Cenerentola e altre fiabe

di Eloise_Hawkins
(/viewuser.php?uid=145496)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1: Cenerentola - ovvero di favole e compromessi ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2: Mulan - ovvero di leggerezza e falsa gloria ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3: Giulietta e Romeo – o di scoperte, piacevoli e un po’ meno ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4: Le mille e una notte – ovvero di canarini e favole di pesco ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5: La bella e la bestia - ovvero d'amore e d'ombra ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6: Il mago di Oz - o di case, assenze e purezza ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7: La Sirenetta - ovvero di silenzi e rese ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8: La Bella Addormentata - ovvero di vischio ed espiazione ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9: Peter Pan - ovvero di risate e manici di scopa ***
Capitolo 10: *** Epilogo: E vissero tutti felici e contenti - o quasi ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1: Cenerentola - ovvero di favole e compromessi ***


Cenerentola e altre fiabe

«Lei gli raccontava le favole, lui le insegnava a volare»

 




Capitolo 1
Cenerentola –  ovvero di favole e compromessi

 

«On ne voit bien que avec le cœur:
l’essentiel est invisible pour les yeux»
Le petit prince – Antoine De Saïnt-Exupèry

 

Per quanto si stesse sforzando, non riusciva in nessun modo a reprimere i singhiozzi che le scuotevano l’esile corpo. Come altre volte, prima di questa, in anni passati ma sempre per colpa della stessa persona, la ragazza si era rifugiata nel bagno in disuso del terzo piano. C’era un silenzio liquido e gocciolante tra i cubicoli putridi e fatiscenti di quei gabinetti; di tanto in tanto, si udiva uno squittio, o il suono ticchettante di piccoli passi rapidi ma incerti. Più spesso, qualche perdita acquosa interrompeva la quiete sinistra di quel luogo.
Quella sera, invece, era solo il pianto di Hermione Granger a risuonare per le pareti. La giovane Grifondoro singhiozzava, e le lacrime calde le scivolavano lungo le gote, arrossate per lo sforzo di trattenere dentro di sé quel fiume di dolore che, infine, aveva tracimato. Si sentiva stupida, e per una come lei sentirsi stupida era più che una novità; ma sapeva anche di essere una ragazzina, in preda tanto agli ormoni quanto a quegli stupidi sentimenti che andavano così tanto contro il suo animo razionale, che lei aveva sempre cercato di reprimerli, affogarli, ripudiarli. Sino a quando questi non erano esplosi in tutta la loro potenza distruttrice.
Erano passate appena un paio d’ore da quando aveva visto, nella Sala Comune di Grifondoro, Ron avvinghiato a Lavanda Brown, in modo così stretto e intimo che era difficile capire quali mani fossero di chi, o distinguere dove finisse l’uno e iniziasse l’altra.
Hermione non era sicura di saper spiegare con precisione cosa avesse provato in quell’esatto momento, se fosse più la rabbia o più il dolore, se sentisse tanta umiliazione quanta vergogna. Tutto ciò che sapeva, era che il mondo era diventato improvvisamente silenzioso: i rumori della festa, le grida, gli schiamazzi, i brindisi alla vittoria dei Grifondoro contro i Serpeverde, erano stati risucchiati, insieme al suo respiro. Le era mancato il fiato, per un istante così lungo che Hermione aveva temuto di morire soffocata. Poi, tutto era esploso di nuovo attorno a sé: le luci, i colori, i suoni, i sorrisi. Ed erano tornati anche Ron e Lavanda, lì, davanti a lei, una verità così incontrovertibile che persino negarla sarebbe stato impossibile. Allora era andata via. In silenzio, senza rivolgere una sola parola né ad Harry, né a nessun’altro di quelli che le avevano chiesto perché fosse così pallida. Con tutta la dignità di cui era capace, aveva sfilato a testa alta persino davanti a Ginny, che la guardava con occhi odiosamente consapevoli; e solo quando il ritratto della Signora Grassa si era aperto per lasciarla uscire, aveva concesso alle lacrime che le pizzicavano gli occhi di scivolarle sul viso.
Era stata una stupida, e tale si sentiva. Era stupida perché si era rinchiusa in quel bagno a piangere per qualcuno che non meritava le sue lacrime. Era stupida perché non aveva mai avuto bisogno che Ron fosse un bravo portiere a Quidditch, per accorgersi di lui. Era stupida perché, forse, avrebbe dovuto pensare che prima o poi qualcuna si sarebbe accorta di Ron, e lei avrebbe dovuto dichiarare prima i suoi sentimenti. Se l’avesse fatto, non sarebbe stata in quel cubicolo a vomitare lacrime e dolore, adesso. Ma il fatto è che aveva sempre pensato che Ron fosse suo, così, per un inalienabile diritto di natura; uno scettro che mai nessuno le avrebbe potuto strappare. E invece Lavanda l’aveva spodestata e si era impossessata di scettro, trono e regno.
Erano passate già due ore, e ancora Hermione piangeva, e ancora le lacrime non accennavano a diradarsi, ancora tremava con il volto affondato tra le mani, rinchiusa in quel cubicolo umido che odorava di fogna.
E sarebbe rimasta lì dentro per ore, forse per tutta la notte, magari anche per i giorni a seguire, se dei passi umani non avessero risuonato all’interno del bagno. La ragazza smise di piangere quasi istantaneamente, ma ciò non impedì al nuovo giunto di udirla: il rimbombo di quelle falcate si estinse. Poi, una voce risuonò nel bagno.
«Chi c’è?».
Hermione trattenne il fiato, soffocando un singhiozzo con la mano, e sgranò gli occhi, cercando di fare il meno rumore possibile. In un primo, folle momento, aveva sperato che Ron fosse venuto a cercarla; tuttavia, quando lo sconosciuto parlò, si rese conto che quella non era la sua voce. Con un breve sospiro, la ragazza si asciugò rapidamente il viso.
«Mirtilla?» tentò ancora lo sconosciuto, con una nota di speranza nel tono. La Grifondoro tacque ancora, acquattandosi in un angolo del cubicolo: non voleva essere scoperta, non voleva che qualcuno la trovasse lì, in quel bagno, a piangere come una bambina a cui è appena stato rubato il proprio giocattolo. Per l’ennesima volta in poche ore, si sentì una stupida: non sarebbe dovuta uscire dal suo dormitorio. Con un profondo respiro, si fece coraggio e si preparò a rispondere, mentre al di là della porta chiusa udiva i passi riecheggianti dello sconosciuto, che si muoveva per il bagno con fare apparentemente inquieto.
«No» replicò piano Hermione. La sua voce era roca e tremolante, e recava ancora le evidenti tracce del pianto di poco prima. E la presenza ignota che ora divideva con lei quel luogo non tardò ad accorgersene.
«Stai piangendo?» domandò senza preamboli, con un tono a metà tra il derisorio e il comprensivo.
«No» disse la ragazza precipitosamente, tirando su col naso e smentendo in un solo istante la sua risposta. Emise un lieve gemito, ma, con sua grande sorpresa, lo sconosciuto non disse niente su quella bugia.
«Va’ via di qui» Il tono con cui pronunciò quell’ordine era minaccioso e brusco, sicuro di sé ma con una nota di curiosa recalcitranza nella voce, come se il ragazzo non volesse davvero che lei se ne andasse, come se quelle parole si fossero aggrappate alla sua gola per non venire sputate fuori – soprattutto, non con quell’asprezza.
«Sono arrivata prima di te» gli fece notare Hermione, corrugando la fronte, quasi offesa da quell’imperativo scortese.
«Non importa. Questo è il mio bagno!» ribatté con determinazione lo sconosciuto, ostentando un tono fiero e arrogante.
«Presuntuoso» lo accusò la Grifondoro, gonfiando il petto, benché l’altro non potesse vederlo. La risata del ragazzo risuonò nel bagno, rimbalzò sulle pareti e riecheggiò per il cubicolo occupato dalla giovane. Per qualche minuto, entrambi tacquero, tanto che per un istante Hermione pensò che lui se n’era andato, lasciandola sola con le sue lacrime. Tuttavia, dopo poco tempo, la Grifondoro avvertì il suono dei suoi passi al di là della porta: sembrava si stesse avvicinando. Un tonfo le annunciò che la porta del cubicolo accanto a lei era stata spalancata con violenza. Trasalì, e tirò fuori la bacchetta, poi, in un sussurro a mezza voce, pronunciò: «Colloportus». La porta si sigillò con un lieve scatto della serratura, appena in tempo: un colpo secco alla superficie lignea la fece vibrare lievemente. Il ragazzo aveva chiaramente tentato di sfondarla con un calcio.
«Perché ti sei chiusa dentro?» domandò con arroganza e rabbia lo sconosciuto. La sua voce, adesso, era più chiara e limpida, meno rimbombante di quanto non fosse prima, quando era più lontano.
«Perché volevi aprire?» disse Hermione invece di rispondere, con tono diffidente e anche un tantino collerico.
«Chi sei?» chiese il ragazzo, e ora il suo timbro aveva una nota di curiosità malcelata, meno superba di prima ma pur sempre sospettosa. La Grifondoro si accovacciò sul pavimento sudicio del cubicolo, e abbracciò le gambe, strette contro il petto. Si prese qualche minuto, prima di rispondere, con esitazione: «Perché ti interessa?». Stava solo cercando di prendere tempo, e l’altro probabilmente se ne accorse.
«Vorrei capire perché ti nascondi con tanta cura» spiegò con tono quieto, come se si fosse improvvisamente ammansito.
«Non mi sto nascondendo!» si affrettò a rispondere Hermione, quasi urlando, mettendosi subito sulla difensiva.
«Orgogliosa» disse l’altro in un sogghigno che fece arrossire la ragazza. «Grifondoro o Serpeverde?» domandò con un divertito sarcasmo ben impresso nella voce.
«Corvonero» mentì prontamente Hermione. «E tu?» chiese subito dopo, guardando la porta senza nessun motivo apparente: non era in grado di vedere attraverso i muri, e il sottilissimo spiraglio da cui trapelava la traballante luce delle torce non era abbastanza spesso per permetterle di vedere attraverso. Ciononostante, gli occhi della ragazza rimasero fissi sulla superficie di legno.
«Perché piangevi?» domandò il ragazzo invece di rispondere alla sua domanda, come se non volesse sbilanciarsi o dire troppo di sé. Hermione sentì il rumore dei suoi passi, poi un fruscio e un rumore strisciante, come di qualcosa che veniva sfregato contro la superficie della porta. Probabilmente, il giovane si era appoggiato ad essa e si era lasciato scivolare, sino a trovarsi seduto, con la schiena aderente alla sottile parete di legno che li separava.
«Una sciocchezza» ammise timidamente Hermione, chinando il capo in segno di vergogna e sconfitta.
«Se era una sciocchezza perché sprecare lacrime?» La sua domanda era talmente ingenua e semplice, che la Grifondoro boccheggiò per un attimo, prima di trovare la risposta adatta.
«Perché anche le sciocchezze feriscono» bisbigliò come se quell’ammissione le facesse ancora più male. Il ragazzo sospirò, ma non replicò ulteriormente; sembrava essersi placato, e tutta l’iniziale irritabilità pareva svaporata in una nuvola di buffa e bislacca complicità.
Il silenzio che seguì fu incredibilmente piacevole: adesso, lo stillicidio che rimbombava sulle pareti del bagno era accompagnato e a tratti coperto dal ritmo regolare del loro respiro.
«Tu perché sei qui?» domandò dopo un po’ la Grifondoro, colmando nel momento giusto quel silenzio che si era creato, in modo da non rompere quel delicato equilibrio. Il suo tono era stanco, ma calmo e soffice; un invito a parlare, ma per nulla indiscreto o invasivo.
«Una sciocchezza» rispose, e la giovane ebbe come l’impressione che nella sua voce ci fosse l’impronta di un sorriso. «Ma molto grossa» aggiunse a bassa voce, con una punta di vergogna.
Suo malgrado, Hermione si trovò a sorridere. Era piacevole, stare lì, ad appena un metro da un ragazzo del tutto sconosciuto: era un mistero intrigante, che la Grifondoro non era sicura di voler risolvere. Perché parlare era molto più semplice.
E poi sapere di non essere sola era bello. Anche se dall’altra parte c’era uno sconosciuto, anche se lui si era dimostrato poco socievole, e interessato a lei solo per curiosità, e non per empatia. La testa le pulsava e le doleva, e lei si sentiva incredibilmente stanca, ma non aveva più voglia di piangere. Di tanto in tanto, si rendeva conto di aver persino dimenticato il motivo per cui si era rinchiusa in quel cubicolo. Sarebbe stata contenta anche se quel ragazzo fosse stato Draco Malfoy, semplicemente perché la stava ascoltando e perché si sentiva un po’ meno sola, adesso.
 
Draco aveva la schiena poggiata alla porta del cubicolo, la testa reclinata all’indietro, a contatto con la superficie di legno, e le gambe stese davanti a sé, con i piedi uno sopra l’altro. Respirava piano, e in modo regolare, sereno come non lo era da tanto. Chissà perché, la presenza di quella ragazza al di là della porta lo rassicurava: si sentiva meno solo, anche se per nulla sgravato del peso che da qualche mese lo opprimeva, togliendogli il respiro e la salute. Eppure, in quei pochi minuti passati in quel bagno, era stato tanto preso dalla sorpresa di trovare qualcuno nel suo luogo di meditazione, che aveva completamente dimenticato il resto.
Si recava in quel bagno praticamente dall’inizio della scuola, e non vi aveva mai trovato nessuno dentro. Era la toilette delle femmine, ed era in disuso da quando il Troll di Montagna che era penetrato nella scuola durante il suo primo anno l’aveva distrutto. Nessuno l’aveva mai disturbato, tanto che era diventato un luogo di pace, in cui poteva venire a patti con se stesso, riflettere, dare sfogo a quel groviglio di sentimenti che giornalmente gli ostruiva la bocca dello stomaco. Nessuno l’aveva mai disturbato, almeno fino a quel giorno.
Quando aveva sentito quei singhiozzi, il suo pensiero era corso subito a Mirtilla: era diventata una presenza quasi costante, con quella sua voce stridula e la sua inquietante attrazione per tutte le persone infelici almeno la metà di quanto lei lo fosse. Inizialmente, Draco l’aveva respinta, com’era ovvio che fosse: era sgradevole e ripugnante quasi quanto una Nata Babbana. Magari, quando lo era in vita, lo era anche, una Nata Babbana; ma questo non contava più, dato che dentro di lei – se mai esistesse un dentro, in lei – non c’era più una sola goccia di sangue. Ma Mirtilla si sarebbe palesata subito, perché era sempre contenta di vederlo; perciò, chiunque fosse lì dentro, non era lei.
Per partito preso, non voleva che qualcun altro gli rubasse quel posto: un po’ perché non avrebbe saputo dove andare, un po’ perché aveva davvero bisogno di quell’angolo di pace; un po’ perché era un Purosangue, ed un Malfoy, ed era abituato ad ottenere tutto ciò che voleva, a dare ordini, a vedere eseguiti i suoi desideri subito.
Per questo motivo, al rifiuto di quella ragazza che lo fronteggiava con fierezza, aveva provato rabbia: era stata una giornata pessima, stressante più di quelle precedenti, perché aveva dovuto sopportare, oltre al nervosismo e al terrore quotidiano, l’astio dei suoi compagni di squadra, che ce l’avevano con lui perché aveva dato forfait alla partita contro i Grifondoro, permettendo loro di vincere. Lui aveva cose più importanti da fare, ma questo, naturalmente, non poteva dirlo a nessuno.
Sapere che il suo posto segreto era stato violato da qualcuno lo aveva irritato profondamente, tanto che il suo primo istinto era stato quello di Schiantare l’impudente seduta stante, così da potersi godere in santa pace il silenzio salvifico di quel bagno. Quel bagno squallido, patetico e inutile: se lo ripeteva ogni volta. Come poteva un Purosangue come lui essersi ridotto in quel modo? A scontare le sue pene in uno schifoso e putrido bagno infestato da ratti e fantasmi di adolescenti bizzose?
Era stato per questo, che Draco, alla fine, si era calmato, e aveva consentito a se stesso di accettare quella presenza. Sapere che c’era qualcuno squallido, patetico e inutile quanto lui era una buona iniezione di orgoglio, in un momento in cui ne aveva davvero bisogno.
«Prima hai chiesto di Mirtilla» gli fece notare la ragazza, con una punta di curiosità nella voce, strappandolo alle sue riflessioni. Draco emise un leggero gemito, e strinse le labbra.
«Sì» disse soltanto, arrabbiato con se stesso per essersi lasciato sfuggire quel particolare, che oltre ad essere umiliante poteva anche essere pericoloso.
«La conosci?» domandò la ragazza, che non notò il basso ringhio iracondo con cui lui rispose. «Di solito la evitano tutti. È un po’…» si fermò, esitante, non riuscendo a trovare l’aggettivo adatto a definirla.
«Invadente?» le venne in aiuto lui. La ragazza rise, e Draco non potè fare a meno di notare che aveva una bella risata: era roca e sguaiata, probabilmente a causa delle lacrime di poco prima, però era spontanea, e pertanto piacevole. Non sentiva ridere nessuno in modo così spontaneo da… da mai, più o meno.
«Stavo per dire seccante, ma immagino che anche quell’aggettivo le si addica» acconsentì, ridacchiando ancora. In modo del tutto inconsapevole, Draco si rilassò, e senza rendersene conto, lasciò che le sue labbra si increspassero in un sorriso. Non sapeva come fosse possibile, ma quella presenza, per quanto sconosciuta, cominciava a metterlo di buonumore.
«Persino lei può essere una compagnia accettabile, quando sei solo» sussurrò a bassa voce, più a se stesso che alla ragazza dall’altra parte della porta. Benché la sua intenzione fosse quella di constatare con indifferenza e distacco quella realtà in cui si trovava a vivere, il suo tono risultò impregnato di amarezza. Quando si rese conto di ciò che aveva detto, il Serpeverde strinse le labbra ed emise un lieve gemito di disappunto.
«Perché sei solo?» domandò subito la ragazza. Draco avvertì un fruscio, e dei lievissimi tonfi: sembrava che lei si stesse avvicinando, gattonando lentamente, alla porta. Il ragazzo rimase immobile, leggermente irrigidito; con la coda dell’occhio occhieggiò l’uscio, quasi si aspettasse di vederlo spalancarsi da un momento all’altro. Ma questo non avvenne: probabilmente la Corvonero aveva la stessa voglia di farsi vedere da lui, di quanta lui ne aveva di farsi scoprire da lei.
«Io…» cominciò Draco, senza sapere bene cosa dire, né come spiegarsi.
Io sono un Mangiamorte, ho una missione da portare a termine, e nessuno che mi aiuti. Mio padre è un Mangiamorte, ed è finito ad Azkaban per colpa di Potter e dei suoi amichetti, e ora tutti mi evitano. Ho paura, e forse il Signore Oscuro mi ucciderà. Ucciderà tutti.
Quelle erano i pensieri che gli attraversavano la mente in quel momento, ma per ovvi motivi il Serpeverde non poteva mica pronunciarli ad alta voce. Lei non avrebbe capito. Nessuno avrebbe capito.
«Non importa» disse con asciuttezza, schioccando la lingua all’interno del palato. Il suo tono era tornato alla brusca asprezza di poco prima.
Dietro la porta, la ragazza emise un lungo sospiro, e tacque. Per qualche minuto, gli unici suoni che riempirono quella quiete leggermente tesa, furono il gocciolio continuo del lavandino in fondo alla parete, e il respiro regolare dei due ragazzi.
«Adesso non sei solo» Fu lei a spezzare il silenzio, facendo eco con la sua voce a un fruscio che annunciava un suo invisibile movimento. «Puoi…» Un’esitazione, seguita da un lieve respiro. «Puoi parlare con me, se vuoi. Non che sia molto meglio di Mirtilla Malcontenta, piango almeno quanto lei, a quanto pare…» Fu con una risata amara e leggermente canzonatoria, che quella ragazza lo invitò a parlare. La sua voce era ironica, il suo sarcasmo sottile e leggero, e la sua capacità di autocritica spiccata: decisamente non era una Serpeverde. Sembrava avesse poca stima di sé, e questo la escludeva a priori dalla casa di Salazar.
Per la prima volta da quando era dentro quel bagno, Draco desiderò sapere chi fosse. Non aveva mai conosciuto nessuno così spontaneo, tanto altruista da addossarsi i problemi altrui, nonostante fosse evidente che lei avesse già i propri con cui confrontarsi. L’intima e degradante solitudine di cui si era circondato sino a quel momento svaporò in un istante, nello stesso identico momento in cui la risata della ragazza smise di rimbombare lungo le pareti del luogo. Una leggerezza bislacca ma incredibilmente piacevole prese possesso del suo corpo; sembrava quasi serenità, ed era una sensazione di cui aveva totalmente dimenticato il sapore.
«Allora…» La sua voce risultò odiosamente esitante. Per un istante, il Serpeverde fu tentato di raccontarle tutto e di sfogarsi con lei: aveva la sensazione che lei l’avrebbe ascoltato senza giudicare. Ma rivelare tutto a un’estranea era quanto di più stupido potesse fare; così, dopo essersi schiarito la voce, invece che sputare tutta la sua paura, inghiottì l’amarezza e il terrore, e domandò: «Cos’è la tua sciocchezza?». Dall’altro lato della porta, gli sembrò di udire un gemito. Regnò il silenzio per molto tempo, tanto che Draco aveva già rinunciato ad ottenere una risposta quando lei parlò.
«Un ragazzo» disse lei, spezzando il silenzio con un sussurro intimorito. Il Serpeverde emise una breve e bassa risata di scherno; stranamente, alle sue orecchie suonò più come una risata amara. Invidiosa anche. Gli sarebbe piaciuto trovare il tempo per piangere per una ragazza; le sue lacrime erano spese per ben altro. Stava per rispondere, ma la ragazza lo anticipò. «È patetico, lo so» si affrettò a dire, la voce venata da una nota evidente di imbarazzo. Draco ridacchiò.
«È molto da adolescente» assentì con tono divertito. «Se sei Corvonero devi essere per forza intelligente. Perché piangere per una stupidaggine simile?» considerò, voltando un poco la testa verso la porta, e ricordandosi solo un istante dopo che la superficie di legno li separava, rendendo impossibile qualsiasi contatto visivo.
«Perché oltre ad essere una… Corvonero… sono anche un’adolescente, ed una donna» spiegò la ragazza. Draco non fece caso all’esitazione nella sua voce; era più occupato a registrare la sua risposta, tanto che tralasciò quel particolare importante, forse rivelatore.
«Quanti anni hai?» chiese invece, giocherellando con il polsino della camicia. Quando riuscì a far sgusciare il bottone dall’asola, e i due lembi si aprirono, la coda nero giaietto del serpente tatuato sull’avambraccio lo fece quasi trasalire. Si affrettò a nascondere quella sozzura, ricacciando indietro il groppo che gli chiuse la gola.
«Troppi, per comportarmi così» affermò in un soffio la ragazza. «E tu?» domandò con tono curioso. Draco aveva ancora gli occhi fissi sulla stoffa bianca della manica che gli nascondeva il Marchio Nero, quando rispose.
«Troppo pochi, per questo» disse quasi meccanicamente, senza pensarci troppo. Si pentì un attimo dopo, ma troppo tardi per ritrattare. A differenza sua, infatti, la sconosciuta sembrava molto interessata a ciò che diceva, e non si lasciava sfuggire nemmeno una parola.
«Che intendi?» Sembrava confusa: nella sua voce, Draco poteva intuire la vibrante nota di perplessità che ne accese l’interesse. Il giovane rimase in silenzio per qualche istante, pensando alla risposta che avrebbe dovuto dargli.
«Si tratta della mia sciocchezza» disse lentamente, con esitazione, il volto chino come se si vergognasse profondamente di quell’ammissione. Avrebbe davvero voluto che la sua fosse una sciocchezza; avrebbe voluto dirle che una ragazza l’aveva fatto piangere, disperare, restare sveglio la notte a rigirarsi tra le coperte. Ma non era così, e lui era troppo stanco e confuso per mentire.
«Cioè?» La sua voce era una carezza candida e accogliente. Pigolò la sua perplessità come se avesse paura lei stessa della risposta, e non poteva nemmeno lontanamente immaginare quanta ragione aveva di temerla.
«Devo fare una cosa, ma non sono sicuro di volerlo fare» Contro ogni aspettativa, Draco le disse la verità, pur scegliendo con cura le parole. Nell’istante che intercorse tra la domanda della ragazza e il momento in cui le sue labbra lasciarono uscire quella risposta, il Serpeverde aveva pensato a un centinaio di scuse o possibili sciocchezze da propinarle, ma aveva come la sensazione che, non solo lei avrebbe intuito la sua menzogna, ma si meritasse sincerità, la stessa che lei gli aveva riservato. Non aveva avuto paura dell’umiliazione, e la risata che Draco si era lasciato sfuggire dopo la sua confessione era stata maleducata. Forse voleva semplicemente riscattarsi, dicendogli la verità. Come una sorta di contorta e buffa espiazione. «Credo di non esserne capace» aggiunse in un sussurro appena udibile, tanto basso che fu coperto da un improvviso squittio, che fece sobbalzare entrambi.
 
Hermione aveva come l’impressione che quell’ammissione fosse costata moltissimo al ragazzo. Corrugò la fronte, e con un leggero sorriso sul volto, fece spallucce.
«Perché devi? Se non vuoi farla, non farla e basta» disse, concisa e lineare com’era abituata ad essere.
«Non è così semplice» rispose lentamente il ragazzo. La sua voce era soffocata, come se lui avesse seppellito il volto tra le braccia.
«Allora forse dovresti solo credere un po’ di più in te stesso. Se pensi di poterlo fare, allora riuscirai a farlo» disse con tono incoraggiante. Non aveva la più pallida idea di cosa si trattasse, ma non indagò ulteriormente, anche perché aveva come l’impressione che lo sconosciuto non avesse nessuna intenzione di dirlo proprio a lei.
Da qualche parte nel castello, risuonò la mezzanotte: i rintocchi limpidi della campana risuonarono per le pareti del castello, raggiungendo anche quell’isola di pace lontana che i due ragazzi avevano creato. Un topo squittì spaventato, e sgusciò via dalla sua tana con piccoli passetti inquieti e rapidi. Una tubatura sfrigolò. Un’armatura scricchiolò con un singhiozzo metallico.
Al di là della porta, Hermione avvertì un sospiro, e dei fruscii, seguiti da un tintinnio metallico: sembrava che lo sconosciuto si fosse appena alzato.
«Devo andare» decretò con un lieve sbuffo, come se l’idea non gli piacesse più di tanto.
«Aspetta» La Grifondoro si trattenne dallo scattare in piedi, spalancare la porta e trattenerlo per un polso. Quella richiesta, che suonava quasi come una supplica, gli sfuggì dalle labbra prima che potesse fermarla, prima di poterla anche solo pensare; era semplicemente scivolata fuori in modo spontaneo.
«Se Gazza mi becca fuori a quest’ora, chi lo sente Pito-ah» Il ragazzo si rimangiò quel nome non appena si rese conto di essersi esposto troppo, e di aver rivelato più di quanto volesse. Ma era già troppo tardi, perché Hermione l’aveva colto immediatamente, elaborando quell’informazione e giungendo alla conclusione più ovvia.
«Sei un Serpeverde» non potè esimersi dal commentare. Il cuore le balzò in petto, quando quella verità, dopo essergli sfuggita dalle labbra, si concretizzò nella sua mente. Per un minuto lungo un’eternità, regnò il silenzio, e lei pensò che probabilmente quel ragazzo stava riflettendo sul modo più rapido di eliminarla, senza destare sospetti e senza lasciare tracce. Invece, con sua grande sorpresa, lui emise una breve e bassa risata.
«E tu sei proprio una Corvonero» sancì. Poi, i suoi passi echeggiarono lungo le pareti del bagno, diventando sempre più lontani. Infine, scomparvero del tutto, ed Hermione rimase di nuovo sola. Però, adesso non piangeva più.
Con un lunghissimo e profondo respiro, si rialzò in piedi, facendo leva sulle mani e strofinandole sulla divisa una volta raggiunta la posizione eretta: il pavimento era bagnato e sudicio, e lei, suo malgrado, si ritrovò i palmi sporchi. Spinse la porta del cubicolo in cui si era rifugiata con lentezza; con un cigolio, l’uscio si spalancò. Prima di mettere anche un solo piede fuori, lanciò uno sguardo intorno e, tanto per essere sicura che il ragazzo se ne fosse andato davvero, pronunciò un flebile Incantesimo Rivelatore. Solo quando Hermione si fu assicurata di essere davvero sola, uscì dal suo nascondiglio. Lo specchio di fronte al cubicolo in cui si era rifugiata restituiva l’immagine del suo viso: era pallida, e gli occhi erano ancora un po’ gonfi, ma non c’era più la stessa profonda tristezza di quando era entrata lì dentro. Il pensiero di Ron e Lavanda era così lontano, in quel momento; la ragazza riusciva solo a pensare a quanto fosse stato strano quell’incontro. Era riuscita a parlare con naturalezza, anche se non sapeva l’identità dell’altro; anzi, forse proprio per questo. E ora, benché non potesse fare a meno di domandarsi chi fosse quel ragazzo all’apparenza così umano, aveva il desiderio di ripetere quell’esperienza mantenendo anonime le loro identità.
Una cosa era certa: non era Draco Malfoy. Anzi, Hermione era stata piuttosto sorpresa di scoprire che quel ragazzo era un Serpeverde, perché dal suo comportamento non l’avrebbe mai immaginato. Non era viziato, non era arrogante, se non a tratti; ma persino la superbia talvolta dimostrata era umile e dignitosa. No, quel ragazzo non poteva essere Draco Malfoy, e lei ne era certa. In un certo senso, era rassicurante saperlo.
Hermione mosse un passo verso l’uscita: il suo piede urtò qualcosa di piccolo, che produsse un rumore metallico e tintinnante impattando contro il pavimento. Chinò il capo, e notò una piccola moneta sul suolo, dimenticata nel punto esatto in cui lei si era immaginata il ragazzo. Si piegò e se la rigirò tra le mani, e, con sua grande sorpresa, notò che era un galeone incantato. La Grifondoro corrugò le sopracciglia, incerta: quella era una delle monete che l’anno prima avevano usato per comunicare con gli altri membri dell’ES. Ma se quel ragazzo con cui si era intrattenuta era un Serpeverde, non poteva averne una.
Quella domanda, tuttavia, si perse ben presto nella nebbia del sonno, tra nuvole di dolcezza e serenità che non avevano un volto nitido o delineato. Quella notte, Hermione dormì sonni tranquilli.
 

***

 
Draco camminava velocemente, marciando lungo il corridoio con il mantello della divisa che fluttuava dietro lui. Sfilò velocemente di fronte agli ultimi gruppetti di studenti, che si intrattenevano sin troppo oltre l’orario consentito, e salì a due a due i gradini dell’enorme scalinata d’ingresso. Aveva il volto contratto da una smorfia di rabbia, e respirava pesantemente, borbottando tra sé parole incomprensibili. Tanto era il suo disappunto, che lungo il corridoio diede uno spintone a una minuscola Tassorosso che gli ostruiva il cammino.
«Dieci punti in meno a Tassorosso. I mocciosi a quest’ora dovrebbero essere a letto da un pezzo» sputò acido, e la bambina squittì e poi corse via in lacrime. Draco non provò il minimo rimorso mentre, con un ghigno sul volto, spalancava la porta del bagno del terzo piano, ed entrava all’interno con falcate decise e rumorose.
«Dove si è cacciata quella dannatissima…?» La voce gli morì sulle labbra quando lui udì un leggero pigolio provenire dall’ultimo cubicolo.
«Sei tu?».
Era lei.
Draco riconobbe la sua voce soffice, il timbro incerto, il tono delicato. Gli sembrava quasi di vedere, nella sua mente, le labbra morbide che avevano appena pronunciato quell’unica domanda. Era tornata.
Il ragazzo si bloccò, incerto e confuso, al centro del bagno, distante di qualche metro da quel cubicolo abitato.
«Sei tornata» constatò, boccheggiando incredulo quelle parole.
«Sì» rispose semplicemente lei.
Entrambi tacquero, come se avessero bisogno di un po’ di tempo per abituarsi l’uno alla presenza dell’altro, come se qualche minuto fosse necessario per capire cosa significasse quell’unica sillaba. E poi, non per altro: ma è sempre un qualche meraviglioso silenzio che porge alla vita il minuscolo o enorme boato di ciò che poi diventerà inamovibile ricordo.
Nessuno dei due poteva saperlo, ma quello sarebbe stato l’inizio di uno strano rapporto, fatto di parole e confessioni in punta di piedi, di timide ammissioni e sfoghi impossibili da serbare nel cuore.
Quell’unica affermazione significava così tante cose che loro nemmeno potevano saperlo, e un giorno, guardandosi indietro, forse se ne sarebbero pentiti. Ma adesso, nel silenzio assordante di quel bagno, tra gocce d’acqua capricciose e tubature sinistre e arrabbiate, l’unica cosa che entrambi riuscirono a fare fu tacere. Accogliere nel silenzio tutte le implicite conseguenze di ciò che lei aveva appena detto, di ciò che lui aveva fatto; e trasformarle, modellarle al suono dei loro respiri, al ritmo dei loro battiti – perché solo così sarebbero sopravvissuti.
Hermione si sentiva tradita, ferita da una persona che per anni aveva ritenuto essere solo sua, per un diritto scritto nell’aria, ma mai nei suoi occhi; Draco aveva paura, e viveva la sua solitudine con colpevolezza. Entrambi avevano il cuore instabile, e in quella bislacca complicità avevano trovato il sentiero di una strada che stavano costruendo da soli, come una caccia al tesoro il cui premio finale era tanto prezioso da non poterselo lasciar scappare.
E così, Draco ed Hermione, rimasero zitti; lei nascosta in un cubicolo, lui immobile al centro del bagno. Rimasero zitti, e fermi, a respirare l’uno il silenzio dell’altra, in quel posto squallido su cui mai nessuno avrebbe scommesso sarebbe nata una storia – qualsiasi cosa narrasse, quella storia. Magari sarebbe stata un’avventura, forse un racconto dell’orrore. O forse una fiaba, di quelle che terminano con “e vissero tutti felici e contenti”. Ma rimasero in silenzio, a contemplare la sconcertante scoperta di quanto sia silenzioso, il destino, quando, d’un tratto, esplode.
 
«Ieri hai perso questa» La sua voce era asciutta, non conteneva più quella nota acquosa che il giorno prima l’aveva irrigata; niente più lacrime, niente più tristezza, forse solo una sfumatura di selvaggia, incomprensibile speranza.
A seguito di quelle parole, Draco avvertì il suono metallico di qualcosa che cozzava contro il pavimento, e che veniva trascinato brevemente. Abbassò il capo, e vide, al di sotto della piccola fessura tra la parte inferiore dell’uscio e il pavimento, le sue dita, piccole e sottili, stringere la moneta che il giorno prima aveva perso. Il motivo per cui si trovava in quel bagno, quella sera, era contenuto in quella mano affusolata, che alla luce fioca delle torce sembrava quasi risplendere di luce propria, tanto era bianca e delicata. Mentre allungava il braccio per raccogliere la moneta, il Serpeverde le sfiorò involontariamente la pelle: era morbida e tenera, ma sotto i polpastrelli Draco avvertì un piccolo callo sul medio, segno imperituro lasciato, probabilmente, dalla piuma d’oca. Era una che scriveva molto, a quanto pareva.
«Non è mia» si affrettò a dire, dopo essersi riappropriato della moneta. La ragazza ignorò quelle parole: sapeva che erano una menzogna.
«Facevi parte dell’ES? Ma non è possibile, tu sei Serpeverde. Nessun Serpeverde faceva parte dell’ES» considerò ad alta voce, il timbro soffuso di curiosità. Draco strinse le labbra, mordendosi la lingua e maledicendosi per la sua stupidità.
«Infatti» disse solo, secco e conciso, tornando ad essere brusco ed indisponente. Bastò poco perché anche quell’irritabilità scemasse: quel tono soffice, apparentemente privo di giudizi o critiche, era un invito a denudarsi.
Draco non potè fare a meno di pensare che erano più simili di quanto pensassero. Perché altrimenti non si sarebbero trovati lì, a parlare, senza sapere nulla l’uno dell’altro: né il nome, né il volto, né niente.
«Ma allora come l’hai avuta?» domandò lei perplessa.
Oh, al diavolo; ci sono più di mille studenti, ad Hogwarts, perché dovrebbe capire che sono proprio io?
«L’ho stregata io» affermò con una certa dose di superbia nella voce.
«A che ti serve?» chiese lei, modulando il tono perché non trasparisse la sua accesa curiosità.
«Perché?» Draco non potè fare a meno di risultare sospettoso: la sua diffidenza era evidente, perché pronunciò quella domanda in modo scontroso.
«Curiosità» replicò lei, e sembrava davvero sincera. «Sai, vorrei saperlo se qualche studente ha organizzato un club esclusivo contro… che so, il professor Piton» butto lì con ironia, ridacchiando alla sua stessa battuta. L’angolo della bocca del Serpeverde si arcuò appena in un pallido sorriso.
«Piton non è poi così male» la contraddisse, emettendo anche lui una lieve, bassissima risata. Da qualche parte all’altezza dell’addome, il suo stomaco si contrasse. Cosa lo avesse spinto a pronunciare quelle parole, non lo sapeva nemmeno lui. Piton era stato quanto di più simile a un mentore, durante quell’estate; l’aveva aiutato, gli aveva insegnato un sacco di cose – incantesimi, Occlumanzia, Maledizioni – ma poi era diventato avido, e ora i suoi occhi penetranti non facevano altro che seguirlo ovunque andasse. Voleva rubargli la gloria, era ovvio; ma lui non gliel’avrebbe permesso.
«Lo dici solo perché sei un Serpeverde. Piton detesta tutti gli studenti eccetto i suoi» C’era una leggera sfumatura di divertimento, nella voce della ragazza, adesso, ma nemmeno un pizzico di astio nel suo timbro. Se mai Draco avesse dovuto definirla in qualche modo, l’avrebbe detta leggera, leggera dentro.
«Piton detesta solo quei palloni gonfiati dei Grifondoro. Potter e i suoi amichetti in primis» Senza che lo volesse, il Serpeverde aveva intriso quelle parole di rancore e avversione. Se ne accorse solo quando il silenzio tra loro si fece pesante, come se un’improvvisa cappa di imbarazzo fosse calata tra i due. Lo folgorò il vago presentimento che lei potesse conoscere Potter o qualcuno dei suoi amici; magari, era addirittura legata a loro. Non aveva forse parlato dell’ES, prima?
Per Merlino, non sarà Lunatica?
«Allora, a cosa ti serve quella moneta?» Dopo qualche minuto di pausa, la ragazza tornò all’attacco; ma adesso il suo tono conteneva una nota di stanca distanza.
«Per comunicare» rivelò allora Draco, che non voleva perdere l’unica compagnia degli ultimi mesi, e che riteneva che parlare sarebbe stato un modo di ammorbidirla e impedirle di andarsene.
«Questo è evidente. Ma con chi?» chiese con pacatezza.
«Con qualcuno che è fuori da Hogwarts» ribattè il giovane Serpeverde, che evidentemente non aveva troppa voglia di discutere proprio di quell’argomento. Era un anello fondamentale del suo piano, e se qualcuno lo avesse scoperto questo si sarebbe potuto ritorcere contro di lui. Involontariamente, Draco rabbrividì al solo pensiero del fallimento, ma imputò la colpa alla rigida temperatura di ottobre, e agli spifferi che si insinuavano tra le fessure dei muri, sfiorandogli la pelle con le loro gelide dita. Ma il freddo che sentiva lui, era molto più interno. Eppure, stranamente, per qualche motivo che lui non riusciva a intuire, in quel preciso istante si sentì più al sicuro di quanto non fosse mai stato.
«Non potresti usare i gufi?» considerò la ragazza, la perplessità ben evidente nella voce.
«I gufi vengono controllati» replicò laconico Draco, emettendo un lieve sospiro.
«Cos’hai da nascondere?» chiese allora lei, cambiando posizione e appoggiando il volto alla superficie della porta. La sua voce ora sembrava appena più vicina, quasi capace di toccare il cuore.
«Non sapevo che una delle caratteristiche dei Corvonero fosse la curiosità» disse il Serpeverde, sulla difensiva, cercando di evitare quella domanda senza sembrare che lo stesse facendo in modo volontario. La ragazza non rispose, ma lui ebbe come l’impressione che stesse sorridendo, senza una ragione ben precisa.
«L’hai persa proprio a mezzanotte, quella moneta. Non è buffo?» Il silenzio venne riempito dal tintinnio brillante della voce della ragazza, apparentemente divertita da quella che riteneva una curiosa coincidenza. Ma Draco non riusciva a comprendere l’oscuro e contorto collegamento che lei aveva fatto nella sua testa, perciò, aggrottando le sopracciglia, chiese: «Cosa c’è di buffo?».
«Non hai mai sentito parlare di Cenerentola?» ribatté la ragazza, abbandonando il tono leggero e divertito di poco prima, in favore di uno più perplesso e a tratti consapevole. «Certo che no, tu sei un Serpeverde, e quindi un Purosangue» disse con una nota di esasperazione nella voce.
Draco trasalì, e, seppur involontariamente e in modo inconsapevole, si allontanò un poco dalla porta.
«Tu… tu non lo sei?» domandò con tono fortemente esitante, lanciando un’occhiata nervosa all’uscio.
«Serpeverde o Purosangue?» replicò lei in risposta. Benché il suo tono fosse volutamente sarcastico e retorico, il Serpeverde rispose.
«La seconda» affermò, la voce ancora tentennante e incerta. Ci fu un attimo di pausa, durante la quale Draco si immaginò quella ragazza, gli incisivi a tormentare il labbro inferiore nel contemplare l’ardua difficoltà del decidere cosa dire.
«No» pronunciò in un soffio esasperato alla fine. Quell’unica sillaba aveva poco della leggerezza con cui lei soleva parlare; sembrava che quell’ammissione le fosse costata davvero cara, ma non per il peso del significato in sé, quanto piuttosto per un implicito ragionamento che li vedeva separati alla luce di quelle differenze. Aveva cercato di mascherare il suo improvviso disagio, ma lo aveva fatto tanto goffaggine e disattenzione che non ci era riuscita.
Draco non aveva nemmeno preso in considerazione l’idea che quella ragazza non potesse essere come lui; se così fosse stato, se avesse anche solo immaginato che lei potesse essere Mezzosangue o, peggio, Nata Babbana, non si sarebbe trattenuto un solo istante a parlare. Invece stava cominciando ad aprire il suo cuore a un essere chiaramente inferiore, e non solo lui non aveva notato alcuna sostanziale differenza, ma aveva addirittura trovato piacevole la sua compagnia.
«Oh» disse, senza riuscire a modulare o nascondere la delusione nella sua voce. Tuttavia, non si mosse dal suo posto. Sembrava che le sue gambe si stessero rifiutando di ascoltare gli ordini impartiti dal cervello, da quella parte razionale di sé che gli suggeriva di andar via e di non mischiarsi con certa plebaglia. L’altra parte di sé, però, quella più vicina al petto, continuava  a ripetere che se un fantasma era una compagnia accettabile, allora poteva esserlo anche una Mezzosangue.
«Deluso?» domandò la ragazza, con un tono che lasciava trasparire una certa ansia. Draco sospirò.
«Un po’» ammise sinceramente, non riuscendo a trovare nient’altro da dire se non la verità – cosa già di per sé strana, per lui, abituato a mentire, ingannare, raggirare. Quasi si pentì di averlo fatto, perché per qualche minuto, la ragazza non disse niente, come se stesse riflettendo sul peso di quella scomoda sincerità. Dopo un po’, però, il Serpeverde avvertì fruscii leggeri e appena udibili, seguiti subito dopo dalla sua voce candida, priva di critica ma colma di una saggezza che non era ostentata.
«Vedi qualche differenza?». Draco corrugò la fronte, e voltò il capo verso la porta: solo allora si accorse che lei aveva spinto il suo indice al di sotto della fessura tra la porta e il pavimento. Sul suo polpastrello brillava una minuscola goccia di sangue.
Il giovane si trattenne dallo scoppiare a ridere: quell’ingenuità, per quanto dolcissima, non riuscì a intaccare le sue convinzioni.
«Sono differenze che non si possono notare» spiegò con superbia, il tono algido e pungente. Lei sospirò, rassegnata.
«Darei tutto quello che ho per capire il motivo per il quale voi Purosangue vi ritenete tanto superiori. Cos’avete in più, rispetto agli altri maghi?» domandò con una sfumatura di esasperazione nella voce. Il suo timbro, per quanto morbido, conteneva una nota di orgoglio difficile da soffocare, e una fierezza che la rendeva quasi simile a una regina. Per un attimo, Draco vacillò; l’istante dopo era tornato in sé.
«Generazioni di sangue puro alle spalle» rispose con albagia e sicurezza.
«E con questo?» replicò lei, con tutta la disarmante semplicità di cui era dotata.
Il giovane aprì la bocca per rispondere, ma non trovò nulla da dire. Già, e con questo? Aveva il sangue puro, e allora? Questo lo rendeva più furbo, più intelligente? Per un istante, dubitò delle sue certezze; e lo fece in un momento in cui ogni sua sicurezza stava franando sotto i colpi implacabili della paura. Cosa significava il suo nome, se non un peso troppo grande da gestire? Cosa significava il suo sangue, se non ideali che non era più sicuro di voler seguire?
Un ricordo si affacciò alla sua mente, antica memoria seppellita tra le nebbie di ideali che avevano radici troppo profonde per poter essere estirpati; così, Draco semplicemente lasciò che quelle immagini si avvicendassero confusamente nella sua testa, per poi soffocarle alla minima avvisaglia di cambiamento.
«Facciamo così» propose, la voce che da esitante si faceva via via più sicura di sé, quasi altera «Tu non cerchi di convincermi delle tue stupide teorie sull’equità, e io non me ne vado» concluse soddisfatto, schioccando la lingua sul palato.
«Molto diplomatico» Nonostante queste parole, e sebbene il tono fosse venato da una sfumatura di rimprovero, la ragazza rise. «Cos’è, una minaccia?» lo provocò, ma nella sua voce c’era il sorriso di chi sapeva che quella era solo la tregua di un vinto.
«Chiamiamolo compromesso» la corresse lui tronfio, volutamente altero, come a volersi risollevare dopo quella breve caduta indolore. Draco si sorprese nel constatare che nonostante lui avesse perso quel breve confronto verbale, lei non sembrava volerlo deridere, né affermare la sua superiorità. Era solo contenta perché era riuscita, almeno un po’, almeno per un attimo, a fargli vedere il suo personale punto di vista. E lui non ne era rimasto scottato, né ferito.
 
«Di solito i compromessi portano vantaggi per entrambe le parti» gli fece notare Hermione, la voce saccente ma ironica.
«Bè, tu sei sola, no?» Sfacciato, con la lingua biforcuta, senza il minimo scrupolo per i sentimenti altrui: quello era un Serpeverde, senza ombra di dubbio. Aveva pronunciato quelle parole come se la sua schiettezza non fosse in grado di ferirla; e lei si rese conto, con sua grande sorpresa, che in effetti quelle parole non l’avevano scalfita più di tanto.
Benché quella fosse una domanda, la sua voce trasudava sicurezza. Era retorica, dolorosa come un coltello in pieno petto, e nulla poteva essere più lontano dalla realtà di quell’unica parola – sola.
Cosa significava essere sola? Hermione avrebbe potuto giurare, solo pochi giorni prima, che non sarebbe mai stata sola: c’erano Harry e Ron con lei, c’erano Ginny e Neville, persino la presenza di Luna era diventata rassicurante, alla luce dell’affetto e delle avventure che le avevano legate – per quanto non approvasse affatto certe sue strambe teorie. E lei era certa che la loro amicizia sarebbe durata per sempre. Ma da quando nei suoi occhi era entrata l’immagine di quel bacio – Ron e Lavanda, avvinghiati con quel furore con cui lei, solo lei, avrebbe avuto il diritto di baciarlo – aveva cominciato a circolare nel suo corpo una strana sostanza sino a quel momento sconosciuta. Un veleno che aveva intossicato ogni rapporto.
Hermione non avrebbe saputo definirla: che fosse invidia nei confronti di Lavanda, gelosia nei confronti di Ron, delusione nei confronti di Harry o Ginny, che non c’erano stati al momento giusto perché troppo occupati a scoprire i loro, di sentimenti, lei si era ritrovata, improvvisamente, sola. Non nel senso proprio del termine: i suoi amici le erano sempre accanto, ma per quanto si sforzasse di essere naturale, Hermione sentiva tra di loro una distanza difficile da colmare, come se molta della loro antica complicità fosse andata perduta, sgretolata sotto i colpi di una chiusura che la Grifondoro si era autoimposta.
Quell’intimità che sino a quel momento aveva condiviso con Harry e Ron, e negli ultimi anni anche con Ginny, era convinta di non poterla ritrovare da nessuna parte, perché per legare delle persone in modo così indissolubile e inevitabile ci vogliono un caleidoscopio di sentimenti ed esperienze condivise impossibili da rintracciare altrove, o da vivere di nuovo. E invece, con sua grande sorpresa, si era resa conto che bastava avere poco in comune persino con uno sconosciuto, per ritrovare la serenità: solitudine, fragilità, un motivo per cui piangere.
In quel momento, così come la sera prima, Hermione si rese conto che quel privato angolo di vita che quei due, pur senza conoscersi, si erano ritagliati nel tessuto del tempo, sarebbe stato un universo privatissimo dedicato a loro due soltanto. L’idea la attraeva e rassicurava al tempo stesso, perché lei, ancora giovane, era senz’altro affascinata dalle assurde coincidenze che legano l’animo umano.
In quel momento, entrambi avevano bisogno di qualcuno con cui parlare, solo di questo: qualcuno a cui raccontare tutte le emozioni frastagliate e contrastanti dell’adolescenza, una spalla su cui piangere, un pensiero a cui appigliarsi per non precipitare giù. Un rifugio sicuro a cui far ritorno la sera, dopo il temporale.
Il dolore dovuto alla consapevolezza di aver perso qualcosa – un legame, un’emozione – venne rapidamente colmato e assorbito da quella nuova sensazione di completezza e rassicurazione.
«Non è che tu abbia poi tanta compagnia…» rispose lei, sulla difensiva, consapevole che quella era la verità. Perché altrimenti nessuno dei due sarebbe stato lì, in quel bagno squallido che odorava di fogna, con la sola compagnia di loro stessi.
 
«Allora… chi era questa Polvedella?» domandò Draco, tanto per sviare l’argomento e lasciar scivolare tra le pieghe del tempo e di altre parole quella contrapposizione che era nata tra loro.
«Cenerentola» lo corresse lei, ridendo. Trasse un lungo e profondo respiro, come se si stesse preparando a narrare una lunghissima storia, poi riprese: «Era una sguattera che un bel giorno ha avuto la fortuna di incontrare un principe che le ha fatto conoscere l’amore». Il Serpeverde arricciò il naso, sinceramente disgustato da tutto quel buonismo.
«Patetico» affermò in tutta sicurezza, il disprezzo ben evidente nella voce. «Non dirmi che vorresti anche tu un principe, è un cliché schifosamente svenevole e melenso» Il suo timbro era di nuovo acceso da una sfumatura di collera che lo rendeva riottoso, quasi propenso a una sfida. Ma lei non parve colpita da quell’atteggiamento.
«È quello che sognano tutte le donne, no?» constatò con semplicità, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
«Diventare principesse?» intuì lui, traendo le sue – errate – conclusioni. Lei emise une leggera risata, che rimbalzò per qualche istante tra le pareti del bagno, coprendo il suono agonizzante della morte di una goccia particolarmente bisognosa d’attenzioni.
«Qualcuno che le salvi» lo corresse con il tono consapevole e un po’ saccente di chi sa già che avrebbe dovuto spiegare le sue parole. Ma Draco era troppo occupato a riflettere sulla risposta per notare la curiosa inflessione della sua voce, un po’ stanca e un po’ malinconica.
«Non solo le donne» ribadì il Serpeverde, contraddicendola, con enorme sorpresa di entrambi.
 
Hermione si mosse irrequieta, appiattendosi contro la porta, come se non volesse perdersi un solo attimo di quell’improvvisa voglia di confessione.
«Da cosa vuoi essere salvato?» domandò, sperando che il suo tono non risultasse troppo invadente. Passarono lunghi di minuti di silenzio, durante il quale lei immaginò che il ragazzo stesse calcolando dentro di sé quanto era disposto a concederle, senza per questo esporsi troppo. La Grifondoro aveva già rinunciato a una risposta, quando il sussurro flebile e incerto dello sconosciuto la raggiunse, attutito dallo spessore del legno fradicio.
«Da mio padre» soffiò via quella confessione come se fosse impaurito anche solo a pronunciare un’eresia del genere, con un reverenziale timore nella voce, che però conteneva anche una certa dose di astio rancoroso, e la sicurezza impossibile di chi scopre per la prima volta di essere capace di far qualcosa in cui non pensava di riuscire.
Hermione assorbì ogni sfumatura di quella tonalità, facendola sua; poi, con la voce tremante, per paura riflessa, e lieve come una carezza a un bambino in una notte di temporale, chiese: «Cos’ha tuo padre di tanto terribile?».
Seguì altro silenzio. Un silenzio più lungo degli altri, ma in qualche modo meno teso. Tra di loro scorrevano pensieri impalpabili e nebulosi; in quel bagno colmo di rumori gocciolanti e squittii sinistri, si era creato qualcosa di più del semplice scambio d’informazioni reciproco. Non era più un gioco, quello. Forse era nato come tale – scopriamo qualcosa di più di questo sconosciuto, giochiamo a Indovina-chi – ma poi si era trasformato in altro, nello spazio di un minuto. Forse era successo prima di quel preciso momento, forse era semplicemente destino che fosse così; forse le lacrime di Hermione avevano impietosito quel ragazzo al pari di come la solitudine di lui aveva destato la sua compassione. Magari era solo un errore del caso, quello che li aveva condotti entrambi lì; ma l’estraneità con cui si erano accolti era svaporata ben presto tra parole e pensieri che si erano trovati in fondo simili, discordanti in modo così armonioso da uscirne indissolubilmente legati. Non conoscevano nulla l’uno dell’altra, nemmeno i loro volti; forse proprio per questo era così facile parlare. Un viso senza lineamenti non ha occhi per giudicare, né labbra per criticare, e quello era forse l’aspetto più piacevole del loro strano rapporto.
«Vivo sotto la sua ombra»cominciò il ragazzo, la voce un mormorio appena percettibile, al di sotto dello sfrigolare ticchettante delle tubature. «Mi ha costretto fin da quando ero piccolo a seguire le sue orme, senza darmi possibilità di scelta. Se lui diceva che dovevo comportarmi bene, io mi comportavo bene. Se mi diceva che non dovevo provare pena per i Mezzosangue, io non provavo pena per loro. Se mi diceva di…» La voce gli morì in gola prima che si potesse fermare, e tutto ciò che gli uscì dalle labbra fu un singulto di paura, strozzato ancor prima di poter raggiungere la gola.
 
Draco si afferrò l’avambraccio sinistro con la mano destra, e lo strinse forte, sino a quando le nocche non diventarono bianche: sentiva dolore, ma non sapeva se era il Marchio Nero in sé che doleva perché il Signore Oscuro si divertiva a far soffrire i suoi seguaci, oppure se era lui che stava serrando la presa così intensamente da ferirsi. Il peso di quella confessione piombò sulle sue spalle in modo così improvviso e doloroso, che il giovane boccheggiò, vinto dalla spiacevole sensazione che lei avrebbe capito tutto e sarebbe corso a denunciarlo.
Se mi diceva di ricevere il Marchio Nero, io lo facevo. Io l’ho fatto.
«Non voglio diventare principessa, se questo significa non accettare la diversità» dichiarò la ragazza, di punto in bianco.
Draco corrugò la fronte, e batté le palpebre un paio di volte, cercando di mettere a fuoco quella macchia di umidità sotto il lavandino che aveva di fronte. In un primo momento, non riuscì a intuire il motivo di quell’affermazione. Subito dopo, però, si ricordò di aver taciuto troppo a lungo; e allora lei aveva riempito il suo silenzio. Un po’ per timore che lui se ne andasse per la vergogna di essersi mostrato così debole, un po’ per ricucire e sanare la ferita che lui aveva aperto, seppur involontariamente, parlando di cose che faticava ad accettare e che pertanto non riuscivano ancora a prender forma in parole, lei gettò tra di loro la prima cosa che le venne in mente. Che però era ancora una volta una provocazione.
Era furba, quella Corvonero, pensò Draco, non riuscendo a trattenere un sorriso. Lo distraeva con discorsi in cui sapeva che lui sarebbe stato al sicuro. Forte.
«Non diresti così se fossi nata Purosangue» obiettò il Serpeverde, con un ghigno sarcastico e altezzoso sul volto bianco.
«Sono fiera delle mie origini» ribatté la ragazza, e nella sua voce era intrisa tutta la fierezza di una donna che non poteva essere domata.
«Io, se fossi nato Mezzosangue, penso che mi sarei ucciso per la vergogna» affermò Draco, arricciando il naso alla sola idea. Annuì un paio di volte, per dare a se stesso conferma delle sue stesse parole, e per imprimersi quel concetto bene in mente. Perché quella Corvonero, per quanto fosse una compagnia accettabile, stava un po’ facendo vacillare le sue convinzioni; solo un pochino, è ovvio, ma in un momento in cui davvero non se lo poteva permettere.
«Impari ad amare quello che hai» osservò con voce stanca. Il Serpeverde tacque un attimo, prima di rispondere.
«Allora forse dovresti smetterla di amare quel ragazzo che ti fa piangere, no?» disse con ovvietà.
 
La sottointesa implicazione di quelle parole fiorì nella mente di Hermione come un fuoco d’artificio in una notte buia e priva di stelle. Ci fu una lunga pausa di silenzio, durante la quale lei fu certa di aver sentito distintamente il cuore del ragazzo, immobile al di là della porta, che accelerava i battiti, come se avesse intuito la crudele verità che si era lasciato sfuggire, e temesse che lei fuggisse per non tornare più. Invece, Hermione rimase. Boccheggiò per qualche istante, annaspando alla ricerca d’aria, mentre quelle parole, tanto reali da far male, riecheggiavano nella sua mente. Nella sua semplice ovvietà, quella sincerità fu in grado di aprirle gli occhi e farla anche sorridere per la sua infantile stupidità. C’era ancora il dolore impresso in quegli occhi, vivido e lucente al di sotto delle ciglia brune, quando lei parlò.
«Sei un po’ stronzo, te l’hanno mai detto?» gli fece notare, e nella sua voce c’era un sorriso, amaro e appena accennato, ma sincero.
«Un sacco di volte» Lui scoppiò a ridere, dopo aver pronunciato quelle parole, con una sincerità disarmante e per questo bellissima. Anche la sua risata era bellissima, ed Hermione, per un attimo, desiderò aprire la porta e gettargli le braccia al collo. Quel pensiero svaporò nella sua mente un istante dopo. Scosse il capo, e corrugò la fronte, folgorata dalla stupidità di quell’idea: la magia stava proprio nel non conoscersi, e nello scoprirsi così, lentamente, parola dopo parola.
«Cosa c’entra la moneta a mezzanotte?» domandò lui dopo un po’, come per alleggerire l’atmosfera e farsi perdonare di quella mancanza di tatto poco prima dimostrata.
Hermione si prese un po’ di tempo prima di rispondere: scelse con cura le parole, e poi, come una madre premurosa, gli raccontò la prima favola che ogni bambina ascolta prima di andare a dormire, quella che la fregherà per tutta la vita, intrappolandola in un sogno che non si avvererà mai, con ogni probabilità.
«Cenerentola chiede alla sua fata madrina di andare al ballo organizzato dal principe…» cominciò, ma fu interrotta dalla voce petulante del ragazzo, bambino curioso e anche un po’ scettico.
«Cos’è una fata madrina?»chiese con voce evidentemente perplessa. Hermione ridacchiò.
«Una specie di strega» rispose con naturalezza, paziente come solo una madre poteva essere. Aprì la bocca per continuare a narrare la storia di Cenerentola, ma lui intervenne di nuovo.
«Deve per forza chiedere a questa strega? Non può andarci e basta?»domandò, come se gli sfuggisse un passaggio fondamentale.
«Senti da che pulpito»ribattè la Grifondoro, e nonostante le sue parole il tono non era derisorio o sarcastico. «Ti ricordo che Cenerentola è una sguattera: non ha niente. Così la fata madrina usa la magia per procurarle un vestito, una carrozza e delle scarpette di cristallo…»
«Le streghe non possono usare la magia davanti ai Babbani, figuriamoci per i Babbani… questa fata madrina dovrebbe essere denunciata all’Ufficio per l’Uso Improprio delle Arti Magiche!»si lamentò lui, la voce impregnata di tutto il gelido disgusto di cui era capace.
«Serpeverde fino in fondo»lo prese in giro Hermione, ma con dolcezza. «È solo una favola» gli ricordò, ridendo con naturalezza e spontaneità. Lui tacque, probabilmente infastidito e colpito al tempo stesso dalla verità. Respirava profondamente, come se stesse cercando di venire a patti con quella strana, distante realtà che erano le fiabe che lei narrava.
Forse loro stessi erano una favola.
«Continua…»la invitò con una nota di vaga arrendevolezza nella voce. Hermione si concesse un sorriso, prima di proseguire.
«La fata madrina, però, avverte Cenerentola che l’incanto sarebbe durato solo fino a mezzanotte» Per l’ennesima volta, il ragazzo la interruppe.
«Perché?» chiese con titubanza. La Grifondoro non ebbe bisogno di tempo per riflettere sulla risposta.
«Per ricordarle che tutte le cose belle, prima o poi, finiscono» disse con un po’ di amarezza nella voce. Qualcosa in fondo al suo stomaco si aggrovigliò, per poi distendersi nell’udire il ghigno divertito del giovane Serpeverde.
«Crudele, questa fata madrina»commentò lui con sarcasmo, senza che dalla sua voce trasparisse nient’altro che approvazione. Ma per qualche strano motivo, Hermione era certa che fossero ben altri i suoi pensieri.
«Solo molto realista»ribatté lei serenamente. Allungò le gambe davanti a sé, e cominciò a giocare con un ricciolo crespo, mentre la voce del ragazzo nuovamente la raggiungeva.
«Cosa succede poi? Cetenellira si ritrova vestita di stracci davanti al principe?»domandò lui, che evidentemente cominciava ad apprezzare quella storia.
«No. Balla con lui tutta la notte. Poi, al primo rintocco della mezzanotte, scappa. Ma nella fuga perde una delle sue scarpine di cristallo. È grazie a quella che il principe la ritrova»conclude dolcemente, il timbro soffice e delicato.
«Non dirmi che la prova a tutte le ragazze del mondo»Il ragazzo ridacchiò, la voce venata di scetticismo e il dubbio a sfumargli il tono.
«Solo a tutte quelle del suo regno»lo contraddisse Hermione ridendo con leggerezza, e trovando la cosa, in effetti, piuttosto ardua da credere o realizzare. Ma era una favola, e come tutte le favole non rispecchiava la realtà.
Il Serpeverde tacque per qualche momento, e quando poi parlò, la sua voce era tornata seria, modulata in modo che nessuna emozione trasparisse da essa.
«Forse avresti dovuto chiedere a tutta la scuola se qualcuno aveva perso una moneta stregata. Magari mi avresti trovato»Non c’era traccia di ironia in quelle parole, per cui Hermione si fece più attenta. Raddrizzò le spalle, lasciò che il ricciolo con cui stava giocando rimbalzasse sulle sue gote delicate e tornasse dai suoi ribelli compagni, si appiattì contro la porta e rispose: «Chi ti dice che io voglia trovarti?».
 
Draco si mosse irrequieto, cercando di trovare una posizione più comoda: improvvisamente, quel freddo pavimento di marmo, umido, marcio e putrido, gli sembrò quanto di più scomodo potesse esserci. Eppure mentre lei gli raccontava quella stramba favola irreale, non aveva nessun tipo di problema: la schiena era poggiata sulla superficie morbida del legno, le natiche agiatamente accomodate sul suolo, le gambe distese davanti a sè. Adesso la porta era diventata spigolosa, il pavimento troppo freddo e le gambe cominciavano a dolergli.
«Non saresti qui altrimenti, no?»disse, tentando di apparire sicuro di sé; tuttavia, nella sua voce v’era solo un’ombra di incertezza, forse persino la sfumatura lontana e irraggiungibile di un timore impossibile da raccontare ad alta voce.
Per qualche minuto lei non rispose. Regnò il silenzio, e il Serpeverde si trovò a domandarsi cosa mai stesse pensando o facendo quella ragazza al di là della porta che li divideva; si rese conto che stava trattenendo il respiro solamente quando lei parlò.
«Sono qui perché mi piace parlare con te»rispose con sincerità. Draco avrebbe voluto chiedergli cos’è che le piacesse tanto, che gusto ci fosse nel parlare con qualcuno senza poterlo vedere, senza poter osservare le sue espressioni, perché lui stava già fremendo dal desiderio di conoscere la proprietaria di quella voce delicata, di quelle parole sagge, di quelle storie irreali ma forse proprio per questo autentiche. Invece non disse niente di tutto ciò, perché in fondo la risposta già la sapeva: lui non aveva mai aperto il suo cuore a nessuno, ma discutere con lei era semplice, era vero, era giusto, in qualche strano modo, e per qualche contorto motivo. Era bello.
«Non sei curiosa di scoprire chi sono?»domandò quindi, osservando con la coda dell’occhio la superficie lignea che li divideva, quasi sperasse di vederci attraverso.
«Tu lo sei?»rispose lei, la voce flebile e tremante. Forse temeva che lui avrebbe sfondato la porta da un momento all’altro, perché non sapeva che, per quanto curioso, Draco teneva a quell’anonimato molto più di lei.
«Un po’ sì»ammise lui con incredibile e inaspettata sincerità. La ragazza rise, di una risata leggera e divertita che echeggiò per le pareti del bagno anche dopo che lei ebbe finito di dire: «Un po’ di meno ora che sai che sono una Nata Babbana».
Il sorriso che era nato sulle labbra di Draco nel sentire quell’esternazione di serenità sparì nel momento in cui quelle parole scivolarono fuori dalle labbra della ragazza. Il Serpeverde rimase un attimo attonito, a contemplare la stranezza della sua sensazione, quel sentirle dire quella definizione che per anni era stato motivo di denigrazione e risate, e che ora, invece, per una ragione che gli sfuggiva, non era altro che una notizia in più su di lei.
Con estrema sorpresa, Draco si rese conto che non gli importava. Giustificò quel comportamento con se stesso pensando che la solitudine fa brutti scherzi, e che il silenzio di cui si era nutrito fino alla notte precedente, quando lei l’aveva spezzato, interrotto e poi riempito con parole dolci e incoraggiamenti luccicanti, era l’unico colpevole di quell’improvviso cambio di prospettiva. Non è che avesse definitivamente accettato i Mezzosangue; era più che altro una sorta di compromesso con se stesso: accettare la diversità pur di non stare da solo. L’uomo è un animale sociale, ed ha bisogno tanto di attenzioni quanto di gratificazioni.
«Nata Babbana. Dio, se lo sapesse mio padre»disse scuotendo il capo. Non c’era traccia di disgusto nella sua voce, né di derisione o sarcasmo; sembrava più una mera constatazione.
 
«Non devi fare tutto quello che dice lui, sai?»Dalle labbra di Hermione sfuggì una vaga nota di disapprovazione che il ragazzo non tardò a riconoscere.
«Tu non lo conosci»replicò, emettendo un lieve sbuffo di impazienza.
«No, è vero»acconsentì la Grifondoro. Piegò le gambe, e le abbracciò con le mani, stringendosele al petto come se sentisse bisogno di calore, o affetto; poggiò il mento sulle ginocchia, perciò quando parlò la sua voce era un po’ falsata, ma pur sempre delicata e sincera. «Ma un padre dovrebbe volere solo il bene di suo figlio» gli ricordò. Si morse il labbro un attimo dopo, pentendosi delle sue parole, perché le venne in mente che, in fondo, non tutti i padri provano quell’amore cieco che tante volte si da per scontato ma che invece tale non è.
«Dovrebbe, infatti»E lui, come leggendole nel pensiero, tramutò in parole il suo timore. Hermione emise un rumoroso sospiro di dispiacere.
«Tua madre non si oppone a questo?»chiese, sperando di potersi appigliare a quell’unica speranza per risollevare il morale del giovane, il cui tono era diventato tetro e malinconico.
«Mia madre è troppo debole per opporsi»dichiarò, la voce un basso ringhio di fastidio. La Grifondoro tacque per qualche istante, per consentirgli di aggiungere altro o venire a patti con la verità appena pronunciata; poi, disse: «Allora dovresti opporti tu». Pronunciò quell’affermazione lentamente, per concedere al Serpeverde il tempo di metabolizzare e capire cosa lei volesse dire. Non aggiunse altro, ma rimase con l’orecchio teso per captare qualsiasi suono o rumore proveniente dall’esterno.
«Sogno di farlo da quando ho undici anni»Il sussurro del ragazzo fu talmente flebile, da essere a tratti coperto dal tamburellare dei piccoli artigli di qualche abitante delle tubature.
«Questo è il problema di molta gente: sogna quello che vorrebbe fare invece di farlo davvero» disse Hermione in un sospiro rassegnato. Inevitabilmente, i suoi pensieri volarono verso Ron, verso quel bacio che avrebbe dovuto dargli, ma che invece non avrebbe mai potuto concedergli, perché qualcun altro aveva avverato il sogno della ragazza al posto suo.
«Tu non conosci mio padre. Lui… infrange qualsiasi sogno prima ancora di poterlo anche solo pensare» Il ragazzo, ignaro dei pensieri di Hermione e dell’improvvisa morsa al cuore che le aveva stritolato il muscolo cardiaco in un’implacabile stretta tanto dolorosa da farle mancare il fiato, emise una risata amara, priva di gioia, prima di lasciar intercorrere lo spazio muto di un minuto, tra di loro.
 
Un’immagine, fulminante e avvolta dalle nebbie del tempo, riaffiorò nella mente di Draco. Aveva i contorni nebulosi e poco nitidi di un ricordo a lungo soffocato, ma dolcissimo. Senza un motivo preciso, in un sussurro e con voce sognante, il ragazzo prese a raccontare la sua, di favola.
«Sai, quando ero piccolo, una volta, mi sono messo a giocare con un elfo domestico. È stato…»fece una breve pausa, pescando tra le memorie quella sensazione a cui non sapeva dare un nome «Credo sia stato divertente. Dolce, in qualche strano modo»ammise, un sorriso ad arcuargli le labbra. Il Draco bambino della sua infanzia gli velò per un attimo lo sguardo: gli occhi erano vacui, lontani, perduti in una dimensione che non apparteneva a quella dei presenti, e forse nemmeno a quella dei vivi; il Draco di quegli istanti nel bagno non era uguale a quello che era entrato all’inizio della serata, e non sarebbe stato uguale a quello che di lì sarebbe uscito. Il ragazzo che in quel momento narrava quei ricordi, ritrovando la dolcezza di un miele a lungo negato e conservato tra le memorie più belle, non era un Serpeverde, non era un Purosangue e men che meno era un Malfoy. Non era nemmeno un Mangiamorte, non era solo, e non aveva una missione suicida sulle spalle. «Quando mio padre mi ha visto è andato su tutte le furie»Il tono si affievolì ancora, divenne un tetro e malinconico sussurro, doloroso persino «Ha detto che non avrei dovuto comportarmi in quel modo, che gli elfi domestici sono feccia, immeritevoli di stare in questo mondo, figuriamoci di farci compagnia. Disse che sono utili solo a servirci, e spesso nemmeno quello. Io non riuscivo a crederci, perché quell’elfo mi aveva trattato bene; aveva giocato con me, e quando mi ero sbucciato un ginocchio cadendo, mi aveva anche curato con la magia»Si fermò, cercando di ingoiare il dolore che gli aveva chiuso la gola, all’improvviso. Quella che lui le stava raccontando era una favola che aveva il sapore amaro delle medicine date con la forza; più un incubo, che la fiaba antica e imperitura dalla morale sempre attuale.
La ragazza aveva ascoltato in silenzio, con il fiato sospeso, ma a quel silenzio non potè impedirsi di parlare.
«L’hai spiegato a tuo padre?»domandò in un sussurro fievole quanto quello del Serpeverde, probabilmente per timore di rompere quel delicato equilibrio; o forse per paura di rompere proprio lui.
«Sì»rivelò piano. «E ho aggiunto che da grande sarei voluto diventare come quell’elfo domestico: fedele con gli amici»Un’altra breve risata eruppe dalle sue labbra, beffarda ed amara quanto il suo racconto. Quando Draco udì quel suono echeggiare nel bagno, quasi rabbrividì, perché non ricordava nemmeno di averlo emesso.
«E lui che ha detto?»bisbigliò la Corvonero con il fiato sospeso.
Il giovane non rispose subito. Come se quei ricordi fossero fin troppo dolorosi per riportarli a galla, lasciò scorrere altro tempo muto tra di loro; poi, con il tono più incolore che riuscisse a pronunciare, disse: «Mi ha Cruciato».
Il silenzio che seguì fu talmente gelido e teso, così sospeso, che per un attimo Draco pensò che la ragazza, terrorizzata, si fosse Smaterializzata.
«Ti ha…» Quel flebile sussurro, boccheggiato a fior di labbra, si interruppe all’improvviso nel bel mezzo della frase. Incapace di ripetere quell’orrore che lui aveva vissuto sulla sua pelle, la ragazza domandò, ancora senza fiato: «Ma quanti anni avevi?».
«Cinque»rispose meccanicamente Draco. Il dolore e l’amarezza provata poco prima, la paura e l’ansia che avevano riempito e impregnato la sua voce, erano scivolate via; sembrava che stesse raccontando qualcosa che era successo ad un altro, ma con la leggerezza che si riserva ad argomenti banali e privi di interesse. Era distante, ma non da lei: solo da se stesso. «Ha detto che gli elfi domestici non sono amici, solo servi; che la fedeltà è per gli esseri inferiori, e che noi Purosangue, noi M…» stava per dire Malfoy, ma si bloccò appena in tempo «…maghi non dobbiamo abbassarci a certi livelli. E che avere degli amici è un male, perché gli affetti rendono solo deboli. Mi ha torturato fino a quando quel concetto non mi è entrato in mente»concluse in un soffio.
Il sussurro del ragazzo si estinse piano, lentamente, prolungandosi nell’aria fredda del bagno come una nota restia a morire. Si spense insieme al dolore del Serpeverde, che tornò ad essere indifferente e gelido, che indossò ancora una volta la maschera di superbia di cui soleva vestirsi, che si alzò in piedi per prepararsi ad andare via e non tornare mai più, perché dopo una confessione del genere si sarebbe sentito solo troppo esposto, troppo debole, troppo patetico e stupido.
 
Invece Hermione lo riteneva solo troppo umano. Aveva il cuore che gli batteva forte come non aveva mai fatto, gli occhi colmi di lacrime e il cuore gonfio di emozione.
«Sai cosa mi piace di Cenerentola?»domandò. I passi del ragazzo si estinsero: lui si fermò, rimanendo in ascolto, incuriosito.
«Cosa?»chiese, cercando di tenere nascosta la nota di speranza che, invece, Hermione intuì, al di sotto dell’indifferenza che lui cercava di ostentare.
«Lei non ha mai smesso di sperare»affermò la Grifondoro, sorridendo.
«La speranza è per i perdenti»affermò lui con sicurezza, il tono quasi derisorio per quella ingenuità. Ma lei lo ignorò, e continuò a sproloquiare, imperterrita, arroccata nelle sue convinzioni.
«Cenerentola veniva ogni giorno maltrattata dalle sue sorellastre. Loro non facevano altro che dirle cosa doveva fare, e non le permettevano mai di trovare un attimo per sé. Ma lei sorrideva ogni giorno, continuava a credere che le cose sarebbero cambiate. Non trattò mai male né la sua matrigna, né le sue sorellastre, e quando poi sposò il principe, diede loro una casa e dei mariti»Fece una breve pausa, quindi riprese: «Lei ha avuto il suo riscatto, dimostrando che persino una serva che non ha nobili origini può cambiare il suo destino. E che qualsiasi temporale passa, prima o poi»concluse in un sussurro dolcissimo.
Ben presto, il primo rintocco della mezzanotte risuonò per il castello, spezzando la quiete muta che riempiva il bagno, e sfiorando come un’eco lontana e sfocata le orecchie dei due ragazzi.
Don.
Cenerentola e il principe.
Don.
Hermione e lui, chiunque egli fosse.
Don.
Sguattera e principe.
Don.
Mezzosangue e Purosangue.
Don.
Era buffo come quelle somiglianze si avvicendassero nella sua testa, ora che la pausa di silenzio che stava intercorrendo tra i due aveva sostituito ogni pensiero o rumore esterno.
Don.
Hermione sorrise tra sé.
Don.
Per Cenerentola il rintocco della mezzanotte significava la fine di una magia: ogni volta che la campana suonava, parte dell’incanto svaniva. Invece, alla Grifondoro pareva che, per quei due ragazzi, ogni rintocco rinnovasse il prodigio del loro legame, tanto strano quanto speciale.
Don.
«Scapperai anche stanotte, Cenerentola?»
Don.
«Conosci altre favole?»
Don.
«Tantissime»
Don.
«Allora credo che resterò un altro po’»
Don.

*****************************************************************************************************************************
Note dell’autrice:
Lo so: ho appena concluso una Dramione, ed ecco che subito ne comincio un’altra. Sono proprio incorreggibile! È che da quando ho cominciato a scrivere di questi due mi è venuto un vizio difficile da sopprimere.
Per prima cosa, do il benvenuto a tutti i lettori, vecchi e nuovi.
Questa storia mi frulla per la testa da tantissimo tempo, ma non ho mai cominciato a scriverla perché avevo l’altra in corso, e non mi andava di cominciare più di una fanfiction per poi lasciarle incomplete tutte. Ma ora che ho concluso “Il Fante di Picche e la Dama di Cuori”, posso finalmente dedicarmi a questa. So che molti di voi aspettano il seguito della prima, ma preferisco prendermi una pausa da quei Draco ed Hermione. E poi ho voglia di scrivere questa.
Cenerentola e altre fiabeè nata molto tempo fa, ma è stata creata solamente la sera del 14 aprile, quando la nostalgia del non poter scrivere di Draco ed Hermione perché il giorno prima avevo concluso la mia fic si è fatta così intensa da spingermi a lanciarmi in questa avventura. L’idea iniziale era ben diversa da questa.
Il fatto è che mi sono sempre domandata: qual è l’unico modo in cui Draco può accettare Hermione, considerando che di lei odia tutto, a cominciare dal suo nome per finire con il suo sangue? E mi sono risposta: l’unico modo è non conoscerne l’identità, ma solo l’interiorità. In tempo moderni sarebbe stato ovvio scrivere di una relazione telematica, ma nel mondo di Harry Potter internet e pc non esistono, per cui ho dovuto trovare un altro stratagemma.
Sfogliando il Principe Mezzosangue ho ricordato che Draco, durante il sesto anno, si reca spesso in bagno, a piangere o sfogarsi (la stessa Mirtilla lo consola – da qui il suo nominarla in questo primo capitolo – e rivela poi a Harry che discute spesso con un ragazzo “sensibile; anche con lui gli altri fanno i prepotenti”). Per di più, sempre nel sesto libro, Harry più volte insiste sul fatto che Malfoy è un Mangiamorte, ma si scontra sempre con l’ostinazione di Hermione, che lo reputa innocente. Perché?, mi sono domandata. Ed ecco che ho voluto dare la mia personale giustificazione: e così è nata questa storia.
Vorrei farei alcune precisazioni.
Innanzitutto, la storia è ambientata, come si è già capito (ma meglio specificare) durante il sesto anno di Harry, Ron ed Hermione: la vicenda prende inizio da quel famoso bacio tra Ron e Lavanda, da cui Hermione è tanto rimasta scottata. Fino a questo momento, le vicende narrate dalla Rowling sono immutate; da quel bacio in poi, la mia intenzione è quella di incastrare la mia storia nel tessuto del manoscritto originale de “Il principe mezzosangue”. Non so se la cosa mi riuscirà, perché sfogliandolo mi sono resa conto di alcune incongruenze con la trama che ho cominciato a stilare.
In tutta onestà, non ho la più pallida idea di dove questa storia andrà a finire: a differenza del Fante di Picche e la Dama di Cuori, pubblicata solo dopo che la trama era stata interamente buttata giù, almeno a grandi linee, questa storia, per quanto l’idea ci sia da tempo, non ha ancora una fine, né un proseguo. Questo non significa che la lascerò incompiuta a vita, ma solo che ci metterò un po’ più di tempo a scriverla, e quindi ad aggiornare. Per chi di voi avesse letto l’altra storia, sa che pubblicavo i nuovi capitoli più o meno una volta a settimana: questa velocità non mi sarà permessa sia per il motivo sopra specificato, sia perché si avvicina la sessione estiva, e i libri di studio chiamano a gran voce.
Infine, e concludo questa lunghissima nota, vorrei giustificare il titolo della storia, perché non è esattamente preciso, ma mi piaceva come suonava per cui l’ho lasciato tale. La prima favola narrata da Hermione è Cenerentola, che oltre ad essere, in linea generale, una delle prime favole raccontate alle bambine, è anche calzante per la situazione (la moneta persa a mezzanotte, come la scarpetta di cristallo, penso sia evidente; il fatto che lui sia un Purosangue, quindi in un certo senso un nobile, un principe, e lei invece una Mezzosangue, quindi in un certo senso “inferiore”, un po’ meno, ma confido nella vostra attenzione nel saper leggere tra le righe). Per cui il titolo recita “Cenerentola e altre fiabe” dove per altre fiabe non si intendono davvero le tradizionali favole, ma solo storie che Hermione racconta a Draco. Via via che posto gli altri capitoli sarà più chiaro.
L’avvertimento OOC non è messo a casaccio: Draco non sarà molto Draco, perché per quanto io ci provi non riesco mai a mantenerlo abbastanza IC. Inoltre, le atmosfere saranno un po’ più cupe. Per di più, come avrete notato, tra i personaggi vi sono solo Draco ed Hermione. Questo perché compariranno esclusivamente loro, e gli altri personaggi saranno solo citati come sfondo.
Questo è un capitolo in un certo senso introduttivo, per cui è abbastanza lungo; gli altri saranno più corti. Per di più, ci saranno un bel po’ di sbalzi temporali in questa storia.
Concludo avvertendovi che “non ci saranno sbaciucchiamenti di sorta o stupide smancerie” in questa storia! (Frase rubata al nostro Severus Always Piton, e abilmente riadattata all’esigenza). Come avrete visto, il rating è giallo (ma potrebbe anche cambiare, dubito comunque che diventerà rosso). Per chi si aspetta un bacio dopo la prima riga, mi spiace deludervi; per chi si aspetta che verrà dopo, mi dispiace ancora di più. In questa storia non sono previsti baci se non nell’epilogo. (Ho perso tutti i lettori mi sa…)
Vi auguro buona lettura, sperando che questa storia piaccia anche solo la metà di quanto l’altra vi sia piaciuta. Fatemi sapere cosa ne pensate di questa pazza idea :)
Ho creato una pagina Facebook: per qualsiasi avviso, aggiornamento o, perchè no?, qualche domanda e anticipazione, potete cercarmi qui: Eloise.
Tantissimi baci a tutti!

Citazioni:
- Non per altro: ma è sempre un qualche meraviglioso silenzio che porge alla vita il minuscolo o enorme boato di ciò che poi diventerà inamovibile ricordo. (Alessandro Baricco – Castelli di Rabbia)
- L’uomo è un animale sociale (Aristotele)

Questa storia si è classificata prima al "Flash Contest - Solo per Dramione Edite", indetto da IvanaEfp sul forum di Efp.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 2: Mulan - ovvero di leggerezza e falsa gloria ***


Capitolo 2:
Mulan – ovvero di leggerezza e falsa gloria

 

«Il fiore che sboccia nelle avversità
è il più raro e il più bello di tutti»

«Torni a casa per Natale?»
«No»
«Come mai?»
«Ho da fare qui ad Hogwarts»
«Riguarda la tua sciocchezza? Quella che tuo padre ti obbliga a fare ma che tu non vuoi fare?»
«Non è mio padre ad obbligarmi. Devo farlo, non ho scelta»
«C’è sempre una scelta»
«Non questa volta»
«Ti ostini a pensare di non avere altre vie da seguire solo perché vuoi una giustificazione a ciò che stai facendo, per quanto sbagliato possa essere».
Silenzio. Il gocciolante silenzio del bagno, il silenzio del suo respiro, il silenzio di chi rimane colpito da una rivelazione con cui si scontra per la prima volta dopo tanto tempo passato ad evitarla. Draco non rispose, troppo occupato a pensare al significato di quelle parole. Poi, però, per la prima volta da quando erano cominciati quegli incontri, sentì il bisogno di riempirlo, quel silenzio, perché era diventato opprimente: il peso della verità era difficile da sostenere.
«Tu torni a casa per Natale?»
«No»
«Perché?»
«Perché tu non ci torni».
Senza sapere perché, Draco sorrise. Con dolcezza, con tenerezza. E si sentì leggero.
 

***

 
Fuori, la neve aveva ormai sostituito la pioggia, che per giorni aveva frustato le finestre della scuola: fiocchi candidi avevano ricoperto il parco, si erano depositati sui davanzali delle finestre e sui tetti delle serre, raffreddando ogni cosa e dando l’ultimo saluto a quelle foglie tenaci infine preda del suolo e poi del gelo.
C’era un posto, però, che né la rigida temperatura né il malumore degli studenti infreddoliti aveva raggiunto. Se si tendeva l’orecchio nelle ore serali, quando tutti ormai erano andati a dormire e il castello riposava sonni apparentemente tranquilli, si potevano udire i sussurri timidi e caldi di due studenti che nonostante le differenze avevano trovato un punto di incontro.
Novembre era scivolato via con dolcezza, come l’ultima carezza di una madre affettuosa prima di andare a dormire; il tempo si era perso tra sguardi mai dati e risate sottovoce, in mezzo al gocciolio dei tubi rotti e dei lavandini in disuso, fra i cubicoli putridi di un bagno dimenticato da tutta Hogwarts, eccetto che da due studenti che si scoprivano con la timidezza con cui i primi boccioli vincono la neve, in primavera. I minuti avevano perso consistenza, ed erano diventati ore, stiracchiandosi come un pigro gatto davanti al fuoco del camino, prolungandosi a tal punto che spesso erano le prime luci del mattino a stanarli e costringerli alla ritirata.
Draco ed Hermione, ancora ignari dell’identità l’uno dell’altra, avevano preso la deliziosa abitudine di trovarsi lì, ogni notte: nel bagno delle femmine del terzo piano. Anche se il vento soffiava impetuoso al di là delle grandi vetrate, anche se le dita fredde dell’inverno avevano ghiacciato l’acqua all’interno delle tubature rotte, anche se Mirtilla Malcontenta aveva allagato almeno una decina di volte il pavimento, i due giovani non avevano desistito, ed i loro incontri avevano ora il sapore della confidenza.
Si erano conosciuti lentamente, svelando poco a poco parti di sé sconosciute persino a loro stessi, e riscoperte solo in quel frangente, con enorme sorpresa di entrambi. Il tempo sembrava non bastare mai, perché le parole erano tante e una volta cominciate non finivano più. Parlare era spontaneo e semplice, perché avere una porta tra di loro significava non aver bisogno di innalzare barriere o difese che impedissero all’altro di scoprire qualcosa di sé: c’era già quella superficie di legno a far da scudo a tutto, persino alle loro timidezze. Che importava se Draco confessava l’affetto silenzioso nutrito nei confronti della madre, se poi lei, non conoscendone il volto, non poteva deriderlo? Che importava se Hermione rivelava la sua adolescenziale paura di rimanere sola o di essere rifiutata per ciò che era, se poi lui, non conoscendone il volto, non poteva giudicarla?
Nelle loro risposte non c’era mai critica, né il crudele giudizio sentenzioso che si riserva di solito ai problemi o ai tormenti altrui. Erano diventati, a modo loro, amici sinceri, uniti da qualcosa di profondo che non si poteva creare dal nulla: l’intesa. Poiché era quello a costituire le fondamenta portanti del loro rapporto, a loro piaceva il debole mistero della loro identità, benché le domande che di tanto in tanto ciascuno si lasciava sfuggire denunciassero la malcelata curiosità che entrambi avevano l’uno nei confronti dell’altra.
Hermione aveva preso la stramba e pessima abitudine di allungare il collo verso il tavolo dei Serpeverde la mattina a colazione, sperando di contare un centimetro di occhiaie in più sul volto di qualcuno, segno inequivocabile della stanchezza dovuta al poco sonno. Ginny non aveva tardato a notare quello strano comportamento, davvero poco raccomandabile, per non dire sospettoso, ma lei l’aveva liquidata con un’alzata di spalle, e non aveva più ricevuto domande inopportune, perché Harry era troppo occupato a incolpare Malfoy di essere un Mangiamorte, e Ron non faceva altro che mangiare e sbaciucchiarsi con Lavanda – anche se sembrava cominciasse a scocciarsi; non del cibo, naturalmente. D’altronde, nessuno dei due si sarebbe mai azzardato a fare una sola domanda: una volta il Ragazzo Sopravvissuto aveva osato chiederle dove sparisse tutte le notti, e lei gli aveva lanciato un Incantesimo Languelingua – fattura, peraltro, inventata dal Principe Mezzosangue, che lei non faceva altro che criticare e condannare.
Draco, come la ragazza, lanciava occhiate curiose ad ogni ragazza vestita di blu e argento, senza sapere che stava guardando dalla parte sbagliata, e sarebbe bastato tendere l’orecchio quando il Trio dei Miracoli – ormai diventato un quadrato grazie al recente ingresso di Lavanda Brown, e destinato a trasformarsi in un pentagono a giudicare dalle occhiate che Potter lanciava alla minore dei Weasley – passava accanto a lui. Il fatto è che il cervello e il cuore umano funzionano in un modo particolare, e spesso oscuro, intricato, incomprensibile. Così, se Draco, durante gli incontri con la sua ragazza del mistero, percepiva la sua voce come melodica, dolce, delicata, ogni qual volta incrociava per i corridoi Hermione Granger, tutto ciò che sentiva era un gracidare saccente e fastidioso. Perché il cuore vede ciò che vuole vedere, ma sente indistintamente ogni cosa.
 
Quando era con lei, Draco si sentiva leggero. Come la sua voce, leggera, che raccontava favole dal sapore irreale ma per questo dolcissimo; come il timbro soffice, leggero, che abbandonava le sue labbra – quella bocca che ogni tanto lui si ritrovava a sognare, quando le fiabe invadevano i sogni e gli sembrava di sentire l’eco di quelle storie. Draco si sentiva leggero, e non riusciva più a ricordare il motivo per cui quel pomeriggio aveva pianto, la ragione per cui continuava a recarsi nella Stanza delle Necessità, la causa di tutto quel nervosismo. Stare con lei era come aprire una parentesi nel tempo, squarciare il tessuto di quella vita in bilico tra esistenza e terrore e riempirlo con fiori profumati – parole, sorrisi, leggerezza. Poi lo schifo tornava, è ovvio, ma intanto per un po’ l’aveva fregato.
All’inizio era stato difficile stabilire una quotidianità: quella presenza, per quanto fosse stata piacevole, era nociva: poteva scoprire la sua identità, magari il suo piano. La sua pericolosità era scemata e poi del tutto scomparsa quando Draco si era reso conto che quella presenza  era utile – qualsiasi cosa questo significasse. E si era avvicinato a lei così tanto da confessargli le paure più intime e nascoste, così come i segreti più oscuri e contrastati del suo cuore; ma anche i più dolci ricordi e i pensieri migliori, gli ultimi sopravvissuti di una vita passata a fare scelte obbligate, un’esistenza culminata in quell’ultima missione che era solo un concentrato di terrore.
 
C’erano delle regole non scritte, tra di loro.
Hermione era sempre la prima a recarsi nel bagno. Entrava, si rinchiudeva nell’ultimo cubicolo, e poi aspettava. Non passavano che pochi minuti prima che il ragazzo arrivasse. Non si erano mai dati un orario, ma per qualche motivo riuscivano sempre a trovarsi in quel modo, e nessuno dei due aveva mai osato infrangere quella prima, fondamentale legge: quella dell’anonimato.
La seconda regola non scritta era quella dell’insistenza. Se uno dei due non rispondeva a una domanda, oppure sviava l’argomento, era il momento di lasciar perdere.
Le altre erano norme che stabilivano, in silenzio, giorno dopo giorno. Come il tacito accordo di non parlarne con nessuno, ad esempio.
 
«Hai detto a qualcuno di noi?»domandò Hermione. Mancavano pochi giorni all’inizio delle vacanze di Natale: erano passati quasi due mesi dal loro primo incontro. Quella sera, fuori, la neve scendeva in candidi fiocchi volteggianti; dentro, c’era il solito gocciolio acquoso che faceva da sottofondo alle loro parole.
«Non c’è nessun noi» ribatté immediatamente il ragazzo, con tono isterico e aspro. Tacque per pochi istanti, poi, in un sussurro, chiese con una certa urgenza nella voce: «Tu l’hai fatto?». Hermione sorrise, ormai abituata a quel suo diffidente modo di evitare ogni rivelazione che avrebbe potuto implicare sentimenti – debolezze; continuava ad evadere la maggior parte delle domande della Grifondoro, rigirandole e ponendole a lei per ottenere una risposta che lui non voleva dare.
«No»rispose quietamente. «Credo che nessuno potrebbe capire»aggiunse a mezza voce, come timorosa di metterlo a parte di quella confessione. Sentì un lieve sospiro al di là della porta, e un leggerissimo tonfo, come se qualcosa avesse colpito piano la parete di legno.
«Ahi»Un lieve lamento dall’altro lato. Immaginò che lui avesse appena sbattuto la testa, e ridacchiò.
«Non dovresti ridere delle disgrazie altrui. È da Serpeverde, non ti spetta»disse il ragazzo, e la sua voce non era fredda o risentita, ma impregnata di sarcasmo e persino di un pizzico di divertimento. Hermione rise più forte, senza preoccupazioni e libera da ogni pregiudizio. «Nemmeno io l’ho detto a nessuno»rivelò il Serpeverde, rilassato dal suono leggero di quella risata. C’era una nota di reticenza in quella voce, come se lui non volesse davvero svelare quell’informazione, sussurrata appena a bassa voce, come se la verità spaventasse anche lui.
«Per lo stesso motivo?»domandò con educata curiosità Hermione, lisciandosi la gonna della divisa sul grembo.
«No»rispose lui, schioccando le labbra. «Bè, anche. Ma sai, a Serpeverde, comunque, nessuno potrebbe capire. Non è che io abbia proprio tanti amici, tra l’altro. E poi, tu sei una Mezzosangue, è una cosa… rischiosa, da dire. Se lo venisse a sapere mio padre...»La sua voce si affievolì sulle ultime parole, come se si fosse pentito di aver detto quell’ultima frase e volesse rimangiarsela, ma fosse già troppo tardi. Si limitò a lasciare la frase in sospeso, concludendola solamente con un sospiro.
Hermione aveva ormai rinunciato a consigliarli di lasciar perdere ciò che diceva suo padre per dedicarsi solo a ciò che voleva lui. Sapeva che distaccarsi da una figura paterna che per anni non era stato solo un appoggio e un punto di riferimento, ma anche un esempio, per quanto sbagliato e oppressivo, poteva essere difficile, se non impossibile. Suo padre aveva plagiato la sua mente, inculcandogli principi che lui riteneva giusti solo perché gli era stato detto che era così: Hermione l’aveva capito già dal primo incontro, e quelli successivi avevano confermato la sua prima impressione. Così, piuttosto che giudicare e andar contro le convinzioni del ragazzo, cercava solo di dargli consigli che avrebbero potuto fargli capire quanto il suo modo di pensare potesse essere deleterio per lui.
«Anche i tuoi fratelli e sorelle sono oppressi in questo modo da tuo padre?» domandò con pacatezza, in un tono che non era né curioso, né provocatorio, né sarcastico. Era solo una richiesta, una di quelle sottili e quiete parole che scorrevano tra di loro su placidi binari di intimità; come se fossero antichi amici che volevano solo risollevare il morale dell’altro, scoprendo intanto qualcos’altro di nuovo negli anfratti del cuore altrui.
«Sono figlio unico»replicò il ragazzo senza alcun timore o esitazione. Un sorriso increspò le labbra di Hermione.
«Allora abbiamo almeno una cosa in comune: anche io lo sono»disse con semplicità, uno strano senso di ulteriore complicità ad aleggiargli sulla bocca morbida.
«I tuoi ti hanno mai obbligato a fare qualcosa?»chiese allora il Serpeverde, con una nota di speranzosa curiosità nella voce.
Hermione tacque per qualche minuto, cercando di pescare, tra i suoi mille ricordi, ordinatamente messi in fila, quello che l’avrebbe aiutata a rispondere alla domanda. Dopo un po’, con tono pensieroso, disse: «Mi obbligano a non assumere tanti zuccheri». Non era esattamente il genere di risposta che il ragazzo si aspettava, però non rise, come invece lei si aspettava. Sembrava più scandalizzato e dubbioso, che divertito.
«Perché?» domandò subito, la curiosità limpidamente espressa dalla sua voce.
«Sono dentisti»replicò la Grifondoro con sincerità. Si strinse nelle spalle, esprimendo quel concetto con lineare semplicità, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. E, in effetti, per lei lo era: una cosa così ordinaria e quotidiana da dimenticare che lui non poteva avere la più pallida idea di cosa ciò significasse.
«Ed è grave?»ribatté infatti il ragazzo, dubbioso e al tempo stesso incerto, perché non sapeva cosa quell’informazione significasse, e quindi non aveva idea di cosa rispondere. Perciò Hermione rise, di quella risata fresca, spontanea, leggera.
«Significa che curano i denti delle persone»precisò, l’ilarità non derisoria ma divertita di poco prima che le accendeva il tono, illuminandolo.
«Oh»fece solamente lui, a metà tra il deluso e l’offeso. Però non c’era ombra di disgusto, nel suo tono. Sembrava solo che lui stesse cercando di accettare il fatto che lei fosse tanto diversa da lui, tanto impura
 
… ma in un modo purissimo, e questo Draco non riusciva proprio a spiegarselo. Suo padre gli aveva sempre detto che i Mezzosangue fossero gente inferiore, spazzatura, rifiuti della società al pari di altre creature, come gli elfi domestici – come l’elfo domestico che quando era bambino l’aveva fatto giocare, aiutato. Ma lui ci aveva creduto davvero, lui ci credeva davvero. O forse no? Forse stava cominciando a cambiare idea e quegli incontri non erano compromessi, ma soltanto l’accettazione della diversità, la realizzazione che non tutto ciò che diceva suo padre era legge. Lo stava capendo anche e soprattutto perché non era più sicuro di voler portare a termine quella missione; non lo era mai stato.
«Non pensi che sia strano?»La ragazza interruppe il filo dei suoi pensieri, impedendogli di giungere a conclusioni concrete.
«Cosa?»domandò lui, perplesso. Lei si prese un po’ di tempo per rispondere.
«Io conosco tutto del tuo mondo, del nostro mondo»si corresse rapidamente, mentre Draco ghignava a quel piccolo errore «ma tu non sai niente del mio»considerò con tono pensieroso, ma per nulla critico.
«Perché dovrei sapere qualcosa del mondo Babbano?»chiese con tono quasi offeso, vestendosi della solita superbia da Purosangue – dell’arroganza dei Malfoy.
«Perché può essere affascinante quanto quello dei maghi» replicò lei con disinvoltura, senza la minima esitazione o il minimo dubbio. C’era una punta di pedanteria, in quella voce, una sfumatura di saccenza che lui aveva già sentito da qualche parte, benché non ricordasse dove. Quel campanello d’allarme scivolò in lontani anfratti della sua mente.
«Bè, qualcosa del mondo Babbano la conosco»osservò Draco, lentamente, come cercando di formare quel pensiero nella sua mente.
«Cosa?»La ragazza era evidentemente curiosa.
«Te»rispose allora il Serpeverde, con semplicità. Si accorse solo un attimo dopo che quell’affermazione avrebbe anche potuto ferirla, ma, in fondo, non gli importava poi così tanto.
«Io non faccio parte di quel mondo. Non completamente»disse lei in un tono che lui non riuscì a interpretare. Sembrava distaccata, e lui era sicuro che non ci fosse la stessa leggerezza di sempre, in quelle parole.
«Conosco anche qualcos’altro di quel mondo»considerò allora il giovane, come a voler riparare al suo piccolo errore, per un motivo che sfuggiva persino a lui.
«Che cosa?»chiese allora lei, con una punta di freddezza nel tono, che però si stemperò nella curiosità che le accese la voce.
«Le favole»ribatté lui con ostentata sicurezza, e per qualche strana ragione, c’era dolcezza nella sua voce. C’era leggerezza.
«Argomentazione interessante»disse lei. Draco era sicuro che adesso stesse sorridendo.
 

***

«Andrai alla festa di Lumacorno?»
«Ehi, non vale!» protestò il ragazzo, strepitando il suo disappunto e facendo aggrottare le sopracciglia ad Hermione.
«Cosa?»
«Se ti rispondo tu potresti scoprire chi sono»
«Hai ragione. Scusami».
Stavolta fu Draco ad inarcare le sopracciglia. Si sentì strano, leggero in un modo nuovo e inaspettato, perché nessuno gli aveva mai chiesto scusa con quella sincerità tiepida e candida nella voce.
«Quindi tu ci vai?»
Hermione tacque, prendendosi del tempo per rispondere. Ci pensò un po’ su, poi decise di dire: «Non sono abbastanza popolare per lui…». Il sapore di quella menzogna le fece arricciare il naso.
«Ma dai? E io che pensavo che stessi per invitarmi alla sua festa»
«Saresti venuto?»domandò cautamente lei. Il ragazzo non rispose, e lei seppe che quello era un sì. E si sentì leggera. 

 

***

 
«Tu cosa faresti al posto mio?».
Dracoera in piedi, la schiena poggiata alla parete accanto alla porta e le braccia incrociate al petto. Natale era venuto e passato, e i due si erano ritrovati lì persino la notte del venticinque dicembre, con grande sorpresa di entrambi; in quel bagno, mentre tutti gli altri festeggiavano nei propri dormitori scambiandosi regali e brindando al piacere delle vacanze. E lei, a modo suo, aveva trovato il modo di celebrare il Natale con lui: gli aveva fatto un regalo. Draco l’aveva trovato accanto lo stipite della porta del cubicolo in cui si nascondeva, impacchettato con della carta verde smeraldo e decorato con un nastro d’argento - «Colori perfetti»aveva commentato lui con un ghigno, anche se si era sentito sorpreso, e in colpa, perché lui non aveva minimamente pensato a comprarle un regalo. Draco si era giustificato con se stesso per quella mancanza almeno un migliaio di volte: non si poteva abbassare al livello di una Mezzosangue; i suoi pregiudizi erano ancora una barriera troppo solida da abbattere. Ma nonostante tutto, non poté fare a meno di sentirsi a disagio, mentre scartava lentamente il suo inatteso dono. Era un libro di favole babbane - «Ti piace?»aveva chiesto lei con voce esitante e tesa, come se temesse il suo giudizio. «È perfetto»aveva detto lui, sorridendo, sentendosi leggero. E non aveva potuto fare a meno di pensare che, forse, il destino aveva in serbo per lui qualcosa di diverso. E se il fato avesse preso la decisione di salvarlo dalla via delle arti oscure che sembrava essere stata tracciata per lui? E se, per farlo, sarebbe bastato schiudere l’anima di una donna? Per carpirne i segreti, per vedere qualcosa di diverso dal buio che l’aveva sempre circondato. Era bastato un incontro, un’identità non svelata, e tante parole, che avevano guarito ferite antiche e recenti. Poi gli incontri erano diventati due, e tre, e sempre di più, come un vizio impossibile da smettere. E le loro anime avevano cominciato a conoscersi, a capirsi. E se all’inizio il mistero era solo un piacevole enigma che spaventava e provocava indifferenza, con il passare del tempo era diventato un chiodo fisso, pericolosamente attraente. Qualche volta Draco sentiva l’impulso di aprire la porta, ma non lo faceva mai per paura che finisse – per paura di rimanere deluso.
«In tutta sincerità, non ne ho idea. Immagino che dipenda soprattutto dal cosa»replicò la ragazza, lentamente, come se ogni parola fosse attentamente soppesata.
«Non posso dirtelo»disse immediatamente Draco, alzando la voce tanto che sobbalzò, lanciando uno sguardo alla porta d’ingresso per timore che il suo grido isterico fosse stato udito anche da fuori.
«Non te l’ho chiesto, infatti»ribatté con semplicità e pacatezza la Corvonero. «Solo che se fosse una cosa tanto brutta non la farei, a prescindere da tutto»spiegò con tranquillità, come se fosse la cosa più semplice del mondo.
«Cosa intendi per cosa “tanto brutta”?»domandò Draco, tradendo un certo nervosismo.
«Non so. Una cosa che va contro la legge, o che potrebbe nuocere a qualcuno, fisicamente o emotivamente»chiarì con tono quieto. Il Serpeverde deglutì, punto sul vivo. E se quella ragazza fosse stata in grado di utilizzare la Legilimanzia? Si concentrò, cercando di bloccare i pensieri, come sua zia gli aveva insegnato.
«E se non farlo fosse rischioso?»tentò ancora, cercando cautamente di comprendere il modo di pensare altrui per paragonarlo a lui. Voleva avere una conferma, voleva essere sicuro di fare la cosa giusta, voleva trarre forza dalle sue parole; ma tutto ciò che riuscì ad ottenere fu paura, ansia, agitazione.
«Qualcuno ti minaccia?»domandò subito la ragazza, il tono venato da una sfumatura di preoccupazione.
«No»rispose subito Draco, troppo velocemente e probabilmente anche in modo troppo distaccato per destare sospetti.
«Sai, ognuno ha il suo modo di pensare. Quello che per me è giusto potrebbe non esserlo per te, e viceversa. È per questo che è tanto bello il mondo: è vario»Si fermò, prese un bel respiro, poi continuò: «Tutto quello che posso dirti è che non vale la pena di sostenere lotte in cui non credi. Perderesti in partenza. Le motivazioni sono il primo trampolino di lancio per raggiungere ciò che vogliamo; se mancano quelle, non riesci a prendere il giusto slancio per fare il passo successivo, per superare quel burrone che ti trovi davanti. Non riesci a superare le difficoltà»disse con tono serio e profondo. Draco aggrottò le sopracciglia, non riuscendo a comprendere in pieno quel discorso – cosa Merlino è un trampolino di lancio?! – ma rimase comunque in silenzio, in ascolto. «Se tu non vuoi fare questa cosa, perché pensi che sia sbagliata, o per qualsiasi altro motivo, non devi far altro che lasciar perdere»concluse, quasi senza fiato, la veemenza che andava pian piano scemando per lasciar spazio al silenzio della saggezza.
«Non posso farlo»sussurrò piano Draco, in un mormorio quasi supplichevole. «Tu non capisci, lui…»Le parole gli rimasero incastrate in gola, e lui non riuscì ad andare avanti. Lo stomaco si aggrovigliò in modo spiacevole, e lui, ferito al contempo dalla sua debolezza, dall’angoscia, e dalla paura, si piegò su se stesso e cercò di trattenere le lacrime. Un singhiozzo gli sfuggì dalle labbra. Sentì la Corvonero trasalire; non osò, però, uscire dal bagno per consolarlo, e Draco gliene fu grato, perché non avrebbe sopportato farsi vedere così debole.
 
Hermione provò l’irrefrenabile impulso di stringere quel ragazzo fragile tra le braccia, di asciugare le sue lacrime, di bere le sue paure. Non erano mai andati così a fondo a quella questione, e solo ora si rendeva conto quanto quel peso opprimesse il Serpeverde. Non osava chiedere oltre, indagare, per timore di risultare invadente, forse anche per la paura di scoprire cosa lui nascondesse. Fino a quel momento, non aveva mai pensato che potesse essere una questione poi così importante – niente di più che scontri tra padre e figlio. Ma in quel momento la Grifondoro si rese conto che, probabilmente, c’era qualcosa di molto più profondo e complicato da scoprire. Ne ebbe la conferma quando lui parlò.
«Io non sono mai stato bravo in niente. Mio padre mi ha sempre spianato la strada, ha fatto in modo che io ottenessi ciò che volevo a prescindere dal merito, o dalle mie capacità. Ora voglio dimostrare di essere capace di fare qualcosa. Questa cosa che devo fare è sbagliata, è terribile, io lo so; ma porterà gloria a me e alla mia famiglia. Verremo ricoperti di onori, di potere»La sua voce si spezzò, incrinata da una nota di isteria simile alla follia.
Hermione trasalì, colpita tanto dal suo tono quanto dalle sue parole. Non riuscì a trovare nulla da dire per molto tempo, perché il suo cervello aveva cominciato a lavorare freneticamente alla ricerca del senso di tutto ciò che aveva sentito. Cercava di capire cosa quelle parole significassero, cercava di trarre conclusioni a cui non poteva arrivare, anche se c’era qualcosa, in quella strana confessione che aveva sapori amari e aspri al tempo stesso, che le sembrava familiare, preoccupante, oscuro.
Solo quando i singhiozzi del ragazzo cominciarono a risuonare per l’aria, interrotti solo da lamenti incomprensibili, parole aggrovigliate che non avevano capo né coda, significato né senso, il cuore di Hermione sprofondò nella tenerezza.
«Come Mulan»disse in un sospiro che aveva l’unico scopo di lasciar uscire dal suo corpo tutta l’ansia accumulata, per lasciar spazio solo alla dolcezza che gli riservava di solito. I singhiozzi cessarono all’improvviso, lasciando spazio solo al silenzio acquoso del bagno, e alla perplessità del Serpeverde.
«Mulan?»ripeté lui, non riuscendo a cogliere il senso della sua considerazione.
«Era una ragazza che per portare onore e gloria alla sua famiglia va in guerra al posto del padre, fingendo di essere un uomo»spiegò Hermione con pacatezza, intingendo il suo timbro nel miele più dolce per risultare più tenera, più leggera.
«Non sto fingendo di essere una donna»protestò immediatamente il ragazzo, tornato in un attimo il solito superbo e arrogante Serpeverde.
«Non è questo il punto. Lei pensava che per rendere fiero suo padre avesse bisogno di essere qualcun altro, di fare grandi imprese. Invece capisce che non è così; che suo padre la ama a prescindere da tutto, solo perché è lei»chiarì la Grifondoro con tono serio e intenso. Aveva frainteso tutto, ma questo non poteva saperlo, naturalmente.
«Non è il mio caso…»considerò l’altro, lugubre. «E stavolta non si tratta più di mio padre. Non solo, almeno»aggiunse piano, come se quell’ultima frase fosse stata una considerazione personale, che non era rivolta intenzionalmente a lei.
«E una volta che l’avrai ottenuta, che te ne farai?»chiese Hermione, non riuscendo a trattenersi dal porgli quella domanda.
«Di cosa?»La voce del ragazzo era ora attenta e profondamente curiosa.
«Della gloria»rispose la Grifondoro senza la minima esitazione, ma con una semplicità disarmante. Probabilmente, il ragazzo non si aspettava una domanda tanto spiazzante, perché tacque, incapace di trovare una risposta.
 

***

 
Le lezioni erano ricominciate sotto una coltre di neve talmente gelida da congelare il respiro nei polmoni; questo, naturalmente, non aveva fermato i due ragazzi. Anzi, nel bagno del terzo piano c’era un tepore davvero piacevole: Hermione, che com’era risaputo aveva un talento particolare per i fuochi, aveva imprigionato una delle sue fiammelle blu in un barattolo, e aveva provveduto a riscaldare il luogo prima dell’arrivo del Serpeverde.
«Sei in ritardo»affermò quando udì i suoi passi riecheggiare per le pareti. Un sorriso le aleggiava sul volto, nonostante le sue parole, che comunque non contenevaon nessun rimprovero o rancore.
«Dovevo fare una cosa»spiegò il ragazzo con tono di scusa. L’eco dei suoi passi si spense; un fruscio, un tonfo leggero, un sospiro. «Sto cercando di riparare una cosa, ma… non so come fare»dichiarò stancamente.
«Di cosa si tratta? Magari posso aiutarti…»propose Hermione, premurosamente, tendendo l’orecchio per captare ogni movimento del giovane al di là della porta. Il ragazzo tacque a lungo, indeciso se rivelargli o meno quell’informazione. Poi, lentamente, con esitazione, rispose.
«È un oggetto che funziona come una specie di passaggio. Solo che uno dei due portali è rotto»spiegò con fiacchezza, come se l’idea stessa lo disturbasse.
«Hai provato con un Reparo?»azzardò Hermione in un pigolio intimidito, certa che la risposta fosse ovvia.
«Mi prendi in giro?»la rimproverò il ragazzo con tono scandalizzato. La Grifondoro sorrise, e si lasciò scivolare lungo la parete.
 
«Mia madre dice sempre che spesso la soluzione più ovvia e semplice è la più giusta»affermò, la dolcezza a pervadere ogni nota di quella voce soffice, leggera.
«Tua madre è molto saggia»disse Draco. Era esausto, ma nonostante la stanchezza – e forse, proprio a causa di essa – non aveva mancato il quotidiano appuntamento con la ragazza. Quel pomeriggio le lezioni di Erbologia e Cura delle Creature Magiche erano state annullate a causa della neve, e lui aveva avuto tutto il pomeriggio a disposizione per cercare di riparare l’Armadio Svanitore. Non aveva avuto molto successo, ma aveva speso tutte le sue energie in incantesimi e sortilegi che, purtroppo, non avevano sortito nessun effetto. Oltre a un forte senso di frustrazione, Draco cominciava a temere di non riuscire nel suo intento. Perciò, per farsi scivolare addosso quelle spiacevoli sensazioni, aveva bisogno della sua voce – soffice, spontanea, semplice, leggera.
«E la tua com’è?»gli domandò con dolcezza, curiosa come una bambina.
«Una che non rimbocca le coperte e non dà baci della buonanotte»rispose con tono piatto e distante Draco. Quelle parole gli erano sgusciate fuori dalle labbra in modo spontaneo, automatico, eppure, senza sapere perché, una volta pronunciate seppe che non erano le parole giuste da dire; seppe che non erano le parole che avrebbero reso giustizia a Narcissa Malfoy.
«Una fredda, insomma»intuì lei, traendo le sue conclusioni. Il Serpeverde strinse le labbra, e sospirò.
«Sì»disse, senza però pensarlo davvero.
«E tu la ami?»domandò con ingenuità e candore la ragazza. Sembrava addolcita, per qualche motivo che a lui sfuggiva.
«E’ mia madre»replicò Draco con semplicità, come se quell’unica spiegazione bastasse a spiegare tutto, e a rispondere a quella domanda.
«Io amo i miei genitori»affermò la Corvonero con sicurezza, come se quel sentimento fosse un vanto, una forza, e non, come invece pensava erroneamente il Serpeverde, una debolezza o una vergogna.
«Bè…»cominciò esitante lui, che non voleva esserle da meno, e che, al tempo stesso, cominciava non solo a fidarsi, ma anche a credere a ciò che diceva, a desiderare di aprirsi un po’ di più «diciamo che se mia madre dovesse morire, sarei un po’ triste»disse piano, senza riuscire a nascondere la nota di debolezza o il groppo in gola che gli faceva tremare e affievolire la voce.
«Solo un po’?»lo incitò la ragazza, come intuendo la realtà dietro l’apparenza.
«Solo un po’» confermò lui, che non era disposto a scoprirsi a tal punto da rivelarle l’affetto per sua madre – sentimento che, per altro, nascondeva anche a se stesso.
«E tuo padre?»indagò lei con tono flebile, in un pigolio timoroso e imbarazzato. Draco si irrigidì appena, ma non le negò una risposta.
«Non la pensiamo allo stesso modo»dichiarò con una freddezza e un distacco non voluti, ma naturali.
«Credevo che ti costringesse a pensarla come lui»gli ricordò la ragazza, con tono consapevole e saccente. Stranamente, il Serpeverde non ne fu infastidito.
«Sì»disse. «Solitamente è così. Solo che ora ho sedici anni, non sono più un bambino. Comincio a pensare con la mia testa, e… lui mi sta facendo confrontare con una realtà che… non mi piace»rivelò, seppure con fatica.
«Crescere nella difficoltà è molto utile. Tempra lo spirito e forma il carattere»dichiarò la ragazza con una sicurezza che a lui sembrò dolcissima. Talvolta gli capitava di perdersi nelle sfumature del suo timbro vocale, così non prestava attenzione alle sue parole. E ancora meno alle sue.
«Siamo dello stesso anno, comunque»aggiunse poco dopo la Corvonero. Draco trasalì: non si era accorto di aver detto qualcosa di così importante e rivelatore.
«Come lo sai?»chiese, tanto per essere sicuro che lei non fosse una Legilimante.
«Hai detto che hai sedici anni»rispose lei con semplicità.
«Mh» mugugnò lui, infastidito.
«Anche io sono al sesto»rivelò la ragazza. E ancora una volta, Draco, mentre sorrideva, scoprì di sentirsi leggero.




*****************************************************************************************************************************
Nota dell'autrice:
Salve a tutti! Sono riuscita a concludere il secondo capitolo più in fretta del previsto, anche se non so come (anzi, lo so: non ho aperto libro questa settimana ç.ç). Una piccola precisazione: s
o che Mulan non è esattamente una fiaba, ma mi sono presa la libertà di inserirla come tale perché trovavo la similitudine con Draco abbastanza calzante. Riadattata a modo mio, ovviamente. In effetti, ho una capacità di collegamenti piuttosto contorta e non sono nemmeno sicura che questo sia riuscito in pieno. Ma comunque, vi avevo già anticipato nella nota dello scorso capitolo che non si sarebbe trattato di favole vere e proprie, quindi datemela per buona. Per di più, chiedo perdono anche perchè perchè c’è un grande errore temporale: il cartone di Mulan è uscito nel 1998 mentre il sesto libro è ambientato nel ’97. Come ho detto su, licenza poetica :P
In tutta sincerità non sono nemmeno troppo contenta del risultato finale, ma questo in fondo è solo un capitolo di passaggio e quindi... bè, eccovelo qui! Se vi va, recensite.
Per chiunque sia interessato, questa è la mia pagina facebook (ancora in costruzione) in cui potrete trovare qualche anticipazione e altre informazioni :D Bacioni!

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 3: Giulietta e Romeo – o di scoperte, piacevoli e un po’ meno ***


Capitolo 3:
Giulietta e Romeo – o di scoperte, piacevoli e un po’ meno

 

 «Chi sei tu,
che nel buio della notte osi inciampare nei miei più profondi pensieri?»

 

Febbraio era passato, lasciando dietro di sé solo il vago odore gelido e pulito della neve; la distesa candida che aveva coperto il parco si era ben presto sciolta, scivolando in rigagnoli fangosi e acquitrini infidi sino alle rive del Lago Nero. Marzo, che aveva il sapore di un prato umido dopo il temporale, era giunto presto, portandosi dietro piogge torrenziali e un tepore rassicurante.
Ron era appena stato dimesso dall’Infermeria, dopo il terribile avvelenamento subito a causa del falso Idromele di Lumacorno. Dopo il lungo ignorarsi, inframmezzato da battibecchi accesi, occhiate torve e tiri mancini, tra lui e la sua dinuovo migliore amica le cose erano tornate alla normalità, se non per il piccolo particolare che la ragazza si era resa conto, con sua grande sorpresa, che per quanto sollevata del fatto che lui fosse sopravvissuto, non gli importava più delle attenzioni che lui le rivolgeva. Anzi, se possibile le riteneva persino fastidiose. Inizialmente, Hermione non riusciva a spiegarsi questo strano sentimento, rimasto bloccato da qualche parte nello stomaco: pensava fosse rabbia repressa, selvaggia soddisfazione, feroce gelosia. Con il passare del tempo, invece, la Grifondoro capì che tutto quello che provava prima per Ronald Weasley – qualsiasi cosa fosse – era semplicemente scomparso. Forse per la rassegnazione, magari per la collera e il fastidio, i sentimenti nutriti per sei anni nei confronti del suo migliore amico gli erano scivolati tra le dita prima che lei potesse riacchiapparli e rimetterli al posto giusto – nel cuore. Se l’avesse fatto si sarebbe resa conto che non ci sarebbe più stato spazio per lui. Perché, e la ragazza se ne rendeva conto drammaticamente giorno dopo giorno, ormai tutti i suoi pensieri erano rivolti a lui.
Cosa sapeva di quel ragazzo che incontrava ogni sera nel bagno delle ragazze del terzo piano? Che era Serpeverde, che frequentava il sesto anno.
Cosa sapeva davvero di quel ragazzo? Così tante cose che elencarle sarebbe stato impossibile.
Ormai lui era continuamente nella sua mente: il suo primo pensiero al mattino, appena sveglia, e l’ultimo la sera, prima di addormentarsi. Non la preoccupava più il fatto di dover infrangere decine di regole della scuola per vederlo: parlare con lui la faceva stare tanto bene che la sera era l’unico momento che aspettava con ansia. E la notte, dopo aver strisciato tra le silenziose ombre del castello addormentato per far ritorno alla Torre dei Grifondoro, si rigirava per ore tra le coperte, incapace di prendere sonno, con un sorriso sulle labbra – un sorriso dolce, leggero.
 
«Oggi sei silenziosa»commentò Draco, mentre sfogliava il libro di fiabe che lei gli aveva regalato per natale.
«Sono pensierosa»lo corresse lei, con un tono fievole, intinto di una punta di preoccupazione.
«Sembri più preoccupata, a dire il vero. Cosa ti turba?»domandò il ragazzo, che prestava alle parole della Corvonero la stessa attenzione che riservava a quelle favole che aveva davanti agli occhi.
«Ci sono già stati due attacchi a due studenti della scuola»borbottò in un sospiro stanco e serio. L’inquietudine le aveva incrinato la voce, però Draco non era riuscito a far caso al suo tono, perché le sue parole l’avevano fatto trasalire. Involontariamente, strinse nel pugno una pagina del libro che aveva sulle gambe: l’immagine su di essa, che ritraeva una fanciulla addormentata, divenne uno scarabocchio accartocciato e strappato in più punti.
«Ti riferisci a… ai due Grifondoro?»domandò Draco, la cui voce tremava, seppur in modo involontario. Un improvviso peso gli era precipitato in fondo allo stomaco, e ben lungi dal sentire quella quieta leggerezza che provava di solito quando era in compagnia della ragazza, deglutì, avvertendo una bruciante sensazione di gelo invadergli le membra, mentre il cuore, impazzito, palpitava contro il petto.
«Sì»mormorò lei in un soffio. Sembrava davvero abbattuta, mentre parlava: la sua voce era intinta di una lugubre cupezza che lui non le aveva mai sentito nel timbro – di solito soffice, leggero. E tanta era la sua preoccupazione che le parole non erano che sussurri intimoriti.
 
In realtà Hermione stava solo riflettendo, perché nella sua mente vagava, già da qualche giorno, un’idea che lei non era riuscita ad esprimere ad alta voce con nessuno. Era il peggiore dei suoi pensieri, una paura così intima ed improbabile, ma talmente spaventosa, da non poter essere espressa ad alta voce. Un po’ per non angustiare gli altri con riflessioni che potevano risultare del tutto sbagliate, un po’ perché ultimamente si sentiva fuori posto con chiunque non fosse lui. Forse per questo motivo, dopo un’intensa meditazione, seguendo il filo dei silenziosi ragionamenti che si svolgevano nel suo brillante cervello, si permise di esprimere ad alta voce la sua preoccupazione più grande.
«Pensi che qualcuno stia cercando di uccidere Silente?».
Hermione Granger non era solo la studentessa migliore del suo anno – e, in effetti, forse la migliore di tutta Hogwarts, dopo Tom Riddle stesso – ma anche, e soprattutto, la strega più brillante della sua età. Il suo cervello era in grado di scovare indizi nascosti, collegamenti che ad altri sfuggivano ma che lei era capace di intuire.
La collana di Katie, per ammissione stessa della ragazza, era destinata all’anziano preside, così come quell’idromele, regalato al professor Lumacorno con l’intenzione di donarlo a Silente; per casi fortuiti ma in fondo prevedibili, nessuna delle due cose era arrivata a lui, e il più grande mago del suo tempo l’aveva scampata. Ma quanto poteva durare?
Il silenzio del ragazzo gli sembrò quasi un incitamento a continuare, perciò lei riprese: «Sembra quasi che qualcuno ci stia provando… ma nemmeno con troppa convinzione»considerò con tono quasi trasognato. «Deve essere qualcuno di inesperto, o non avrebbe fallito già due volte. Certo, di sicuro è senza scrupoli perché non gli importa quante vittime colpisce prima di arrivare a lui… Ci sei ancora?» Il silenzio si era prolungato più del previsto. Non era mai successo che lei parlasse così tanto senza un solo intervento o un cenno del ragazzo, anche solo per ricordarle che lui era lì, che la stava ascoltando.
 
Non poteva sapere che Draco si era irrigidito, e ora la ascoltava con occhi sbarrati.
Scoperto.
Lei parlava, perché pensava di poter esprimere quei pensieri ad alta voce: lui l’aveva sempre ascoltata, aiutata; perché ora sarebbe dovuto cambiare qualcosa? Perché, considerò il Serpeverde tra sé, se quella ragazza stava giocando a fare il detective, era pericolosa. Troppo. E lui si era già scoperto in modo così nocivo, in modo così semplice. Un’improvvisa fame d’aria colpì Draco, come un pugno doloroso all’altezza dello stomaco. Annaspando alla ricerca d’aria, il giovane scattò in piedi, e il libro che aveva sul grembo precipitò a terra con un tonfo secco e un fruscio di pagine.
Non ci sta provando con tanta convinzione.
Draco si sentì ferito, umiliato, offeso. Eppure, non poté fare a meno di pensare che lei non aveva tutti i torti. Ci stava davvero mettendo tutto se stesso, in quella missione? O forse il suo era solo un modo di temporeggiare, di prendere tempo in attesa che qualcosa – qualcuno – giungesse a salvarlo.
Quella ragazza gli aveva insegnato che nelle favole, dopo tante difficoltà e prove di fiducia e di coraggio, alla fine giunge sempre il valoroso principe, a salvare la fanciulla dal pericolo, a risolvere i problemi e vissero per sempre felici e contenti. Ma, e Draco ne era dolorosamente consapevole ogni giorno di più, la realtà era ben diversa dalle fiabe che la Corvonero le narrava con la sua voce soffice: non c’era niente di leggero, nella vita, lui non era una principessa in difficoltà, non aveva bisogno di aiuto, e, soprattutto, nessuno sarebbe giunto a salvarlo.
Non poté fare a meno di pensare, però, che forse l’aiuto, inaspettato e giunto in modo del tutto imprevedibile – come una voce soffice, dolce, leggera – magari era più vicino di quanto immaginasse. Lei poteva forse aiutarlo?
La risposta che il suo cuore stava per suggerirgli venne totalmente sovrastata dal rombo frastornante del sangue che gli pulsava dolorosamente nelle tempie. Il cervello gli suggerì un’unica soluzione, in quel momento – un momento in cui lui si era reso conto che era stato scoperto, smascherato, e che era necessario chiudere subito quella stupida follia, perché lui da solo stava meglio, era sempre stato meglio, perché aveva ragione suo padre, i sentimenti sono stupidi, inutili, pericolosi, e gli amici sono fardelli, e lui aveva una missione da compiere e non doveva farsi distrarre, ne andava della sua salvezza, della salvezza della sua famiglia.
«Sì. Ma devo andare» borbottò con tono aspro. Inaspettatamente, la voce uscì dalle sue labbra come un raglio, secco e inaridito.
«Cosa? Aspetta!»boccheggiò la ragazza da dietro la porta. Il cuore di Draco ebbe un tuffo. «Perché? Non andare, ti prego» La voce della ragazza era un bisbiglio implorante, dolcissimo, da spremere il cuore fino all’ultima goccia di sangue. E lui le sentiva, quelle gocce di sangue, scivolargli giù per le guance.
Mamma.
Papà.
Per voi, per la nostra famiglia, per la gloria antica riportata agli splendori di un tempo. Per il sangue purissimo nelle nostre vene, per tutto quello che avete fatto finora per me. Andrò avanti a testa alta, compirò il mio destino.
Draco fece un passo verso la porta, ma fu costretto a bloccarsi quando udì, dietro di lui, uno sferragliare legnoso, un sussurro, un incantesimo a mezza voce. Poi la serratura che scattava, con uno schiocco metallico. E subito, la paura. Il terrore, l’ansia, la rabbia.
«NON APRIRE LA PORTA»Urlò con voce atterrita e tinta dei colori più foschi e oscuri della sua anima, quei colori che lei finora mai aveva visto o udito, perché era riuscita a sfumare di arcobaleno la sua anima. Ma poi il nero era tornato a galla. C’è sempre del nero, da qualche parte. Lui ce l’aveva lì, a galla, predominante su tutto, tranne che quand’era con lei. Ma quell’avvertimento non poté fare a meno di urlarlo.
 
Quel grido perforò la mente di Hermione, prima di giungere al cuore. Per un attimo, un infinitesimo momento che lei non riuscì a cogliere tanto fu frammentario e breve, qualcosa si accese nel suo cervello: un ricordo, l’avvicendarsi di immagini confuse, aggrovigliate. Una lumaca, un ghigno strafottente, un manico di scopa. Una scritta dorata, Nimbus 2001. Nessuna ha chiesto la tua opinione, piccola sporca Mudblood.
Poi tutto sparì, venne risucchiato da un battito del cuore più rumoroso di altri, e anche quelle parole, lontane, distanti, dimenticate, dolorose ma ignorate, sparirono tra gli anfratti di una mente ancora troppo insicura per dimenticare.
Perché proprio quel ricordo, perché proprio in quel momento, Hermione nemmeno se lo chiese.
«Io… scusa. Non volevo aprirla»si affrettò a giustificarsi, quasi senza fiato. «Non la aprirò. Non aprirò la porta, rimarrò chiusa qui, come sempre. Davvero. Ma rimani, per favore»lo implorò, con voce tanto supplichevole che quasi si vergognò di se stessa. Era solo uno sconosciuto, perché gli dava tanta importanza? Perché, Hermione lo sapeva, lui non era solo uno sconosciuto. «Non so se riuscirò a resistere alla tentazione di inseguirti»concluse in un soffio intimidito, abbassando il capo, come in segno di resa.
Dall’altro lato, solo silenzio. Per lunghi, infiniti e angoscianti minuti di attesa, la Grifondoro fu certa di aver perso il suo confidente, di essersi lasciata sfuggire quei saporiti e profumati attimi di pace e intimità, come la più stupida delle impazienti. Poi, udì un passo, al di là della porta.
«D’accordo. Rimango»annunciò asciutto il ragazzo. Hermione tirò un sospiro di sollievo, e il sorriso che le arcuò le labbra era intuibile dal timbro delicato della sua voce, ora nuovamente dolce.
«Grazie»disse, sinceramente riconoscente. Con il cuore che ancora batteva all’impazzata contro il petto, la Grifondoro scivolò lungo la parete e si strinse le gambe contro il petto. Seppellì il viso tra le braccia, e quando parlò la sua voce risultò soffocata, ma innaturalmente amplificata dall’eco del luogo. «Sei importante per me». Quella verità sfuggì dalle sue labbra senza che lei la potesse fermare. Aveva pensato tutt’altra frase, ma per qualche strana ragione le parole che gli erano affiorate alla mente erano state soffocate da quelle che invece aveva pronunciato, come se lei avesse improvvisamente perso il controllo del suo cervello. Inammissibile.
Hermione trasalì, e arrossì violentemente: avvertì il calore colorarle il viso, e ringraziò silenziosamente quella benedetta porta che nascondeva ogni singola debolezza.
«Nessuno mi aveva mai detto una cosa del genere»constatò con tono piatto il ragazzo. Il suo tono conteneva ancora una nota di freddo distacco, ma lei sapeva che quella era solo la superficie della sua anima nera, e che avrebbe dovuto scavare un po’ più a fondo, con pazienza e costanza, come una tenace talpa alla ricerca di un rifugio sicuro.
«Non hai una ragazza?»domandò Hermione, e per qualche strano motivo il suo cuore ebbe un sussulto, e si sentì ansiosa.
«No»replicò secco lui. E per qualche strano motivo, un sorriso arcuò le labbra della Grifondoro. Lei, però, lo mascherò subito con un sospiro.
«Nemmeno io ho un ragazzo»comunicò, per qualche strano motivo. Aveva davvero perso il controllo sul suo cervello. Inammissibile.
«Lo so. È per questo che sei qui dentro, no? Perché quel ragazzo ti ha rifiutato»le ricordò il Serpeverde, con un tono rude e aspro. Hermione fu ferita da quella constatazione, non tanto per le parole e il loro significato, quanto piuttosto per il modo in cui le avevano colpito il cuore, come un sasso lanciato con una fionda, con potenza, con crudeltà, con l’unica intenzione di infierire. Nonostante i contrasti che avevano avuto in quei mesi, in gran parte dovuti a pareri su sangue e case, bene e male, giusto e sbagliato, lui non era mai stato tanto scontroso, tanto distante: era lì, a pochi passi dalla porta, ma sembrava molto più lontano, a centinaia di chilometri di distanza.
«Sì»disse lentamente Hermione, in tono neutro. Poi, piccata, aggiunse: «Anche se in realtà abbiamo fatto pace». La sua doveva essere una specie di vendetta, un modo di rivendicare il suo orgoglio ferito e di riaffermare la sua dignità, oltre che di sciogliere il ghiaccio che aveva avvolto il cuore del ragazzo in quei minuti.
 
«Quando?»Draco si fece improvvisamente più attento. Si raddrizzò, e corrugò la fronte, appiattendo l’orecchio contro la superficie di legno della porta per cogliere ogni parola che ne derivava.
Il suo cuore batteva ancora all’impazzata, e la paura non era scemata, ma l’intimo e opprimente senso di solitudine che aveva provato al solo pensiero di rimanere per altri, interminabili mesi senza un confidente, senza un amico, senza parole, sorrisi, sguardi di nascosto, mistero… persino l’assenza del gocciolio del bagno l’avrebbe reso matto. Perciò era rimasto. Per questo, e perché il pigolio implorante nella voce della Corvonero l’aveva non impietosito, ma addolcito.
«Dopo… bè, dopo l’attacco a… a quel ragazzo»boccheggiò la giovane, come imbarazzata e per qualche motivo esitante. «Lui ha capito che sono importante ed è tornato da me»aggiunse con più sicurezza.
Draco si irrigidì, e quel pizzico di gentile attenzione che le aveva rivolto un attimo prima, quando la curiosità e il timore di vedersi privato della sua unica confidente a causa del ritorno del tanto agognato ragazzo del mistero lo avevano accaldato, sparì.
«Sarai al settimo cielo, allora. Che ci fai ancora qui?»sbottò brusco, allungando un braccio per riprendere il libro di fiabe che aveva precedentemente lasciato cadere. Si sorprese nell’atto di ripulirlo con un lembo del maglione dalla muffa che ne aveva macchiato la copertina in pelle, per poi asciugarne il dorso e riporlo con cura accanto a sé.
«Non sono al settimo cielo»confessò la ragazza. Draco, perplesso e meravigliato da quella risposta, alzò il mento e, corrugando le sopracciglia si fece più attento. «Credo che fosse solo una stupida cotta. Non…»la voce le si bloccò in gola, e lei non proseguì.
«Non ci si rinchiude in un bagno a piangere per una stupida cotta»considerò il ragazzo con tono quieto.
Ecco, stava succedendo di nuovo. Si stava lasciando scivolare tutto tra le dita, o forse era quel libro di fiabe che teneva tra le mani a risucchiare tutti i suoi problemi, i turbamenti, il nero della sua anima, per poi soffiargli addosso un po’ di colore – un po’ di dolcezza, un po’ di leggerezza.
«E tu cosa ne sai?»domandò la ragazza con tono sospettoso, eppure in fondo alla sua voce c’era una nota di divertita ironia. Sembrava avesse intuito che lui era tornato da lei – qualsiasi cosa questo significasse.
«Lo immagino»replicò Draco con pacatezza, schioccando le labbra con fare superbo. La Corvonero emise un lungo sospiro.
«Adesso però non penso più a lui»commentò quietamente, con una serenità dolcissima nella voce. «Non penso più a lui da quella notte in cui ci siamo incontrati»gli comunicò. Era affascinante il modo in cui riusciva a denudarsi così, con un candore e un’ingenuità talmente puri da lasciare Draco basito, e quasi invidioso della capacità che aveva di mostrarsi senza farsi vedere, di indebolirsi trovando la forza di ritemprarsi e uscirne vincitrice ogni volta.
«Non è che ci siamo proprio incontrati»commentò il Serpeverde, senza tentare di nascondere il divertimento nella sua voce, o il sorriso che gli inarcò le labbra. A quelle parole, lei scoppiò a ridere, di quella sua risata soffice, dolce, leggera. E allora anche lui rise, dolcemente, con leggerezza, mentre le sue dita inconsapevoli sfioravano le pagine del libro di fiabe, come a volerne trarne forza, come un appiglio da cui non voleva più staccarsi.
«Comunque non mi interessa più. È merito tuo, in fondo. Non ho nemmeno sentito il dolore. Sei stato la mia medicina»sussurrò lei piano, lentamente, con dolcezza, come se quella confessione si dovesse fare un punta di piedi. E lei così glielo comunicò in punta di piedi, allo stesso modo di come era entrata nella sua vita, bussando piano, aprendo la porta a poco a poco, uno spiraglio, poi una fessura, infine un’apertura, poi l’aveva spalancata, ma aveva chiesto il permesso, educata, dolce, spontanea, ingenua, candida, leggera.
«Bene, allora mi devi un favore»C’era il sorriso anche nelle parole di Draco, che tuttavia, calcolatore e meschino, non era ancora capace di spogliarsi quanto faceva lei. Perché in fondo lui aveva sulle spalle un peso non indifferente, e per quanto questo si affievolisse durante quegli incontri, l’ombra scura che gli gravava sul capo rimaneva ad aleggiargli attorno, come una spada di Damocle pronta a scattare.
«Qualsiasi cosa. Farò tutto quello che vorrai»scherzò la giovane, eppure il suo tono era sincero, e lui era sicuro che lei avrebbe fatto davvero di tutto.
«Tutto?»Se ne volle sincerare, con un tono un po’ incerto, un po’ speranzoso, di sicuro divertito.
«Tutto»confermò lei con soddisfazione.
«Potrei chiederti cose terribili»le fece notare il Serpeverde, la cui mente fu attraversata da un pensiero stranamente orribile.
«Quanto terribili?»domandò lei, una sfumatura di confusione nella voce.
magari sono io quello che vuole uccidere Silente, e ora ti chiederò di farlo al posto mio. Era quello che aveva pensato, era quello che avrebbe voluto buttare lì, con un tono che sperava risultasse leggero quanto quello usato solitamente dalla ragazza. Ma all’ultimo, lui si sentì la gola irritata, un peso in fondo allo stomaco, tremore dappertutto, e sudore. Così, con voce supplichevole ma sicura di sé, ordinò: «Raccontami una favola».
 
***
 
I giorni proseguivano quieti, pigri ed ordinari; le notti trascorrevano piacevoli e sempre diverse, pur essendo in qualche modo simili l’una all’altra. La costante di quegli incontri era diventata una presenza indispensabile, che seguiva Hermione in ogni altro momento della sua giornata, e specialmente durante i suoi sogni, tempestati di nomi e volti.
 
Hermione aveva la schiena poggiata alla parete del cubicolo in cui ormai ogni notte, da diversi mesi, si rifugiava. Sembrava una sera come le altre, messa lì in fila, insieme ad altre, esattamente uguale alle altre – sorrisi, parole, leggerezza, niente sguardi – se non fosse stato per quel minuscolo, meraviglioso particolare che l’aveva resa diversa – migliore.
La Grifondoro era giunta al solito orario, ma, stranamente, aveva dovuto aspettare più del solito il Serpeverde. I minuti erano passati, si erano trasformati in ore, e quando la mezzanotte era ormai passata, la ragazza, con il cuore stretto da una morsa dolorosa e gli occhi fastidiosamente umidi, si era alzata, aveva tirato un lungo sospiro, e aveva poggiato la mano, tremante, sulla maniglia della porta. Con un cigolio, l’uscio si aprì, lentamente, ma prima che Hermione riuscisse a fare un passo, il bagno crollò in un’oscurità fitta e impenetrabile, e la porta si richiuse con uno scatto secco.
«Sono qui»annunciò il ragazzo, giunto, non udito e fortunatamente non visto, proprio nell’istante in cui lei aveva deciso di andare via. La sua voce era tremante e acquosa, impregnata di lacrime e di qualcosa di molto simile alla paura.
Hermione strizzò gli occhi, cercando di scorgere qualcosa nel buio inviolabile che aveva avvolto il bagno. Avvertiva, al di là della porta, il respiro pesante e spezzato del giovane, che ansimava pesantemente, come se avesse appena corso.
«Sono contenta che tu sia venuto»disse Hermione, che aveva mille domande che le frullavano per la testa, ma aveva anche intuito che lui per il momento aveva solo bisogno di affogare il motivo di quelle lacrime in parole dolci e leggere. Nel loro rapporto dolce e leggero.
«Ho avuto un contrattempo»borbottò. Un passo risuonò tra le pareti del bagno, ticchettio secco e accompagnato da un lievissimo schizzo d’acqua; probabilmente aveva calpestato inavvertitamente una delle tante pozzanghere.
Hermione sbatté le palpebre un paio di volte, ma non un solo raggio di luce giunse ad alleviare la fittissima oscurità calata all’interno del suo cubicolo: le uniche finestre del bagno erano talmente incrostate di sporcizia e polvere che i raggi della luna non riuscivano a filtrare attraverso i vetri sporchi. I sensi della Grifondoro sembravano amplificati da quella nuova cecità: immobile di fronte alla porta chiusa del cubicolo, sussultava ad ogni scricchiolio o ad ogni sinistro squittio, ad ogni goccia d’acqua che scivolava giù dall’imboccatura del lavandino consumato o ad ogni lievissimo sospiro del ragazzo.
«Pensi di poter riaccendere la luce?»domandò con un filo di voce la ragazza, il cui cuore cominciava ad accelerare.
«Hai paura del buio?»rispose lui, strisciando sino alla porta e lasciandosi cadere ai piedi di essa.
«Ho paura di tutto ciò che non posso controllare»replicò Hermione tutto d’un fiato, cercando a tentoni la porta e piegandosi sino a sedersi sul pavimento sudicio, a contatto con la superficie di legno, come se quell’unico tocco sulla schiena potesse lenire l’ansia e farla sentire un po’ più vicina al ragazzo.
In effetti, non c’era mai stata lontananza tra di loro: il flebile contatto delle loro voci, che volavano su ali impalpabili di confidenza reciproca, li rendevano più vicini che se si fossero toccati davvero. Eppure, in quel momento, Hermione sentiva, per la prima volta, il bisogno di qualcosa di più. Forse fu il silenzio che seguì la sua affermazione, o magari il buio che le bendava gli occhi, impedendole di distinguere qualsiasi non fosse il battito del suo cuore. Fatto sta che si alzò, e, lentamente, come se volesse lasciare a lui il tempo di fermarla, e a lei quello di abituarsi a ciò che stava per fare, spinse verso il basso la maniglia e aprì piano la porta: vi fu un cigolio, e poi un tonfo sordo. L’uscio aveva sbattuto contro qualcosa di morbido che lei non tardò a capire cosa – chi – fosse.
«Che stai facendo?!»ululò il ragazzo, spaventato, scattando in piedi con un balzo. Si affrettò a ricacciare indietro Hermione, e a richiudere la porta con tanto zelo e ferocia, che non si preoccupò delle dita della Grifondoro, rimaste incastrate tra lo stipite e la porta stessa.
«AHI!»urlò la giovane, emettendo un lungo gemito di dolore che sembrò placare il Serpevede. Il trambusto cieco che aveva riempito l’aria sino a quel momento si placò, lasciando spazio solamente al silenzio liquido e oppressivo del bagno.
Hermione si teneva la mano sinistra con la destra, mugolando debolmente, e cercando di soffocare il dolore tra i denti. Il suo respiro si era fatto accelerato, e i suoi occhi osservavano l’invisibile livido violaceo che le pulsava fastidiosamente tra le dita gonfie.
«Ti sei fatta male?»sussurrò piano il ragazzo, spezzando il silenzio teso che si era creato. La sua voce sembrava venata da una sfumatura di preoccupazione.
«Mi hai chiuso le dita nella porta!»mugolò Hermione, massaggiandosi la mano dolorante.
«Mi dispiace. Ma è colpa tua, hai provato ad aprirla»si giustificò lui. La sua voce era più vicina di quanto non fosse mai stata, e il suo sospiro tiepido penetrò inaspettatamente attraverso lo spiraglio rimasto aperto.
«È tutto buio, non si vede niente»spiegò la Grifondoro, piccata. Era certa di avere il broncio, ma di sicuro non era quello il motivo dell’improvvisa risata del Serpeverde, perché lui non poteva vederla. Ma, per qualche ragione che a lei sfuggiva, lui cominciò a ridere: era una risata strana, amara e fredda, soddisfatta ma priva di gioia.
«D’accordo»sussurrò lui, piano, in un tono arrendevole e un po’ esitante. Un cigolio lento e incostante annunciò ad Hermione che lui aveva appena aperto la porta. Poi, un improvviso e morbidissimo calore all’altezza del polso, la fece arrossire violentemente. E, al tempo stesso, sorridere.
 
«Hai un buon profumo»mormorò piano la ragazza.
Lei e Draco erano seduti l’uno accanto all’altra, la schiena poggiata al muro e gli occhi ciechi, nel buio totale di quella notte. Il giovane riusciva a sentire il respiro tiepido della Corvonero, la sua voce intimidita e il lieve tremore del suo timbro vocale, emozionato dall’inaspettata vicinanza. Non c’era contatto fisico, tra di loro, ma il legame delle loro anime era una presenza costante, quasi palpabile attraverso quell’oscurità impenetrabile.
«Non si può dire lo stesso di te»ribatté lui con tono fortemente sarcastico. Istintivamente, si voltò verso la sua destra: sapeva che lei era lì, da qualche parte. Non riuscire a vederla era al tempo stesso confortante e frustrante.
«Sono rimasta chiusa dentro questo bagno per ore!»si giustificò lei. Nella sua voce era nascosta una risata, soffocata dal leggero fastidio di quell’accusa infondata.
«Già. Sei una ragazza – zerbino»commentò Draco, sogghignando.
«Una cosa?»domandò la ragazza, confusa.
«Una ragazza – zerbino»ripeté lui con sicurezza. «Non dovresti aspettare gli uomini chiusa in un bagno puzzolente»spiegò con tono neutro. Non era un’accusa, la sua, solo una constatazione, e lui stesso se ne sorprese. Ma gli riusciva difficile deriderla; prenderla in giro era più dolce, più semplice. Lo faceva sentire più leggero.
«Vorrà dire che la prossima volta che farai tardi me ne andrò prima che tu possa rompermi le dita» rispose con tono serio e profondo la Corvonero. Eppure c’era una risata, nascosta da qualche parte tra le sue parole.
«Non sono rotte»disse subito Draco, con tono colpevole e appena spaventato. La ragazza tacque per qualche minuto. Si godettero il silenzio arrendevole e prezioso che seguì, senza parole a corrompere la quiete o sviscerare la loro anima.
«Come hai fatto?»domandò dopo un po’ la giovane. Un soffio alla sua destra annunciò a Draco che lei si era avvicinata quel tanto che bastava a sentirne il suo respiro sulla pelle. Istintivamente, il Serpeverde strisciò di lato per allontanarsi.
«Ho chiuso la porta di scatto»borbottò, leggermente infastidito da quell’obbligata vicinanza che lei gli aveva imposto. A quelle parole, lei rise, e dentro quel suono c’era qualcosa di dolce, un sapore che lui non riuscì a riconoscere. Era il suono della spensieratezza, dell’ingenuità fatta donna e poi candore, trasformata in dolcezza e plasmata nell’affetto. Era una risata bella, e allora Draco si rilassò, e allungò una mano verso di lei, senza sapere perché, senza sapere cosa cercare, senza sapere cosa avrebbe incontrato.
«No, intendo… questo buio. Dev’essere un incantesimo, non può essere naturale. È troppo fitto»spiegò lei, il divertimento ad armonizzarle la voce, a renderla musicale e tintinnante. Sorrideva, Draco ne era sicuro.
«Polvere Buiopesto Peruviana»replicò lui con tranquillità.
«Oh. Un frequentatore dei tiri vispi Weasley»considerò la ragazza, con una punta di disapprovazione nella voce. Ma il Serpeverde non stava ascoltando: i suoi polpastrelli stavano tastando il buio alla sua destra, alla ricerca di un pezzetto di lei. Lo trovò nella morbidezza caldissima della sua pelle, nel leggero sussulto della sua carne tenera quando le dita di lui incontrarono per la prima volta il corpo di lei.
«Cos’era?»chiese Draco, spalancando gli occhi, come se potesse in questo modo vedere meglio nel buio. La ragazza per un po’ non rispose, così lui cercò di concentrarsi sui suoi sensi per acuirli al massimo.
Forse per questo un’intensa scarica elettrica gli attraversò la schiena quando, con un brivido di sorpresa ed eccitazione al tempo stesso, la sua mano fu sfiorata e poi conquistata da quelle dita piccole e bianche che lui ricordava di aver visto la prima volta che si erano conosciuti.
«Il mio ginocchio. Questa, invece, è la mia mano»spiegò lei lentamente, con una punta di indecisione nella voce. Ma con pazienza, e sembrava quasi che gli stesse raccontando una favola. La ragazza mosse irrequieta le dita tra quelle di Draco, e lui fece altrettanto: percepiva la pelle pungere, e sentiva il bisogno di abituarsi a quel tocco.
Ci vollero tre giorni di intenso addestramento perché lui accettasse quel contatto, perché il pensiero del suo sangue accendeva ancora in lui quel disprezzo antico che gli avevano insegnato. Al quarto, però, la Polvere Buiopesto Peruviana finì, e lui si rese conto che gli mancava il tocco della sua pelle. Per la prima volta in tutta la sua vita, Draco apprezzò i Weasley.
 

***

 
La fitta oscurità che ormai da diverse notti aveva avvolto con le sue dita invisibili e sinistre ogni angolo del bagno del terzo piano aveva anche acuito i sensi dei ragazzi, ormai ciechi ma perfettamente capaci di udire anche il minimo cambiamento nell’intonazione dell’altro. Per di più, il contatto fisico che erano riusciti a instaurare grazie all’espediente della Polvere Buiopesto, seppur modesto era un chiaro indicatore dei sentimenti altrui.
«Come ti chiami? Non credo di avertelo mai chiesto»La voce del ragazzo era venata di dispiacere e sorpresa, come se lui si fosse reso conto solo in quel momento di quella grave mancanza.
Hermione, invece, non ne era più di tanto meravigliata. Sembrava strano, in effetti, se guardato dall’esterno, che due persone così intime non conoscessero l’uno il nome dell’altra. Ma alla luce del loro rapporto e delle regole instaurate tacitamente tra di loro, era più che ovvio, talmente semplice da risultare elementare. L’anonimato era tanto prezioso quanto inevitabile.
Così, Hermione disse il primo nome che le venne in mente, senza sapere che quel nome era quanto di più vicino alla loro realtà di quanto pensasse.
«Giulietta»disse con un sorriso sulle labbra, e c’era un che di sibillino in quel nome.
«Giulietta Edgecombe?»Il Serpeverde si mosse, inquieto, e strinse un po’ di più la presa sulla sua mano, tanto che la giovane emise un lievissimo lamento, perché la stretta alle dita, seppur incerta e lieve, risultava dolorosa. Il gonfiore si era quasi del tutto dissipato, ma i lividi spiccavano ancora sulla sua pelle, violacei e ordinati, segno inequivocabile dell’urto contro la porta di qualche giorno prima.
Hermione fu sorpresa e ammirata della capacità del giovane di collegare nomi e giungere alla soluzione – sbagliata solo perché lei gli aveva mentito riguardo la sua casa.
«Quella è Marietta»rispose, ridendo. La Grifondoro aveva quel nome ben impresso nella mente – ed era certa che anche lei la ricordasse, data la maledizione scagliata l’anno prima.
«Ah, sì, giusto»borbottò il ragazzo, tornando a poggiare la schiena sulla parete, e allentando la presa sulla mano di Hermione, che si rilassò di rimando. «Non credo di aver mai sentito di nessuna Giulietta, qui ad Hogwarts»disse lui pensieroso.
«E a Verona?»suggerì la Grifondoro, cercando nell’oscurità di scorgere l’ombra di un lineamento, o il baluginio del suo sguardo. Ma la Polvere Buiopesto sapeva assolvere fin troppo bene al suo compito, perciò lei, sconfitta, sospirò, e sentì il bisogno di rinnovare il tocco tiepido delle loro mani. Era ancora strano sentirlo così vicino, ma era bello, e rassicurante, sapere che in tutto quel buio c’era uno spiraglio di luce – sapere di non essere sola, di non essere del tutto indifesa.
«Sei di Verona?»chiese lui, tradendo una certa nota di curiosità. Hermione scosse il capo, sorridendo, e quando si ricordò di non poter essere vista, si voltò verso di lui.
«Non hai mai sentito parlare di Romeo e Giulietta, vero?»domandò, benché sapesse che fosse una domanda piuttosto sciocca. Lui era un Purosangue, non conosceva nulla della letteratura inglese babbana. E d’altronde, perché avrebbe dovuto?
«Cosa sono, due Mangiamorte famosi?» tentò il ragazzo, tentennando appena perché non era certo di aver detto la cosa giusta. Hermione aggrottò appena le sopracciglia, ma non si scompose più di tanto a quel bislacco tentativo di indovinare.
«No, solo due innamorati»spiegò quieta, portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
«Due innamorati?»ripeté lui, con tono quasi disgustato. La Grifondoro ridacchiò.
«Sì. Romeo conosce Giulietta a una festa in maschera organizzata dal padre, ma non la riconosce perché lei ha una maschera. Senza sapere l’uno l’identità dell’altra si innamorano, si baciano, e passano la notte insieme…»Hermione cominciò a raccontare quella storia d’amore, tanto famosa quanto drammatica, con la sua voce dolce e leggera, il tono sognante e perso in un tempo antico, appartenente a tanti anni prima, in un luogo tanto lontano quanto diverso da quello in cui si trovavano in quel momento.
«Come fanno ad innamorarsi se non sino nemmeno mai visti in faccia?»la interruppe il ragazzo, con tono scettico.
«Si piacciono per come sono dentro»chiarì la Grifondoro con naturalezza e semplicità. E mentre pronunciava quelle parole, non poté fare a meno di notare una certa somiglianza tra la storia di Giulietta e la sua. Si augurò soltanto che la sua finisse meglio.
«Oh, certo, per come sono dentro. Come ho fatto a non pensarci prima?!»disse con tono fortemente sarcastico il Serpeverde, strappando una risata ad Hermione.
 
Draco rimase in silenzio, il sorriso sulle labbra, a godersi il suono gradevole di quella risata, che non era elegante, non era cristallina, non era armoniosa o soave, era solo vera. Tanto sguaiata quanto leggera, tanto ragliante quanto dolce. Solo quando quell’allegria si estinse, risucchiata dal buio del bagno, lui si permise di chiedere: «Poi che succede?».
«La balia di Giulietta le rivela l’identità di Romeo. Vedi, il fatto è che loro erano i figli di due potenti famiglie rivali: i Montecchi e i Capuleti. Si odiavano talmente tanto che non facevano altro che litigare, e combattere»raccontò la ragazza, il tono impregnato da un’amarezza che, Draco immaginò, poteva solo derivare da un finale che lei già conosceva e che lui aveva fretta di scoprire.
«La parte del combattimento mi piace»commentò con enfasi.
«Quando Giulietta scopre che Romeo è il figlio dei Montecchi, è disperata, perché sa che suo padre non accetterà mai quell’amore. Suo padre, né nessun’altro della sua famiglia»continuò lentamente la ragazza, con quella voce che era come un’ipnosi: non potevi smettere di ascoltarla, ti catapultava dritto dentro la storia. Draco pensò che nemmeno suo padre avrebbe mai accettato quella ragazza, in quanto Mudblood. Quel pensiero se ne andò così com’era venuto, insieme a un sospiro e una carezza alle dita della Corvonero.
«E allora lo uccidono con un Avada Kedavra?» chiese in un sussurro stanco ma curioso.
«No, ma nonostante tutto Romeo e Giulietta decidono di sposarsi, perché si amano troppo»disse con tono divertito e quieto la ragazza.
«Disgustoso. Non dirmi che si sposano»commentò Draco.
«Non ci riescono. Tebaldo, il cugino di Giulietta, uccide in combattimento Mercuzio, il migliore amico di Romeo. Così Romeo uccide Tebaldo per vendetta, e viene esiliato» raccontò tutto d’un fiato la Corvonero. Riusciva a mantenere il suo tono neutro, in un modo ammirevole e curioso, così che Draco poteva trarre le sue conclusioni e sensazioni da sé, senza influenze da parte sua.
«Comincia a piacermi questo Romeo» considerò il Serpeverde con tono d’approvazione. La ragazza fece una significativa pausa, poi riprese.
«Giulietta, disperata, beve una pozione che la conduce a morte apparente. Quando Romeo viene a sapere della dipartita della sua amata, corre da lei, e non sapendo che si sarebbe svegliata presto, si uccide con del veleno. Quando Giulietta si sveglia e lo trova accanto a sé, morto, si pugnala al cuore»concluse quella storia in un soffio soffice e delicato, lasciando vagare le ultime note del racconto nel buio del bagno, prima di prosciugare qualsiasi emozione presente nel suo tono.
«Tragico. E tu trovi romantica questa schifezza?»commentò Draco con ton piatto. Trovava fin troppo smielata quella storia – eccezion fatta per la parte delle morti.
«In un certo senso. Ha un bel significato: l’amore che vince ogni cosa, persino la morte»spiegò in modo sbrigativo la ragazza.
«E’ piuttosto macabro»la contraddisse il Serpeverde. La mano della Corvonero si contrasse brevemente, per poi rilassarsi di nuovo tra le sue dita.
«E’ da vigliacchi. Per amare serve coraggio. Serve tantissimo coraggio. Uccidersi è fin troppo facile»disse, inaspettatamente, spiazzando completamente Draco, che pensava che in quella storia lei trovasse un qualcosa di estremamente romantico. C’era, in effetti, qualcosa di dolce nel masochismo di quei due pazzi che si uccidevano per amore; c’era una lezione da imparare, che però il giovane non aveva colto, o forse, semplicemente, non voleva farlo. Ma quei pensieri vennero soppressi da un altro, nuovo e più importante.
 
«Allora devi essere molto coraggiosa. Forse dovevi finire in Grifondoro»disse all’improvviso lui. Il suo tono era quieto, tranquillo. La sua era una semplice, ovvia constatazione, ma Hermione non potè fare a meno di irrigidirsi, a quelle parole. Una fitta di colpevolezza le compresse il petto, e lei sentì l’impellente e inevitabile bisogno di dirgli la verità.
«Che vuoi dire?»domandò nervosamente, avvertendo le sua mano, umida di sudore, scivolare dalle dita del Serpeverde.
«Bè, tu non lo ami quel ragazzo?»Non c’era la minima traccia di rabbia o sospetto nella sua voce, e questo acuì il senso di colpa di Hermione. Lui non immaginava minimamente che lei gli stava mentendo; le parlava con naturalezza, senza scudi o armature, aprendole completamente il suo cuore, mentre lei aveva ancora una finestra chiusa nel suo cuore, che non riusciva ad aprire. Non sapeva perché, ma c’era un intimo senso di paura dentro di lei a quell’idea.
«Credevo di sì»rispose Hermione lentamente. Quella risposta le era uscita spontanea dalle labbra, mentre era impegnata in altri pensieri. Quando, però, si rese conto di aver pronunciato quelle parole, realizzò anche che quella frase detta senza pensarci troppo, era anche disperatamente sincera.
«E ora credi di no?»chiese il ragazzo con tono sorpreso.
«Non ne sono più tanto sicura» disse piano la Grifondoro, come se la sola idea la spaventasse e atterrisse al tempo stesso.
 
Draco ebbe come l’impressione che lei fosse a disagio, per un motivo che tuttavia gli sfuggiva. Era strano, perché la sentiva allontanarsi sempre di più, eppure lei rimaneva lì, accanto a lui, nell’oscurità fitta del bagno. Era strano, perché sentiva che gli stava scivolando lentamente dalle dita, eppure la sua mano era ancora saldamente intrecciata a quella del Serpeverde.
«Perché?»domandò a bassa voce lui, quasi timoroso di vedersela sfuggire davvero.
La ragazza tacque. Non rispose niente, come se quella domanda l’avesse messa in profonda difficoltà: a Draco sembrava di sentire lo sforzo immane con cui il suo cervello cercava la risposta, senza sapere che il responso poteva darlo solo il cuore. Lui non disse niente, aspettando che fosse lei a continuare. Tuttavia, questo non successe. Invece di parlare, come se lei avesse capito che non c’erano parole adatte a spiegare il perché di ciò che aveva detto, la ragazza scivolò verso di lui, e, dopo aver preso un profondo respiro, poggiò la testa sulla spalla del giovane.
Il Serpeverde trattenne il fiato, mentre avvertiva una massa di ricci crespi solleticargli il collo. Non riuscì a respirare, sino a quando non percepì il sospiro caldo della ragazza che gli sfiorava il petto e gli solleticava le mani. Quel contatto era eccessivo persino per lui, eppure non riusciva a muoversi, né a ritrarsi: lo inchiodava al suo posto quell’aroma dimenticato di agrumi e mimosa. Sapeva di casa, di leggerezza e di infanzia. Gli piaceva.
«Hai un buon profumo»sussurrò piano, in modo sincero e naturale.
«L’altra volta hai detto che puzzavo, pensavo di dover fare qualcosa»rispose lei, e aveva il sorriso nella voce.
Senza sapere cosa stava facendo, Draco alzò il braccio e lo avvolse attorno alle sue spalle, stringendola a sé. Mentre lei sospirava, accucciandosi sul suo corpo come una bambina che si rifugia sul petto grande e protettivo del suo papà, il ragazzo sorrise, e si sentì a casa.
 

***

 
Il giorno dopo, Draco era seduto al tavolo della colazione quando una fragranza antica gli punse le narici. Sapeva di agrumi e mimose. Con gli occhi sgranati, il ragazzo scattò in piedi, seguendo il nutrito gruppo di Corvonero che gli era appena passato davanti.
«Spostati, Granger»disse con tono burbero, scansando con poca grazia e gentilezza la Grifondoro che gli stava ostruendo il cammino. Se avesse prestato maggiore attenzione, probabilmente si sarebbe reso conto che lei si era appena staccata da quello stesso gruppo di ragazzine del terzo e quarto anno che lui aveva tutta l’intenzione di seguire, come un cane da fiuto che ha finalmente trovato la sua preda; ma era così concentrato sul suo profumo, e l’idea che potesse essere proprio lei quella ragazza era così lontana, che si limitò a superarla mentre lei sbuffava, scuotendo il capo, infastidita.
 

***

 
«Se non posso chiamarti con il tuo vero nome, posso dartene uno io?»domandò il ragazzo piano, con una punta di esitazione nella voce. Aveva il mento poggiato sul capo ricciuto di Hermione, e il braccio avvolto attorno alle sue spalle. Lei aveva la testa sulla sua spalla, e aspirava il suo odore di sudore e terra umida, con un mezzo sorriso sulle labbra, le gambe ripiegate sotto di sé e una serenità a invaderle l’anima, nonostante il buio e l’eco gocciolante dei tubi rotti.
«Se vuoi»concesse lei, incuriosita.
«Ti chiamerò Mudblood» decretò lui con tranquillità. Sembrava persino soddisfatto di quel pessimo nomignolo che le aveva appena affibbiato.
«Carino»ribatté quindi Hermione con evidente sarcasmo.
«Però è detto in modo affettuoso, davvero»si affrettò a spiegare il giovane. «Tu sei l’unica Mudblood con cui io abbia mai intrattenuto un rapporto, quindi è come se tu fossi una specie di… eletta, capisci?»chiarì con sicurezza e determinazione.
Hermione si irrigidì, e si mosse nervosamente tra le sue braccia.
«Da quando provi affetto per me?»sussurrò piano, come se lei stessa non credesse a quelle parole. Il ragazzo si contrasse, esattamente come aveva fatto lei, e la sua voce si indurì appena.
«Ho detto che il soprannome è affettuoso, non che c’è qualcosa tra di noi»precisò, quasi con severità.
«Non ho detto che c’è qualcosa tra di noi, solo che provi affetto per me»ribatté lei di rimando. Prese un respiro profondo, poi, velocemente, disse: «Anche io lo provo per te» Pronunciò quelle parole con una rapidità eccessiva, un po’ perché temeva di pentirsi di essersi aperta così tanto, svelando un sentimento così strano e ingombrante, un po’ perché sperava che lui non cogliesse quella confessione. Per un po’, pensò che lui davvero non avesse capito il senso di quelle parole. Respirava piano sui suoi capelli, senza dire una parola, i muscoli rigidi e la mano immobile in quella di Hermione.
«Dici davvero?»domandò dopo un lunghissimo silenzio, il tono curioso e sorpreso. La Grifondoro respirò profondamente, prendendo coraggio.
«Sì»confermò, questa volta piano, per dargli il tempo di apprendere e incamerare la notizia. «Mi sono affezionata a te. È strano, e non riesco a spiegarlo. Ma è così»disse con sicurezza, cercando di modulare il respiro per fermare i battiti del suo cuore.
Il ragazzo lasciò passare dell’altro tempo vuoto, inquieto per Hermione, che temeva di aver detto troppo e troppo presto.
 
«Come puoi esserti affezionata a me senza nemmeno avermi visto in faccia? Non sai nemmeno come sono fatto»Draco stava cercando di razionalizzare, di trovare una motivazione plausibile dietro la tempesta che gli era appena nata dentro nel cuore. Pronunciò quelle parole lentamente, con esasperante esitazione, come se dalle sue stesse affermazioni potesse trarre le risposte che cercava.
«So come sei fatto. Lo so, perchè so come sei fatto dentro» lo contraddisse la ragazza, con candore e dolcezza. Lo disse piano, in un sussurro caldo, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Ma per Draco era troppo. Sentiva il bisogno di stemperare quei sentimenti nella pungente ironia con cui da sempre si difendeva.
«A parte il sangue purissimo, intendi?»domandò con sarcasmo, sperando che la serietà con cui aveva tentato di pronunciare quelle parole risultasse evidente nonostante l’improvviso calore che il suo corpo stava sprigionando.
«A parte quello, sì»confermò lei. Una risata leggera, appena accennata, le sfuggì dalle labbra.
Draco corrugò la fronte.
«Io non mi sono affezionato a te»precisò con tono rude e burbero.
«Va bene»rispose lei, sospirando. Ma sembrava che non ci fosse risentimento o dispiacere, in quelle parole.
«Davvero»Il Serpeverde rincarò la dose, tanto per cercare di fargli capire che la sua non era solo una difesa o un moto di orgoglio insopprimibile; era proprio la verità. Non sentiva niente nei suoi confronti: come avrebbe potuto?
E nello stesso momento in cui se lo domandò, intuì la risposta.
«Ci credo»disse lei con pacatezza, sistemandosi un po’ meglio addosso a lui, come un vestito particolarmente profumato, morbido e caldo. E piacevole. E di compagnia. Un bel vestito, ecco.
«Però penso che tu sia bella»lo disse in un sussurro, senza sapere perché o cosa l’avesse spinto a farlo. Quel pensiero gli aveva attraversato la mente per un attimo, come un Boccino D’oro che si mostra per un attimo durante una partita di Quidditch appena cominciata; poi era scomparso, ma anziché riposarsi in qualche angolo nascosto della sua mente era scivolato fino alla bocca ed era sgusciato fuori dalle sue labbra, e prima di rendersene conto l’aveva detto. Draco digrignò i denti, borbottando tra sé parole sconnesse e seccate.
«Come?»La ragazza, sorpresa, alzò il capo. Ora lui sentiva il suo respiro sulla guancia. Si allontanò un poco, e il braccio che prima le cingeva le spalle sciolse quell’intimo abbraccio, e raggiunse il suo gemello, sul suo petto.
«Hai sentito, non farmelo ripetere»borbottò il Serpeverde, infastidito. La Corvonero tacque un attimo, respirando piano.
«Cosa te lo fa dire?»domandò dopo un po’ in un sussurro incuriosito e lusingato.
Draco sospirò. Voleva proprio saperlo, cosa gliel’aveva fatto dire.
«Non lo so. Forse perché so come sei fatta dentro»rispose a bassa voce, vergognandosi di quella debolezza.
«A parte il sangue sporco, intendi?»suggerì lei, solleticandogli il viso con il suo respiro caldo. Nella sua voce c’era l’ombra di un sorriso che contagiò anche Draco.
«A parte quello, sì»concesse, cercando di nuovo la sua mano nel buio del bagno.
«Sai…»cominciò la ragazza, poggiando di nuovo il capo ricciuto sulla spalla del giovane «credo che mi piaccia il nome Mudblood, adesso».
 

***

 
Destino volle che, un giorno, Hermione Granger incontrasse Draco Malfoy lungo un corridoio qualsiasi. Hermione tornava in quel momento dalla lezione di Antiche Rune, per cui non era accompagnata da Harry e Ron. Allo stesso modo, Draco, era stranamente da solo, senza Tiger e Goyle alle sue calcagna. La Grifondoro procedeva in una direzione, la testa china su una traduzione a cui non riusciva a dare un senso; il Serpeverde borbottava tra sé parole incomprensibili, e avanzava in quella opposta, e tanta era la sua disattenzione che andò a sbattere dritto contro la ragazza. L’impatto fu tanto forte e inaspettato, che entrambi sobbalzarono. I libri di Hermione precipitarono a terra, tra tonfi e fruscii, e la ragazza, più preoccupata dello stato di salute dei suoi preziosissimi tomi di Antiche Rune che non di quello del giovane in cui era incappata, si chinò, raccogliendo pagine, libri e traduzioni. Quando, riordinato il suo materiale di studio, rialzò lo sguardo per vedere contro chi si era scontrata, si sorprese di notare la sagoma, ormai distante di molti passi, di Draco Malfoy.
«Malfoy!»lo richiamò lei, avanzando a grandi passi verso di lui. Il Serpeverde, invece di fermarsi, proseguì ancora più rapidamente. Hermione accelerò, allungando le falcate, e dopo pochi minuti riuscì a raggiungerlo. Gli afferrò un braccio e lo voltò verso di sé, già pronta a riversargli addosso almeno un centinaio di ramanzine. Ma quando incrociò il suo sguardo le parole le morirono sulle labbra; o forse rimasero incastrate da qualche parte nella gola, o magari ancora più giù, in fondo allo stomaco. Fatto sta che non riuscì a dire una sola parola.
Lo sguardo di Draco Malfoy era pura sofferenza. Hermione, troppo presa dai suoi impegni – lo studio, la rabbia verso Ron, gli incontri clandestini nel bagno del terzo piano – non aveva avuto tempo né voglia di guardarsi intorno, per cui non aveva mai notato il grande cambiamento del Serpeverde. La pelle del ragazzo, già di consueto incredibilmente chiara, era talmente bianca da confondersi quasi con il tessuto della camicia che indossava; il volto, emaciato e pallido, era solcato da un’espressione nervosa e inquieta, ben diversa dal ghigno beffardo e superbo di cui lui soleva vestirsi. Le sue mani sembravano non riuscire a trovare requie: tremavano, frenetiche. Il suo corpo era più slanciato e magro del solito, e grossi cerchi scuri gli contornavano gli occhi grigi, segno indelebile di innumerevoli notti passate insonni – magari in un bagno che nessuno usava, se non lei? Quel pensiero le fece balzare il cuore in gola, e perdere ogni traccia di determinazione.
«Cosa vuoi, Granger?»ringhiò lui, infastidito, corrugando le sopracciglia e fissandola dritto negli occhi, senza però la tipica arroganza che l’aveva sempre contraddistinto.
Hermione deglutì, e lo guardò a lungo, incapace di trovare parole e con un unico pensiero a frullarle per la mente. Malfoy la fissava, confuso e adirato al tempo stesso. Convinto ormai di non ricevere risposta, le voltò le spalle. Solo allora, la Grifondoro trovò il coraggio di parlare.
«Dov’è finito Draco Malfoy?»domandò tutto d’un fiato, osservando le spalle incredibilmente ossute del giovane che aveva di fronte, che tremavano appena.
«Come?»chiese lui in tutta risposta, voltando parzialmente il busto e offrendo alla ragazza la vista del suo profilo dritto e severo.
«Vai in giro come un fantasma, non curi più il tuo abbigliamento. Niente arroganza, niente sicurezza di sé, e soprattutto nessun insulto sul mio sangue. Chi sei tu, e che ne hai fatto di Draco Malfoy?»sciorinò Hermione rapidamente, come se stesse rammentando a se stessa l’elenco della spesa.
«Ti sei messa ad osservarmi, Granger? Tu e i tuoi amichetti state cominciando a spiare il figlio del Mangiamorte per scoprire se anche lui è un seguace del Signore Oscuro?»sibilò con astio, perforandole il cranio con il suo sguardo glaciale. La Grifondoro, però, non potè fare a meno di notare una punta di quella che sembrava paura, in fondo al suo sguardo. Non trovò nulla da rispondere – le continue accuse di Harry nei suoi confronti le rimbombavano ancora nelle orecchie, attutite da qualcosa di dolce e soffice che lei non riuscì a riconoscere e che trovò del tutto fuori luogo – così si limitò a stringere le labbra, il mento alto e gli occhi fieramente puntati su di lui.
«Dovresti essere a lezione»gli fece notare la ragazza dopo qualche minuto di intenso fissare.
«Non sono affari che ti riguardano»ribatté prontamente lui, senza mai abbandonare il suo sguardo. Forse non c’era più superbia nel suo atteggiamento; magari quel ragazzo lì, non era il tronfio e arrogante Serpeverde, Purosangue e Malfoy, che vagava con alterigia per i corridoi della scuola solamente fino all’anno prima – quando ancora il suo mondo non era crollato. Ma di sicuro c’era ancora l’indomita fierezza di un uomo che non si lascia piegare facilmente da chi ritiene inferiore.
«Sono un Prefetto, si dà il caso che mi riguardi»replicò Hermione con tono sicuro e pomposo, lanciandogli uno sguardo che sperava apparisse determinato.
«Si dà il caso che lo sia anche io»le ricordò il ragazzo con tono basso, quasi la sua fosse una velata ma intuibile minaccia.
«Allora dovresti rispettare tu per primo le regole»ribatté con sguardo deciso. Malfoy la guardò, il volto corrugato dall’ira, il respiro affannoso e il corpo scosso da un tremito che non era chiaro se fosse di rabbia o paura.
«Non mi scocciare, Granger» la liquidò il Serpeverde, digrignando i denti come un animale feroce. Mentre si allontanava, Hermione, in un sussulto orripilato, si rese conto di una realtà che fino a quel momento non aveva nemmeno preso in considerazione, un po’ per egoismo, un po’ perché quel giovane che ora le stava di fronte era così distante da lei, che la ragazza non l’aveva mai preso in considerazione nei suoi pensieri. Ma ora che l’aveva lì, di fronte a lei, pallido, smagrito, apparentemente spaventato, la Grifondoro si rese conto di quanto quell’anno dovesse essere stato duro per lui. Perché Draco Malfoy adesso non aveva più niente: non la fama e l’onore che un tempo ricopriva la sua famiglia, non le ricchezze di cui si era sempre vantato; non aveva nemmeno più un padre, rinchiuso ad Azkaban a causa sua e dei suoi amici – per una giusta causa, ovviamente, e di questo Hermione non aveva alcun rimorso. Ma non poté fare a meno di provare pena per quel ragazzino spaventato e solo. Solo. Forse lo era sempre stato. In fondo, cos’era la sua arroganza se non la maschera di un ragazzino viziato e senza compagnia?
Per la prima volta nella sua vita, Hermione si domandò cosa si nascondesse sotto la patina di superbia e ghigni di feroce disprezzo che lui le aveva sempre riservato. Era così concentrata che non si rese conto dell’aroma di sudore ed erba bagnata che lui si portava dietro. Se vi avesse fatto caso, avrebbe avuto la risposta alla sua domanda.
 

***

 
«Vorrei tanto fuggire. Andarmene via da qui, lontano da tutto e da tutti. Scappare e tornare quando tutto sarà finito»
«Ti riferisci alla guerra imminente?»
«Sì»
«Scappare non serve a niente. Gli ostacoli non si possono evitare, rischiamo di trovarceli davanti più alti e difficile da superare di prima»
«Immagino che sia così»
«Posso chiederti perché tutta questa voglia di scappare?»
«E’ tutto così difficile»
«Cosa? Cos’è difficile?»
«La vita è difficile»
«E l’hai scoperto solo ora?»
«Te l’ho detto, per me è sempre stato tutto facile. Non ho mai dovuto faticare, nemmeno chiedere. Avevo tutto, qualsiasi cosa»
«E adesso?»
«Adesso non più»
«Perché? Tuo padre ha capito che ti stai ribellando?»
«Io non mi sto ribellando. Non posso farlo. Mio padre non c’entra più, ora mi sto fronteggiando con una realtà molto più grande. Quando ero più piccolo… no, fino a qualche mese fa, pensavo che mio padre fosse l’uomo più potente del mondo. Sono stato abituato a pensare che lui potesse avere tutto, e quindi anche io. Perché è sempre stato così: minacciando, mentendo e ingannando ha sempre ottenuto ciò che voleva. Ma adesso c’è lui…»
«Lui?»
«Ora devo davvero andare»
«Non ti piace più stare con me? Vuoi scappare di continuo»
«Sta diventando pericoloso»
«Perché?»
«Sai troppo. Dovrei ucciderti»
«Non ne saresti capace»Lei rise, ma furono più quelle parole a colpire Draco. Probabilmente aveva ragione, ma quel pensiero non faceva che acuire il suo senso di nausea.
«Non mettermi alla prova»
«Non so nemmeno chi sei. Come può essere pericoloso?»
«E se capissi chi sono?»
«Ci sono migliaia di studenti a Hogwarts»
«Molti di meno al sesto anno, ancora meno Serpeverde»le fece notare Draco con pragmaticità.
«Non cercherò di capire chi sei. Non è quello che mi interessa»replicò la ragazza con tranquillità.
«E cosa ti interessa?» domandò incuriosito il Serpeverde, cercando inconsapevolmente il suo viso nella fitta oscurità del bagno. Aveva lasciato la sua mano in qualche momento durante quel discorso, ma ora sentiva freddo alle dita.
«Questo»disse lei con semplicità, ma non aggiunse altro. Draco tacque, in attesa che lei continuasse; e allora la ragazza rispose al suo silenzio.
«Parlare con te. Confidarmi, dimenticare il mondo fuori, chiuderlo al di là di questo bagno e cancellare tutto lo schifo per un po’ di tempo. Solo per qualche ora. Poi tutto torna: i problemi, le tragedie, la guerra. Ma almeno…»
«… almeno per un po’ l’abbiamo fregato»completò lui, quasi sovrappensiero, trovando questo pensiero simile a uno formulato da lui stesso tempo prima.
«Sì. Tu mi piaci molto»disse lei con serietà, riprendendo le fila di un discorso già formulato qualche sera prima.
«Non mi conosci» Le parole di Draco suonarono come un ammonimento, ma lui non se ne curò, né cercò di rimangiarsele o attenuare quella sensazione. Tanto, comunque, lei non si lasciava intimorire da quei suoi atteggiamenti. Forse era questo, ciò che più gli piaceva: lei gli sapeva tenere testa. Non gli concedeva tutto, com’era sempre stato. Cercava di aprirgli gli occhi senza imporgli il suo modo di vedere, con una dolcezza morbidissima e leggera. Avvicinandosi a lei come la risacca abbraccia la spiaggia.
«Ti conosco più di quanto pensi. Più che se ti avessi visto in faccia»replicò lei con tranquillità.
«E io posso dire di conoscerti?»chiese Draco, quasi esitando.
«Puoi farmi tutte le domande che vuoi. Io ti risponderò»disse lei, un po’ sorpresa e un po’ lusingata da quell’improvvisa attenzione.
Il Serpeverde rimase in silenzio per un attimo, pensando a cosa chiederle. Poi le domandò: «Come sai tutte queste favole?».
«Alcune me le leggeva mia madre prima di andare a dormire»rispose subito lei, senza la minima esitazione nella voce. Sembrava felice di poter condividere quei ricordi con lui.
«Tua madre ti leggeva le favole?»ripeté il giovane, sinceramente sorpreso.
«Tua madre non lo faceva?»domandò lei, e la sua voce suonava anche più meravigliata di quella di Draco.
«No»replicò lui, secco. Improvvisamente, si sentì privato di un’importante parte della sua infanzia. Poi, però, pensò che in fondo c’era già chi gli raccontava le favole, quindi andava bene così.
«Devi aver avuto un’infanzia difficile»considerò con tono dispiaciuto la ragazza.
«Tutt’altro»la contraddisse lui con sicurezza. «È stata meravigliosa. Avevo tutti i giocattoli che volevo. A cinque anni ho avuto la mia prima scopa, è stato bellissimo»Senza che se ne rendesse conto, il suo tono si addolcì.
«Quindi voli bene»commentò la ragazza in tono neutro. Sembrava che non fosse più di tanto esaltata alla notizia, ed era strano, perché di solito le donne vanno pazze per chi vola bene, pensò Draco.
«Altroché»confermò quindi, con tono arrogante. Gli piaceva ancora darsi delle arie, soprattutto davanti a lei, per sentirsi più forte, superiore a lei, che sembrava migliore in tutto, spesso.
«A me fa paura volare»rivelò la ragazza.
All’improvviso, Draco si sgonfiò. Capì il motivo di quel tono indifferente, e si sentì sciocco ad aver pensato alla sua dignità.
«Magari»cominciò, esitante «Magari, se vuoi, un giorno ti insegno»propose lentamente, come se volesse darle il tempo di capire e impadronirsi di quell’idea. E subito le prese la mano. Senza nemmeno capirne il motivo. Draco si giustificò dicendo a se stesso che voleva solo darle sostengo e farle capire la sua vicinanza, ma si rese conto che invece era lui ad aver bisogno di un appiglio, perché si era sbilanciato troppo e aveva paura di cadere.
«Sì, mi piacerebbe»disse la ragazza dopo molti minuti di silenzio, accarezzandogli piano le dita.
«Davvero? Credevo ti facesse paura»commentò il Serpeverde, sorpreso da quella risposta. La ragazza si avvicinò a lui, si appoggiò al suo petto e sospirò.
«Non con te» disse lei, e la sua voce suonava incredibilmente serena.
 

***

 
Hermione si trovava nel bel mezzo di una lezione di Storia della Magia particolarmente noiosa. I primi raggi di un timido sole si affacciavano alla finestra dell’aula, investendola di un tepore piacevole che le fece desiderare di andare fuori a studiare Trasfigurazione, sotto quella luce che sembrava meravigliosa e invitante. Quel pensiero l’aveva fatta estraniare dalla lezione, e ora la voce del professor Rüf era solo un ronzio di sottofondo; le sue parole si confusero nella sua mente, e la sua mano, di solito vigile persino in quei momento, smise di prendere appunti.
«Un po’ come Giulietta e Romeo, insomma» commentò una voce dal fondo dell’aula. Hermione fu strappata alla dolcezza di quel momento da un brusco ritorno alla realtà; si irrigidì, spalancò gli occhi e si lasciò sfuggire un sussulto leggero, che riuscì a mascherare seppellendo la testa tra i libri e trascrivendo un appunto senza senso e inopportuno sulla pergamena che aveva dinnanzi a sé. Poi, raggelata, lanciò un’occhiata dietro di sé.
Aveva riconosciuto quella voce. Non tanto il contenuto delle parole, quanto la sfumatura familiare del timbro, che aveva risvegliato in lei ricordi sopiti, seppelliti sotto strati di confidenze e dietro una porta di legno che aveva nascosto, celato, ingannato. Quel pensiero che ora prendeva forma nella testa di Hermione, non l’aveva mai sfiorata sino a quel momento, non perché lei non si fosse fatta domande, ma perché l’eventualità era tanto remota quanto impensabile, e, soprattutto, indesiderabile. Nel tempo, durante quei mesi passati a ridere, parlare, confidarsi, amare, aveva allontanato il sospetto che ora stava diventando realtà davanti ai suoi occhi.
Perché quando Hermione Granger sentì quelle parole, il suo cuore avvertì il tono leggero del ragazzo che per mesi aveva cullato i suoi sonni e accolto i suoi turbamenti, ma la sua mente percepì il timbro sgradevole e arrogante, menefreghista e superbo di quel Serpeverde che era Draco Malfoy.
Ma questo non era possibile, continuava a ripetersi la Grifondoro, trascrivendo freneticamente un appunto, e spingendo così forte la piuma d’oca sulla pergamena da bucarla.
«Romeo e Giulietta, signor Malfoy?» ripetèil professor Rüf, che guardava, sorpreso che qualcuno avesse interrotto la sua lezione, un punto dietro la spalla di Hermione, con un’espressione per metà perplessa e per metà ammirata.
Non ha detto Malfoy. Non ha davvero detto Malfoy. È stata solo la mia mente, solo un gioco della mia mente, uno stupido fraintendimento. Una coincidenza.
Lentamente, la Grifondoro si voltò, e posò lo sguardo su quel ragazzo che ora tutti guardavano, confusi – perché non era mai successo che qualcuno nominasse storie babbane a una lezione, soprattutto non durante la lezione di Storia della Magia, e soprattutto non un Purosangue.
Se Sibilla Cooman avesse visto la faccia di Hermione Granger in quel momento, avrebbe senz’altro sorriso con soddisfazione e compiacimento, ricordandole il grave errore che aveva fatto quando, tre anni prima, mollò le sue lezioni di Divinazione definendole sciocche e senza senso.
«E tu che hai da guardare, Granger?».
Perché quella voce apparteneva, in ultima analisi e senza alcun dubbio, proprio a Draco Malfoy.

 
«Che significa Montecchi?
Nulla: non una mano, non un piede, non un braccio, non la faccia,
né un'altra parte qualunque del corpo di un uomo.
Che cosa c'è in un nome?
Ciò che noi chiamiamo con il nome rosa,
anche se lo chiamassimo con un altro nome,
serberebbe pur sempre lo stesso dolce profumo»

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 4: Le mille e una notte – ovvero di canarini e favole di pesco ***


Capitolo 4:
Le mille e una notte – ovvero di canarini e favole di pesco

 

«I’d give anything to give me to you.
Can you forget the world that you thought you knew?
If you want me, come and find me.
I’ll believe all your lies;
Just pretend you love me.
I’ll be everything you need»
[Anything for you – Evanescence]

 
 
Hermione si rigirava tra le coperte, incapace di prendere sonno. La voce di Draco Malfoy, il suo ghigno compiaciuto e il suo sguardo sprezzante e malvagio, erano ancora dentro la sua testa, come suoni e immagini disegnati a tratti fini e nitidi nella sua mente, ma con un inchiostro indelebile e bollente, che baluginava persino nel buio della sua stanza. Ogni volta che chiudeva gli occhi, sogni angoscianti e tenebrosi catturavano il suo sonno e la strappavano al suo tranquillo riposo. E il protagonista era sempre lui. Hermione non aveva mai notato quanto la tonalità dei suoi capelli tendesse all’argenteo, tanto erano biondi e fini – e sembravano morbidi e setosi al tatto. Non si era mai accorta della particolare sfumatura di grigio dei suoi occhi – che brillavano di fierezza, oltre che di orgoglio; né dei lineamenti decisi della mascella – che si contraeva spesso, quando lui era immerso in pensieri intimi e personali. Non si era resa conto di quanto fosse magnetica la sua andatura, e non si sarebbe mai aspettata che persino quel malevolo incresparsi della fronte potesse divenire un segno evidente dei suoi turbamenti interiori. La Grifondoro aveva passato gli ultimi giorni ad osservarlo, ed ora quei particolari si avvicendavano nella sua mente, insieme alla nuova consapevolezza che quella scoperta aveva cambiato le carte in tavola, e ora la partita, se mai fosse continuata, si sarebbe giocata in un campo minato, aperto e pericoloso.
Ma non era tanto quello a preoccuparla, perché dentro di lei sapeva che quella rivelazione non avrebbe mai potuto cambiare ciò che il suo cuore aveva avvertito durante quelle lunghe notti di risate e confidenze. Era vero, in fondo, che probabilmente conoscere l’identità del ragazzo del mistero, e sapere che quel ragazzo era proprio Draco Malfoy, avrebbe mutato il suo modo di vedere le cose, e anche la sua capacità di lasciarsi andare. Perché Hermione era intelligente, ma anche legata a pregiudizi vecchi di anni – non quanto quelli del Serpeverde sul suo sangue, ma quasi simili, in fondo.
Se durante il primo anno aveva ritenuto quel ragazzetto biondo semplicemente un’odiosa spina nel fianco, per i suoi tiri mancini a Harry e Ron, al secondo era diventato uno spregevole pallone gonfiato, cattivo e meschino. Al terzo anno era esploso il suo disprezzo nei suoi confronti, perché la sua vigliaccheria, la sua presunzione e la sua malvagità erano sfociate in un gesto crudele ed iniquo che lei non aveva saputo sopportare. Durante la coppa del mondo di Quidditch lui aveva fatto capire sin troppo bene quanto l’idea che lei e tutta la sua gente finissero uccise dai Mangiamorte – a cui lui aveva manifestato aderenza con un ghigno compiaciuto sul volto – gli provocasse piacere. Al quinto anno, poi, la sua arroganza e la sua cattiveria erano stata ampiamente sfruttate per danneggiare gran parte degli studenti.
Ma, ed Hermione se l’era domandato per la prima volta solo in quei giorni, quanto lei, Harry e Ron potevano dire di conoscere Malfoy? Sotto la superficie di superbia, arroganza, rancori… sotto quella spessa patina di pregiudizi e cattiverie, cosa c’era davvero? La sua aggressività era davvero solo cattiveria? I suoi insulti, la sua lingua biforcuta, il suo circondarsi di persone striscianti almeno quanto lui, il suo desiderio di primeggiare e sconfiggere la grande celebrità che il Mondo Magico conosceva come il Bambino Sopravvissuto… era davvero solo malvagità? O c’era dell’altro? Draco Malfoy era mai stato, davvero, in compagnia? Si potevano forse definire amici quelli di cui si circondava – scagnozzi più grossi di lui e che non facevano altro che seguire i suoi ordini come fedeli cagnolini? Chi era davvero Draco Malfoy?
Hermione era confusa.
Era quello che aveva conosciuto negli anni passati, il ragazzino viziato avvolto dalla sua arroganza e dalla sua superbia? Quello che girava, tronfio, per i corridoi di Hogwarts, convinto di essere il padrone indiscusso del mondo?
O era forse il ragazzo con cui aveva passato gli ultimi mesi? Quello le cui scelte erano solo state dettate da un obbligo morale nei confronti della sua famiglia.
Magari, era entrambi. Forse, sotto quella patina di sicurezza, alterigia e insulti sputati con astio nei confronti di Mezzosangue ed elfi domestici, c’era un ragazzino impaurito che aveva bisogno di compiacere la sua famiglia per essere felice. Non sicuro di sé come voleva apparire, ma al contrario fragile e incerto.
Hermione, adesso, sapeva che era così. Hermione, adesso, sapeva che Draco Malfoy era solo un ragazzino troppo insicuro, spaventato e, soprattutto, solo. Hermione, adesso, sapeva che quello sguardo di disprezzo e sufficienza che lui lanciava a lei, Harry e Ron non era puro disgusto, ma qualcosa di più simile all’invidia.
Era per questo motivo che ciò che più temeva non era il mutare dei suoi sentimenti, quanto piuttosto il terrore che lui potesse scoprire chi davvero si nascondeva dietro quella porta, oltre il buio indiscusso in cui si incontravano.
Era per questo motivo che da quattro notti, Hermione si rigirava senza sosta tra le coperte del suo letto, senza riuscire ad addormentarsi e domandandosi cosa avrebbe dovuto fare. Tornare significava mettere in pericolo se stessa, ma quei pochi giorni di astinenza dai loro incontri le erano bastati per capire che non le importava chi si celasse dietro quella porta – nemmeno se quella persona era Draco Malfoy, perché lei, in definitiva, sapeva che quel ragazzo non era davvero Draco Malfoy.
E poi si sentiva strana dentro, soprattutto all’altezza dello stomaco, irritato da emozioni complicate e silenziose; rabbia, e delusione, e qualcos’altro a cui non avrebbe saputo dare un nome, ma che faceva più male di tutto.
 

***

 
Cosa ci faceva lì, di nuovo?
Draco osservava il suo pallido riflesso sullo specchio, rigato da linee imperfette e traballanti che sembravano mimare alla perfezione le crepe del suo cuore. Respirava pesantemente, il volto contratto da una smorfia di quello che sembrava dolore, gli occhi irrigati da qualcosa di molto simile alle lacrime. L’antica angoscia di ottobre si era di nuovo impadronita di lui, e l’incessante senso di nausea che non gli aveva dato tregua in quegli ultimi mesi era tornato più intenso che mai, insieme a un’insonnia talmente drenante che il ragazzo pensò che la sua fine doveva essere vicina, e sarebbe giunta per sfinimento.
Quattro giorni. Quattro lunghissimi, infiniti, angoscianti giorni. Quattro giorni di solitudine, di paura, di inutili attese e di parole a vuote. Quattro giorni di domande rivolte a un cubicolo vuoto, quattro giorni di domande che non avevano risposta. Quattro giorni di silenzio. Quattro giorni di nulla. Quattro giorni di quotidianità, squallida, deludente, inutile. Quattro giorni senza favole a stemperare l’incubo della sua vita.
E lui era ancora lì. Ad attendere, senza più speranze, un’altra di quelle luci che si era spenta.
«Oh, lo sapevo» Una voce deliziata, accesa di divertimento e malizia. «Sapevo che sarebbe successo. Nessuno ti capisce, nessuno ci capisce».
Mentre Mirtilla Malcontenta si avvicinava a lui, accostando il volto al suo orecchio tanto da farlo rabbrividire, Draco strinse le nocche attorno al lavandino di ceramica semi-distrutto.
«Ma stai tranquillo, io non ti lascerò mai» Il fantasma, pallido e scintillante nella semi-oscurità sinistra del bagno, continuava a parlare, ignara del fatto che il ragazzo non la stava più ascoltando. E se mai l’avesse fatto, la prospettiva di quello che lei aveva appena detto, l’avrebbe atterrito sin troppo.
«Io ho capito fin da subito che persona sei. Lei non può capire» La sua voce era un’eco lontana, pallida almeno quanto il volto del ragazzo, che chinò il capo ed emise un gemito spezzato. Il Serpeverde lasciò scivolare una lacrima di pura stanchezza sul volto smagrito, lasciando che la voce ronzante di Mirtilla gli riempisse le orecchie e il cervello. Non riuscì a registrare una sola delle parole che lei disse, ma il solo fatto di non dover ascoltare nient’altro che i pensieri sordi del suo cervello era già una rassicurazione.
Dopo quelle che gli parvero ore, Draco tirò un lungo sospiro, fece un passo indietro, e lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi. Mirtilla si arrestò subito, e lo fissò quasi con delusione: probabilmente gli aveva appena fatto una sincera e macabra proposta di matrimonio. Il ragazzo borbottò qualcosa, e fece un passo verso la porta, ignorando il gelo che gli penetrò le ossa quando il fantasma, indispettito, cercò di fermarlo.
I primi rintocchi della mezzanotte si spalmarono lungo le mura del castello, strisciando attraverso le crepe dei muri e i buchi delle serrature, e raggiungendo infine anche quel bagno. A Draco si strinse il cuore al solo pensiero di ciò che quelle campane avevano significato fino a quel momento.
Stava per aprire la porta, quando, durante una lotta impari e silenziosa contro una Mirtilla che non sembrava intenzionata a lasciarlo andare, il bagno piombò in un’oscurità talmente corposa che Draco allungò un braccio, cercando di scostare la tendina di buio che l’aveva reso cieco.
«Speravo davvero di trovarti ancora qui».
 
Hermione aveva preso la sua decisione, per quanto sbagliata e –  forse – immorale e nonostante lei fosse tuttora confusa. La ragazza aveva calciato via le coperte, si era infiltrata nei dormitori maschili in punta di piedi e, sfruttando l’accondiscendenza del torpore e del sonno, aveva chiesto ad Harry il Mantello dell’Invisibilità. Poi, aveva recuperato dal baule di Ron una manciata di Polvere Buiopesto, era scivolata lungo i gradini di corsa e, giunta al terzo piano, aveva raggiunto la porta del bagno. Dopo averla socchiusa e aver lanciato all’interno la Polvere, era entrata con il Mantello indosso, sbattendo le palpebre nel constatare che l’unica, fioca attenuante, in quell’oscurità fittissima, era il baluginare indispettito delle gote argentate di Mirtilla Malcontenta.
«Non sono qui per te, di certo»rispose quello che ora sapeva essere Malfoy, con voce ricca di astio e un rancore che lei poteva capire.
«Mi dispiace di non essere venuta in questi giorni»disse Hermione in tono mite, consapevole che l’errore era stato solo suo, e solo lei poteva ripararlo. Si sentiva profondamente in colpa per il suo modo di agire, ma al tempo stesso tornare di nuovo in quel bagno, nonostante tutte le nuove conoscenze, era, in qualche strano, complicato modo, rassicurante. Senza che lei glielo ordinasse, le sue labbra si arcuarono a formare un sorriso.
«Ah, non sei venuta?»ribatté il ragazzo, la voce avvelenata dalla rabbia e dal sarcasmo. «Non me n’ero accorto»continuò, in un moto d’orgoglio che fece sospirare la giovane Grifondoro.
«Non volevo lasciarti solo, ma ho avuto…»cominciò Hermione, la mente che annaspava alla ricerca di una scusa valida, di una giustificazione che non fosse la realtà – perché la verità non poteva dirla, sarebbe stata una condanna a morte, nonché la fine di quell’idillio che durava da mesi e che lei si rendeva conto voleva che durasse ancora.
«Ha avuto altro da fare. Io, invece, ti sono rimasta accanto, Dra…»Mirtilla Malcontenta squittì quando il ringhio di Malfoy sovrastò la sua voce.
«Vattene»disse in un sibilo inferocito, e non era chiaro se si riferisse al fantasma o alla ragazza.
«Hai capito? Vattene via, lui non vuole stare con te, sporca Mudblood»Mirtilla, che tanto per cambiare aveva frainteso tutto e non perdeva occasione per insultare e sputare odio e cattiverie sulle persone, si avvicinò ad Hermione e con il volto contratto da una smorfia divertita, pronunciò quelle parole, lentamente e con tono allegro. Proprio quella timida ragazzina che un tempo era oggetto di scherno, ora si divertiva a deridere e beffeggiare i vivi; era una sorta di legge del contrappasso, bislacca e anche un po’ contorta.
«Anche tu sei una Mudblood, Mirtilla»replicò la Grifondoro con tutta la tranquilla superiorità di cui disponeva. Mirtilla arricciò il naso, e aprì la bocca per ribattere, ma Malfoy fu più veloce.
«Dicevo a te, non a lei»disse, e la sua voce traballò per un attimo. Tuttavia, era innegabile che si riferisse al fantasma, questa volta. Mirtilla spalancò la bocca, lanciò un’occhiata indignata al punto buio in cui Hermione supponeva ci fosse il ragazzo, poi, ululando dal dispiacere e dall’umiliazione, si tuffò all’interno di un water e sparì alla vista, lasciando dietro di sé solo qualche spruzzo d’acqua e l’eco del suo pianto.
 
«Io me ne vado»borbottò Draco, irritato. Brancolando nel buio, le braccia a tastare l’oscurità che lo avvolgeva e gli occhi assottigliati nel vano tentativo di scorgere qualcosa, fece qualche passo, e, per sua grande sfortuna, andrò a sbattere proprio contro la Corvonero. Sbuffò, infastidito, e cercò di districarsi da lei, e di darsi un contegno e un tono. La stoffa di quello che sembrava un preziosissimo mantello di pregiata seta gli si impigliò tra le dita, e lui se ne liberò con un brontolio seccato.
Sentire la sua voce era stato come aspirare una boccata d’aria fresca dopo mesi di smog. Improvvisamente, l’orrore che gli aveva avvolto il cuore come un cancro malvagio e incurabile, sempre più invadente e nocivo, era stato sostituito da quella leggerezza, nascosta tra le pieghe del suo cuore, che sempre riemergeva quando stava con lei.
Quei giorni di solitudine erano stati un rinnovarsi continuo dell’incubo, più orrendo e spaventoso che mai in quegli ultimi giorni, in cui alla paura si erano unite le pressioni di suo padre e il marcar stretto di Piton. La presenza della ragazza, che nei mesi precedenti era stata una medicina capace di lenire ogni brutto pensiero e ogni terribile turbamento, gli era mancata.
Tuttavia, Draco aveva un orgoglio da difendere. Non voleva darle l’impressione di averla aspettata così a lungo. Non avrebbe mai ammesso, né a lei né, tantomeno, a se stesso, che lei gli era mancata, così come non avrebbe mai ammesso che quel lieve, sfuggevole e inaspettato sfiorarsi – quello scontro che lui non aveva premeditato – era stata una scarica di adrenalina. La piacevole scoperta che non aveva sognato tutto, che non si era immaginato favole babbane e profumo di casa.
«Io… sono stata in Infermeria» Interpretando nel modo giusto il suo mutismo, la Corvonero cominciò, con voce tremante ed incerta, a parlare, così da riempire il silenzio teso che si era creato – un silenzio che raramente c’era stato tra di loro. «Madama Chips non mi ha permesso di uscire, e non ha fatto entrare nessuno. Non mi ha nemmeno permesso di… ehm… mandarti il mio gufo. Sai, i batteri e tutto il resto… non sapevo come avvisarti. Mi dispiace» spiegò, il tono che da vago si faceva via via più deciso e sicuro.
Draco tacque ancora, assorbendo quella parole e lasciando che il loro significato si formasse nella sua testa.
Malata. Tutto qui, era questa l’unica spiegazione; era solo malata. Suo malgrado, il Serpeverde non potè impedire a un ghigno soddisfatto – un sorriso di sollievo – di arcuargli le labbra. Tutti i suoi timori – non vuole più vedermi, ho fatto qualcosa di sbagliato, non le piace più stare con me, ha scoperto la mia identità – gli sembrarono improvvisamente così stupidi, che si domandò come avesse potuto pensare cose del genere. Forse perché era quello che aveva bisogno di sentire, forse perché riteneva che solo i Serpeverde fossero capaci di mentire così spudoratamente, il pensiero che quella potesse una bugia non lo sfiorò minimamente. Senza dire una parola, Draco la prese per mano.
 

***

 
Hermione sapeva che quella era la scelta sbagliata, per un sacco di motivi che lei continuava a negare a se stessa. Inizialmente, giustificò il proseguire di quegli incontri con una banale ma inevitabile scusa: scoprire cosa il ragazzo aveva in mente. Perché, benchè continuasse a negare la realtà dei fatti davanti ad Harry, era chiaro che Draco Malfoy stesse tramando qualcosa. Se quello del bambino sopravvissuto era solo un sospetto, quella di Hermione era una certezza: aveva ascoltato a lungo i suoi turbamenti, ed era abbastanza intelligente da capire che c’era qualcosa, sotto quella paura, nascosta e negata. Cosa, temeva di saperlo, sebbene continuasse a temporeggiare.
Perciò, dopo una breve pausa, i due ragazzi ripresero il loro percorso laddove lo avevano lasciato, una sera di Marzo in un bagno buio.
Mentre la voce di quello che ora sapeva essere Malfoy le riempiva le orecchie, nonostante i pensieri negativi e i turbamenti interiori, Hermione ripercorse il loro frastagliato rapporto – se così si poteva chiamare: quell’odio continuo, ogni giorno più irritante e velenoso, che aveva portato a un distacco impossibile da colmare. Se non che, un giorno, quei due nemici che sembravano destinati ad odiarsi per sempre, si erano incontrati, in un modo strano e bellissimo. E si erano riempiti il cuore l’uno dell’altra, tanto che ora la Grifondoro non riusciva più a vedere il ghigno malevolo di Malfoy, né a sentire i suoi insulti sprezzanti; tutto ciò che avvertiva, era la voce di Draco, e il ritmo del suo cuore.
Non sapeva ancora che tutto ciò che la spingeva verso di lui non era solo l’attrazione verso l’enigma risolto della sua identità, ma qualcosa di diverso: era l’anima che era riuscita a intravedere dietro la maschera di fredda indifferenza del giovane; era la solitudine che li accomunava, la fragilità di un momento difficile. Era la dolcezza di una voce che suonava leggera persino in quell’arroganza ostentata, persino in parole che sarebbero dovute essere di disprezzo, e che invece sulle sue labbra si trasformavano, e da vermi striscianti diventavano farfalle colorate.
«Pensavo che non saresti più tornata, Mudblood» ammise timidamente Malfoy, in un sussurro che sembrava quasi spaventato. Hermione tacque per un attimo, assaggiando il suono di quella parola che doveva essere orribile e che invece adesso suonava incredibilmente dolce.
«Io come posso chiamarti?» domandò dopo pochi minuti di silenzio, invece di rispondere all’affermazione del giovane.
«Un nome… è così importante?» Il Serpeverde sospirò, e la Grifondoro avvertì una certa stanchezza in quella replica. «Un nome non vale niente, non dice niente di una persona» aggiunse a voce alta, il tono sicuro ma venato di una fragilità e una sofferenza intuibili persino attraverso il muro di superbia che aveva eretto. Hermione rimase un po’ spiazzata da quelle parole, ma si trovò perfettamente d’accordo. Così, lasciò scorrere del tempo vuoto, tra di loro, minuti silenziosi ma in qualche modo pieni di sentimento. Erano seduti l’uno accanto all’altra, e l’unico, flebile contatto tra di loro era il timido sfiorarsi delle loro dita.
«Mi sento un po’ come Sharazad, sai?» confessò la Grifondoro. Un fruscio accanto a lei le annunciò che lui si era voltato, curioso e interessato.
«Chi?» domandò Malfoy, perplesso ma attento.
«Sharazad»ripetè Hermione, stavolta più lentamente, per fare in modo che lui si abituasse al suono di quella parola. «È una donna costretta a sposare un sultano» continuò, ora immersa in quella storia più di quanto volesse ammettere. La similitudine con quella donna audace e scaltra le era nata, spontanea, un attimo prima che il pensiero divenisse parola, e più ci pensava, più quel paragone le sembrava calzante.
«Cos’è un sultano?» chiese il ragazzo, il tono improvvisamente scettico e incredulo.
«Una specie di re. Un re arabo» spiegò la giovane con una punta di divertimento nella voce.
«E perché la costringono?» Malfoy aveva evidentemente deciso di non dare troppo peso alla questione del sultano. Forse convinto dal fatto che fosse un re, o forse semplicemente disinteressato alla questione, il Serpeverde strisciò un po’ più vicino a lei e rimase in silenzio, ad ascoltare, interrompendola solo con qualche domanda, di tanto in tanto, come un bambino curioso che necessita di più particolari possibili.
«Così vuole la tradizione» chiarì Hermione, con una naturalezza morbida e caldissima. Il suo tono conteneva una lontanissima nota di rimprovero e biasimo, così remota da essere quasi invisibile.
«Tradizioni. Ne so qualcosa» borbottò Malfoy. La Grifondoro sorrise, eppure una strana amarezza le oppresse il cuore. Alla luce della sua scoperta, quella piccola confessione assumeva sfumature inaspettate: la certezza che lui, per quanto Malfoy, non era poi così fiero di esserlo. «Ma lei non vuole sposarlo, giusto?» domandò lui, interrompendo i pensieri della giovane.
«No» confermò Hermione. «Anche perché il sultano, dopo la prima notte di nozze, uccide la sua regina, per prenderne in sposa un’altra» spiegò, il disprezzo ben evidente nella voce.
«Furbo questo slutano» commentò il Serpeverde, lasciandosi andare a una risata divertita e spensierata.
«Sultano» lo corresse lei ridendo. «Ma Sharazad è più furba» rivelò dolcemente, e un sorriso le arcuò le labbra.
«Che fa?» domandò Malfoy in un sussurro, a voce così bassa che Hermione non potè fare a meno di stringergli più forte la mano, così da rassicurarlo, perché quel bisbiglio sembrava quasi il battito ubriaco di un bambino impaurito.
«Ogni sera gli racconta una favola, così lui non ha il tempo di ucciderla» raccontò piano, per non fargli perdere una sola parola. Lo imboccava a poco a poco, come sempre: un cucchiaino alla volta, una storia alla volta, un particolare alla volta. Gocce di miele e favole di pesco – dolci, morbide, leggere.
«Anche tu mi racconti le favole» considerò Malfoy, come illuminato da un improvviso pensiero – lo stesso che aveva spinto Hermione a raccontargli proprio quella favola. Lei si irrigidì, e le sue dita si mossero, irrequiete, dentro la mano calda di lui.
«Sì» sussurrò lei, quasi temesse che le intenzioni del Serpeverde fossero simili a quelle del sultano.
«Ma io non voglio ucciderti» Come intuendo il suo timore, Malfoy le accostò le labbra all’orecchio e le sussurrò quelle parole con dolcezza. Sembrava quasi che ci fosse un sorriso, in quella tenera confessione. Tuttavia Hermione, dentro di sé, pensò che non ne era tanto sicura.
 

***

 
«Perché non scappi?»
«Come?»
«Tempo fa mi hai detto che volevi scappare»
«E tu mi hai detto che scappare non serve»
«Ti ho anche detto che tra Purosangue e Mezzosangue non c’è differenza, ma non mi pare tu abbia cambiato idea»
«No, infatti» disse Draco, anche se non ne era poi così sicuro. Non più, almeno. Un tempo avrebbe senz’altro affermato, con tutta sicurezza, che il suo sangue era quanto di più importante possedesse. Non era, però, certo, se le sue certezze avessero cominciato a vacillare prima o dopo averla conosciuta. Draco non si era domandato, sino a quel momento, chi fosse quella donna: non gli importava, ed aveva altri pensieri per la testa. Aveva fantasticato sulla sua identità, questo sì; ma tra la fantasia e la realtà c’era una grande differenza. Tuttavia, ultimamente il ragazzo si era reso conto che quegli incontri erano diventati l’unico sprono per andare avanti; si era reso conto che li attendeva con ansia. Allora anche lui aveva cominciato a diventare curioso, perché quella ragazza non era più solo una confidente. Era quanto di più simile a un’amica avesse, ed era anche una ragione, era dolcezza, era casa, era leggerezza, era sentimento – quel sentimento che non aveva mai conosciuto, sino a quel momento.
«Allora cosa ti trattiene?» domandò la sua voce soffice.
«Responsabilità» replicò lui in un sussurro atterrito.
«Non ti facevo un ragazzo responsabile» commentò lei con semplicità e naturalezza. Se Draco non fosse stato tanto concentrato su se stesso, forse avrebbe potuto intuire una nota di incertezza ed eccessiva perplessità in quella constatazione, che non sarebbe dovuta nemmeno esistere: perché tra di loro c’erano state tante parole, è vero, ma ben poche occasioni di testare certi aspetti del carattere altrui.
«Non lo sono» replicò il ragazzo. «È che a volte…» si fermò, cercando di trovare le parole giuste. Solo che parole giuste non ce n’erano; non lì, non per quello che doveva dire. «Sto solo cercando di fare la cosa giusta» ammise con asciuttezza, schioccando le labbra.
«Per chi?» domandò la Corvonero, con il solito, ingenuo candore che ne contraddistingueva non solo la voce, ma anche i pensieri.
«Per me e la mia famiglia» rispose senza timore o dubbi il Serpeverde, prima di potersi frenare. Seguì una pausa molto lunga, durante la quale Draco si domandò se avesse fatto bene a rivelarle quel particolare. Il suo cuore accelerò i battiti, e lui cominciò a sudare freddo. Stava per alzarsi in piedi ed andarsene, quando lei, stringendogli un po’ più forte la mano, disse: «Sei molto coraggioso». Con semplicità, con concisione, con sicurezza.
Sei molto coraggioso.
Draco rimase immobile, la bocca spalancata e le palpebre che sbattevano velocemente per l’incredulità. Nonostante fosse cieco in quel buio impenetrabile, continuava ad aprire e chiudere gli occhi, come se si aspettasse di vedere qualcosa, davanti a lui – la verità.
«Cosa?» disse, certo di aver sentito male.
«Dico sul serio. Non è facile rimanere, affrontare i problemi, correre rischi; tutto per la propria famiglia. Non tutti lo fanno» confessò lei, e il suo tono sembrava, se possibile, ammirato.
«Tu lo faresti?» domandò lui, improvvisamente desideroso di vederla in viso, di guardarla negli occhi. Si dovette accontentare solo del suo respiro caldo sulla pelle, e delle sue dita sottili e tenere sulla carne.
«Non lo so. Credo di sì – spero di sì – ma chi può dirlo» disse velocemente. Tacque per qualche secondo, poi, a bassa voce, aggiunse: «È una cosa molto altruista». Lo disse piano, come se fosse più una constatazione fatta con se stessa, pronunciata con reverenziale timore.
«Ed è ancora altruista se per salvare la mia famiglia devo sacrificare qualcun altro?» domandò Draco tutto d’un fiato. Un attimo dopo aver pronunciato quelle parole, si pentì di averlo fatto, e si morse la lingua, sperando che lei non avesse sentito.
«Cosa intendi?» Ma erano troppo vicini – in tutti i sensi – perché lei non potesse udire quella confessione, lui lo sapeva.
«Niente» si affrettò a rispondere, lasciando scivolare la mano dalle sue dita.
Il silenzio che seguì fu molto sgradevole per Draco. Non era pesante, né imbarazzante; era solo spaventoso, in qualche modo opprimente, perché lui si aspettava di vedere, da un momento all’altro, una luce, a squarciare il buio. E allora magari tutto quel mistero delle identità sarebbe stato svelato, e la magia si sarebbe persa. Non solo: lei avrebbe scoperto la sua identità, avrebbe intuito il suo piano e l’avrebbe denunciato.
 
Hermione, invece, visse quel silenzio in maniera molto diversa. Con piacevolezza, con sorpresa, perché la scoperta di quell’altruismo insospettabile aveva meravigliato anche lei, e ora, con il sorriso sulle labbra, la Grifondoro rimase immobile, con il cuore che batteva e qualche parola incastrata sulle labbra.
«Quando avevo sette anni i miei genitori mi regalarono un canarino» disse. Poi si fermò, per assicurarsi che quelle parole giungessero alle orecchie del ragazzo, per assicurarsi che lui la stesse ascoltando, che fosse ancora una volta rapito dai suoi racconti. Dopo qualche minuto, concedendosi il beneficio del dubbio, continuò: «Un giorno, mentre ero in giardino, vidi un verme. Lo presi e lo diedi da mangiare al canarino».
«Questo cosa c’entra?» domandò Malfoy che, evidentemente, aveva ascoltato, ma non aveva colto il senso di quello che lei voleva dirle. Hermione sorrise, e, a tentoni nel buio, cercò la sua mano. Solo quando riuscì ad intrecciare le sue dita a quelle del ragazzo, rispose.
«Non mi importava di aver ucciso un verme, di aver fatto del male ad un’altra creatura. Quello era il mio canarino e io dovevo prendermi cura di lui» spiegò, come se quelle sole parole bastassero a chiarire l’inusuale parentesi – apparentemente fuori luogo – che lei aveva aperto. Ci fu qualche istante di silenzio, durante il quale Hermione si immaginò un Lucius Malfoy vestito di giallo che mangiava vermi. Quell’immagine, formatasi inaspettatamente nella sua mente, giunse in maniera così repentina ed inattesa, che la ragazza non poté fare a meno di scoppiare a ridere.
 
La sua risata, ben presto, si unì a quella di Draco, che, invece, non aveva ben capito se lui fosse il canarino o il verme; ma nella sua mente era giunta l’immagine di un Albus Silente coperto di piume gialle, e allora non aveva potuto fare a meno di unirsi alla sua risata leggera, spensierata, dolcissima.
E in quel momento nessuno dei due pensò a nient’altro che non fosse quel bagno, e l’intimità tenerissima delle loro parole.
Si può uccidere il male seppellendolo di risate?
 
Hermione non aveva più dubbi, ormai. Mentre le loro risate si fondevano, ebbe la certezza assoluta che da qualche parte tra le risate, le lunghe discussioni, gli stupidi incontri sconsiderati e le battute perse, si era innamorata.
Quando Aprile cominciò, Hermione si domandò che sapore avrebbe avuto sulle labbra di Draco Malfoy.


******************************************************************************************************************************

Nota dell'autrice:
La traduzione della canzone inserita all'inizio del capitolo è la seguente:
"Darei ogni cosa per concedermi a te Puoi tu dimenticare il mondo che credevi di conoscere? Se mi vuoi, vieni e trovami. Crederò a tutte le tue bugie: fingi giusto di amarmi. Sarò, tutto quello di cui hai bisogno".
Vi posto questo capitolo "in extremis", giusto per non lasciarvi senza aggiornamenti troppo a lungo. E' un capitolo un po' più corto degli altri sia perchè è di passaggio, sia perchè ho avuto pocchissimo tempo per scriverlo. L'ho finito due minuti fa, e ve lo posto subito: non sto nemmeno rileggendo per controllare eventuali errori di battitura/testo/comprensione, quindi vi prego di essere clementi con me e, qualora possiate/vogliate, di segnalarmi eventuali errori. Li correggerò appena possibile.
Il fatto è che domani mattina parto, e sto via una settimana; non volevo lasciarvi senza aggiornamenti per più di due settimane di fila, e dato che in viaggio non avrò modo di scrivere nè di aggiornare ho preferito postare subito questo capitolo: s
pero ve lo godiate.
Come avrete notato, qui ho sostituito il termine "Mezzosangue" con il più appropriato "Mudblood": questo perchè, come mi si è fatto notrae, la traduzione italiana è errata da questo punti di vista, e per amor di giustizia ho preferito propendere per la versione inglese di questo termine.
Risponderò a tutte le recensioni appena mi sarà possibile: avrete tutti una risposta, ve lo assicuro, vi chiedo solo di pazientare un po'! Chiedo ancora scusa - perchè sono sicura che questo capitolo sarà pieno di errori!

Un grosso bacio a tutti. E soprattutto, un grandissimo grazie a tutti quelli che hanno inserito questa storia tra le seguite, tra le ricordate e tra le preferite, a tutti quelli che hanno recensito e a tutti quelli che leggono in silenzio e in silenzio mi seguono. Grazie, semplicemente :)
Per qualsiasi info, domanda o aggiornamento, mi trovate qui: Eloise

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 5: La bella e la bestia - ovvero d'amore e d'ombra ***


Capitolo 5:
La Bella e la Bestia – ovvero d’amore e d’ombra

 

«Ma lei lo avvertì di non lasciarsi ingannare dalle apparenze,
perché la vera bellezza si trova nel cuore»

 

«Cosa ti succede in questi giorni?»
«Perché?»
«Sei così distante…»
«Sono qui»
Draco strinse più forte la mano della Corvonero, come se volesse dimostrarle che lui era proprio accanto a lei, presente e partecipe. Ma lei sembrava sempre vedere e sentire oltre le semplici apparenze superficiali che erano state, invece, il suo nutrimento per molto tempo. Sebbene la ragazza avesse ricambiato la carezza morbida e tiepida della sua mano, c’era qualcosa, nel timbro della sua voce, che denunciava l’irrequieta perplessità che si celava dietro la sua constatazione.
«Solo fisicamente»rispose con quel suo candore dolcissimo, quella sua genuina semplicità che tanto lo rilassava, ma che era evidente nascondesse un certo timore.
Draco emise un lungo, profondo respiro, e tacque per molti minuti. Lei non disse niente, e non si mosse: sembrava in attesa, come se sapesse di non dover fare né dire nulla, di dover solo aspettare. Aspettare che lui fosse pronto, aspettare che lui venisse a patti con la realtà di ciò che provava, così da riversare quel fiume di parole che gli imperversava dentro direttamente su di lei.
 
Hermione rimase immobile, fino a quando lui non si chinò verso di lei, e seppellì il viso nel suo petto, come un bambino si rifugia tra le braccia della propria madre durante una notte di temporale. Rimase immobile fino a quando non riuscì a bere il suo respiro e sentire il battito del suo cuore direttamente sul suo seno, e per qualche strano motivo, quel contatto faceva male, e bene, e male. Ma in quell’abbraccio, entrambi rinacquero.
«Ho paura»Era solo un sussurro, e, forse, se la Grifondoro non fosse stata così vicina a lui, non l’avrebbe sentito; era solo un sussurro, ma, al tempo stesso, era molto di più. Era un grido, una supplica, una richiesta d’aiuto.
Una lacrima silenziosa scivolò sulla guancia di Hermione. Il suo abbraccio divenne un appiglio di consolazione, e un pozzo entro cui raccogliere le lacrime – o, forse, dentro il quale gettare le proprie paure. Quella notte fu l’alba a separarli.
 

***

 
Maggio giunse prima del previsto, portando con sé non solo il piacevole tepore di una promettente estate, ma anche un inevitabile senso di inadeguatezza e di ansia. E non erano gli imminenti esami a dare a Draco quella sensazione di instabilità.
Era come essere costantemente in bilico tra l’inferno e il paradiso: da un lato c’era il giorno, sempre interminabile e pieno di timori, irrequietezza, lacrime e nervosismo. Il giorno, infinito, e incredibilmente e paradossalmente buio, nonostante i raggi di sole che squarciavano il cielo e illuminavano il parco di Hogwarts. Il giorno, cioè il confronto con la sua realtà, e l’avvicinarsi inesorabile del compimento della sua missione.
Dall’altro lato c’era la notte: veloce, ma in un modo dolcissimo. Quelle ore passavano come se fossero solo pochi secondi, e Draco aveva appena il tempo di godere del timbro della sua voce, del suono della sua risata, del suo profumo di agrumi e mimose – profumo di casa – che già la luce tornava a tormentarlo con la sua falsa promessa. La notte era quanto di più luminoso ci fosse nella sua vita, anche se viveva nel costante buio indotto dalla Polvere dei gemelli Weasley. La notte era luminosa perché lei la rendeva tale; era una favola che lui non voleva terminare, era un sogno da cui non si voleva svegliare.
Se Draco avesse avuto un po’ di tempo e serenità in più, si sarebbe interrogato sull’identità di quella ragazza. Ma, considerato il suo stato d’animo e il peso che era costretto a sopportare, le domande che si poneva erano altre, e l’unico pensiero che riguardava la Corvonero era quello della dolcezza con cui ogni giorno gli riempiva il cuore.
Il suo destino era ormai a un passo dal compimento: il tempo stringeva, come un cappio al collo di un condannato a morte. Le pressioni di Lucius erano diventate sempre più insistenti, le minacce di Bellatrix si erano trasformate in incubi da cui era difficile svegliarsi – e se succedeva, Draco dubitava di essere ancora vivo. Il professor Piton non faceva altro che pressarlo, per farsi rivelare il suo piano, ma lui, cocciuto e convinto di voler la gloria solo per sé – era poi tanto importante, la gloria? – continuava a tacere.
«Forse posso aiutarti»seguitava a suggerire la Corvonero, ogni volta che, casualmente, l’argomento di conversazione ricadeva sulla sua missione. Forse era solo un’impressione, ma Draco non poté fare a meno di notare che negli ultimi giorni lei stava diventando fastidiosamente insistente sull’argomento.
«Nessuno può aiutarmi»replicava bruscamente lui, scostandosi ogni volta, come se il contatto con la sua pelle morbida scottasse più del dovuto. E lei, consapevole di aver esagerato, sospirava, si avvicinava a lui e poggiava la testa sul suo petto, ascoltando il battito del suo cuore, senza parlare, fino a quando il ritmo non tornava quieto.
 

***

 
A metà del mese, quando ormai gli esami erano tanto vicini che Hermione aveva smesso di preoccuparsi di qualsiasi cosa non fosse il ripasso meticoloso di ogni materia, giunse la conferma che il Principe Mezzosangue altro non era se non un pericolo.
La mattina era cominciata con una lunga chiacchierata con Ginny, troppo sveglia e scaltra per non accorgersi dei misteri della sua migliore amica, che scompariva ogni notte, per tornare solo all’alba, e che, cosa ancora più strana, non faceva altro che guardare Draco Malfoy. Nonostante Hermione avesse più volte ripetuto che la ragazza si stesse decisamente sbagliando, che la sua idea era folle e che aveva visto male, la giovane non era capace di dire bugie, per cui Ginny l’aveva ben presto smascherata, e, imbarazzata e con gli occhi bassi, l’amica era stata costretta a raccontargli tutto. Ginny aveva ascoltato in silenzio, con le labbra strette e l’espressione indecifrabile di chi cerca di mandar giù una pietanza particolarmente disgustosa rimasta incastrata nella gola. Alla fine, si era alzata, e, senza dire una parola, aveva voltato le spalle ad Hermione. E lei, ripensando alla loro discussione, non aveva potuto fare a meno di constatare che, per quanto si fosse sforzata, non era riuscita minimamente a comunicarle il suo senso di benessere, la dolcezza di quei momenti, gli speciali istanti passati in compagnia di quel ragazzo che non era solo Draco Malfoy, ma qualcosa di più. Non se n’era preoccupata più di tanto, perché riteneva quegli incontri una cosa intima, personale, bella proprio perché segreta e ai più irraggiungibile. Tuttavia, era stata costretta a sopportare gli sguardi ammonitori di Ginny e le sue parole taglienti quando, quello stesso pomeriggio, Harry era tornato annunciando che aveva quasi ucciso Draco Malfoy con il Sectumsempra imparato dal Principe Mezzosangue.
Sorprendentemente, per quanto un improvviso senso di angoscia e nausea l’avesse travolta nell’apprendere la notizia, Hermione era riuscita a controllarsi, e aveva rimproverato Harry, imputando la colpa in gran parte al principe, e condannando la sua scelta di usare quell’incantesimo senza conoscerne gli effetti. Ginny, che vedeva dietro quelle parole la verità appresa quella stessa mattina, aveva preso le parti di Harry, con grande sorpresa del ragazzo e di suo fratello, che non si aspettavano quell’asprezza tra le due, e non ne comprendevano il motivo.
 
Draco rimase in Infermeria per tre giorni, e non ci fu notte in cui non tentò di sgattaiolare fuori per raggiungere il bagno del terzo piano. Le misure di sicurezza di Madama Chips, tuttavia, erano troppo strette, e il ragazzo non riuscì mai nel suo intento.
Nonostante Hermione sapesse che lui era rinchiuso un piano più su, senza possibilità di recarsi nel loro luogo d’incontri, non mancò mai di farsi trovare all’interno del suo cubicolo. La seconda sera, fu anche tentata di andare direttamente in Infermeria, ma questo avrebbe significato svelare al ragazzo che lei aveva scoperto la sua identità, e non le sembrava affatto una grande idea. Per cui, paziente, si limitò ad aspettare. Ogni sera chiudeva gli occhi, immaginando che lui fosse lì; a volte, le sembrava di sentire il suo profumo pungerle le narici, e, benché sapesse che era solo la sua immaginazione, non poteva fare a meno di sorridere, e di cominciare a raccontare le favole.
 

***
 

«Ho detto a una mia amica di noi due» esordì Hermione la sera in cui lui tornò. Non gli chiese il motivo per cui non si era fatto vedere per tre notti di seguito – d’altronde, lo sapeva già. E lui non rimarcò più di tanto quella mancanza, perché c’era sempre quella paura che lei potesse scoprire ciò che aveva già intuito – ma questo, lui non poteva saperlo.
«Oh»disse soltanto. La ragazza lo sentì irrigidirsi appena.
«Ma me ne sono pentita»aggiunse con un filo di voce, come se quelle sole parole avessero il potere di riparare a quell’errore e farsi perdonare per quell’azione.
«Perché?»domandò lui, una nota di perplessità nella voce.
«Non ha capito niente»rispose con sicurezza Hermione, benché nel tono vi fosse una sfumatura amara e rancorosa.
«Cosa c’è da capire?»chiese ancora Draco, muovendosi appena, come se, nel buio, avesse voluto distinguere qualcosa del volto della ragazza.
«Quello che c’è tra di noi non è una cosa comune»replicò con sicurezza la Grifondoro.
«Non c’è niente tra di noi»la redarguì il giovane, il rimprovero e il timore ben evidenti nella voce.
«C’è qualcosa di molto speciale. Noi siamo speciali»lo contraddisse Hermione quietamente, come se quella fosse una constatazione tanto ovvia da essere quasi superflua. Draco non rispose per molto tempo. Rimase in silenzio, a respirare pesantemente, come se avesse bisogno di qualche minuto per percepire davvero il significato di quelle parole, per accettarle, per metabolizzarle.
«Ho cominciato a guardare il tavolo di Corvonero, a colazione»ammise lentamente, parlando con fatica, come se ogni singola parola gli costasse un incredibile sforzo. Hermione sorrise.
«Io guardo il tavolo di Serpeverde anche a pranzo e a cena»disse, e poi rise. Non riuscì a fermare quell’esternazione di spensieratezza e leggerezza, quell’allegria che sempre provava quando stava con lui, e che sentiva soprattutto ora. Era sollevata che lui fosse ancora vivo, che stesse ancora bene. Non sapeva che le ferite del giovane erano più profonde di uno sguardo.
 

***

 
«Tra poco dovremo salutarci»
«Sono solo le due»
«Intendo…»una lunga pausa, un sospiro. «È quasi Giugno ormai»
«È ancora Maggio. C’è tempo»
«No, non è vero. Non c’è più tempo, e presto finirà tutto»
«Potremo sempre tenerci in contatto. E poi, c’è sempre l’anno prossimo»
«L’anno prossimo non tornerò ad Hogwarts»
Un improvviso e doloroso senso di oppressione compresse i polmoni di Hermione, facendole mancare il respiro. Irrequieta, e colpita da una fitta che pulsava e bruciava all’altezza del seno sinistro, sentì il bisogno di alzarsi in piedi, di muoversi, di cambiare posizione per attenuare quel dolore sordo. Mentre assumeva, pur rimanendo seduta, una posizione più comoda e composta, allontanandosi dal petto di Draco – dal suo odore, dalla sua voce, dal suo calore – cercò di interpretare quelle parole in modo logico, ma non riuscì a trovare una via di fuga sensata, soprattutto, non fu capace di alleviare quel senso di oppressione che le comprimeva il petto.
«Che intendi?»boccheggiò, incredula, sbattendo le palpebre e annaspando nel buio fitto del bagno. Un gocciolio lontano fece eco alla sua domanda.
«Quello che ho detto»replicò secco il Serpeverde. Il suo tono era brusco, eppure nascondeva al suo interno una lontana nota di panico, come una riluttanza difficile da sopprimere. Non cercò di nuovo il contatto con lei, e questo le fece intendere che lui non aveva intenzione di continuare a parlare del futuro che li aspettava, oltre la porta di quel bagno.
«Perché?»chiese subito la giovane, che, invece, non era disposta a lasciar perdere quel discorso.
 
Draco emise un sospiro, e si alzò in piedi di scatto. Infilò le mani in tasca, e ascoltò i suoi passi che rimbombavano lungo le pareti del bagno. Immaginò lo sguardo della ragazza che lo cercava, nel buio. Per qualche minuto, non fece altro che camminare avanti e indietro davanti a lei – anche se non la poteva vedere, anche se non poteva vedere nient’altro che oscurità, intorno, palpabile tanto era fitta, vera almeno quanto le tenebre che annerivano il suo cuore.
«Devi… devi farmi un favore»disse dopo un’intensa pausa di riflessione, il tono leggermente incerto. «Puoi farlo?»
«Un favore?»ripeté, perplessa, la Corvonero. «Di cosa si tratta?»chiese, curiosa e preoccupata al tempo stesso.
«Quando arriverà il momento, devi promettermi… quando io te lo dirò... Devi giurarmi che scapperai»spiegò con riluttanza. C’era una sfumatura di panico non indifferente nella sua voce, una nota di evidente paura che stonava appena con la sicurezza con cui aveva pronunciato quelle parole, per quanto ognuna gli fosse costata uno sforzo enorme. Ma era certo di ciò che aveva detto, perché era certo di volerlo dire.
«Di cosa stai parlando?»domandò subito lei, evidentemente messa in allarme da quella strana richiesta.
«Promettilo»disse lui con ostinazione, evitando volutamente quella domanda e cercando di aggirare l’ostacolo di quella richiesta fastidiosa e pericolosa, per giungere al suo obiettivo.
Non voleva che lei si facesse del male, non voleva metterla in pericolo. Perché Draco, infine, aveva trovato la soluzione ai suoi problemi, ed era riuscito nel suo intento: l’Armadio Svanitore era stato riparato, e mancava poco perché il suo piano giungesse a un perfezionamento tale da poter essere attuato. Di lì a pochi giorni, il ragazzo sarebbe diventato un assassino; eppure, quel pensiero non era nemmeno lontanamente terribile quando quello della morte di quella ragazza. Qualsiasi cosa sarebbe successa di lì a qualche giorno, lei doveva rimanere viva, come l’ultimo baluardo di una strenua difesa, simbolo di verità, di dolcezza, e soprattutto, favola imperitura. Lei, lei sola, sarebbe stata la dimostrazione che, nonostante tutto, il lieto fine, nella vita vera, esiste. Sarebbe bastato solo quello: la sua sopravvivenza. E tutte quelle favole avrebbero infine avuto un senso.
 
«Non posso fare promesse che non sono sicura di poter mantenere» replicò cocciuta Hermione. Il suo cuore aveva cominciato a battere talmente velocemente, che la ragazza era sicura che prima o poi avrebbe squarciato il petto e ne sarebbe uscito fuori. «Da cosa dovrei scappare?»chiese, e la sua voce tremò tanto che si spezzò sulla nota finale di quella domanda.
«Tu pensi che il lieto fine esista anche nella vita vera?»Invece di rispondere, Draco le pose quella richiesta. Il suo timbro, stranamente soffice e pensieroso, sembrava distante, come se provenisse da una dimensione lontana, un mondo diverso da quello in cui si trovavano in quel momento.
«Certo che lo penso»rispose la Grifondoro, cercando di modulare il tono in modo che fosse deciso e sicuro di sé. Tutto ciò che riuscì a ottenere fu un’oscillante paralisi alla lingua, e le parole ne uscirono impastate, ma comunque chiare e udibili.
«Allora aspetterò il nostro lieto fine. Comunque vada»disse il ragazzo. L’eco dei suoi passi annunciò ad Hermione che lui si stava allontanando.
«Non deve per forza esserci una fine!»esclamò la giovane, sperando di poter fermare in tal modo l’allontanamento di Malfoy.
 
Draco si bloccò nel bel mezzo del nulla, in un punto a metà strada tra il loro usuale rifugio e la porta del bagno. Ferito e al tempo stesso addolcito dalle parole della Corvonero, non poté fare a meno di lasciare che un sorriso, amaro ma non per questo meno sentito, gli arcuasse le labbra.
«Non ci sarà, se mi ascolterai. Non ci sarà nessuna fine, se mi prometterai di scappare. Non sei una di quelle stupide Grifondoro, non devi dimostrare coraggio a nessuno. Quando verrà il momento, scappa, o resta nascosta fino a quando non sarà più… sicuro»suggerì il ragazzo con tono duro ma sincero. Per un attimo, valutò l’ipotesi di tornare da lei e stringerle la mano – e il corpo, e la bocca; avrebbe voluto stringerla tutta, per sentire il calore della sua pelle, per assicurarsi che lei fosse vera, perché con tutto quel buio non ne era più tanto sicuro. Tuttavia, un istante dopo tornò in sé, e senza aspettare risposta dalla ragazza, aprì la porta del bagno e si allontanò a grandi passi – prima di cambiare di nuovo idea e tornare da lei, e rivelarle tutto, e implorare aiuto.
Se fosse rimasto anche un solo minuto in più, avrebbe senz’altro sentito il singhiozzo sconsolato di quella che pensava fosse una Corvonero.
«Draco… che cosa stai facendo?»
 

***

 
Una strana inquietudine aveva colto Hermione, quella sera. Mentre lasciava la Sala Comune dei Grifondoro non poteva fare a meno di pensare al suo migliore amico, perduto chissà dove, in qualche anfratto del mondo, a cercare frammenti di magia talmente oscura che solo a pensarci le veniva la pelle d’oca. E in effetti, la pelle d’oca l’aveva davvero, e non perché faceva freddo: anzi, sotto il mantello c’era un tepore persino spiacevole, e quando, infine, la ragazza giunse all’interno del bagno del terzo piano, fu ben lieta di lasciarsi scivolare il cappuccio sulle spalle, aspirando l’aria fresca ma viziata del bagno.
I suoi passi riecheggiarono nel silenzio liquido del luogo. Spruzzi lievi, innaturalmente rimbombati dall’ambiente chiuso e dalla quiete innaturale del bagno, la costrinsero ad abbassare lo sguardo: il pavimento era coperto da centimetri di acqua sudicia.
«Sì, ho allagato il bagno, e allora?!»la richiamò una voce aspra alle sue spalle. Hermione si voltò, e vide il fantasma di Mirtilla Malcontenta, seduta a braccia conserte sul sifone di un water che continuava a perdere acqua.
«Va’ via Mirtilla, ti prego»disse la Grifondoro in tono implorante, lanciando un’occhiata irrequieta alla porta. Si aspettava di vederla spalancarsi da un momento all’altro.
«Da quando sei entrata in scena tu, lui non parla più con me»Mirtilla si era avvicinata così tanto che il suo viso evanescente era a pochi centimetri da quello di Hermione, e il gelo emanato dalla sua figura perlacea le punse la pelle come una sgradevole brezza invernale, del tutto fuori luogo e indesiderata. «Non sai quanto è triste, vagare per le tubature insieme ai pezzi di ca…» La voce pigolante del fantasma venne interrotta bruscamente dalla Grifondoro, che fece un passo di lato per allontanarsi da lei, la schiena percorsa da un brivido di freddo.
«Non mi interessa, trovati qualcun altro con cui parlare»disse con decisione, con tanta scortesia da sorprendere persino se stessa. Il senso di irrequietezza che l’aveva colta all’inizio di quella giornata si acuì in modo del tutto inaspettato. Mirtilla non parve accorgersi di quel particolare, e si avvicinò nuovamente alla ragazza.
«Avevo trovato lui, ma tu me l’hai rubato»la accusò, il viso contratto da una smorfia di rabbia che la faceva sembrare più simile a un carlino di quanto non fosse. Emise un gemito di protesta, e volò fino al soffitto, per poi precipitare verso il pavimento e schizzare Hermione con l’acqua che ricopriva le mattonelle sbreccate e sudicie.
«Non è un oggetto»rispose la Grifondoro piccata, proteggendosi dalle gocce d’acqua che le bagnarono il viso e la divisa. «Lui non si può rubare»aggiunse con una nota di esasperazione nella voce. Si voltò, dando le spalle al fantasma e avviandosi verso il cubicolo che ormai da mesi era diventato il luogo più dolce e bello in cui avesse mai vissuto. Richiuse la porta lentamente, e appoggiò la schiena alla parete, traendo un profondo respiro e cercando di scacciare quel senso di oppressione al petto. Chiuse gli occhi, e il buio che trovò dietro le palpebre fece nascere un sorriso sul suo volto: perché le tenebre, ora, non erano più l’ignoto, né la paura. Il buio era il timbro della sua voce, era il suono della sua risata, aveva il sapore di confessioni timide e sincere, e il nome di Draco Malfoy – per quanto questo sembrasse, ancora, incredibilmente strano.
«Ma tu l’hai fatto»urlò Mirtilla, con la sua voce squillante e sgradevole. Hermione spalancò gli occhi all’improvviso, arricciando il naso in una smorfia di fastidio. Il torace di quell’adolescente pettegola e perennemente depressa sbucava dalla superficie della porta, inquinando il ricordo di ciò che quella sottile striscia di legno aveva significato per lei, e corrompendo il significato intimo e segreto di quel bagno. La Grifondoro stava per farle notare quanto la sua presenza fosse poco gradita, quando Mirtilla riprese: «E allora ho pensato che se magari gli dico chi sei, forse non vorrà più vederti»Un lezioso e scaltro sorriso accese il volto del fantasma. «Mi ha detto che detesta i Mezzosangue. Naturalmente gli ho detto di essere Purosangue»precisò con tono divertito. Una leggera risatina riecheggiò tra le pareti del bagno. Mirtilla scomparve dietro la porta, mentre l’urlo implorante di Hermione la seguiva al di là del cubicolo.
«No! Non farlo Mirtilla, ti prego». La mano della Grifondoro si poggiò sulla maniglia, con tutta l’intenzione di aprire la porta e fronteggiare la dispettosa ragazzina, che, intanto, con voce sognante e acuta, sembrava festeggiare interiormente.
«Oh, appena lo saprà, vedrai, sarà uno…» Un improvviso boato coprì le parole di Mirtilla, o forse le spense del tutto. Il fragore fu tanto intenso e agghiacciante che la mano di Hermione, tremante, si ritrasse dalla maniglia, come se questa avesse scottato.
«Cos’è stato?» domandò Mirtilla, allarmata. Prima che la Grifondoro potesse rispondere, la porta del bagno si spalancò con uno scatto secco, e la familiare e rassicurante voce di Draco le accarezzò le orecchie.
«Ci sei?»domandò, in un tono che sembrava, in qualche modo, frettoloso e definitivo.
 
Aveva usato l’ultimo pugno di Polvere Buiopesto per far strada ai Mangiamorte, e ora l’unica difesa che aveva per la sua identità era quella porta, che guardava con un misto di incredulità e desiderio. Non riusciva più a ricordare perché teneva tanto alla sua identità, e l’improvvisa voglia di guardare negli occhi quella ragazza che per mesi era stata cura e salvezza lo travolse come un pugno nello stomaco.
«Ciao, Draco» sussurrò Mirtilla Malcontenta, le labbra evanescenti e gelide a pochi centimetri dal suo orecchio. Draco la scacciò con un frettoloso gesto della mano, come si manda via una mosca fastidiosa e molesta.
«Sparisci» disse con tono secco e perentorio, marciando rapidamente verso la porta dell’ultimo cubicolo, la bacchetta stretta nella mano destra, le nocche sbiancate e un’espressione di puro panico sul volto.
«Oh, oh, ma…» boccheggiò Mirtilla, prima di fuggire via con un ululato di dolore. Draco non ci fece caso: aveva in testa ben altri pensieri, e si poteva concedere solo un’unica, breve distrazione. E quella distrazione, aveva deciso, sarebbe stata lei. Aveva bisogno di sentirla per l’ultima volta, di ascoltare la sua voce, di aspirare il suo profumo – profumo di casa – perché solo così sarebbe riuscito a non farsi schiacciare dal terrore e dall’orrore che lo aspettava al di là di quell’angolo di paradiso insospettato e privato che erano riusciti a crearsi. Aveva bisogno di sapere che era vera, e che lo sarebbe stata anche dopo che il mondo che aveva conosciuto sino a quel momento sarebbe crollato sotto i colpi inclementi delle tenebre.
«Volevo solo salutarti»disse Draco con tono sbrigativo. Qualcosa gli era rimasto incastrato in gola, e uno spiacevole sapore acido gli stava grattando e corrodendo la trachea, rendendogli difficile ogni parola, ogni respiro. Aveva poco tempo; riusciva quasi a sentire il peso opprimente della morte, come una spada di Damocle sulla sua testa.
«Salutarmi?»ripeté la Corvonero, la voce venata da una sfumatura di inquietudine che persino lui riuscì a intuire, tanto era acuta. «Perché? Te ne vai?»domandò subito, irrequieta e preoccupata.
«Sì»rispose lui, secco. Voltò le spalle alla porta, e cominciò ad incamminarsi verso l’uscita lentamente, come se il suo corpo rifiutasse la sola prospettiva di uscire da quel bagno e andare incontro al suo destino.
«Perché?»chiese la ragazza, la voce più vicina del solito. Si era probabilmente schiacciata contro la porta del cubicolo, così da sentire ogni movimento del giovane.
Draco si fermò, e abbassò il capo, vinto da quel senso di oppressione che da diversi mesi minacciava di schiacciarlo, e che infine era riuscito a vincerlo. L’orrore di quello che stava per fare si concretizzò come un dolore all’altezza dello stomaco, tanto angosciante da incollare qualsiasi parola al palato.
«Non importa» sussurrò il Serpeverde, in un bisbiglio tanto flebile che a stento riuscì a sentirlo lui. Deglutì, poi, con tutta la forza e la dignità di cui ancora disponeva, rialzò il capo, e puntò gli occhi verso l’uscita. Bastava solo fare qualche passo, e i Malfoy sarebbero tornati ai fasti di un tempo, rivestiti di onore e gloria, salvi, vivi. Una porta, e il suo destino sarebbe stato compiuto: quel destino per cui suo padre lo preparava da quando aveva ricevuto il Marchio Nero, in un tempo tanto lontano da sembrare un’altra vita.
Con uno sforzo enorme, Draco compì un passo in avanti, proprio mentre le parole della Corvonero gli accarezzavano il cervello e gli perforavano il cuore.
«Devo raccontarti una storia»disse, con una voce tanto calma che lui sospettò che si stesse trattenendo dall’aprire la porta e corrergli incontro per fermarlo.
«Non posso»Il Serpeverde deglutì, e si rese conto che parlare gli costava ogni briciolo di energia e determinazione che aveva raccolto. Ogni secondo speso in quel bagno ritardava il suo destino e lo allontanava dal suo obiettivo. Non poteva perdere tempo. «Devo andare, davvero»disse, con una sincerità che sorprese persino se stesso. Eppure, quelle parole, più che convincere lei dell’urgenza che aveva in corpo, sarebbero dovute servire a spronare lui. Trasse un profondo respiro, e pronunciò l’unica parola che mai avrebbe voluto dire. Cinque lettere, ma dal suono così maledetto che ognuna di quelle era una pugnalata al cuore.
«Addio».
 
Addio.
Cinque lettere, eppure non erano quelle che Hermione voleva sentire. Erano come una sentenza di morte, e tutti i sospetti che fino a quel momento la ragazza aveva tenuto per sé, tutti i dubbi che aveva cercato con tanta diligenza e alacrità di soffocare in un angolo della sua mente, per permettere al cuore di vedere ciò che voleva senza la corruzione indesiderata del cervello, tornarono a galla, ed esplosero come una bolla sulla superficie dell’acqua.
Il suono della sua voce, l’urgenza dei toni, l’inclinazione angosciosa con cui ogni parola da lui pronunciata si distorceva, divenendo orrore, e paura, e destino, e tenebre, e male; ogni cosa sembrò portare Hermione alla conclusione che tutto ciò che temeva si stesse infine realizzando, e lei, codarda ed egoista, aveva portato al compimento di quella follia. E lei non poteva permetterlo. E non perché temesse per il destino del mondo, quanto piuttosto perché sentiva il bisogno di tenere con sé quel ragazzo che aveva scoperto solo in quegli ultimi mesi.
Quanto tempo avevano perso ad odiarsi, quanti anni sprecati ad insultarsi e disprezzarsi, quando tutto ciò che avrebbero dovuto fare era semplicemente conoscersi. E amarsi, allora, sarebbe stato così semplice, come semplice era stato per le loro anime incontrarsi, e scoprirsi, e spogliarsi, e fare l’amore come avevano fatto loro ogni notte, a partire da Ottobre.
«Malfoy, aspetta!»Quelle parole fuggirono dalle labbra di Hermione come un condannato a morte cerca di scappare dalla sua punizione, in un istante tanto rapido che lei non riuscì a fermarle. Poi, fu un attimo: la Grifondoro non ebbe nemmeno il tempo di coprirsi la mano con la bocca, che già gli occhi grigi di Draco la stavano scrutando, una luce indecifrabile a brillare in quel grigio su cui lei aveva tanto fantastico, e che infine aveva incrociato davvero, non per errore o con disprezzo, ma per volontà e con volontà.
Hermione rimase immobile, schiacciata contro la parete del cubicolo, la cui porta giaceva, in pezzi, a qualche metro da loro, ancora fumante. La Grifondoro non stava tremando, e non abbassò gli occhi nemmeno per un istante; ma mentre un fiume di contrastanti emozioni le imperversava nello stomaco, pensò che non si era mai sentita così piccola. Inchiodata al suo posto da quello sguardo glaciale e imperscrutabile, non riuscì a muovere un muscolo. E intanto pensava a quanto era strano, a quanto era meraviglioso e al tempo stesso spaventosamente sbagliato, stare lì, immobile, a guardare negli occhi quel ragazzo, con la consapevolezza che di lì a poco sarebbe finito tutto. Perché Hermione lo sapeva che lui non l’avrebbe mai accettata: era il motivo per cui non si era mai rivelata.
Mentre, occhi negli occhi per istanti tanto lunghi da diventare minuti, la Grifondoro guardava il Serpeverde, si aspettava di vedere disprezzo, odio, disgusto, desiderio di vendetta e dolore. Invece, per minuti infiniti e indimenticabili, il volto di Draco rimase una maschera impassibile, in cui era impossibile riconoscere un solo sentimento. Non un solo muscolo del suo viso si mosse: era come se il tempo si fosse cristallizzato in quell’attimo, concedendo ad entrambi il tempo di capire, accettare.
 
Draco la guardava, e non riusciva a credere ai suoi occhi. La guardava, e tutto ciò che vedeva era lei. Era esattamente come se l’era immaginata, e si sorprese nel pensare che l’immagine di lei che si era costruito nella sua mente era così spaventosamente e disgustosamente simile a quella di Hermione Granger. Per molti istanti, il suo cervello si rifiutò di prendere in considerazione l’idea che quella fosse davvero Hermione Granger. Semplicemente, non poteva essere così. Poi, lentamente, come riemergendo dalle tenebre del sogno, la mente di Draco razionalizzò quella visione, e la realtà divenne talmente evidente e tangibile da essere innegabile. Perché quella era davvero Hermione Granger, e su questo non c’era più alcun dubbio. Quando quel pensiero divenne tanto sicuro quanto inconfutabile, però, il primo istinto di Draco – che fosse di ucciderla, Cruciarla, sputarle addosso o semplicemente rivolgerle uno sguardo disgustato, non aveva importanza – scemò nella consapevolezza che un nuovo sentimento gli stava irritando lo stomaco. Perché era vero che quella era Hermione Granger; però, al tempo stesso, era indiscutibile che quella non era davvero Hermione Granger – non quella che aveva conosciuto, non la SoTuttoIo Mudblood, non quella ragazzina dai capelli cespugliosi e dalla dignità incorruttibile, non quell’odiosa Grifondoro dai principi così sani e onesti da essere inattaccabile.
Perché c’era, in lei, una luce diversa. La piega delle labbra – erano labbra morbide e appetitose, labbra che lui non gli aveva mai visto – il modo in cui i riccioli crespi le ricadevano sul volto ovale dalla pelle bianca e morbida – e quelli non erano i capelli per cui tante volte l’aveva presa in giro, erano boccoli dorati che sembravano appartenere a una delle principesse di cui lei spesso aveva parlato – il modo in cui le sui mani piccole e affusolate tremavano appena, come scosse da un sentimento che non era paura, ma aspettativa; e poi c’erano gli occhi, quelli occhi che lui tante volte aveva immaginato, sognato, e che ora erano lì, davanti a lui, ed erano così uguali a quelli che si era figurato nella sua mente, che era impossibile per lui accettare l’idea che quella fosse davvero Hermione Granger. L’ideale di ragazza che aveva creato nella sua mente si stava sovrapponendo all’immagine di quella Hermione Granger che lui sempre aveva avuto, semplicemente perché non aveva mai fatto lo sforzo di conoscerla davvero – e d’altronde, perché avrebbe dovuto?. E ora, le due rappresentazioni erano così indissolubilmente legate e combacianti, da non poter più essere distinte.
Quella, però, era l’immagine che il cuore stava fornendo, cercando di sopprimere quella che il cervello stava suggerendo. E il cervello stava suggerendo a Draco una sequela di sentimenti talmente ingombranti e irritanti, che a stento lui riuscì a percepirli tutti. Ci fu un istante in cui rabbia, frustrazione, dolore e incredulità si fusero insieme, a formare un'unica emozione che lui comunque ricacciò indietro deglutendo sonoramente. Il disprezzo per se stesso giunse un attimo dopo, perché non poteva essere lei quella donna che l’aveva fatto stare tanto bene.
La consapevolezza che, nonostante le apparenze, il tempo non si era davvero fermato in quei secondi – minuti, forse ore – arrivò come un treno in corsa che deraglia su binari di sabbia e sangue.
L’indistinta ombra del panico artigliò la gola di Draco che, incapace di ricordare come si respira, annaspò alla ricerca di aria fino a quando una mano piccola e calda non strinse la sua. Allora l’aria tornò a circolare nei polmoni, ma per qualche strano motivo lui se ne sentì scottato, anziché ritemprato. Si scostò bruscamente dal contatto con la Granger, scoccandole un’occhiata di risentimento che non riuscì a scalfire l’espressione implorante e preoccupata che le increspava il volto.
Sarebbe potuto rimanere a fissarla per ore, e ogni secondo avrebbe scoperto in lei qualcosa di nuovo, come la piega di quel viso delicato, l’increspatura dell’angolo della bocca, la luce indisciplinata in quegli occhi scuri, che non dicevano altro che amore. E lui, sciocco, ancora non capiva. Sarebbe potuto rimanere a fissarla per ore, se il rintocco della mezzanotte non avesse spezzato quell’attimo di eterno sospeso tra loro due, riportando alla realtà la verità di quegli sguardi.
Come risvegliato da quel suono, Draco si mosse. Fece un passo indietro, senza mai staccare gli occhi da lei. Sapeva di dover andare, sapeva che ogni minuto perduto lì, a guardarla e a guardarsi dentro per scoprirsi diverso, lo allontanava sempre di più dal suo dovere e dalla sua missione, dalla sua gloria, dal suo futuro. Lo allontanava dalle scelte sbagliate che non avrebbe dovuto compiere.
 
Il rintocco della mezzanotte sembrava quasi un sibillino e contorto avvertimento, un contrappasso che Hermione ritenne tanto crudele quanto inappropriato. Però, al tempo stesso, trovò quel suono dolce, e confortante, perché se c’era un bel modo di perdersi, era quello di farlo così come si erano ritrovati: con le campane ad annunciare l’inizio di un nuovo giorno, una nuova vita, un nuovo inizio. Adesso, la mezzanotte indicava la fine di un idillio che era durato per mesi e che mai più sarebbe potuto essere, per così tanti motivi che elencarli tutti sarebbe stato una perdita di tempo.
Hermione guardò Draco, e nel suo sguardo cercò d’imprimere tutti quei sentimenti che per tanto tempo aveva celato nel suo cuore.
Si fronteggiarono in silenzio per minuti lunghissimi, lui con il suo carico di ombre, lei con il suo bagaglio d’amore, e solo quando i rintocchi della mezzanotte li risvegliarono si resero conto di ciò che stava per accadere. La fine era così vicina che negarla sarebbe stato impossibile, ma avvicinarsi ad essa era più difficile di quanto volessero ammettere.
Negli occhi di Draco, Hermione lesse molte domande, sospese nel grigio nebuloso delle sue iridi; lesse tante paure, rancori accumulati, incredulità, dolore, ma nessuna traccia di disprezzo, e questo la sorprese almeno quanto le parole che, tra un rintocco e l’altro, fluirono come un rauco sussurro dalle sue labbra.
«Rimani nascosta»disse, prima di abbassare lo sguardo e voltarle le spalle.
Draco le aveva già detto addio, ma quella parola, nei suoi occhi, aveva assunto un significato diverso, ed Hermione si rese conto, in quell’istante, che il loro vero addio era quello.
Rimani nascosta.
Era un avvertimento, una preghiera, una supplica.
Rimani nascosta. Non andare lì in mezzo, rimani nascosta, qui, al sicuro, dove nessuno può farti del male.
Le sembrava quasi di leggere i suoi pensieri, o forse erano riflessioni che non l’avevano minimamente sfiorato, e l’unico motivo per cui aveva pronunciato quelle parole era che non voleva ulteriori problemi tra i piedi.
Hermione non perse tempo a chiederselo. Tutto ciò che in quel momento voleva era fermare il tempo e rimanere lì con lui, per sempre. E conosceva un solo modo per farlo rimanere.
«C’era una volta una ragazza…»cominciò, cercando di modulare il tono. La sua voce risultò ferma, soffice e sicura. Fece una breve pausa, durante la quale osservò Draco, le cui spalle si erano irrigidite. Il Serpeverde si voltò, e con un’espressione che voleva essere dura, ma che risultò solo implorante, disse: «Non ho tempo per questo adesso». Lo disse con asprezza, ma dentro il suo sguardo c’era una speranza inconfessata e inconfessabile.
Hermione, incoraggiata dalla luce recondita dei suoi occhi, e testarda com’era sempre stata, continuò, ignorando le sue parole.
«Si chiamava Belle. Per salvare suo padre accetta di vivere per sempre rinchiusa in un castello che appartiene a una bestia. Lei ha paura di questo mostro, all’inizio, ma ben presto si rende conto che, nonostante le apparenze, lui è buono»raccontò quella parte di fiaba tutto d’un fiato, perché sapeva che il tempo stringeva e che lui non si sarebbe lasciato incantare per troppo tempo dalle sue parole, per quanto queste fossero alienate dal tempo e dal mondo. Ma Hermione aveva bisogno di confessare tutto ciò che aveva nel suo cuore; non poteva più fermarsi.
«Mi stai dando del mostro, Granger?»ringhiò Draco, facendo un minaccioso e improvviso passo verso la ragazza. Lei non si scompose, e con tutta la fermezza e la determinazione di cui disponeva, lo guardò.
«Mudblood»lo corresse lei, puntualizzando con intensità e dolcezza quel nome, che era diventato quanto di più importante avesse. Perché segnava il confine tra tutte le loro diversità, e al tempo stesso era l’annientamento di ogni pregiudizio.
«Tu non sei..»cominciò Draco, il volto contratto da una rabbia che svaporò quando un altro rintocco si insinuò all’interno del bagno. Il ragazzo fece una breve pausa, trasse un respiro, poi disse, con calma: «Quel nome era per un’altra persona, non per te». Pronunciò quella frase con sicurezza, eppure i suoi occhi smentivano quell’arroganza, e rivelavano quanto lui poco credesse a ciò che aveva detto.
«Era per me. Quella persona ero io»disse Hermione con altrettanta pacatezza, scuotendo il capo per smentire le sue parole.
«No!»urlò Draco, che nonostante tutto aveva ancora difficoltà ad accettare la realtà degli eventi. «Tu…»cominciò, ma non ebbe modo di finire, perché Hermione, testarda, lo interruppe, e trafiggendolo con il suo sguardo serio e intenso, riprese a raccontare.
«Belle si innamora della bestia»disse rapidamente, come se avesse paura che lui potesse fuggire prima che lei avesse finito di narrare la sua favola.
«Non mi interessano le tue stupide favole»sibilò Draco, e, ancora una volta, le voltò le spalle, e si incamminò rapidamente verso la porta.
 
Non poteva fermarsi, non poteva voltarsi, né tornare indietro. Se l’avesse fatto, non sarebbe più andato avanti, e lui doveva andare avanti, doveva uscire da quel bagno, raggiungere la Torre di Astronomia, uccidere Silente, ricevere la sua meritata gloria.
«Nonostante tutto ciò che dicono gli altri, anche se tutti pensano che sia sbagliato, che lui sia solo un mostro che potrebbe farle del male, lei se ne innamora»Nonostante la sua voce fosse diventata un urlo implorante, come la richiesta d’aiuto d’un naufrago in balìa della tempesta, al giovane sembrò che quelle parole fossero dolci come sempre lo erano state le sue. Draco tacque, i piedi inchiodati al pavimento, e il recondito significato di quelle parole gli trapanò lentamente il cervello.
Cos’era quell’improvvisa sensazione, del tutto fuori luogo, che si spanse come un miele tiepido dal suo petto in tutto il suo corpo?
«Lei crede di esserne innamorata. Ma non è così. Non ci si può innamorare dei mostri»spiegò piano Draco, senza voltarsi verso di lei.
«Quello che Belle non sa è che la bestia non è un mostro»continuò imperterrita la Grifondoro. «E’ un principe. Un principe che ha subito un incantesimo, e che è stato trasformato in mostro perché imparasse la lezione».
Draco non poteva vederla, ma era certo che stesse piangendo.
«E qual è la lezione?»chiese, mordendosi la lingua subito dopo aver posto quella domanda. Doveva andare. Perché continuava a perdere tempo lì, con lei? E perché l’orrore e la paura che aveva provato sino a quel momento stavano lentamente svaporando, sostituite da qualcosa che lui non riuscì a riconoscere sul momento?
«Mai lasciarsi ingannare dalle apparenze»rispose lei, e nel timbro della sua voce c’era un avvertimento che lui rifiutò di cogliere.
«In questo caso, Granger, credo che tu debba credere alle apparenze»dichiarò asciutto Draco, e, senza lasciarle il tempo di replicare ulteriormente, riprese a camminare velocemente verso la porta.
 
«Tu non sei questo!» urlò Hermione, e senza che il suo cervello glielo ordinasse, le sue gambe cominciarono a muoversi.
Ecco, stava succedendo di nuovo: aveva perso il controllo sul suo cervello. Inammissibile.
Prima che se potesse rendere conto, la Grifondoro aveva raggiunto Malfoy, e gli aveva afferrato il braccio, costringendolo a voltarsi. Quando i loro occhi si incrociarono, Hermione sentì una bruciante sensazione all’altezza del seno sinistro. Guardò dentro le iridi di Draco, e oltre a quelle lacrime trattenute, oltre la patina di rancori, disprezzo, dolore e paura, c’era qualcosa di molto più intimo e segreto, in qualche modo di scomodo, qualcosa di così grande e forte che nemmeno lei riuscì a capire cosa fosse. Fu solo un’ombra, il riflesso di qualcosa che lei conosceva ma che non arrivò a comprendere; poi, anche quell’ombra sparì, risucchiata dalla luce folle di un paio d’occhi che lei non aveva mai visto, ma che, molti mesi dopo, avrebbe riconosciuto nello sguardo demoniaco di una donna senza pietà.
«Lo sono. È il mio momento, la mia gloria!» urlò il Serpeverde, trafiggendola con il suo sguardo. Era intenso, tenebroso, e privo di luce. Hermione seppe che non c’era più Draco, dentro quel ragazzo, in quel momento; c’era solo Malfoy, e la carcassa di un uomo troppo impaurito per rifiutare il potere e lo scomodo fardello di un Marchio che bruciava e prudeva sulla pelle.
«Puoi ancora fermarti, puoi ancora smettere. Io ti aiuterò, tutti noi ti aiuteremo»Nonostante tutto, Hermione non era disposta a cedere. Aveva visto dentro Draco Malfoy, aveva guardato dentro il suo cuore e intravisto la sua anima, dietro le ombre scure e lunghe dei pregiudizi, del passato, dei suoi familiari e delle sue influenze. Aveva visto dentro Draco Malfoy, e intuito l’amore che si celava al di là delle apparenze da mostro. Aveva visto dentro Draco Malfoy, e quello che aveva visto le era piaciuto, tanto che se n’era innamorata; e non aveva intenzione di lasciare che lui si perdesse nelle tenebre del suo destino.
«Voi chi? Tu, Weasley e Potter? Credete di essere tanto forti ma siete solo dei ragazzini, proprio come me!»gridò il ragazzo.
Questo era Draco, o era Malfoy? Hermione non ne era più tanto sicura; sapeva, con certezza, che le lacrime che scivolavano sul viso del Serpeverde, appartenevano a Draco.
«Tu non meriti questo»disse la Grifondoro, in un sussurro che contrastava in modo spaventoso con l’urlo del ragazzo. «Fermati. Non farlo, non diventare come loro; non diventare un assassino. Io ti conosco, io ti ho conosciuto, dentro di te c’è più di questo»Quella di Hermione era una supplica, pronunciata con tono soffice, quanto più dolce possibile. Sperava che il suo timbro ricordasse a Draco le notti passate, le favole dal sapore antico che lei per tante sere gli aveva raccontato; sperava che il sorriso che si sforzò di rivolgergli gli rammentasse il tocco tiepido delle sue mani, le risate delicate e sincere di un buio che non era mai stato ingombrante come quello che intravedeva ora nel suo cuore. Sperava che il suo sguardo, intimo e intenso, gli facesse capire la portata dei suoi sentimenti, e di quello che tra loro c’era stato.
Ma tutto ciò che seguì fu un silenzio troppo quieto.
 
«Ti sbagli»disse Draco, e con un grandissimo sforzo, abbassò il capo, privandola della vista dei suoi occhi. Perché se lei l’avesse guardato ancora in quel modo, lui, ne era certo, sarebbe crollato sotto i colpi inclementi di quella realtà che continuava a negare. C’era qualcosa di incredibilmente dolce e rassicurante negli occhi scuri di quella ragazza, qualcosa che Draco non riuscì a sopportare, non in vista di ciò che avrebbe dovuto fare. E doveva farlo, ed era già tardi, aveva già perso troppo tempo.
«Rimani nascosta qui. Non muoverti, Granger».
Quelle parole gli costarono uno sforzo enorme. Non perché non le sentisse: era stata la prima cosa che gli aveva detto quando aveva scoperto chi era, e nonostante la sua identità, Draco sentiva l’intimo e irreprimibile bisogno di saperla sana e salva. Di saperla viva, comunque sarebbe andata a finire quella storia.
Ma pronunciare quelle parole significava anche mettere una fine non solo a quel discorso, ma anche a quel rapporto. E Draco non era sicuro di volerlo fare.
«Non andare»
Ogni supplica era una pugnalata al cuore, un peso in più nello stomaco, un incentivo a rimanere chiuso dentro quel bagno per sempre.
«Puoi ancora cambiare. Non andare. Ti prego»
La morbidezza con cui quella preghiera gli accarezzò le orecchie rischiò di provocargli un arresto cardiaco.
«Perché?»urlò, esternando con quell’unico grido tutto ciò che nel suo cuore si nascondeva, tutte quelle emozioni che lei conosceva fin troppo bene, perché le aveva lette nel suo cuore dalla prima sera che si erano incontrati, e in tutte le notti a seguire, e le aveva viste stampate nei suoi occhi in quei minuti che sembravano ore.
 
Perché?
Hermione non aveva una risposta a questa domanda, e se l’aveva, questa rimase per sempre senza voce. Senza pensarci, la ragazza lo attrasse a sé e gli cercò le labbra. Fu un bacio casto, tiepido, lieve, tuttavia ebbe l'effetto di una scossa tellurica nei loro sensi. Entrambi percepirono la pelle dell'altro prima mai così precisa e vicina, la pressione delle loro mani, l'intimità di un contatto anelato fin dagli inizi del tempo. Li invase un calore palpitante nelle ossa, nelle vene, nell'anima, qualcosa che non conoscevano o che avevano del tutto scordato, perché la memoria della carne è fragile. A dire il vero fu appena un bacio, la suggestione di un contatto atteso e inevitabile, ma entrambi erano sicuri che quello sarebbe stato l'unico bacio che avrebbero potuto ricordare sino alla fine dei loro giorni, e fra tutte le carezze l'unica che avrebbe lasciato una traccia sicura nelle loro nostalgie.
 
Quando, con il suo sapore sulle labbra, Draco si allontanò da lei, con gli occhi spalancati e il cervello vuoto di ogni pensiero, finalmente intuì cosa fosse quella sensazione, rimasta sospesa all’altezza del suo cuore, ed estesasi in tutto il suo corpo come un veleno salvifico e dolcissimo.
Leggerezza.
Se l’intento di Hermione era quello di fermarlo, il suo bacio, per una legge crudele e disumana, ebbe l’effetto opposto. Perché fu con una nuova forza nel cuore che, con l’eroico coraggio di un feroce addio, Draco, dopo un ultimo, lunghissimo sguardo, le voltò le spalle, e venne inghiottito dall’oscurità del corridoio del terzo piano. Senza più dilemmi, senza più menzogne, Draco Malfoy si consegnò al suo destino, lasciando dietro di sé l’ombra di un amore.

 

«I dreamed I was missing,
you were so scared.
But no one would listen,
‘cause no one would care.
After my dreaming
I woke with this fear:
what am I leaving?
What I’m done here?
So, if you’re asking me,
I want you to know:
when my time comes
forget the wrong I’ve done.
Help me leave behind some
reasons to be missed.
And don’t resent me.
And when you’re feeling empty,
keep me in your memory.
Leave out all the rest.
Don’t be afraid […]
I’m strong on the surface,
not all the way through.
I’ve never been perfect,
but neither have you. […]
I can’t be who you are»
[Leave out all the rest – Linkin Park]


******************************************************************************************************************************
Nota dell’autrice
Rieccomi con una delle mie chilometriche note :D Qualche spiegazione:
La decisione di far confessare a Hermione della sua strana storia con Malfoy deriva da un passo del Principe Mezzosangue. Subito dopo il Sectumsempra che Harry scaglia contro Malfoy, nella Sala Comune, Harry, Ron, Ginny ed Hermione discutono, e quest’ultima non fa altro che ripetere che Harry ha sbagliato e che non si doveva fidare di quel libro. A questo punto interviene Ginny, che le risponde in modo piuttosto acido, e sia Harry che Ron si domandano il motivo di quell’improvviso astio, che non c’era mai stato tra le due. Questa parte mi ha sempre incuriosito, ma la Rowling non spiega mai il motivo di questo comportamento, così ho dato la mia personale interpretazione.
La scelta di raccontare la vicenda in modo indiretto, tramite i ricordi di Hermione, è dovuta al fatto che, come anticipato, figureranno solo Draco ed Hermione in questa fanfiction. È stato difficilissimo per me trattenermi, perché adoro Ginny e odio dover scrivere solo di Draco ed Hermione, senza arricchimenti e fronzoli; ma ho deciso così, e così dev’essere perché questa storia è così e basta!!
Per quanto riguarda i rintocchi della mezzanotte durante il loro incontro, è un’enorme licenza poetica. La morte di Silente avviene molto prima della mezzanotte, e considerando che questo incontro da me ideato tra Draco ed Hermione si svolge da qualche parte tra l’ingresso dei Mangiamorte ad Hogwarts e la morte di Silente, è decisamente impossibile che la mezzanotte rintocchi. E soprattutto, obiettivamente non ci sarebbe il tempo di far avvenire tutto questo discorso: Draco in teoria, nel libro originale, non ha il tempo di farlo. Dopo aver fatto entrare i Mangiamorte va dritto filato sulla Torre. Ma, come ho detto, licenza poetica. Lascio intatto il libro della Rowling finchè posso.
Il sottotitolo del capitolo è tratto dall’omonimo romanzo della Allende, da cui ho tratto anche la seguente citazione.
La traduzione della canzone inserita alla fine del capitolo è questa:
“Ho sognato che mi stavo perdendo;
tu eri così spaventata, 
ma nessuno riusciva a sentire 
perchè non importava a nessun altro.
Dopo il mio sogno, 
mi sono svegliato con questa paura: 
cosa sto lasciando? Cosa sto facendo qui? 
Quindi se me lo stai chiedendo, 
voglio che tu lo sappia... 
quando arriverà il mio tempo 
dimentica tutti gli sbagli che ho fatto.
Aiutami a lasciare indietro 
le ragioni che potrebbero mancarmi, 
e non avercela con me.
E quando ti sentirai vuota 
mantienimi tra i tuoi ricordi 
lascia fuori tutto il resto.
Non esser spaventata […]
sono forte in superficie 
non lo sono dentro di me,
Non sono mai stato perfetto, 
ma nemmeno tu lo sei stata. 
[…] 
Non posso essere quello che sei tu...”
 
 
Citazioni:
 
- “Senza pensarci, [Francisco] la attrasse a sé e gli cercò le labbra. Fu un bacio casto, tiepido, lieve, tuttavia ebbe l'effetto di una scossa tellurica nei loro sensi. Entrambi percepirono la pelle dell'altro prima mai così precisa e vicina, la pressione delle loro mani, l'intimità di un contatto anelato fin dagli inizi del tempo. Li invase un calore palpitante nelle ossa, nelle vene, nell'anima, qualcosa che non conoscevano o che avevano del tutto scordato, perché la memoria della carne è fragile. A dire il vero fu appena un bacio, la suggestione di un contatto atteso e inevitabile, ma entrambi erano sicuri che quello sarebbe stato l'unico bacio che avrebbero potuto ricordare sino alla fine dei loro giorni, e fra tutte le carezze l'unica che avrebbe lasciato una traccia sicura nelle loro nostalgie.” Da: D’amore e d’ombra, di Isabelle Allende.
- “l’eroico coraggio di un feroce addio”da L’ultimo bacio, di Carmen Consoli.

Come sempre, potete trovarmi qui:Eloise.
Mi pare di aver risposto a tutte le recensioni, ma se ho dimenticato qualcuno vi prego di dirmelo, provvederò subito :) Come sempre, un grazie caloroso a tutti i lettori!

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo 6: Il mago di Oz - o di case, assenze e purezza ***


Capitolo 6:
Il mago di Oz – o di case, assenze e purezza

 

«I cuori non saranno mai una cosa pratica,
finchè non ne inventeranno di infrangibili»

 

L'ardore di quel bacio non li abbandonò per molti giorni, e riempì di fantasmi delicati le loro notti, lasciando il ricordo sulla pelle, come una bruciatura. Entrambi si toccavano le labbra con la punta delle dita ed evocavano esattamente la forma della bocca dell'altro, anche dopo che erano passati mesi da quel loro ultimo incontro.
Benché le loro strade si fossero separate, sia Draco che Hermione si sentivano uniti da qualcosa, come un filo invisibile che li legava nonostante la distanza e il tempo, incatenando i loro cuori e le loro anime al ricordo di quelle notti fatte di favole e risate. Ed erano proprio le eco di quegli incontri a dare ai due ragazzi la forza di superare ogni difficoltà incontrata lungo l’arduo cammino tracciato dalla guerra.
Dopo la morte di Silente, la situazione era precipitata e Draco ed Hermione avevano preso strade diverse, talmente distanti da essere inconciliabili ed opposte.
E se il ragazzo, miracolosamente salvo nonostante l’inadempienza dimostrata, era costretto a confrontarsi giornalmente con la colpa della sua scelta, la giovane Grifondoro non aveva avuto un attimo di tempo per pensare realmente a quello che era successo.
Hermione si era ritrovata catapultata in una realtà molto più grande di lei, e tuttora, a distanza di mesi dall’inizio di quell’incubo, non riusciva a capacitarsi di tutto ciò che era successo. Un giorno lottava contro Harry per convincerlo che Malfoy non era un Mangiamorte; il giorno dopo, Silente era morto, Voldemort aveva conquistato il Ministero e il panico e la morte si erano diffusi nel Mondo Magico. A quel punto, era successo tutto talmente velocemente, che lei non era più riuscita a star dietro gli eventi, e ora, nascosta nella penombra di una tenda che aveva l’odore del panico e dell’urgenza, non poteva fare a meno di pensare all’unica cosa che durante il giorno cercava di tenere il più lontana possibile dalla sua mente, perché non voleva distrazioni, ma che la notte la tormentava e non le dava pace, al pari della ricerca degli Horcrux.
C’era una volta
Lo ripeteva ogni sera, come una preghiera, una dolente litania, o forse un rito scaramantico, che aveva l’unico scopo di scacciare il dolore, la paura, l’amarezza del ricordo, e di risvegliare quelle antiche sensazioni senza cui, Hermione ne era certa, sarebbe precipitata in una disperazione senza fine. Spesso la ragazza si trovava a domandarsi come un’assenza potesse essere tanto presente: il ricordo di Draco – della sua voce, del calore delle sue mani, del suo respiro sulla pelle – era una presenza talmente tangibile da diventare dolorosa ogni qualvolta la ragazza si fermava anche solo per un attimo a pensare.
Sfortunatamente, quei momenti non erano poi tanto rari: dal giorno del matrimonio di Bill e Fleur c’erano stati anche sin troppi giorni di calma piatta. Talvolta, Hermione aveva come l’impressione che le ore gocciolassero lentamente, minuto dopo minuto, come le stille che cadevano dal lavandino rotto di quel bagno in disuso del terzo piano. Altre volte, invece, succedeva qualcosa – l’illuminazione confortante di un indizio, l’esaltazione di una traccia – e allora i giorni si materializzavano, l’uno dopo l’altro, davanti a lei, disordinati, inafferrabili, veloci.
 
La ragazza trasse un profondo respiro, lanciando uno sguardo all’esterno della tenda: al di là di un lembo di stoffa scura, si intravedeva un frammento di cielo trapunto di stelle. La campagna intorno a loro sembrava essere stata inghiottita da una quiete incurabile, spezzata solo dal ronzio di una vecchia radio che Ron cercava di far funzionare.
Hermione emise un lungo sospiro, guardando di sfuggita l’orologio che aveva al polso, più per abitudine che per reale bisogno: aveva totalmente perso la concezione del tempo, e non aveva idea di che giorno o mese fosse. Depose la spada di Grifondoro che stava lucidando sul tavolo, e si diresse verso l’uscita della tenda, con l’intenzione di dare il cambio ad Harry, che faceva la guardia fuori, quando la voce di Ron urlò: «L’ho trovata! L’ho trovata! La parola d’ordine è ‘Albus’! Vieni, Harry!».
Hermione si inginocchiò davanti la radiolina, accanto a Ron, mentre Harry li raggiungeva rapidamente. Distratta per la prima volta dopo giorni dai pensieri che la tormentavano, fissava a bocca aperta il minuscolo altoparlante da cui usciva una voce molto familiare.
Sentire di nuovo le voci dei loro amici, dei loro alleati, di quei membri dell’Ordine che continuavano a lottare con loro e per loro, riempì il suo cuore di una nuova speranza. Mentre Lee Jordan, Kingsley, Lupin e Fred – o era George? – parlavano, Hermione si sentì improvvisamente più leggera, e le sembrò quasi che quelle parole, le promesse di lotta, le rassicurazioni su Voldemort, persino l’annuncio delle morti, fossero un segreto e promettente impegno a portare quella guerra verso la fine il prima possibile.
Quando le loro voci si estinsero, il sorriso di Hermione non scemò, anche se Harry continuava a perseverare con la sua folle idea su Voldemort.
«Andiamo, Hermione, perché non vuoi ammetterlo? Vol…»
«Harry, no!»
«…demort sta cercando la Bacchetta di Sambuco!»
«Il suo nome è Tabù!»mugghiò Ron, e balzò in piedi perché un sonoro crac era risuonato fuori dalla tenda.
Hermione afferrò la bacchetta rapidamente e, mentre lo Spioscopio sul tavolo si accendeva e cominciava a girare ed emettere un lungo fischio, nello stesso istante in cui voci aspre, eccitate e sempre più vicine li raggiungevano all’interno della tenda, la puntò verso il viso di Harry e mormorò, piano: «Exulcero».

 

***

 
«Tutti tranne… tranne la Mudblood».
Quando la voce di Bellatrix latrò bruscamente quell’ordine il mondo si fermò, e Draco pensò di poter svenire da un momento all’altro. O forse no; forse era svenuto già molti minuti prima, quando aveva incrociato i suoi occhi, e dentro ci aveva visto così tante emozioni che districarne anche soltanto una era impossibile. Era stato uno sguardo fugace, privo di un vero contatto prolungato – non poteva permettersi di destare sospetti, e i suoi genitori, sua zia, e tutti i Ghermidori lo stavano guardando, come in attesa – eppure, in quei pochi secondi, al ragazzo era sembrato di guardare dentro l’anima di Hermione attraverso due porte castano scuro, accessi a un mondo che gli sembrava di ricordare.
Era sollievo quello che brillava in fondo alle sue iridi?
Mentre le sue labbra si aprivano e chiudevano senza emettere alcun suono, perché lui era incapace di confermare o di negare l’identità della Grifondoro, Draco intravide anche un lampo di preghiera nello sguardo che lei gli rivolse.
La catena che legava i loro sguardi si spezzò nel momento in cui Bellatrix Lestrange, senza pietà né esitazione, afferrò Hermione per i capelli e la lanciò sul pavimento, con rabbia e crudeltà.
Draco distolse lo sguardo, e non era certo che lo avesse fatto per timore di essere scoperto nella contemplazione di una Mudblood: la vista di quella ragazza, maltrattata e torturata, gli stringeva il cuore e gli faceva mancare il fiato. Irritato da un conato di vomito, il giovane scoccò un’occhiata intorno a sé. In un momento che il Serpeverde non avrebbe saputo definire, Potter, Weasley, Thomas e il folletto erano stati portati nei sotterranei, e lui era rimasto nel grande salone ombroso solo con i suoi genitori, Fenrir Greyback e la follia di sua zia, riversata senza pietà su Hermione.
Il primo urlo che squarciò il teso silenzio di Villa Malfoy risuonò, acuto e straziante, nella testa di Draco anche molti minuti dopo che questo si era estinto. Ma ancora lui non osava lanciarle nemmeno un’occhiata di sfuggita. D’altronde, cosa gli importava di lei? Cosa gli importava di quella Mudblood, da sempre disprezzata per semplice partito preso? Cosa gli importava di quella Grifondoro, che insieme ai suoi amici riusciva sempre a schivare espulsioni e punizioni? Cosa gli importava di quella Sotuttoio che riusciva a superarlo in ogni materia? Quella paladina della giustizia dall’indiscutibile integrità morale e dalla misericordia di una madonna non aveva diritto di interferire in quel modo con i suoi pensieri, con i suoi doveri. E nonostante l’immagine di Hermione Granger si sovrapponesse continuamente con quella della Corvonero che gli aveva raccontato le favole durante l’anno precedente, Draco non poteva fare a meno di ricordare a se stesso che continuava ad essere una Mudblood, una Grifondoro, l’odiosa amica di Potter e il motivo di tutti i suoi guai.
Quando il secondo grido gli perforò i timpani, Draco sentì il petto squarciarsi e il dolore farsi strada, come un veleno inesorabile e mortale, in tutto il suo corpo, provocando tremori inconsulti e una fastidiosa sensazione di prurito all’altezza degli occhi. Il ragazzo strinse forte le palpebre e deglutì, la gola infiammata da quelle urla di dolore e lo stomaco aggrovigliato da un senso di nausea e paura che non riusciva in alcun modo a mandar via.
Lame di silenzio scorrevano, letali, tra una maledizione e l’altra.
Al terzo urlo, una forza invisibile spinse il viso di Draco verso quel punto del pavimento in cui lei si contorceva in preda alla sofferenza più atroce. Si sorprese nel constatare che lei aveva le pupille piantate su di lui, e lo fissava con un misto di preghiera e di dolcezza nello sguardo castano scuro.
Fu come se qualcuno avesse acceso una luce all’interno del salone. Nel momento in cui il ragazzo fissò il suo sguardo su Hermione, le silenziosi emozioni racchiuse in quelle iridi si riversarono dentro di lui, e dentro quegli occhi enormi di paura il Serpeverde riuscì a leggere ogni cosa, persino l’intimo e segreto desiderio che quella tortura potesse continuare ancora, se questo significava poter stare vicino a lui.
Bellatrix rideva, puntava la bacchetta contro di lei, urlava – Crucio! Dove avete preso quella spada? Crucio! – e riversava su quel corpo esile, provato dalle fatiche di un viaggio troppo lungo e di un’avventura che si specchiava nei suoi occhi stanchi e doloranti, tutta la pazzia che le aveva avvelenato la mente. E intanto loro si guardavano, e dentro ogni sguardo c’era una parola, e dentro ogni parola c’era un sentimento, un’emozione chiusa a chiave nel cuore.
Quei mesi di assenza scomparvero all’interno delle loro iridi, mentre pagliuzze dorate di dolore e piacere si fondevano nello sguardo di Hermione e venivano proiettate in quello di Draco. La luce sfocata e fievole delle torce illuminava gli occhi della ragazza di luci che lui non avrebbe mai sospettato potessero esistere, e una nuova gamma di sensazioni avvolse il corpo del giovane, che, atterrito, sentiva la sua anima traforarsi e poi frantumarsi  ogni volta che la schiena della Grifondoro si inarcava, e poi, quasi sul punto di spezzarsi, tornava quieta, sul pavimento, a tremare.
Draco non sapeva se odiare o amare quegli occhi. Non riusciva a provare disprezzo, non era capace di avvertire il disgusto scorrere in ogni particella del suo essere, e guardarla in quel modo era già una novità, senza che ci si mettesse anche quello sguardo.
Hermione lo guardava, ma non con disperazione, nè con l’aspettativa che lui l’avrebbe salvata: Hermione lo guardava con la consapevolezza che lui sarebbe rimasto lì, a guardarla morire senza muovere un dito. Hermione lo guardava, e dietro il dolore che le contorceva il viso c’era qualcosa a cui Draco aveva paura di dare un nome. Hermione lo guardava, e sapeva che dentro di lui si stava agitando qualcosa, un sentimento che non poteva riconoscere ma che era più forte di tutto – rabbia, paura, orrore.
Mentre lei si contorceva in preda al dolore, urlando, a Draco era passata davanti agli occhi il ricordo lontano di quella maledizione sul suo corpo. Ricordava perfettamente le sensazioni provate, il lancinante bruciore, la sensazione di venir trafitto da centinaia di lame bollenti, impietose, crudeli. A un certo, si domandò che fine avesse fatto quell’elfo domestico che gli era costato una Cruciatus: dopo quel giorno non l’aveva più rivisto. Se ne rese conto solo in quel momento, e mentre di nuovo affondava in lei, nel suo dolore, nella dolcezza che i suoi occhi mantenevano nonostante l’atroce sofferenza – come se volesse suggerirgli “Andrà tutto bene” – Draco si disse che lei se ne sarebbe accorta prima, di sicuro.
Lo stava violentando, con quello sguardo. Aveva occhi puliti almeno quanto la sua voce – o almeno, quella che ricordava di aver sentito nel bagno, perché le grida che gli trapanavano le orecchie in quel momento non avevano nulla a che vedere con la leggerezza del timbro che rammentava. Lo stava violentando, e Draco la stava lasciando fare, incapace di rispondere o di contrastare il potere di quegli occhi, incapace di impedirle l’accesso alla sua anima, già schiusa per lei ogni notte, l’anno prima, e ora nuovamente pronta a fiorire sotto quello sguardo che dava senza chiedere. E in quelle iridi Draco riusciva quasi a intravedere un sorriso, e di sicuro intuiva l’assenza di pregiudizi, paura, soggezione, timori. L’assenza del passato.
Un altro urlo costrinse il suo cuore ad accelerare i battiti, e gli sembrò quasi che il suo petto fosse sul punto di esplodere. E ancora non riusciva a smettere di guardarla. Era come se una forza misteriosa costringesse i suoi occhi ad affondare in quelli di Hermione – sarebbe affogato dentro quella dolcezza; e ogni volta che lui tentava di distogliere lo sguardo, riusciva solo a riemergere quel tanto che bastava per non gettarsi ai piedi di sua zia e implorarle di smettere.
Non era quello che Hermione gli stava chiedendo, con quel suo sguardo silenzioso, piantato dritto negli occhi di Draco; ma era quello contro cui lui lottava, perché il desiderio di vederla quietarsi, respirare, sorridere, era quasi pari alla voglia di sentire di nuovo la sua voce. Forse lei gli lesse quella smania negli occhi. Perché, a un certo punto,la folle risata di Bellatrix fu coperta da un'altra, più bassa, più dolce, più leggera. Inizialmente, Draco pensò che la Cruciatus l’avesse finalmente fatta impazzire. Combattuto tra il sollievo e la disperazione, osservò quelle labbra, secche e spaccate da rivoli di sangue – lei aveva affondato i denti nelle labbra per impedirsi di urlare troppo forte, o forse di parlare di segreti che era meglio tacere – muoversi, come i petali vellutati di un fiore che decide infine di vincere la timidezza e di schiudersi.
Mentre Bellatrix rideva, follemente divertita, convinta di averla infine vinta, Hermione parlò.
«C’era una volta...»disse, e nonostante le torture appena subite, il suo timbro era velluto. Aveva una voce bellissima, così pulita e infinitamente bambina; una che voce che mormorò, adagio, “C’era una volta”, e poi, più sicura, sotto lo sguardo incredulo e confuso di Bellatrix, “una ragazza”.
 
«… che odiava la sua casa, la sua famiglia, la sua gente, al punto di desiderare di vivere altrove. Un giorno, i suoi desideri diventano realtà, e lei viene catapultata in un mondo nuovo».
Non c’era luce da nessuna parte, era tutto buio e scuro; ma lei vedeva la luce dentro gli occhi di Draco, e soprattutto lì c’era qualcosa, come una mano leggera di vernice, la tinta di certe emozioni scolorate in ricordi, rabbuiate dalla vita, ma nitide e sentite. Forse fu quella luce a convincerla a parlare più forte, nonostante non avesse la forza nemmeno per respirare.
«Ma in questo nuovo mondo c’è una strega cattiva che vuole ucciderla»sussurrò con decisione. Vide gli occhi di Draco staccarsi dai suoi e riempire in un attimo la distanza che la separava da Bellatrix; vide gli occhi di Draco dilatarsi per lo stupore e la paura, per poi tornare a guardarla con paura, incredulità, negazione. Vide gli occhi di Draco mormorarle di smetterla, prima che fosse troppo tardi, e al tempo stesso li vide chiedere ancora parole, perché ne aveva bisogno.
«Così Dorothy cerca una via per tornare a casa. Le suggeriscono di andare dal mago di Oz, perché lui riesce sempre a donare alla gente quello di cui ha bisogno».
Bellatrix urlò qualcosa, e altro dolore si riversò su di lei, come olio bollente. Quando l’ondata di sofferenza si estinse, lasciando dietro di sé gli ultimi, tremanti strascichi, fitte e spasmi che scuotevano ogni singola particella del suo essere, Hermione chiuse gli occhi, si appiattì contro il pavimento, e si rannicchiò ancora di più, tirando su le ginocchia, verso il petto. Le piaceva stare così. Sentiva il pavimento fresco sotto il fianco, a proteggerla. E sentiva il proprio corpo raccolto, rigirato su se stesso come una conchiglia – questo le piaceva: era guscio e animale, riparo di se stessa, nulla avrebbe potuto farle del male fino a quando fosse rimasta in quella posizione. Riaprì gli occhi, e li puntò su Draco, poi, con un sorriso, riprese.
«Lungo il cammino incontra uno spaventapasseri senza cervello, un uomo di latta senza cuore e un leone senza coraggio, e ciascuno di loro si unisce alla ragazza nel viaggio verso il mago di Oz, perché ognuno vuole quello che gli manca».
 
Draco era talmente rapito da quella storia, che non si era nemmeno reso conto che sua madre gli aveva poggiato una mano sulla spalla e stava cercando di sospingerlo indietro.
Nel sentire quei vaneggiamenti, la furia di Bellatrix era diventata incontrollabile, ed ora le Cruciatus erano diventate talmente frequenti che non c’era quasi interruzione tra un urlo e un altro. Però lei riusciva comunque a narrare quella favola, e nonostante il dolore e la paura aveva ancora nello sguardo una dolcezza che fece nascere in Draco quel calore che da troppo tempo non sentiva dentro di sé; e la sua voce era seta – era leggera, era la cura ad ogni male.
Mentre ascoltava quella storia, però, non riusciva a capire se lui fosse lo spaventapasseri, l’uomo di latta o il leone. Di sicuro non aveva cervello, perché se lo avesse avuto sarebbe scappato moltissimi mesi prima da quella famiglia di pazzi e amanti delle arti oscure, da quell’orrore; avrebbe accettato l’aiuto di Silente, quello della Mudblood, l’aiuto di chiunque, pur di uscire da quell’incubo. Di certo, non aveva neanche un cuore, perché se l’avesse avuto avrebbe salvato quella ragazza che, mesi prima, aveva salvato lui da un’esistenza priva di felicità, e l’aveva catapultato in un mondo irreale fatto di principesse e morali. E invece lei era lì, che si contorceva in preda al dolore, e nonostante questo continuava a salvarlo, e lui, immobile, non faceva altro che guardarla, senza far niente, semplicemente ricevendo nel cuore le sue parole  e negli occhi quell’immagine – quel corpo esile, le mani piccole e affusolate che l’avevano sfiorato, stretto, il petto che l’aveva accolto, tremava tutto.
Ma Draco giunse all’inequivocabile conclusione che in quella situazione lui si stesse comportando decisamente da leone: non aveva un briciolo di coraggio, perché se l’avesse avuto sarebbe scappato dall’obbligo del Marchio Nero, avrebbe preso con sé la Mudblood, l’avrebbe salvata da quel dolore, dalla pazzia di una zia di cui aveva paura persino lui. Era un vile. Un codardo. Solo questo.
«Alla fine del viaggio, tutti si rendono conto che quello che cercavano, lo avevano già da tempo dentro di loro. Dovevano solo scoprirl…AAH!»
Le ultime note di quelle parole vennero sostituite da un urlo agghiacciante, più forte dei precedenti. Era come se il dolore fosse esploso all’improvviso, talmente forte e insopportabile da non lasciare nemmeno il tempo di respirare. Draco avvertì il tremore che scuoteva Hermione riflettersi nelle sue mani, e un’empatica sofferenza si impadronì del suo corpo. Intrecciò le dita tra di loro, per imporre una staticità che non si poteva riflettere anche nei suoi occhi: le sue iridi vibravano di pensieri confusi, di sentimenti oscuri. Riusciva ad avvertire sul suo volto i profondi segni del disagio, e quando guardò la ragazza, i cui occhi, opachi e spalancati, erano ancora puntati su di lui, come se fossero incapaci di guardare qualsiasi altra cosa. E dentro quelle iridi, ancora sporche di vita nonostante il dolore, Draco vide una realtà indecente e inaccettabile.
Occupato com’era ad accogliere dentro di sé la verità indiscutibile dei suoi occhi, nemmeno si rese conto che sua zia aveva smesso di torturarla e stava interrogando un folletto su quella stupida spada che era costata a Hermione sofferenze atroci. Riusciva quasi a sentirlo sulla sua pelle, il dolore da lei provato, come se quella Maledizione dagli occhi della ragazza fosse arrivata direttamente al suo cuore, una freccia scoccata con infallibile precisione.
Draco era ancora avvolto dalle brume di sensazioni che ritrovava solamente in quel frangente, grazie alla sua voce e alle sue favole; perciò, le parole di Bellatrix giunsero ovattate, come se venissero da una stanza lontana.
«E ora credo che possiamo sbarazzarci della Mudblood. Greyback, prendila, se la vuoi».
L’urlo di Draco, nato da qualche parte nel suo cervello, non arrivò mai a concretizzarsi; in compenso, al suo posto, quello di Weasley rimbombò per le pareti del salone. Poco dopo, la bacchetta di sua zia era in mano a Potter e suo padre venne Schiantato.
Draco strinse più forte la sua bacchetta, e mentre sua madre e Greyback attaccavano il Bambino Sopravvissuto, lui, immobile, cercò Hermione con lo sguardo. E quello che vide gli fece mancare il fiato.
Perché questa volta, Hermione Granger aveva la morte disegnata negli occhi.
 
In seguito, Hermione non avrebbe saputo raccontare con precisione quello che successe. Ricordava distintamente il dolore della Cruciatus, il rivolo di sangue che le accarezzava il collo, la punta gelida della lama di Bellatrix che le premeva sul collo. Soprattutto, ricordava Draco, e i suoi occhi.
Era stato come tornare ad Hogwarts, dentro quel bagno che era stato quanto di più simile a una casa avesse avuto in quel periodo di oscura adolescenza.
Casaera un luogo in cui sentirsi al sicuro; casa era il calore di un abbraccio e la certezza di trovare un conforto. Casa non era stato il bagno in disuso del terzo piano, ma di sicuro le braccia di Draco Malfoy erano qualcosa che ci andavano molto vicino. E guardare quel Draco Malfoy negli occhi era stato come tornare a casa.
Nel suo sguardo Hermione aveva letto qualcosa di molto simile a ciò che sentiva lei; in profondità, dietro la paura e l’orrore che, vividi, si leggevano chiaramente anche oltre la tempesta delle sue iridi chiare, c’era un sentimento negato e indefinito, dai contorni poco chiari e sicuri, che lei riconosceva, nonostante lui non l’avesse ancora capito, e accettato.
Mentre gli spasmi di dolore risalivano in spirali dense e agitate dentro il suo corpo, e un trambusto sulla sua testa le confondeva il cervello, i suoi occhi vagarono per la stanza alla ricerca di Draco. Lo trovò intento a fissarla, con un’espressione quieta e in qualche modo stupita.
Avrebbe continuato a guardarlo in eterno, raccontandogli favole mute con la sola forza del suo sguardo, se gli occhi grigi del giovane non si fossero sgranati, e, colmi di perplesso stupore, ma anche di un sollievo che Hermione non avrebbe mai sospettato, non si fossero puntati in un punto al di sopra della sua testa.
La Grifondoro alzò lo sguardo appena in tempo per vedere il lampadario precipitarle addosso. Si coprì il viso con le mani proprio mentre le schegge di cristallo la ferivano dappertutto, nello stesso istante in cui, inaspettatamente, sia Draco che Ron si lanciavano verso di lei.
Il Serpeverde arrivò solo con un attimo di anticipo. Non ebbe il tempo di allungare una mano verso di lei, per aiutarla a rialzarsi o per liberarla dai detriti; tuttavia, sentendo la sua presenza vicino a sé, Hermione si voltò verso di lui.
 
«Rimani qui»disse, con quella sua voce bellissima, un po’ bambina, un po’ fiore, un po’ seta.
Questa volta, Draco osò aprire la bocca. E in un sussurro, con la bocca secca e la gola irritata, domandò: «Perché?».
Weasley non sembrava essersi accorto di quel brevissimo scambio di battute. Aveva avvolto la ragazza in un abbraccio, senza nemmeno guardare Draco, senza curarsi degli sguardi che intercorrevano tra lui e la Grifondoro tra le sue braccia, cieco a qualsiasi cosa non fosse la battaglia intorno a lui.
Il contorno sfocato del sorriso di Hermione fu l’ultima cosa che Draco riuscì a vedere di lei.
«Perché nessun posto è bello come casa tua»disse, e il suo sussurro si perse dentro l’urlo di rabbia di Bellatrix.
Quando Hermione sparì, in un vortice rosso-Weasley, Draco sentì la sua stessa voce mormorare: «Tu sei la mia casa».

 
***

 

Scoppi. Urla. Lampi di paura. Fiotti di luce multicolore. Granelli di tempo che si condensano. Fragori lontani. Ancora urla. Odore di sangue. Voci striscianti. Coraggio. Strenua resistenza. Sguardi di nascosto. Sempre urla. Corpi. Paura. Fiamme maledette. Orgoglio frantumato – proprio come quei cocci, lì, in terra. Lacrime. Ancora paura. Gole recise e dita tremanti. Dolore. Grida che echeggiano come tuoni lontani, temporali figli di chissà che cielo. Cuore che batte; o forse no, magari ha smesso qualche maledizione fa. Sudore freddo. Angoscia. Sapore acido in bocca. Gola secca. Voce rauca, tremante almeno quanto le mani, che stringono la bacchetta come un naufrago si appiglia all’ultima scheggia di nave rimasta a galla. Una lucciola, luce nel buio, speranza nello schifo della vita – se mai ci sia ancora, la vita, in quell’orgia di morte. Pietre sbreccate e ciottoli dal soffitto. Orrore di zampe, tenaglie e peli. Orrore di metri e metri di cattiveria. Orrore di rantoli e cappucci. Orrore di morte, orrore dappertutto.
L’angoscia gli si appiccica addosso senza lasciargli modo di scacciarla, e più lui si muove, più la rete si ingarbuglia, più cerca di mandarla via, più si fa male. È un velo di follia – una coperta – che gli comprime il petto succhiandogli via il fiato.
Qualche pensiero si forma nella sua mente, ogni tanto, ma è più un’oasi in mezzo al deserto – pur sempre vita, ma tragica, distante.
Alcune parole hanno perso significato – vita morte – altre ne hanno acquistato – scappare ricordi favole – e a quelli si appiglia mentre tutta quell’accozzaglia di sensazioni si fonde insieme e gorgoglia nel suo stomaco.
La realtà è una percezione distante e istantanea. È come strappare brandelli di vita – no, di morte – e imprimerli a fondo nell’anima. Ovunque c’è qualcosa – uno sguardo, un gesto, un muscolo che guizza sul volto rendendo più viva quella staticità tesa e impaurita. Ogni immagine esplode e diventa una visione, e il resto del tempo non scorre più, con il risultato che lui, del mondo, ha una percezione intermittente. Una sequela di immagini fisse – orribili – e mozziconi di cose perdute, cancellate, mai arrivate fino ai suoi occhi – perché la negazione è il primo passo per non cadere nell’oblio, nel terrore. Una percezione sincopata. Gli altri percepiscono il divenire. Lui colleziona immagini che sono, e basta. Restano lì, immobili, davanti a lui, mentre il resto del mondo va avanti, mentre lui, rubato da un orrore lancinante, rimane immobile, a fissare quel momento interminabile – orrore senza fine.
 
 
 
L’aveva cercata durante tutta la battaglia. Strisciando lungo muri ancora intatti, e osservando il terrore spandersi come una macchia di petrolio sulla superficie del mare, Draco aveva osservato ogni volto, nella speranza di ritrovare quegli occhi dentro lo sguardo di qualcuno – ma lei non c’era.
L’aveva vista, a un certo punto, mentre correva su per le scale, schivando il lampo scarlatto di una Maledizione Senza Perdono, senza riuscire a notare il Mangiamorte che, acquattato nel buio, l’aveva puntata, la bacchetta indirizzata esattamente al centro delle sue scapole. Prima che il Mangiamorte riuscisse ad aprire la bocca per pronunciare l’incantesimo, Draco l’aveva Schiantato. Lei non se n’era nemmeno accorta, e aveva continuato a correre. A Draco era sembrato di vedere una ciocca di capelli rosso fiamma, davanti a lei, ma in quel marasma di corpi, incantesimi, rumori e odori, non ne avrebbe potuto avere la certezza assoluta. Non ebbe tempo di provare rabbia, né gelosia o disgusto, perché la mano forte di Tiger gli afferrò il braccio e lo trascinò verso una meta a lui ancora ignota.
 
 
 
Dovevano catturare Potter, era quello il piano. Catturiamo Potter, e portiamolo all’Oscuro Signore: ci ricoprirà di gloria e onore, aveva detto Vincent. Draco aveva annuito stancamente, ma più che alla gloria pensava alla vita – e pensava che dove c’era Potter c’era anche lei.
Mentre saliva i gradini a due a due, si domandava per quale motivo non fosse corso fuori da quella scuola insieme agli altri Serpeverde, quando ne aveva avuto la possibilità. Si domandava perché fosse rimasto in mezzo a quella mischia mortale, con il rischio di morire da un momento all’altro, se gli avevano servito la salvezza su un piatto d’argento.
La risposta aveva un volto, e anche un nome, ma lui continuava a rifiutarsi di dare quella spiegazione alla sua mente, e con il fiato corto indirizzò i suoi due amici lungo un corridoio costeggiato da mobili antichi e oggetti dimenticati, frutto dei traffici illeciti di generazioni di studenti. Quando vide Potter, il suo primo istinto non fu quello di attaccarlo, bensì quello di guardarsi intorno alla ricerca della Mudblood. Riparato dalla mole di Tiger e Goyle, Draco osservava la Stanza della Necessità, e l’ansia che provava non vedendola era quasi maggiore di quella che sentiva nelle vene ogni volta che un incantesimo lo mancava per un soffio.
Non seppe mai quale fu l’esatto momento in cui tutto precipitò. La sua vita si era frantumata ai suoi piedi molti mesi prima, e lui riusciva a ricordare con esattezza l’istante in cui tutto era cambiato. Ma per quello non c’erano parole. Era semplicemente troppo: dopo gli orrori, la guerra, la costante paura, la clandestinità di una condizione, la condanna di un nome, Draco pensava che si era meritato la sua pace. Invece scoprì che c’era ancora qualcosa da assaporare – la morte di un amico.
Non l’aveva visto, ma lo strappo nella sua anima diventò più profondo nel momento in cui si schiantò al suolo, e l’aria fresca ma corrotta della scuola sostituì quella bollente e affumicata della Stanza della Necessità. Avrebbe voluto aspirare aria pulita, ma c’era ancora troppo orrore a serpeggiare tra quelle mura, perché lui potesse davvero respirarne di buona.
Però non poté fare a meno di guardarla dritta negli occhi – perché almeno lì qualcosa di pulito c’era.
 
 
 
Un silenzio illusorio, incurabile, e in qualche modo persino più terribile di tutto quel trambusto che c’era stato fino a quel momento, aveva catturato il castello. Si era impadronito di ogni angolo, di ogni maceria, di qualsiasi brandello di vita rimasto ostinatamente aggrappato a quella scuola: una quiete talmente letale, da far pensare che niente, in realtà, era sopravvissuto.
I suoi passi scricchiolavano blandamente, innaturalmente amplificati dal tacere del mondo.
Draco sapeva che, a pochi metri da lui, qualche muro sbreccato più in là, si stavano consumando gli ultimi scontri di una follia infine domata dal coraggio di un ragazzino che aveva patito troppi dolori nella sua vita. Forse proprio per questo se ne stava in quell’angolo dimenticato della scuola, nascosto dalle ombre striscianti e ingrate di quel castello, a rispettare il religioso e mortale silenzio dell’antico castello, anch’esso piegato alle voglie capricciose di un Oscuro Signore ormai sconfitto.
Si rigirava la bacchetta di sua madre tra le mani, osservando le venature del legno e lasciando che pensieri sconnessi e inopportuni vagassero per la sua mente allo stesso modo di come lui, fantasma ancora vivo e miracolosamente tangibile, percorreva con piccoli passi il suo nascondiglio.
Chissà perchè riteneva sicura una stanza a cielo aperto. Se lo chiese solo una volta, mentre le prime luci dell’alba sfioravano timidamente i lavandini distrutti e i water in pezzi, e il canto di qualche testardo uccellino si univa allo sciabordio di un lento rivolo d’acqua che, sopravvissuto alla tragedia, fuggiva dalla sua tubatura, abbandonando l’abbraccio umido di ferro e sudiciume in cui viveva.
Draco camminava avanti e indietro, il capo chino, le mani tremanti, il viso sporco di sangue e gli occhi sporchi di colpa. Il cuore, quello ce l’aveva sporco di tutto ciò che poteva insozzare un cuore. Aspettava, Draco Malfoy, vinto in un paese di vincitori, esule in terra straniera. Quella terra che avrebbe dovuto appartenergli per diritto di nascita, e che invece, adesso, per un contrappasso crudele e bislacco, non solo non era più suo, ma lo disconosceva proprio in quanto Purosangue, proprio in quanto Malfoy.
Non era nemmeno sicuro che quello fosse esattamente un nascondiglio, perché i quattro piani che avrebbero dovuto fargli da tetto erano saltati via in chissà quale esplosione, e ora a lui sembrava di camminare sul fondo di un pozzo oscuro, con l’unica consolazione del cielo roseo sopra di sé. La porta era saltata via, e chiunque fosse passato di lì, forse, avrebbe potuto vedere quel ragazzino, curvo sotto il peso delle sue colpe, irrequieto nella sua attesa.
Attesa di cosa, poi, nemmeno lui lo sapeva. Ma gli sembrava giusto, in qualche modo; gli sembrava equo, e onesto, ed esatto, aspettare lì, in quel luogo in cui aveva cominciato a vivere. Qualsiasi cosa stesse aspettando.
Lei? Forse.
I nemici che infine tornavano a prendersi la loro bella vittoria per poi sbattergliela in faccia? Sì, magari anche quello.
I suoi genitori che lo traevano in salvo come lui non aveva saputo fare con loro? Non ne era del tutto sicuro.
Non era certo nemmeno di volersi nascondere, ma era stato il suo primo istinto quando aveva sentito gli Auror del Ministero parlare in quel modo crudele, secco.
Trovate tutti i Mangiamorte rimasti in vita. Li voglio ad Azkaban prima dell’alba.
Forse Draco, durante quella guerra, aveva capito le verità nascoste dietro il velo di bugie e pregiudizi che lo avevano reso cieco per anni, ma il coraggio… quello non l’avrebbe mai imparato.
E dove altro poteva nascondersi se non nell’ultimo luogo che l’aveva visto vivo? Vivo in una maniera che lui non pensava possibile, in un modo che andava ben oltre un cuore che batte o un torace che accoglie aria fresca. Vivo, come non era da troppo tempo.
Quando altri passi, leggeri, strascicati, si unirono ai suoi, Draco smise di camminare. Il suo sguardo si puntò verso l’apertura nel muro che un tempo aveva accolto la porta, e che ora era solo un buco che offriva uno scorcio del corridoio. La bacchetta stretta tra le dita tremanti, e il fiato sospeso, Draco attese.
 
Il cono di luce che la punta della sua bacchetta proiettava disegnava ombre scure lungo le pareti. Gli occhi, ciechi in quell’oscurità e lucidi di pianto e di dolore, sondavano con attenzione i corridoi, le aule, ciò che rimaneva di una Hogwarts che l’aveva accolta come una madre affettuosa, e che come una madre premurosa li aveva protetti, sacrificando se stessa pur di salvare i suoi figli.
Di tanto in tanto, un raggio di luce le feriva le palpebre, e allora Hermione alzava gli occhi, e quando al posto del soffitto della sua scuola non vedeva altro che cielo, una morsa le stringeva il cuore, appesantendolo più di quanto già non fosse.
Nella sua testa si avvicendavano suoni, immagini, colori. Nomi.
Fred. Lupin. Tonks. Colin. Piton. Tiger – sì, le dispiaceva persino per lui. E la lista era così lunga che nemmeno ripeterla continuamente nella sua mente rendeva più vero o meno doloroso il bilancio.
Hermione zoppicava, e con il cuore in gola e lo stomaco sottosopra vagava per i corridoi di Hogwarts. La guerra aveva reso la sua scuola irriconoscibile, tanto che sia lei, che Harry e Ron faticavano a riconoscere luoghi o aule, e ad orientarsi in mezzo a quelle macerie.
Ogni curva era un nuovo dolore – un corpo, una sofferenza per il cuore e per l’anima, disperazione senza fine, orrore senza scampo, distruzione senza eguali.
L’unico motivo per cui Hermione continuava a camminare era la consapevolezza – nonché il bisogno – di sentire Harry e Ron accanto a lei. Ancora vivi, stavolta salvi.
L’unico motivo per cui Hermione continuava a camminare era l’immagine stampata a fuoco nei suoi occhi.
Mio figlio è ancora lì dentro– uno sguardo troppo simile a quello di Draco per non coglierne la supplica implicita.
«Siamo al terzo piano, credo»Il sussurro di Ron quasi la fece sobbalzare. «Questo non è il bagno distrutto dal Troll?»Un fascio di luce bianca illuminò un’apertura irregolare nella parete. Hermione vide l’ombra di un sorriso sul volto del suo migliore amico – qualcosa come un ricordo superstite, fantasma di un passato che li aveva ricongiunti lì, a sette anni dall’inizio della loro amicizia.
Poi vide un’ombra vera vagare per quei cubicoli ormai inesistenti.
«Vado a controllare se c’è qualcuno»disse, facendo un passo avanti e quasi perdendo l’equilibrio quando il peso del suo corpo crollò sulla caviglia gonfia e traballante – a un certo punto le era caduto un masso addosso, e quello, comunque, era il giusto prezzo da pagare per essere ancora viva.
«Vengo con te»si offrì subito Ron, passandole un braccio intorno alla vita e sorreggendola.
«Non c’è bisogno. Ci metto un attimo»Hermione si divincolò da quella presa con ferma gentilezza, e passò avanti senza aspettare risposta. Né Harry né Ron la seguirono, perché anche se si stringevano tra di loro, tutti e tre non potevano negare di aver bisogno di un po’ di solitudine per accettare, metabolizzare, ricominciare.
La luce della bacchetta non era più necessaria, ed Hermione non era sicura che il motivo fosse la luce dell’alba che penetrava da quello che una volta era il soffitto.
Non aveva pensato di cercarlo lì, ma quando quell’ombra aveva ondeggiato davanti ai suoi occhi, una certezza incrollabile le aveva avvolto il cuore.
Lui era ancora vivo, e la stava aspettando.
Si guardarono a lungo, senza dire niente. Semplicemente stettero immobili, occhi negli occhi, a godere l’uno della presenza dell’altro come se entrambi si ritrovassero proiettati indietro nel tempo in una di quelle notti fatte di favole e risate – anche se non c’era il buio, anche se era cambiato tutto.
Per un attimo a Hermione venne voglia di raccontare una favola, ma quando aprì la bocca per parlare non ne uscì alcun suono.
L’attimo dopo le venne voglia di avvicinarsi a lui e sfiorarlo, toccarlo, sentire il suo calore, la sua presenza, vivida sulla pelle.
Tutto ciò che fece fu sollevare due dita e poggiarle sulle labbra, perché la vista della bocca di Draco aveva risvegliato in lei il ricordo di un bacio mai dimenticato.
 
C’erano parole prigioniere del suo sguardo, parole proibite che lei non ebbe la forza di dire, perché la realtà aveva schiacciato ogni traccia di favola che risiedeva in lei. Mentre la guardava, a Draco vennero un sacco di voglie, desideri nascosti in fondo all’anima ed esplosi come incantesimi, fuochi d’artificio sbocciati nel cielo del suo inconscio. Si rese conto solo in quel momento di quanto fossero belle le sue labbra: aveva una bocca di pesco, dal taglio incerto, frutto proibito il cui accesso era negato a quelli come lui – traditori, doppiogiochisti, indecisi, stronzi, falsi, Purosangue, Malfoy.
«Hermione, va tutto bene? C’è qualcuno?»La voce di Weasley ruppe quell’idillio come la peggiore delle Maledizioni.
Un lampo di paura passò negli occhi di Draco. Fissò Hermione implorandole il silenzio con la sola forza del suo sguardo, ma un secondo dopo averlo fatto se ne pentì.
Villa Malfoy. Cruciatus. Occhi – i suoi occhi che lo guardavano, senza chiedere.
La verità era che non aveva il diritto di chiederle niente, ma lui era risaputamente egoista e irrimediabilmente stronzo.
La vide tremare sotto quello sguardo inclemente, ingiusto, ma vero. La vide fremere, e prendere un respiro profondo, per poi aprire le labbra.
Per un attimo sperò che cominciasse a raccontare una favola.
L’attimo dopo pregò che gli dicesse che sarebbe andato tutto bene.
«No»rispose lei, con la voce roca, malferma, ma convinta. «Non c’è nessuno qui».
Gli rivolse un ultimo sguardo, uno sguardo che Draco non riuscì a interpretare. C’era dentro qualcosa come la voglia di ricominciare, insieme. C’era dentro tanta malinconia. C’era dentro un grazie, un per favore, uno scusa, e anche – soprattutto – un perdono. C’erano dentro tutte le favole raccontate in quel bagno, e tutte quelle che ancora avrebbe dovuto – voluto – raccontargli. C’era dentro un sacco di roba.
Poi anche quello sguardo finì, come tutto, nel mondo. Come era finito l’incanto di Cenerentola, allo scoccare della mezzanotte; com’era finita quella guerra.
Però a Draco sembrò che tutto cominciasse in quel momento, da quello sguardo.
Pochi minuti più tardi, mentre suo padre gli cingeva le spalle e sua madre gli stringeva la mano, Draco si sentì a casa. Protetto, al sicuro. Nuovo.
Forse, era quello che lei aveva voluto suggerirgli fin dall’inizio. Lui non era lo spaventapasseri, né il leone, né l’uomo di latta. Lui era un ragazzo che doveva scoprire l’orrore del mondo per rendersi conto di quanto, invece, fosse meraviglioso, il mondo.
Draco pensava di dover fuggire dall’ala protettiva di suo padre per vedere il mondo e liberarsi finalmente delle catene che lo costringevano ad agire in un modo di cui lui ultimamente aveva cominciato a dubitare; pensava di dover evitare l’affetto nascosto nei piccoli gesti di sua madre, per trovare l’amore; pensava di dover disprezzare ciò che era diverso, per trovare la purezza dentro di lui.
Invece aveva già accanto a sé tutto ciò di cui aveva bisogno, perché suo padre non l’aveva mai costretto, ma era stato lui stesso costretto, per forze che per molto tempo a lui erano sfuggite ma di cui aveva infine compreso la crudele meccanica; perché sua madre lo amava, e non c’era bisogno di trovare amore altrove, perché lui, l’amore, l’aveva già dentro di sé, nelle sue vene, nello stesso sangue che sua madre gli aveva donato, dentro quel cuore che sentiva battere al di sotto del suo polso bianco e sottile; perché non aveva bisogno di purezza, soprattutto, non di quella del sangue, perché c’era già Hermione, che di purezza ne aveva a sufficienza per entrambi.

 

******************************************************************************************************************************
Nota dell'autrice:

Temo di aver preso il brutto vizio di inserire note ad ogni capitolo, ma purtroppo devo chiarire alcune cose.
Come avevo già anticipato, ho cercato di rimanere il più fedele possibile alle vicende narrate dalla Rowling. Dopo il bacio che Draco e Hermione si sono scambiati in quel bagno, il Serpeverde è salito sulla torre e ha cercato di uccidere Silente, missione poi portata a termine da Piton. A quel punto, la storia prosegue come nei libri, con le dovute modifiche nell'intreccio con la mia storia (anche se non sarebbe poi impossibile farcela entrare, visto che Harry e Ron erano nei sotterranei e la favola di Hermione era raccontata a bassa voce a causa del dolore).
Se per caso vi viene in mente di rileggere i capitoli dei "Doni" inerenti a questa storia, noterete che ho scopiazzato qualche frase dalla Rowling proprio per cercare di rimanere fedele alla sua storia (che, epilogo a parte, mi piace troppo per cambiarla).
Le vicende della guerra sono raccontate dal punto di vista di Draco; mi rendo conto che è una parte un po' difficile da comprendere, in quanto frammentaria, ma ho cercato di rendere chiara la sua paura, il senso di inadeguatezza che prova.
In caso non si fosse capito, dopo la fine della guerra ho immaginato che gli Auror e quelli dell'Ordine setacciassero il castello alla ricerca di altri Mangiamorte, ecco perchè Hermione vagava per la scuola con Harry e Ron, ed ecco perchè Draco si nascondeva.
Il bacio tra Ron ed Hermione non c'è mai stato.
Infine, sono consapevole che di aver incastrato davvero male questa "favola", ma, sul serio, per questo capitolo ho avuto qualche difficoltà.

Citazioni:
- Due occhi enormi di paura - Da "Il pescatore", Fabrizio De Andrè.
- Era guscio e conchiglia - Da "Senza sangue", Alessandro Baricco.

Grazie a tutti voi lettori, siete semplicemente fantastici.
Come sempre, potete trovarmi qui.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo 7: La Sirenetta - ovvero di silenzi e rese ***


Capitolo 7:
La Sirenetta – ovvero di silenzi e rese

 

«La strana intimità di due rotaie.
La certezza di non incontrarsi mai.
L’ostinazione con cui continuano a corrersi di fianco»

 
 

C’era silenzio, quella mattina, al binario 9 e ¾. Un silenzio irreale, letale, che aveva il sapore di perdite e dolore.
C’era silenzio, quella mattina, al binario 9 e ¾, e un tangibile senso di disperazione era ancora nell’aria. Lo si poteva sentire nei sussurri agitati delle madri, lo si poteva vedere nello sguardo spento di un fratello, nel timore celato dietro gli occhi di un bambino; lo si poteva intuire dal tremolio leggero delle mani, quando si staccavano per dare l’ultimo saluto. E soprattutto, era evidente dall’assenza di voci e sorrisi.
C’era silenzio, quella mattina, al binario 9 e ¾, perché gli studenti che si apprestavano a salire sul treno erano pochi.
Era strano camminare tra quella sparuta folla, ed Hermione si sentiva quasi colpevole. Il mondo era finito, si era fermato; poi aveva ripreso a girare, e la vita era cominciata. Ma non era più la stessa vita, e le ombre della Guerra non sembravano ancora essersi diradate del tutto: ovunque si girasse poteva vedere i fantasmi del dolore, e lei, per quanto avesse sofferto, non poteva dirsi tanto sofferente. Mentre il suo sguardo vagava sui gruppetti di persone che occupavano la banchina antistante l’Espresso, Hermione avvertì un vago senso di inquietudine artigliarle la gola.
Il primo di settembre era sempre stato sinonimo di rinnovamento, o nuovo inizio; solo che questa volta sarebbe stato più difficile sorgere dalle ceneri della sconfitta. Perché potevano anche aver vinto la guerra, ma quello che avevano perso era stato in definitiva molto di più, e la disfatta era leggibile non solo nella desolazione di quella mattina, ma anche e soprattutto negli occhi di quei superstiti che avevano avuto il coraggio di guardare in faccia la vita, e di ricominciare.
Hermione trasse un profondo respiro, tentando di mimare qualcosa che somigliasse a un sorriso, mentre il leggerissimo brusio che si diffondeva nell’aria veniva coperto dalle pressanti insistenze del suo migliore amico.
«Sei sicura che…»
«Sì, Ron, sono sicura»disse Hermione, troncando le lamentele e le quotidiane reticenze di Ron con un deciso gesto della mano; afferrò il baule, pronta a salire sul treno, ma la mano del giovane Weasley la fermò prima che potesse procedere nel suo intento.
«Sarai completamente sola. Io e Harry…» cominciò, ma ancora una volta fu interrotto dalla sua migliore amica, che gli scoccò un’occhiata severa.
«Lavorate al Ministero. Lo so, Ronald»sbuffò la ragazza, spazientita. Voleva bene a Ron, ma lui non aveva fatto altro che tormentarla, durante tutta l’estate, per cercare di convincerla a non tornare ad Hogwarts “perché tanto non ne aveva assolutamente bisogno”, e lei era stufa di sentire le sue ragioni: le conosceva ormai a memoria, e benché fosse pienamente consapevole delle sue parole, la sua fiscalità e il suo amore per lo studio l’avevano spinta a prendere quella decisione.
«E Ginny…»tentò ancora Ron, ma Hermione fu più veloce di lui.
«Gioca nelle Holihead Harpies. E Neville vuole rimanere con sua nonna, Luna è andata in viaggio alla ricerca di strani animali, Lavanda non vuole farsi vedere in giro… devo continuare?» La nota di inflessibile severità nel tono di Hermione convinse Ron a tacere una volta per tutte. Il ragazzo lanciò un’occhiata a Harry, fermo e zitto accanto a lui, poi sospirò, e trascinò il baule dell’amica verso il treno, per sistemarlo in uno scompartimento.
Hermione lo guardò per qualche minuto, poi si voltò verso il Ragazzo Sopravvissuto, sul volto un sorriso sereno, ma stanco e amaro.
«Fai attenzione, d’accordo?»disse solamente lui quando ebbe l’attenzione della giovane Grifondoro; poi, per qualche strana ragione, occhieggiò qualcosa alle spalle della sua amica.
Hermione, confusa e perplessa, corrugò la fronte, poi seguì la traiettoria dello sguardo di Harry. Inizialmente, non riuscì a vedere nulla; poi, una figura emerse dalla nuvola di vapore che contornava il profilo del treno scarlatto. Persino oltre le nebbie evanescenti dell’Espresso, la ragazza riuscì a riconoscere il profilo dritto, il viso affilato, il grano dorato dei suoi capelli e il torbido grigio delle sue iridi.
Fortunatamente, durante la Guerra Hermione Granger aveva imparato a dominare le sue emozioni, in modo da non mostrare a terzi ciò che la turbava in quei momenti così delicati. Perciò, in quel momento, non le fu difficile nascondere la palpitazione improvvisa del suo cuore, il tremore alle mani e il sudore dappertutto. Annuì solamente ad Harry, perché temeva che la sua voce l’avrebbe tradita, poi si lanciò tra le sue braccia.
Sentiva l’impellente bisogno di calore umano, ma, quando chiuse gli occhi per godere della cullante sicurezza delle braccia del suo migliore amico, per qualche strano motivo, nella sua mente si formò un’immagine strana: un buio impenetrabile misto a odori marci, stagnanti, e suoni gocciolanti, vuoti e muti. Quando si staccò da lui aveva le guance arrossate dalla vergogna, perché non le era mai capitato di provare disagio nello stare con lui, e quella nuova sensazione, dettata solo dai ricordi, dall’ansia e dal desiderio, la imbarazzò tanto che quando Harry la salutò dovette abbassare lo sguardo.
E quando, impostasi la calma, rialzò gli occhi con l’intenzione di puntarli sul viso del suo migliore amico, incrociò un paio di iridi grigie che la fissavano con sorpresa e uno sfuggente timore.
 
Poco più tardi, mentre il treno sferragliava attraverso le campagne inglesi, Hermione dovette usare tutta la sua forza di volontà per non correre subito da Draco.
Non lo vedeva da mesi; più precisamente da quel processo, tenutosi un paio di mesi dopo la fine della Guerra, in cui lui e la sua famiglia erano stati scagionati da ogni accusa, grazie alle testimonianze sue e di Harry. Eppure, in quel frangente, non solo non si erano rivolti la parola, ma non avevano nemmeno avuto il coraggio di guardarsi l’un l’altro: l’ultimo sguardo che si erano scambiati bruciava ancora nei loro ricordi, infiammando il cuore ogni qual volta l’intensità degli occhi dell’altro tornava alla mente. E non erano state solo le parole silenziose che si erano scambiati –  fissandosi l’un l’altro, talmente a lungo da giungere in profondità, sino all’ultimo strato della loro anima – a scatenare quell’intimo senso di perdizione; era anche la novità del potersi finalmente guardare, scoprire, conoscere con l’unico senso che non avevano mai potuto sfruttare.
Ripensare al loro ultimo incontro, per Hermione come per Draco, non era solo un modo per ingannare il tempo: era più un tormento per l’anima, perché c’era sempre un particolare sbagliato, mancante, a corrompere ed inquinare il ricordo di quel momento. Nessuno dei due avrebbe saputo dire con esattezza cosa, ma il pensiero che qualcosa sarebbe potuto andare diversamente li tormentava, e rivedere quegli occhi – grigi per lei, castani per lui – era tanto limitante quanto strano.
Forse era per questo che in quello sfuggevole sguardo che si erano scambiati poco prima di salire sull’Espresso per Hogwarts, c’erano più silenzi che parole, tanto che entrambi avevano distolto lo sguardo: avevano paura di ciò che potevano leggere negli occhi dell’altro, e, in ultima analisi, forse l’ignoranza, per quanto tormentosa, era più dolce.
Tuttavia, se Draco era finito a Serpeverde ed Hermione a Grifondoro, un motivo c’era. Perciò, quando lui vide la porta del suo scompartimento aprirsi, e lei entrò con il mento alto e un’espressione solenne, non si meravigliò più di tanto.
«Gli altri scompartimenti sono occupati, per cui sono costretta…»cominciò la ragazza, parlando velocemente, impettita e pragmatica come solo lei sapeva essere. Il petto si sgonfiò sempre di più ad ogni parola, fino a quando, interrotta dall’improvviso intervento del giovane, Hermione non chiuse la bocca. Svuotata di tutta la sua dignità e della fierezza con cui aveva intenzione di presentarsi, si sentì terribilmente sciocca e piccola: un guscio vuoto entro cui non batteva altro che un cuore. Potente, certo, ma scomodo.
«Non c’è nessuno sul treno. Gli scompartimenti sono quasi tutti liberi»replicò con fredda pacatezza Draco, lo sguardo puntato verso il finestrino.
Hermione tacque a lungo, spiazzata, incapace di replicare – il che era una novità persino per lei. Immobile, sulla soglia dello scomparto, si tormentava le mani cercando di trovare le parole giuste da dire – ma parole giuste non ce n’erano; c’erano solo parole, e ognuna sembrava terribile, sbagliata, confusa.
Il silenzio che regnò tra loro fu spiacevole. Era un silenzio diverso da quello che riempiva il bagno durante i loro incontri notturni, perché quello era tacere pieno, colmo di parole mute, sentimenti, domande, confessioni e complicità; questo, invece, era un silenzio vuoto, in qualche modo crudele, e stranamente imbarazzante.
Tuttavia, Hermione non aveva intenzione di darsi per vinta. La consapevolezza di aver perso troppo, durante la guerra, la colpì proprio quando il suo sguardo vagò intorno a sé alla ricerca dell’ispirazione: l’assenza di voci, di studenti da punire perché facevano confusione nei corridoi, di sorrisi allegri e racconti entusiasti, le fece sentire distintamente il dolore che aveva cercato di soffocare in quei mesi di rinascita.
«Posso rimanere qui?»domandò piano, e nella sua voce c’era tutta l’arrendevolezza di una ragazza spogliata di ogni maschera.
Draco si voltò, quasi sorpreso di sentire quel timbro tanto familiare: era doloroso, ma anche bellissimo. Quando incrociò i suoi occhi, vide il suo orgoglio frantumato ai suoi piedi, e un sentimento che aveva già intravisto molti mesi prima affiorare piano, timidamente, ma sicuro di sé. Eppure non riuscì ad accogliere in sé quell’emozione, forse perché ne aveva paura, forse perché ancora c’era troppo odio radicato in lui, magari semplicemente perché non gli andava, e perché essere quel ragazzino arrogante e antipatico che era sempre stato non solo era più facile, ma era anche un modo per rimanere attaccato al passato, e dimenticare in tal modo l’orrore vissuto, cancellarlo come se non fosse mai esistito.
«Cosa ti fa pensare che voglia dividere lo scompartimento con te?»domandò ostentando indifferenza, con una calma talmente glaciale che la ragazza di fronte a lui indietreggiò, ferita da tanta noncuranza. Ma ancora una volta, davanti a quella resistenza, non si diede per vinta. Hermione aveva vinto maghi oscuri molto più potenti di lui: cosa poteva un ragazzino spaventato? Aveva già abbattuto una volta le sue difese; poteva farlo ancora.
«Puoi chiudere gli occhi e fare finta che siamo ancora in quel bagno. Che tu non sai chi sono io, che non sia cambiato nulla»tentò Hermione piano, in un pigolio tremante e venato di incertezza.
«Ma io so chi sei. Ed è cambiato tutto»replicò con decisione Draco, stavolta senza staccare gli occhi da quelli di lei. Era un’ammissione che nascondeva in sé molto più di ciò che sembrava, e il tono amaro che era sfuggito dalle labbra del ragazzo lasciava trasparire lo sconforto di quella consapevolezza.
La Grifondoro trasse un respiro profondo.
«Sai, a volte non tutti i cambiamenti sono negativi. Prendi Cenerentola, per esempio. Lei…»fu interrotta dalla voce aspra del Serpeverde, una lama gelida che le ferì il cuore più di quanto qualsiasi incantesimo avrebbe potuto fare.
«Lei non mi interessa, e non mi interessi tu, Granger, né le tue stupide favole. Non osare nemmeno nominarle. Erano una menzogna, era tutto una menzogna»sibilò piano, il volto contratto da qualcosa di ben diverso dall’ira, ma che a lei sembrava molto simile a una rabbia controllata.
«C’è stata menzogna solo in alcune cose»ammise Hermione lentamente, annuendo una volta per confermare le parole del ragazzo. «Ma c’è stato anche molto di più, e tu lo sai»aggiunse con un filo di voce, come se temesse quell’ammissione, o forse l’effetto che questa poteva avere su Draco.
Lui, per tutta risposta, emise un sonoro sbuffo.
«Non c’è stato niente»borbottò scocciato. I suoi occhi si spostarono ancora una volta verso il finestrino: il cielo cominciava a scurirsi, al di là del vetro, e fiocchi di nuvole grigie si addensavano all’orizzonte, rendendo il cielo pallido e colorando l’aria di un tenue color acciaio.
«Pensavo che dopo la guerra avremmo potuto…»
Hermione non riuscì mai a finire quella frase. In realtà, non sapeva nemmeno lei cosa stava per dire; per di più, gli occhi di Draco inchiodarono alla lingua le timide parole che stavano sgorgando dal suo cuore, con l’unico risultato che lei, senza più voce, aprì e chiuse un paio di volte la bocca, incapace di pronunciare un qualsiasi suono, prima di tacere una volta per tutte.
«Non voglio parlare con te, Granger»disse rapidamente il ragazzo, per essere sicuro di bloccare qualsiasi altra parola lei stesse cercando di dire.
Hermione emise un leggerissimo sospiro, ma non disse niente. Per molti minuti, regnò il silenzio.
Draco aveva distolto lo sguardo, ma sentiva ancora la sua presenza nello scompartimento, come sentiva l’ingombrante peso che gli gravava sul cuore o l’intensità dei ricordi confondergli la mente. Sapeva che lei lo stava guardando: sentiva la nuca pizzicare, e il suo respiro leggero riempire la quiete – immaginaria – che regnava.
L’attesa palpabile che si creò tra di loro, per un attimo, riportò entrambi indietro di qualche mese. Poi, lentamente, con circospezione e senza più guardarlo, Hermione si sedette accanto a lui, distante di un paio di posti, e, con le mani sul grembo, rimase in silenzio, a fissare un punto dritto dinnanzi a sé.
Draco la guardò a lungo, con la bocca aperta, oltraggiato per la sua insistente maleducazione. Osservò il suo profilo soave, la linea delicata della mascella, la curva morbida del collo, coperta dai ricci ribelli e disordinati. La bocca sottile era appena socchiusa: le sue labbra sembravano amarsi con il candore di due ragazzi che hanno appena cominciato la scoperta reciproca, si sfioravano in un bacio tenero ed umido. Il ragazzo cercò di immaginare come sarebbe stato sentire i suoi capelli incastrarsi intorno alle proprie dita e la sua bocca sfiorare la propria, per minuti tanto lunghi che, quando Draco si ricordò di respirare, il suo viso era già diventato bluastro a causa della mancanza d’aria.
«Ho detto che non voglio parlare con te»proferì brusco il ragazzo non appena si fu ripreso. Hermione si voltò verso di lui, ed annuì.
«Va bene»disse, prima di voltare di nuovo la testa e tornare alla sua strana e folle contemplazione del nulla.
«Granger, mi prendi in giro?»sbottò Draco dopo altri minuti di estenuante silenzio, infastidito da quella presenza muta.
«No»rispose lei, e un sorriso le arcuò le labbra. «Hai detto che non vuoi parlare con me, e io non ti costringerò. Rimarrò qui, accanto a te, in silenzio, fino a quando non ti verrà voglia di parlarmi»spiegò con dolcezza.
«Il che succederà più o meno mai»precisò Draco con tono arrogante. Il sorriso sulle labbra di Hermione si accentuò.
«Ti aspetterò, Malfoy».
 

***

 
Gran parte del castello di Hogwarts era stato ricostruito, ma nonostante il ritmo regolare e quotidiano che avevano assunto i giorni, sebbene le mattine fossero scandite da interessanti lezioni e i pomeriggi risuonassero di vaghe e incerte risate, era innegabile che la guerra fosse ancora nell’aria. I fantasmi del dolore erano ancora vividi sul volto di ogni studente.
Era strano dimenticare, semplicemente perché non era possibile. Il mondo stava andando avanti, si stava ricostruendo pezzo dopo pezzo, ma la guerra era una presenza ancora tangibile, che strisciava nel buio della notte, e negli incubi, e che ti coglieva impreparato in quell’angolo tenebroso del corridoio – laddove il muro era sbreccato, e recava ancora il segno evidente di una bruciatura, un incantesimo mancato, o andato a segno, chi poteva saperlo?
Quando un raggio di sole particolarmente tenace colpiva le macerie di quella scuola i ricordi non erano più ombre ignorate: diventavano presenze, ingombranti e dolorose. Un muro distrutto o un masso crollato dal soffitto durante uno scontro che ognuno cercava di dimenticare si trasformava in lacrime difficilmente arginabili, mentre una tegola dimenticata sul prato o una bruciatura che aveva inesorabilmente rovinato un albero della Foresta Proibita erano moniti, lezioni più importanti di quelle che gli studenti seguivano ogni giorno.
In questo clima di paura, angoscia, ricordi e dolore non era semplice sopravvivere. Gli alunni e gli insegnanti, però, avevano trovato una scappatoia alle lacrime: stringersi ai vivi con quanta più  dolcezza e cura riuscissero a fare. Era più facile sopportare il mal di testa che martellava le tempie dopo un lungo pianto, se c’era qualcuno con cui condividere quella tristezza; era più semplice alleggerire e riparare le crepe del cuore, se si aveva un sorriso accanto.
Erano gesti inconsapevoli, e proprio per questo preziosi. Ma in quella ritrovata armonia, c’era più amore di quanto ce ne fosse mai stato ad Hogwarts.
Così, capitava, a volte, che Draco ed Hermione camminassero insieme lungo i corridoi, dirigendosi verso le lezioni in silenzio, con il capo chino, senza parlare. Capitava anche, a volte, che lungo il cammino lo sguardo della ragazza cadesse su una finestra rotta, o su un punto che risvegliava ricordi sopiti, lontani. A Draco, nel suo piccolo e crudele egoismo, piacevano quei momenti, perché erano quelli in cui Hermione gli si stringeva di più, cucendosi addosso a lui con inesplicabile cura. Era qualcosa che non sapeva spiegarsi, perché lei era capace di farsi più vicino pur senza toccarlo o parlare; ma era bello, e nonostante lui continuasse a respingerla, non poteva negare che quel calore era rassicurante, e scacciava anche i suoi, di fantasmi.
Perché, in fondo, lo spettro di Voldemort non era riuscito a spazzare anche quell’ultimo baluardo, “la magia più potente che esista al mondo”, quella che lui non aveva mai capito e per cui aveva perso: il timore di uno sguardo, il tremore nelle mani di due nuovi amanti, il timido sorriso di un nuovo amore; bastava poco, perché le ombre che s’incuneavano negli interstizi come malefici spettri scomparissero.
Erano quelle le fondamenta su cui costruire nuovi sogni, e tutti si stavano impegnando in quella metodica riedificazione.
Draco ed Hermione, così come la maggior parte degli studenti che avevano avuto il coraggio o la forza di tornare, si portavano dentro un dolore atroce, che solo nella loro intimità riuscivano a stemperare: nessuno dei due seppe mai se fu la solitudine o il caso a unirli, ma a nessuno dei due importava.. Li aiutava a legarsi la codardia – più propriamente, la paura – di quelle persone che non erano volute tornare nel luogo in cui tutto era finito – e al tempo stesso cominciato. La popolazione di Hogwarts era stata decimata dalla Guerra, un po’ perché molti avevano perso la vita in quella battaglia finale, un po’ perché chi, invece, aveva avuto la fortuna di resistere, non aveva avuto la forza di tornare.
Quando Minerva McGranitt si era resa conto che quell’anno avrebbe avuto ben poco da fare come Preside, aveva ritenuto opportuno sancire, una volta per tutte, quell’unità di cui Albus Silente aveva sempre parlato, e di cui si era fatta latore, abolendo quella che per anni era stata la caratteristica principale di Hogwarts: se Cosetta Corvonero, Godric Grifondoro, Tosca Tassorosso e Salazar Serpeverde avessero fatto una visita ad Hogwarts, quell’anno, avrebbero trovato tutti gli studenti riuniti sotto un unico vessillo, quello dell’unità. Questo significava niente più divisioni, e, sperava la nuova preside, niente più scontri.
Fortunatamente, tutti erano troppo stanchi o provati da sofferenze troppo dure da sopportare, perché la voglia di litigi prevalesse sul desiderio di pace.
C’era una quiete spenta, nel castello, in quei giorni, una calma ben diversa dalla serenità, e che nel silenzio trovava la forza per dimenticare e, al tempo stesso, la debolezza dei ricordi. La vita, tuttavia, era più forte della morte, e nonostante la tangibile e scomoda presenza del dolore, i giorni scorrevano placidi, spesso inframmezzati da qualche risata accesa e sincera, ancora incapace di divorare l’orrore troppo vicino della guerra, ma abbastanza forte da rischiarare il cielo del futuro, spazzando quelle nubi ormai lontane, ancora visibili all’orizzonte, ma più bianche di quanto non fossero state negli ultimi tempi. Perché tutti avevano capito che tornare indietro non era possibile, e nemmeno sarebbe stato giusto; perché farsene una ragione significava tornare a vivere, ed era ciò per cui tutti stavano lottando. Perché la vita, più che facile, era forte.
L’aveva capito Hermione, che con tenacia e determinazione rimaneva accanto a Draco, in silenzio, nonostante passassero i giorni e non riuscisse a vincere le sue difese.
E l’aveva capito anche Draco, che accettava quella presenza senza riuscire a trovare una scusa per mandarla via.
 
Hermione non perdeva occasione per avvicinarsi a lui. Ogni tanto, Draco approfittava delle pause tra una lezione e l’altra, e si recava al campo da Quidditch, la Nimbus 2001 in spalla e il Boccino d’Oro stretto nel pugno. Montava sulla scopa, lasciava andare la piccola pallina aurea, faceva qualche giro di campo, poi si dedicava al suo ruolo da Cercatore, per una squadra fantasma, per una folla composta da una sola persona. Lui non riusciva mai a vedere l’esatto momento in cui le si avvicinava. Succedeva solo che, a un certo punto, il suo sguardo cadeva sugli spalti, e lì la vedeva: lei teneva gli occhi scuri fissi su quella figura in volo, il mento alto, l’espressione quieta, le mani e la schiena rigida. Se pioveva, un ombrello le svolazzava attorno alla testa; se faceva freddo, c’era un fuoco accanto a lei.
Lui si domandava spesso se la guerra avesse spezzato le protezioni di Hogwarts, rendendo possibile materializzarsi entro i suoi confini – perché lei un attimo prima non c’era, e un attimo dopo era lì, a guardarlo, in silenzio. Draco aveva anche cominciato a farci attenzione, ma lei riusciva sempre ad arrivare non vista.
Lui, comunque, continuava ad ignorarla. Anche se la vedeva tremare come un pulcino intirizzito dal freddo, continuava ad allenarsi come se lei non esistesse, e poi, quando il buio lo costringeva a ritirarsi, volava direttamente fino all’ingresso del castello, lasciandola sola.
Lei non si era lamentata nemmeno una volta.
 
Quando, dopo le lezioni, Draco si sedeva sulla poltrona accanto al fuoco, dedicandosi agli affari suoi, lei era lì. Qualche volta si stendeva davanti al camino, come un gatto fedele e ruffiano; altre volte stava china sul tavolino accanto a lui, gli occhi fissi sui libri e la testa impegnata nei compiti. Non parlava mai. Non lo guardava nemmeno. Stava solo con lui, compagna silenziosa, e, per quanto lui lo negasse, preziosa. Perché la sua presenza, per quanto scomoda, lo rassicurava, e lo faceva sentire meno solo, meno morto, meno colpevole.
A volte a lui sembrava che lei stesse per aprire la bocca e dire qualcosa; invece, rimaneva sempre zitta, così lui non aveva occasioni per mandarla via. Non avrebbe potuto trovare una scusa, ma non aveva nemmeno voglia di farlo.
Lei era paziente. Sapeva aspettare, Hermione Granger.
 
Qualche volta lo raggiungeva in Biblioteca. Erano i momenti che lui detestava di più, perché aveva come l’impressione che lei non fosse lì per lui, ma solo per studiare. In quel luogo il religioso silenzio che lei si ostinava a rispettare diventava incredibilmente fastidioso, e Draco non resisteva molto prima di andar via. Però, chissà perché, ogni volta che lui si alzava – avendo cura di spostare la sedia molto rumorosamente – lei lo seguiva un attimo dopo.
 
Più spesso, camminavano fianco a fianco, senza avere nemmeno il coraggio di sfiorarsi, ma stringendosi tra loro in modo da sentire l’uno il calore dell’altra. Draco la insultava, le rivolgeva occhiate sprezzanti e le chiedeva di andare via. Hermione lo ignorava e continuava a camminargli accanto.
 
Durante il pranzo, una volta, lui aveva Trasfigurato la coscia di pollo di Hermione in uno Schiopodo Sparacoda. Così, per dispetto e divertimento.
Lei aveva sorriso, e aveva detto che Hagrid ne sarebbe stato deliziato.
Lui non le aveva mai detto che Hagrid, poi, aveva tenuto Thor a digiuno perché pensava che avesse mangiato il suo adorabile animaletto – tornato coscia di pollo dopo qualche ora: aveva la netta impressione che non le sarebbe piaciuto.
 
Hermione riceveva spesso delle lettere. A volte era Harry, qualche volta Ron, spesso Ginny, ogni tanto la Signora Weasley. Mai i suoi genitori.
Draco la osservava con cura, ogni volta che lei dispiegava con estrema attenzione le pergamene, e leggeva, in silenzio. Ogni tanto sorrideva. Qualche volta le si formava una piccola ruga in mezzo agli occhi. Un giorno gli aveva preso la mano, e non l’aveva lasciata per tutto il giorno.
Lui non aveva mai avuto il coraggio di chiederle cosa fosse successo.
 
Draco, da bravo Serpeverde, era stato contento di constatare che anche lei aveva le sue debolezze. Erano cicatrici eleganti, o manie assolutamente assurde, ma la rendevano, in qualche modo, interessante.
Il modo in cui si arrotolava i riccioli attorno al dito.
La luce del suo sguardo quando rispondeva bene a una domanda degli insegnanti.
L’invisibile ruga che le corrugava la guancia quando sbagliava una pozione.
La sorpresa nel suo sguardo quando scopriva una cosa che non sapeva.
Il sorriso delicato che le spuntava sulle labbra quando si accorgeva che lui era ancora accanto a lei, nonostante dicesse che non ne volesse più sapere di Mudblood e secchione.
La delusione dei suoi occhi quando lui le rispondeva male. O quando scopriva di provare ancora paura, durante la notte.
Draco si era scoperto ad osservarla così tante volte, da rimanere sorpreso dal fatto che lei non avesse mai voltato lo sguardo verso di lui, punta da quelle occhiate così intense.
Ma lei continuava a rimanergli accanto senza rivolgergli la parola, come se lui non ci fosse.
 
Una sera, Draco non era rientrato in dormitorio. Dopo la lezione era uscito nel parco, e si era seduto sulle rive del Lago Nero, a fissare le acque che si scurivano man mano che l’oscurità calava, come un’ombra impietosa e inquietante. Eppure quella vista lo rassicurava, lo faceva sentire a casa. E quando lui aveva cominciato a pensare che quella sensazione fosse dovuta al fatto che dalla finestra del suo dormitorio nei Sotterranei, quando era un Serpeverde, vedeva sempre l’acqua verde del Lago Nero, se l’era trovata accanto, e tutto aveva avuto un senso.
Tu sei la mia casa.
La notte era illeggibile, e il tempo in cui si stava perdendo era senza misura. Draco pensò che doveva essere grato ad Hermione, perché l’aveva condotto fin lì per mano, passo dopo passo, come una madre un bambino. L’aveva fatto con sapienza, e senza fretta.
Dopo due mesi, ventuno giorni, quattro ore, cinquantasette minuti e trentatrè secondi esatti, Draco Malfoy, estenuato e vinto da quel silenzio, parlò.
«Granger, raccontami una favola».
Hermione aveva sorriso, e aveva cominciato a raccontare.

 

***

 
«Granger, ricordami perché continuiamo a passare del tempo insieme»
«Perché ci piace»
«Tutta la scuola ci guarda male»
«Questo perché hai la cerniera dei pantaloni aperta»
 

***

 
Draco aveva perso la sua altezzosità, ma non la sua arroganza, né il vizio di trattare tutti come se fossero inferiori. Non riusciva ad essere gentile con Hermione, e ogni sua risposta era brusca, scorbutica, antipatica. Lei, tuttavia, non aveva mai perso la speranza, né la voglia di stare con lui.
Era un rapporto complicato, che aveva conquistato già dai primi giorni occhiate incredule, incerte, oltraggiate, ma che tra le mura di una scuola semi-distrutta e di una vita in ricostruzione, e negli occhi e nei sorrisi dei due diretti interessati, aveva trovato un’armonia, e in seguito l’accettazione silenziosa di tutti.
C’erano ancora dei giorni in cui la loro vicinanza faceva storcere il naso a qualcuno, ma nessuno si era mai permesso di parlare. Ognuna aveva i propri problemi da affrontare, i propri dolori con cui confrontarsi, per cui né gli studenti né gli insegnanti avevano tempo di prestare troppa attenzione a Draco ed Hermione.
Quando camminavano lungo i corridoi, uno accanto all’altro, lui guardava intorno a sé e registrava le reazioni degli altri; lei, i libri stretti al petto come una fragile armatura, procedeva con il mento alto, fiera com’era sempre stata, trascinandosi dietro il suo orgoglio Grifondoro: non le era mai importato di quello che pensava la gente, non se ne sarebbe curata in quel momento. A volte, Draco odiava profondamente la sua superiorità.

 

***

 
«Granger, perché perdi ancora del tempo con me, quando è evidente che qualsiasi cosa di te mi disgusta?»
«Sto cercando di ricostruirmi, e tu fai parte della mia riedificazione»
«Io? Che c’entro io?»
«Non si può costruire una casa senza fondamenta»
Ripensandoci, Draco odiava sempre la sua superiorità.

 

***

 
Hermione non pensava che vincere le difese di Draco sarebbe stato così difficile. La prima volta era stato semplice, perché il buio e la situazione erano loro complici; questa volta non lo era stato altrettanto, perché conoscersi senza maschere era più difficile di quanto entrambi avessero pensato.
Hermione era ostinata, innamorata, ferita e fortificata dalla Guerra, ma questo non le impediva di tremare o soffrire ogni volta che Draco la rifiutava con il suo tono arrogante, freddo e indifferente. Sembrava non gli importasse nulla di lei; eppure lei sapeva che non era così.
Aveva aspettato con pazienza, accompagnandolo in silenzio giorno dopo giorno, consumando le sue lacrime notte dopo notte. Poi lui aveva ceduto, ma non era stata una vera vittoria, ed Hermione continuava a domandarsi dove fosse finita la loro intimità, quelle risate condivise nel buio di un bagno, quando l’unica consolazione alla paura e al dolore erano mani tiepide e favole antiche.
Lo capì una sera di Novembre, mentre il vento ululava fuori dalle finestre e la pioggia batteva sui vetri con insistente ferocia.
«Io sono le fondamenta» disse Draco piano, guardando le ombre che il fuoco disegnava sul viso di Hermione. Stava seguendo il filo di pensieri suoi, intimi, e lei non fece altro che consentirgli di giungere alla conclusione che più preferiva. Gli aveva sempre lasciato libertà di scelta.
«Tu sei le fondamenta» ripeté, senza staccare gli occhi dal libro di Incantesimi.
Seguì un lungo silenzio, poi Draco schioccò la lingua.
«E tu sei la casa» affermò con sicurezza.
Quando Hermione alzò gli occhi dal libro, aveva nello sguardo una luce incredula, ma più luminosa di quel fulmine che tagliò il cielo a metà, disegnando un lampo di dolcezza anche nelle iridi di Draco.

 

***

«Granger, ti ho mai detto che la tua saccenza è insopportabile?»
«Almeno un milione di volte»
«Allora perchè continui a farlo?»
«A fare cosa?»
«Ad essere insopportabile»
«È la mia natura»
«La tua natura fa schifo, Granger»
«A me fa schifo questo tempo, eppure continua a piovere. Dov'è la mia penna? Non l'avrai di nuovo trasfigurata in... Malfoy!»

 

***

 
La pioggia aveva smesso di battere sui vetri del castello, ma il cielo era ancora coperto da una densa patina di nubi scure, e l’aria era satura di cupi tuoni e lampi lontani. Il soffitto incantato della Sala Grande risplendeva di tanto in tanto di fulmini, illuminando i piatti argentei e i calici dorati di bagliori iridescenti. Un allegro chiacchiericcio risuonava al di sopra del tintinnio delle posate e dello sgranocchiare degli studenti. Al di sopra di tutto, però, c’era una voce soffice, che parlava di mare e amore.
«Allora la Sirenetta chiede delle gambe alla strega del mare, per raggiungere il suo amato sulla terraferma»disse piano Hermione, infilando la forchetta dentro la sua torta di mele. Un filo di fumo si sprigionò dalla pasta croccante e succosa.
«E vissero tutti felici e contenti. Lo so, Granger»ribatté aspro Draco, versandosi del succo di zucca nel bicchiere – e sporcando del tutto accidentalmente la divisa di Hermione con qualche goccia.
«No»disse la fu Grifondoro, arcuando le labbra in un sorrisetto soddisfatto. Scoccò un’occhiata divertita e compiaciuta al ragazzo, ricambiando il suo sguardo confuso con adorabile appagamento, beandosi della perplessità del suo viso.
«No?»ripeté Draco, fissandola con avidità, in attesa di una risposta che tardava ad arrivare.
La ragazza si prese tutto il tempo necessario per raccontare la fine di quella storia. Attese qualche minuto, gustando la sua torta con un lieve sorriso sulle labbra, senza rispondere alla muta domanda negli occhi del giovane che aveva accanto.
«Lei si uccide quando scopre che lui ha sposato un’altra. Si dice che la schiuma…»fu interrotta dalla voce petulante e fredda di Draco, che intervenne prima di lasciarla finire.
«Bla bla bla»Il giovane si alzò in piedi con lentezza ed eleganza, e le lanciò un’occhiata disinteressata, facendo mostra non solo di tutta la sua arroganza, ma soprattutto di un ghigno strafottente e antipatico. «Non mi interessano le tue favole, Granger…»disse aspramente, senza rendersi conto dell’evidente contrasto tra le sue parole e le espressioni mostrate poco prima.
«Mudblood»lo corresse con tranquillità Hermione, sottolineando quel soprannome con riverente dolcezza. Ma lui, naturalmente, la ignorò.
«… e non mi interessi tu» completò, come se lei non avesse parlato.
La ragazza finì di sorseggiare la sua tazza di caffèlatte, dopodiché si alzò in piedi, afferrò la borsa con i libri e trafisse il giovane con lo sguardo. Aveva occhi puliti, determinati, sinceri; ma in fondo c’era una macchia, qualcosa di molto simile al dolore, o alla stanchezza.
«Allora vado a buttarmi nel Lago Nero. Magari riesco a diventare schiuma anche io» dichiarò con tono pacato e deciso. La sua voce era leggera, il timbro modulato, dolce: sembrava stesse raccontando un’altra delle sue fiabe, ma a Draco, che la conosceva più di quanto fosse disposto ad ammettere, non sfuggì lo sguardo di sfida che gli lanciò, nè il lieve rossore che le illuminò le gote, prima che lei si voltasse, allontanandosi velocemente.
«Non lo farai!»le gridò dietro il ragazzo. Eppure c’era una vaga incertezza nella sua voce, e, forse, persino un’ombra di paura nello sguardo.

 

***

 
«Signor Malfoy!»lo richiamò la professoressa McGranitt.
Draco, che aveva le palpebre abbassate e stava per precipitare in un sonno dolcissimo ma del tutto inopportuno, fu risvegliato bruscamente dalla voce severa della Preside.
«Eh?»borbottò scocciato, guardandola con una smorfia annoiata sul volto.
«Le ho chiesto dov’è la signorina Granger»ripeté paziente la donna, incrociando le braccia sotto il seno e fissandolo con impazienza. Draco aggrottò le sopracciglia, e assunse l’espressione più offesa che gli riuscì.
«Perché lo chiede a me?!»domandò con tono sconvolto, facendo una smorfia disgustata. La McGranitt arcuò le sopracciglia, guardandolo con esasperazione. Dovette ripetere la domanda altre tre volte, prima che qualcuno si degnasse di rispondere.
«Ha detto qualcosa a proposito del Lago»annunciò Anthony Goldstein, scoccando un’occhiata divertita a Draco che, per tutta risposta, sgranò gli occhi, e, sussultando, scattò in piedi e corse fuori dall’aula, seguito dalla sguardo incredulo della McGranitt.
 
Quando giunse sulle rive del Lago Nero, era sudato e aveva il fiato corto. E, cosa ancora peggiore, di Hermione non c’era traccia. In compenso, nel punto in cui l’acqua abbracciava le sponde del parco, si poteva intuire il vago profilo di una schiuma perlacea che drappeggiava i contorni del Lago.
Draco sgranò gli occhi, compiendo un altro paio di passi per avvicinarsi alla riva. Cercò di controllare il battito del cuore e il respiro, ma né l’uno né l’altro sembravano avere intenzioni di placarsi. I peggiori pensieri stavano già cominciando ad affastellarsi nella sua mente, quando una voce familiare lo fece trasalire.
«Era ora! Stavo gelando».
Hermione aveva i capelli incollati al viso, la carnagione pallida e le labbra viola. Batteva i denti, ma nonostante l’evidente freddo sorrideva, radiosa. Nuotava nel bel mezzo del Lago Nero con la massima disinvoltura.
«Sei impazzita? È Novembre, ci sono meno di tre gradi»strepitò Draco, guardandosi intorno alla ricerca di qualcosa che potesse aiutarlo a tirarla fuori di lì. «E la piovra…»aggiunse, in preda al panico. Solo dopo lunghi minuti di intensa riflessione si ricordò di essere un mago. Tirò fuori la bacchetta, e la puntò verso il centro del Lago, nel punto in cui si trovava Hermione. Lei, però, non c’era più.
«Ti aspetto da due ore»sussurrò una voce al suo orecchio. Dracò trasalì, e lottò contro l’istinto di Schiantarla. Si voltò verso di lei, le labbra strette in una smorfia di fastidio e gli occhi accesi da lampi d’ira. Nella mano destra brandiva ancora la bacchetta, e le nocche erano diventate ancora più pallide del solito a causa dell’intensità della stretta.
Hermione era ferma davanti a lui, le mani incrociate dietro la schiena e un sorriso luminoso sul volto. Sarebbe parso tutto perfettamente normale, se lei non stesse gocciolando dalla testa ai piedi: aveva i capelli e la divisa fradici, e la pelle tanto chiara che poteva sembrare morta. Stava facendo un evidente sforzo per non tremare in modo eccessivo, ma il vento che soffiava sul parco di Hogwarts era implacabile, e non l’aiutava nell’intento.
«Sapevo che non ti saresti uccisa. Ho solo perso tempo»sbottò Draco, dopo averla fissata a lungo.
«Concordo. Saresti dovuto venire molto prima»annuì la ragazza, stringendosi nelle braccia per controllare i brividi. «Sarei anche potuta morire assiderata, e tu saresti stato l’unico responsabile della mia morte»proferì con tono esuberante, nonostante il delicato discorso di cui stava parlando. Draco le voltò le spalle, irrigidito da quelle parole.
«Una in più, una in meno… che differenza fa?»replicò con tono amaro, emettendo una risata beffarda e priva di gioia. Hermione, colpita da quelle parole, si morse il labbro inferiore, rendendosi conto solo in quel momento dell’errore enorme che aveva commesso. L’allegria di poco prima scemò, lasciando spazio solo a una triste amarezza.
«Tutta la differenza del mondo»sussurrò piano. Draco si voltò, e la guardò con intensità. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma la richiuse subito, senza che ne uscisse alcun suono Fu Hermione a parlare al posto suo.
«Perché non vuoi salvarmi? Nelle fiabe il principe salva sempre la principessa…»considerò con tono incerto, dubbioso. Sembrava offesa: il viso era contratto in una smorfia corrucciata, quasi ferita.
«Ma io sono il cattivo delle tue fiabe, Granger»replicò brusco Draco, scostando ancora una volta lo sguardo da lei: aveva degli occhi troppo puliti e sinceri perché potesse sopportare troppo a lungo quella vista. Sembrava suggerirgli, con le sole iridi, così tante emozioni e ricordi da schiacciarlo.
«Questo è quello che ti fa comodo pensare»commentò Hermione, e per la prima volta, nella sua voce il giovane intuì la traccia di un rimprovero.
«È quello che sono» esalò Draco, chinando il capo, come sconfitto.
«No. È quello che fai»lo contraddisse lei. La sua voce si spezzò sulle note finali di quell’ammissione, ma lui non era certo che la colpa fosse del freddo. Il tremore del suo corpo, ormai, si era diffuso anche alle mani, ed era diventato incontrollabile. Senza più guardarla negli occhi, il fu Serpeverde Evocò un mantello e glielo porse. Mentre lei si avvolgeva attorno quel lembo di stoffa nessuno parlò, ad eccezione di Hermione, che lo ringraziò con un pigolio sconfitto. Per molti minuti, nulla interruppe la quiete del parco: lo sciabordio del Lago dietro di loro riempiva i cupi silenzi che il tempo atmosferico creava tra un tuono e l’altro. Poco lontano, le fronde degli alberi della Foresta Proibita frusciavano debolmente.
«La vita non è una fiaba». Quando Draco parlò, ritrovando la sua voce solo dopo moltissimi minuti di silenzio, aveva un tono debole, e una traccia di lacrime dentro la voce.
«Forse no. Ma so che il lieto fine esiste, se lotti per ottenerlo»replicò prontamente Hermione, cercando di incrociare lo sguardo del ragazzo. Trovò i suoi occhi a metà strada tra il cielo e la terra, e quando li guardò pensò che non c’era niente di più simile al cinereo colore che minacciava pioggia sopra le loro teste: anche gli occhi di Draco sembravano annunciare tempesta. In effetti, gli occhi di Draco erano tempesta. Non era solo il colore, a suggerirlo; erano più le emozioni che turbinavano in piccoli uragani dentro le sue iridi, a dare l’impressione che di lì a poco sarebbe esploso.
Difatti, dopo pochi secondi, la voce del giovane risuonò nell’aria fredda del parco.
«Tu l’hai già ottenuto!»sbottò, e il suo tono risultò innaturalmente strozzato, come se Draco avesse tentato di fermare il grido che gli stava sfuggendo dalle labbra.
«No»lo contraddisse Hermione, per nulla scomposta da quella irritabilità. Puntò gli occhi dritti in quelli del ragazzo, incatenandoli ai suoi e lasciando che tutti i sentimenti che aveva tenuto per sé fino a quel momento arrivassero direttamente al cuore di Draco.
Forse Hermionenon si sarebbe mai tolta la vita per quel ragazzo, ma di certo, senza di lui, una parte di lei sarebbe morta comunque, diventando schiuma e dissolvendosi al primo tocco di vento. Tuttavia, dopo tutta quella morte, la Grifondoro ne aveva abbastanza di sconfitte e dolore. Fu con tutta la dolcezza che aveva nel cuore, che disse: «Sto ancora lottando per ottenerlo».
Era un’ammissione che nascondeva al suo interno molte più parole di quante ce ne fossero. Probabilmente, se lei non l’avesse inchiodato con quello sguardo, la sua risposta non avrebbe sortito lo stesso effetto. Ma in mezzo a tutta quella purezza, al centro di quelle iridi così sincere, prepotenti, orgogliose, così sincere, c’era una verità, nascosta sotto strati di negazione, vergogna, e infine fierezza, che Draco non poté più ignorare.
Fu in quel momento che Draco Malfoy si arrese.


************************************************************************************************************************
Nota dell'autrice:
Non sono per niente convinta, ma tant'è...
Risponderò alle recensioni di tutti al più presto, perdonate il ritardo ma il periodo d'esami è sempre un delirio.
Buone vacanze a tutti, sperando che le vostre siano meno piene di libri delle mie!
Come sempre, potete trovarmi qui.
Grazie a tutti :)

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo 8: La Bella Addormentata - ovvero di vischio ed espiazione ***


Capitolo 8:
La Bella Addormentata – ovvero di vischio ed espiazione

 
«Lei era come un cartello che indicava la strada giusta da seguire»
[Il giorno in più - Fabio Volo]

 

Le ultime settimane di Novembre erano state – non c’era termine migliore per esprimerle – inspiegabili. Inspiegabile era il tepore che ancora aleggiava su Hogwarts, come la mano calda della natura, che non voleva abbandonare quelle mura, così da dare l’illusione della vita. Inspiegabile era stata l’allegria che aveva invaso il castello, un’improvvisa ventata d’aria fresca che aveva risollevato il morale degli studenti. Inspiegabile era il rapporto che si era creato tra Draco ed Hermione.
Passavano le giornate insieme, eppure quasi non si rivolgevano la parola. Camminavano fianco a fianco lungo i corridoi, ma non c’erano sguardi né contatti. Mangiavano insieme, con calma, in silenzio, pazientemente, e sul loro volto c’era solo l’ombra di un sorriso, e nei loro occhi la consapevolezza di una compagnia preziosa, inimitabile, inspiegabile.
La sera, dopo aver terminato i compiti davanti il camino della Sala Comune, Draco si ritirava nella sua stanza, ma sapeva che sarebbero passati solo pochi minuti prima che Hermione lo raggiungesse. E infatti, dopo poco meno di mezz’ora, la ragazza apriva la porta, si stendeva sul letto accanto a lui, e cominciava a raccontare le favole.
Avevano trovato quel compromesso, più comodo e caldo del bagno in disuso del terzo piano, meno compromettente e pericoloso, e di sicuro dall’odore più gradevole. I suoni non rimbombavano allo stesso modo, ma questo rendeva, in qualche modo, l’atmosfera più intima, e la fiaba più dolce.
Rimanevano lì per ore, uno accanto all’altro, la voce di lei un ronzio soffice, distinto e piacevole, il respiro di lui sospeso, per non rovinare la magia di quell’istante. Qualche volta si erano sfiorati, ma non c’era stata nessuna sensazione particolare. Era capitato così, per caso: durante il sonno, un movimento impreciso e non voluto, e le loro pelli erano venute a contatto. Non era stato un tocco rovente, non il battito impazzito del cuore – non del tutto. E loro, quando succedeva, si limitavano a fissarsi come se stessero assistendo a qualcosa di strano, inspiegabile – raro.
 
Il primo di Dicembre Hogwarts si era svegliata sotto una coltre di soffice neve. Un tappeto di immacolato candore copriva il parco del castello, precipitando ogni cosa in quel bianco abbacinante che contrastava nettamente con il nero del cielo del primo mattino. Aveva nevicato tutta la notte, e la temperatura era scesa considerevolmente. Nonostante la lieve brezza che spirava da nord, le fronde degli alberi erano immobili: le dita verdi dei lunghi rami erano state ghiacciate in una posa quasi artistica, con le foglie protese verso il cielo scuro, fermate per la stagione invernale in quella rigida posizione che offriva ombra e riparo.
Forse, era proprio a causa di quell’improvviso ed inspiegabile gelo, che Draco ed Hermione si erano svegliati abbracciati l’uno all’altra, anche se nessuno dei due riusciva a ricordare l’esatto momento in cui si erano stretti in quel modo così intimo. Lei aveva detto che era stato bello risvegliarsi con l’odore della sua pelle tatuato sulla carne; lui aveva continuato a ripetere per tutto il giorno che lei l’aveva fatto apposta, e che doveva smetterla di perseguitarlo in quel modo.
Quella stessa sera, però, quando Hermione aveva spinto piano la porta del suo dormitorio, e si era stesa sul letto, accanto a lui, Draco non l’aveva mandata via. Era rimasto in silenzio, le mani incrociate dietro la nuca e lo sguardo al soffitto, ad ascoltare la fiaba che lei aveva cominciato a raccontare.
«C’era una volta, in un regno molto, molto lontano, una bambina. Una principessa»La sua voce era piena di colori che lui non aveva mai visto, e che suscitarono un lievissimo, impercettibile sorriso. «Il re e la regina, alla sua nascita, allestirono una grande festa, invitando tutte le fate del regno, eccetto una. Ciascuna le fece dono di una virtù e…»
«I Babbani hanno una strana concezione di fate. Da dove salta fuori?»domandò Draco, interrompendo il racconto della fu Grifondoro.
«Non ne sono sicura»rispose Hermione, tastando il letto accanto a sé alla ricerca della mano del ragazzo. Lui, per tutta risposta, emise una profonda risata ironica.
«Dai, non posso credere di aver trovato qualcosa che non sai»commentò sarcastico, trasalendo appena al contatto della sua pelle tiepida.
«Credo sia stato il desiderio di sapere che c’è qualcosa di più della mera realtà. Prendi questo, una lucciola, qualche goccia d’alcool… e il gioco è fatto»replicò Hermione con tono pensieroso, ma sempre mantenendo la solita dolcezza nel timbro di voce. Draco emise un suono soffocato, a metà tra uno sbuffo e una risata, poi intrecciò le sue dita a quelle della giovane, e lei capì che quello era il suo modo di dirle che voleva che continuasse la sua fiaba.
«La fata che non era stata invitata…»
 

***

 
Le vacanze di Natale erano ormai alle porte. L’atmosfera, ad Hogwarts, era piacevolmente allegra, forse anche grazie alle numerose decorazioni che adornavano il castello. Nonostante l’esiguo numero di studenti, infatti, Vitious non aveva risparmiato magie ed incantesimi, e la scuola riluceva di statue di ghiaccio sempiterne, alberi sfarzosamente addobbati e armature che intonavano canti stonati e cigolanti. Il tappeto di neve che ricopriva il parco del castello, poi, costituiva un’interessante e divertente diversivo: erano sempre più numerose le gelide palle incantate che svolazzavano addosso agli studenti durante gli intervalli.
Il ventidue dicembre la professoressa McGranitt raccolse i nominativi delle persone che sarebbero rimaste a scuola durante le vacanze natalizie, e, con grande sorpresa di Hermione, Draco diede il suo.
«Rimani ad Hogwarts per le vacanze?»domandò lei, incredula, fissandolo con gli occhi spalancati. Il ragazzo continuò a mangiare il suo porridge, con tranquillità, come se lei non avesse mai parlato.
«Non me l’avevi detto»continuò Hermione, guardandolo con perplessità. Il Serpeverde poggiò il cucchiaio nella ciotola ormai vuota, poi sorseggiò lentamente il suo succo di zucca. Si prese tutto il tempo che gli era necessario per rispondere.
«Non me l’avevi chiesto» replicò con pacatezza dopo pochi minuti. Hermione sbuffò, e non poté fare a meno di notare che lui stava evitando con cura il suo sguardo.
«Ma perché?»chiese ancora la Grifondoro, seguendo con gli occhi i movimenti di Draco, che si era alzato in piedi, e aveva afferrato la borsa con i libri, senza mai guardarla.
«Non mi va di tornare dai miei»ribatté in un borbottio seccato e indisponente, dirigendosi verso la porta della Sala Grande con l’intenzione di sfuggire da lei. Hermione, tuttavia, scattò rapidamente in piedi, e lo raggiunse con pochi, rapidi passi.
«Bè» cominciò con esitazione, il tono leggermente affannato «potresti… venire alla Tana con me»Lanciò quella proposta tutto d’un fiato, sperando che sarebbe stato più facile; eppure il peso che le opprimeva il petto si fece più soffocante durante l’attesa della risposta.
«La Tana?»domandò lui, perplesso, lanciandogli finalmente un’occhiata, rapida e indolore.
«La casa di Ron e Ginny. La casa dei Weasley»ammise Hermione in un sussurro insicuro. Draco inarcò un sopracciglio e scoppiò a ridere.
«Hanno chiamato la loro casa “la Tana”?» domandò tra una risata e l’altra, profondamente divertito. La Grifondoro corrugò la fronte, seccata da quell’ilarità del tutto fuori luogo. Offesa dalle risate del giovane, gli diede un pugno sulla spalla, fissandolo con espressione irritata e oltraggiata.
Il ragazzo le lanciò un’occhiata se possibile ancor più ferita, e si massaggiò il deltoide. Poi, con tono pratico e piatto, la liquidò con un gesto della mano.
«Non sono stato invitato»disse, accelerando il passo per seminarla.
«Ti sto invitando io»insistette Hermione, costretta a correre per stargli dietro. Ma non era disposta a mollare: era una Grifondoro, e non le piaceva perdere.
«Non mi vorrebbero»ribatté Draco, scuotendo il capo. Il suo tono lasciava trapelare una leggera nota di fastidio, al di sotto dell’ostentata sicurezza.
«Sono sicura di sì»lo contraddisse lei, con il fiato corto. Senza rendersene conto, entrambi avevano cominciato a correre, ma quando il giovane Serpeverde sentì quelle parole, si fermò all’improvviso, voltandosi verso di lei con espressione scettica.
«Andiamo, Granger. Li ho sempre insultati e disprezzati»disse, allargando le braccia e guardandola come se fosse impazzita.
«Anche a me. Eppure, guardaci»replicò lei, facendo spallucce, con tutta la disarmante semplicità di cui era dotata.
«Mi vuoi dare in pasto ai lupi? Quel nomignolo calza giusto a pennello»Draco emise una bassa risata. «“Entrare nella tana dei lupi”»Scosse il capo, poi le diede le spalle e riprese a camminare velocemente. Lei lo seguì.
«Malfoy, stai facendo sarcasmo?» lo prese in giro, con tono fortemente ironico. Lui gli lanciò un’occhiata torva, ma non disse nulla, così Hermione riprese, sul volto un lieve sorriso.
«Ho sempre pensato che il lupo fossi tu»ammise con timida ironia.
«Le cose cambiano» replicò lui, mentre un ghigno gli arcuava le labbra.
«Anche le persone cambiano» ribatté prontamente la ragazza. Draco sbuffò, spazientito.
«Non verrò» dichiarò con tono perentorio, sperando di poter mettere fine alla discussione. Contro ogni aspettativa, ci riuscì.
«D’accordo» Hermione si fermò nel bel mezzo del corridoio, mettendo così fine alla corsa di entrambi. Spiazzato da quella risposta, e da quella resa che decisamente non era da lei, anche Draco smise di camminare, e, qualche passo avanti a lei, si voltò per guardarla. Era immobile, con le braccia abbandonate lungo i fianchi esili, e sul volto un’espressione indecifrabile: le sue labbra erano arcuate, eppure quel tenue sorriso non si estendeva anche agli occhi, spenti e privi di qualsiasi tangibile emozione. Quello sguardo, deluso – ancora una volta – amareggiato – solo per colpa sua – triste – non avrebbe dovuto fargli quell’effetto – lo costrinse ad abbassare le sue difese. Sbuffando, e borbottando tra sé improperi e maledizioni nei confronti di quella ragazza testarda, Draco tornò indietro e la raggiunse.
«Dai, andiamo a lezione. Se arriviamo in ritardo la McGranitt… che stai guardando?».
Hermione aveva alzato il capo, lentamente, gettando i ricci disordinati dietro la schiena, e ora stava fissando il soffitto con il naso all’insù. Draco seguì la traiettoria del suo sguardo, e intuì rapidamente il motivo di quel gesto: sopra di loro pendeva un piccolo ciuffo di vischio.
Quando abbassò di nuovo lo sguardo, Hermione era già troppo vicina alle sue labbra.
 

***

 
Le vacanze di Natale erano passate fin troppo lentamente per entrambi. Per Draco era stato noioso, forse persino doloroso, vagare per i corridoi di Hogwarts da solo, senza nessuno con cui parlare; la notte, poi, era quasi impossibile addormentarsi senza la voce di quella ragazza a sussurrargli di amori e principesse. Per Hermione era stato più semplice, perché la compagnia dei suoi amici era sempre stata piacevole e rassicurante, e così sarebbe stato fino alla fine dei tempi; ma si sentiva incompleta, e c’era qualcosa all’altezza del seno sinistro che le dava fastidio, le doleva quasi.
Sul treno di ritorno, la ragazza aveva avvertito un senso d’ansia divorante, che si era fatto più insistente e doloroso quando l’Espresso scarlatto si era fermato alla stazione di Hogsmeade. Era sparito solo nel momento in cui aveva incrociato i suoi occhi, in ansia almeno quanto quelli della giovane: una tempesta che si era fatta meno angosciante e distruttiva quando il castano delle sue iridi l’aveva scaldato.
Draco la aspettava seduto sugli scalini della stazione. Quando l’aveva vista, non aveva battuto ciglio: si era alzato e l’aveva affiancata, semplicemente. Non l’aveva alleggerita del baule, non le aveva offerto il mantello per riscaldarla – forse sapeva già che le era bastato vederlo. Non si erano rivolti la parola per tutto il tragitto. Però, arrivati ad Hogwarts, entrambi avevano un’espressione serena sul volto.
 
La Sala Comune, quella sera, era più rumorosa del solito. Ogni studente era ansioso di raccontare ai propri amici e compagni tutto ciò che era successo durante le vacanze, per cui un allegro chiacchiericcio sovrastava sia l’ululare del vento fuori dalle finestre, sia il crepitio delle fiamme del camino. Hogwarts sembrava essersi animata, e persino le ultime tracce della Guerra parevano scomparse, risucchiate dall’atmosfera natalizia che ancora aleggiava per il castello.
C’erano però due studenti che sembravano esclusi da quel brio festoso: Draco ed Hermione erano seduti di fronte al camino, in silenzio. Lui leggeva una rivista di Quidditch, lei sfogliava il libro di Incantesimi Avanzati. Non si parlavano, non si guardavano, stavano zitti e basta; eppure, in quella loro tacita compagnia, c’era molta più felicità che nei racconti rumorosi degli altri studenti, tanto che quando si alzarono, entrambi nello stesso momento, pur senza essersi scambiati un solo cenno o un singolo sguardo, molti occhi seguirono i loro passi.
Qualche minuto più tardi, nella penombra del dormitorio, il silenzio fu rotto da una domanda inaspettata.
«Perché l’hai fatto?»Draco aveva voltato il capo verso di lei, e la fissava con espressione indecifrabile. Hermione ricambiò quello sguardo, senza riuscire a interpretarlo.
«Che cosa?» domandò perplessa. Era stesa su di un fianco, accanto a lui, un braccio ripiegato sotto la testa e il corpo inconsapevolmente proteso verso il ragazzo.
«Quel bacio, prima di andartene»rispose lui con pacatezza. Hermione si morse un labbro, sentendosi improvvisamente a disagio; eppure Draco non sembrava arrabbiato, solo curioso.
«Volevo darti un pretesto per venirmi a cercare»disse lei lentamente, senza riuscire a nascondere la traccia di delusione che le incrinò la voce. Il Serpeverde non mancò di notare quella lieve frattura; sospirò, voltando il capo e fissando il soffitto con un’espressione che sembrava vagamente arrabbiata.
«Ma non l’ho fatto»considerò asciutto, schioccando la lingua sul palato. Il suo respiro si fece appena più pesante, perciò Hermione sentì il bisogno di placare qualsiasi sentimento stesse imperversando in quel momento nel suo cuore. Allungò una mano e gli diede una lieve carezza sul polso. Lui rabbrividì, ma non si mosse.
«No, non l’hai fatto»ripeté piano la ragazza. Era sovrappensiero, e quelle parole sembravano solo un tentativo di mettere ordine ai suoi pensieri, o forse di prendere tempo per trovare il coraggio di dire qualcos’altro. «Posso sapere di cosa hai paura?»domandò infatti dopo una lunghissima pausa di silenzio.
«Non ho paura di niente. Perché dovrei avere paura?»rispose subito lui, sulla difensiva, con tono offeso.
«Non lo so. Perché continui a resistermi?»chiese ancora Hermione. Draco voltò di nuovo la testa verso di lei, e la guardò con una strana luce negli occhi.
«Ti hai mai sfiorato l’idea che tu non mi piaccia?»domandò con durezza, senza la minima traccia di clemenza o delicatezza nella voce.
«Un sacco di volte»La ragazza annuì, e sorrise debolmente. «Però poi ho pensato che se stai con me, un motivo ci sarà»ribatté con tranquillità, cercando di nascondere l’ennesima ferita sanguinante che lui aveva aperto.
«C’è, infatti. Si chiama opportunismo. Tu sei l’unica che spreca del tempo con me, e dato che altrimenti sarei solo…»Il tono di Draco era freddo, strisciante e aspro. La sua crudezza, però, non fermò Hermione: quella era solo un’altra cattiveria da aggiungere alla lista. Si era quasi abituata all’insensibilità del ragazzo, ormai, e comunque lei sapeva che dentro di lui c’era qualcosa per cui valeva la pena lottare: l’aveva visto, l’aveva sentito, e continuava ad avvertirlo.
«Un tempo avresti preferito stare solo, piuttosto che con una Mudblood come me» considerò con tono neutro, gli occhi fissi in quelli di Draco. Lui tacque per qualche istante, contraendo brevemente la mascella, come se volesse trattenere qualcosa – parole? Emozioni? Sentimenti?.
«Come ti ho già detto, le cose cambiano»disse risoluto, prima di dare definitivamente le spalle alla ragazza, ponendo fine alla discussione con un sonoro – falso – russare.
 

***
 

«Granger, si può sapere dove mi stai portando?».
Draco arrancava dietro Hermione, cercando di tenere il passo della ragazza e continuando a ripetere quella domanda senza sosta.
Lei, semplicemente, correva. La mano del Serpeverde stretta nella sua, Hermione Granger correva, trascinandosi dietro il giovane che, con espressione perplessa e anche un tantino offesa, la seguiva, pur con una certa reticenza.
Di tanto in tanto, il silenzio era rotto dalle proteste di Draco, che si fermava per prendere fiato, tentando – invano – di contrastare la presa ferma di Hermione, che lo conduceva con determinazione lungo corridoi debolmente illuminati dalle torce e scale tortuose che lui non aveva mai visto. Non si fermarono fino a quando non giunsero di fronte una porticina, semi-nascosta dietro la statua di una strega dall’aria arcigna.
Con un sorriso smagliante, Hermione aprì piano la porta, ed entrò rapidamente dentro la stanza, spingendo anche Draco all’interno. L’ambiente era angusto ed umido, e l’unica fonte di luce proveniva da una fiammella aranciata, che si muoveva in circolo, lanciando lunghe ombre sulle pareti, e sul viso incredulo del fu Serpeverde.
«Granger… quella è…»Il ragazzo boccheggiò, prese fiato, poi continuò «… una salamandra?!»Gli occhi grigi si puntarono sul volto dell’ex Grifondoro, che continuava ad esibire un sorriso fiducioso, quasi eccitato.
«Una salamandra di fuoco, per la precisione»confermò, lo sguardo luccicante e l’espressione serena. Draco la fissò per qualche istante, gli occhi spalancati e la bocca aperta, nel tentativo di dire qualcosa che, però, rimase impigliato nella sua gola. Poi, le sue iridi si spostarono sulla piccola lucertola, che camminava lentamente, poco distante da loro, il dorso infuocato e la pelle rossastra e incandescente.
«Mi hai svegliato nel cuore della notte per… per una salamandra?!»boccheggiò con una punta di isteria nel tono. Hermione alzò gli occhi al cielo, e cominciò a ridacchiare.
«Certo che no»disse, scuotendo piano il capo. Le ombre sul suo viso tratteggiarono il profilo dolce e misero ancora più in luce i suoi occhi, che brillavano di qualcosa di indefinito. «Ricordi la storia che ti ho raccontato l’altra sera? Quella della Bella Addormentata?»domandò, guardandolo con una sfumatura di serietà sul volto, stemperata dalla speranzosa dolcezza della sua voce. Draco annuì piano; il sorriso di Hermione si allargò.
«Ottimo»La ragazza annuì, infilò una mano nella tasca della vestaglia e ne estrasse la bacchetta. La poggiò a terra, proprio vicino alla porta; poi, si diresse verso la salamandra. «Hai presente la parte in cui il principe salva la principessa dal drago, le dà un bacio e la risveglia?»Questa volta, la Grifondoro non si voltò verso di lui: mentre parlava, si stese sul freddo pavimento di pietra, a pochi centimetri dalla salamandra, le cui fiamme si alzavano, di tanto in tanto, rischiando di sfiorarla.
«Ancora con questa storia!»protestò Draco, sbuffando. Roteò gli occhi, incrociando le braccia al petto e fissandola. Una lingua di fuoco le arrivò tanto vicino che il giovane sobbalzò; quando si rese conto che la sua pelle non era rimasta ustionata dal contatto – sarebbe stato un peccato rovinare quel bel viso – si rilassò, e fissò con la solita aria di superiorità Hermione. «Non ricordo questa parte. Stavo dormendo»annunciò, incrociando le braccia al petto.
«Non è vero: avevi solo gli occhi chiusi, ma stavi ascoltando» lo contraddisse lei, immobile sul pavimento, con gli occhi chiusi e le mani adagiate sul ventre.
«No, ti assicuro che stavo dormendo»negò Draco, inarcando un sopracciglio. Il viso della ragazza si contrasse brevemente, e a lui sembrò di vedere una traccia di contrarietà tra quei lineamenti delicati. Ma forse era solo il gioco di ombre e luci dettato dalle fiamme.
«Bè, non importa. Devi solo salvarmi dal drago e…»Hermione aveva ancora gli occhi chiusi, quando lui la interruppe.
«È solo una salamandra, Granger»le fece notare, con un ghigno divertito sul volto. La Grifondoro aprì finalmente una palpebra, e gli scoccò un’occhiata seccata al di sopra del fuoco della salamandra.
«Usa un po’ di immaginazione, Malfoy, e stai al gioco»lo rimproverò, prima di tornare nella sua statica posizione da Bella Addormentata nella stanza con la salamandra.
Per qualche minuto, regnò il silenzio. Né Draco né Hermione dissero una parola, l’uno troppo occupato ad essere arrabbiato con lei per averlo svegliato nel cuore della notte per una cosa tanto stupida, l’altra troppo impegnata a fingere di essere precipitata in un sonno eterno che solo un bacio avrebbe potuto risvegliare.
«Nella storia non c’era nessun drago»considerò Draco dopo un interminabile silenzio, rotto solo dallo scoppiettio delle fiamme della salamandra.
«Non stavi dormendo?»gli ricordò Hermione sarcastica, inarcando un sopracciglio, sul volto un sorriso consapevole e malizioso. Draco fece per aprire la bocca, pronto a replicare, ma in quel momento la salamandra emise un’alta lingua di fuoco, così lui fu costretto a ritrarsi, e tacere. Quando la fiamma si fu diradata, il giovane guardò con premura e preoccupazione il corpo della Grifondoro, miracolosamente intatto. Il sospiro di sollievo che stava per sfuggirgli dalla bocca, si tramutò in un’ostinata affermazione.
«Non ti bacerò»asserì con sicurezza. Draco era sicuro che, se lei non fosse stata tanto intenta a fare la finta addormentata, avrebbe sbuffato.
«Ma è solo un bacio»protestò con tono esasperato, alzando di nuovo una palpebra e guardando il ragazzo.
«Non è solo un bacio»obiettò lui, appoggiando le spalle al muro e continuando a fissarla con un’espressione quasi divertita sul volto.
Hermione, infine vinta dalla sua ostinazione e dalla sua reticenza, aprì entrambi gli occhi, e si mise a sedere, ancora immobile a pochi centimetri dalle fiamme.
«Senza bacio non funziona»gli ricordò con sguardo serio, come se stesse parlando di una cosa della massima importanza. Sul volto del giovane comparve un sorriso sghembo e divertito.
«Non ti è bastato quello di Natale?Stai cercando di estorcermi un altro bacio, Granger?»domandò con tono sarcastico, inclinando la testa di lato e fissandola con gli occhi socchiusi, come per sondarne l’animo, e quindi le intenzioni. La ragazza aprì la bocca, pronta a riversagli addosso tutto il suo oltraggio per quell’insinuazione così meschina. Prima che qualsiasi parola potesse fluirle dalle labbra, però, un sorriso le accese il volto di malizia.
«Forse»confermò piano. Draco alzò gli occhi al cielo, ed emise una bassa risata.
«Hai un animoSerpeverde, te l’ho mai detto?»C’era una sfumatura di affettuosa dolcezza, in quell’affermazione, e nei suoi occhi Hermione intravide una luce di orgoglio che non aveva nulla a che vedere con il suo carattere, né con il suo passato.
Tacquero entrambi, senza trovare nient’altro da dire. Lei abbassò gli occhi, e cominciò a tormentare l’orlo della vestaglia, mordicchiandosi con nervosismo il labbro inferiore. Draco la osservò a lungo, perdendosi nella contemplazione del suo viso. Era così intento ad osservarla, che quasi non si accorse che ora lei lo stava guardando, con un’espressione profondamente sofferente sul volto.
«Perché non vuoi salvarmi?»domandò in un sussurro che lui colse a stento.
«Perché non hai bisogno di essere salvata»rispose prontamente Draco, il cui viso era ora disteso in un’espressione seria, sincera. Vide i suoi occhi spalancarsi per un istante, per poi accendersi di una luce offesa, fiammeggiante – ma forse, anche questa volta era colpa della salamandra.
«Ne ho bisogno più di quanto pensi»mormorò lei in risposta. Poi, inaspettatamente, chinò il capo, sconfitta. Era come se un peso insostenibile si fosse abbattuto su di lei, rendendole impossibile ogni movimento. Ma allora, perché le sue spalle tremavano?
Draco emise un lungo sospiro. Si chinò, e raccolse la bacchetta di Hermione; poi, senza dire una parola, le si avvicinò. Lentamente, quasi con esitazione. Nel silenzio della piccola stanza circolare, i suoi passi risuonavano quasi come un orologio che con i suoi rintocchi annunciava il procedere inesorabile del tempo – a ricordargli che tutte le cose belle, prima o poi, finiscono.
Tic.
La salamandra si fermò per un istante, ed emise una fiammata che raggiunse il soffitto, accendendo di diamanti luccicanti il viso di Hermione.
Tac.
Il buio in cui precipitarono di nuovo li rese ciechi per qualche momento, ma non impedì a Draco di imprimere nella mente l’immagine di quelle perle che scivolavano sulle gote della ragazza.
Tic.
Arrivato di fronte a lei, il giovane si fermò, ed osservò per un intero, lunghissimo minuto, le esili spalle della Grifondoro, scosse da un leggerissimo tremore, quasi invisibile.
Tac.
Quando si piegò, poggiando i gomiti sulle ginocchia e rimanendo in equilibrio sulle punte dei piedi, Hermione non alzò il viso.
Tic.
Le bacchette poggiate accanto a lui rischiavano di prendere fuoco da un momento all’altro. Ma lui non se ne curò, perchè aveva occhi solo per lei; e anche se non lei non lo stava guardando, era chiaro che stava piangendo.
Draco deglutì, e con tutta la dolcezza di cui era capace, poggiò due dita sotto il suo mento, costringendola delicatamente ad alzare il volto. Gli occhi castani di Hermione, lucidi di dolore e delusione, fiammeggiarono di orgoglio e lacrime trattenute. Persino in quel frangente era bellissima: vestita di una fragilità che la rendeva, in qualche modo, forte. Indossava il suo amore come se fosse stato un vestito incredibilmente comodo, e nonostante quella momentanea debolezza, continuava ad essere determinata, e nel suo sguardo brillava, insieme alle lacrime, qualcosa che trafisse Draco e lo atterrò definitivamente.
«Sono solo un vigliacco. Lo sono sempre stato, e sempre lo sarò»La sua voce era un sussurro basso e monocorde, depurata da accenti ed emozioni: esercitava un controllo invidiabile sul suo tono, ma nonostante questo Hermione non poté fare a meno di pensare che c’era una traccia di amarezza nelle sue parole. «Non posso salvarti, Granger»dichiarò piano, senza mai staccare gli occhi da quelli della ragazza.
Hermione deglutì e trasse un respiro profondo.
«Io invece penso che tu sia stato coraggioso»disse con un tono che contrastava nettamente con quello neutro del ragazzo: era soffice, e dolce, e leggero. Era il tono che usava quando raccontava le favole, e Draco non capiva come riuscisse ad essere sempre così forte. La fissò con sguardo incredulo e confuso, mentre lei parlava. «Ci sono tanti diversi tipo di coraggio. Tu hai lottato, a modo tuo. Hai lottato per te, per la tua famiglia, per ciò in cui credevi»spiegò, gli occhi fissi in quelli del giovane.
«Quello in cui credevo era sbagliato»le ricordò lui con amarezza.
«No. Era solo diverso. Non sappiamo cosa sia giusto e cosa sbagliato, non possiamo dirlo in tutta certezza. Io penso che Silente sia stato un grande preside, tu che era solo un pazzo. Chi può dire chi ha ragione?»ribatté Hermione. La sua voce era un sussurro tiepido, talmente basso da essere quasi sovrastato dal crepitio delle fiamme della salamandra, che continuava a camminare intorno a loro, ignorandoli.
«Io, come sempre?»suggerì lui, lasciando che un sorriso ironico gli arcuasse le labbra. Hermione rise, lieta di aver sfumato quell’atmosfera tesa con qualche risata.
«Il punto è che hai lottato per i tuoi ideali. E questo non è mai sbagliato»concluse con tono incoraggiante. Il sorriso di Draco si spense, e lui abbassò il capo, sospirando.
«Ho fatto del male a tante persone»Ancora una volta, la sua voce era priva di emozioni tangibili; ma la posa del suo corpo, e la luce che Hermione aveva intravisto nei suoi occhi prima che lui la privasse di quella vista – per non mostrarsi debole, fragile, solo, sconfitto – lasciavano intendere un pentimento che in fondo era già in atto molti mesi prima – quando un bagno e le favole erano l’unica consolazione a una vita senza speranza.
«Proprio non capisci, vero? Non conta chi eravamo. Conta solo chi siamo adesso».
Silenzio. Il fuoco sibilava debolmente, e il respiro dei due giovani riempiva la piccola stanza. Hermione sorrideva, ma nel suo sguardo c’era ancora una traccia di timore.
Poi, il primo rintocco della mezzanotte risuonò nel castello.
Gli occhi di Draco si spalancarono impercettibilmente, e nel grigiore delle sue iridi lampeggiò una speranza selvaggia, ma flebile.
«E chi sono adesso?»sussurrò piano, guardandola dritta negli occhi.
«Una persona diversa»disse Hermione in un mormorio che quasi si perse al di sotto del suono della campana.
«Lo sono davvero?».
Ancora silenzio. Respiri. Sorrisi. Campane e mezzanotte. Ricordi. Emozioni. Occhi. Le labbra di Hermione che si avvicinavano, ma che stavolta non pretendevano un bacio; volevano solo sussurrargli una verità eterna, sincera.
«Salvami, e lo sarai».
E allora, Draco capì il motivo di quei gesti. Capì perché Hermione si ostinava in quel modo: non era solo il suo modo di dimenticare la sofferenza, e non era nemmeno il solo desiderio di avere un lieto fine. La sua vicinanza era stata a tratti ossessiva, tanto che Draco non sapeva se esserne lusingato o infastidito; i suoi gesti, però, erano solo silenziose attenzioni in punta di piedi, atti di coraggio o dimostrazioni estreme di amore. Ma tutto ciò che aveva fatto fino a quel momento, non era stato per lei: non era per lei che continuava a stargli accanto, non era per avere ciò che lei voleva, non era per imporgli la sua presenza, e di sicuro non era per ottenere il suo lieto fine. Perché lei voleva il loro lieto fine.
Ecco cosa stava facendo: gli stava dando la possibilità di salvarsi, salvandola. Era strano, era contorto, era folle; ma era meraviglioso, e terribilmente da Hermione.
Lei era la sua possibilità di riscatto.
Lei, era la sua espiazione. 

*****************************************************************************************************************************
Nota dell'autrice:
Nella fiaba originale di Perrault, il principe non affronta nessun drago per salvare la principessa, ecco perchè Draco afferma che "non c'è nessun drago nella storia". Ho preferito mantenere anche il titolo originale (in inglese "The Sleeping Beauty", cioè la Bella Addormentata, senza bosco!).

Potete trovarmi qui.

Citazioni:
- Non conta chi eravamo, conta solo chi siamo adesso (Dal telefilm Lost).

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo 9: Peter Pan - ovvero di risate e manici di scopa ***


A tutti i lettori che hanno seguito e amato questa storia;
a tutte le principesse che sognano di trovare il proprio Draco;
a tutti i cattivi che sperano in una Hermione che li salvi;
a chiunque sogni che la fiaba si avveri.



Capitolo 9:
Peter Pan – ovvero di risate e manici di scopa

 
«Quando il primo bambino rise,
la sua risata si infranse in mille e mille pezzi,
che si dispersero scintillando in tutto il mondo:
così nacquero le fate»

 

Se tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, tra il capire e l’agire c’era di mezzo Draco Malfoy e il suo carattere impossibile. Tutto ciò che il Serpeverde era riuscito a fare da quando aveva intuito la verità che si nascondeva dietro i comportamenti di Hermione, era limitare al minimo le risposte aspre e gli atteggiamenti gelidi che l’avevano sempre caratterizzato. Mordersi la lingua ogni volta che lei parlava non era il modo migliore di salvarla – di salvarsi. Tuttavia, considerato che di draghi feroci non c’era traccia, e che i maghi oscuri ormai erano quasi tutti rinchiusi ad Azkaban, Draco decise che la ragazza poteva anche accontentarsi della mezza gentilezza che le riservava – e che lei, in tutta onestà, più che piacevole trovava strana.
 
«Malfoy, sei un arrogante, viziato…»
«… bellissimo Purosangue?»
«Stavo per dire bastardo Serpeverde, a dir la verità»
«Perfida Grifondoro»
«Come?»
«Non ho detto niente»
«Malfoy!»
«Granger»
 
Tutto sommato, era quasi piacevole.
 

***

 
Hagrid non era certo celebre per la sua perspicacia. Non che non fosse intelligente, ma il suo acume era tutto rivolto verso strane creature e orridi mostri, per lui adorabili, per il resto del mondo semplicemente letali; avrebbe saputo distinguere alla prima occhiata un crine di Thestral da un pelo di Porlock, ma in quanto a sentimenti umani era un disastro. Di sicuro cucinava meglio di quanto capiva le persone. Tuttavia, a lungo andare, nemmeno lui poté più ignorare la palese verità che gli si presentava davanti agli occhi.
I primi mesi, quando aveva visto Hermione Granger e Draco Malfoy insieme in giro per la scuola, aveva pensato di rispolverare il suo vecchio ombrello rosa, perché era certo che quel borioso Serpeverde stesse importunando la povera ragazza, troppo buona per respingerlo. Il suo primo istinto, la rabbia, era stato placato da Minerva McGranitt, che poteva anche essere severa e rigida in materia scolastica, ma di sicuro aveva vissuto abbastanza da riuscire a vedere ben oltre la grossa mole del guardiacaccia, e aveva preferito lasciar crescere il bocciolo di quel giovane amore.
Hagrid aveva osservato in silenzio, senza capire. La rabbia si era trasformata in sgomento nel momento in cui Hermione era arrivata a lezione di Cura delle Creature Magiche insieme a Malfoy Junior – e questa volta era lui che sembrava tutto meno che contento della compagnia della ragazza. Il fatto, poi, che i due passassero ogni momento insieme – colazione, pause studio, intervalli, pranzi, lezioni, cene, festività – aveva mutato lo sgomento in confusione.
Per fortuna, Hagrid era un uomo paziente e di buon cuore, pragmatico e, talvolta, persino razionale. Così, non riuscendo a sbrogliare da solo quella matassa inesplicabile di situazioni, aveva chiesto alla diretta interessata di venire a prendere un tè nella sua capanna, “come ai vecchi tempi”. Quando, però, si era visto capitare tra capo e collo nientemeno che Draco Malfoy, aveva dato di matto, e da lì ad avvertire Harry, Ron, i signori Weasley e tutto l’Ordine della Fenice al completo, il passo era stato breve. Insomma, non aveva tazze abbastanza grandi per contenere l’enorme ego del Serpeverde, e nemmeno una pazienza e un buon cuore abbastanza estesi – e lui di dimensioni se ne intendeva.
Ne era conseguito uno scandalo che aveva, per certi versi, ricordato la Seconda Guerra Magica: urla, accuse, incredulità, ancora urla, lacrime, qualche incantesimo.
Hermione aveva sostenuto i suoi amici a testa alta, da brava Grifondoro. Li aveva affrontati, spiegando loro le circostanze che l’avevano legata a Draco Malfoy – Ma proprio quelDraco Malfoy? Hermione, sul serio… non ti avrà fatto qualche incantesimo?. Appurato che, no, Draco Malfoy non aveva fatto nessun incantesimo a Hermione Granger, Harry e Ron si erano rassegnati all’evidenza, e avevano ben pensato di invitare il Serpeverde a passare l’estate insieme a loro – se non possiamo combatterlo, possiamo almeno controllarlo.
 
Quando Hermione era tornata da Draco per riferirgli la notizia, era scoppiata la Terza Guerra Magica, e tutti i propositi del ragazzo di mordersi la lingua e risparmiarsi asprezza e acidità erano sfumati – per poi tornare solidi al primo accenno di sorriso.
«Andiamo. Ho una favola da raccontarti»L’aveva preso per mano, con dolcezza, e l’aveva portato su per le scale del dormitorio, come una madre amorevole pronta ad accogliere tra le sue braccia forti e rassicuranti ogni protesta – spenta sull’angolo delle sue stesse labbra, con un bacio della buonanotte che aveva anche smorzato la sua rabbia.
«Peter Pan è un bambino che sa volare»cominciò a raccontare Hermione, mentre si stendeva sul letto accanto a Draco.
«Anche io so volare, che c’è di tanto speciale?»protestò il giovane, scoccando alla Grifondoro un’occhiata offesa, come se quello che aveva appena detto fosse un oltraggio alla sua persona.
«Lui non vola su una scopa»spiegò la ragazza con tono paziente, modulando la voce cosicché risultasse priva di quella traccia di divertimento che le parole del Serpeverde avevano destato.
«E come vola allora?»domandò subito Draco, curioso e perplesso al tempo stesso.
«Vola grazie alla polvere di fata»rispose Hermione con pacatezza. I suoi occhi, prima fissi sulle loro mani intrecciate, scivolarono lungo il corpo del giovane, avvolto dalle lenzuola, per poi puntarsi nei suoi occhi grigi, sfumati di dolcezza e palpitanti di sentimenti che lei preferì non interpretare.
«La polvere di fata?»Draco scoppiò a ridere, divertito. La Grifondoro arcuò le labbra in un lieve sorriso, poi riprese.
«Quando il primo bambino rise, la sua risata si infranse in mille pezzi, che si dispersero scintillando in tutto il mondo: così nacquero le fate» citò Hermione, cercando, con quelle parole, di spiegare al ragazzo la concezione babbana di fate. Lui, però, scosse la testa, schioccando le labbra con fare scettico, per nulla convinto da quella spiegazione.
«È ridicolo»dichiarò, ghignando con divertimento. La Grifondoro trasse un lungo respiro, e lo ignorò.
«Peter Pan vive nell’Isola Che Non C’è»continuò piano, lo sguardo addolcito dalla genuina incredulità che brillava negli occhi del Serpeverde.
«Se non c’è come fa a viverci?»chiese, corrugando la fronte e fissandola come se fosse impazzita.
«Perché c’è solo per chi ci crede veramente»spiegò piano Hermione, a bassa voce, come se gli stesse raccontando, più che una fiaba, un segreto.
«Io non ci credo»affermò Draco in tutta sicurezza, arricciando le labbra e inarcando le sopracciglia con fare superbo. La Grifondoro sospirò, e scosse il capo.
«Sei troppo cinico»dichiarò con tono esasperato. Eppure il sorriso non aveva abbandonato il suo viso, né i suoi occhi erano meno luminosi di quanto non fossero quando aveva cominciato a raccontare la sua favola. D’altronde, le lezioni che aveva voluto insegnare a Draco erano state recepite solo dopo molto tempo, e sapere che, ancora una volta, lui faticava a capire cosa si nascondeva dietro quella fiaba non la sorprendeva più di tanto.
«Tu ci credi?»chiese lui dopo qualche minuto di silenzio, guardandola con intensità negli occhi.
«Sì»sussurrò Hermione, annuendo. Vide un muscolo guizzare sul suo viso, e un lampo accendersi nelle sue iridi.
«E l’hai mai vista?»domandò ancora, voltandosi sul fianco sinistro, così da assumere una posizione speculare a quella della ragazza, per poterla guardare meglio negli occhi.
«Solo i bambini possono arrivarci»rispose lei, la voce un mormorio soffice che ricordava la morbidezza delle lenzuola in cui entrambi erano avvolti.
«Perché?»insistette lui, deglutendo piano, per non spezzare quell’atmosfera intima e calda che si era creata.
«Perché solo i bambini hanno abbastanza fantasia»Hermione aveva uno sguardo profondo, appassionato, sincero. Draco aveva gli occhi leggermente sgranati, come un bambino curioso che scopre per la prima volta qualcosa di incredibilmente prezioso. «Peter Pan non può crescere. Ha deciso di rimanere bambino per sempre, perché diventare adulti significa avere troppe responsabilità. Non cambia idea nemmeno quando conosce Wendy». La Grifondoro parlava con una voce che sembrava seta; parlava piano, e con una dolcezza antica che ricordava a Draco il modo in cui sua madre gli si rivolgeva quando doveva rimproverarlo per qualcosa. Inspiegabilmente, fu spontaneo, per lui, sorridere.
«Chi è Wendy?»chiese, e per la prima volta il suo tono era permeato da una sfumatura di emozione.
«Lei gli raccontava le favole»bisbigliò Hermione, osservando con estrema attenzione il modo in cui le pupille di Draco si spalancavano per la sorpresa, senza che un solo muscolo del suo volto si muovesse. Ma lei aveva imparato a cogliere i segni del suo cuore anche da quei piccoli particolari – perché gli occhi e il cuore non mentono mai. «Lui le insegnava a volare»aggiunse con un lieve sorriso compiaciuto sul volto.
Probabilmente, il ragazzo si accorse della sfumatura di soddisfazione che il sorriso di Hermione aveva assunto, perché abbandonò le spalle sul materasso, scostando gli occhi da quelli della Grifondoro così da privarla di quell’accesso diretto alla sua anima. Il fruscio delle lenzuola fu tanto forte da spezzare l’intimità di quel momento.
«E scommetto che Peter Pan e Wendy si sposano e fanno tanti marmocchi»disse Draco ad alta voce, convinto, con l’espediente del volume alto, di scacciare anche la fastidiosa sensazione che lei gli fosse entrata dentro più di quanto fosse disposto ad ammettere.
«Non hai imparato proprio niente in questi mesi?»rispose Hermione, ridendo di gusto.
«No»acconsentì lui, con un ghigno sul volto, solo per avere il piacere di contestare tutto ciò che lei aveva fatto per lui fino a quel momento.
«Wendy decide di diventare grande. Peter Pan fa ritorno sull’Isola Che Non C’è, e sceglie di restare bambino per sempre»raccontò la Grifondoro, osservando il profilo dritto e severo di Draco, tratteggiato dai raggi lunari che penetravano dalle finestre socchiuse.
«Perché non rimane con lui?» domandò il Serpeverde, lanciandogli una breve occhiata. Un lampo di preoccupazione gli illuminò lo sguardo per un attimo – o forse era solo la luce candida della luna a donare alle sue iridi quella sfumature perlacea.
«Perché Wendy ha capito che non si può restare bambini per sempre. Ha capito che crescere non è solo un obbligo temporale, ma anche, e soprattutto, un dovere morale. Ha capito che rimanendo bambina si sarebbe persa la parte più bella della sua vita, e che anche se diventare adulta poteva sembrare difficile, sarebbe stata un’avventura meravigliosa»spiegò Hermione. E Draco la sentì di nuovo, quella sensazione a tratti dimenticata, quel senso di completezza inconsistente che l’aveva tenuto in vita durante il sesto anno: leggerezza.
«Perché ho la sensazione che tu stia cercando di dirmi qualcosa, Granger?»domandò il ragazzo, guardandola torvamente, senza però riuscire a trattenere il sorriso divertito che aveva sulle labbra.
«Perché sei troppo diffidente, Malfoy»replicò con pacatezza la Grifondoro, stringendosi nelle spalle. Però non lo guardava, e questo la diceva lunga sulle sue reali intenzioni.
Mentre le prime luci di un nuovo giorno tinteggiavano di arancio le cortine del letto, Draco soppesò a lungo le parole di Hermione.
Wendy ha capito che non si può restare bambini per sempre.
Hermione aveva capito che non avrebbe potuto rimanere per sempre accanto a Draco.
Ha capito che rimanendo bambina si sarebbe persa la parte più bella della sua vita.
Aveva capito che scontrarsi contro un muro sarebbe stato sempre più doloroso, perché alle cicatrici precedenti si aggiungevano le nuove ferite; e le ossa rotte non si aggiustavano da sole.
E anche se diventare adulta poteva sembrare difficile, sarebbe stata un’avventura meravigliosa.
Draco, invece, non aveva capito che lasciarsi trasportare dalla corrente della vita – dal sorriso di Wendy – non era così letale come pensava. Poteva essere un’avventura meravigliosa.
Draco deglutì, e trasse un respiro profondo.
«Wendy è fin troppo intelligente»annunciò, trovando la sua gola stranamente secca e la sua voce inspiegabilmente roca.
«Come tutte le bambine»acconsentì Hermione, con un sorriso consapevole sul volto.
«Ma è anche un po’ stronza. Parla troppo per enigmi»aggiunse subito il Serpeverde, troppo abituato a vincere per lasciarla trionfare in quel modo.
«Parla attraverso le favole. È un modo dolce di parlare»lo corresse lei con tranquillità. «E Peter Pan?»domandò poi, puntando un gomito sul materasso, e fissando il giovane dritto negli occhi. Draco ricambiò quello sguardo, pulito e privo di aspettativa, con la bocca chiusa e la gola serrata in una morsa a tratti dolorosa.
«Peter Pan è un idiota»dichiarò alla fine, senza che un solo tratto del suo volto lasciasse trapelare quella strana sensazione di ansia che gli aveva artigliato il cuore, spingendolo ai limiti delle sue possibilità.
E a quelle parole, Hermione rise. Rise di quella risata lontana più o meno due anni, una risata che spesso aveva sentito riecheggiare tra i muri umidi e scricchiolanti di un bagno in disuso, nel buio fitto e impenetrabile di una Polvere adatta al caso. Rise di quella risata da spezzare il cuore, per poi ricucirlo con perizia e dolcezza. Rise di quella risata che avrebbe potuto benissimo creare cinque, dieci, centomila fate, perché era così bella, e così vera, che Draco si perse nelle pieghe del suo sorriso, nella morbidezza delle sue labbra, nel suono armonioso di quella gioia, e sorrise di rimando, trascinato dalla sua bellezza.
 

***

 
«Forse io sono come il Capitan Uncino»
«Che intendi?»
«Tu cerchi di volare, ma io continuo a tirarti giù»
«Credo che tu sia più come Peter Pan»
«Come fai a saperlo? »
«Perché io ti ho visto, in quel bagno»
«Era buio»
«Appunto»
«Granger, al buio non si vede»
«Malfoy, a volte sei così stupido» Escoppiò a ridere.
Draco stava per ribattere qualcosa di molto acido, con la solita arroganza di sempre, ma il suono della sua risata gli inchiodò la lingua al palato, e lui, improvvisamente, perse la voglia di dire qualsiasi cosa, perché parlare avrebbe significato interrompere quel suono, e l’unica cosa di cui aveva bisogno in quel momento era sentirla ridere, da quel momento fino alla mattina successiva. E forse anche un po’ di più.
 

***

 
Hermione aveva gli occhi chiusi, la bocca arcuata in un sorriso appena accennato, e i capelli sparsi sul cuscino, annodati e disordinati. Il suo petto si alzava e si abbassava dolcemente, al ritmo quieto del suo respiro.
Draco era steso accanto a lei, come sempre: voltato su un fianco, con la testa poggiata sul palmo della mano e il gomito affondato nel materasso, le accarezzava piano i capelli, giocando con i riccioli crespi e osservandola con estrema attenzione.
«Dimmi qualcosa di te»sussurrò piano, rompendo il silenzio morbido del dormitorio. Hermione arcuò le labbra in un sorriso appena più evidente, ma non aprì gli occhi.
«Mi piace studiare»rispose rapidamente. Draco sbuffò.
«Dimmi qualcosa di te che non so»si corresse, e nella sua voce c’era una traccia di infastidito divertimento. Le accarezzò il viso con i polpastrelli, percorrendo con la punta delle dita il profilo piccolo del naso, gli zigomi ombreggiati dalle ciglia, la linea morbida della bocca, la curva tenera del collo.
Hermione aprì lentamente le palpebre. Draco la guardò negli occhi, e quando vide il brivido che riverberò nel suo sguardo castano scuro, ritrasse la mano, dandole solo un’ultima carezza.
«Al primo anno avevo una cotta per Harry»sussurrò piano lei, dopo qualche minuto di riflessione.
«Granger, che schifo!» Il Serpeverde spalancò gli occhi, incredulo, corrugando la fronte in un’espressione disgustata.
«Avevo undici anni, era il fascino della celebrità»si giustificò Hermione, per poi scoppiare a ridere, divertita dalla reazione del ragazzo.
«E poi come ti è passata?»domandò lui incuriosito, cercando di riacquistare un contegno. Aveva sulle labbra un sorriso leggero e spensierato, mentre parlava, come se trovasse incredibilmente attraente scoprire qualcosa di lei.
Hermione emise un sospiro che sembrava più uno sbuffo scocciato.
«Ron»borbottò, mentre il suo viso si tingeva di un tenue color porpora. Draco strinse appena le labbra. Qualcosa nel suo stomaco si mosse, una bestia irrequieta, irritata. Lui imputò la colpa al fatto che Hermione avesse appena distolto lo sguardo, privandolo della vista dei suoi occhi. Ora si sentiva meno al sicuro, più agitato.
«Cadi sempre più in basso» disse, con un tono involontariamente più freddo. La Grifondoro non sembrò accorgersi di quel lieve cambiamento. Sollevò il braccio, sferrando un pugno leggero al petto del giovane, che si coprì il torace con le braccia, ridacchiando, divertito.
«Immagino di essermi risollevata un sacco con te, giusto?»lo provocò Hermione, cercando lo sguardo del Serpeverde.
«Plani nei cieli più alti» approvò lui, annuendo e ridacchiando. I suoi occhi vagarono per qualche istante lungo le pareti della stanza, evitando volutamente quelli della ragazza; poi, si posarono delicatamente dentro le due iridi, incatenandole. Quando il castano scuro di lei incontrò il grigio chiaro di lui, entrambi i loro sorrisi scemarono. «Non ho mai creduto al chiodo scaccia chiodo»mormorò piano Draco, con una serietà che spiazzò la Grifondoro.
«Non è stato questo»rispose Hermione, scuotendo il capo. Innervosita, affondò gli incisivi superiori nel labbro, fissando il ragazzo con intensità. Prima di rendersi conto che quello era il primo segno di un’insicurezza da lei mai mostrata, lui abbassò gli occhi, e guardò a lungo le sue labbra. Cercò di nascondere con un sospiro il lampo di desiderio improvvisamente divampato dentro di lui.
«Tu non sei davvero innamorata di me»affermò dolcemente. Allungò una mano verso il suo viso, e la accarezzò con delicatezza. Il cuore di Hermione ebbe un’accelerazione improvvisa: il suo volto si accese di un intenso rosso quando le dita di Draco la sfiorarono.
«Come puoi saperlo?»domandò, con la voce rotta dall’emozione.
«Perché quando... è successa quella cosa, tra di noi… il nostro primo incontro, e tutti quelli a seguire. Eri solo… fragile. Emotivamente instabile» mormorò Draco con esitazione, tremando quanto la ragazza.
«È vero»acconsentì lei. «Ma dopo stavo bene»aggiunse con un filo di voce, come se fosse impaurita.
«C’era la guerra»le ricordò lui, con una nota di rimprovero nella voce. Un sorriso amaro disegnò pennellate scure agli angoli delle labbra di Hermione. I suoi occhi si addolcirono quando lei avvertì quella sfumatura nel tono del giovane.
«Infatti. Ho avuto più di un anno per pensare ai miei sentimenti. E non sono cambiati»proseguì, determinata e ferma nei suoi propositi. Draco emise un respiro spazientito, e scosse il capo.
«Io non sono quello che fa per te»affermò lui. Si lasciò cadere supino, e si coprì il volto con le mani, massaggiandosi gli occhi e sbuffando, irrequieto.
«Perché?»domandò Hermione, osservandolo con attenzione, quasi guardinga, intimorita da quell’improvvisa ed aperta reticenza. A quella domanda, il giovane Serpeverde scattò a sedere e pugnalò la ragazza con il suo sguardo di ghiaccio.
«Perché sono io. Sono un Malfoy. Sono un Mangiamorte, sono quello che per anni ti ha insultato, disprezzato, odiato»Era freddo, era aspro, era cattivo; ma era anche amaro, pentito, implorante. Forse, fu proprio quella traccia di preghiera a convincere Hermione ad insistere; magari, l’avrebbe fatto comunque, perché era testarda, convinta, innamorata.
«E ora mi odi?» domandò a bassa voce, ricambiando quello sguardo con la stessa intensità, ma con un calore del tutto contrastante con il gelo che permeava le iridi del giovane. La sua voce era un pigolio impaurito, e quella sfumatura di incertezza, a tratti ostentata con orgoglio, la rendeva, in qualche modo, ancora più bella, e interessante, e attraente. La rendeva ancora più Hermione. Draco chiuse la bocca, incapace di replicare, e trasse un paio di profondi respiri: aveva il fiato corto, e il cuore gli tamburellava contro il petto a una velocità impensabile, come se avesse corso per chilometri – una fuga interminabile dai suoi sentimenti, ma che, inevitabilmente, finiva lì, davanti a lei, in quello scontro finale senza esclusione di colpi; lì, davanti a quegli occhi che pretendevano sincerità.
«Noi non siamo fatti per stare insieme. Siamo totalmente opposti»La voce di Draco era una carezza lontana e impercettibile, un sussurro permeato da una sincerità disarmante, persino dolorosa, ma reale e tangibile.
«Gli opposti si attraggono»replicò Hermione. Per qualche motivo, il suo tono aveva perso la fermezza e la determinazione che aveva sempre avuto, e persino la dolcezza era stata sfumata da qualcosa che somigliava alla paura.
«Luoghi comuni»ribatté Draco risoluto. La ragazza sbuffò, e alzò gli occhi al cielo, prima di puntarli di nuovo in quelli del giovane Serpeverde.
«Se esistono ci sarà un motivo, no?»Anche lei era seduta sul letto, ora, e stringeva convulsamente le lenzuola, stropicciate dalle sue dita, sottili e bianche a causa della morsa intensa: stava scaricando tutti i suoi timori e le sue lacrime su quel fragile pezzo di stoffa. Draco provò l’impulso irrefrenabile di prenderle la mano e farsi stritolare lui stesso, sentire tutti i suoi turbamenti e le sue paure sulla pelle, accoglierla tra le sue dita fino a farsi male, fino a sanguinare. Invece, tutto ciò che fece fu guardarla, e scuotere il capo, vinto ma non ancora sconfitto.
«Perché?»chiese. Hermione aggrottò le sopracciglia, senza riuscire a capire.
«Perché cosa?»domandò, piuttosto confusa. La presa sulle lenzuola diminuì appena; le sue spalle si rilassarono, e gli occhi si fecero più attenti, ombrosi ma interessati.
«Perché io? Potresti avere… tutto quello che vuoi. Hai il mondo ai tuoi piedi»Draco era esasperato, e incredulo. Non riusciva a capire, e si tormentava per cercare di scostare le ombre che gli impedivano di carpire i segreti racchiusi dentro il cuore della Grifondoro.
«Il mondo non mi interessa»ribatté subito lei, scuotendo il capo. Il ragazzo si alzò in piedi all’improvviso, e cominciò a misurare a grandi passi la stanza, girando attorno al letto come un cacciatore che ha accerchiato la preda e si prepara ad attaccarla.
«Sei così cocciuta» sbottò dopo qualche minuto di silenzio. Si passò una mano tra i capelli, scompigliandoli, mentre Hermione seguiva ogni suo movimento con lo sguardo.
«Qual è il problema? Non sopporti che una sporca Mezzosangue sia innamorata di te?»Senza rendersene conto, anche lei si era alzata, e aveva sputato quelle parole con tutta la rabbia e il disprezzo di cui era capace.
Draco fece un lungo passo per fronteggiarla, e le si posizionò di fronte, il viso a pochi centimetri da quello della ragazza, contratto da una smorfia di ira – ma sembrava dolore, più che collera.
«Tu - non - sei - innamorata - di - me»scandì lentamente, come se volesse fare in modo che il concetto le entrasse bene in testa. La mascella serrata e gli occhi fiammeggianti, la fissava dall’alto in basso, con il respiro corto e il cuore che batteva tanto velocemente da fargli male.
«Sì, invece»lo contraddisse Hermione, sibilando quelle parole quasi con astio. «Cerco di fartelo capire da anni, ma tu continui a ignorare tutto, ogni segno, ogni parola, ogni sguardo. E continui a negare, a fare finta che non sia così»I suoi occhi brillarono per un attimo; poi, la prima lacrima scivolò sul suo volto. «Ma è così. Io sono innamorata di te»disse con intensità. Aveva lo sguardo fisso in quello di Draco, e nonostante volesse andarsene di lì, nonostante desiderasse mettere quanta più distanza possibile tra lei e lui, sembrava che i suoi occhi fossero incatenati a quelli del ragazzo.
«No»ripeté lui, ostinato. «Al massimo ti concedo una cotta»sussurrò dopo qualche istante di silenzio.
«È già un inizio» replicò Hermione. Draco scosse il capo, e distolse lo sguardo dal viso della ragazza. Tacque a lungo, incapace di replicare, riempiendo il silenzio solo con il suono pesante del suo respiro. I suoi passi irrequieti risuonarono nel silenzio del dormitorio: si muoveva come un animale ferito, in gabbia. Alla fine, vinto dalla stanchezza, o forse da schiaccianti emozioni che non sapeva spiegare nemmeno a se stesso, si abbandonò sul letto e chiuse gli occhi. Dopo pochi minuti, avvertì il materasso abbassarsi dolcemente a causa dell’esile peso che vi si era posato sopra, poco distante da lui. Le molle del letto cigolarono, ma lui non disse niente, né si mosse.
«Ho volato, una volta»La voce di Hermione era tornata soffice e delicata. Non c’era più traccia di rabbia, paura o insicurezza nel suo timbro, e quando Draco aprì gli occhi, per puntarli su di lei, il suo viso era pulito e candido come sempre, e il suo sguardo terso e limpido, come se non avesse mai pianto. Di sicuro, era molto più brava di lui a nascondere i suoi sentimenti.
«Come?»chiese il ragazzo, corrugando la fronte. La confusione e la perplessità erano evidenti nelle sue iridi, torbide e tempestose.
«Qualcosa che non sai di me»ripeté lei, citando le stesse parole che il Serpeverde aveva utilizzato pochi minuti prima – eppure, sembravano passate ore da quella richiesta. Hermione sorrise debolmente, intenzionata a lasciarsi alle spalle il violento scambio di opinioni appena avuto. La tensione era ancora nell’aria, ma sembrava scemare ad ogni sguardo, ad ogni sorriso, ad ogni parola.
Draco dimenticò in fretta il litigio, la rabbia, la paura che gli aveva attanagliato il cuore quando i suoi dubbi erano diventati realtà e lei gli aveva sbattuto in faccia il suo amore; puntò i gomiti sul materasso e alzò un poco il busto.
«Pensavo odiassi volare»considerò con tono incuriosito. La guardava con un nuovo interesse, completamente indifferente a ciò che era successo poco prima.
«Infatti»Hermione annuì, e si stese accanto a lui. Anche lei era più rilassata, adesso: era stato facile lasciarsi scivolare alle spalle quella breve discussione.
«E cosa ti ha portato su una scopa, allora?»domandò Draco, che non riusciva a immaginare un valido motivo per cui lei dovesse superare una paura così grande.
«Non era una scopa» Il sorriso della Grifondoro si accentuò, e assunse una sfumature di smaliziata soddisfazione che a lui non sfuggì. Inarcò un sopracciglio, e la fissò in attesa che lei continuasse. «Era un Ippogrifo»precisò lei, in risposta alla muta domanda che lesse nei suoi occhi. Draco spalancò la bocca, lasciandosi sfuggire un lieve mugolio di sorpresa.
«Per caso un certo Ippogrifo che dopo aver tentato di staccarmi un braccio si è misteriosamente volatilizzato senza lasciare traccia, prima di poter essere giustiziato?»domandò lui con tono retorico e fortemente sarcastico, arricciando le labbra in una smorfia disgustata e infastidita.
«Per caso, sì» replicò Hermione, con fastidioso compiacimento. Draco sbuffò, e voltò il capo, offeso. «Anche su un Thestral, una volta»riprese allora lei, ottenendo ancora una volta la sua attenzione.
«Quella parte credo di ricordarla»Un sorriso amaro arcuò le labbra del giovane, che scoccò alla Grifondoro un’occhiata triste. Certo che se la ricordava, pensò Hermione: era per questo che suo padre era finito ad Azkaban.
La ragazza trasse un respiro profondo, lasciando cadere nel silenzio quegli spiacevoli ricordi. Poi, dopo aver intrecciato le dita a quelle di Draco, disse: «Dimmi qualcosa che non so di te».
«Ci sono un sacco di cose che non sai di me»rispose lui con tono arrogante, dopo aver emesso un lieve sbuffo irritato.
«Allora comincia subito, perché voglio saperle tutte»affermò Hermione con dolcezza, mentre il suo pollice accarezzava in piccoli cerchi il dorso della mano del ragazzo. Lui tacque per qualche minuto, gli occhi puntati verso il soffitto, ma in realtà persi tra le brume di ricordi lontani e nebulosi, in una ricerca frenetica e, per certi versi, complicata.
«Ho avuto il Marchio a undici anni. Subito dopo aver ricevuto la lettera per Hogwarts»affermò con tono piatto, privo di ogni intonazione o emozione; eppure, nei suoi occhi passò un lampo di timore.
«Undici anni?»ripeté Hermione in un sussurro scandalizzato, aprendo e chiudendo la bocca come un pesce fuor d’acqua. Draco annuì un paio di volte, ma non aggiunse nulla. La sua mano tentò un paio di volte di scivolare via da quella della giovane, durante il silenzio che seguì, ma lei non glielo permise. Indispettito da quella resistenza, il Serpeverde si voltò verso di lei, ma quando incrociò i suoi occhi fu costretto a tacere: c’era una luce intimidita nello sguardo di Hermione, e, per qualche strana ragione, lei era arrossita.
Prima che Draco potesse chiederle il motivo di quel rossore, lei sussurrò: «Sono vergine».
La sorpresa creata da quella confessione del tutto inaspettata e fuori luogo fu ben presto spazzata e sostituita dalla curiosità e dal dubbio.
«Cosa?»domandò Draco, corrugando la fronte in un’espressione perplessa e sospettosa.
«Sembri sorpreso»affermò Hermione, arrossendo in modo ancora più evidente.
«Lo sono»confermò lui. La Grifondoro spalancò la bocca e assunse un’espressione oltraggiata. La presa sulle dita di Draco si fece meno salda, ma non per questo meno intensa.
«Mi reputi una ragazza facile?»domandò con tono offeso, muovendosi irrequieta tra le coperte. Il fruscio provocato dalle lenzuola nascose la leggera risatina del Serpeverde.
«Ti reputo una ragazza che è stata per mesi nella stessa tenda con due… bè, effettivamente non è che Potter e Weasley si possano definire esattamente uomini» rifletté lui ad alta voce, sul volto un ghigno divertito. Hermione gonfiò le guance, come una bambina arrabbiata, e gli diede un forte pugno sul petto.
«Sono i miei migliori amici»precisò con tono deciso e perentorio, certa, in quel modo, di mettere fine a quella discussione, che aveva preso una piega fin troppo intima; lei si sentiva irrequieta, profondamente imbarazzata, ed era certa che il suo volto fosse acceso da un rossore evidente persino nel buio.
«Appunto»annuì Draco, approfittando di quel raro momento di debolezza da lei mostrato.
«Solo amici…» sottolineò Hermione, guardandolo dritto negli occhi e cercando, in tal modo, di convincerlo della totale assenza di sentimenti estranei all’amicizia tra lei, Harry e Ron.
«… niente sesso?» completò Draco, che ormai doveva fare uno sforzo non indifferente per trattenere le risa. Quell’ultima insinuazione, però, gli costò un altro pugno sul petto, più forte del precedente.
Indispettita, Hermione incrociò le braccia sotto al petto e voltò le spalle al Serpeverde. Lui, lentamente, con un sorriso sornione stampato sul volto, le si avvicinò, portando le labbra a pochi centimetri dall’orecchio della ragazza.
«Quand’è che sei nata?»domandò piano. La Grifondoro rabbrividì al tocco tiepido del suo respiro sulla pelle tenera della nuca.
«Come?»balbettò, mentre le sue guance si tingevano di un ancor più acceso color porpora.
«Perché intendevi che il tuo simbolo zobiacale è Vergine, vero? È l’unico che mi ricordo»affermò lui, prima di scoppiare a ridere tanto forte da rischiare di svegliare gli altri studenti.
Hermione sbuffò, roteò gli occhi e poi si voltò verso di lui, esasperata e infastidita.
«Si dice segni zodiacali, Malfoy e poi… perché non mi sorprende che tu ricordi solo quello?» lo provocò, ironica. Sulle sue labbra si disegnò un lievissimo sorriso, che non riuscì tuttavia a sfumare il rosso del suo viso.
«Io sono pieno di sorprese»rispose con tono superbo Draco, tornato improvvisamente serio.
«Infatti ci hai azzeccato»acconsentì Hermione, lanciandogli un’occhiata affettuosa.
«Su cosa?»chiese lui, inarcando un sopracciglio, confuso.
«Il mio segno zodiacale»
«Lo sapevo che mentivi»
«Sono davvero vergine»
«Questo l’ho capito. Volevo sapere…»Il Serpeverde fu interrotto dalla voce esasperata di Hermione che, sbuffando, troncò ogni domanda.
«Non ho mai fatto sesso, né con Harry, né con Ron, né con nessun’altro»precisò con un filo di voce, torcendo la stoffa della vestaglia, il capo chino e il viso di nuovo acceso dall’imbarazzo.
«Krum?»tentò Draco, appellandosi all’ultima risorsa che gli venne in mente.
«Malfoy» lo richiamò lei, lanciandogli un’occhiata torva. Ma lui – naturalmente – fraintese, in modo del tutto involontario.
«No, con me no di sicuro»replicò con compiacimento, un ghigno divertito sul volto.
«Molto divertente, davvero» sbuffò Hermione, scoccandogli uno sguardo omicida. Sembrava sul punto di alzarsi e andarsene, ma all’ultimo momento parve cambiare idea, e anziché sbattere la porta del dormitorio del ragazzo, si voltò verso di lui e, con un sorrisetto soddisfatto, disse: «Ora tocca a te».
Naturalmente, Draco fraintese la domanda, in modo del tutto involontario.
«Io sono conchiglia»affermò con espressione seria, evitando però lo sguardo della Grifondoro. Era evidente che si stesse impegnando per non ridere.
«Conchiglia?»ripeté lei, perplessa, corrugando la fronte e guardandolo con una muta domanda negli occhi.
«Non ci ho preso, eh?» Il giovane emise una breve risata, poi sospirò. «Sono illibato almeno quanto te»affermò a bassa voce, quasi avesse timore di confessarsi proprio con lei.
«Non hai mai fatto sesso?»Gli occhi di Hermione si spalancarono per lo stupore e lo sconcerto; ammutolita da quell’affermazione, che lei proprio non si aspettava, la ragazza rimase immobile a fissare Draco, che ora era infastidito almeno quanto la Grifondoro lo era stata quando era lei l’oggetto della discussione.
«Sembri sorpresa»recitò il giovane, con tono fortemente ironico, con tutta l’intenzione di ripetere il teatrino già precedentemente recitato.
«Lo sono»ammise Hermione, che, tuttavia, non poteva nascondere di aver provato un certo piacere a quella notizia. «Credevo che tu e Pansy Parkinson… »azzardò timidamente. Fu subito interrotta da Draco, che la liquidò con un rapido gesto della mano.
«No»disse con perentorietà, alzandosi in piedi e dirigendosi verso la finestra.
«Perché?»domandò la ragazza, curiosa.
I candidi raggi della luna baciavano la pelle diafana del giovane Serpeverde, giocando con luci e ombre sul suo viso di porcellana finissima e preziosa, e ornando gli occhi di diamanti brillanti.
«Perché no»ripeté lui, cercando di nascondere il viso, infastidito e ferito al tempo stesso dall’assalto che gli occhi di Hermione continuavano a tentare. Perché era così semplice per lei accedere alla sua anima, al suo cuore? Ai segreti mai confessati a nessuno, a lungo negati, tenuti nascosti in fondo alla mente per impedire che anche il Legilimens più talentuoso accedesse a quella parte di sé?
Hermione osservò a lungo le spalle del ragazzo, ora scosse da un respiro scostante, quasi affannoso. Non poteva vederlo in viso, ma il suo silenzio e il suo desiderio di troncare quella discussione stuzzicarono la sua curiosità, tanto che lei non riuscì a trattenersi.
«Il potente rampollo dei Malfoy ha avuto qualche problema a letto?»domandò con velata ironia.
Vide il corpo di Draco tendersi, tremare e sussultare, nell’udire quell’acceso sarcasmo. Per un attimo, Hermione pensò che lui si sarebbe scagliato contro di lei e l’avrebbe assalita, come un animale ferito, messo alle strette dal cacciatore, che non ha altra via di salvezza se non l’attacco, la strenua difesa della sua libertà. Invece, il ragazzo si voltò, con uno scatto tanto improvviso che la Grifondoro trasalì, spaventata; e piantò gli occhi dritti nelle pupille dilatate della giovane – come lei aveva fatto mesi prima, quando l’unica salvezza dal dolore era guardarlo, appendersi a lui, al suo sguardo che chiedeva senza dare.
«Il potente rampollo dei Malfoy non voleva sprecare la sua prima volta con qualcuna che non amava»sussurrò, a voce così bassa che Hermione riuscì a sentirlo solo perché nella stanza regnava il silenzio più assoluto.
Draco aveva il respiro affannoso, come se avesse corso a lungo; e il suo cuore pompava sangue in modo talmente furioso che lui era certo che si sarebbe fermato da un momento all’altro, provato dal troppo sforzo. Ciononostante, il ragazzo continuò a guardarla dritta negli occhi, il grigio delle sue iridi che si scontrava con il nero delle pupille di Hermione, spalancate per la sorpresa. E dalle pupille – spalancate per lui – entrò direttamente dentro di lei, nella sua anima.
«Oh» boccheggiò lei, colpita. Poi, lentamente, abbassò il capo, ma ciò non impedì a Draco di vedere il rossore che le colorò il volto.
«E ora perché diavolo stai arrossendo?»domandò, sconcertato, fissandola con la fronte corrugata. Lei gli lanciò un’occhiata timida, e le sue labbra si arcuarono in un sorriso appena accennato, ma dolcissimo.
«Hai detto una cosa molto bella»disse piano, e dalla sua voce trasparivano quelle emozioni che lui aveva intravisto dentro la sua anima di diamante – purissima, e resistente agli urti.
«Probabilmente l’avrei fatto comunque»si affrettò a dire Draco, come se volesse proteggersi da quella dolcezza, come se non volesse apparire un ragazzo fragile, instupidito dai sentimenti e indebolito dall’amore; come se avesse bisogno di sentirsi all’altezza, lì, davanti a lei, che era superiore in tante cose – in tutto. «Già al quinto anno molti dei miei compagni l’avevano fatto, e io non volevo essere da meno. Ma poi è arrivata la Guerra, e non ho avuto tempo per pensare a… bè, a quell’aspetto della mia vita»concluse con tono pratico, come se stesse ripetendo una lezione di Storia della Magia.
«Già» sospirò Hermione, abbassando di nuovo il capo. Per qualche istante, non disse niente. Però Draco era certo che avesse qualcosa in mente, perché il sorriso aleggiava ancora sul suo volto, e i suoi occhi brillavano di una domanda che le premeva porgli. Infatti, dopo pochi minuti, lei lo guardò dritto negli occhi, e domandò, con la stessa voce con cui raccontava le favole: «E ora, il tempo ce l’hai?».
Il cuore di Draco si fermò, per poi ripartire a velocità doppia.
 

***

 
«Sai qual è la verità, Granger?»
«Quale?»
«Che tutto quell’eroismo ti ha fatto male. Voglio dire, dopo aver affrontato terribili Basilischi, Mangiamorte, maghi oscuri, Lupi Mannari, Ghermidori e tutta quella roba là… questa nullafacenza ti fa star male. Così hai dovuto trovare un altro passatempo»
«E il passatempo saresti tu?»
«Per la precisione, il tuo passatempo è non lasciarmi un attimo di respiro»
«Mi fa piacere sapere che non hai capito proprio niente, Malfoy»
 

***

 
«Èuna serata perfetta»considerò Draco, lo sguardo fisso nel cielo, oltre la finestra, perso tra le luminose stelle che punteggiavano la volta celeste.
Hermione, seduta sulla poltrona accanto al camino con le gambe raccolte sotto di sé, alzò gli occhi dal libro che stava leggendo e fissò il ragazzo con espressione perplessa.
«Perfetta per cosa?»domandò, la curiosità a brillarle nelle iridi scure.
«Guarda…»Il Serpeverde si voltò verso di lei, le rivolse un sorrisetto malizioso e poi indicò fuori dalla finestra «C’è la luna piena».
La Grifondoro inarcò un sopracciglio, sinceramente confusa.
«Perfetta per essere morso da un lupo mannaro?»tentò di indovinare, con aria turbata. Il sorriso di Draco si trasformò in un ghigno sardonico e divertito: il ragazzo lanciò un’ultima occhiata al cielo terso di febbraio, prima di marciare velocemente verso di lei.
«Andiamo»disse, schioccando le labbra; afferrò la mano di Hermione, e trascinò la ragazza verso la porta della Sala Comune. Il libro che lei aveva poggiato sulle gambe cadde a terra con un tonfo secco.
«Andiamo dove?»La Grifondoro quasi rischiò di perdere l’equilibrio e crollare sul pavimento insieme al tomo che stava leggendo. «È contro le regole! Potrebbero espellerci»si lamentò a bassa voce, una volta riacquistato l’equilibrio. Draco le lanciò un’occhiata scettica e offesa.
«Andiamo, Granger, quante volte hai gironzolato per i corridoi della scuola, di notte, con i tuoi amichetti?»la provocò con tono pratico, aprendo piano la porta della Sala Comune e strisciando silenziosamente dietro la rassicurante e protettiva ombra di una statua, la mano della ragazza ben stretta nella sua.
«Era sempre per una buona causa»si giustificò lei in un sussurro, lanciando sguardi preoccupati a destra e a sinistra.
«Tipo?»domandò lui, fissandola con un sopracciglio inarcato.
«Salvare il mondo» replicò senza la minima esitazione Hermione, con un lieve sorriso di soddisfazione sul volto. Draco sbuffò, scosse il capo e la trascinò giù per le scale.
 
La notte era limpida e serena. Non una sola nuvola macchiava la distesa blu del cielo, punteggiato da placide stelle baluginanti e rischiarato dalla piena bellezza della luna. La neve di dicembre si era sciolta, e il freddo che condensava il fiato nei polmoni aveva lasciato il posto a una tiepida arietta che preannunciava la primavera ormai incipiente.
Mano nella mano, Draco ed Hermione scivolarono tra le ombre dei corridoi, in silenzio, muovendosi con circospezione, e, una volta fuori, accolsero con un sospiro di sollievo la pungente aria della sera. Nonostante fossero ormai al sicuro dalle incursioni notturne dei professori, il Serpeverde non accennò a rallentare: con passo sicuro, procedette in direzione del parco, immerso nel buio.
«Rallenta»disse Hermione, tirandolo verso di sé per frenare la sua veloce camminata. Draco lanciò un’occhiata in alto, verso il castello, e scosse il capo.
«Potrebbero vederci»borbottò con tono poco convinto, accelerando il passo. La Grifondoro aggrottò le sopracciglia, e fece ancora una volta resistenza.
«Andiamo vicino al lago»propose, indicando con un cenno del capo le quiete acque rese scure dalla notte. Il giovane si fermò all’improvviso, e si voltò verso di lei con la fronte corrugata e un’espressione perplessa.
«Perché?»domandò, incerto, fissandola con curiosità.
«Non siamo qui per una romantica passeggiata al chiaro di luna?» pigolò Hermione, arrossendo violentemente e chinando il capo: si sentì improvvisamente molto stupida per averlo anche solo pensato, e profondamente in imbarazzo.
«Granger»Sul volto di Draco si aprì un ghigno divertito «ti sembro il tipo che porta le ragazze a fare passeggiate al chiaro di luna?»domandò, incrociando le braccia al petto e guardandola con profondo sarcasmo.
«No»sussurrò Hermione, senza avere il coraggio di lanciargli nemmeno un’occhiata. Il Serpeverde ridacchiò, e scosse il capo.
«Appunto»confermò. Poi le prese la mano, e la guidò verso il fitto buio che avvolgeva il parco. Lei era cieca, in quell’oscurità, sperduta tra ombre inquietanti e scricchiolii sinistri; procedeva a tentoni, disorientata, senza punti di riferimento, senza sapere dove andare. Ma lui la teneva per mano e, nonostante il freddo, la ragazza sapeva che la sua guida era un punto fermo, e le sue dita un appiglio sicuro; e lei si sarebbe fatta trascinare anche in capo al mondo, se lui continuava a stringerla in quel modo.
Procedettero per quella che sembrò una buona mezz’ora, e nel silenzio della notte ogni respiro, ogni parola, ogni risata, risuonava come un dolce avvertimento, quasi quel viaggio significasse qualcosa di molto più profondo. Ben presto la luce perlacea della luna illuminò il profilo imponente di una costruzione di legno macchiata qua e là da sprazzi di giallo, blu, verde e rosso.
Hermione spalancò gli occhi quando quell’immagine si concretizzò nella sua mente, delineandosi sotto un profilo che lei aveva definitivamente archiviato.
«Il campo di Quidditch?»boccheggiò, quasi senza fiato, guardando il ragazzo con espressione preoccupata.
Draco ghignò debolmente, e la fissò a lungo, senza parlare: osservava i suoi occhi, spalancati per la paura e lo stupore, e il suo viso, illuminato dalla luce candida della luna, e le sue labbra, che in quel momento sembravano più attraenti del solito, così lucide, e morbide, appena socchiuse per la sorpresa.
«Cos’hai in mente?»domandò a bassa voce la Grifondoro. Aveva il timbro traballante, come un equilibrista sull’orlo di un precipizio – e forse lei stava cadendo davvero in un baratro senza fondo.
«Una volta mi hai detto che ti sarebbe piaciuto imparare a volare»rispose lentamente Draco, senza smettere di guardarla. La vide deglutire, e spostare lo sguardo in alto, verso gli anelli posti agli estremi del campo.
«Era un momento di profonda irrazionalità»balbettò Hermione a mo’ di scusa, scuotendo il capo. I riccioli ondeggiarono sul suo capo, senza più trovare sosta. Aveva sul volto un’espressione profondamente irrequieta, quasi impaurita, e lei era certa di star risultando patetica. Ciononostante, non riusciva a controllare il battito cardiaco, sorprendentemente accelerato.
«Granger, seriamente, in quella Stanza delle Necessità volavi da schifo. Hai davvero bisogno di imparare»asserì Draco, prima di scoppiare a ridere a procedere verso il centro del campo, lasciando indietro la ragazza.
Hermione seguì i suoi movimenti con lo sguardo, irrequieta e anche un po’ sorpresa: prima di quel momento non avevano mai parlato del passato che c’era stato tra i loro incontri nel bagno e il rapporto che si era creato una volta tornati ad Hogwarts.
Dopo qualche minuto di pausa, riprese fiato, e raggiunse il ragazzo con qualche passo.
«Io non so volare. Non mi piace volare»annunciò con asciuttezza, trovandosi la bocca fastidiosamente secca.
«Perché?»domandò Draco. Nei suoi occhi brillò una luce di viva curiosità e di sincera perplessità, come se non riuscisse a permeare a fondo il mistero che lei era, o a comprenderne le ragioni.
«È una cosa che non posso controllare»replicò lei senza la minima esitazione, ricambiando con intensità lo sguardo del ragazzo. Lui, inspiegabilmente, sorrise.
«Ti sorprenderà sapere che puoi controllare una scopa meglio del tuo cuore»rispose lui in un sussurro tenero. Hermione, colpita da quella risposta, tacque, non trovando nulla da dire.
Draco la fissò a lungo, aspettando che lei decidesse il da farsi: dal modo in cui le si tormentava il labbro inferiore con gli incisivi, e dal pallore delle nocche, sbiancate dalla stretta in cui stava costringendo i piccoli pugni, lui intuì che la Grifondoro era profondamente combattuta. Dopo interminabili minuti, il suo corpo si rilassò impercettibilmente.
«Va bene»decretò in un sussurro impaurito. Mentre Draco ghignava, soddisfatto, lei trasse un profondo respiro. Poi, aggiunse: «Ma tu vieni su con me».
 

***

 
«Devi dare una leggera spinta con i piedi»spiegò Draco, maestro paziente dalle mani delicate e sapienti. «E poi piegarti un poco in avanti»aggiunse, mostrando alla ragazza il movimento corretto da eseguire.
Hermione era un’allieva attenta e diligente, ma in materia di manici di scopa la sua conoscenza, sviluppata attraverso le pagine croccanti e profumate dei libri di testo, serviva a ben poco: il volo, si accorse lei con reverenziale timore, era più istinto che ragione, più tecnica che capacità, più esperienza che apprendimento teorico. I limiti del suo cervello, la Grifondoro li scoprì quella sera, quando, per la prima volta dopo sette anni, avvertì il legno liscio della Nimbus 2001 sotto i polpastrelli.
Draco le aveva ceduto il suo manico di scopa perché “era più affidabile dei vecchi catorci della scuola”, ed era certo che avrebbe ascoltato persino un’incapace come lei. D’altronde, lui era un insegnante a dir poco strepitoso, aveva talento, e non sarebbe stato difficile farle imparare le tecniche di base.
Hermione aveva i suoi dubbi. Sentiva vibrare sotto di sé la scopa, e ancora non aveva nemmeno staccato i piedi da terra – era certa che, se ci avesse provato, quell’inaffidabile pezzo di legno l’avrebbe portata ad altezze che lei non aveva mai raggiunto nemmeno con il pensiero.
«La scopa sente che hai paura»disse con un leggero ghigno Draco, osservando la ragazza, aggrappata al legno lucido con disperata ostinazione, tremare e fissare la scopa con le nocche sbiancate. La Grifondoro gli lanciò un’occhiata torva e scettica, e strinse più saldamente, con entrambe le mani: riuscire, per lei, ormai era una questione di principio, un obbligo morale.
«E’ uno stupidissimo pezzo di legno, Malfoy, non può sentire proprio niente» replicò lei con veemenza, e, con sua grande sorpresa, a quelle parole la Nimbus 2001 si mosse bruscamente, come offesa dalle parole della giovane. Il ghigno di Draco si accentuò.
«Non ti ascolterà mai se continui a tremare»disse con estrema tranquillità. «Ora sollevati, piano»ordinò con tono fermo, ma dolce. «Io sono qui, non preoccuparti»aggiunse con un filo di voce, facendosi più vicino a lei. Hermione lo guardò con la coda dell’occhio: cavalcava una delle scope della scuola, ma lo faceva con un’eleganza e una disinvoltura che, in quel momento, lei invidiò moltissimo. Aveva le braccia incrociate al petto, e gli occhi fissi su di lei, in attesa, e il fatto che lui non avesse nemmeno bisogno di tenersi al manico per stare in equilibrio a mezz’aria la indisponeva non poco.
La Grifondoro trasse un respiro profondo, e si concentrò intensamente sul suo obiettivo. Pur tremante e impaurita, rinsaldò la presa sul manico di scopa ed irrobustì i suoi propositi.
Draco aveva detto che la scopa era affidabile. Aveva detto che lui era lì, accanto a lei. Aveva detto che non c’era nulla di cui preoccuparsi. E lei si fidava di lui. Perciò, Hermione deglutì, e poi diede una piccolissima spinta con le punte dei piedi. La scopa vibrò, e lei avvertì la magia pizzicarle le punte delle dita; poi, la Nimbus si sollevò in aria, e rimase sospesa a pochi centimetri dal suolo, docile e quieta.
Gli occhi della Grifondoro, illuminati dalla soddisfazione e dalla felicità, si puntarono, sorpresi ma brillanti di compiacimento, sul Serpeverde. Draco sorrise, ma questa volta non c’era sarcasmo, né beffa, nella sua espressione: il suo era un sorriso dolce, soddisfatto almeno quanto quello della ragazza.
«Ce l’ho fatta»sussurrò Hermione, incredula. Lui annuì piano, poi indicò il cielo con un cenno del capo. La ragazza alzò gli occhi, e quando li abbassò, il Serpeverde li trovò colmi di paura, ma bastò tenderle la mano per dissipare anche quell’ultimo barlume di timore. Insieme, le scope a pochi millimetri l’una dall’altra, la mano di Draco avvolta in quella di Hermione, ancora saldamente stretta attorno al manico della Nimbus, si sollevarono in aria, raggiungendo vette che lei non avrebbe mai immaginato di poter sfiorare con le dita. Nonostante la paura, il cuore in tumulto e la bocca secca, camminare tra le stelle, così vicina alla luna che quasi le sembrava di poterla toccare, era la cosa più bella che la Grifondoro avesse mai fatto. Il fatto, poi, che con lei ci fosse Draco, rendeva quell’esperienza ancora più preziosa.
 
Quando, dopo irrisori attimi di pace al sapore di stelle e frammenti di cielo, Hermione lanciò un’occhiata verso il rassicurante suolo che per anni era stato confortante appoggio e solida base, la paura che la avvolse fu tanto repentina e intensa che le mancò il fiato. La presa sul manico di scopa si fece scivolosa e insidiosa a causa del sudore freddo. La Nimbus, forse avvertendo l’ondata di panico che l’aveva investita, sterzò bruscamente e poi, senza preavviso, si gettò in picchiata verso il suolo.
Se l’urlo di Hermione si fosse concretizzato nella sua gola, probabilmente il suono acuto e straziante avrebbe svegliato l’intero castello; tuttavia, il terrore fu talmente tanto che il grido fu solo un lontano e distante rumore strozzato, spento nelle lacrime che la velocità aveva strappato dagli occhi della ragazza.
La Grifondoro non vedeva più niente: la scopa volava tanto velocemente che le forme attorno a lei erano sfocate, avevano perso spessore e consistenza, e tutto ciò che stava succedendo non le sembrava altro che un pessimo incubo, uno scherzo di cattivo di gusto, un incantesimo andato male o un sogno da cui presto si sarebbe svegliata. L’aria fredda e rarefatta del cielo le frustava il viso, facendole bruciare gli occhi e rendendole difficile persino respirare. E intanto il suolo si avvicinava sempre di più, sempre di più, sempre di più…
Da qualche parte in lontananza, risuonò un grido spaventato. Sembrava quasi un consiglio.
«… comandarla…» le sembrava di sentire, ma probabilmente era solo la sua immaginazione: il suo cervello stava trovando una scappatoia dalla realtà, perché il futuro era già segnato e la prospettiva non era delle migliori. Da un momento all’altro si sarebbe schiantata, e di lei non sarebbero rimaste che briciole, e un cuore pulsante che aveva un solo nome inciso nel suo centro più intimo.
Da un momento all’altro…
Il dolore, però, non arrivò mai, ed Hermione non riuscì a sentire il boato dello schianto. Improvvisamente, l’aria smise di schiaffeggiarle il volto e le riempì i polmoni, come una dolcissima pugnalata. Il suo cuore, che per un lunghissimo istante aveva smesso di battere, riprese a palpitare in modo repentino e doloroso, e il sangue che scorreva nelle vene le punse la pelle rendendo ogni sensazione più acuta e chiara.
Il freddo pungente, una voce, il calore di un respiro, un braccio tiepido che le avvolgeva il corpo, la carezza dell’aria, le lacrime essiccate e pruriginose sulle guance, le labbra secche. Due occhi grigi, un lampo di sollievo. La consapevolezza e il ritorno alla realtà.
«Malfoy»boccheggiò col fiato sospeso, trovando la sua voce nei meandri del suo cervello. «Mi hai salvata» disse, tanto tremante quanto sorpresa, in un sussurro a stento udibile.
Si accorse, con una parte della sua mente che si risvegliò solo in un secondo momento, che era sospesa a un paio di metri da terra, avvolta dalle braccia di Draco, in equilibrio sulla scopa.
«Cosa?»domandò lui, confuso, e concentrato a mantenere l’equilibrio nonostante il peso di entrambi, che faceva vibrare la scopa.
«Mi hai salvata»ripeté Hermione, guardandolo con gli occhi spalancati e lo sconcerto ad illuminarle lo sguardo, ancora ombreggiato da lampi intensi di paura.
«Tu sei pazza»affermò lui, la voce strozzata dallo stesso terrore che bloccava la gola della ragazza. Lei, incredibilmente, sorrise.
«Non era poi così difficile, no?»affermò con una ritrovata allegria, stringendosi di più a lui per paura di cadere – e avvertì il suo profumo prepotente penetrarle le narici, e lei si sentì in bilico tra tutti i suoi vorrei, e in bilico lo era davvero, perché rischiava di cadere di nuovo, ma stavolta non dalla scopa, o, forse, anche dalla scopa.
«Ti sei buttata in picchiata solo per farti salvare?»ringhiò Draco, guardandola con sconcerto e rabbia. La ragazza tacque per qualche istante, pensando intensamente alla risposta.
«Forse»decretò dopo un po’, senza più guardarlo negli occhi. Il suo sguardo vagò nel cielo, e nelle sue iridi si riflessero le prime luci di un sole in risveglio.
«Tu sei pazza. Hai rischiato di morire. Lo sai, vero?»continuò il Serpeverde con tono collerico. Il sorriso di Hermione si accentuò appena.
«Bè, se non ci fosse stato un rischio, il salvataggio non sarebbe stato altrettanto efficace»affermò timidamente, seppellendo il viso nell’incavo del collo di Draco. Lui sbuffò, e scosse il capo, ma la strinse a sé più forte.
«Sei pazza»ripeté ancora una volta, ma stavolta con tono più dolce.
Hermione respirò pesantemente sulla sua pelle, avvertendo, improvvisamente, una stanchezza lancinante impossessarsi del suo corpo.
«Ora possiamo tornare giù»disse con tono flebile. Draco non rispose, ma la ragazza capì che non si erano mossi di un millimetro. Quando alzò il viso verso di lui, lo trovò assorto, pensieroso.
«Hai mai visto Hogwarts all’alba?»domandò il Serpeverde dopo pochi minuti.
«Ogni giorno»rispose subito lei, inarcando un sopracciglio. Il viso di Draco venne illuminato da un sorriso malizioso, che aveva ombreggiature incerte e dolcissime.
«Anche dal cielo?» domandò retorico, prima di inclinare leggermente la scopa così da farla salire in alto nel cielo.
«Malfoy, siamo a circa cento metri d’altezza»strepitò Hermione stringendosi a lui fin quasi a strozzarlo. Lanciò un’occhiata verso il basso e un’ondata di panico più intensa delle precedenti le montò in corpo.
«Centocinque… centodieci… centoquindici»mormorò Draco, che aveva un senso dell’umorismo piuttosto crudele.
«Non è divertente»piagnucolò la Grifondoro, serrando le palpebre e artigliando il braccio del giovane.
«Granger, smettila di razionalizzare tutto e di guardare a terra. Ti stai perdendo lo spettacolo»disse in un sussurro sensuale che accarezzò il collo della ragazza, procurandole un brivido lungo la spina dorsale. Hermione, irrigidita da quella vicinanza, spalancò gli occhi e, in un moto di coraggio, alzò il capo e si trovò davanti lo spettacolo più bello mai visto.
Il sole si stava lentamente alzando, conquistando il cielo con la sua luce calda. Tinte rosa e arancioni disegnavano striature lungo la volta celeste, sfumando le nuvole di violetto. E loro due volavano proprio in mezzo a quella meraviglia naturale, baciati dall’alba, dritti verso il sole, come un’Icaro che ha finalmente trovato il modo di volare vicino al sole senza che le sue ali si sciolgano – perché non c’era pericolo di cadere, non se si stringevano in quel modo.
«Non l’avevo mai visto così da vicino. È bellissimo»sussurrò Hermione, senza fiato. Draco sorrise, e guidò la scopa un po’ più un alto: la sagoma del castello era un puntino lontano, e ormai persino le cime degli alberi non erano che macchie verdastre e distanti, estranee al loro universo.
«Raccontami un’altra favola»disse il ragazzo a bassa voce, le labbra vicinissime all’orecchio della Grifondoro.
«Te le ho già raccontate tutte»rispose lei con un lieve sorriso sul volto.
«Allora raccontamele di nuovo»impose lui. Hermione lo guardò, incerta: aveva negli occhi una luce strana, che non c’entrava nulla con l’alba ormai conclusa.
«Perché non me ne racconti una tu?»propose allora la ragazza, cercando le sue dita. Draco le avvolse la mano con la propria, ma strinse le labbra e scosse il capo.
«Non ne sono capace»dichiarò con un filo di voce, come se fosse imbarazzato da quella sua inadeguatezza.
«Prova»tentò ancora una volta lei. Il viso di Draco si tinse di una leggera preoccupazione; i suoi occhi si spostarono verso il castello, e lui tacque, il volto una maschera imperturbabile, lo sguardo velato da un’ombra inesplicabile, incomprensibile.
Quando ormai Hermione aveva perso ogni speranza, lui parlò.
 
C’era una volta una ragazza, antipatica, saccente e…
Hermione gli lancio un’occhiata torva, e Draco sorrise.
… bellissima. E anche molto anticonformista. Perché in tutte le favole le principesse si innamorano…
«Io non sono una principessa»
«Non interrompermi, Granger. Nella mia favola lo sei»
«Ma…»
«È la mia favola e decido io. Ora taci»
In tutte le favole le principesse si innamorano dell’eroe, lei invece è tanto sciocca da innamorarsi del cattivo. Quello stronzo, che se ne frega di lei e vuole solo gloria e potere. Quella che la disprezza da quando ha undici per partito preso.
«Hai dimenticato di dire una cosa»
«Cosa?»
«Era un cattivo molto buono»
«Piantala, Granger, questa è la mia storia. Se dico che il cattivo è cattivo, è così e basta»disse Draco con tono arrogante, assumendo quell’aria di superiorità a tratti dimenticata e seppellita che l’aveva reso tanto odioso negli anni passati. Eppure, Hermione non potè fare a meno di notare che la sua voce era insicura, tentennante. Perché, in fondo, lui sapeva che con lei trincerarsi dietro luoghi comuni e pregiudizi non serviva, e anzi lei gli aveva spiegato che non era necessario.
«D’accordo, continua. Raccontami come lui si innamora di lei»
«Chi ti dice che lui si innamora?»
«In tutte le favole qualcuno si innamora»
«La principessa è innamorata»
«In tutte le favole la principessa è ricambiata»
«In questa no. Ti ho detto che è la mia favola, no?»
A un certo punto nel loro regno arriva la guerra. La principessa cerca di avvertire il cattivissimo cattivo di non continuare con le sue azioni cattive, ma lui non la ascolta, perché è davvero cattivo. E va a finire che le fa del male. Si rende conto troppo tardi che non voleva ferirla. Ma la principessa è buona, e lo perdona. E anche se lui si comporta da vero stronzo, anche se nessun’altro vuole stare con lui, lei continua ad amarlo. Perché lei è molto più forte di lui; è coraggiosa. Per amare ci vuole coraggio.
«Questa l’ho già sentita»
Lei gli insegna un sacco di cose.
«Tipo?»
Le insegna tutte quelle stronzate come la gentilezza, il perdono, la bontà. Tutta quella roba da fiabe, eroi e principesse, insomma.
«E a lui piace?»
«Non tanto. Ma a volte ci vogliono dei compromessi, nella vita»
«E lui cosa le insegna?»
«Cerca di insegnarle a volare, ma non ci riesce»
«Io credo che ci sia riuscito»
«Odio doverti contraddire»
«A volte si può volare senza staccare i piedi da terra»
Draco stava per continuare a raccontare la sua storia, ma le parole della ragazza bloccarono ogni tentativo di ripresa: si voltò verso di lei, e la guardò a lungo, con occhi nebulosi e voraci. Lei arrossì, ma sostenne lo sguardo, con la fierezza e la determinazione di sempre.
«Come finisce la favola?»domandò Hermione piano, con dolcezza.
«Vissero tutti felici e contenti»disse Draco con sicurezza, anche se sembrava piuttosto scettico su questo finale.
«Mi piace. E la morale qual è?»volle sapere lei. Lui emise una bassa risata, e le accarezzò il viso con delicatezza.
«La morale è semplice: le fiabe sono tutte una stronzata. Nella vita vera è sempre la principessa a salvare l’eroe»affermò in un sussurro intenso almeno quanto il suo sguardo. Hermione sorrise, cercando di ignorare il battito impazzito del suo cuore.
«Io preferisco un’altra morale»disse piano, fissandolo dritto negli occhi. Le iridi di Draco lampeggiarono, assumendo il colore del metallo fuso.
«Quale?»domandò con la gola secca per l’ansia di sapere la risposta.
«Ti amo, Draco».
Così.
Ti amo, Draco.
Lo disse così, Hermione Granger, come se stesse raccontando una favola, con una naturalezza che fece volare Draco Malfoy molto più in alto di quanto non fosse in realtà, con una dolcezza che gli spezzò il cuore, con un’intensità che lo spiazzò e lo fece sentire piccolo, e fragile, e inutile.
«Mi amo anch’io» rispose Draco, ormai senza voce per l’emozione. Poi le avvolse il viso con i palmi delle mani, e la baciò.
Sospesi in un tempo senza durata e in un luogo che non aveva coordinate geografiche, rimasero immersi l’uno nell’altra, scambiandosi sapori, odori, sensazioni, emozioni, intrecciando le loro anime almeno quanto i loro destini, senza curarsi del fatto che, in un tempo e in un luogo lontani, la campanella della prima ora era già suonata da un pezzo, senza preoccuparsi di scendere a terra, perché avrebbero potuto perdere l’equilibrio e cadere – ma in fondo sarebbe stata una morte dolcissima, perché nient’altro importava se erano insieme.
Quando si separarono, avevano ancora le labbra arrossate e lucide, e i loro occhi brillavano di un sentimento identico e profondo.
«Piace di più anche a me quest’ultima morale» sussurrò piano Draco, poggiando la fronte su quella della ragazza e accarezzandole le gote, arrossate per l’emozione. Hermione sorrise, e alzò le braccia lentamente, e sporgendosi verso di lui lo abbracciò, prima con dolcezza, poi stringendosi a lui con una forza senza rimedio, la testa appoggiata sulla sua spalla, e tutto il corpo teso a cercare il suo. Lui ricambiò quella stretta con intensità, senza più timori, senza timidezza, o inutili domande.
«Granger?»la richiamò a bassa voce, il volto acceso da un sorriso.
«Sì?»pigolò lei, gli occhi chiusi e l’espressione serena.
«Credo che tu mi abbia fatto vedere l’Isola Che Non C’è»
Hermione rise, e Draco pensò che quella risata avrebbe fatto nascere come minimo un miliardo di fate.

******************************************************************************************************************************
Nota dell'autrice:
Questo capitolo mi ha fatto emozionare come pochi, spero che lo stesso valga anche per voi. Vi mando un enorme bacio.
Al prossimo capitolo, l’ultimo di questa storia :)
Citazioni:
- «Hai mai visto Pearl Harbour al tramonto?»
«Ogni giorno»
«Anche dal cielo?» [Dal film: Pearl Harbour]

- In bilico tra tutti i miei vorrei [Da: Estate - Negramaro]

Io sono qui: Eloise.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Epilogo: E vissero tutti felici e contenti - o quasi ***


Epilogo:
E vissero tutti felici e contenti – o quasi

 

«Ecco perché preferisco non parlarne con gli altri.
Non capirebbero,
e io non sento il bisogno di spiegare,
semplicemente perché il mio cuore sa quanto sia stato vero.
Quando penso a lui, non posso fare a meno di sorridere,
perché sento che mi ha completato.
Lo amo, non solo adesso, ma per sempre»
[Ricordati di guardare la luna – Nicholas Sparks]

 

La pioggia cadeva ininterrottamente da ore, dissetando la terra ansante, livida, in sussulto, con gocce che, accumulatesi dopo un lunghissimo e cupo stillicidio, avevano formato rigagnoli fangosi e acquitrini sudici, alimentando pozzanghere ormai enormi, in cui si rifletteva il cielo, ferito da luminose saette. Una casa apparì all’improvviso, per poi scomparire subito dopo, come un occhio che, largo, esterrefatto, si apre e richiude nella notte nera. Il vento scuoteva i vetri delle finestre, tormentati e frustati dalle gocce di pioggia, che scandivano il tempo dei sospiri di quella giovane che, accovacciata nel suo letto, con la testa seppellita sotto il cuscino, respirava pesantemente, in preda ad un’evidente crisi adolescenziale, probabilmente così opprimente e grave da non consentirle di udire nemmeno il quieto scatto della serratura.
«Tesoro, ho fatto la crostata ai mirtilli»La testa di sua madre, sormontata da una matassa di riccioli impossibili, spuntò da dietro lo stipite della porta, subito seguita dall’aroma fragrante e dolciastro della torta da lei cucinata.
«Non mi piace» bofonchiò la ragazza. Il cielo, ingombro di nuvole nere come la pece, brontolò tragicamente, imitandola, e fu squarciato da un cupo lampo, che illuminò di riflessi biancastri la stanza della giovane.
Hermione trasse un respiro profondo, ed entrò nella camera della figlia, richiudendosi la porta alle spalle ed avvicinandosi al letto in cui la figlia sospirava.
«È la tua preferita»le ricordò con tono dolce e paziente.
«Non mi va»La voce della ragazzina risultò soffocata dal cuscino, ma fu comunque chiara.
La donna emise un lungo sospiro, poggiò la torta sul comodino e si sedette sul bordo del letto. La sua mano scivolò sulle lenzuola, sino a raggiungere il rigonfiamento che era il corpo della figlia.
«Tuo padre dice che fai così solo perché hai preso un brutto voto»disse, arcuando le labbra in un sorriso consapevole.
«Mh»mugolò lei in risposta.
«Tuo fratello pensa che il motivo di questo sciopero della fame sia che Victoire ha scelto Lily, e non te, come damigella»riprese paziente Hermione.
«Mh»ribatté ancora una volta la ragazza, totalmente ignara dell’espressione sul viso di sua madre.
«Ma se ti conosco abbastanza bene, direi che questo è mal d’amore»concluse quest’ultima. Solo in quel momento Rose riemerse dal groviglio di capelli, cuscini e lenzuola in cui si era rifugiata, e le lanciò un’occhiata penetrante e torva.
«Niente Legilimanzia con me, grazie»borbottò aspra, la fronte corrugata in un’espressione oltraggiata e collerica. La donna scosse il capo lentamente.
«Solo intuito materno»la corresse, con la dolcezza di sempre, senza più insistere sull’argomento.
Il silenzio che seguì fu riempito solo dal lontano bubbolio del cielo, e dal ticchettare insistente della pioggia sui vetri. Alla fine, vinta dal muto sguardo della madre, Rose emise un lungo sospiro, e, ormai rassegnata alla presenza della donna, lanciò il cuscino di lato e si mise a sedere, le gambe incrociate e il capo chino. Pochi secondi prima che il rombo cupo di un tuono facesse tremare i vetri delle finestre, una saetta tagliò il cielo a metà, lanciando all’interno della stanza un bagliore che illuminò i riflessi rossastri dei capelli della giovane.
«C’è un ragazzo»cominciò lei, senza riuscire a guardare la madre negli occhi. «che mi piace. Voglio dire, non è che mi piace, è solo che…» si affrettò a spiegare, alzando lo sguardo su sua madre con gli occhi spalancati dall’imbarazzo, il viso già tinto di un intenso color porpora.
«Non c’è niente di male, Rose. Va bene se ti piace un ragazzo»la rassicurò subito Hermione, poggiandole la mano sul ginocchio e stringendo appena, come se bastasse quel solo gesto per darle forza.
«No, non va bene»replicò la ragazza, scuotendo il capo con foga. La donna aggrottò la fronte, confusa.
«Perché?»domandò, evidentemente perplessa, fissando con insistenza la figlia.
«Tanto per cominciare, questo ragazzo mi odia. Non fa altro che insultarmi»spiegò Rose, con un filo di voce. Sul viso di Hermione si aprì un sorriso tranquillo.
«Allora probabilmente gli piaci da impazzire. Chi disprezza compra»ribatté con il tono di chi la sa lunga. Sua figlia inarcò un sopracciglio, e scosse il capo; poi, decidendo di ignorare il commento della madre, riprese.
«James non la smetterebbe di prendermi in giro»affermò, e una smorfia le contrasse il viso dai lineamenti delicati e dalla pelle chiara. Le lentiggini che le macchiavano la pelle divennero un’unica massa indistinta.
«James prende in giro chiunque»la tranquillizzò la donna, con un sospiro spazientito.
«Lily e Dom non mi parlerebbero più»proseguì Rose, che a quanto pareva non era disposta a lasciar trionfare la madre in quel confronto che doveva vederla vincitrice – una sfida verbale che aveva come unico scopo quello di convincere se stessa a lasciar perdere.
«Allora non sono grandi amiche»replicò Hermione, con il tono pacato di sempre.
«Hugo riderebbe, e poi lo direbbe a papà. E papà mi ucciderebbe»concluse la ragazza, schioccando le labbra con fare definitivo.
La donna emise una risata beffarda.
«Questo è da vedere. Tuo padre sa che sei cresciuta e non può impedirti di vivere la tua vita…»cominciò a dire, il tono improvvisamente agguerrito. Rose, tuttavia, la interruppe.
«Non è questo»bisbigliò con tono sconfitto, chinando il capo ancora una volta.
«E cosa, allora?»domandò Hermione, curiosa e sospettosa al tempo stesso. La ragazza tacque, stringendo le labbra come se volesse costringersi a non dire nulla.
«Rose, a me puoi dirlo»la incoraggiò allora sua madre, cercando di incrociare lo sguardo dalla figlia che, come calamitata dagli occhi della donna, alzò il viso e la fissò.
«Il ragazzo è…»emise un sospiro, e nei suoi occhi brillò il coraggio Grifondoro che aveva ereditato dai genitori. «Malfoy»disse seccamente, in un sussurro. Poi, a voce più alta, aggiunse: «Scorpius Malfoy». E guardò sua madre. E quando la guardò, la trovò immobile, incredula, quasi frastornata da quella rivelazione. Per un attimo, la giovane pensò che quella donna che aveva di fronte aveva reagito esattamente come si aspettava. In un secondo momento, però, si rese conto, con sorpresa e perplessità, che quello che brillava negli occhi di Hermione non era disgusto: era qualcosa di molto diverso, che lei non riuscì a distinguere. Difficile dire cosa quella rivelazione avesse significato per sua madre. Il buio della stanza non permetteva di discernere colori e forme con precisione, ma Rose era certa di aver visto un lampo di amarezza negli occhi di Hermione, qualcosa che somigliava molto al dolore. Eppure, era un dolore stemperato da una dolcezza che lei conosceva bene: era la stessa che da sempre accompagnava quell’amore materno che le aveva riservato fin da quando era piccola.
 
Hermione era rimasta senza fiato. Quelle parole – quel nome – avevano risvegliato in lei fantasmi di un passato sopito, seppellito sotto strati di vita vissuta, ma non per questo dimenticato. Non avrebbe mai potuto dimenticare, e nemmeno voleva, d’altronde; ma si sforzava di vivere una vita diversa, che era quella che le era stata destinata, per un crudele e indesiderato gioco del fato – o forse, solo per volontà; o mancanza di coraggio.
Malfoy.
Cosa significava, per lei, quel nome? Non ci aveva più pensato. Sapeva cosa non significava – non era il sangue, non era colpa, non era pregiudizio, né disgusto o odio. Non era il nome giusto.
Draco.
Quello era il nome giusto. Significava favole, amore, risate, bagni in disuso, anni meravigliosi.
Il ricordo era come una boccata d’aria fresca dopo minuti interminabili di apnea: piacevole, ma intensamente doloroso. Era vita, ma era anche morte. E tuttora, a distanza di anni, lei sapeva dare un nome a quel volto, ma non una definizione.
Prima lui era stato terra straniera, mondo sconosciuto da cui distaccarsi e con cui non mischiarsi; poi era diventato medicina, cura da ogni male e ferita con cui macchiarsi, colpa da estirpare e, soprattutto,  casa: era stato tutto ciò che rimaneva del mondo che aveva conosciuto quando era bambina, quando ancora riusciva a credere nelle favole – quelle stesse favole che aveva raccontato proprio a lui, la notte, nel buio, e nel silenzio di un bagno dimenticato.
Ma ora, Draco Malfoy era un segreto. Un segreto soffocato, ma bellissimo – perché le cose più belle sono sempre un segreto: è sempre lì che si ava a nascondere la felicità. Ora, Draco Malfoy era favola da raccontare.
Quando Hermione aprì le labbra per parlare, Rose vide sul suo volto l’ombra di un’inattaccabile felicità.
«Rose, posso raccontarti una favola?»
«Sono un po’ grande per le favole»
«Questa ti piacerà»

 

***

 

Quando Hermione concluse, con un una voce fievole che sapeva di dolore, aveva gli occhi lucidi, ma sulle sue labbra aleggiava un sorriso che sua figlia non le aveva mai visto addosso.
La pioggia si era attenuata, e ora solo una vaga nuvola di condensa indugiava nel cielo, sormontato da ciuffi di nubi grigie che cominciavano a diradarsi mostrando rari lembi di una volta stellata che si mostrava con restia timidezza.
Rose aveva gli occhi spalancati dalla sorpresa e dall’incredulità, ma nel suo sguardo brillava qualcosa di molto simile all’ammirazione, e persino quello sconcerto aveva il sapore dell’invidia, e non del disgusto. Sua madre indugiò ancora un attimo, le iridi puntate verso la finestra appannata e macchiata da gocce di pioggia e residui di foglie trasportate dal vento; poi, con un lieve sospiro, chinò il capo.
«Vorrei aver qualcosa da raccontare in eterno, vorrei non dover giungere a una fine»mormorò, con una voce stanca, sfinita, spossata.
«Allora non farlo!»guaì immediatamente Rose, rapita da quel racconto. Scosse il capo, e guardò sua madre con occhi colmi di desiderio e passione riflessa.
«No, Rose»disse con una sconcertante pacatezza Hermione. Il suo tono era definitivo e secco, e pur nella sua dolcezza, conteneva una nota di dolore difficile da nascondere o ignorare. Sua figlia contrasse il viso in una smorfia contrariata, ma tacque. «Devo farlo. C’è sempre una fine. Nella vita arriva sempre il momento in cui si deve mettere un punto a tutto»proseguì allora la donna, e, benché fossero evidente le emozioni che quella storia aveva risvegliato in lei, sorrise con un’amarezza che ferì la ragazzina.
Rose spostò gli occhi scuri dal volto della madre alla finestra, e per qualche minuto rimase in silenzio a fissare le ultime gocce scivolare in rivoli sinuosi, come perle scivolate dal filo di una preziosa collana.
«Non capisco»mormorò, scuotendo piano il capo, per nulla rassegnata alla perentoria conclusione che sua madre le aveva imposto.
«Cosa?»domandò Hermione, fissandola con la fronte aggrottata. La ragazzina emise un sospiro inquieto, quasi ferito, e puntò gli occhi dritti in quelli della madre.
«Sembra tutto così perfetto… perché è finita?»chiese, con espressione evidentemente confusa: qualcosa le sfuggiva, ma non riusciva a capire cosa.
«Perché era così che doveva andare»replicò la donna con voce altrettanto bassa, senza riuscire a guardare la figlia negli occhi, ben consapevole che quella risposta non le sarebbe bastata.
«Ma perché?»insistette infatti la ragazzina, cercando di incrociare, con esagerata insistenza, lo sguardo della madre. Hermione sospirò, sconfitta.
«Eravamo incompatibili»disse, con voce ferita, l’amarezza ad impregnare ogni sillaba di quell’ammissione.
«Incompatibili?»ripeté Rose, senza capire, mentre sul volto di sua madre comparve l’ombra di un sorriso antico, da lei mai conosciuto.
«A me piaceva il cioccolato, lui amava la menta. Io volevo studiare, lui dormire fino a tardi. Io preferivo battermi per i diritti degli elfi domestici, lui li torturava e bistrattava»La sua voce aveva sfumature incomprensibili: c’era dolcezza, senz’altro, e una dose non indifferente di sentimento; dietro ad ogni parola c’era un ricordo, legata a una risata, a una sofferenza, a un bacio. E Rose riusciva quasi a sentire ogni singola inclinazione del timbro di sua madre, a vivere ciascuna di quelle memorie, ognuna delle quali era stata strappata a forza dal suo cuore ed era stata brutalmente trasformata in parole – parole che mai sarebbero riuscite ad esprimere la forza di quei sentimenti.
«Ma vi amavate»protestò la ragazzina, che, nella sua adolescente ingenuità, non riusciva a comprendere le dinamiche e le motivazioni di quella divisione.
«Sì»concesse Hermione. «Ma l’amore non basta, Rose, non basta mai»affermò, e nei suoi occhi brillò la fierezza Grifondoro che il Cappello Parlante le aveva riconosciuto già ad undici anni.
«Ma siete stati insieme. Dopo quella volta al campo di Quidditch, avete continuato la vostra storia»continuò la ragazzina, del tutto decisa a spalancare l’armadio dei segreti di sua madre: aveva scassinato, con i suoi occhi pretenziosi e il suo cuore da adolescente ferita, la serratura del cassetto di Hermione, quel cassetto che ciascuno di noi possiede, e in cui si rinchiudono le esperienze più preziose e i desideri più proibiti. Lei lo aveva scoperto, ma non le era bastato uno sguardo superficiale: aveva bisogno di andare a fondo, così da comprendere quella storia incredibile e assolutamente inaspettata – e quindi, indirettamente, anche sua madre.
«Sì»ammise Hermione, senza però aggiungere nient’altro. Forse perché non era disposta a dire altro, forse perché voleva che fosse sua figlia a chiedere ciò che più le piaceva, o le premeva sapere.
«E poi?»chiese infatti Rose, che non si lasciava affatto intimidire dalla reticenza di sua madre.
La donna emise un altro lungo sospiro, e chinò il capo. Prima di rispondere, deglutì, come se volesse mandar giù il dolore, l’amarezza – o forse voleva solo ingoiare il coraggio, quell’improvvisa follia nata nella sua nata; inghiottì tutto, per impedire a se stessa di compiere assurdità di cui si sarebbe potuta in seguito pentire.
«Poi, lui se n’è andato»rivelò Hermione. Rose sgranò gli occhi, la bocca spalancata da uno sconcerto oltraggiato, come se la sola idea che un uomo – un uomo come Draco – avesse potuto abbandonare sua madre la ripugnasse e offendesse al tempo stesso.
«Perché se n’è andato?»domandò, cercando di trattenere l’impellenza del suo desiderio, e la rabbia che cominciava a pizzicarle le dita.
«Perché doveva farlo»replicò lapidaria la donna. Ma la ragazzina non aveva alcuna intenzione di lasciar perdere, non ora che era entrata nel vivo di quella storia.
«Ma perché?»volle sapere, con il tono capriccioso di una bambina che deve a tutti i costi ottenere il nuovo giocattolo appena adocchiato.
«Sua madre era malata. Ha preso il primo treno ed è andato da lei»Non era chiaro se ci fosse risentimento nelle sue parole; ciò che era certo, era che gli occhi di Hermione avevano cominciato a brillare di lacrime trattenute.
«E non è mai tornato…»intuì Rose, e le sue parole erano solo un sussurro, deluso e amareggiato. Questa volta, però, la donna accanto a lei non si limitò a tacere: con lo sguardo perso in tempi estranei a quel momento, e con una voce sognante, proveniente da angoli della sua mente seppelliti e negati, Hermione parlò.
«L’ultimo ricordo che ho di Draco, è un gigante verde e argento, che alle dieci precise è partito dalla stazione di Hogsmeade in direzione di quella di King’s Cross. Davanti alle porte di quel vagone, mi sono sentita piccola: per quanti baci potessi continuare a desiderare, sapevo, nel mio cuore, che nulla avrebbe potuto fermare il tempo. Non si può interrompere l’attimo in questa vita; ma riuscire a viverlo, a sentirlo, credo sia già un gesto particolarmente coraggioso»Una pausa. Un sospiro. L’angolo delle labbra della donna si arcuò in un lievissimo sorriso. «Ho ancora le sue labbra a sfiorarmi, le sue mani che mi accarezzano il viso e la sua voce sussurrarmi grazie. A volte mi fermo per strada, e mi sembra di essere nuovamente lì, su quei binari, a dirgli tacitamente addio»Un tuono squarciò il silenzio della notte, coprendo il sussurro flebile di quella confessione, un’esplosione di sentimenti e ricordi che aveva provocato in Hermione un uragano simile alla tempesta che si stava consumando fuori. «Quando le porte si sono chiuse, ricordo che mi sono voltata di scatto e ho cominciato a camminare. Non ho avuto il coraggio di dire nulla, non ho avuto il coraggio di osservarlo andar via. Non volevo che mi vedesse piangere, non volevo mostrare altre lacrime. E non l’ho fatto»Il sorriso si accentuò: era un sorriso consapevole, perché lei sapeva già come quella storia sarebbe andata a finire, e questo le dava un non indifferente vantaggio sul suo cuore. Rose, invece, ascoltava incantata, con lo sguardo di chi ha sete di sapere ma non osa chiedere per paura di dire qualcosa di stupido.
«Ma sono una codarda, e sono tornata indietro. Ho rincorso quel treno mentre ripartiva, camminando al suo fianco: sono tornata indietro per vederlo, ma lui non c’era. Non c’era più. E l’ho immaginato, bastardo com’era sempre stato, prendersi gioco di me. Lui è sempre stato così» Il sorriso sul suo volto mutò, e divenne ironico, ma addolcito da una punta di tenerezza.
A quelle parole seguì un silenzio carico di riflessioni e respiri. Hermione si era perduta tra le nebbie di ricordi troppo lontani, e i suoi occhi brillavano di sentimenti che credeva sopiti, e che invece riscopriva, fastidiosamente vividi, dopo anni di fissità, come un carillon dimenticato in un baule in soffitta e rispolverato dopo un’eccessiva inattività, che si scopre creare una musica meravigliosa e inaspettata proprio a causa del prolungato sciopero.
Rose, invece, sembrava rigirare tra sé quella storia allo stesso modo in cui stropicciava le lenzuola, con lo sguardo assorto e la bocca storta in una smorfia di fastidiosa consapevolezza.
«Perché hai sposato papà, allora?»domandò, cercando di modulare il tono di modo che non risultasse evidente l’astio e la ripugnanza che il solo pensiero di quell’idea le provocava. «È stato solo un ripiego?»aggiunse, in un mormorio quasi spaventato.
Sua madre fu rapida a rispondere: non c’era esitazione, nella sua voce, mentre prendeva la mano della figlia e la stringeva con rassicurante calore.
«No. Nonostante tutto, io amo molto tuo padre. L’ho amata da bambina, e lo amo adesso»chiarì con dolcezza, sforzandosi di sorridere per mitigare la paura che brillava negli occhi di quella ragazzina – così simili ai suoi da far quasi paura, perché sembrava di guardarsi in uno specchio che, invece di restituire la propria immagine, rifletteva il passato.
«Ma non come ami lui»precisò Rose, sottraendo la mano alla stretta di quella della madre, sul volto una smorfia impertinente e anche profondamente offesa.
«È diverso, Rose»spiegò subito Hermione, stringendo le labbra per trattenere lo sconforto che le aveva fatto precipitare il cuore.
«In cosa, è diverso?»chiese la ragazza, senza abbandonare quell’aria di ostilità che aveva assunto.
«Tuo padre ho imparato ad amarlo. Con lui doveva andare a finire così, siamo stati vicini per sette anni, abbiamo combattuto una guerra; il nostro era un legame che non poteva sparire»chiosò la donna con tranquillità. Rose strinse le labbra, come se volesse ricacciare indietro quella linguaccia da vipera che stava per pronunciare parole di cui, ne era certa, si sarebbe pentita. Per gli insulti ci sarebbe stato tempo; ma quella storia, doveva essere raccontata adesso, perché era arrivato il suo tempo.
«E con Malfoy, invece?»Aveva un tono sospettoso, guardingo, ma curioso; e nei suoi occhi brillava una certa, infantile aspettativa, come se quella ragazzina in fondo sognasse un lieto fine che però sapeva già non poteva essere possibile, ma in cui continuava a sperare fermamente, con la spensierata ingenuità dei suoi diciassette anni.
«Con Draco è stato diverso. Lui è stato come una parentesi, aperta per sbaglio e improvvisamente, e chiusa altrettanto repentinamente. Non me l’aspettavo, nessuno se l’aspettava. Ma è successo»Hermione sembrava più propensa alle spiegazioni, adesso, forse perché pensava di doversi farsi perdonare tutti quegli anni di silenzio, o magari perché temeva che sua figlia si facesse idee sbagliate sul futuro che aveva scelto per sé.
«È per questo che papà lo odia tanto?»domandò con tono incredibilmente mite la ragazzina, fissando la madre con sospetto e ostilità.
«No. Lo odia perché ha fatto delle cose davvero orribili, prima»replicò Hermione, scuotendo il capo, e rispondendo con pazienza e sincerità ad ogni domanda.
«Prima di te»affermò Rose, e non era una domanda, ma sua madre si sentì comunque in dovere di rispondere.
«Sì»confermò con tono neutro.
«E tu l’hai cambiato»intuì la ragazzina, senza smettere di fissare la madre, con quell’aria di curiosità mista ad astio che aveva assunto quando aveva capito i suoi veri sentimenti.
«No. Lui è cambiato da solo, Rose. Io mi sono limitata a tenerlo per mano lungo il difficile cammino che doveva percorrere per salvare la sua anima»Era da Hermione, la poesia. C’era poesia nel suo fare, nel suo essere: la leggera poesia delle cose belle e fragili.
Rose tacque, pensierosa, cercando di capire quella storia, di metabolizzare quelle notizie inaspettate che, tuttavia, non erano riuscite ad intaccare l’immagine di sua madre e anzi, forse per l’intensità del racconto e dei sentimenti da esso scaturiti, l’avevano resa migliore, in qualche modo più umana di come voleva apparire, sempre così rigida e ligia alle regole, nonostante gli slanci d’affetto e le attenzioni quotidiane.
Quando alzò di nuovo lo sguardo su di lei, la trovò inspiegabilmente sorridente, con le labbra già socchiuse per continuare la sua storia.
«Quando la gente mi chiede di quel bagno, del mio settimo anno, di Draco, difficilmente dico la verità»ammise, con un tono di voce quieto, indubbiamente sincero. «Alcuni, sono ancora convinti che in quella camera si siano consumate solo notti di sesso, di cui immaginano anche i dettagli più scandalosi; per loro, sono solo una poco di buono. Altri, credono che ad Hogwarts sia rimasta talmente coinvolta da essermi innamorata; per questi, sono sempre la solita bambina ingenua e fragile, con poco senso della realtà. Alcuni, credono che io e Draco siamo destinati a ritrovarci; per loro, è questione di destino. C’è chi pensa che io abbia vissuto qualcosa di meraviglioso; sono i più realisti. C’è chi è invidioso, chi disprezza. C’è chi pensa di sapere tutto, senza conoscere nulla. C’è chi parla; quasi nessuno ascolta»Una pausa, un sorriso, l’ombra di una lacrima a brillare negli occhi scuri, accesi di ricordi, infuocati di sentimenti. «La verità, è che la verità su noi due è nascosta tra le pieghe di quella scuola. È conservata tra le piccole pietre della Torre di Astronomia, nella luna che risplende sul Lago Nero, tra i libri della Biblioteca, in una camera di legno che ci ha visti consumare l’attimo. E nel mio cuore»L’ultima parola fu un sussurro, a stento udibile al di sotto del continuo ticchettare della pioggia contro la finestra. Hermione non guardava più sua figlia, troppo immersa in un dolore vivido e dolorosamente vero per preoccuparsi di quanto quelle parole significassero in realtà. «Èstato doloroso. Ogni minuto, ogni ora, ogni giorno del nostro rapporto, è stato un dolore nuovo, per me»La voce della donna si incrinò, ma non arrivò mai a spezzarsi: il fiato le mancò prima, e lei tacque, vinta da un senso di impotenza che durava ormai da anni.
Rose non riusciva più a smettere di guardarla. Rapita da quelle parole, da quel racconto dolceamaro che nascondeva in sé molti più significati di quanti lei sapesse dargliene, guardava sua madre, ferita, sorpresa, sognante come solo una ragazzina innamorata sa esserlo.
«E la lezione, quindi, quale sarebbe?»domandò, in un tono che non voleva essere supponente, o adirato. Rose voleva capire: voleva sapere da chi era più grande di lei, da chi aveva avuto più esperienze, come avrebbe dovuto comportarsi. E non seppe trattenersi dal fare a sua madre quella domanda, nonostante pensasse di conoscere già la risposta – nonostante sapesse che il responso l’avrebbe ferita. «Che devo lasciar perdere? Che mi farò solo del male?»Aveva gli occhi colmi di delusione, mentre poneva quella domanda a sua madre. Quando lei rispose, tuttavia, le sue iridi brillarono di sconcerto – e di vita.
«No, Rose, tutt’altro. La lezione è che se vuoi una cosa devi fare di tutto per ottenerla. La morale è che tutto il dolore viene ripagato dall’amore»rispose Hermione con tono paziente. Gli occhi di sua figlia si sgranarono dallo stupore, e lei comprese che Rose aveva capito.
«Allora lui è tornato»sussurrò piano la ragazzina, incredula e sorpresa.
«Sì»Hermione annuì, e sorrise, e una punta di selvaggia soddisfazione le brillò nello sguardo: in fondo, sua figlia aveva preso molto da lei. «Dopo qualche mese è tornato. Sua madre era morta, e con lei anche una parte di Draco; non è mai più stato lo stesso dopo quei mesi»Gli occhi della donna erano fissi sulla finestra, ma Rose era certa che la sua mente e il suo cuore fossero molto più lontani, persi da qualche parte nel Wiltshire. «Credo sia tornato da me solo perché vedeva in me una parte di Narcissa. Aveva bisogno di qualcuno che gli raccontasse una favola, prima di andare a dormire. Che gli desse il bacio della buonanotte. Che lo facesse sentire protetto, speciale»spiegò, la voce incrinata da una punta di quella che Rose individuò come delusione. Ciò nonostante, sua madre non versò nemmeno una lacrima. Il desiderio di rinchiudersi in se stessa e piangere era evidente nel suo sguardo perduto, nelle pieghe del suo volto, nell’amarezza del suo sorriso; ma la ragazza in fondo sapeva che lei era abbastanza forte da non lasciarsi abbattere dal passato, e fin troppo orgogliosa per permettersi lacrime di rimpianto che non si sarebbe mai perdonata.
«Quanto siete stati insieme?»domandò Rose, guardando negli occhi sua madre.
«Tre anni»rispose lei, quasi meccanicamente.
«Poi è finita»disse la ragazzina al posto della donna, con una voce fievole che lasciava trasparire tutta la delusione e l’amarezza della sconfitta.
«Era diventato tutto troppo difficile. Troppi litigi, troppe incomprensioni; troppi scontri, troppe idee diverse»Hermione si rese conto solo in quel momento che stava cercando disperatamente una scusa accettabile da dare a sua figlia, un motivo da regalarle, una ragione sufficiente per spiegarle che l’amore non basta. Ma in quel momento si rese conto, con orrore e disperazione, che, anche se spesso l’amore, da solo, non basta, è esso stesso una ragione sufficiente e per questo necessaria.
Come puoi spiegare a tua figlia, adolescente innamorata, che hai lasciato andare l’amore della tua vita perché a un certo punto tutto è diventato insostenibile? Come puoi spiegarle che non sei stata abbastanza forte da lottare, abbastanza coraggiosa da resistere? Come puoi dirle che tutto ti è scivolato tra le dita, e tu non hai fatto niente per fermare il tempo – per continuare – non hai stretto i denti – non hai detto – passerà – perché poi, in fondo, è passato – ma quando è passato era già troppo tardi – e il per sempre delle favole l’hai conosciuto a tue spese, e non con la stessa dolcezza.
«E avete sposato altre persone. Avete avuto figli da persone che non amavate»La voce di Rose era amara, e stranamente acquosa: sembrava galleggiare sulla superficie di lacrime che lei non avrebbe lasciato uscire – perché anche lei era orgogliosa come sua madre.
«Rose, il concetto di amore è molto più vasto di quel che credi. Io amo Ron, o non l’avrei mai sposato. Lui mi rende felice»Appellandosi a quell’ultima scusa, Hermione sorrise a sua figlia con espressione incoraggiante. Quello che non aveva considerato, però, era che quella ragazzina aveva anche potuto ereditare i capelli di suo padre, ma in quanto a cervello aveva preso tutto da lei.
«E Draco non lo faceva?»La spiazzò così, con quell’unica domanda che non avrebbe dovuto farle, e che invece le aveva lanciato a tradimento, spiaccicandogliela dritta in faccia. E lei – quella donna improvvisamente tornata ragazzina – tacque, e dentro il suo silenzio riecheggiarono favole, risate – le tubature che scricchiolavano e le gocce d’acqua che cadevano, i rintocchi della mezzanotte e il soffio del vento.
«Allora perché hai scelto papà?»domandò ancora Rose, a cui sfuggiva una parte fondamentale di quella storia.
Hermione aprì la bocca per rispondere, ma all’ultimo momento la richiuse, scuotendo il capo. Poi,estrasse la bacchetta dalla vestaglia – le sue dita tremavano – la agitò in aria e sussurrò due parole, troppo tremanti e inafferrabili per poter essere udite. Pochi secondi dopo, un libro galleggiava davanti alle teste di madre e figlia. La copertina era rovinata in qualche punto – sembrava che qualche goccia d’acqua, finita lì per sbaglio o disattenzione, ne avesse gonfiato la pelle e le pagine – ma in definitiva era in buono stato, per cui Rose non riuscì a capire il motivo per cui sua madre aveva quello sguardo addosso – era uno sguardo che semplicemente non si poteva definire.
Hermione, invece, lo sapeva bene. Quel tomo era rimasto rinchiuso in un cassetto per anni – dal momento in cui lui glielo aveva restituito, e tirarlo fuori dopo tanto tempo era un colpo al cuore: era il libro di fiabe che lei gli aveva regalato per Natale, in un tempo tanto lontano da sembrare che non fosse mai esistito.
«Potresti leggere una fiaba a Scorpius, la prossima volta che lo incontri»disse con voce tremante, porgendo il libro alla figlia. Rose lo prese tra le mani delicatamente, e lo accarezzò con reverenza: ne percorse con i polpastrelli la superficie, percorrendo gli incavi dorati delle lettere, e sfiorando le pagine croccanti e ingiallite dal tempo.
«Tu lo ami ancora?»domandò con voce assente, mantenendo lo sguardo fisso sull’immagine, impressa per sempre su quella facciata, di una principessa d’altri tempi.
«Sì»rispose Hermione, prima ancora di riuscire a frenare la lingua e inventare una risposta diversa.
Rose, tuttavia, non fu affatto sorpresa da quel responso: era l’unico che si aspettava, e l’unico che avrebbe accettato e dato per vero.
«E lui ti ama ancora, vero?»chiese, puntando gli occhi dritti in quelli della madre, che capì, dal suo sorriso consapevole, che lei non aveva bisogno di una risposta. Necessitava solo di una rassicurazione, perché potesse credere ancora nell’amore. Così, Hermione si fece forza, e, preso un respiro profondo, insegnò a sua figlia l’unica morale che aveva imparato da Draco.
«Vorrei aver un “E vissero per sempre felici e contenti” da raccontare, ma tutto tornerebbe ad essere noioso come nelle favole; vorrei poter dire che da allora, non ci sono state lacrime, paure, incomprensioni, litigi; vorrei poter dire che il passato non fa più male, e che non lo desidero ancora; vorrei poter dire che ci siamo incontrati di nuovo, e che è stato tutto ugualmente bello. Ma ho iniziato dicendo che ti avrei raccontato della vita vera, e non ho intenzione di smentirmi proprio ora che ho finito. Tutto quello che ho ricordato, rivissuto, tutte le parole, i luoghi, i momenti… sono reali, li ho sentiti e il mio cuore li ha trasformati in parole per te, adesso.
«Forse io e Draco eravamo le persone giuste nel momento sbagliato, o forse, se non ci fossimo incontrati in quel momento, in quel modo terribilmente intenso, sarebbe stato tutto incredibilmente banale.
«Ho imparato a credere al destino. Ho imparato a credere che ogni cosa ha il suo tempo e che la vita ci dona le risposte quando meno ce lo aspettiamo, per farci stupire di lei, e di noi stessi. E io so, in cuor mio, che un giorno tornerà il nostro tempo. E che qualsiasi tempo sia, sarà splendido»Alla fine, quella lacrima maledetta, a lungo trattenuta e in fondo desiderata, era scivolata lungo il viso di Hermione, infrangendosi sull’orlo delle sue labbra. Se faceva attenzione, se chiudeva gli occhi e cercava di figurarsi quegli istanti, riusciva ancora a sentire il sapore di Draco, ad avvertire l’esatta forma delle sue labbra, o il calore del suo respiro sulla pelle. Era per questo che piangeva, Hermione, piangeva e rideva, perché era tutto così bello, e così triste, e così enorme, che un cuore solo non bastava per contenere tutto – e forse era un po’ anche per questo che aveva raccontato tutto a Rose, dopo tanti anni. E mentre piangeva e rideva, piangeva e rideva, senza sosta, senza timori, ricordava due occhi grigi e due mani grandi, e si sentiva leggera. E leggero era il suo tono, quando, tra lacrime e risate, sotto lo sguardo incredulo e compassionevole di sua figlia, disse: «Questa non è una favola. Ma, in conclusione, posso dire che, anche nella vita, il lieto fine esiste».

 

 

The end

 
 
******************************************************************************************************************************
Nota dell'autrice:

Credo di dover chiedere scusa a tutti voi lettori per questo finale: lo so che non era quello che vi aspettavate. Ma se c’era una cosa di cui ero certa, quando ho cominciato questa storia, era come sarebbe andata a finire. D'altronde, avevo detto che avrei cercato di mantenermi il più fedele possibile alla storia della Rowling, e per quanto odi l'epilogo da lei scelto, ho dovuto farlo. Ho pianto anche io, nello scrivere questo capitolo. Davvero. E probabilmente è per questo che è così sintetico e poco intenso, del tutto diverso dagli altri, e forse nemmeno all'altezza. Ma questo è il loro finale.  Non dico quello che si meritavano; ma è quello che appartiene a Draco ed Hermione. E spero che riusciate a capire il vero senso di questa conclusione, perché è un lieto fine a tutti gli effetti.

Vi ringrazio tutti, dal primo all'ultimo lettore, per il sostegno che mi avete dato. Non mi aspettavo che questa storia sarebbe piaciuta così tanto, per cui mi sento in dovere di mandare un enorme bacio a tutti coloro che hanno inserito la storia tra le seguite, le ricordate e le preferite, e soprattutto a tutti quelli che hanno recensito, e che con il loro entusiasmo e le loro parole mi hanno riempito il cuore. Un grazie non è sufficiente, ma spero che basti almeno fino alla prossima storia.

Potete trovarmi qui.
 

Citazioni:
- La terra ansante, livida, in sussulto;
- Come un occhio che, largo, esterrefatto, si apre e richiude nella notte nera (Il lampo, G. Pascoli - Anche se leggermente parafrasata)
- Perché le cose più belle sono sempre un segreto. È sempre lì che si va a nascondere la felicità. (Oceano mare - A. Baricco)

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1034838