Capitolo
I - Accettazione.
«E’
il suo turno Marcus.»
La
terapista, munita di un largo e accomodante sorriso, porse
all’uomo il barattolo contenente i bigliettini.
In
risposta ricevette un’alzata sarcastica di sopracciglio
«Non
parteciperò a quest’assurda
pagliacciata.» Puntualizzò deciso «Sono
qui
soltanto perché la mia addetta stampa pensa sia
un’ottima promotion.»
«Ora
le dirò ciò che faremo, Marcus:
prenderà un bigliettino,
leggerà ad alta voce l’obiettivo che le
sarà assegnato e come da accordi, sin
da domani, provvederà a raggiungerlo.» Si
premurò di precisare, in modo che il
suo atteggiamento non contagiasse, con effetto domino, gli altri
pazienti presenti.
«La
prossima settima ho un’importantissima…»
«A
quanto pare no.» Smentì riacquistando il suo
iniziale sorriso «Ho
parlato con la sua segretaria e ha detto che una vacanza le farebbe piuttosto bene, dal momento che non
usufruisce delle ferie dall’anno scorso.»
Così chiuse l’argomento,
riavvicinandosi con il barattolo.
«Pensavo
che tutto ciò dovesse durare solo poche
sedute.» Borbottò mentre introduceva la mano in
pesca del
bigliettino.
«Infatti!»
Confermò. «Questa sarà
l’ultima seduta collettiva,
per il resoconto della
settimana prenderemo appuntamenti individuali.»
«Non
sarà troppo giovane
per quest’incarico?» Insinuò cinico,
mentre le sue dita sceglievano il pezzetto
di carta.
«Non
troppo per capire che nessuno di voi sta facendo progressi.»
Comunicò «Ad esempio, lei è ancora
strenuamente ancorato allo stadio di
accettazione.»
«Che
per quanto ne so, è l’ultimo.»
«Nel
suo caso è il primo caro Marcus dunque, dovendo ancora
passare
dal via, le
mancano ben cinque
stadi.»
Marcus.
No, sono
Marcus Cevelant.
Ambito
ricco scapolo.
Che fosse
dannato quel giorno in cui aveva preso un appuntamento
con il direttore della Banca Centrale.
Martedì, aveva
detto lui, ma diamine, i contrattempi
l’avevano costretto a posticipare a Mercoledì e..
Bam!
Un
pazzoide –ovvero un enorme
contrattempo- aveva costretto la sua segretaria a spostare ogni singolo
appuntamento del pomeriggio, perché lui era rimasto bloccato
lì.
E non era
finita, perché la sua morte lo stava costringendo a
perdere molto più tempo.
Riguardò
il bigliettino: completare
l’ultimo livello di Final
Fantasy
XIII.
Lo
accartocciò con rabbia: aveva affari molto
più importanti a cui pensare.
Agguantò
il suo Blackberry, ma non premette il due
delle chiamate rapide ma il cinque.
Il tuuu irritante si
prolungò per molto, prima che qualcuno si degnasse a
rispondere.
«Signor Cevelant?» Quella
voce –che si limitò ad un sussurro- gli
punzecchiò ancor di più i nervi.
«Abigail,
perché sento solo dei mormorii?» Chiese stizzito.
«Perché
Raelene mi ha proibito di rispondere quando leggo il suo
nome sul display, ma io ho pensato: è sempre il mio capo,
no? Anche se Raelene dice
che…»
«Okay,
Okay Abigail, sei stata brava. Ora prendi l’agenda
e…»
«Signor Cevelant!»
Tuonò
una voce femminile, facilmente attribuibile alla sua efficientissima
assistente
che avrebbe dovuto –al più presto-
licenziare.
«Lei per una
settimana non
sarà il nostro capo e la povera
Abigail» Era certo che le avesse lanciato
un’occhiata di rimprovero, subito
dopo averle strappato di mano il cellulare «Deve considerarsi
sollevata
dall’incarico.»
Dettava
legge, quella strega.
«Al
mio ritorno ti licenzierò.» Sbraitò
fuori di sé.
«Sì,
dice sempre così» Sorrise, sì, sentiva il suo sorriso «Ma
è troppo intelligente per licenziare la
sua migliore assistente.»
Ed era dannatamente
vero.
La
piccola Raelene si era presentata al suo cospetto tantissimi
–o
almeno così gli sembravano- anni orsono, ed era proprio come
la si poteva
immaginare se menzionata in un libro.
Con
capelli spesso indomabili, inevitabilmente rossicci, e occhi
così verdi da perderti in un bosco di abeti nella stagione
invernale.
Un verde
deciso, quasi quanto il suo carattere, denso e ombroso.
La
descrizione dei suoi caratteri principali, nella patente o in
un sito d’incontri, avrebbero fatto pensare ad una sventola.
Ma quando
entrò da quella porta cigolante, con uno zaino stracolmo
in spalla, gli sembrò una ragazzina sperduta: il giorno del
suo diciottesimo
compleanno, invece di soffiare delle allegre candeline, impertinente
chiedeva
di lavorare per lui e, nonostante avesse il viso smunto, il corpo
magrissimo e
quella cascata di capelli che, avvolgendola completamente, la facevano
apparire
ancor più minuta, già emanava quel nonsoché
di selvaggio e coraggioso, che l’avrebbe accompagnata per
tutti gli anni a
seguire.
In
verità non c’era materialmente
spazio per un assistente, ma lui aveva ugualmente pubblicato un
annuncio,
sperando in un compagno d’idee con il quale condividere oneri
e onori del suo
progetto.
Ma
quando, dopo esser trascorsi ben undici giorni
–sì, li aveva
contati- durante i quali neanche un’anima pia si era fatta
viva, la porta
cigolò rivelando quella figura malconcia, si rese conto che
non era nella
posizione di essere troppo schizzinoso.
Aveva
speso quasi tutti i suoi risparmi –no, tutti
i suoi risparmi- per comprare quell’appartamento/alloggio
decrepito, che contava due stanze e un bagno striminzito. Sperava che
la sua
impresa sarebbe decollata al più presto, ma quel presto
sembrava molto molto lontano.
E il suo
progetto, beh, era un progetto abbastanza indefinito.
Era bravo
a investire, ma non su se stesso.
La sua
vera e propria fortuna
era stata che Raelene fu in grado di intuire come ciò
avrebbe potuto volgere a
loro favore.
Amava
il suo
lavoro.
Amava
ciò che faceva, come lo faceva e quanta gioia potesse
restituirgli.
Scegli un
lavoro che ami, e non dovrai lavorare neppure un giorno in vita tua, disse
Confucio.
Gli
orientali avevano sempre avuto un pizzico di saggezza in
più,
rispetto a tutti i comuni e materialisti mortali.
Così
in quel momento, nonostante sarebbe dovuto andare in un
qualche negozio di giocattoli o godersi la vacanza forzata, non poteva
fare a
meno di leggere quelle cartelle una ad una, prendendo diligentemente
appunti e
figurandosi mentalmente lo show.
Si
sentiva in pace con se stesso e, ogni volta che prendeva dalla
ventiquattr’ore un nuovo caso,
provava un senso di soddisfazione.
Quando
sentì delle chiavi girare nella toppa pensò, in
una
frazione di secondo, a dei ladri.
Perché
no? In fondo in quel periodo ci sguazzava
nelle rapine.
La cosa
sorprendente fu che rimase calmo, non individuò
febbrilmente alcuna possibile arma a portata di mano e diede un altro
lungo
sorso di Romanée-Conti, versato nel bicchiere con abbondante
generosità da una
bottiglia molto speciale del 1945, che si era aggiudicato per non sapeva
–e non voleva sapere- quanti mila
franchi svizzeri nel corso di
un’asta dedicata ai grandi vini a Ginevra.
Quando
delle ciocche rosse iniziarono ad esaltare il contrasto
cromatico con la porta bianca, capì che l’ufficio
–senza lavorare- era
stretto anche per lei.
Ma -tanto
per seguire il filo delle reazioni strane-
la sua comparsa lo stizzì ancor di più del
ritrovarsi davanti un coglione con
una calzamaglia in testa.
Intanto
perché quella pazza era capace di bruciare tutti i
fascicoli se li avesse visti e poi –grazie al suo subconscio-
temeva un
giudizio sull’ammasso di vestiti gettati alla rinfusa in
camera da letto.
Belinda,
la governante, proprio quel
giorno era di riposo: vacanza anche
per lei.
Ma
comunque non ci sarebbe stata
occasione di entrare in camera da letto, dunque che restasse pure
allibita
dall’arredamento della casa.
Dopo
che la loro società era
decollata, la prima spesa che quasi
dimezzò il suo patrimonio fu proprio l’acquisto e
il mobilio dell’ appartamento,
che gli avrebbe scongiurato l’ennesima scomoda notte sul
materasso dello
studio.
La scelta
dell’ubicazione era stata semplice: facilmente
raggiungibile ma riservata.
Così
si ritrovava ad avere una
splendida vista, dalla veranda, del quartiere più in della città.
La
questione arredamento,
risultò un tantino più complicata: deciso a far
da
solo, dopo aver declinato tutte le offerte d’aiuto della
popolazione femminile
mondiale, si ritrovò costretto a lasciare un bel gruzzoletto
dal giornalaio per
fare incetta di tutte le riviste di arredamento disponibili sul mercato.
Era
stato poi difficile –e costoso-
seguire tutti i dettami di ogni pagina, ma il risultato
l’aveva lasciato
estasiato –ma, a quanto vedeva, non solo lui- e pago degli
sforzi: era riuscito
a rendere accogliente –nonostante fosse un single incallito-
una casa che un
arredatore esperto avrebbe trasformato –con tutte quelle
nuove trovate hi-tech- in uno
stabile senz’anima.
Raelene
si avvicinò al divano sul quale era comodamente sdraiato,
squadrandolo attentamente.
No,
non lui: il divano.
«Salotto
Privilege di Casa più
Lusso,
vero?» Fece una smorfia, continuando ad avvicinarsi per poi
sfiorare con le
dita il bracciolo più distante. «Divani di due,
tre posti e poltrona, tutti con
rivestimento in pelle e base in radica di noce di Persia.»
Sospirò, mentre di
sfuggita notava anche l’ulteriore accostamento: mobile
contenitore, tavolino
centrale e tavolino laterale. «Ecco l’asso
nella manica che ti ha permesso di rifiutare
l’aiuto di tutti.»
«Non
avrei mai fatto entrare dei miei dipendenti o degli sconosciuti
a casa mia.» Ci tenne a precisare lui «E comunque,
tu non mi hai offerto nessun
aiuto.» Ricordò reprimendo un moto di stizza.
«Questo
perché ho un Salotto
Geo a casa mia –liberamente ispirato a pagina
tredici di Casa Idea- e non sarei
stata la persona
più indicata: ti sembro bionda?»
Marcus
alzò gli occhi al cielo, sperando che lei non ricominciasse
con la storia delle bionde.
«A
proposito di dipendenti in casa mia, la chiave che ti ho dato
è
una chiave per le emergenze.»
Puntualizzò,
inarcando un sopracciglio.
«Infatti.» confermò
irritata «Questa è
un’emergenza.»
Fu solo
in quel momento che si accorse della grossa busta che
nascondeva con la mano sinistra dietro il corpo.
«Cosa
mi hai portato?» Sbuffò «Il kit completo
per una buona
dipartita?»
«Per
una buona partita,
semmai» corresse ridendo scacciando via –come con
l’involucro del pacco- la sua
patina composta «Ecco una Playstation
III.»
Aveva
sicuramente chiesto consiglio al suo giovane nipote Lucas,
per procurarsi quell’armamentario in così poco
tempo ma lui, a differenza del
bambino, non aveva iniziato a saltellare allegramente.
«Te
lo puoi scordare.» Avvisò perentorio, eliminando
qualsivoglia
inizio di spiegazione «Sono in vacanza,
non basta?»
«Faremo
così: io chiuderò un occhio e lascerò
che quei fascicoli
rimangano incolumi nella tua
ventiquattrore, tu ascolterai ciò che devi sapere ed
inizierai a giocare.»
«Hai
quasi lo stesso cipiglio della dottoressa.»
Mugugnò l’uomo,
maledicendo –per la trentasettesima volta giornaliera- quel mercoledì della malora.
«Beh,
prima di correre a salvarti, abbiamo a lungo
discusso il tuo caso» confessò «E
chissà perché eravamo
entrambe convinte che l’ultima cosa che avresti fatto sarebbe
stata attenerti a
ciò che avresti dovuto fare.»
«Hai
controllato, quando ti avevo chiesto di farlo, se sia una vera dottoressa?»
ricordò sviando il
discorso.
«No.» Puntualizzò
«Perché
mi fido.» Fece
un’altra delle sue
smorfie «Ecco, la fiducia
è un’altra
cosa sulla quale dovresti lavorare.»
«Ma
queste non sono informazioni riservate?
Esiste ancora il segreto
professionale?»
«Marcus,
queste sono informazioni che chiunque
potrebbe dedurre dal tuo comportamento» scosse la testa
«In
ufficio ci chiediamo quando inizierai a pretendere notizie dettagliate
sulla
vita del fattorino che consegna il pranzo.»
«Divertente.»
«No,
non direi.» Sbuffò.
«Inizio
ad accennarti qualcosa –o almeno, quello che ho capito- di
ciò che mi ha spiegato Abigail.»
«Pensavo
ti avesse aiutato Lucas.» Disse sorpreso, chiedendosi
come mai non sapesse nulla della passione di una sua dipendente per
questi
giochi.
«Lucas
infatti ci aiuterà, ma solo al momento del gioco
effettivo.» Chiarì
«Dovrebbe essere qui
da un momento all’altro.» Guardò
preoccupata l’orologio.
«Perché
non Abigail?»
«Perché,
Signor non avrei
mai fatto entrare dei miei dipendenti o degli sconosciuti a casa mia,
Abigail prova profonda soggezione –come ti sarai reso conto-
nei tuoi confronti
e non riesce a giocare se in tensione.»
Rispose
con un borbottio, prevendendo un lunghissimo
pomeriggio.
«Per
quanto riguarda i titoli precedenti, non preoccuparti, ognuno
è una storia a se e non c’entra niente con i suoi
predecessori. Anche se – a
detta di Abi- conoscere i vecchi titoli sarebbe meglio, ma non per la
trama, per
lo stile di gioco. Comunque ogni capitolo, e questo Final
Fantasy ne è la
prova, ha sempre delle innovazioni di gioco, di stile di combattimento
e di tanto
altro.» Fece un sospiro, cercando di ricordare le
informazioni più importanti «Storia
e trama sono molto più lunghe di qualsiasi altro gioco e,
come se non bastasse,
il gioco è pieno di missioni secondarie che portano al suo
completamento non
prima di settanta-ottanta ore. Ovviamente con anche solo venti o meno
potresti
finire la trama principale, ma –a quanto pare- il bello di Final Fantasy
è
l'immensità del suo mondo pieno di sorprese, dettagli e
soprattutto stupore.»
Scoccò un occhiata perplessa indirizzata alle sue stesse
parole e poi,
dedicando un altro sguardo preoccupato alle lancette,
proseguì. «Arrivata a
questo punto, ero troppo confusa per capire appieno la trama, da quel
che
ricordo è uno strano mix di amore, politica, religione,
predestinazione,
conflitti e –sì, sembra assurdo- crescita
personale. Lo scopo è quello di
vivere la storia di sei protagonisti, affrontando lungo la strada enigmi e
combattimenti che li renderanno
sempre più forti, e quindi capaci di affrontare nemici
più pericolosi.»
Uno
scampanellio alla porta la fece sussultare, impedendole di
realizzare ciò che il suo sermone le aveva suggerito: che razza di cura era quella?
Quando la
rossa –oh sì, fai pure
come se fossi a casa tua- aprì la porta, un
ragazzino di soli dieci anni
spuntò baldanzoso, dirigendosi –quasi come
conoscesse esattamente dove fosse
ubicata la nuova Playstation III-
verso lo schermo della tv Full HD,
dilungandosi poco ad osservare il costoso ingresso.
I bambini
avevano fiuto
solo per i giochi: era stato e sarebbe stato sempre
così.
Per
collegare tutto ci mise –sorprendentemente- pochi minuti e
gli
rivolse la parola solo quando –inserito il Blue
Ray- aveva già il joystick in mano, pronto a
mostrare il suo mondo.
«Ci
troviamo a Cocoon,
un mondo dove le persone vivono in tranquillità, protetti
dai fal’Cie.
Però, questo paradiso viene sconvolto
da un misterioso contagio organizzato da un fal’Cie
corrotto, venuto dal terribile mondo di Pulse,
per conquistare la popolazione di Cocoon
e piegarla così al suo volere. La venuta di questo terribile
nemico porta il Sanctum, massimo
organo governativo di Cocoon, a
organizzare uno spostamento di
massa per evitare la diffusione di questa maledizione.» Si
fermò un attimo,
dandosi pena di controllare se l’adulto lo stesse seguendo
«Allora gli abitanti
di Cocoon organizzano delle rivolte
nel tentativo di difendere la vita dell’intera
comunità. Conosceremo sei
personaggi diversi, come Lightning,
Snow e Sazh
che, nonostante combattono per ragioni diverse, saranno degli eroi
del popolo tentando di far finire la guerra.» Fece un
sospiro, prendendo tutta
l’aria che aveva consumato parlando continuamente senza
fermarsi un attimo.
Marcus
lanciò un’occhiata contenuta –ma
disperata- alla sua
assistente e sperò che quella serata finisse il
più presto possibile.
«Dov’è
che siamo?» chiese, stropicciandosi stanco gli occhi.
«Cocoon» Ricordò, con
una nota di rimprovero, Lucas. «Questo gioco non è
caratterizzato da scontri a
turni ma da combattimenti in tempo reale, dove, sfruttando le proprie
barre ATB…»
Fece un cenno verso lo schermo,
mentre lui si dilettava in un giro di
prova «…Si possono attaccare i nemici in
libertà. Come vedi hai il
controllo di un solo personaggio, mentre gli altri si muovono per conto
loro, a
volte ti seguono a volte ti stanno davanti. Il combattimento si attiva
ogni
volta che ti imbatti in un mostro, e coinvolgerà anche tutti
quelli vicino: se
sarai abbastanza bravo da prenderli di spalle…»
mosse velocemente le mani sul
joystick «…Potrai riempire le barre della
catena…»
Parecchi
involtini primavera, riso saltato alla cantonese, gamberi
al curry e germogli di bambù con funghi stufati dopo, avendo saggiamente sfruttato il
servizio take away del
ristorante cinese del centro, entrambi con un buon vino -offerto
prodigalmente
dalla fornitissima cantina di casa Cevelant- si stavano finalmente
rilassando,
seduti l’uno accanto all’altro sul divano.
Con i
piedi appoggiati sul costoso tavolino, ridacchiavano
ricordando le pessime performance dell’uomo clamorosamente
sconfitto da un
bambino.
«Tu dovresti finire Final
Fantasy, non Lucas.» Rimproverò
Raelene.
«Beh,
non è specificato nella terapia come
si debba raggiungere l’obiettivo»
Ragguagliò furbo, mostrando
il suo rinomato sorriso da squalo.
«Sei
sempre il solito!» Accusò con ilarità
la ragazza,
abbracciandosi gli addominali per le continue risate.
Gli erano
mancati questi momenti,
si ritrovò a pensare Marcus.
Quando,
circa sette anni prima, si era presentata alla sua porta e
–per pietà- le
aveva ceduto il suo
posto sul divano –cosa che procurò a lui diversi
mesi di insopportabile mal di
schiena- non aveva mai e poi mai creduto che potesse andar a finire
così.
Il suo
conto in banca era di cinquecentosettantadue dollari e
giornalmente galoppava verso un triste doppio zero, così
un’assistente
totalmente gratis –tranne
che per
vitto e alloggio- gli faceva comodo, in barba se fosse stata una
ragazzina!
In quei
mesi, che precedettero la –ancora allora- inarrestabile
ascesa, loro si riscoprivano ogni giorno legati
sempre più a doppio filo: la cosa era stata piuttosto
inevitabile, dal momento
in cui entrambi avevano tagliato i
ponti con la loro famiglia e sentivano ben palpabile quel senso di
solitudine
che quando ti invadeva era difficile da debellare. Ma da quando, piano
piano,
il conto in banca era lievitato –con un guadagno che
ammontava a 53 dollari al
secondo- le responsabilità, ovviamente, erano centuplicate.
Come le
attenzioni delle riviste, dei mass-media, e i giornalieri
tracolli nervosi.
Nonostante
il conto –ed i meriti- fossero in comune, lei ufficialmente
preferiva essere l’assistente
e così, in ufficio –con il
contegno che era solita darsi- era raro sentirla ridere e i momenti
privati diminuivano
sempre più, con la stanchezza che li sfiancava e i vari
inviti ad aste, meeting
e ricevimenti che lo coinvolgevano continuamente data la sua non recente entrata nella classifica
degli scapoli d’oro.
«Sai,
ho guardato il fascicolo di Jack Langert…» Disse
divenendo
improvvisamente seria, come accadeva ogni volta che si parlava di
lavoro.
Gli ci
vollero alcuni istanti per riagganciarsi al discorso: la
sua mente aveva fatto una lunga digressione in ricordi e pensieri e il
vino,
certamente, non aiutava.
«E
così hai lavorato…»
Punzecchiò fingendosi arrabbiato.
«Beh,
qualcuno deve pur non
battere la fiacca!» Si scusò risoluta, scoppiando
per l’ennesima volta a
ridere.
Il vino la
rendeva più bella,
considerò spontaneo.
Poi
scosse la testa, come per riordinare i pensieri.
«Dimmi
di questo Langert…» Spronò,
interessato, cercando una
posizione più comoda su quel divano dal quale ormai non si
alzava da ore.
«Il
suo Secret Whish è
la regia: sì, vorrebbe diventare un regista di
successo.» Spiegò, recuperando
dalla ventiquattrore alcuni fogli «Mentre giocavate, ho
controllato anche il
materiale multimediale che ha allegato: sono degli ottimi lavori,
ovviamente
solo cortometraggi realizzati con l’impiego di scarse
apparecchiature, ma credo
che anche il dipartimento sarà della mia stessa
opinione.»
«Perfetto,
hai già recuperato tutti i nostri contatti?» Lo
squalo
iniziava a mostrare i denti.
«No,
perché volevo proporti un’idea, balzana ma credo
d’effetto.»
Si schiarì la voce, anche lei in trepidazione
«Guardando gli altri fascicoli,
mi sono imbattuta in Candice, Candice Lowe, il cui Secret
Whish è il grande schermo. Però, dando
un’occhiata al suo
portfolio, è chiaro come lei non abbia abbastanza esperienze
per spuntarla in
quest’ambiente e, soprattutto, conoscenze: fa parte di
un’anonima compagnia
teatrale della Virginia dalla quale è destinata a ruoli di
bassa lega e
risalto. Era chiaramente visibile, però, la
scintilla nel suo ultimo personaggio teatrale,
perciò vorrei darle
un’occasione. E’ una ragazza davvero
bellissima, e credo che potrebbe iniziare a farsi conoscere intanto per
la sua
avvenenza e, nel frattempo, fare un po’
d’esperienza cinematografica…»
«Così
vuoi combinare gli eventi…» Dedusse Marcus,
interrompendola.
«Esatto,
e stavo in particolare pensando ad una pubblicità: per
Jack, abituato ai cortometraggi, sarà una passeggiata e, con
l’ottima troupe e
attrezzatura a sua disposizione, ne verrà un capolavoro che
lo renderà celebre
sul mercato. Per quanto riguarda Candice, lei avrà
l’importante opportunità di
farsi un’idea del mondo della cinepresa e comunque far
conoscere il suo volto a
tutti i consumatori, passando nei teleschermi ogni ora.»
«Vincono
entrambi.» Ne dedusse soddisfatto.
«E
potrebbe nascere una storia d’amore, o comunque potremmo
manovrarla…» Aggiunse lei, conscia di come il
pubblico sbavasse letteralmente
per quelle cose.
«Per
quanto riguarda il loro passato?»
Quella
era la parte più importante, essendo proprio quella che
apriva lo show di Secret Whish.
Infatti,
a inizio diretta, il presentatore raccontava le vicende
antecedenti all’intervento del programma televisivo, dunque
spesso storie di
tenacia e caparbietà, di giovani o anziani –non
c’era alcun limite d’età- che
avevano lottato strenuamente –ma il più delle
volte senza alcun risultato- per
i loro sogni. Nella seconda porzione di Secret
Whish, l’ospite entrava in studio e parlava di
sé, delle sue passioni e
rinunce, di come avesse quasi perso la speranza. Nella terza, partiva
un
filmato che mostrava come Secret Whish
lo avesse aiutato attivamente a raggiungere i propri sogni, come gli
avesse
dato quella chance che nessuno gli
avrebbe mai dato ma, sottolineando sempre la sostanziale
predestinazione
dell’ospite al successo. La quarta parte era la
più seguita anche se, a dirla
tutta, quando andava in onda il programma lo share era predominante e
continuo:
a quel punto l’ospite lavava i suoi
panni
in pubblico. Ovvero, sputava fuori tutto ciò che in quegli
anni –che talvolta
erano davvero tanti- si era tenuto dentro alimentando il rancore.
Dunque una
lista dettagliata di tutte le persone che l’avevano
ostacolato, di come
l’avevano ostacolato e l’avevano
fatto sentire non
all’altezza dei
suoi sogni. Il più delle volte era la famiglia, poi gli
insegnanti, il datore
di lavoro e così via. L’ospite era ben lieto di
prendere parte attiva alla
quarta porzione, come già pattuito da contratto: era
qualcosa liberatorio e
rinfrancante, e dava una sferzata di vita ad un ego che era stato
troppo a
lungo maltrattato. D’altra parte gli spettatori ci andavano a
nozze, insomma:
chi non avrebbe voluto godersi uno sfogo pubblico? Erano attratti sia
dalla
curiosità che dalla speranza di, un giorno, stare al suo
posto.
Così
ricevevano quotidianamente migliaia di fascicoli provenienti
da tutte le parti del mondo, in cui svelavano i propri sogni nel
cassetto
sperando di essere scelti.
«Candice
è francese ma vive in Virginia dall’età
di tredici anni,
quando scappò di casa.» Informò,
andando poi a spulciare l’altro dossier
«Jack…
Jack fa tre lavori pur di permettersi di affittare le
attrezzature…»
«Scadenti…»
Ricordò.
«Sì,
appunto.» Confermò, alzando un sopracciglio.
«E’
una grande, ottima idea.» Si complimentò,
lasciandosi
trasportare dall’entusiasmo, per poi abbassare rauco la voce.
«Davvero bella.»
Ribadì, allungando il braccio
appoggiato allo schienale del divano per sfiorarle il viso.
Aveva la
pelle morbida
e, per un secondo soltanto, pensò di poterlo fare.
Beh, a
dire il vero avrebbe potuto farlo, sedurla,
dal primo istante in cui l’aveva vista.
Un
venticinquenne vs una diciottenne: sarebbe stato un gioco da
ragazzi.
Lui
sarebbe anche potuto essere insicuro sulle proprie capacità
intellettive e manageriali ma, per quanto riguardava quelle fisiche,
era più
che conscio della sua impeccabile forma, dei capelli biondi
–che gli avevano regalato
numerosi punti bonus per scalare la classifica degli scapoli
d’oro- e degli
occhi azzurri.
Ma non
l’aveva fatto.
Perché
-per la prima volta- qualcuno l’aveva guardato con fiducia
e rispetto e l’aveva considerato adulto.
E responsabile.
Così
si era dato da fare, non rimpiangendo mai –neanche per un
secondo- l’entrata nella sua vita di Raelene.
Il suo
era l’unico compleanno che ricordava e, quell’anno,
avrebbe
fatto qualcosa di spettacolare.
Voleva
scoprire qual era il suo Secret Whish
e realizzarlo.
No, non
avrebbe rovinato tutto.
Ecco il
secondo capitolo e la trama che si fa più definita.
Che ne pensate?
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