Avengers Disassemble

di I Biscotti Inflessibili
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo uno ***
Capitolo 3: *** Capitolo II ***
Capitolo 4: *** Capitolo III ***
Capitolo 5: *** Capitolo IV ***
Capitolo 6: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***






Salve!
Siete di fronte al primo esperimento di collaborazione tra lady hawke e Charme, e alla loro primissima incursione nel fandom degli Avengers.
La storia sarebbe idealmente umoristica, ma abbiamo cercato di mantenere i caratteri dei vari personaggi il più possibile fedeli agli originali (con una parziale eccezione, come vedrete, per quanto riguarderà il povero Cap).
Speriamo dunque di distogliervi da questioni tipo “Chi è il Vendicatore più figo di tutti?” e di farvi ridere, pure per sbaglio.
 
 
Prologo
 
  Il celeste palazzo di Fensalir, con le sue sorgenti che zampillavano qua e là nel salone principale, andando a creare il perfetto connubio tra meraviglie naturali e invidiabili opere architettoniche, era il luogo adatto per concedersi un attimo di pace dalla frenesia godereccia e combattente che permeava Ásgarð.
  Ma anche se ci si voleva nascondere da un fratello maggiore dall’inquietante istinto guerrafondaio apparentemente non in grado di comprendere l’evidenza dell’affermazione: “No, Thor, lasciami in pace”.
  Il giovane principe di Ásgarð, Loki Odinson, quella mattina si era alzato perfino prima dell’alba, solo per riuscire a sgusciare fuori dalle sue stanze prima che suo fratello gli piombasse davanti, istigandolo a unirsi a lui per partire all’avventura. Ciò che l’avventura in questione potesse riguardare era un concetto poliedrico ed estremamente variegato, poiché poteva andare dal tentare di convincere Heimdallr ad aprire un varco nel Bifrost – e la pazienza del Guardiano era decisamente ammirevole, vista la tenacia con cui Thor continuava a esporre le proprie irragionevoli richieste, alle volte parlando ininterrottamente per ore – all’andare a perdersi in una foresta a piacere e giocare a Æsir contro Jotnar.
  Che poi, in quest’ultimo caso, il plurale era decisamente superfluo, poiché nessuno si voleva prestare a interpretare il Gigante di Ghiaccio, pertanto la scelta ricadeva sempre su Loki, al quale, per una volta, non sarebbe dispiaciuto poter interpretare l’eroe, anziché essere preso a mazzate, spadate e martellate, per quanto le armi fossero in legno e non facessero poi troppo male. Il danno era prettamente psicologico, e Loki non sapeva neppure come spiegarne il perché a se stesso, figurarsi farlo intendere a quel testone di Thor.
  Ma l’ultima tragica avventura nella quale era stato trascinato Loki non riguardava finte baruffe contro i Giganti di Ghiaccio, bensì l’ennesima provocazione da parte della cricca di Thor.
  “Se vuoi far parte del nostro gruppo – aveva detto Fandral, facendo ondeggiare con aria tronfia il suo spadino di legno – devi superare una prova”.
  Loki aveva tentato di far presente di non essere particolarmente interessato all’ammissione di quel circolo, e che riteneva fosse un bene che certi gruppi fossero e restassero elitari. Riservati a pochi, aveva aggiunto, dopo aver notato lo sguardo vacuo del fratello.
  “Certo, se non credi di esserne all’altezza, oppure hai paura…” aveva ribattuto Fandral, scambiandosi uno sguardo d’intesa con il cupo Hogun, che accennò un ghigno.
  A quel punto, si era sentito punto sul vivo.
  Thor, non Loki.
  “NO, che non ha paura – aveva detto, strattonando il fratello e scuotendolo come un pupazzetto, nell’intento non troppo chiaro e ancor meno riuscito di enfatizzare le proprie convinzioni – Diglielo, Loki, che affronterai la Prova senza timore!”.
  A quel punto, per qualche motivo, Fandral e Thor avevano cominciato a parlare tra di loro di insuperabili ostacoli, inenarrabili sofferenze che, stando a quanto sosteneva Thor, Loki avrebbe affrontato senza battere ciglio e uscendone vittorioso.
  L’unica cosa che Loki poté constatare fu che, per una volta in cui Thor si rivelava possedere una parlantina e un carisma non indifferente, questa dote andava comunque a danno del fratello minore. Alla fine di quell’elaborata opera di convincimento era venuto fuori che la tanto temuta ‘prova’ consisteva nel tagliare le trecce alla giovane Lady Sif, occasionalmente loro compagna di giochi.
  Era da chiarire che la deliziosa bambina era affezionatissima ai suoi capelli color del grano, ma quello era uno dei suoi pochi vezzi squisitamente femminili. Per il resto, picchiava duro, e se non se l’era mai presa con Loki era perché evidentemente riteneva che privare Odino Sanngetall* di uno dei suoi eredi non sarebbe stato un gesto apprezzabile. In ogni modo, Loki non aveva mai fatto niente che potesse causare una rappresaglia da parte di Sif. Fino a quel momento.
  Sì, perché alla fine gli altri ragazzini erano riusciti a convincerlo a prender parte a quella che un paio d’ore più tardi Loki aveva catalogato come la cosa più stupida che mai avesse fatto nei suoi otto anni di vita.
  Era anche per dimenticare i drammatici fatti avvenuti il giorno precedente che il bambino si era rifugiato nel palazzo dedicato alla madre Frigg, leggendo per distrarsi. Il libro che gli era stato suggerito dal padre era stato da lui portato direttamente dal regno di Miðgarð, e narrava quelle che parevano essere le leggende di una lontana popolazione che venerava un pantheon simile ma non identico a quello dei popoli con cui solitamente Odino aveva a che fare, e che lo riconoscevano come divinità. La leggenda di cui stava leggendo in quel momento riguardava una fanciulla che si era vantata di poter filare meglio di una divinità di nome Atena, la quale era giustamente intervenuta a placare una simile vanteria e aveva provveduto a tramutare la giovane in ragno**. Sebbene la storia non possedesse il tono epico delle mirabolanti imprese di cui amava leggere solitamente, Loki si trovò a rimuginare sul fatto che fosse in qualche modo giusto che esseri impotenti imparassero a rimanere al loro posto, e che gli Dèi glielo ricordassero. Perso in simili elucubrazioni, Loki non si accorse che nel palazzo era entrato qualcuno. Qualcuno con cui lui non voleva aver niente a che fare almeno per i successivi mille anni. E forse anche un po’ di più.
  “Fratello!” proruppe Thor, al che Loki sobbalzò, e il libro gli cadde in acqua.
  “Che c’è?” tentò di ringhiare Loki, ma tutto ciò che emise fu una specie di gracidio.
  “Ti ho cercato dappertutto!” continuò Thor, guardandolo con aria stupefatta, quasi non riuscisse a immaginare che qualcuno potesse non volere la sua compagnia.
  “Che coincidenza, pensa che io ti ho evitato dappertutto”
  Un vago lampo di comprensione balenò negli occhi del giovane Thor.
  “Non sarai ancora arrabbiato per ciò che è successo ieri?” domandò, ponendosi di fronte al fratello e impedendogli così di recuperare nella polla d’acqua il libro caduto, che s’inabissò e scomparve alla vista.
  “No di certo, anzi, vorrei proprio ringraziarti per avermi spinto a fare una cosa estremamente stupida che come unico risultato ha prodotto un occhio nero!” esclamò Loki con voce stridula, tentando senza successo di torreggiare sul fratello maggiore.
  L’altro non sembrò impressionato, e fece una cosa che mandò Loki ancora più in bestia: gli mise una mano sulla spalla e scoppiò a ridere di cuore.
  “E dai, nessuno pensava che le avresti davvero tagliato le trecce! Ed è stata una sorpresa anche per me, quando i capelli sono passati dal biondo al nero”
  “Un po’ come il mio occhio!” stridette Loki, regalando al fratello uno sguardo fulminante che però non parve sconvolgerlo più di tanto, visto che continuò a ridere.
  Ispirato dalla lettura che aveva – suo malgrado – interrotto, Loki si concentrò e tentò di tramutare suo fratello in un ragno, gioendo all’idea di vederlo zampettare goffamente in giro, ma le sue conoscenze nel campo della magia erano ancora decisamente acerbe, e tutto ciò che riuscì a fare fu far comparire un ragno esattamente sulla faccia del fratello, che, colto di sorpresa, lanciò un grido che si confaceva ben poco al suo apparire solitamente tronfio e sicuro di sé.
  Il ragno, forse più spaventato da Thor di quanto Thor non lo fosse dal ragno, si mise in posizione intimidatoria, alzando le due zampe anteriori e soffiando minacciosamente.
  Fu solo quando Thor sparì all’orizzonte e l’eco delle sue urla (“MADRE! MADRE!”) si affievolirono che sul volto appuntito di Loki iniziò a farsi spazio un ghigno malizioso che ben presto Ásgarð avrebbe imparato a riconoscere e temere.
  E quindi Thor aveva paura dei ragni.






  Buono a sapersi.
 
*‘Che intuisce il vero’, uno degli epiteti di Odino.
** Riferimento al mito classico di Atena e Aracne.
*** No, non stiamo giocando a fare Rapunzel. Il mito norreno dice che Loki era, da vera diva, invidiosssa dei capelli di Sif, e la lasciò pelata, salvo che poi Thor s’incazzò come un dugongo e gli fece procurare dei capelli sostitutivi molto fighi. La Lady Sif della Marvel subì un destino un po’ diverso, perché, sempre per colpa di Loki, i capelli passarono dal biondo al nero, come qui, appunto. Non è noto se Lady Sif abbia o meno pestato Loki, però.

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Capitolo 2
*** Capitolo uno ***


   Note: Secondo rutilante capitolo! Contando che la storia sul nostro pc è bella che conclusa contiamo di darvi aggiornamenti settimanali abbastanza puntuali, salvo drammi o imprevisti, ecco. Ciò detto preparatevi ad un lungo Loki pov! A presto!



Capitolo I




Da quel delizioso episodio d’infanzia era passato così tanto tempo che ormai si stentava a credere che Thor e Loki fossero stati bambini e che avessero giocato più o meno insieme. Diversa era sicuramente la situazione di Loki, imprigionato e strettamente sorvegliato ad Ásgarð, dove il fratello l’aveva riportato dopo la sua disfatta a Miðgarð per quello che era stato definito un giusto processo.
A dirla tutta, Loki si sentiva in punizione come un bambino: rinchiuso in una stanzetta con abbastanza luce e abbastanza aria, poiché Odino insisteva a volerlo considerare suo figlio e a dimostrargli il suo affetto non gradito, ma guardato a vista. Questo era ora il Dio dell’Inganno, colui che era stato re di Ásgarð e che aveva quasi conquistato Miðgarð, quasi appunto.
Una situazione del genere si sarebbe potuta considerare già abbastanza drammatica, ma al destino piace infierire, ed era per questo che il dio gracile, così era stato definito non molto tempo addietro da Hulk, prima che lo sbatacchiasse come un tappeto, continuava a ricevere visite di Thor.
Il Dio del Tuono trovava indispensabile mostrare al fratello quanto amore ancora serbasse per lui, e quanto sperasse in una riconciliazione che a Loki, da parte sua, non poteva che ispirare disgusto.
  “Sono tornato ad Ásgarð in catene e con una museruola, e ancora vieni a parlarmi di redenzione? Di riconciliazione?” i colloqui con Thor diventavano ogni giorno più patetici, e quando il dio entrava nella sua piccola prigione, Loki sentiva che lo spazio a sua disposizione si rimpiccioliva a tal punto da divenire invivibile.
  “Dopo quello che hai scatenato su Miðgarð era il minimo. Dovresti essere felice di essere a casa, Loki”
  “Casa? – erano frasi come quelle a interrompere il suo passeggiare avanti e indietro per la cella. – Casa, tu dici. E dovrei esserne felice, anche. Qual è la mia gioia, ora? L’unica gioia che percepisco è quella che tu provi nel vedermi alla tua mercè”.
  Quando parlava a quel modo, Thor intuiva che il fratello avrebbe desiderato vederlo stramazzare al suolo esanime e certamente morto, e a volte si chiedeva cosa lo trattenesse dall’aggredirlo. Ma la prigione di Loki era mentale, oltre che fisica, e di certo ci avrebbe messo un po’ a riprendersi. Per fortuna.
  “La mia gioia sarebbe vederti in pace con te stesso, fratello. – disse infine Thor, voltandosi per uscire dalla cella. – Ora debbo lasciarti, Miðgarð mi aspetta”.
  Senza sprecarsi a rispondere, Loki diede le spalle all’altro e rimase immobile finché non sentì la serratura della porta scattare.
  “Miðgarð…” sospirò Loki, affranto. Il più insulso di tutti i Nove Regni e quello che gli aveva creato più problemi. Chissà che ci trovava Thor in quello stupido pianeta; certo, ora che il Tesseract era di nuovo nelle mani di Odino, era libero di scorrazzare avanti e indietro per andare a trovare la sua stupida mortale. A quel pensiero, un’insana idea gli si insinuò nella mente: era stato rinchiuso per abbastanza tempo da meritarsi una libera uscita. Perché non seguire il suo detestato non fratello e fargli la festa?
  Con aria annoiata Loki si avvicinò alla porta della sua cella; non poteva vedere nulla al di là, ma riusciva lo stesso a percepire la presenza costante di due guardie. Abbassò lo sguardo verso la zona in cui si trovava la serratura. Sapeva, perché l’aveva visto all’epoca della sua incarcerazione, che tutto quello che lo tratteneva lì dentro era un lucchetto. Per un comune mortale sarebbe stato assai difficile far scattare un lucchetto dall’altra parte della porta, ma Loki era innanzitutto un dio, ed era sempre stato particolarmente versato nell’uso della magia. Gli bastò appoggiare la mano sul legno della porta, concentrarsi un attimo e voilà, un rumore metallico lo avvisò della caduta del lucchetto.
  “O pongono molta fiducia nei miei carcerieri o pochissima in me.” disse il dio fra sé e sé, mentre la porta si apriva scricchiolando appena. L’espressione che fecero le due guardie quando lo videro uscire come se niente fosse fu alquanto comica, agli occhi di Loki.
  “Non mi è forse concesso prendere un po’ di aria fresca?” provò a chiedere sorridendo.
  “Non ti è concesso, usurpatore.” rispose uno dei due, sguainando la spada che portava alla cintura e avvicinandosi a lui. Loki trovò il tentativo piuttosto fiacco; non si era mai considerato un usurpatore, ma di certo molti dimenticavano cos’era realmente: un gigante di ghiaccio.
  Lasciò che si avvicinasse a lui abbastanza da poterlo toccare e lo tramutò in un ghiacciolo senza alcuna difficoltà. L’altra guardia, che si era nel frattempo avventata su di lui sperando di coglierlo alle spalle fece la stessa fine.
  A quel punto si poteva definire a piede libero. Non doveva far altro che recuperare un’arma, raggiungere il Tesseract e andare al suo appuntamento speciale. Mentre si allontanava rischiò di scivolare su qualche frammento di ghiaccio che aveva sparso in giro, ma non se ne preoccupò: non sarebbe stato uno scivolone a impedire la sua vendetta.

  Nel frattempo qualcosa di curioso stava accadendo alla Torre Stark, poiché al momento vi si trovava riunito l’intero gruppo degli Avengers. Cosa che, in genere, avrebbe dovuto significare rischi inimmaginabili per la terra, future battaglie e scocciature a non finire; eppure, per una volta, niente di tutto questo si mostrava all’orizzonte ed era proprio per questo che, in effetti, Nick Fury era stato lasciato a casa sua. Non è il genere di ospite indicato per presenziare ad una festa di compleanno.
  “Mi spieghi perché dovrei tenere in testa una cosa simile?” Tony Stark, genio, miliardario, playboy e filantropo stava facendo quello che gli riusciva meglio in tempo di pace: fare i capricci con Pepper mentre cercava di mettergli in testa un cappellino di carta.
  “Avanti, Tony, è per il compleanno di Bruce. Perché non fai qualcosa per lui?” insistette Pepper.
  “Perché credevo che utilizzare l’attico con vista per ospitare la festa fosse un atto di cortesia più che sufficiente.” sbottò.
  “Eppure ti dona, Stark, dovresti metterne uno anche sulla tua armatura nuova.”
  “Sta’ zitto Rogers, o Pepper ne avrà uno anche per te, ahi!”
  Approfittando del momento di distrazione causato dalla battutaccia di Capitan America, Pepper aveva messo il cappellino di carta colorata in testa a Tony, e l’aveva fissato sotto al suo mento con l’elastico in coordinato tirandolo giusto un pochetto più del dovuto.
  “Oh suvvia, non ti sei fatto niente.”
  “Questo lo chiami niente? Mi resterà il segno per almeno un’ora!”
  “Tranquillo Tony, nessuno scatterà fotografie a tradimento.” provò a dire Natasha, subito smentita dal clic di uno scatto. Tutti i presenti si voltarono verso il rumore, notando che Bruce aveva in mano una piccola, tristissima, antelucana macchina fotografica monouso.
  “Be’, è il mio compleanno oggi, un regalo me lo merito.” si giustificò lui, sorridendo.
  “Questo non ti basta?” rispose Stark, allargando le braccia.
  In effetti si trovavano in una parte della torre recentemente rimessa a nuovo, dopo lo sbatacchiamento di Loki ad opera di Hulk. Tony non aveva badato a spese per rimetterla in sesto: era tornato il camino, il piano bar, le grandi vetrate, ma era stata aggiunta una piscina idromassaggio, quel giorno inspiegabilmente riempita di palline come quelle delle vasche per bambini, che Clint Barton osservava con aria famelica, come se volesse tuffarcisi dentro a tutti i costi.
  Thor fece la sua comparsa giusto in quel momento, direttamente dentro alla piscina, lanciando palline colorate più o meno ovunque, in un’esplosione di plastica colorata.
  “Il Tesseract non è sempre preciso quanto vorrei.” furono le prime parole che disse, scusandosi.
  “Ma non mi dire.” Occhio di Falco teneva in mano una pallina rossa che aveva agguantato al volo prima che gli finisse in fronte.
  “Ehi, uomo di metallo, cos’è quella… ?” disse poi Thor, indicando il cappellino di carta che Tony indossava.
  “Uno dei miei regali di compleanno.” rispose con calma Bruce.
  “Insisto nel ritenermi mortalmente offeso. Tutto ciò è oltraggioso. Pepper, diglielo anche tu: sai che ho ragione.”
  “Io invece pensavo di offrire qualcosa da bere ai presenti.” senza scomporsi, Pepper si avviò verso il piano bar, seguita da Vedova Nera, pronta a darle una mano.
  “Ribadisco che è surreale vedervi andare così d’accordo.” insistette Stark.
  “Non vedo perché dovrebbero non andare d’accordo.” Rogers non era a conoscenza delle vecchie gelosie intercorse tra Pepper e Natasha, nel breve periodo in cui avevano contemporaneamente lavorato alle dipendenze di Tony, e in fin dei conti era meglio così.
  “Non ne abbiamo motivo, puntiamo a pesci diversi.” con grazia invidiabile, Vedova Nera prese due drink e andò a sedersi sul bordo della piscina di palline, accanto a Occhio di Falco, che sorrise soddisfatto come un gatto, prima di iniziare a bere.
  “Ad ogni modo mi sono avanzati diversi cappellini, se qualcun altro vuole indossarli per fare compagnia a Tony…”
  “… NO!” fu l’urlo unanime dei presenti.
  “Ma non vale! – tuonò Stark, vedendo che Capitan America ridacchiava. – Perché io sì e lui no?”
  “Eroe della seconda guerra mondiale, mi dà il diritto di vestirmi come voglio.”
  “Mi stai dicendo che scegli di indossare quella divisa? – fece Tony, cominciando a vagare per la stanza, con Pepper dietro al bancone che alzava gli occhi al cielo. – E il Dio del Tuono?”
  “Io ho già un elmo, e mi piace molto.” replicò Thor, con gentilezza.
  “Per quello anche io. Ma almeno Legolas…”
  “Avvicinati con quello e la tua testa farà la fine della mela di Guglielmo Tell.”
  Affranto, il miliardario si voltò verso Banner: “Almeno il festeggiato potrebbe fare uno sforzo…”
  “Non vorrai farmi arrabbiare, Stark.”
  “Immagino che le signore troveranno altrettante scuse…”
  “Esatto!”
  “Benissimo. – fece Tony, con aria di superiorità. – Renderò questo accessorio sofisticato e di moda, e tutti voi risulterete dei retrogradi che non capiscono niente di stile e design. Problema risolto”.




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Capitolo 3
*** Capitolo II ***


Salve a tutti! Note molto brevi, stavolta, vi lasciamo subito al capitolo, anch'esso molto breve, sperando che incontri il vostro favore ^_^


Capitolo II


E mentre la festa cominciava a riscaldarsi, ovvero mentre Occhio di falco giocava ad infilzare palline, Thor provava tutti gli alcolici mai distillati da mente Miðgarðiana seguito a ruota da Tony e mentre Pepper, Capitan America, Bruce e Vedova Nera conversavano assai amabilmente, qualcuno cercava una via di fuga.
Non fu un grosso problema per Loki intrufolarsi nel luogo in cui, almeno in teoria, il Tesseract era custodito accuratamente, come non fu un problema liberarsi delle ennesime stupide guardie. Stavolta non optò per gli effetti speciali di ghiaccio, ma per due belle pugnalate ben assestate, che gli diedero una magnifica sensazione di onnipotenza: dopo di che fu solo questione di prepararsi al viaggio.
Viaggiare in quel modo non era certo come spostarsi con il Bifrost, il Tesseract sembrava avere un’ironia tutta sua nello scegliere dove far atterrare coloro che lo utilizzavano, e Loki ebbe la sfortuna di finire esattamente su un tombino aperto nel bel mezzo di Manhattan. Certo, riuscì ad evitare di finire nelle profondità del sistema fognario, ma la cosa non migliorò di certo i suoi sentimenti verso il fratello o i Midgardiani. Alzò lo sguardo in direzione della Torre Stark, e ciò gli portò alla mente umilianti ricordi. Eppure, era assai probabile che Thor bazzicasse da quelle parti, perciò là si sarebbe recato.
Fu strano per Loki ritrovarsi ad attraversare la città che aveva tentato di conquistare pochi mesi prima camminando come un mortale qualunque. Non avrebbe potuto quantificare quanto trovasse la cosa deprimente, e si attaccò con tutte le sue forze al pensiero della vendetta imminente.
Giunto all’ingresso della Torre Stark capì che non avrebbe potuto farsi strada a suon di omicidi: non che non lo volesse, sia chiaro, ma avrebbe del tutto perso l’effetto sorpresa che la missione richiedeva. Considerando che la magia era il suo forte, riuscì a rendersi insignificante per il personale di sicurezza e di ufficio, e si avviò verso i piani alti della struttura in piena tranquillità.
Il sistema computerizzato di sicurezza avrebbe potuto registrare il suo passaggio, ma i controlli erano stati tutti temporaneamente sospesi per poter permettere all’altro Asgardiano, Thor, di atterrare indisturbato nell’edificio, coincidenza che fece ridacchiare il dio dell’inganno di gran gusto: che colpa ne aveva lui se i Midgardiani erano dementi?
Quando, opportunamente nascosto, vide quello che stava accadendo nell’attico ebbe la certezza che i Midgardiani erano idioti, come pure colui che si fregiava del titolo di protettore del pianeta. Come ebbe modo di notare, la mortale del fratello non era presente, ma l’allegra banda di ridicoli supereroi era lì riunita, festeggiando non si capiva bene cosa.
- Tanta premura per questo? – si chiese Loki, perplesso. Non amava le visite del fratello alla sua cella, ma l’idea di essere stato congedato in fretta e furia per quello lo faceva ammattire. A stento poté sentire alcune parole.
- Perché non hai invitato anche Nick Fury? Avremmo avuto spazio a sufficienza. – chiese ad un certo punto una donna bionda, rivolta all’uomo di metallo, mentre mangiucchiava patatine.
- Fury? Scherzi? – fece Rogers.
- Non è stato nemmeno preso in considerazione. – disse Natasha.
- E perché?
- Avrebbe incupito l’atmosfera. – rispose Occhio di Falco dal suo angolino, mentre faceva giochi di abilità con alcune palline di plastica.
- Incupire l’atmosfera? – pensò Loki tra sé e sé. – Si può fare di meglio.

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Capitolo 4
*** Capitolo III ***


Buonsalve a tutti! In questo capitolo le cose inizieranno a entrare nel vivo - era l'ora, eh? ^^ - e per l'occasione gli Avengers del film verranno affiancati da altri personaggi Marvel.
A questo proposito, vi ricordiamo che il caro Chris Evans ha avuto il privilegio di interpretare, prima di Capitan America, lo scanzonato Johnny Storm, alias 'la Torcia Umana'. Solo per dire, eh.
Vi lasciamo alla lettura!



 Capitolo III
 
 Ma proprio mentre il Dio degli Inganni si adoperava a elaborare una nuova macchinazione per interrompere brutalmente quel simpatico momento di condivisione, accadde qualcosa che lo costrinse a riordinare le priorità del momento. Perché, per quanto divino, avere i vestiti in fiamme a seguito della semi-collisione con una meteora vagante è tutt’altro che piacevole, e Loki, preso totalmente alla sprovvista, non poté impedirsi di lanciare un gridolino, che fortunatamente fu coperto dal prorompente suono di un demoniaco manufatto Miðgarðiano.
  Loki si affrettò a spegnere le proprie vesti in fiamme e a tornare a nascondersi, dopodiché riversò la propria attenzione al gruppo di sedicenti eroi.
  A quanto pareva, per una volta l’inutile fratellastro aveva compiuto una mossa atta a favorire i suoi piani, anziché intralciarli.
  “Il rombo di tuono che sorge da questo oggetto è portentoso. I Midgardiani lo usano forse per intimorire i nemici prima delle battaglie?”
  “Ehm... più o meno, Thor. Si chiama ‘tromba da stadio’“ gli spiegò rapidamente Natasha, provvedendo a disarmarlo, mentre gli altri presenti cercavano di riacquisire il perduto e compianto uso dell’udito.
  Nel frattempo, come Loki notò, non senza un moto di disgusto, il gruppo di supereroi si era ampliato. Difatti, l’oggetto incandescente che l’aveva urtato era l’ennesimo fenomeno da baraccone dall’ego smisurato.
  “Ehilà, gente, che bell’accoglienza! I benvenuti sonori sono quelli che mi piacciono di più. Bruce, vecchio mio, tanti auguri!”
  “Grazie mille, Johnny. Signori, per chi non lo conosce, vi presento John Storm”
  “Più noto con il nome di Torcia Umana” completò lui, accendendo la propria fiamma per enfatizzare la presentazione.
  A quell’esibizione piroclastica, Pepper emise un brontolio soffocato, mentre guardava i suoi tappeti, il suo divano e le sue tendine pericolosamente vicini a essere lambiti dalle fiamme.
  “Johnny, non che non apprezzi, ma ho appena rifatto l’arredamento, e la compagnie assicurative cominciano a essere stufe dei ‘danni da supereroe’, come li chiamano” intervenne blandamente Stark.
  “Capito, boss – confermò Johnny, spegnendosi – Conosco altri metodi per riscaldare l’ambiente” disse, spostandosi con grazia verso Natasha e riservandole uno sguardo languido.
  Una pallina di plastica emise un verso straziante quando Clint la strizzò con una mano.
  Perché era evidente che Nat sarebbe stata bene in grado di far passare ogni velleità maliziosa all’imprevisto e indesiderato corteggiatore, ma Occhio di Falco non apprezzò comunque il tentativo d’approccio.
  “Sei in vantaggio su di me, bellezza. Tu sai il mio nome, ma io ignoro il tuo”
  “Natasha Romanoff” replicò lei, forzando un sorriso.
  “Ah, originaria della Grande Madre Russia? Spasiba”
  “Ehm… prego, di niente”.
  Malgrado Johnny stesse dando il peggio di sé, l’attenzione dei presenti si riversò su Clint, il cui sguardo annunciava chiaramente che gli sarebbe piaciuto molto addobbare la testa del focoso Storm con la punta di una freccia. Onde evitare la tragedia incombente, Bruce intervenne per salvarlo.
  “Johnny, dove sono gli altri Fantastici?”
  “Come al solito preferiscono i mezzi lenti e obsoleti”
  “Il che è certamente la cosa migliore, visto e considerato che abitate a due isolati da qui” commentò Steve, disapprovando apertamente il comportamento esibizionista della Torcia. Effettivamente, il Baxter Palace, quartier generale dei Fantastici Quattro, era pienamente visibile anche dalla Torre Stark, ma Johnny Storm non era tipo da evitare un’occasione per mettersi in mostra.
  “Oh, Rogers! Si parlava giusto di cose lente e obsolete, ed ecco che arrivi tu a dire la tua. Non trovi che sia una graziosissima coincidenza?”
  Tony non si curò nemmeno di mascherare una risata, e occorse una strategica gomitata di Pepper per farlo desistere dal proposito di annunciare un brindisi per festeggiare l’umiliazione di Cap.
  Sul volto di Capitan America apparvero chiazze rosse che denotavano irritazione e imbarazzo, e si mosse per fronteggiare lo strafottente supereroe.
  Poco più in là, il festeggiato faceva un’importante scoperta. “È strano che non ci abbia mai fatto caso, ma, carattere a parte, Steve e Johnny si assomigliano davvero molto. Altezza, corporatura, tratti del viso… non pensi anche tu, Thor?”.
  L’interpellato accolse la considerazione con un potente rutto.
  Non troppo lontano, Loki era combattuto tra la vergogna che provava per via del fatto che quel troglodita lo considerasse suo fratello e la gioia di non avere niente a che fare con il suddetto troglodita.
  “Salute” commentò Bruce, con aria afflitta, sguardo affranto e una permanente inaspettata.
  “Grazie – ribatté, naturalmente senza scomporsi, il Dio del Sopraffino Bon Ton – In ogni caso, a me non sembra che si somiglino. Sarà che, detto tra noi, voi Midgardiani siete un po’ tutti uguali” concluse, con un’alzata delle spalle poderose.
 
  Di lì a poco sopraggiunsero altri invitati, più o meno celebri, ma tutti ugualmente importanti, agli occhi di Banner: Reed Richards e Susan Storm – Ben Grimm, ‘La Cosa’, non era riuscito a rimandare un altro impegno – affiancati da Jennifer Walters, alias ‘She-Hulk’, nonché cugina di Bruce, Betty Ross, con la quale Bruce era finalmente riuscito a riallacciare un rapporto che prometteva essere ottimo, e infine era giunto Peter Parker, meglio noto come Spiderman.
  Con un notevole ritardo rispetto agli altri, si palesò un ospite che, pur essendo stato regolarmente invitato, nessuno si era realmente aspettato di vedere. James Howlett, cioè Wolverine.
  “Sono venuto per conto del Prof. X, auguri e tante care cose, per quanto mi riguarda posso anche andare via” disse spicciamente, sfoggiando il cinismo che lo contraddistingueva.
  “Lascia almeno che ti offriamo un drink!” si fece sentire Stark, che, con Thor come compagno di bevute, di drink ne aveva già bevuta una caterva.
  Wolverine, in quanto a predilezione per l’alcool, non era da meno degli altri due, perciò si lasciò tentare di buon grado, anche se poco dopo realizzò che non aveva preso in considerazione il fattore-conversazione. Stark parlava sempre e comunque troppo, e lo Stark ubriaco era pressoché indistinguibile da quello sobrio, ammettendo che esistesse una versione sobria di Stark.
  Ma quando Thor tendeva all’ebbrezza, ecco che improvvisamente il Dio del Tuono e della Tempesta si tramutava in un eloquentissimo parlatore, malgrado le sue arti oratorie fossero invero piuttosto carenti. Per farla breve, non si zittiva un momento, e la cosa, agli occhi del taciturno Wolverine, risultava estremamente molesta.
  Al momento, stava affrontando la questione del vago disappunto che provava perché la gente lo conosceva solo con il suo nome proprio, mentre tutti gli altri supereroi avevano soprannomi vari.
  “Lo capisco, è un’abitudine comune anche a noi Asgardiani, ma pare che ‘Dio del Tuono e della Tempesta’ sia un appellativo troppo laborioso. Il tuo nome è James Howlett, eppure ti chiamano Logan, anche se sei più noto con il nome di Wolverine, dico bene?”
  Logan vuotò con un sol sorso ciò che restava del suo whiskey, poi respirò pesantemente, evitando apertamente di incrociare lo sguardo con il suo indesiderato interlocutore, che naturalmente non si lasciò scoraggiare dal mutismo dell’altro.
  “Quel che mi chiedo è: chi decide i nomi dei supereroi? In base a che criterio? Com’è che questi diventano ufficialmente soprannomi? Ti viene in mente qualche appellativo che potrebbe calzarmi?”
  “A dire la verità, me ne stanno venendo in mente moltissimi, se vuoi prendere appunti...” ringhiò Logan, apprestandosi a subissare d’insulti l’Asgardiano.
  Fu interrotto dalla voce di Tony, che pensò bene di intonare un coretto da ubriaco.
  “Vodka, you’re feeling stronger, Vodka, no more feeling bad, Vodka, your eyes are shining, Vodka, you are the real MAN!”.
  A ogni risuonare della parola ‘Vodka’ accadevano numerosi avvenimenti: Tony sbatteva il bicchiere sul bancone del bar, Thor lanciava un urlo d’approvazione, Pepper si massaggiava le tempie e in Loki si accresceva la certezza che quel popolo inutile meritasse di essere schiacciato dal suo potere superiore.
  

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Capitolo 5
*** Capitolo IV ***


Note: Ehilà! Per una volta l'aggiornamento avviene in simultanea, perché - yu-huu! - Lady e Charme sono insieme! E c'è pure Rowi, che fornisce i potenti mezzi per la pubblicazione! Ormai siamo quasi alla fine, il prossimo sarà l'epilogo. Su, su, non piangete, torneremo più distruttive che mai! ABBRACCIONE!




E sì, quel popolo doveva essere schiacciato, a partire da subito, a partire dai suoi stupidi difensori. Certo ancora non sapeva cosa potesse terrorizzare quella masnada di esseri insulsi, ma sapeva cosa spaventava almeno uno di loro.
“Grande e grosso, ma ancora stupido come quando avevi dieci anni. - disse Loki tra sé e sé.
Apparentemente il Dio dell’Inganno non fece nulla, ma le conseguenze della sua magia non tardarono a manifestarsi. Il primo ad accorgersi che qualcosa non andava fu Occhio di Falco, che vide strani movimenti nella vasca delle palline che lui presiedeva dall’inizio della festa. Era come se qualcuno stesse nuotando allegramente, o brulicando, forse questo era il termine più corretto, sotto tutte quelle palline colorate. Clint fissò attentamente la superficie della vasca, in attesa, poi vide cosa si nascondeva sotto tutta quella plastica colorata.
“Ma porca puttana, ragni! – scattò in piedi e prese da non si sa bene dove il suo arco, puntandolo verso la piscina con sguardo omicida. – Stark, hai pensato a qualche scherzetto per noi?”
Tony, che era ormai al quarantesimo giro di vodka, non sentì subito le parole del suo compare, e toccò a Logan richiamarlo all’ordine.
“Scatoletta, il tuo amico strano ce l’ha con te.”
“Che c’è, Legolas? Oh... dio. Ci sono davvero o è la vodka?” Stark, voltandosi in direzione di Occhio di falco, aveva notato una scia nera di ragni uscire dalla piscina e dilagare nella stanza.
“Oddio, ma sono ovunque, ragni OVUNQUE! – sbottò Pepper, scandalizzata. – E sono enormi!”
La parola ragni, subito seguita da enormi, fece voltare Thor in direzione di Clint. A quell’orribile vista sbarrò gli occhi e gli scivolò il bicchiere dalla mano, che finì per frantumarsi a terra. Di norma a quel punto avrebbe ridacchiato urlando “Un altro”, ma in quel momento tutto quel che riuscì a urlare fu: “Ci attaccano! ALLE ARMI!”
La situazione degenerò velocemente in un delirio di proporzioni epiche. I ragni, non paghi di scorrazzare sul pavimento, iniziarono a scalare l’attico della torre Stark con precisione militare; Pepper si ritrovò a pensare che quel piano dell’edificio era maledetto da qualche forma di iettatura, e cominciò a squittire cercando di impedire che le si arrampicassero addosso. “Tony, che diavolo ci fanno dei ragni qui? Fa’ qualcosa!”
“Giuro, Pepper, non ne ho idea... forse dovremmo chiedere a Jarvis...”
“Non ne so niente, signore, i miei sistemi di sicurezza sono ai minimi storici a causa di questa festa.” rispose Jarvis, ossequioso, mentre Pepper, saltellando per schivare i ragni, si copriva il viso con una mano.
“Be’, se il tuo amico ci dà una mano potremmo trovare una soluzione. – disse Mr. Fantastic, con fare pratico. – Dottor Banner, lei è dei nostri?”
Fu un attimo e, nel delirio generale, davanti al piano bar, si potevano vedere tre delle menti più acute del pianeta, discutere con un maggiordomo computerizzato su equazioni quantistiche con uno schermo a ologramma. Accanto a loro stava Wolverine, del tutto indifferente all’evento, che beveva con aria serafica.
Vedova Nera alzò lo sguardo in direzione di She-Hulk e si chiese se davvero quei tre volessero risolvere la situazione a suon di equazioni.
“Non muoverti. – le gridò Clint, prima di scoccare una freccia che le sfiorò i capelli e andò a conficcarsi contro il muro, colpendo un ragno a morte mentre tentava una scalata verso il soffitto.
“Oh grazie!” rispose la donna, con un sorriso malizioso.
Il primo attacco di Occhio di Falco legittimò definitivamente Thor a cominciare a sbatacchiare il suo martello in giro. “Io odio, ODIO I RAGNI. Sono la cosa che più mi fa senso al mondo!”
Wolverine a quella dichiarazione concitata alzò un sopracciglio, convenendo con se stesso che se gli dei erano così inutili forse non era un caso che fossero pressochè estinti come i dinosauri. Ma non era il solo, ad avere problemi con i ragni: se Occhio di Falco infilzava di tutto con le sue frecce, e bisognava almeno dargli il merito di avere una mira infallibile, ogni mobile rovinato portava come trofeo almeno un ragno morto, Capitan America era asserragliato dietro al suo scudo.
“Che ci fai lì? – gli urlò Thor, mentre con un colpo frantumava il marmo del caminetto che una volta troneggiava nella stanza. – Renditi utile!”
“Non posso! – pigolò questi. – Io ho paura dei ragni!”
“Paura dei ragni? – tuonò la Torcia Umana. – Ma che supereroe sei?”
“Ti pare che quest’altro sia messo meglio?” Steve Rogers indicò, Thor che continuava a saltellare come un orango da una parte all’altra facendo, da solo, più caos di un plotone. “Attenzione!” novello Robin Hood, Clint con una freccia ne colpì due insieme, sfiorando la testa di Johnny Storm.
“Attenzione tu! Non vorrai mica sfigurarmi!” sbottò l’interessato.
“Non sarebbe grave. – rispose Occhio di Falco, memore del suo tentativo di flirt con Vedova Nera. – Rogers, difendimi!”
“Lascialo stare, il ghiacciolo; viene dagli anni ‘40, a volte si spaventa.” rispose distrattamente Stark, mentre continuava a confabulare con i suoi allegri compari.
“Gli anni ‘40, la peggiore scusa alla codardia mai sentita.” replicò Logan con voce incolore.
Accerchiato su più fronti, Capitan America era pronto a dire la sua, ma fu interrotto dalla voce di Peter Parker.
“EH NO, ADESSO BASTA. QUESTO È GENOCIDIO!”
“Starai scherzando!” fu l’unica battuta pronunciata da Wolverine con vago interesse, perché la scemenza appena sentita era notevolmente grossa.
“Sono poveri ragni innocenti! Innocenti! Che hanno fatto di male?”
“Che hanno fatto di male? – strillò Betty Ross, attaccandosi al braccio di Bruce. – Guardati un po’ intorno!” aggiunse, con voce stridula.
Al ‘guardati un po’ intorno’, Pepper emise un sospiro triste, pensando a quanto si era impegnata per ricostruire quella stanza, di nuovo distrutta.
“Loro sono innocenti! – continuava intanto Peter Parker. – Sono creature che non fanno male a nessuno!”
“Parli delle stesse creature che ti hanno punto e ti hanno reso quello che sei?” chiese Susan Storm.
“Esatto!”
“Allora sono certa di volermene liberare.”
“Un punto per la sorellina!”
Nonostante questi scambi di battute, Spiderman sembrava non voler mollare il suo intento: “Guardate che non è uno scherzo! Sono serissimo! Dovete ascoltarmi! – prese uno di quei ragnacci neri e pelosi e se lo mise in mano. – Ha degli occhietti carinissimi! Rogers, non lo vedi anche tu?”
“Tiralo via, tiralo via IMMEDIATAMENTE!” mentre Steve agonizzava in preda alle sue paure, Thor arrivò in suo soccorso. Peccato che il suo martello colpì, come già era accaduto in passato, lo scudo del compagno. La forza e l’energia che dilagarono da quell’urto mandarono tutti a gambe all’aria.
Compresa la gravità della situazione, Susan Storm creò un campo di forza abbastanza grande per poter ospitare Pepper, Vedova Nera, She Hulk e Betty Ross, la quale aveva compreso che Bruce era così preso dai suoi calcoli che non sarebbe mai stato d’aiuto.
“Jarvis, dimmi che ne state uscendo.” fece Pepper, dalla sua postazione sicura.
“Negativo, signora, alto mare.”
“Vatti a fidare degli uomini.” commentò She Hulk, mentre Natasha annuiva convinta.
Fuori da questa mistica aura di salvezza c’erano Thor, il quale aveva ripreso a colpire qualunque cosa a caso, Capitan America, che fuggiva in cerca di riparo, Occhio di Falco, che procedeva nella sua letale opera, rivelandosi l’unica vera persona utile, Torcia Umana, che aveva deciso di essere l’elemento di disturbo tra i tre scienziati pazzi e Wolverine, che aveva appena rifilato un pugno a Spiderman.
“Ma sono INNOCENTI!” continuava a ripetere quest’ultimo.
“Senti, zampetta, avvicina un ragno a quei due idioti un’altra volta e ti infilzo, così fai la fine dei tuoi amici, ok?” l’aveva minacciato, prima di accendersi un sigaro sulla schiena di Storm.
“Sì, signore.” aveva pigolato Parker, afflitto.
La situazione ora pareva drammatica e senza uscita e Loki, dal suo angolo privilegiato, se la stava godendo un mondo. Erano mesi, no... forse anni che non assisteva ad uno spasso simile. Da morire dal ridere.
Ma la risoluzione a quel caso era ormai vicina. Capitan America, rotolando verso la Donna Invisibile, tentò di ottenere il permesso per accedere alla ‘zona sicura’ con scarso successo.
“Per favore! Da supereroe a supereroe: io ho paura!” continuava a ripetere.
La risposta della donna in genere era la stessa, ma con due varianti diverse: “NO!” e “I ragazzi non sono ammessi!”
Eppure, mentre tutto sembrava perduto, la Torcia Umana ebbe un’illuminazione osservando Wolverine che sfumacchiava allegramente dopo averlo usato come un cerino. “Ma certo, serve solo un lanciafiamme!”
In un attimo l’attico della Torre Stark divenne un forno. Con una potente fiammata Johnny Storm strinò ragni, tappeti, fuse le palline tanto amate da Clint e incenerì tutto il resto, supereroi esclusi.
“Li hai uccisi, uccisi tutti!” piagnucolava Peter Parker, mentre vagava per il soffitto.
“L’attico!” Pepper era annichilita, dispiaciuta e chissà cos’altro.
“IL RHUM! LA VODKA! Per la miseria, Storm, non potevi essere UN PELO PIU’ selettivo?” tuonò Stark, abbracciando una bottiglia rotta e incurante dei tagli che inevitabilmente si sarebbe fatto.
“Già. – insistette Reed. – Potevi bruciarci tutti.”
“Potevo chiedere a Bruce di spegnere le candeline! È vero, scusa amico. Però se vuoi posso rifarlo!”
“NO!” Urlarono tutti. Thor in special modo, visto che le sue sopracciglia erano decisamente bruciacchiate.
“Che colpa ne ho, se le teste d’uovo là non trovavano una soluzione? – fece Torcia Umana. – Sono lenti, io sono dinamico e veloce. Bisognava liberarsene e io l’ho fatto. Sono l’eroe della stanza, qui!”
Rogers sembrava sull’orlo di un attacco isterico.
“L’eroe della stanza? – ululò, perdendo definitivamente il suo consueto aplomb – Non hai avuto alcun riguardo nei nostri confronti, nei confronti della proprietà altrui!” e qui Pepper annuì vigorosamente.
“Stai calmo, nonno Stevie. Non ti fa bene, alla tua età, agitarti così. Pensa se magari ti viene un colpo! Immagino che l’incontro con tutti quei brutti ragnacci cattivi ti abbia stressato non poco…” replicò Storm, sfoggiando il più bel sorriso da schiaffi del suo repertorio – ed era un repertorio vasto.
I presenti, in vista di un litigio storico tra Capitan America e la Torcia Umana, parvero quasi rilassarsi, ritenendolo comunque uno spettacolo più interessante dell’orda di ragni che avevano dovuto affrontare poco prima, per cui nessuno si preoccupò di calmare le acque. Anzi, in particolar modo, Sue aveva apparentemente deciso di ripudiare il fratello e di chiudere un occhio nel caso in cui Cap avesse deciso di dargli una ridimensionata a suon di pugni, e Stark, forse per distrarsi dalla tragica perdita della sua amata collezione di alcoolici, pareva più che intenzionato a vedere – ed eventualmente fomentare – il match.
“Quindi tu ti considereresti un eroe? Ti stupirà, ma essere un eroe non vuol dire far sfoggio di poteri fuori dall’ordinario per ottenere fama e successo! Vuole dire essere pronti a sacrificarsi per il prossimo, usando le proprie capacità per migliorare la vita degli altri, e anteporre sempre il benessere pubblico al proprio…!”
“E mamma mia, se ragioni e agisci a quel modo, ci credo, che sei così noioso. Alzi il braccio chi lo preferiva mentre era asserragliato dietro lo scudo! Su, ragazzi, non siate timidi!”.
Ancora una volta, fu la prontezza di riflessi di Pepper a evitare che Stark si rendesse più insopportabile del solito, facendo schizzare in alto la mano come uno shuttle pronto al decollo. Parlando di evocative e fumose metafore, Rogers sembrava invece una pentola a pressione sul punto di esplodere.
Nei paraggi c’era qualcuno – a parte Stark, naturalmente – che sembrava trovare l’intera situazione molto divertente, ma doveva trattenersi dal palesarlo.
“Non riesci a capire quando è ora di finirla? Devi sempre trasformare tutto in una burla?”
“A differenza di altri – tipo te – ho il dono della sdrammatizzazione. Per non parlare di quanto sono simpatico. E sexy, anche.” Ribatté con convinzione la Torcia.
“Sei vergognoso” esalò Steve, annichilito.
“Ma no, non fare quella faccetta triste. Non volevo prenderti in giro. Facciamo pace, dai. Abbraccione, Rogers!” e si auto-combustionò, tenendo le braccia allargate verso il Capitano.
Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso.
Ma mentre gli eroi si muovevano per calmare gli animi, ecco che una risata inquietante quanto inaspettata risuonò in tutta la Torre. Era una risata secca e persistente, che faceva istintivamente pensare a un disastro imminente. Ed era giusto che desse quella sensazione, perché a ridere era stato Loki, Dio dell’Inganno.
Tuttavia, in quel momento, sembrava decisamente diverso dall’ultima volta che gli Avengers avevano avuto a che fare con lui. La divinità ossessionata con il dominio della Terra era solo nominalmente simile al tizio che teneva la mano appoggiata al muro per non crollare dalle risate.
“Oh, bene, un altro tipo strano. In effetti se ne sentiva proprio la mancanza” commentò laconicamente Wolverine, giudicando Loki evidentemente non degno della sua attenzione, al pari degli altri.
“Loki! Avrei dovuto pensarci subito. Non poteva che esserci la tua mano, dietro all’apparizione di quelle creature diaboliche!” esclamò Thor minacciosamente. Al momento non aveva ancora ricollegato la sua apparizione al fatto che dovesse essere evaso dalla sua prigione Asgardiana, ma quando ci fosse arrivato, il Dio del Tuono avrebbe certamente dato prova della propria ira.
“Avresti dovuto pensarci, certo, peccato che sia un’attività che compi raramente e con grandi sforzi. Non credevo che te la saresti presa così tanto per degli innocui ragnetti… certo, a meno che tu non abbia dei brutti ricordi d’infanzia, non è così, fratello?” constatò Loki con un fare serafico che decisamente non gli si addiceva.
Thor digrignò i denti e chiamò a sé Mjolnir, che aveva abbandonato poco distante. Gli Avengers erano riuniti, e se Loki voleva guai, avrebbe avuto a che fare con loro, pronti a battersi per…
“AH, NO! Non avrete intenzione di ricominciare? Sono stufa di dover far ricostruire quest’attico una volta a settimana! Non c’è impresa di costruzioni in tutta New York che non mi chiami per nome, ormai. Se dovete sistemare una qualche ridicola questione familiare, lo farete fuori da qui, chiaro?” disse Pepper, con un tono di voce in grado di eguagliare, per potenza, uno dei fulmini di Thor.
I due Asgardiani reagirono in contemporanea.
“Come osi, insignificante mortale...”
“Lady Pepper, capisco la tua insoddisfazione, ma…”
“Niente ‘ma’! Non ho intenzione di tollerare una sola obiezione. Vengo forse io a casa vostra per litigare con mia madre? Ovviamente no!”
“Il che è una gran fortuna, perché sua madre è veramente insopportabile” intervenne blandamente Tony.
“Questa doveva essere una giornata di festeggiamenti per Bruce, e invece la sua mania di ricercare disperatamente attenzione ha rovinato tutto!” esclamò Pepper, rivolta a Loki. “Non ti permetto di rivolgerti a me in questi toni strafottenti e denigr-”
“Ha ragione lei, Loki. Sono estremamente contrariato dal fatto che tu abbia scelto di rovinarmi la festa di compleanno”. Bruce stava bluffando. Stava chiaramente bluffando. Lo sapeva anche Loki. Però, stranamente, in quel momento gli tornarono in mente i terribili e degradanti momenti che l’avevano visto essere sbattuto a terra più e più volte dal mostruoso alterego verde del dottor Banner. Ridicolizzare Thor davanti ai suoi tanto amati mortali era divertente, ma non ci teneva a essere incastonato nel pavimento un’altra volta.
Adesso faremo ritorno a casa, Loki, e tu non opporrai resistenza. In cambio, m’impegnerò perché nostro padre possa rivedere la sua sentenza di condanna. Farò il possibile per intercedere per te.”
Loki fissò Thor con intensità. Era evidentemente colpito.
“Oh, grazie. Questo significa davvero molto, per me. Lo considero come il primo passo per liberarmi da questa corazza di odio dietro alla quale mi sono trincerato per non rivelare i miei veri sentimenti, e l’opprimente solitudine che sento in fondo al cuore”.
“Davvero?” domandò Thor, lottando contro la commozione. Quanto aveva sperato di sentirgli dire quelle parole!
“No.” Rispose lui con naturalezza. Dopodiché, con un movimento fluido, fece scivolare giù dalla manica una piccola lama e pugnalò Thor.
Occhio di Falco fu il primo a reagire, e, fulmineo, incoccò una freccia al suo arco. Solo che la freccia si dissolse in una nube di cenere. Clint si appuntò mentalmente di compilare una lista di conti in sospeso con Johnny Storm.
Loki aveva considerato meno di zero i più forti supereroi della Terra, e stava allegramente facendosi beffe dell’odiato fratellastro.
“Sul serio, Thor, ci caschi sempre, non è nemmeno più divertente… no, scherzavo, è esilarante ogni volta”.
Ciononostante, Thor sembrava non condividere quell’opinione, perché, emettendo un ringhio ben poco rassicurante, si sbriciolò una pietra curatrice sulla ferita, dopodiché strattonò Loki e l’afferrò per un orecchio. Senza frapporre altro tempo, il comando inverso del Tesseract venne azionato, e Loki venne portato via dal Dio del Tuono, per l’occasione estremamente somigliante a una madre irritata.
I presenti erano ammutoliti, e nell’attico semidistrutto e incenerito regnava un silenzio di tomba, che venne prevedibilmente interrotto da Johnny Storm.
“Bene, non vorrei sembrare inopportuno, ma il tizio con le corna chi era?”.


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Capitolo 6
*** Epilogo ***


Note: Nel capitolo in questione troverete un lungo sbrodolamento su Loki, teoricamente IC ma non si sa quanto. La sottoscritta Ladyhawke spera sia venuto bene come le caratterizzazioni nel resto della storia. Beneinteso che qui finisce in caciara in quanto storia demenziale, con tutti, su per giù, felici e soddisfatti. Nel finale troverete in riferimento idiota al caffè, che solo Ladyhawke e le sue adepte comprendono, ma ora andiamo, stile Alberto Angela, a spiegare.
A maggio scorso, Ladyhawke, rientrando da una sessione di esami universitari con una sua amica, incontrò un amico della suddetta e si misero a chiacchierare.
Venne subito fuori come argomento l'ex della mia amica, un meraviglioso demente degno di favolose avventure.
Le varie avventure comprendevano l'uso di un telecomando come cellulare, il chiamarsi con due cellulari e il caffè, appunto. Pare che questo genialoide, una mattina durante una settimana bianca con gli amici, mise su la caffettiera senza acqua, lasciando bollire il caffè per millenni, e sorprendendosi sul perchè non salisse! Immaginate la risate della truppa. Il dramma è che io, essendo creatura molto impressionabile, la notte stessa sognai Thor afflitto dalla stessa incapacità di preparare decentemente un caffè e lo raccontai più o meno al mondo, con il risultato che potete vedere oggi sullo schermo del pc.
Bene, detto questo, vi salutiamo, vi ringraziamo per averci seguite e vi lasciamo all'epilogo di questa scemissima storia. Come sempre, qualora voleste lasciare una recensione, certo noi non ce la prenderemmo a male ^^

Ladyhawke e Charme.



 

Epilogo     
 
  Loki e Thor caracollarono su quello che rimaneva del ponte che portava al portale del Bifrost in modo molto poco aggraziato.
  “Diamine, questo Tesseract non ne fa una buona!” esclamò Thor, trattenendo il fratello per il mantello, mentre già tentava di darsi alla fuga. “Dove pensi di andare?”
  Loki lo fissò con odio. Se c’era qualcosa di peggio di Thor al naturale, questo era Thor in vena di pessime battute.
  “Da nessuna parte, figurati…” non aveva finito la frase che già il Dio del Tuono se l’era caricato in spalla come un sacco di patate e, con l’aiuto del suo Mjolnir, si stava velocemente dirigendo verso il palazzo di Odino.
  “Nostro padre vorrà sicuramente vederti. Sarà impazzito al pensiero della tua fuga.”
  “Vedermi? Per fare che? E non è mio padre, né mai lo sarà!” tuonò Loki, tentando vanamente di liberarsi dalla presa del fratello.
  “Lo è stato per lunghissimo tempo, e continuerà ad esserlo sempre. Accettalo, Loki.” Mentre Thor parlava, la presa sul fratello divenne sempre più stretta, tanto che il Dio dell’Inganno temette di rimanerci secco, pur essendo un dio. Stupido omone senza cervello! Con quel poco di sangue che ancora arrivava alle sue sinapsi, Loki tentò di sdoppiarsi e liberarsi da quella stretta d’acciaio, ma l’idea gli venne quando era ormai nella sala del trono di Odino e finì per franare a terra molto poco elegantemente.
  “Loki! Allora sei riuscito a riportarlo a casa!” squittì Frigg, in piedi accanto a Odino.
  “Dov’era fuggito?” chiese Odino, mortalmente serio, mentre il suo secondogenito si rimetteva in piedi.
  “A Miðgarð, padre. Mi ha seguito, e ha portato scompiglio al quartier generale dei difensori di quel mondo.”
  “Per dei ragni, capirai…”
  “SILENZIO!” Urlò Odino, richiamando involontariamente un nugolo di curiosi, inclusi Lady Sif, Fandral, Hogun e Volstagg, ad assistere a quell’interessante spettacolo che era il rientro del fuggitivo senza gloria né onore.
  “Per me Odino avrebbe dovuto lasciarlo dov’era, quel gigante di ghiaccio rachitico.”
  “Chiudi il becco, Fandral!” Sif richiamò brutalmente al silenzio l’amico. Voleva capire che sarebbe accaduto ora.
  “Due guardie ibernate, due pugnalate e condotte nella camera della guarigione. Speravi di poter sfuggire alla legge?”
  “È difficile che un prigioniero accetti di buon grado la sua condanna, di norma. Stolte le guardie a perdermi di vista.” Replicò l’interessato, con molta calma. La pacchia era momentaneamente finita, e Loki sapeva quando tenere un profilo basso.
  “Dovresti ammettere che ti è stata riconosciuta una certa indulgenza, poiché sei mio…”
Loki interruppe il non padre con veemenza: “Perché questa indulgenza? Per quale motivo? Ve l’ho mai chiesta, forse? L’ho implorata? Questo sciocco…” e indicò Thor che alzò un sopracciglio con fare perplesso “crede che io sia disposto a cedere, ammorbidirmi, sottomettermi al suo volere. Crede ancora che io possa volere il suo bene! Arrendetevi alla realtà…” Loki quasi sorrise, mentre parlava “Continuerò a desiderare la vostra distruzione, finché non vi avrò in pugno. A cosa mi serve, dunque, la clemenza?”
  L’uditorio abusivo inorridì a quelle parole. Come osava rivolgersi così ad Odino, il padre degli dei? Come osava dirgli in faccia simili cose?
  “Che pensi ora?” disse Fandral a Sif.
  “Io penso che siamo ancora in tempo ad ucciderlo.” Disse Hogun. “Volstagg, perché hai un cosciotto di cinghiale in mano?”
  “Era rimasto solo, non volevo che i servi lo portassero via!”
  “Zitti tutti quanti!” minacciò nuovamente Sif, irata.
  Il Padre degli Dei rimase muto e immobile, sentendo le parole del figlio. Per un attimo, Loki temette di vederlo franare di nuovo al suolo a causa del sonno di Odino, eventualità che per certi versi avrebbe accelerato le cose, ma il non padre rimase sveglio e pimpante.
  “Ancora a lungo dovremo attendere la tua redenzione, figlio. E ancora lunga sarà la prigionia, o il confino.” Del resto, l’esilio aveva raddrizzato un figlio, poteva funzionare anche con il secondo.
  “No! – urlò però Frigg, improvvisamente. – No, non il confino, non stavolta.”
  Odino, Loki, Thor e tutti i presenti erano ugualmente perplessi. Frigg scese dalla sua postazione accanto al trono e si avvicinò al suo figlioletto.
  “Non dovresti dire cose del genere, Loki. Ti amiamo tutti qui, e non devi sentirti in mezzo a nemici. Ogni tua azione maligna può essere perdonata, puoi redimerti, anche se pensi di non meritarlo. Fidati della parola di tua madre.”
  “Fidarmi? Fidarmi di chi mi ha allevato costantemente nella menzogna, come un animale di cui avere pena e da dimenticare alla prima occasione utile? Tu non sei mia madre, sei la madre di Thor, l’unico figlio che hai partorito!” urlò Loki, furioso. Che la smettessero con questa storia.     Dopo millenni passati nell’ombra ora era il figliol prodigo? Avevano forse sensi di colpa nei suoi riguardi? Benissimo, non li avrebbe certo aiutati a stare meglio.
  “Tu non sei mio figlio? E di chi, allora? Di Laufey, che ti ha lasciato a morire? Io ti ho nutrito con il mio latte, ho vegliato le tue notti, ti ho lavato, nutrito, assistito. Ti ho lavato via il sangue che ti colava dal naso dopo aver giocato con Thor innumerevoli volte. L’ho fatto con te come con lui. Questo, Loki, fa di te una mia creatura.” Disse Frigg solennemente, mentre il povero Dio dell’Inganno, alla luce delle tremende immagini evocate, cercava di rimpicciolirsi sempre più.
  “Resterò per sempre un gigante di ghiaccio.” Tentò di dire.
  “Non per me!” Frigg si avvicinò per abbracciare il figlioletto, che anche prima di scoprire la sua vera natura non era mai stato particolarmente espansivo. Il dio arretrò di qualche passo, ma presto la sua schiena finì per cozzare contro l’armatura di Thor, e lì rimase, immobile, stretto tra l’incudine e il martello, a farsi abbracciare. La situazione era a dir poco assurda.
  “E ora?” chiese Volstagg, masticando ciò che rimaneva del suo cosciotto. Tutti i presenti erano curiosi.
  Loki, dal canto suo, sperava che tutto finisse alla svelta. C’era qualcosa di mortalmente imbarazzante nell’essere lì, abbracciato dalla propria finta madre, sotto lo sguardo del non fratello, del non padre e della corte tutta.
  “Loki non si merita tanto affetto” sospirò Hogun, in un rigurgito di sentimentalismo.
  Thor, invece, che sentimentale lo era senza sforzi, ad una visione del genere quasi si commosse, e cominciò a stritolare di abbracci il fratello e la madre, insieme.
  “Così dovrebbe essere, Loki, così! Perché non lo vuoi capire, che importa se sei un gigante di ghiaccio?”
  “Importa. Importa a me, e importa a tuo padre, non è così, Padre degli Dei?” benché stritolato, Loki riuscì a fissare nell’occhio rimasto suo padre, che osservava la scena con distacco, immobile sul suo trono.
  “Non desidero altro che vederti in pace, figlio mio.” iniziò a dire, mentre alla parola “figlio mio” il Dio dell’Inganno aveva un principio di tic all’occhio “E so che tua madre continuerà a non amare la mia decisione, ma non posso lasciarti libero di combinare altri disastri, devi imparare ancora cosa sono la moderazione e l’equilibrio.”
  Loki alzò gli occhi al cielo: per tutta la vita era stato il figlio calmo, posato, tranquillo, mentre era sempre stato Thor a combinare disastri. Ora che faceva qualcosa di male LUI dovevano definirlo squilibrato. Ridicolo.
  “Tornerai alla tua cella...”
  “Odino, no! È come un bambino, non lo vedi?” pigolò Frigg, stringendo il figlio ancora di più.
  “Non ti impedirò di vederlo, Frigg, o di farlo uscire se sorvegliato dal fratello, ma non possiamo permettere che torni a Miðgarð. Thor, dovrai essere il suo custode, ancor più di quando eravate bambini.”
  “Lo farò con piacere, padre.”
  “Resterebbe valido l’esilio perpetuo.” Loki interruppe la solennità del momento. “Lo accetterei di buon grado.”
  “No, Loki. Non stavolta. Non vogliamo perderti mai più.”
  Perderti. Mai. Più. Tre parole e una condanna alla tortura per il povero Dio dell’Inganno. Non appena fu libero dall’abbraccio di Frigg e Thor, questi lo ammanettò, preparandosi a ritrasferirlo nella cella che aveva occupato fino a poche ore prima.
  “Dunque è così? Niente di più?” si chiese Sif, sconvolta. “Con tutto quello che ha fatto?”
  “Lady Frigg ha il potere di intenerire perfino Odino, che vuoi farci!” disse Fandral. “Ma vedrai che stavolta non fuggirà più”.
  “Perdonami, fratello” disse poi Thor a Loki. “Ma non sempre posso fidarmi di te”.
  Loki alzò gli occhi al cielo; il sangue della pugnalata che Thor aveva ricevuto da lui ancora gli macchiava l’armatura, ma il Dio del Tuono ora si era messo ad interpretare l’eroe saggio e maturo. Avrebbe potuto replicare con qualcosa di sagace ed offensivo in qualunque momento, ma preferì tacere, perché in caso contrario temeva che gli avrebbe fatto indossare, di nuovo, quella tremenda museruola. Il rientro in cella fu a dir poco penoso: quattro guardie armate fino ai denti e dall’aria tremendamente sadica lo fissarono con odio e sospetto mentre Thor lo buttava dentro come se si fosse trattato di un sacco di patate e lo liberava delle manette.
  “Devo occuparmi del Tesseract ora, ma tornerò presto da te. Cerca di non metterti nei guai.” disse Thor con aria paterna, prima di andarsene.
  “Per me puoi anche lasciarmi qui a morire.” replicò Loki, stizzoso.
  Rimasto solo, Loki si lasciò cadere sul suo misero giaciglio. Che in realtà era più che dignitoso, ma di certo NON per un figlio di re, come lui era. Ci sarebbe voluto tempo per fuggire di nuovo, e l’idea che sua madre avrebbe potuto fargli visita... di tutta la famiglia Frigg forse era la persona che meno odiava, ma c’era il non trascurabile dettaglio che, anche se gli aveva cambiato i pannolini da piccolo, non era sua madre, e non lo sarebbe mai stata. Voltò la testa di lato, annoiato, e notò qualcosa di assolutamente inconsueto. Sul tavolinetto accanto a lui c’era un pupazzetto, piccolo rispetto a quelli che aveva spesso visto in mano a Lady Sif o ad altre piccole Lady ad Ásgarð, e dalle chiare sembianze di Thor. Il Dio del Tuono aveva spesso, in uno dei suoi infiniti sproloqui, raccontato al fratello di come i Midgardiani facessero effigi dei loro eroi e di come, per colpa di Loki, anche Thor fosse diventato famoso ed amato in quel piccolo mondo, tanto da ricevere quegli omaggi. C’era da capire perché uno di questi oggetti fosse in quella cella. Loki ebbe un brivido: quel sentimentale idiota doveva avercelo piazzato di proposito come segno di affetto e di vicinanza. Sì, era una scemenza tipica di un amante dei Midgardiani come lui. Sulle prime pensò di volerla disintegrare e farne ingoiare i pezzi al non fratello, poi, ebbe un’idea migliore: il voodoo. Con la sua magia avrebbe potuto funzionare anche così, ma se, per caso, si fosse impossessato di un capello biondo di quell’energumeno l’avrebbe avuto in suo potere! Prese in mano il pupazzetto di Thor con gioia omicida, giocherellandoci come un gatto avrebbe fatto con un topolino. La presenza, grazie ad Odino non fisica, di Thor e lo stress per la giornata vissuta fecero però addormentare il Dio dell’Inganno in pochi minuti.
  Quando Thor tornò da lui lo trovò così sereno e pacifico che non osò disturbarlo, e avvisò Frigg e Odino che la pace, per il momento, era stata ristabilita. Frigg non resistette all’impulso di andare a sincerarsi delle condizioni del suo bambino, e alla fine anche Odino stesso cedette alla curiosità.
  “Guardalo” disse la donna, quasi commossa. “Non diresti mai che è capace di cose così orribili come ce lo hanno descritto.”
  “Eppure, mia cara, Loki conosce l’efferatezza, ed è stato corrotto dalla sua sete di potere.”
La donna si avvicinò al figlio. Dormiva completamente vestito e scoperto, con il pupazzetto a forma di Thor ancora stretto nella sua mano.
  “C’è speranza, forse.” Sorridendo, Frigg sfilò le coperte in modo da poter coprire il figlio, che si mosse nel sonno, mugugnando.
  “Cos’ha in mano?” chiese Odino.
  “Un’effigie di Thor, per questo ho detto che nutro speranze.” Disse la donna.
  “Thor…” borbottò Loki nel sonno, mentre la madre sorrideva.
  “Visto? Lo sogna. “ disse ancora, rivolta ad Odino.
  “Se ti prendo… me la paghi. No… no… non giocherò con te!” chiaramente, il fatto che stesse sognando suo fratello non rendeva troppo tranquillo il Dio dell’Inganno.
  “Questo lo faceva anche da bambino, se ben ricordo.” Disse Odino rivolto alla moglie.
  “Difficilmente ha un sonno quieto. E se l’è sempre presa con qualcuno, spesso con Thor quando si facevano male, visto che era così indifeso, da piccolo…”
  “Miðgarð sarà mia… Thor… il caffè…” borbottava intanto Loki “ci… ci vuole l’acqua.”
  “Questo è repertorio nuovo, però.” Fece Frigg, perplessa.
  “Retaggio Midgardiano, penso.” Le rispose Odino. Poi, entrambi, avvolti da un’ondata di amore genitoriale, uscirono dalla stanza, lasciando il loro secondogenito da solo, a sognare. Se Loki fosse stato cosciente non avrebbe mai permesso niente di simile, ma il sonno aveva fatto cadere molte delle sue barriere, rivelandolo per quello che era: un principe cadetto mingherlino e bisognoso di coccole e vendetta. Non necessariamente in quest’ordine.
  Il pupazzetto Thor rimase lì, saldamente stretto nella sua mano, per tutto il tempo. Fu sbatacchiato, succhiato, morso e alla fine Loki iniziò a sbavarci un po’ sopra. La cosa di per sé avrebbe potuto considerarsi senza conseguenze, ma Loki aveva già dato il via ai poteri del voodoo, ed ognuna di questa azione finì per essere replicata sul povero Thor in carne ed ossa.
  Mentre passeggiava con Fandral, Hogun, Sif e Volstagg per i meandri del castello si ritrovò per terra più di una volta, si sentì stritolare e si ritrovò inspiegabilmente fradicio, come se qualcuno gli avesse tirato una secchiata d’acqua addosso, il tutto senza una valida ragione.
  “Amico” gli disse Hogun “Temo che Miðgarð non ti faccia bene, non fa che crearti problemi.”
  E mentre Thor sputacchiava qualcosa che sembrava un’acqua vagamente più vischiosa, Loki sorrideva nel suo sonno, accoccolato sotto le coperte come un bambino dopo una fantastica avventura.

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