And the songs that I have sung

di Marguerite Tyreen
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** No time for us (Roger Taylor - Queen) ***
Capitolo 2: *** Soldier of Fortune (David Coverdale - Deep Purple) ***
Capitolo 3: *** Where the sun don't ever shine (Kurt Cobain - Nirvana) ***
Capitolo 4: *** I must be dreaming (Alice Cooper) ***
Capitolo 5: *** We'll be playing all night (Peter Criss - Kiss) ***



Capitolo 1
*** No time for us (Roger Taylor - Queen) ***


Buonsalve, popolo di EFP!
No, non chiedetemi che cos'è questa creaturina scarna e spelacchiata che chiamerò “raccolta” solo per bontà di catalogazione ^^' Beh, se proprio devo trovarvi un senso, dirò che è un esperimento e una sfida fra me e la mia proverbiale capacità di sproloquio: ridurre ogni fic ad un numero ristretto di parole è stata proprio un'impresa. Ma le ispirazioni fulminanti c'erano, la voglia di usare lima e carta vetrata pure... e questo è il risultato. Mi spiace solo che non sia proprio una botta di vita, ma nemmeno il mio umore lo è, ultimamente, e non ho potuto fare altrimenti ^^' Spero che vi possano far piacere comunque, come ha fatto piacere a me scriverle.
Grazie per essere passati!
Un bacione,
Marg.

***





Nel 1991 muore Freddie Mercury, leader dei Queen. Da una chiacchierata con la mia “profeta del rock”, la mia cara Nefthi, è nata l'idea di una fic ad alto contenuto di angst in cui il batterista Roger Taylor potesse ricordare il caro amico ormai scomparso.

[# Vuoto/ 237 parole]

 

A S.
Tutta la raccolta dovrebbe essere per te.
Ma questa fic in particolare, perchè l'idea è tua, fondamentalmente.

 

But touch my tears with your lips,
Touch my world with your fingertips
And we can have forever,
And we can love forever.

(Queen, Who wants to live forever)

 

And so I raise my glass
In a last goodbye
Leave in peace, old friend
For me you'll never die

(Roger Taylor, Old friends)
 

Per me c’è un vuoto nel cosmo
un vuoto nel cosmo
e da là tu canti.

(P.P. Pasolini, Timor di me)

 

No time for us
(Roger Taylor – Queen)

 

 

Londra, 1991

 

Qualcuno una volta mi ha detto che è proprio la brevità della vita a darle così importanza. Se avessimo l'eternità a disposizione, ogni cosa perderebbe di significato. Sai, è curioso che non te l'abbia mai raccontato. E, ora, la consapevolezza che non potrò più farlo mi prende la gola e il petto, come quando un'onda ti sovrasta, togliendoti l'ossigeno.
Non c'è più tempo.
Tu avresti riso. Mi avresti indicato il pubblico. Guarda, Roger. Io sono già immortale. Noi siamo immortali e vivremo per sempre.
Passeggio tra le tue cose, ma non mi basta. Ogni dettaglio potrebbe parlarmi di te, eppure gli oggetti non servono a scaldare il freddo dell'anima.
Non siamo immortali, Freddie.
Non c'è più tempo per te. E prego con ogni forza che la tua arte sia sufficiente a far sopravvivere il ricordo.
Non c'è più tempo per me. E mi chiedo cosa ne sarà adesso. Mi chiedo se quello che abbiamo avuto potrà asciugare queste lacrime, dare ancora senso a questa musica.
Ci sono le stelle, questa notte, su Londra. E, tra le stelle, un buio immenso, una striscia scura di cielo, come un vuoto nel cosmo.
Mi illudo che tu abbia lasciato questo vuoto in terra, che tu mi abbia lasciato questo vuoto dentro, per riempire quel vuoto nel cosmo.
Chiudo gli occhi. Ti sento. Sei presente.
Lo so. Oh, lo so: da là tu canti ancora. Canti ancora per me.

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Capitolo 2
*** Soldier of Fortune (David Coverdale - Deep Purple) ***


Il concerto di Liverpool del 1976 segna lo scioglimento dei Deep Purple, anche se la decisione era stata segretamente presa già in precedenza. La fine di un'esperienza artistica è sempre un momento difficile, in particolare per il giovane cantante Coverdale, che con la band aveva conosciuto il suo esordio nello star-system della musica.

[# Scioglimento / 299 parole]

 

 

 

Ad A.
Riuscissi almeno a dimenticare i tuoi occhi.

 

And the songs that I have sung
Echo in the distance

(Deep Purple – Soldier of fortune)

 

 

 

 Soldier of Fortune
(David Coverdale - Deep Purple)

 

 

Liverpool, 1976

 

Non c'è più alcuna band da lasciare, Dave. Gli aveva detto quella sera Paice, fermandolo appena in tempo, un attimo prima che si barricasse nel camerino. I Purple sono finiti, morti già da un pezzo. Da prima di questo disastro.
E che fosse stato un disastro, il concerto di quella sera, se n'era accorto anche lui. Al punto da abbandonare il palco. Da abbandonare il pubblico. Da abbandonare un po' troppe cose, sotto la luce impietosa dei riflettori.
La porta chiusa alle sue spalle era una misera difesa, capace soltanto di ovattare i rumori dell'esterno, in una sorta di sogno. Di farli infrangere contro l'eco delle canzoni che aveva cantato, in un fragore assordante, troppo assordante per sostenerlo senza una lacrima. L'asciugò con la punta delle dita.
Posò la mano sullo specchio, a coprire la propria immagine. Non era più quella di un ragazzo dello Yorkshire, del commesso di boutique che cantava la sera in qualche pub sconosciuto, illudendosi che fosse già un passo verso la gloria. Quell'immagine se l'erano portata via i Purple, ormai.
Era rimasta quella del soldato di ventura: la vita dell'artista gliene aveva già impresso i segni sul volto.
Si era spezzato qualcosa. Qualcosa si era concluso, definitivamente. Qualcosa che non avrebbe più riavuto indietro. Non allo stesso modo, almeno. E tutta la fragilità dell'avvenire tremava, vacillava davanti a lui, dentro il vetro.
Disegnò un semicerchio sullo specchio, a cancellare quell'eco, regolare e lontano, come le pale lente di un mulino a vento. Ma aveva ancora molte altre canzoni da cantare. E aveva poco più di vent'anni. Domani, forse. Domani.
Fuori, si stava facendo giorno. Uno spiraglio di luce era sufficiente a rimettersi in cammino, per un soldato di ventura.
Si alzò e scostò la tenda dai vetri della finestra.
È già domani.

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Capitolo 3
*** Where the sun don't ever shine (Kurt Cobain - Nirvana) ***


L'8 aprile 1994 a Seattle viene ritrovato il corpo senza vita di Kurt Cobain, tormentato cantante dei Nirvana, uccisosi con un colpo di fucile.
Spero non risulti troppo disturbante, come fic. E ci tengo a rassicurarvi sullo stato del mio umore: non è così pessimo come potrebbe sembrare.

[# Luce / 229 parole]

 

 

Ad E.
Da qualche parte si nasconde
anche la nostra felicità.

 

 

In the pines, in the pines
Where the sun don't ever shine
I would shiver the whole night through.

(Nirvana, Where did you sleep last night)

 

 

Where the sun don't ever shine
(Kurt Cobain – Nirvana)

 

 

Seattle, 5 aprile 1994
 

I sogni dovrebbero avere lo stesso odore dell'adolescenza. Sincero, libero, idealista, puro.
Ma a volte, i sogni assumono lo stesso odore putrescente della morte e, allora, solo la massa di un proiettile sparato alla tempia può occupare tutta la testa e scacciarli dalla mente.
Quelle che di notte abbiamo chiamato illuminazioni, al giorno finiamo per definirle follia. Ma, talvolta, la luce del mattino non fa in tempo a salvarci. Le illuminazioni continuano a sembrarci ottime idee. Quel proiettile nel cervello continua a sembrarci una buona idea. E il sole non viene a garantirci il contrario, non viene a schiarire i nostri fogli, né a illuderci che ci sia ancora senso.
Il senso se lo porta via l'odore di morte. La morte diventa l'unico senso.
Il mio ultimo barlume di entusiasmo respira a malapena nello stordimento della ragione.
La gioia di vivere è divorata pezzo per pezzo dal dolore. Non posso essere felice, se ricordo il mio tormento. Non posso apprezzare le cose, se non quando le ho perdute.
Amo tutti. Amo troppo. Il che equivale a non amare nessuno. A non amare affatto.
Eppure amo. Amo! L'amore mi ha consumato.
Amo come un morto che cammina. Sono morto: non posso intaccare con la mia marcescenza l'oggetto del mio amore.
L'illuminazione è arrivata questa notte. Non vedrò nascere il giorno.
Poso la penna. Carico il fucile.

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Capitolo 4
*** I must be dreaming (Alice Cooper) ***


Alice Cooper (nome d'arte di Vincent Furnier, informazione che può tornarvi utile ^^ ), a proposito del proprio passato di alcolista, dichiarò di aver tentato di “uccidere” il proprio personaggio, ritenuto responsabile di tale dipendenza.
Sì, ascoltare certe cose in loop mi fa male: infatti la fic è un mezzo delirio ^^' Adoro il genio di Alice e ho l'impressione di non avergli esattamente reso giustizia ^^'

[# Alter ego / 416 parole]

 

Ad E.
Che sopporta pazientemente
i miei deliri.

I don't want to see you go
I don't even want to be there
I will cover up my eyes
And pray it goes awa
y.

(Alice Cooper, Steven)

 

 

I must be dreaming
(Alice Cooper)


 

Boston, 1975. In tour.

 

L'immagine lo guarda dallo specchio. Ha il suo stesso volto, la sua stessa figura, come dovrebbe essere. Ma gli occhi, gli occhi sono quelli del serpente.
Lo guarda. Lo scruta. Lo fissa fino ad estrargli anche l'ultima parte dell'anima.
-Vattene. Non ho voglia di vederti, oggi.
L'immagine ride, con fragore di vetri infranti: -Pensi davvero di potermi dire cosa fare, Vince?
La bottiglia trema nelle sue mani.
-Sei tu ad avermi ridotto così.
-Io? Io non ho proprio fatto nulla.
-Tu mi stai distruggendo, Alice! - ma ebbe l'impressione di gridare contro il nulla. O contro se stesso.
-Alice, Alice, sempre Alice! - la creatura volteggia all'interno della superficie lucida, con eleganza oscura di vampiro – Prenditi le tue responsabilità, Vincent. Mi hai creato. Mi appartieni.
-Tu mi appartieni. Sei la mia creatura, senza di me non esisteresti. - allunga la mano nel tentativo di afferrare il riflesso, ma esso guizza con un bagliore.
-Eppure vuoi uccidermi. Mi odi, Vince.
-Tu mi odi. Tu vuoi vedermi soccombere e prenderti tutto. Tutto lo spazio che ancora riesco a difendere.
-Oh, no, no, sbagli. Guardati, Vince. Sei giovane, ricco, rispettabile. Sei un genio. Come potrei scalfirti? - ancora quella risata di vetro – Tu bevi, ecco cosa ti distrugge.
-Io bevo per liberarmi di te.
-Tu bevi per liberarti di te stesso. Del tuo successo. Di quello che possiedi. A portartelo via, io ti farei solo un favore. Guardami!
Una forza misteriosa tiene i suoi occhi incatenati a quelli di Alice, senza via di scampo. Vi può leggere dentro una sorta di condanna silenziosa.
-Io non bevo sul palco. - continua Alice, aggiustandosi una ciocca di capelli – Alice non beve. Tu bevi. Tu, Vincent.
-Sì.- ammette lui, abbassando lo sguardo.
-Allora non ti fa bere il fatto di essere me. Il problema è tuo: ti stai ammazzando.
La bottiglia continua a tremare, nelle sue mani.
-Io sono una tua creatura. Ti amo. Non potrei distruggerti. Tu hai bisogno di fare pace con me. Vieni.
Ancora quella forza misteriosa, che porta Vincent ad avanzare verso lo specchio. Mentre vi posa sopra le labbra e chiude gli occhi, può giurare che, per un istante, sotto la propria bocca non vi sia il freddo del vetro. Il tempo di un attimo, prima di accorgersi di star baciando soltanto il proprio riflesso.
Guarda la bottiglia: è vuota. Anche lo specchio è vuoto. E la visione è sparita.
Resta solo quel tremore alle mani. Quel tremore alle mani.

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Capitolo 5
*** We'll be playing all night (Peter Criss - Kiss) ***


Nel 1976 i Kiss incidono la ballata “Beth”, scritta e cantata dal batterista Peter Criss (no, non ho una passione per i batteristi. È un'impressione vostra =P). Stando alle cronache, pare che la canzone fosse stata composta da Criss diversi anni prima (quando ancora non si era aggregato alla band) e solamente in seguito riadattata in omaggio alla moglie e alle sue lunghe attese sola a casa durante i tour.
Non ho la benchè minima idea di come sia andata veramente, ma diciamo che più che a questo caso specifico, miravo a un senso di nostalgia generico di chi, per inseguire una passione, si ritrova lontano da casa e dagli affetti. Almeno non è troppo deprimente, per chiudere in bellezza ^^'

[# Nostalgia / 392 parole]

 

A R.
Sempre provvidenziale.

 

Just a few more hours
And I'll be right home to you
I think I hear them calling
Oh Beth what can I do?

(Kiss, Beth)

 

 

 

We'll be playing all night
(Peter Criss – Kiss)

 


1975. In tour.


-Pete, tra dieci minuti andiamo in scena. - Paul era entrato nel camerino, per ritrovare l'amico seduto alla specchiera, una matita e un foglio tra le mani – Ma che diavolo stai facendo, ancora?
-
Beth, I hear you callin' but I can't came home right now... na na na na... sound
-Si può sapere cosa stai farneticando? Manca un quarto alle nove!
-Lo so, lo so, ma prova ad ascoltare.
-Ma ascoltare che? Siamo in ritardo!
-Ti ricordi quella canzone che avevo scritto nel '71 e che non abbiamo mai pubblicato? Ho pensato di riscriverla.
-Ma dai, lascia perdere. È una...
-Ballata?
-Non solo.
-Lagna? - il batterista si strinse nelle spalle.
-Non era esattamente il termine che stavo cercando. Però sì. Voglio dire: a Gene non piacerà, ai produttori non piacerà. Non piacerà nemmeno al pubblico e... Per la miseria, Pete: siamo una rock band, cos'è questa improvvisa effusione di sentimenti?
-Pensavo a mia moglie.
-E' normale che tu pensi a tua moglie. Ma pensaci in un altro modo.

-Pensaci in un modo che ci faccia anche guardagnare. - Peter imitò l'intransigenza del loro bassista - Just a few more hours... na na na na na na na... Oh Beth, what can I do. C'è un grosso buco nella strofa.
-Mai quanto quello che ti ritroverai nella batteria, se non ti presenti tra mezzo minuto. Muoviti! - si tirò dietro la porta.
Erano in tour da mesi. Sempre più spesso, mentre viaggiavano, aveva l'impressione di sentire lo stesso freddo che doveva provare lei, nella solitudine e nel silenzio della loro casa. Ammesso che fosse davvero una casa e non solo un mero punto d'appoggio, un campo base. Non ne era sicuro.

You say you feel so empty, that our house just ain't a home, and I'm always somewhere else, and you're always there alone.
Certo, doveva essere difficile amare un artista. Picchiettò la matita sul bordo del tavolino, per ritrovare il ritmo. Just a few more hours... Just a few more hours... And I'll be right home to you. I think I hear them calling. Oh Beth what can I do? O qualcosa del genere.
Avrebbe potuto funzionare. Le avrebbe annotate dopo, quelle parole: adesso non aveva più tempo. C'era la musica, come sempre. La musica, prima di tutto.
Anche quella volta, avrebbero suonato per tutta la notte.

 

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