveva dovuto metterla quando Terio aveva detto di aver sentito rumori sospetti lungo la strada, e perciò dovevano essere ben protetti.
Ma per quanto fosse utile in difesa, il ragazzo riusciva soltanto a guardarla con odio, per come rendeva impacciati e lenti i movimenti. Come avrebbe potuto rispondere a un colpo di spada con quel pesante ammasso di ferro addosso, se perfino camminare risultava faticoso?
Però Rick non si lamentava. Anzi, sentiva che presto avrebbe potuto vendicare i suoi genitori, e quel pensiero lo riempiva di un piacere oscuro e sbagliato.
Dopo aver conosciuto Yvaine e la storia di Lilith, il ragazzo avrebbe voluto lasciar perdere l’idea della vendetta, ma non poteva. E non voleva. Perché non poteva vendicarsi, fare giustizia?
Non sei tu il giustiziere, e soprattutto non devi mai, mai confondere la vendetta con la giustizia.
Eccola ritornata, quella voce mistica che era solo belle parole e nessun fatto. Rick sentiva di odiarla e allo stesso tempo sapeva che la voce aveva ragione.
Non sto confondendo vendetta e giustizia. Voglio solo che i miei trovino la pace.
E pensi davvero che se uccidessi tutti i ribelli, dal primo all’ultimo, i tuoi genitori troverebbero la pace? Sei uno sciocco e un arrogante, se la pensi così.
Ma perché mai? Tu non capisci!
Ti capisco benissimo, Rick. E proprio per questo ti dico che stai sbagliando.
Il ragazzo scosse la testa, non era il momento di farsi distrarre da pensieri inutili, e riprese a marciare, con Orin al fianco. Terio gli aveva permesso di portarlo con sé.
Quando si fermarono, il re disse loro che l’accampamento non era distante. Un altro giorno di marcia, e sarebbero arrivati. Eppure, nell’aria c’era un’atmosfera densa, tesa, come di una minaccia.
Furono i sensi vigili di Rick a salvare l’esercito. Dormiva di un sonno leggero, e solo il rumore di un acciaio sguainato gli fece aprire gli occhi e dare l’allarme. Erano sotto attacco.
Erano in una trentina, da quanto Rick poteva vedere nell’oscurità. Nulla, rispetto a loro. Per di più, sembravano messi male in arnese, le armi erano sporche e arrugginite.
Peccato non aver visto il tizio che gli stava stritolando il collo con un braccio. Sentiva già l’aria mancare, ma lo morse con tutta la forza possibile e quello, urlando di dolore, si staccò. Rick sguainò la spada, mentre intorno a lui i suoi commilitoni si battevano contro gli altri predoni.
L’uomo davanti a lui seguì il suo esempio, tirando fuori la sua arma sgangherata. Quando attaccò, per Rick fu facile schivare i colpi. Con la spada colpì il polso dell’avversario, che mollò la presa sull’arma e, prima ancora che riuscisse a riprenderla, Rick gli trapassò il petto. Non avevano armature.
Sentendo il sibilo di un pugnale alle sue spalle si abbassò, e colpì il suo avversario alle gambe con il piatto della lama. Il sangue gli colava lungo le caviglie, e l’uomo si abbassò, tenendosi le gambe con le mani. Rick gli mollò un pugno in faccia, facendogli uscire il sangue dal naso e non solo. Gli aveva letteralmente spaccato la faccia.
L’attacco continuò così fino a poco prima dell’alba. I nemici erano stati tutti uccisi, nessuno di loro era morto, se l’erano cavata tutti con qualche graffio. Rick aveva rimediato un brutto graffio sulla guancia. Non era profondo, ma era piuttosto grande, e bruciava.
Brucia!… A lamentarti come una femminuccia per un graffio, ma guardati!
Strinse i denti. Ci mancava solo l’alter ego.
Se solo ci fosse Yvaine… lei lo avrebbe curato in un batter d’occhio, pensò.
Già, Yvaine. Era da quando era partito che non pensava a lei. Forse il suo subconscio sapeva di non dover pensare a lei, per proteggersi, perché adesso gli mancava, terribilmente. Gli mancava il suo sguardo dolce, il suo sorriso, la sua risata e i suoi incoraggiamenti. Era la sua migliore amica, e non era neppure troppo sicuro che l’avrebbe rivista.
Poi, un pensiero, un pungolo fastidioso.
Ho ucciso.
Non ci aveva pensato, mentre lo faceva. Ma adesso arrivava anche la colpevolezza. Uccidere è come rubare, gli aveva detto una volta suo padre. Rubi la vita ad un uomo. Ed è sbagliato.
Con orrore guardò la spada ancora sporca di sangue.
È la guerra, si disse. In guerra si uccide. E io combatto per non uccidere più nessuno. Quel pensiero lo rassicurò. Anche se non disse niente, il ragazzo sapeva che anche la voce mistica che aveva nella testa approvava quel comportamento, perché non era vendicativo. Era giusto.
                                                                              ***
Quando arrivarono all’accampamento, il giorno dopo, il ragazzo si stupì di quanto fosse grande. Era uno spiazzo ampio, quadrato, circondato da una robusta palizzata di legno. Al centro c’era un enorme edificio di legno, dovevano essere le stalle per i draghi.  Intorno, tende color verde scuro e, verso il fondo dell’accampamento, una piccola arena e il refettorio.
Camminava a bocca aperta e sguardo in alto, perciò non si accorse di andare a sbattere contro qualcosa, o meglio, qualcuno.
«Ehi, ehi. Guarda dove metti i piedi, pivello!».
A parlare era stato un ometto basso, con capelli e barba lunghissimi e intrecciati. Ma era davvero bassissimo, più basso di una persona normale bassa. Soltanto dopo un po’ Rick si rese conto di stare parlando con un nano.
«Mi dispiace. Rick Wilsson, al tuo servizio» disse con un inchino.
«Navôd Pelledicuoio, al tuo» rispose l’altro allo stesso modo. In quel momento arrivò Terio, che fece lo stesso inchino.
«Navôd Pelledicuoio, sono lieto del tuo arrivo. Avremo bisogno d’aiuto in questa lotta, e ci fa immenso piacere che una razza antica come i nani abbiano deciso di combattere con noi».
«Solo affinché non si dica che i nani dei Monti Minori sono un branco di conigli spaventati da un gruppo di ribelli» rispose il nano con un grugnito.
 I nani al seguito di Navôd si rivelarono ugualmente burberi, e parlavano malvolentieri con gli umani. Rick faticava ancora a capire perché li stessero aiutando, sebbene si trattasse di una lotta tra umani.
«Per due ragioni. Uno, abbiamo chiesto il loro aiuto e, sebbene siano un popolo estremamente schivo, dicendo le cose nella maniera giusta i negoziati avvengono bene. E due, perché per loro l’onore viene prima di ogni cosa. Cosa c’è meglio di una guerra per guadagnarsi onore e stima?». Le parole di Terio non facevano una piega, ma Rick rimase comunque confuso.
                                                                              
Ogni giorno, per Yvaine andare in biblioteca era un piacere. Aveva sempre cura di uscire prima del tramonto e andare al belvedere, e passava la giornata lì. Passava da un volume all’altro quasi senza fermarsi, se non per mangiare qualcosa. Dopotutto aveva la possibilità di passare nella più bella biblioteca di Ennea, perché perdere tempo?
Floges, quando non aiutava Alysia con i suoi doveri, rimaneva in biblioteca a parlare con Yvaine. Era un uomo geniale, aveva approfondite conoscenze di molti argomenti e sapeva anche qualche incantesimo. La ragazza rimase stupita dalla sua eclettica personalità.
Dopo due settimane, però, anche la biblioteca cominciava a perdere interesse, e lei si sorprese a pensare sempre più spesso ai libri chiusi dietro le vetrine.
Un giorno tentò di chiedere a Floges di prendergliene uno, ma l’uomo si rifiutò, scuotendo energicamente il capo.
«Non fanno per te, bambina».
Nonostante quelle parole, però, il suo viso trasmetteva una voglia di tramandare quelle conoscenze, per quanto oscure e brutali fossero.
E il giorno dopo, infatti, il vecchio non c’era. Ma uno degli scaffali dei libroni neri era aperto.
Accertandosi che nessuno fosse nei paraggi, la ragazza prese un libro dallo scaffale e lo osservò con circospezione. Era un tomo nero e gigantesco, con i bordi mezzi divorati dalla muffa. Eppure era affascinante, e lei non poté fare a meno di sedersi al tavolo e sfogliarlo. Ciò che lesse, però, la inorridì.
I peggiori incantesimi che esistessero per uccidere, per maledire le anime dei morti, per creare abomini di natura che non dovrebbero neppure essere immaginati. Inoltre, una serie di incantesimi per modificare o rafforzare una creatura vivente, per renderla più aggressiva, o per farla impazzire. Ogni tipo di abominio si celava tra quelle pagine sottili, che giravano con uno schiocco.
Yvaine si sentì impazzire di terrore a leggere quelle formule, senza parlare dei disegni. Pentacoli rossi intrecciati, serpenti, uomini dalla testa di toro, scheletri… rabbrividì.
Sobbalzò quando qualche istante dopo sentì la porta scricchiolare e la voce di Floges.
«Ora sai perché non volevo che li leggessi, bambina. Ma sembravi così ossessionata di sapere cosa custodivano che ti ho concesso quello che mai e poi mai ti avrei voluto concedere». 
Senza dire una sola parola, troppo scioccata per parlare, la ragazza uscì di corsa dalla biblioteca.
Quella notte fu avvolta da un sudario di terrore. Quelle formule oscure continuavano a riecheggiarle nella testa, impedendole un riposo tranquillo. E poi, si aggiunse anche Lilith, avvolgendola in un velo fatto di terrore, fiamme e vendetta.
«Cosa pensavi? Che non ci fossi più? Io sono sempre stata con te, e lo sai. Anche se la vicinanza con Justitia mi ha indebolita, adesso lei è lontana! Sono più forte, sciocca ragazza! Non puoi rinnegarmi!». La sua terribile figura si stagliava nitida nella sua mente, con quelle orribili corna e la tunica macchiata di sangue. Yvaine si risvegliò urlando, madida di sudore.
Gli incubi su Lilith si susseguirono per tutta la settimana seguente, impedendole di dormire. ogni giorno appariva sempre più pallida e stanca, e Alysia si preoccupava per la sua salute. Ma visto che l’altra insisteva a dire di stare benissimo, lei attribuì quello stato al dolore per la partenza dell’esercito.
Poi, una notte, un altro incubo. Rivedeva la scena in cui aveva imposto l’incantesimo sulla spada di Rick. E si accorse di un unico, madornale errore.
L’accento. Ho sbagliato l’accento. Dopo anni di studio della magia e della lingua antica, faceva un errore da principiante. E le magie, con l’accento sbagliato, non funzionavano.
Si alzò dal letto e accese una candela, decisa ad andare nella biblioteca per sciogliere ogni dubbio. Quando aprì la porta, scivolò di soppiatto lungo il corridoio, con la camicia da notte che frusciava sul tappeto. Sperò che non ci fosse nessuno, o l’avrebbero scambiata per una ladra. Arrivata nella biblioteca, posò la candela sul tavolo e si diresse sicura verso quello scaffale che conosceva alla perfezione. Prese il libro che le interessava, tornò al tavolo e sfogliò freneticamente le pagine alla ricerca della formula che cercava. E poi, un colpo al cuore.
La parola “armi” era óplon , non oplõn. E lei aveva detto oplõn. Aveva fallito. E quando se ne rese conto, cominciò a tremare a immaginare cosa il suo incantesimo fallito avesse provocato: le immagini di Rick ferito, o addirittura morto, cominciarono a invaderle la mente, le sembrò di impazzire. Si accasciò sul tavolo singhiozzando.
 
Intanto, all’accampamento, Rick pensava. Osservando la sua spada, ormai pulita, si accorse che la tenue luce azzurrina che l’avvolgeva quando Yvaine aveva posto l’incantesimo era svanita. Si chiese se reggesse. In quelle due settimane avevano subito due attacchi a sorpresa. Ma per fortuna erano stati abbastanza pronti per respingere l’attacco, e avevano subìto poche perdite. Senza contare l’aiuto che i draghi fornivano. Una fiammata, e un bel gruppo di nemici fuggiva spaventato. Non avevano fatto prigionieri.
 
Erano passate tre settimane. Divorata dall’angoscia, Yvaine aveva preso una decisione. Doveva solo ottenere il permesso da Alysia.
Gliene parlò quella sera stessa.
«Alysia, ho deciso. Non posso rimanere qui»   .
L’altra, dapprima, non rispose. Con estrema calma, chiese spiegazioni.
«Come sarebbe a dire? Non ti trovi bene qui in città?»
«Non fraintendere, sono onorata del trattamento che mi è stato riservato. Solo che io non posso rimanere qui. Non ce la faccio. Cerca di capirmi».
Il suo sguardo disperato, come quello di una creatura braccata, fu più eloquente di qualsiasi parola.
«È per Rick?».
L’altra impiegò un po’ di tempo per rispondere. Poi, lentamente, annuì.
«Ho sbagliato l’incantesimo sulla sua spada. Non lo proteggerà. Potrebbe essere già… e io non lo saprei». Non riusciva neppure a pensarci. La voce le morì in gola.
Ma sapeva che non era solo per Rick che voleva andare. Lilith era ogni giorno più vicina, la sentiva voler uscire senza motivo, graffiarle la gola. Aveva paura, e solo lui sarebbe stato in grado di rassicurarla. Senza contare che Aleero la metteva a disagio, perché non poteva fare a meno di pensare di averla distrutta. Non sapeva se dirlo ad Alysia e farsi odiare per sempre, o soffrire in silenzio. Perciò aveva deciso di partire.
Ottanta miglia non sono poi tante. Dovessi metterci una settimana per raggiungere quel posto, io non mollerò. E se Alysia non mi lascerà andare, fuggirò.
Alysia si massaggiò la radice del naso. Sembrava invecchiata di dieci anni.
«E sia. Domani partirai per il fronte».
 

 
 
 
 
***
Angolo autrice
Scusate il ritardo! Mi dispiace, cercherò di essere in orario la prossima volta.
Vi ho stupiti? Spero di sì. Ho lavorato due giorni su questo capitolo, ma fa comunque piuttosto pena. Presa dalla fretta di aggiornare, non ci ho riflettuto più di tanto. Potete insultarmi quanto vi pare.
Adesso sparisco, non ho molta voglia di scrivere l’angolo autrice, oggi.
Ah, ringrazio ery98sole per aver recensito e aggiunto tra le seguite. Grazie!
Ovviamente farò dei ringraziamenti più decenti e universali tra…uhm… circa sette capitoli.
Piccola nota sul titolo del capitolo: “L’assenza dondola nell’aria” è una bellissima poesia di Nazim Hikmet, un poeta turco naturalizzato polacco che ha scritto poesie meravigliose. Ho aggiunto “tua” perché così era un po’ diverso.
Alla prossima!
-Heart

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Capitolo 22
*** Capitolo Ventesimo ***


***Premessa***
Anche questo è un capitolo di passaggio. Chiedo perdono per la noia che ciò comporta.

                                                                                         
                                                                                         Capitolo Ventesimo – Partenza

 
Yvaine guardò stupita l’animale che aveva davanti. Alysia l’aveva fatta svegliare quella mattina all’alba, perché prima partiva, meno tempo avrebbe perso nel viaggio. Insieme ad un soldato, l’aveva accompagnata alle stalle, per mostrale la sua cavalcatura. O meglio, il suo compagno di viaggio.
Era una bestia marrone e verde, più piccola dei draghi che Yvaine aveva già visto. Altra differenza: non aveva le ali. Solo quattro zampe robuste e un dorso ampio. Non trasmetteva la stessa aura di maestosità della cavalcatura di Terio.
I draghi erano creature magiche estremamente pericolose. Erano intelligenti e coraggiose, e gli umani avevano impiegato secoli per domarli. Negli antichi testi, i draghi con le ali erano chiamati con il nome di basileus ouranou, “re del cielo”. Le specie più piccole, come quella del drago di fronte alla ragazza, erano chiamate basileus ghes, “re della terra”. Questi ultimi erano abilissimi arrampicatori, come le lucertole, e potevano compiere marce lunghissime stancandosi poco. Erano animali vantaggiosi, per un esercito; tuttavia Terio aveva portato con sé solo i basileis ouranou, perché erano ottimi per combattere in aria e avevano il vantaggio di sputare fuoco. I draghi di terra non sputavano fuoco. Durante le ultime settimane, altri uomini avevano preso, a piccoli gruppi, gli altri draghi nelle stalle: prenderli tutti insieme equivaleva a dare una traccia precisa riguardo all’accampamento e all’esercito.
Il piccolo drago, che Alysia chiamò Agor, tenne un’espressione minacciosa sul muso finché la ragazza non gli si avvicinò e gli mormorò qualche parola nella lingua antica. I suoi occhi grigi erano belli, ma colmi di una minaccia e di una forza senza pari. Il soldato posizionò una sella di cuoio sul suo dorso, e Yvaine vi salì con agilità, aiutata da Agor stesso che pareva averla presa in simpatia. La ragazza guardò con timore il collo dell’animale, irto di spuntoni aguzzi, e accarezzò le viscide squame verdi e marroni. Il drago ebbe un fremito, ma solo uno scatto della coda muscolosa tradì il suo sottile nervosismo. Alysia si avvicinò alla strana coppia, porgendo a Yvaine una bisaccia piena di provviste, due pugnali – uno da mettere alla cintura del pantaloni di pelle e uno nello stivale – e un pesante mantello marrone, che poggiò sul dorso del drago, vicino al collo. A fatica, Yvaine se lo mise sulle spalle.
«Buona fortuna. Non approvo la tua partenza, ma al tuo posto avrei fatto la stessa cosa». In quell’unico mese era cambiata moltissimo, era cresciuta. L’esigenza e la gravità della situazione l’avevano costretta a farlo. Sulle sue guance luccicava una lacrima.
L’unica vera amica che aveva avuto in tutta la sua vita, e in meno di tre mesi l’aveva persa. Non poteva fare a meno di piangere, la sua partenza significava definitivamente la fine della sua infanzia e adolescenza. Adesso doveva fare l’adulta, e poteva contare solo su quel poco aiuto che Floges era in grado di darle.
«Che gli dei ti proteggano, e le stelle veglino sul tuo sonno» continuò.
«Anche a te, Alysia. Non dimenticherò l’aiuto che mi hai dato» rispose Yvaine. Poi con un’unica, forte tallonata sui fianchi di Agor, si avviò lungo i pietroni squadrati delle strade di Aleero.
Alysia rimase a guardarla finché non fu inghiottita dalle case, e poi dalle porte della città, che si chiusero con un tonfo sordo. Voltandosi verso il palazzo, prima di tornare ai suoi compiti, si chiese se l’avrebbe mai rivista.
 
Stare a dorso di drago era scomodo. E Yvaine scivolava di continuo, minacciando di cadere ora a destra, ora a sinistra. Ma non le importava, in quel momento il suo unico desiderio era arrivare all’accampamento il più in fretta possibile. La notte prima Lilith l’aveva perseguitata di incubi, e al solo pensarci tremava di terrore. Si era svegliata prima dell’alba, madida di sudore, con l’urlo della dea che le rimbombava nelle orecchie. E aveva aspettato sveglia che il sole cominciasse a sorgere, terrorizzata da ciò che avrebbe potuto sognare.
Bramava la sua vecchia vita, quella che aveva condotto per sedici anni. Dove Lilith non voleva dire niente, era solo un nome sinistro. Dove la magia era l’unico impegno giornaliero. E dove non c’era Rick. Riguardo a questo, la giovane non sapeva dire se era un sollievo o una cattiveria.
Agor marciava in fretta, facendo guizzare la lingua serpentina fuori dalla bocca per captare eventuali pericoli, o prede. Si fidava della maga, e ogni tanto rallentava per farla stare più comoda. Avevano preso una strada secondaria per arrivare all’accampamento, perché una ragazza in groppa ad un drago avrebbe sicuramente destato sospetti, cosa che voleva assolutamente evitare. Perciò avevano scelto quella stradina stretta, in mezzo agli alberi, tra i quali Agor si confondeva con una facilità incredibile. Visto dall’esterno, non doveva essere facile individuare i viaggiatori.
Ma la cosa più stupefacente il drago la fece a pomeriggio. La ragazza era tranquillamente assorta nei suoi pensieri, quando all’improvviso nella mente le balenò l’immagine del tratto di strada che stava percorrendo. Solo che non era dal suo punto di vista, ma da quello del drago. Agor si era messo in contatto con lei, aveva sfiorato la sua mente con la propria. Yvaine rimase affascinata. Sapeva che i draghi, esseri più intelligenti perfino degli uomini, erano in grado di compiere cose del genere, ma non si aspettava che Agor lo facesse con lei. Di solito i draghi si mettevano in contatto con le persone a cui tenevano di più. A quanto pareva, gli stava simpatica.
Agor, divertito dalla reazione incantata di Yvaine, continuò a inviarle immagini, anche dei suoi ricordi. Gli fece vedere però l’immagine più sbagliata in assoluto, ovvero i tre draghi che venivano portati via dalle stalle il giorno della partenza dell’esercito. La ragazza si rattristò, e il drago smise di cercare un contatto.
Yvaine fece fermare Agor solo a sera, quando il sole era già calato e cominciavano a spuntare le stelle. Si fermarono in mezzo a qualche albero e, mentre lei mangiava, il drago sparì nel folto, alla ricerca di qualcosa da mangiare. Ritornò dopo neanche venti minuti, tenendo fra i denti un grosso cervo morto. La ragazza continuò a sbocconcellare un pezzo di pane e un po’ di formaggio che aveva nella bisaccia, mentre cercava di capire quanta strada avessero fatto, e quanta ne mancasse da compiere. Il drago la aiutò, evocando nella sua mente immagini del viaggio. Con un calcolo molto approssimativo, Yvaine dedusse che avevano percorso all’incirca venticinque miglia. A quella velocità, avrebbe raggiunto l’accampamento in quattro giorni, più o meno.
Sono troppi. Dobbiamo andare più veloci, si disse, sperando che il drago fosse in ascolto.
Poi si accoccolò vicino alle sue zampe, preparandosi mentalmente agli incubi che l’avrebbero assalita non appena avesse chiuso le palpebre.
 
Una coltre rossa come il sangue oscurò ogni cosa. Poi, da quell’inferno rosso, fuoriuscì una figura, una figura che oramai la ragazza conosceva bene. Cominciò a tremare, mentre quella si mostrava in tutta la sua mostruosa bellezza, mentre chiamava a gran voce i suoi servi, Viltà e Codardia. I due mostriciattoli neri si inginocchiarono al suo cospetto, e lei sorrise, un ghigno malvagio che ne distorceva i bellissimi lineamenti. Poi alzò lo sguardo, e la vide, immobile e terrorizzata, inerme.
Pensi che basterà raggiungere l’accampamento per liberarti di me? Sciocca! Sto diventando più forte, e lo devo a te. Sei tu che mi fai rafforzare, perché il tuo animo ribolle di vendetta!
Non è vero!Provò a protestare, ma la coltre rossa la disorientava. Sentiva una stanchezza immensa, senza fine. Si sentì desiderare l’oblio.
Io sono la patrona e la protettrice della vendetta, pensi che non mi sia accorta di quanto la brami? Sì, vuoi spazzare via i ribelli uno per uno, con le tue stesse mani. Vuoi danzare intorno alle pire che bruceranno i loro cadaveri. Vuoi vederli implorare pietà, e a quel punto tu gli pianterai il pugnale nella gola, giovando della loro sofferenza. Tu vuoi vederli soffrire, Yvaine. E pensi che sia sbagliato, ma è giusto che soffrano come soffri tu! Non è vero, Yvaine? La dea continuò a sorridere, e aprì le braccia, come per accoglierla.
La ragazza sentiva di dover rispondere, ma non ci riusciva. Non poteva, aveva la bocca chiusa. Con un enorme sforzo l’aprì, e rispose a Lilith.
No, non è vero. Io sono Yvaine, non Lilith. Io non sono come te!
La dea si arrabbiò. I suoi servitori si radunarono intorno a Yvaine, cercarono di sommergerla e ucciderla. Con le lacrime agli occhi, la ragazza urlò con tutto il fiato che aveva in gola.
 
Si svegliò coperta di sudore, ma non urlava. Aveva sentito un rumore, e mise una mano sull’elsa del pugnale, mentre il cuore le batteva freneticamente. Poteva sentire il sangue che pulsava nelle orecchie.
Stava quasi per tranquillizzarsi, quando un uomo le venne incontro con una spada sguainata.
Era ferito, ma sembrava che non gli importasse. Aveva un’espressione folle negli occhi, e attaccò la ragazza ancor prima che lei potesse estrarre il pugnale. Ma Agor si era svegliato, e con una zampata lo mandò a gambe all’aria, ruggendo ferocemente. Non avrebbe permesso a nessuno di fare del male alla sua protetta, tantomeno a un predone come quello.
La forza dell’impatto con la zampa del drago aveva sbattuto l’uomo contro un albero. La testa gli calò ciondoloni sul petto, ma non si mosse più.
Yvaine, troppo sbigottita e spaventata prima dal sogno, e poi dall’attacco improvviso, non disse una parola, ma raccolse le sue cose, salì in groppa ad Agor e lo incitò a camminare più veloce che mai.
Il breve riposo era bastato al drago, ma l’uomo lo aveva reso nervoso. Mentre camminava, si scrutava attentamente attorno, muovendosi veloce e allo stesso tempo cercando di non disarcionare la ragazza. Quando si fermavano, il drago non faceva altro che muovere la coda, di continuo, e assaggiare l’aria con la lingua biforcuta.
Si sbrigarono, passando veloci sulla stradina. Le zampe del drago lasciavano vaghe tracce, ma non importava. L’importante era raggiungere in fretta l’accampamento.
Il terzo giorno, videro una striscia scura all’orizzonte. Man mano che si avvicinavano, scoprirono che la striscia era una palizzata di legno che circondava un quadrato di terra, nel quale erano ammonticchiate varie tende verde scuro.
Finalmente, erano arrivati.
 
 

 
***
Angolo autrice
Ehilà, sono tornata! Anche in anticipo, visto che non contavo di riuscire ad aggiornare prima di giovedì. Forse avrei fatto meglio, visto lo schifo del capitolo, ma ormai è fatta. Anche se la parte finale fa proprio pena, diciamo che devo sbrigarmi.
Solo un favore: mi rivolgo a chi non ha recensito il capitolo scorso, come BekySmile97 e Naitmers. Se avete cinque minuti, posso chiedervi di recensire? Avrei bisogno di altri pareri. Grazie mille.
Io scappo. Alla prossima!
-Heart

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Capitolo 23
*** Capitolo Ventunesimo ***


                                                    Capitolo Ventunesimo – Al fronte
 
L’accampamento si stagliava davanti a loro, ma qualcosa non quadrava. Alcune tende erano bruciacchiate o semidistrutte. Era successo qualcosa.
I due si avvicinarono quasi di corsa, ma la sentinella li fermò.
«Alt! Chi va là?»
«Io…» Yvaine non sapeva cosa dire. Tutta quella strada, e rischiava di rimanere lì fuori perché non sapeva come annunciarsi.
«Parla, o ti faccio uccidere!»
«Sono Yvaine, devo conferire con Sua Maestà Terio. È urgente»
«Pensi che io creda a queste menzogne, ragazza? Ah! Hai trovato la sentinella sbagliata»
«Non sto mentendo, io… sono la dama di compagnia della signorina Alysia». Questa era davvero una bugia, ma fu l’unica cosa che le venne in mente.
La faccia del soldato si oscurò.
«Va bene, ti faccio entrare. Ma se scopro che non è vero, e stai mettendo a repentaglio questa operazione militare… non avrò pietà, neppure con una donna». Detto questo, ordinò di aprire le porte di legno.
Sulla groppa di Agor, Yvaine tremava. Non aveva idea di cosa fare o di cosa dire, adesso. Pregò gli dèi di aiutarla.
 
Rick si accorse di una piccola folla davanti alle porte dell’accampamento. Si avvicinò, e vide una creatura verde e marrone, senza ali, con occhi grigi dalla pupilla verticale, da rettile. Ma più del drago lo sorprese la persona che lo cavalcava.
Un pietoso silenzio era calato tra i soldati. Qualcuno sbuffava, altri bisbigliavano a bassa voce tra di loro. Solo Rick ebbe il coraggio di parlare ad alta voce.
«Yvaine… cosa ci fai qui?».
La ragazza sembrava in difficoltà, e non parlò. Anzi, si stava ritraendo sempre di più sulla groppa del drago, che scrutava la folla con un cipiglio minaccioso.
In quel momento arrivò Terio, a cavallo del suo baio. Incitò i soldati a tornare alle proprie faccende, poi si rivolse al suo fidato attendente.
«Vexan, porta Agor nelle stalle. Yvaine,» continuò, rivolgendosi alla ragazza, che nel frattempo scendeva dalla groppa del drago, «seguimi. Rick, anche tu».
A questo punto la ragazza non sapeva cosa aspettarsi. L’avrebbe rimandata indietro? Sperava di no. Non aveva percorso ottanta miglia a rotta di collo solo per farsi rispedire indietro. Si sarebbe opposta con tutte le sue forze, se necessario.
L’alloggio di Terio era una piccola costruzione di legno, in mezzo alle altre tende. Dentro c’era una branda e un rozzo tavolo di legno con tanto di sedie. Il re fece cenno ai due ragazzi di sedersi.
«Adesso mi devi spiegare cosa ci fai qui, Yvaine».
«Ecco, io… sentivo di voler dare una mano. Posso essere utile. Sono una maga, posso guarire i feriti. Volendo posso anche combattere» disse la ragazza senza quasi prendere fiato. Era l’unica scusa che le fosse venuta in mente.
Il re sospiro, massaggiandosi la radice del naso tra indice e pollice. Sembrava invecchiato all’improvviso, i ricci biondi sembravano quasi grigi. Yvaine rimase sorpresa di quel gesto, lo stesso che aveva visto fare ad Alysia dopo averle comunicato la sua decisione.
«Non vedi cosa è successo, Yvaine? Ci hanno attaccati, due notti fa. Li abbiamo respinti, ma abbiamo subito molte perdite. E ci sono parecchi feriti. Sai come sono entrati, Yvaine? Avevano addormentato le guardie con un incantesimo, e poi le hanno sgozzate come vitelli. Ma hanno usato la magia. La gente ha paura. Non so se riuscirei a convincerli che non sei una spia, e che i tuoi incantesimi di guarigione non siano un modo per ucciderli o farli impazzire».
La ragazza abbassò lo sguardo, pensando tristemente che Terio l’avrebbe fatta tornare al palazzo. E poi una rabbia nuova, provocata da ciò che il re le aveva appena riferito.
Chi aveva osato usare la magia in quel modo, per ferire e uccidere? La magia serve ad aiutare e fare del bene. Perché avevano indotto gli uomini a temerla come una malattia?
«Gli spiegherò che i miei incantesimi aiutano. Li aiuterò a guarire. E sono pronta a prendermi tutte le responsabilità del mio gesto, anche se ciò dovesse significare la mia morte. Io vi devo aiutare, non capisci? Non posso pensare di rimanere a palazzo mentre gli altri combattono!».
La sua voce era venata da rabbia e disperazione. Era determinata a rimanere lì, non se ne sarebbe andata per nulla al mondo.
«E mia sorella? Speravo che non l’avresti lasciata sola. Come farà, adesso? Potevi darle una mano, anziché venire qui. Un accampamento non è il posto migliore per una donna».
«C’è Floges con Alysia. L’aiuterà, lo ha sempre fatto. E per tua informazione, mi so difendere da sola».
I due si osservavano in cagnesco. A Rick sembrava di essere di troppo, ma alla fine riusciva a ben capire i sentimenti di Yvaine. Erano gli stessi che lui aveva provato un mese prima, quando aveva deciso di partire per il fronte.
«Terio, Yvaine non ha tutti i torti. È una maga abile, può aiutarci a curare i feriti. Potrebbe incantare le nostre spade per far sì che siano più affilate, o più letali. E sa cucinare».
Quell’ultima osservazione così buffa e fuori luogo ebbe il buon effetto di allentare la tensione, e tutti e tre si concessero un sorriso.
Terio pensò un attimo a cosa dire, scrutando attentamente la ragazza con i suoi occhi blu.
«Non approvo che tu rimanga, Yvaine. Un accampamento non è il luogo migliore per una donna, c’è troppo dolore, guerra, morte. C’è qualcosa di sbagliato nel farti rimanere qui. Se seguissi ciò che mi dice il cuore, ti rispedirei dritta dritta ad Aleero, ma sono sicuro che troveresti un modo per tornare qui. Perciò è inutile sprecare tempo ed energie. Puoi rimanere. Ma non garantisco per la tua incolumità, nel caso di un attacco». Quelle parole gli costavano molto. Permettere ad una ragazza poco più grande di sua sorella a rimanere in un accampamento non era una scelta saggia, ma aveva capito la sua determinazione solo guardandola negli occhi. Era disposta a tutto pur di non andarsene.
«Riguardo al tuo alloggio, però, ti devi arrangiare. Non abbiamo tende in più, anzi oserei dire che ne abbiamo qualcuna in meno, visto l’attacco dell’altra notte. Perciò ti toccherà condividere la tenda con qualcuno. Rick, ti va bene? Sei l’unico che la conosce. Solo tu puoi garantirmi che non le verrà fatto alcun male».
Il ragazzo rimase sorpreso solo per un attimo, si aspettava una cosa del genere.
«Non c’è problema, credo… Yvaine, ti va bene…?» chiese, rivolgendosi alla ragazza.
Yvaine annuì, sperando che il proprio viso fosse meno rosso di quel che sentiva. Poi uscirono dall’alloggio del re.
Quando i due se ne furono andati, Terio si concesse un minuscolo sorriso. L’arrivo di Yvaine gli aveva fatto capire che l’amore poteva nascere anche nel bel mezzo di una guerra.
 
Rick la portò in giro per l’accampamento, facendole vedere il refettorio, le stalle e l’arena. Poi la portò alla sua tenda.
Non era molto grande, e non conteneva altro che una branda e una botte di legno vuota che fungeva da sgabello. Poggiati contro di esso, lo scudo e un involto di iuta, che conteneva l’armatura.
«Lo so, è un po’ piccola, ma vedo di rimediare un’altra branda. E se non c’è, dormo per terra». Il ragazzo si grattò la testa, imbarazzato.
«Non ti preoccupare, non c’è problema. Posso dormire io per terra».
I due smisero di parlare e rimasero in silenzio per un tempo interminabile. Rick studiava assorto il terreno, come se si fosse reso conto di quanto fossero interessanti le punte dei suoi stivali di pelle. Yvaine si rigirava una ciocca di capelli rossi fra le dita, guardando ora il ragazzo, ora le proprie mani.
«Dimmi perché sei qui, Yvaine. La verità. Io non ho il potere di mandarti a casa. Puoi essere sincera».
Lei deglutì. Sapeva che quel momento sarebbe arrivato.
«E va bene. Ricordi che quando sei partito ho fatto un incantesimo alla tua spada, affinché ti proteggesse? Ho sbagliato l’accento. La mia magia non ha funzionato. Dovevo sapere se stavi bene. È stato più forte di me». Arrossì e guardò a terra. Ora che l’aveva detto, sembrava davvero una sciocchezza.
«E quindi avresti percorso ottanta miglia per me? Per sapere se stavo bene? Non so se sia stata una cosa coraggiosa o terribilmente stupida. Non avresti dovuto. Potevi rimetterci la pelle».
«Ero consapevole dei rischi, ma non mi importava, Rick, non me ne importava assolutamente niente. E poi non sono venuta solo per questo».
Gli raccontò degli incubi che la tormentavano da giorni. E anche del soldato che l’aveva attaccata, e del contatto che aveva avuto con Agor. Svuotò tutta l’angoscia che teneva dentro da un mese, senza risparmiarsi nulla. Quando finì, si sentì meglio.
Per un po’ Rick non disse nulla. Poi si avvicinò e l’abbracciò, mormorandole nell’orecchio solo una parola.
«Scusa».
L’aveva lasciata sola quando le aveva promesso di non farlo per nulla al mondo. Il senso di colpa lo fece sentire più miserabile di un verme.
Impietrita, la ragazza non disse niente. Gli era solo grata di aver capito i suoi sentimenti.
 
Ma il riposo durò poco. I feriti erano moltissimi, e la ragazza si diede da fare subito. Con la sua magia curò graffi e ferite più gravi per tutto il resto della giornata, lasciandola stanca e pallida.
Mentre tornava alla tenda, incrociò Rick che usciva.
«Oh, eccoti. Andiamo, è ora di mangiare».
Si diressero al refettorio. Era piuttosto grande, con tre grandi tavoli di legno. Gli incaricati della cucina servirono la cena: una calda zuppa di verdure, con qualche sporadico pezzo di carne. L’aria era cupa, e i soldati trangugiarono il loro pasto quasi senza fiatare.
Rick si ritrovò seduto vicino a Navôd Pelledicuoio. Gli presentò Yvaine, e chiacchierarono un po’ tra di loro.
Quando tornarono alla tenda, Rick aveva trovato un’altra branda.
«Oggi è stato tutto piuttosto tranquillo. Perché non hanno attaccato?». Yvaine sapeva che l’accampamento dei ribelli non era lontano. Eppure non capiva perché non avessero tentato un attacco.
«L’altra sera gli abbiamo inflitto una bella sconfitta. Devono radunare le forze. Se ci attaccassero adesso, perderebbero sicuramente».
Dopodiché, si misero a dormire.
Il giorno dopo, mentre curava un uomo che aveva la gamba trapassata da parte a parte da una lancia, Yvaine cominciò a pensare di dover imparare a difendersi. Se i ribelli avessero attaccato, nessuno l’avrebbe protetta, e non poteva agitare semplicemente il pugnale sperando di ferire qualcuno.
Così, quando ebbe finito i feriti più gravi, andò dritta da Terio.
«Terio, mi domandavo… potresti trovare qualcuno disposto ad allenarmi?».
Il re alzò lo sguardo dalla sua spada, che stava lucidando.
«Come, prego? Vorresti allenarti?».
«Sì. Se l’accampamento dovesse venire attaccato, devo saper difendermi. La mia incolumità non mi è garantita. Devo garantirmela da sola».
Era così determinata che Terio pensò di accettare. Ma non sapeva se ci fosse qualcuno dei suoi uomini disposto ad allenare una donna.
«Non so se ci sia qualcuno disposto ad allenarti. Forse puoi chiedere a Rick, gli altri direbbero di no».
La decisione del re non le piaceva molto. Non era contenta di dover sempre chiedere a Rick, sentiva che non avrebbe mai potuto ripagare i favori che le faceva. Tuttavia dovette ammettere che i soldati avevano faticato non poco per accettarla. Era una donna e una maga, e già il giorno prima per esercitare i suoi incantesimi di guarigione aveva dovuto insistere parecchio. Ringraziò il re e andò a cercare Rick.
Lo trovò che lucidava la sua armatura. Si chiese se lucidare le proprie cose fosse un modo per perdere tempo.
«Ehi, Rick».
«Ehi. Non ti avevo sentita»
«Posso chiederti una cosa?»
«Dimmi pure»
«Mi alleneresti?».
Solo a quelle parole il ragazzo alzò lo sguardo dalla sua armatura. All’inizio non voleva neppure starla a sentire, ma poi la ragazza gli spiegò le sue ragioni, ed era tanto determinata che il ragazzo si trovò praticamente costretto ad accettare.
Si allenarono quella sera, prima di cena.
Rick le insegnò le tecniche con il pugnale che un mese prima gli aveva insegnato Brem. Dapprima Yvaine ebbe un po’ di difficoltà, non aveva quasi mai maneggiato un’arma, e le sembrava strano. Quelle tecniche che il ragazzo le aveva mostrato acquisirono un senso solo quando provarono a simulare uno scontro diretto. Allora la ragazza colpiva e parava, rimediando qualche graffio, ma nulla di più, sebbene avesse l’impressione che Rick si stesse trattenendo, in qualche modo. Vedeva che ogni volta che un colpo andava a segno, e un taglietto rosso si disegnava sulla sua pelle, lui sembrava soffrire.
Yvaine era piuttosto minuta e agile. La sua bassa statura le fu d’aiuto in quello pseudo-scontro, perché quando vide che Rick tentava di sopraffarla con un colpo diretto, lei si abbassò e scivolò per terra, passando tra le gambe del ragazzo, si rialzò fulminea e lo colpì da dietro con il pugnale, un colpo parato a stento dalla spada dell’altro.
«Come hai fatto?»
«Ho seguito l’istinto di sopravvivenza» scherzò lei.
«Seriamente, come hai fatto?».
«Non lo so, l’ho fatto e basta. Diciamo che qualcosa mi ha detto che se facevo così avrei vinto».
«Hai vinto? Ma se ancora non è finita!» disse il ragazzo, gettando la spada e cominciando a fare il solletico a Yvaine, la quale prima strabuzzò gli occhi, poi scoppiò a ridere, tenendosi la pancia e dicendo «Sei cattivo! È sleale!» tra le risa.
Le stelle brillavano, mentre le risate dei due riecheggiavano nella notte.
 
 

 
***
Angolo autrice
Eccomi qui! Su questa nota allegra, ho finito il capitolo.
Allora, ripeto il mio disperato appello del capitolo precedente: chi non ha recensito, può recensirli? Per favore, ho un disperato bisogno di opinioni. Vi ringrazio.
Adesso, un avviso: non potrò aggiornare dal 15 al 28 causa vacanze. Ergo, non so se aggiornare lunedì e giovedì e quindi lasciarvi gli ultimi tre capitoli dopo il 28, oppure aggiornare solo lunedì (o solo giovedì) e lasciarvi gli ultimi quattro capitoli dopo il 28. Da considerare che questi ultimi quattro capitoli sono pieni di suspense. Scegliete voi.
Io chiudo qui. Spero che il capitolo vi sia piaciuto.
Alla prossima!
-Heart

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Capitolo 24
*** Capitolo Ventiduesimo ***


                                            Capitolo Ventiduesimo – Preparativi
 

Quella mattina Terio convocò nel suo alloggio i comandanti delle varie truppe. Anche Rick e Yvaine ebbero il permesso di partecipare.
Così, poco dopo l’alba, nell’alloggio del re si ritrovavano Terio,Vexan, Navôd Pelledicuoio, Rick, Yvaine, il capitano Legdan e Regmund Spezzaossa, il quale si era guadagnato quel soprannome in battaglia, combattendo con la sua micidiale ascia bipenne. In un angoletto un ragazzo che non doveva avere più di diciotto anni guardava i presenti con i suoi occhi neri, stringendo spasmodicamente l’elsa della spada. Era pallido e aveva una vistosa fasciatura sul collo.
«Buongiorno, commilitoni. Forse sapete perché siete stati convocati qui oggi. Dobbiamo elaborare una strategia, e una nostra spia ha qualcosa di preoccupante da riferirci». Terio si rivolse al ragazzo. «Basil, riferisci ciò che hai visto e capito».
Il ragazzo deglutì.
«Circa due settimane fa Sua Maestà Terio mi ha mandato nell’accampamento nemico per spiare, insieme a due compagni. Tuttavia ieri ci hanno scoperti, hanno ucciso i miei compagni e mi hanno ferito. Quando sono arrivato qui ero quasi morto, ma mi hanno guarito». Basil fece un cenno a Yvaine con la testa. Dapprima la ragazza non capì, poi si ricordò del giorno prima. Prima di curare l’uomo con la gamba trapassata da una lancia, aveva curato un ragazzo con una ferita sul collo: stava talmente male che era sicura che i suoi incantesimi non avrebbero funzionato.
«Durante la mia permanenza lì, ho scoperto cose molto interessanti. Il loro accampamento è grande all’incirca quanto il nostro, hanno meno tende, il loro capo sta chiuso tutto il giorno nella sua tenda, e non si fa vedere. Tuttavia una notte l’ho visto che si aggirava intorno alla sua tenda. E con uno schiocco di dita ha fatto alzare il vento. Dal nulla. Non ho idea di cosa significhi».
«È un mago. Per giunta, è potente. Se c’è lui ad aiutare i soldati, non possiamo fare niente. Siamo spacciati». Yvaine guardò i presenti. Gli umani non capivano la magia, non sapevano che controllare il vento era una magia estremamente avanzata e complicata. Proibita. Non si poteva piegare la natura al proprio volere, era contrario alle regole.
«Che altro hai scoperto?» chiese Spezzaossa, carezzando il filo della sua lama con il grosso pollice.
«Hanno delle grandi stalle anche loro, ma non so cosa tengano lì dentro. Dapprima pensavo che fossero cavalli, ma di tanto in tanto da lì si sentono strani rumori. Stridii e versi gutturali. Non so che genere di creature siano, non ho fatto in tempo a scoprirlo. Ho sentito solo alcuni soldati che ne parlavano, dicendo che “li avrebbero usati in caso di necessità, perché erano molto pericolosi”. Ho preso in considerazione l’ipotesi che possano avere dei draghi, cosa che avevo scartato».
Sospirò, poi continuò il suo racconto.
«E per di più, ho sentito che stavano preparando un attacco, una battaglia vera e propria. Quando sono fuggito, l’attacco era pianificato per quattro giorni dopo. Quindi adesso sono tre. Forse useranno anche quelle creature. Dobbiamo preparare una controffensiva».
«La situazione delle loro armi?» chiese il capitano Legdan, lisciandosi la barba, irrequieto.
«Molto buona, purtroppo. Non sembrano avere nulla a che fare con quelli che ci hanno attaccati mentre venivamo qui. Hanno spade a sufficienza, asce, pugnali, martelli, armature, scudi. Tutto. Non ho idea di dove li abbiano presi, sta di fatto che non ho trovato una spada smussata».
Quelle informazioni erano estremamente preoccupanti. Gli uomini si scambiarono uno sguardo nervoso. Non sarebbe stato facile, assolutamente.
«Se ci attaccheranno tra tre giorni» ,disse Navôd, «allora dobbiamo essere più furbi di loro e attaccarli tra due. Siamo sulla piana di Acca. È un’ottima posizione, per una battaglia. Lì attenderemo lì. C’è una piccola collinetta. Gli arcieri si possono mettere lì, e li possono inondare di frecce dall’alto. Poi c’è abbastanza spazio per ingaggiare una battaglia con i draghi. Sputano fuoco, gli umani non lo sopportano. A meno che non siano protetti da qualche diavoleria magica. Se è così, non c’è nulla che la mia ascia non possa spezzare». Il nano e Regmund Spezzaossa si scambiarono uno sguardo d’intesa e un cenno di rispetto con il capo. Erano entrambi abili con l’ascia.
«È un buon piano. Ma non so se riusciremo a sopraffarli. Basil, quanti sono?» chiese Terio.
«Molti. Più di noi, senza contare le perdite dell’altra sera. Direi qualche migliaio».
Quello era un problema. L’inferiorità numerica rendeva tutto più difficile.
«Non disperiamo. Vi ricordo che non serve un esercito numeroso per vincere una battaglia. L’importante è che sia ben organizzato». Le parole del capitano Legdan, per quanto sagge, non servirono molto a rallegrare i presenti.
«Però la strategia di Pelledicuoio è buona. Va bene. Tra due giorni ci schiereremo sulla piana di Acca. Riferitelo agli uomini sotto il vostro comando». Terio congedò i presenti, ma Yvaine non tornò alla tenda.
«Terio, per favore, vorrei poter conferire con voi in privato». La ragazza sapeva che quello era il momento giusto. Aveva capito che non avevano nessuna possibilità di vincere. E lei aveva un piano.
«Cosa c’è, Yvaine?». Terio la squadrò. Lei deglutì. Sapeva che ciò che stava per dire avrebbe significato la sua morte, in quello stesso momento. Ma non poteva morire. Era una strategia, e sapeva che avrebbe funzionato.
«È una lunga storia» disse, tirando fuori dalla tasca del pantalone una pergamena spiegazzata.
 
Rick si chiese cosa dovesse dire Yvaine a Terio di così importante. Stava uscendo dall’alloggio e poi lei era rimasta dentro. Forse doveva chiedere informazioni riguardo alla strategia. Non era una possibilità da escludere. Oppure stava dando più informazioni riguardo alla sua magia.
Non lo sapeva, e ciò lo rendeva nervoso. Si sedette a gambe incrociate lì fuori e aspettò.
 
La ragazza cominciò a raccontare.
«Qualche mese fa, mi sono svegliata ad Aleero, in una pozza di sangue. Ovunque andassi c’erano sangue e cadaveri. La città era distrutta, e una voce nella mia testa mi diceva che avevo compiuto la mia vendetta. Allora non capii. E poi trovai questa, nella mia veste». Porse il foglio al re.
Quando Terio lesse la lettera, sentì gelarsi il sangue nelle vene. Non riusciva a capire come una madre potesse fare una cosa del genere.
«Io sono un mostro, Terio. Se qualcuno mi facesse un torto, Lilith si vendicherebbe nel peggiore dei modi. E io ho partecipato alla distruzione di Aleero. Io ho partecipato alla morte di tuo padre. È colpa mia se è stato ucciso. Mi dispiace». Una lacrima le luccicava sulle ciglia, un’altra era già scivolata sulla guancia.
Dapprima Terio fu preso da una rabbia incontenibile. Ma si trattenne.
«Rick lo sa?»
«Sì. Mi ha vista, una volta, mentre ero dominata da Lilith». Gli raccontò di Fert e della magia che aveva usato per liberare se stessa e Rick. E di Lilith che era emersa quando gli uomini li avevano attaccati.
«Quindi, quando vi abbiamo trovati nel bosco…»
«Avevamo trovato il tempio di Lilith. Il destino ci aveva condotti lì. E io ero paralizzata dal terrore».
Con un sospiro tremante, continuò. Non immaginava che sarebbe stato così difficile.
«Non sai che cosa passo ogni notte. I morti che non conosco mi vengono a trovare. E da quando siete partiti, è Lilith stessa a tormentarmi. Sono tornata per questo. Rick scaccia gli incubi. Non so perché, ma ho una mia teoria. Ma al momento non è importante.
Credo che tu voglia uccidermi. Non hai tutti i torti, hai perfettamente ragione. Il fatto è che non puoi. Se solo provassi ad attaccarmi, Lilith si sveglierebbe, e tu finiresti sventrato dal suo pugnale».
«Come mai?»
«È la sua reazione. Se muoio io, muore anche lei. Quando ho trovato Rick, nel bosco, stavo per morire. Tuttavia non ci riuscivo, perché c’era lei a tenermi in vita. Poi lui mi ha guarita. E abbiamo viaggiato insieme.
Comunque, ho elaborato una strategia. Per la battaglia contro i ribelli. Quando sarà finita, potrai uccidermi. Dammi un sonnifero e uccidimi nel sonno. Avvelenami. Bloccami e dammi il colpo di grazia. Se vorrai, potrai farlo».
«Non dirlo neppure per scherzo, Yvaine! Non potrei mai uccidere una ragazza innocente!»
Lei fece un sorriso amaro.
«Innocente? Ho ucciso migliaia di persone. Quando mi sono svegliata ad Aleero, le mie mani e le mie vesti erano pregne del sangue di innocenti. Io sono tutt’altro che innocente, Terio».
«Allora qual è la tua strategia?»
«Lilith emerge non appena sente di venire attaccata. È in grado di sprigionare una forza sovrumana. È una dea, dopotutto. La mia idea era di farla uscire durante la battaglia. Se uno qualsiasi di voi – te, Navôd, Rick, Spezzaossa, Legdan – venisse ferito o ucciso, io evocherei la dea per vendicarmi. E se sono io a evocarla, è ancora più potente. Quando Lilith emerge, mettetevi al riparo. Lei non fa differenza tra ribelli e amici. E se viene ferita, non se ne cura, le ferite guariscono in meno di un secondo, se non sono troppo gravi. Quando evoco Lilith, divento una macchina bellica più potente di mille uomini messi insieme. E volendo potrei ideare una pozione che la fortifichi ancora di più, o che mi aiuti a farla emergere».
«È un suicidio»
«O questo o la morte di tutti noi, Terio. Meglio il sacrificio di uno, se significa la salvezza di molti».
«Mi stai chiedendo di immolarti come un agnello il giorno del Navareh?»
«Non morirò. Forse smarrirò me stessa. C’è il rischio che Lilith si impadronisca del tutto di me, e rimarrò per sempre confinata nella mia mente. In quel caso, ti prego di uccidermi. Non voglio uccidere ancora».
«Non lo so. Ci devo pensare».
«Solo una cosa. Non dire a Rick del mio piano. Me lo impedirebbe».
Detto questo, uscì dall’alloggio.
 
Trovò Rick lì davanti, in piedi, a scrutare il panorama.
«Ehi»
«Oh, eccoti. Sei stata lì un sacco di tempo»
«Dovevo parlare di un po’ di cose. Piuttosto, mi alleni?»
«Va bene. Andiamo a prendere ciò che ci serve».
Rick voleva sapere cosa si fossero detti, ma se lo avesse chiesto sarebbe sembrato un impiccione. Si trattenne, ma era preoccupato. O meglio, non l’avrebbe ammesso neppure sotto tortura, ma era un po’ geloso.
 
Andarono nell’ arena, Rick impugnando la sua spada, Yvaine una coppia di pugnali. L’idea di usare la stessa arma di Lilith la ripugnava, ma era quella con cui si trovava più a suo agio.
Simularono uno scontro. Lei non era ancora molto abile, ma la bassa statura l’aiutava. Era più semplice schivare i colpi.
Il ragazzo era distratto, non riusciva a smettere di tormentarsi per quello che Terio e Yvaine si erano potuti dire. E non riusciva a non pensare alla battaglia imminente. Stavolta non si sarebbe trattato di respingere un attacco, per quanto fosse feroce. Stavolta rischiava il tutto per tutto.
Turbato da questi pensieri, non ci volle molto a farsi sopraffare. In poco tempo si ritrovò i pugnali di Yvaine puntati contro il suo petto.
«Ho vinto»
«Solo per oggi».
Si sorrisero. Non riuscivano a rimanere seri a lungo, mentre duellavano. Ma dietro quei sorrisi, non c’era altro che ansia e angoscia.
 
Il giorno dopo, molti soldati seguirono il loro esempio, simulando scontri nell’arena. Che fossero duelli o scontri a gruppi, la maggioranza si allenava; il resto dei soldati stava a guardare, poggiato alla staccionata che delimitava l’arena, aspettando il proprio turno.
A pomeriggio, mentre Rick e Yvaine e molti altri riposavano, alcuni soldati portarono un paio di draghi nell’arena. Uno era cavalcato da Navôd Pelledicuoio, ed era di un rosso brillante. L’altro, marrone e verde come Agor, ma con la differenza che aveva le ali, era cavalcato da Spezzaossa. L’arena fu sgombrata in fretta: nessuno dei soldati voleva finire schiacciato dalla grossa mole dei rettili.
I due cavalieri si scrutarono torvi, esattamente come i loro draghi. E poi iniziarono.
Il drago rosso schioccò la mascella ed eruttò una fiamma rossa dritta contro l’altro drago, il quale la respinse con un getto di fiamme. Per un attimo i due fuochi si scontrarono a mezz’aria; poi si estinsero. I due cavalieri si ripararono con lo scudo dal calore intenso. I draghi sapevano bene che non dovevano ferirsi seriamente, perciò evitarono di alzarsi nel cielo, combattendo in aria.
Si avvicinarono l’uno all’altro e cominciarono a graffiarsi e a mordersi. Sebbene si stessero trattenendo, i loro colpi erano estremamente violenti. La maggior parte degli spettatori si chiese come sarebbe stato se i draghi fossero nemici, come i loro cavalieri, e non dovessero soppesare ogni colpo con cautela, per evitare che l’altro rimanesse ferito.
Navôd e Spezzaossa fecero roteare le proprie asce, le lame rilucevano di riflessi sanguigni sotto la luce del tardo pomeriggio.
Cominciarono a simulare una serie di colpi, violentissimi e precisi. Ma non si colpirono sul serio, sembrava piuttosto che si stuzzicassero a vicenda, incitando l’altro a colpire per primo per imbrogliarlo. Una danza letale ed estremamente affascinante. Bastava un passo falso e si sarebbero potuti ferire sul serio, compromettendo inevitabilmente anche l’esito della battaglia del giorno successivo. Era un rischio calcolato da entrambi.
Continuarono così per mezz’ora circa, i draghi che si avvicinavano e si allontanavano per proteggere i propri cavalieri da un movimento troppo rischioso, agitando le lunghe code muscolose. Poi, quando furono esausti,i cavalieri scesero dai draghi e si fecero un inchino, con un pugno sul cuore e l’altra mano sull’ascia. Dopodiché riportarono i draghi nelle stalle.
«È stato magnifico» disse Rick, con gli occhi che brillavano. Gli sarebbe piaciuto impugnare un’ascia, ma non era l’arma adatta a lui.
«Già».
Per tutto il resto della giornata il principale argomento di conversazione fu il duello simulato di Spezzaossa e Pelledicuoio. Nonostante l’eccitazione provocata da quello scontro, i volti dei soldati erano tesi, i loro occhi scrutavano oltre l’accampamento, verso la piana di Acca.
Quella notte, pochi riuscivano a dormire. Anche Yvaine aveva difficoltà. Così decise di uscire a prendere una boccata d’aria, cercando anche gli ingredienti che le servivano per preparare qualcosa in grado di scatenare Lilith. Ma per sfortuna non li trovò, quindi tornò nella sua tenda e si mise a dormire, aspettando l’alba.
 
 

 
 
***
Angolo autrice
Ehilà! Eccomi qui!
Siamo agli sgoccioli. Davvero, manca pochissimo. Gli ultimi quattro capitoli ve li lascio dopo le vacanze. Ci vediamo forse il 29, ma con più probabilità aggiornerò il 1 agosto.
Non ci posso credere, ho quasi finito…
Ringrazio ery98sole per avermi dato l’idea del combattimento con i draghi. Ovviamente nei prossimi capitoli ce ne saranno altri. Magari non era esattamente quello che intendevi, però mi hai dato l’idea.
E ripeto il mio appello disperato: chi non ha recensito, recensisca! Avete due settimane per farlo! Per favore, ho bisogno dei vostri pareri! Hanno un valore inestimabile, per me!
Grazie a tutti per l’attenzione.
-Heart

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Capitolo 25
*** Capitolo Ventitreesimo ***


                                             Capitolo Ventitreesimo – Prima della battaglia
 
Sulla piana di Acca tirava un vento leggero. L’alba non era ancora sorta del tutto, sebbene a oriente il cielo fosse schiarito da una soffusa luce rosata. I soldati si stavano schierando: gli arcieri si erano già posizionati su una collinetta poco distante, i venti draghi erano già pronti, in attesa dei propri cavalieri, i cavalli erano sellati, i fanti cominciavano a mettersi in posizione.
L’atmosfera era tesa, densa, quella che permea i luoghi dove gli uomini sanno di rischiare il tutto per tutto. I minuti trascorrevano lenti, ogni battito del cuore sembrava più forte del solito, come se adesso, a un passo dalla morte, ogni uomo dovesse accorgersi di essere vivo, della vita che scorreva nelle proprie vene.
Terio, il capitano Legdan, Regmund Spezzaossa e Navôd Pelledicuoio giravano tra i soldati, rassicurando gli animi.
Rick stava affilando la sua spada, pregando gli dei di vincere. Non gli importava di morire, voleva solo che Ennea trovasse la pace. Pensò ai suoi genitori, li ringraziò della breve vita che gli avevano concesso, e pensò con gioia che quasi sicuramente li avrebbe rivisti molto presto. Pensava di non avere alcuna speranza di rimanere vivo. Era troppo inesperto, troppo nervoso, troppo spaventato, troppo arrabbiato. Pensò ai suoi amici, che non aveva neppure avuto modo di salutare. Pensò a Masia, che aveva sempre guardato da lontano. Aveva perso così tante occasioni, nella sua breve vita, che gli pareva giusto cogliere l’opportunità di salvare il suo Paese, il suo mondo. Chiuse gli occhi, e gli parve di sentire sul viso la brezza che soffiava nel prato vicino Kroal, il belare delle pecore al pascolo, il cinguettio degli uccelli nel cielo, il profumo delle zuppe di sua madre. Tutta la sua infanzia, in un unico istante. Ma le circostanze lo avevano costretto a crescere in fretta, senza possibilità di fermarsi, di prendere fiato e fare il punto della situazione. Era accaduto tutto così velocemente che anche il tempo stesso non riusciva a tenere il passo.
Il ragazzo era turbato da questi pensieri, quando vide arrivare Yvaine.
 
La ragazza tremava come una foglia. Aveva due pugnali attaccati alla cintura, uno nello stivale e un altro attaccato alla coscia, abbastanza per difendersi, ma guardandola in volto, si vedeva che era spaventata, se non terrorizzata. Atterrita da ciò che avrebbe fatto da lì a poco. Solo il fatto che lo faceva per salvare Ennea e Rick la tranquillizzava. Si stava sacrificando per una giusta causa. Per una volta, aveva uno scopo, aveva il suo posto. Sapeva cosa fare.  
Quando raggiunse Rick, un nuovo pensiero le aveva attraversato fulmineo la mente, una cosa che prima non avrebbe mai osato pensare. Ma nella vita ci sono occasioni che non vanno perse, perché potrebbero non ricapitare mai più. Era a questo che pensava, in quella fresca mattina di giugno. (*)
In piedi l’uno accanto all’altra, due ragazzi si guardarono senza dirsi una parola. In un momento come quello non servivano parole, perché entrambi provavano le stesse cose.
All’improvviso, Rick parlò.
«Ti prego».
La ragazza non capì.
«Come?»
«Torna all’accampamento. Ti prego. Non potrei sopportare di perdere anche te».
«Potrei dirti la stessa cosa. Non tornerò all’accampamento, ormai ho preso la mia decisione. Piuttosto, torna tu. Fai ancora in tempo». Solo dopo si rese conto che lui ci teneva, a lei.
Non potrei sopportare di perdere anche te.
Da lontano, qualcuno annunciò di schierarsi.
Yvaine capì che quella era la sua ultima occasione.
«Rick?» lo chiamò.
Il ragazzo si girò verso di lei.
E lei, inaspettatamente, lo baciò. Un bacio vero, reale. Un bacio a cui lui rispose, sorprendendo non solo lei, ma anche se stesso.
Per Yvaine, adesso non c’era più l’esercito, l’accampamento, i ribelli, Lilith, i draghi, non c’era più nemmeno l’alba. C’erano solo lei e Rick, e nient’altro. Fu un bacio talmente dolce e irreale che per un attimo temette di sognare. Che stesse succedendo nella sua testa. Ma quando sentì il calore e la dolcezza delle sue labbra, capì che era tutto vero. Che forse c’era una possibilità che anche lui sentisse le stesse cose che provava lei.  
Rick rimase stupito da quel gesto improvviso. E rimase ancora più stupito nel rendersi conto che lo stava aspettando, lo desiderava. Silenziosa come una gatta, quella ragazza era entrata nel suo cuore, ormai. Forse stava esagerando, aveva solo sedici anni, ma in quel momento non importava. In quel momento importavano solo loro due, le loro labbra che si toccavano, le mani di lui intrecciate ai capelli di lei e i loro cuori che battevano all’unisono.  
Da qualche parte dentro Yvaine, Lilith urlò.
Dopo si guardarono, entrambi con il respiro un po’ affannato e le guance porpora. Lui la guardò smarrito, come se non avesse ben capito cosa fosse successo. La ragazza parve leggergli nel pensiero.
«Potremmo essere morti prima del tramonto, era l’unica occasione che avevo». Poi sorrise, si voltò e corse a prendere il suo posto.
Fu allora che il ragazzo corresse mentalmente ciò che si era detto prima. Non poteva assolutamente morire, se non voleva farlo per sé, lo avrebbe fatto per lei. Ora bastava solo vincere la battaglia, e poi chissà… magari anche per loro poteva esserci un futuro, dopo la piana di Acca.
 
Una spessa linea nera si avvicinava alle loro linee. Quando Terio vide ciò che c’era in quella linea nera, però, si sentì un brivido scivolare lungo la schiena.
Draghi.
Draghi neri come la notte con gli occhi di brace, così tanti che Terio non riuscì a contarli. Ma non fu solo quello a farlo inorridire. Schierate tra gli uomini, c’erano creature mostruose, deformi, innaturali. Alcune sembravano abominevoli incroci di razze, altre sembravano provenire direttamente dall’inferno. I soldati, sia quelli a cavallo che i fanti, erano vestiti di nero. Rick riconobbe gli stessi soldati che avevano ucciso sua madre e suo padre, e sentì montare una rabbia bruciante, più incandescente del fuoco.
I soldati dietro di lui gemettero dal terrore. Avevano paura, ora quell’attacco sembrava una pazzia.
Terio cercò di incoraggiarli.
«Forza, uomini! Non abbiate paura! La salvezza di Ennea è nelle nostre mani, e noi non scapperemo!».
Un grido di guerra riecheggiò tra le fila dei soldati.
«All’attacco!».
 
 
 
****
Angolo autrice
Non è un granché. Chiedo perdono per il tempo perso dietro questo capitolo, ma davvero sono molto stanca. Vi ringrazio per l’attenzione, per seguirmi ancora.
Il prossimo capitolo arriva… boh, penso giovedì, o mercoledì. Insomma, quando posso aggiorno.
Ciao a tutti e alla prossima
Heart
N.B: Quel (*) sta a ricordarvi che a Ennea le stagioni sono al contrario, non sono io che sono impazzita.

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Capitolo 26
*** Capitolo Ventiquattresimo ***


                                                                          Capitolo Ventiquattresimo – La battaglia
 
«All’attacco!»
Con un unico grido, i due eserciti si scontrarono, e allora iniziò.
La strategia di Terio era di distrarli attaccandoli davanti, per poi sorprenderli ai fianchi con la cavalleria. Poteva essere una strategia vincente, ma con l’esercito che aveva davanti non ne era più tanto sicuro.
Il suo drago eruttò una fiammata proprio dritta contro i nemici, ma quelli continuarono ad avanzare, imperterriti. Alcuni morirono consumati dal fuoco. Gli altri combattevano ancora.
Come se non sentissero dolore.
Che diavoleria è mai questa?pensò Terio, mollando un calcio a un uomo che si stava avvicinando troppo al suo drago.
Navôd Pelledicuoio, in groppa al suo drago rosso, guidava i suoi nani contro i soldati. Armati di asce, corte spade e mazze ferrate, i piccoli uomini dei Monti Minori partirono all’attacco.
«Se c’è una cosa che ai nani piace più della birra, è la guerra!» disse un nano che in quel momento stava passando vicino a Rick, al quale, strano ma vero, venne da ridere.
Spezzaossa aveva preso con sé una parte dell’esercito e lo stava conducendo contro i nemici. I suoi uomini erano particolarmente carichi, perché era il coraggio del capitano che li spingeva a dare il meglio di sé.
Il capitano Legdan e altri salirono sui loro draghi e condussero i propri uomini contro i fianchi dell’esercito nemico.
Sebbene sembrassero molto simili, si scoprì che quelle creature mostruose presenti tra le fila dei nemici erano assai diverse tra loro: alcune morivano per una ferita superficiale, altre non morivano se non venivano colpite a fondo.  Quelle all’apparenza più mostruose si rivelarono quelle più semplici da battere; furono quelle dall’aspetto innocuo, quasi docile, a rivelarsi brutali.
Rick combatté, esaltato dalla foga della battaglia. Non si sentiva male a uccidere quella gente, perché loro avevano ucciso i suoi genitori, e stavano pagando il prezzo di quelle vite innocenti. Era giustizia, non vendetta. Anche se cominciava ad avere dei dubbi.
La sua spada cominciò a gocciolare sangue.
Yvaine, dal canto suo, aveva tirato fuori due pugnali e combatteva, veloce e letale come una serpe. Ma in realtà aveva paura. Perché non poteva ignorare la gioia selvaggia di Lilith dentro di lei, per il solo fatto che stava spargendo il sangue delle persone che l’avevano fatta soffrire, che avevano fatto soffrire anche Rick, e Terio , e Alysia, tutti.
La forza sempre crescente di Lilith aumentava le sue capacità combattive. Sembrava un’esperta, più che una principiante.
Parecchi uomini caddero morti sotto i colpi dei suoi pugnali.
Dopo un po’ di tempo, un drago rosso la avvicinò.
«Ehi, Furiarossa!» le gridò dall’alto Navôd. «Facciamo uno scambio?»
Il nano scese agile dal dorso del drago, e la ragazza si accomodò al posto suo.
«Kirikou, mi fido di te. Non fatevi uccidere!» raccomandò il nano, mentre il drago rosso spiegava le ali.
Dall’alto, Yvaine vide quanto fosse deprimente la loro situazione. Non c’era scampo, per una semplice questione numerica. E poi c’erano i draghi neri. Però avevano un che di innaturale. Erano tremolanti. Non le ci volle molto a scoprire l’inganno.
Sono immagini. Non erano draghi veri. Erano proiezioni. Falsi draghi per spaventarli. Alcuni erano veri, ma non dovevano essere più di quindici. Con le immagini, risultavano trenta draghi.
Doveva avvertire l’esercito.
Volò sulla piana finché non vide Terio. Stava duellando contro un omaccione vestito di nero, mentre il suo drago era in giro a spargere fiamme. Aspettò che il re trapassasse il ventre dell’uomo con un rapido affondo, e poi si arrischiò a parlare.
«Terio!»
Il giovane alzò la testa.
«La metà dei draghi neri che vedi è falsa! Non farti ingannare!». Sperò che avesse capito, e che lo comunicasse agli altri.
Yvaine stava quasi per risollevarsi in quota quando lo vide.
Rick stava combattendo contro un soldato grande almeno due volte lui. E quello rideva dei suoi sforzi, lo stava solo affaticando, il ragazzo sarebbe morto di stanchezza. Era ricoperto di sangue, che gli usciva rosso e viscoso da una larga ferita sull’avambraccio.
E allora decise, era quello il momento che stava aspettando. Era il momento che Lilith uscisse allo scoperto.
Chiese al drago di portarla a terra, e poi si concentrò su se stessa.
Dapprima, non riusciva neanche a percepire la dea. Poi la sentì avanzare, trionfante, nel suo animo, perché aveva vinto, era stata più forte di quanto pensasse. Aveva sconfitto la paura di Justitia e la paura di Yvaine, e adesso niente le avrebbe impedito di rivelare al mondo la sua natura divina.
 
Un rombo scosse la terra. La battaglia si interruppe, e tutte le teste si voltarono verso la stessa direzione, quella da dove veniva il rumore. Vicino ad un drago rosso, per terra, scossa da violenti spasmi, stava una ragazza con i capelli rossi. Poi si alzò in piedi, e divenne grande, sempre più grande, finché non sovrastava tutti. Era alta almeno tre metri e mezzo. Al posto dei vestiti di pelle che indossava, ora aveva solo una tunica bianca macchiata di rosso. Un ghigno di trionfo spuntò sul volto della donna. Tra i capelli, proprio sul capo, spuntavano due gigantesche corna ritorte, simili a quelle di un ariete, ma rivolte verso l’alto. In una mano, un pugnale bianco come il latte macchiato di rosso.
La dea si guardò intorno con i suoi occhi neri che sembravano solo pupilla. Tutti i presenti, amici e nemici, sentirono un brivido di paura scorrere gelato lungo la schiena.
E poi, una voce fredda come il ghiaccio e suadente come il miele parlò direttamente nelle loro teste, facendoli impazzire di terrore.
Come la Grande Calypso domina il mare, io, la Grande Dea, sono la dominatrice dell’animo umano. Io sono Lilith, la patrona della vendetta.
E allora la dea iniziò la sua vendetta, il suo sanguinoso rito, mentre Yvaine, incatenata nella sua coscienza, piangeva e rideva al tempo stesso.
 
Rick osservò la scena con paura, ma conservando una lucida freddezza. Gli altri si stavano dando alla fuga. Lui non l’avrebbe fatto. Perché aveva capito cosa voleva dire Yvaine, con “ultima occasione”.
Lei si stava sacrificando, questo era ovvio. Per il semplice fatto che Terio sembrava aspettarsi una cosa del genere. Non proprio così, ma simile.
E lui si sentì tradito. Perché era sempre lui quello a cui bisognava nascondere le cose? Temevano che non avrebbe retto?
Sentiva una tale rabbia nel corpo che aveva voglia di attaccare la dea. Era un’idea folle e stupida. Fu la sua voce interiore a fermarlo.
Non essere sciocco, ragazzo. Non la puoi fermare. E non è così che salverai lei.
Ecco, ora aveva detto una cosa buona. Che stava agendo senza lucidità, doveva stare calmo. Lui non voleva attaccare Lilith. Lui voleva salvare Yvaine.
Devi lasciarla sfogare. Perché questo è ciò che vuole lei.
Com’è possibile? Yvaine odia Lilith con tutta se stessa. Com’è possibile che l’abbia evocata apposta?
Per salvare te.
Salvare me? Lei si sta sacrificando… per salvare me?
Non avevamo speranza di vincere. È la furia distruttrice di Lilith che ci porterà alla vittoria.
Lei si è offerta per fare da arma? È una pazzia!
Era l’unica possibilità.
Non ci credo. Ci sarà un modo per liberarla…
Forse. Ma non è ora che ci devi pensare.
Rick si costrinse a tornare al presente. Sapeva per esperienza che Lilith non faceva differenza tra amici e nemici. Quindi girò i tacchi e fuggì, seguendo il suo esercito, mentre Lilith finiva la sua strage.
L’erba era macchiata di rosso.
 
Dentro Lilith, Yvaine taceva. Non provava rimorso per ciò che stava facendo. Lei lo voleva. Avevano quasi ucciso Rick. Era giusto che pagassero il loro gesto.
Quando tutto sarà finito, si disse, voglio morire.
Non voleva più condividere la sua esistenza con Lilith. Preferiva smettere di esistere.
E poi, aveva finalmente capito una cosa. Sola nella sua testa, aveva capito perché Rick riusciva a scacciare Lilith. Non era per via del profondo amore che provava per lui. C’era qualcos’altro.
Ricordò il giorno in cui si erano incontrati, nel bosco. A come Lilith aveva urlato, quando lo aveva visto. E a come aveva urlato quando avevano deciso di viaggiare insieme. E al bacio di poco prima, quando l’aveva sentita chiaramente indebolirsi attimo per attimo.
Justitia.
Era l’unica spiegazione possibile. Che lo spirito della giustizia vivesse in lui. La giustizia in perenne contrapposizione con la vendetta. Le due facce della stessa medaglia, per sempre unite e per sempre separate.
E allora capì quello che doveva fare.
 
Fuori, imperversava il caos. I pochi nemici che sfuggivano a Lilith venivano velocemente finiti dall’esercito di Terio. Le immagini dei draghi neri erano svanite. I veri draghi neri giacevano morti sull’erba.  
E poi, all’improvviso, la terra tremò di nuovo. Un drago nero più grande degli altri si librò nel cielo. In groppa, un uomo dalla tunica viola bordata di nero e d’oro. Era completamente calvo, ma aveva un lungo pizzetto nero sul mento, e occhi piccoli e crudeli. Quando vide la dea, tirò fuori un lungo bastone nero, e cominciò a colpirla. Ogni volta che il bastone toccava la pelle della dea, si sprigionavano scintille.
La dea rimase dapprima stupita; poi rise, una risata agghiacciante che echeggiò per tutta la piana di Acca.
Lilith schiacciò il drago nero come se fosse una zanzara. Quello mandò un ruggito di dolore, prima di schiantarsi a terra seppellendo sotto di sé dieci ribelli.
Il mago, però, si era librato in volo. Con una magia si teneva sospeso davanti a Lilith. Era una scena quasi comica, un omino piccolo come un sasso che cercava di uccidere una dea.
Lilith rise ancora, e ancora. Quando si fu stancata di vedere quell’essere insulso che tentava di attaccarla, lo schiacciò tra indice e pollice. Gli schizzi di sangue arrivarono fino a terra.
La dea continuò a uccidere tutti quelli che osavano avvicinarsi troppo. Il suo gigantesco pugnale uccise più uomini di quanto ne avesse uccisi l’intero esercito di Terio prima che Yvaine evocasse Lilith.
La dea si allontanò, alla ricerca di altri uomini da trucidare, sempre ben visibile grazie alla sua altezza eccezionale.
 
Era praticamente il tramonto quando videro la dea accasciarsi al suolo e rimpicciolire.
La piana di Acca era ricoperta di cadaveri. Molti dell’esercito di Terio, e tutti quelli dell’esercito nemico.
Il sole tingeva di arancione l’erba rossa di sangue.
Nessuno dei soldati superstiti si mosse. Rick guardò un attimo Terio, come a chiedere il suo permesso. Poi corse per la piana, verso Yvaine.
 
 

 
 
***
Angolo autrice
Be’, non sono brava a descrivere battaglie. Però mi sono impegnata a descrivere Lilith, la sua sete di sangue. Spero di esserci riuscita.
I prossimi capitoli li posterò in due giorni consecutivi, ma non so ancora quando.
Grazie per l’attenzione.
Heart 

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Capitolo 27
*** Capitolo Venticinquesimo ***


                                       Capitolo Venticinquesimo – Il prezzo della battaglia
 
Yvaine era distesa per terra, svenuta. I suoi abiti erano macchiati di rosso. L’erba intorno a lei era inzuppata dal sangue che le sgorgava da uno squarcio sul fianco destro.
«Yvaine…» disse Rick, precipitandosi accanto a lei. Le sentì il polso, che batteva debolmente. Cercò qualcosa per fasciarle la ferita, ma non trovò niente. Affranto, si coprì il volto con le mani.
Non sono riuscito a proteggerla. Non posso salvarla. Sta morendo, e io non posso fare niente.
«R..Rick…» sussurrò all’improvviso lei. Il ragazzo non credette ai propri occhi, quando la vide sveglia.
«Ci…ci sono riuscita? Abbiamo vinto?» chiese, anche se in cuor suo lo sapeva già.
«Sì, abbiamo vinto. Ma non avresti dovuto fare una cosa del genere. Perché lo hai fatto?»
«L’ho fatto per te, Rick. Così potrai vivere libero».
«Non penso di aver sentito dire una stupidaggine più grande di questa. Come potrò mai essere libero, se la mia libertà ha richiesto il tuo sacrificio?»
«Lo sarai comunque. L’ho fatto per te, e se tu sei vivo, io sono felice. Hai mantenuto la promessa».
Rick si sentì tremare.
«È giunta la mia ora. Se mi lascio andare, Lilith riprenderà il mio corpo. E allora non avrete scampo. Qualcuno deve mettere fine alla mia vita, adesso, prima che finisca da sola».
Lo capì ancora prima che finisse di parlare. Chi dovesse mettere fine alla sua vita.
«C’è un modo per liberarti di lei, io ne sono sicuro»
«No, non c’è. Non ho altra scelta, Rick». Aveva gli occhi lucidi.
«Uccidimi, ti prego. Fallo per me. Ti supplico».
Nella sua voce tremante, Rick poteva sentire tutta la sua sofferenza. Ma nei suoi occhi color cielo, scorgeva una nota di dolente saggezza.
«Non posso, Yvaine. Non posso».
«Non capisci, Rick? Sono al limite. Sarò egoista, ma non ce la faccio più. Ti prego».
Rick non voleva capire. Come un bambino che non vuole accettare la realtà, sopraffatto dalla logica inattaccabile di un adulto.
«Posso chiederlo solo a te. Se lo chiedessi ad altri, Lilith li ucciderebbe». Ora parlava a fatica. Respirava affannosamente, il petto che si alzava e abbassava velocemente, gli occhi grandi di paura che iniziavano a scurirsi, sembravano già neri come l’inchiostro.
«Perché io, Yvaine?»
«Rick, io già da quando ti incontrai nel bosco, non so quanto tempo fa, ho capito una cosa» prese un respiro profondo, mentre le lacrime le scendevano sulle tempie.
«Rick, in te c’è qualcosa di incredibilmente puro, inestimabile. Una cosa che niente può contaminare. Uno spirito di giustizia talmente bello da far venir voglia di piangere. L’unica cosa in grado di fermare un abominio di natura come Lilith»
«Non è possibile, Yvaine. Io non voglio ucciderti. Non dopo il bacio di prima. Non dopo aver capito quanto sei importante per me». Ma Yvaine non lo ascoltava.
«Anche la giustizia richiede un prezzo. E chi deve pagarlo se non io, che ho causato tanta sofferenza? Chi più di me merita la falce di Justitia?»
Le punte delle corna affiorarono dai suoi capelli.
«Quando sarà finita, distruggi quel tempio. Fa’ che nessun altro abbia il mio stesso, tremendo destino». Tossì, e le sue labbra si macchiarono di sangue.
Rick annuì piano con la testa. Poi si chinò verso di lei, baciandole dolcemente la fronte.
Lascia che sia io a guidare la tua mano. La voce saggia e profonda di Justitia lo sorprese. Yvaine aveva ragione. E allora lasciò che la dea prendesse possesso del suo animo. Come in sogno, si sentì alzarsi e prendere la spada. Solo che non era una spada, era una pesante lancia d’oro.
«Grazie, Rick. Sei stato la cosa migliore che mi sia mai capitata. È tempo che me ne vada. È giusto così». Lilith, nella sua coscienza, cominciò a gemere. Guardò per l’ultima volta ciò che aveva intorno. Il tramonto le feriva gli occhi. Vedeva Rick, e al tempo stesso non era lui, ma Justitia. In mano la sua spada ancora sporca di sangue per la battaglia che cambiava forma continuamente, divenendo una lancia d’oro. Vide quel ragazzo così coraggioso, la sua figura che si stagliava contro il cielo, e le parve così forte, bello, e grande. Capì di nuovo che quella era l’ultimo attimo. Prima della battaglia, sperava in qualche modo di riuscire a salvarsi. Adesso, era davvero la sua ultima occasione. Il suo regalo d’addio.
«Ti voglio bene» sussurrò. Poi sorrise.
E rimase così, con il sorriso sulle labbra, mentre Rick,  urlando con il volto rigato dalle lacrime, le affondava l’arma nel petto.  

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Capitolo 28
*** Epilogo ***


                                                               Epilogo
 

Il vecchio guardò fuori dalla finestra. Era ancora buio, ma l’alba, a oriente, tingeva il cielo di rosa. Quell’immagine gli ricordò una mattina di più di cinquant’anni prima.
La porta che cigolava lo costrinse a interrompere i suoi pensieri.
Un ragazzo si avvicinò al suo letto.
«Padre, come vi sentite?» gli chiese, gli occhi verdi carichi di preoccupazione.
Occhi verdi come i suoi.
«Che domanda sciocca, figlio mio. Ma io sto bene. Sto per emendare una mia terribile colpa. Sto per rivedere una persona che ho amato molto senza rendermene davvero conto. Quindi mi sento bene».
Il ragazzo non capì. Dopo ventiquattro anni che conosceva suo padre, ancora le sue parole gli risultavano un enigma.
«Cosa intendete dire, padre?»
«È difficile da spiegare, devo partire dal principio. Da quando ho iniziato a capire la differenza tra vendetta e giustizia. Quelle due facce della stessa medaglia così semplici da confondere. Dentro di me, c’era la giustizia fatta persona. Ero innamorato di una ragazza che portava in sé la vendetta, Lilith. Hai presente la battaglia che ti ho raccontato tante volte? È tutta una menzogna. Non fu l’esercito a sterminare i ribelli. Fu lei, evocando quella dea maledetta, a fare una strage. E poi sai che cosa ho fatto? L’ho uccisa, figlio mio. Dopo aver capito che lei era il mio motivo per continuare a vivere, l’ho dovuta uccidere. Mi ha pregato di farlo. L’ho uccisa. Mentre io ero pronto a vivere per lei, lei aveva deciso di morire per salvare me». Il volto rugoso del vecchio era bagnato di lacrime. Non si era mai perdonato quel gesto. Ricordava, dopo che il suo cuore aveva smesso di battere, che aveva tenuto tra le braccia il suo corpo senza vita. Aveva urlato al cielo il suo dolore, mentre le lacrime gli rigavano il viso sporco di sangue e polvere. Aveva portato in braccio il suo cadavere fino a Terio, poi aveva avuto un crollo emotivo. Aveva passato tutto il viaggio di ritorno fino ad Aleero in uno stato di semi-coscienza popolato di allucinazioni, dopo che il guaritore dell’accampamento gli aveva somministrato un sedativo non molto efficacie. Quando erano arrivati a palazzo, Alysia aveva pianto come una fontana. I cadaveri degli altri uomini morti in battaglia erano stati portati alle loro famiglie. Quello di Yvaine fu seppellito nel giardino del palazzo reale. Al suo funerale non c’era molta gente. Lui non pianse. Aveva finito le lacrime. Dopo quel giorno, il suo pensiero fisso era quello di uccidersi. Non poteva convivere con quel peso, eppure non lo fece mai. Doveva la sua vita a una ragazza che aveva sacrificato la sua, non poteva sprecarla. Visse i suoi anni solo per lei.
Si ricordò della promessa di distruggere il tempio, e con il permesso di Terio, mandò una squadra a distruggerlo. Lui stesso partecipò, riversando in ogni colpo contro quel tempio maledetto tutto il suo rancore. Perché era colpa di Lilith se adesso Yvaine non c’era più, era tutta colpa sua. Lilith l’aveva costretta a uccidere e quindi aveva deciso di morire. Per questo lui non l’avrebbe mai perdonata.
Poi si era sposato. Dopo più di dieci anni, aveva trovato un altro motivo per vivere. Anche se Yvaine non se ne andò mai dalla sua mente. Si sentiva terribilmente in colpa con sua moglie, che le assomigliava tanto. Proiettava su di lei l’immagine di quella ragazza morta a soli sedici anni.
Poi era arrivato suo figlio, che gli assomigliava in un modo a dir poco inquietante. Sua moglie cominciò a sentirsi male.
E poi arrivò sua figlia, bella come la luna. Rick le diede il nome di Yvaine. Insieme a lei, la morte di sua moglie. Qualche anno dopo, erano rimasti solo lui e suo figlio. La febbre si era portata via la sua bella Yvaine.
Ora toccava a lui. Pensò alle sue ossa vecchie e stanche. Guardò in faccia suo figlio, che gli assomigliava così tanto. Sentì la morte farsi più vicina secondo per secondo, e allora sorrise. Qualche istante, e sarebbe stato libero, libero per davvero.
Aspettami, Yvaine. Sto arrivando.
Il suo corpo si irrigidì. Suo figlio pianse. L’alba sorse lo stesso davanti ai suoi occhi ormai spenti.
La vita continuava.
 
                                                                                                 Fine
 

 


***
Note dell’autrice – Un motivo per continuare a scrivere
Salve a tutti. Dopo un anno, questa storia ha trovato la sua conclusione. È stato un anno di incertezze, dubbi, paure, ma ce l’ho fatta. A meno di metà di questa storia mi sono bloccata. Non riuscivo più a trovare un motivo per scrivere. Mi mancava uno scopo, semplicemente. E poi l’ho trovato.
Questa storia era nata quasi per gioco, mentre tornavo a casa. Così, su due piedi, ho scritto il prologo senza pensarci troppo. Non mi aspettavo molto, detto sinceramente. Andai avanti con i capitoli senza avere un’idea precisa, senza, appunto, uno scopo. Finché non ho letto una cosa che mi ha fatto riflettere, riflettere per davvero.
Perché si scrive? Questa sì che è una domanda. Me la sono posta. Ho cercato una risposta dentro di me, e l’ho trovata. Io ho scritto questa storia per comunicare i miei pensieri. Pensieri che magari non si possono comunicare con un discorso.
Cosa ne pensi di vendetta e giustizia? Sono la stessa cosa? È su queste due domande che ho fondato la mia storia. E ho capito che volevo esprimere il mio pensiero.
Vendetta e giustizia non sono la stessa cosa, sono semplicemente facili da confondere. È questo che ho cercato di comunicare, in ventisette capitoli. Ci sono riuscita? Spero di sì.
In ogni caso, se sono arrivata fin qui lo devo alle persone fantastiche che elencherò adesso. In primis Naitmers, che ha creduto in me non dal primo capitolo, ma già dal prologo, una scrittrice fantastica che spero vorrà darmi i suoi preziosi consigli e suggerimenti su tutti i capitoli che non ha commentato (eheh).  Poi grazie a BekySmile97, che mi segue dal mio blocco e che si è appassionata alla storia. Un grande grazie a BreakinCrystal, la mia cara amica che riempio di messaggi per chiederle un parere. E grazie a ery98sole, che mi segue da prima che si registrasse su EFP, ti sono molto grata per questo. Poi grazie a chi ha messo tra le seguite e le ricordate, ovvero grazie a naiade, ladyselena15, HiNaRu 97, Nihon96 e Carmen Black. Grazie di tutto, ragazze.
Grazie ai lettori anonimi, che non lasciano tracce ma io so che ci sono.
Forse ci rivedremo, forse no, forse a Ennea o da qualche altra parte, non lo so. Per ora non penso che ritornerò qui. Ci sono troppe altre cose da fare, prima. Ma c’è un progetto in corso, per tornare a Ennea.
Spero che Rick e Yvaine, Terio, Alysia e tutti gli altri vi siano rimasti dentro. Spero che vi abbiano fatto riflettere, almeno un po’.
Di nuovo grazie per la vostra attenzione e partecipazione.
Grazie di cuore, a tutti voi.
HeartSoul97

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