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Una grossa lacrima spuntò dai grandi occhi
nocciola, scivolò velocemente sulle paffute guance roseee cadde sulle piccole mani infantili. Nata da mille ricordi intensi
le attraversò il viso, con la stessa velocità con cui quegli stessi ricordi
avevano percorso la sua vita.
Sulla collina dove era cresciuta ora era sistemato
un gazebo bianco ricoperto da fiori colorati. Le lacrime continuavano a rigarle
il viso, mentre guardava quei luoghi a lei un tempo così famigliari e ora
improvvisamente così ostili. Il luogo era splendido come sempre e in quel
momento, se possibile, ancora di più; così addobbato di fiori profumati, nastri
vivaci e tavoli decorati ordinatamente disposti in modo casuale, era tutto come
nei suoi sogni, eppure non riusciva a smettere di piangere.
Mancavano poche ore al
giorno più bello della sua vita e tutto era come lei aveva sempre desiderato,
come aveva sempre immaginato dovesse essere: il luogo, le decorazioni, il suo
vestito, che continuava a guardare allo specchio e trovava atrocemente
perfetto, come se chi l’aveva confezionato fosse riuscito a entrare nei suoi
sogni e copiare la sua idea di un abito da sposa.
Fissava con occhi lucidi la sua immagine riflessa;
era spaventosamente splendida, come non lo era mai stata, come forse non era. Mentre le lacrime continuavano a rigarle il viso e gli occhi
restavano immobili sullo specchio, Elisa si vide allontanarsi lentamente e
avvicinarsi alla porta della stanza: le mani cercare la maniglia e infine
trovarla. Mano a mano si fece più vivida nella sua mente
la figura, inizialmente sfocata, di casa sua.
Si voltò di scatto e, con passo audace, si diresse
verso l’uscio che aprì senza esitare e richiuse silenziosamente dietro di sé.
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Alcuni avvisi!!!
Sinceramente mi ero ripromessa di non iniziare a
pubblicare una storia senza aver finito prima almeno una delle due già in
corso. Poi però ho deciso di pubblicare almeno questa. Infatti
visto che è già stata scritta per parecchi capitoli penso che non mi porterà
via del tempo alla stesura delle due fic in corso.
Infatti ho già una quindicina di
capitoli pronti per essere letti e qualcun altro che va rivisto ma comunque già
scritto. Ho anche la trama dettagliata di come andranno le cose e di come
voglia finisca, il problema è che il tutto giace da
parecchio tempo nel mio pc senza che abbia
l’ispirazione giusta per completarla. Così ho pensato che l’unica cosa da fare
era pubblicare il materiale già pronto, in questo modo, potrò vedere se riesco
a “sbloccarmi” e concluderla oppure decidermi ad
abbandonarla definitivamente.
Volevo fare anche una premessa per quanto riguarda la storia. Quando iniziai
a scriverla l’ispirazione mi ha portato a scrivere i capitoli facendo
incredibili salti temporali. In che senso? Nel senso che la storia non viene raccontata “ieri-oggi-domani”,
ma “oggi-l’altro ieri-domani-ieri-dopodomani-etc”,
insomma continuo a saltare nel tempo tra le diverse fasi della vita di Elisa.
La mia beta mi aveva consigliato di dare un
“senso” una “spiegazione” a tutto pernon confondere il lettore, ma sono affezionata
al modo in cui la fic è stata scritta e la lascerò così. Quelli di voi però a
cui la cosa non piace o pensa che sia troppo confusa, fatemi sapere, così
deciderò il da farsi.
Tra l’altro il riassunto della storia suggerisce
che sia proprio Elisa a fare questo viaggio nella sua
vita per capire il motivo della sua scelta (quale scelta lo scoprite già in
questo capitolo).
Ah vi avviso che aggiornerò ogni due settimane
(giorno più giorno meno), finché ho i capitoli pronti. Quando arriveremo al
“blocco”… beh stiamo a vedere, sperando che fin là mi
sarò già sbloccata!
Mi scuso già per questo capitolo TROPPO breve,
magari il prossimo lo posto prima di due settimane,
visto che è davvero troppo corto.
Per finire vorrei ringraziare SERINTAGE, la mia
BETA! Sperando che se riuscirò a riprendere la fic, anche lei riprenderà il suo
DURISSIMO lavoro!
Sul letto una ragazza di diciannove anni con
lunghi capelli mossi color del miele dormiva profondamente.
Si svegliò d’improvviso
quando il suo cellulare cominciò a squillare incessantemente; le piccole mani
lo cercarono a tastoni, accanto al cuscino; infine lo trovarono.
Lo guardò con aria contrariata e vide che erano le
tre; ne impostò la sveglia per le tre e dieci, quindi richiuse i grandi occhi
assonnati.
Il telefonino riprese a suonare e questa volta,
dopo averlo immediatamente spento, la giovane si alzò; non ne
aveva alcuna voglia, ma aveva poca scelta: alle quattro aveva lezione
all’università. Si tolse la felpa e indossò un maglione che con orrore notò
essersi “ristretto” ulteriormente.
C’era qualcosa che non andava nei suoi vestiti…
“Continuano a rimpicciolirsi” pensò, cercando di
scacciare l’idea che forse era lei che continuava a
ingrassare.
Aprì la porta di casa e come sempre scrutò il
cielo sopra la collina, a destra del portone; non guardava mai dall’atra parte,
dove si poteva intravedere la città in cui si sarebbe dovuta recare.
Non le importava davvero se ci fosse il sole o se
piovesse; fin da piccola aveva collegato il suo umore al quel cielo: se questo
era di un celeste luminoso la sua giornata sarebbe andata bene, altrimenti
avrebbe dovuto aspettarsi dei guai.
Da circa otto anni, comunque,
non era soddisfatta della sua vita.
“Ripetitiva”, “vuota”, “inutile”, “mediocre”,
“poco divertente” erano solo alcuni degli aggettivi con la cui descriveva.
Eppure non aveva mai smesso di guardare il cielo e
di sorridere grazie ai suoi sogni così fantastici da rendere, nel contempo, la
sua esistenza meravigliosa ma banale in confronto a
essi.
Nel suo diario annotava le proprie speranze
sovrapponendole alla realtà, in modo che divenisse quasi impossibile
distinguere il vero dal falso. A volte quelle pagine erano misteriose,
criptiche, incomprensibili; talvolta, invece, erano dettagliate, chiare e
ripetitive; in taluni casi, poi, erano allegre e piene di entusiasmo;
in altri tristi, malinconiche e disincantate.
Mentre scendeva in strada
il cellulare squillò: ciò stava a significare che Sara, la sua amica, aveva
giàpreso l’autobus, che entro due
minuti questo sarebbe arrivato alla fermata e che lei, come sempre, l’avrebbe
perso. Decise che non aveva voglia di aspettare quello successivo per mezz’ora,
quindi cominciò a correre.
Non era decisamente
portata per lo sport e la corsa non era il suo forte: si sentiva goffa nel e
dotata di ben poca grazia. Non era molto veloce, inoltre: arrivò che le porte
erano appena state chiuse.
Vide Sara.
Le fece cenno perché chiedesse al conducente di
aspettarla, ma questa scrollò la testa e mosse lamano a indicare che
alla guida c’era un nuovo autista, giovane e molto carino.
Elisa diede un pugno alla porta.
Si accorse di quanto il suo comportamento fosse
stato ridicolo quando il mezzo si fermò perché potesse salire: tutti la
guardavano con aria divertita, tanto da farla pentire per aver insistito.
- Potevi anche chiedere che si fermasse. - disse,
respirando con affanno.
- Non ci pensavo nemmeno, eri così buffa… -
rispose Sara, continuando a ridere.
- Che amica, davvero
unica! E quelli lì? Che hanno
da guardare? - borbottò la ragazza a bassa voce, indicando dei ragazzini seduti
un paio di posti più avanti. - Non hanno mai visto nessuno correre? –
guardandoli con cattiveria.
- Lascia stare, potresti
non voler sentire la risposta… e poi eri davvero ridicola. – replicò l’amica
ironica.
- Stronza! – sentenziò Elisa.
- Devi imparare a sbrigarti! - ribadì
l’amica con aria superiore.
- Dovrei andare davanti e parlare con l’autista? Che so... magari di te? – si difese la ragazza facendo la superiore.
- Fai pure… ma sarà troppo occupato a ridere per
starti a sentire! – replicò Sara.
- Secondo te c’è Bizio
oggi? – disse Elisa cambiando argomento, come a voler dimenticare l’accaduto.
- Boh... quello è peggio
di te! Un giorno non c’è, e l’altro pure... – rispose Sara
distratta.
- Non è vero! Io vengo sempre a lezione…-
- Sì, adesso che c’è Fabrizio. -
- Beh…. - Elisa cercò di rispondere ma Sara la
interruppe e le fece segno che alla prossima fermata avrebbero
dovuto scendere.
Le due ragazze arrivarono davanti alla facoltà;
frequentavano il primo anno di Psicologia.
Si
conoscevano da tre anni, da quando Sara si era trasferita nella città di Elisa e si era iscritta nella sua stessa scuola. Non
erano mai state in classe insieme, ma negli ultimi anni avevano stretto
un’amicizia fondata su un rapporto d’amore-odio. All’inizio non potevano
sopportarsi, ma ben presto avevano cominciato a capirsi e a diventare complici:
avevano dei caratteri opposti ma, per quanto male assortite,
facevano una bella coppia.
Sara era una ragazza molto carina, e la cosa non
passava inosservata; Elisa le voleva bene ma non poteva non provare un pizzico
d’invidia per una persona tanto spigliata, intelligente, sicura di sé, che riusciva
sempre a conquistare tutti.
Nemmeno lei era da buttare, ma non aveva fiducia
in se stessa né sapeva mettere in risalto le se sue qualità che sembrava
piuttosto voler tenere nascoste.
Aveva un carattere complesso.
Si sentiva brutta, inadatta a
ogni situazione e non perdeva mai l’occasione di fare pessime figure; nel
contempo, però, era orgogliosa e vanitosa: non si accettava ma pretendeva che
gli altri l’apprezzassero.
Mentre camminavano per
raggiungere l’aula, Elisa si chiedeva cosa i ragazzi pensassero di lei.
Aveva indossato il maglione nero con la scritta
cinese e i jeans con la tasca laterale: prima di
uscire aveva notato che il pullover le stava un po’ stretto e che i pantaloni
non volevano abbottonarsi ma ora, mentre camminava, si sentiva carina, pensava
che i suoi difetti potessero essere addirittura attraenti.
Pensava che Fabrizio, il ragazzo che le faceva
perdere la testa, non avrebbe potuto non notare che
era speciale, che anche altri sarebbero giunti alla stessa conclusione e che
lui si sarebbe dovuto sbrigare se non avesse voluto perderla.
Stava per voltarsi e dire a Sara quanto le donasse il vestito che indossava, quando inciampò e cadde
proprio davanti all’aula 43. Non poteva credere a quanto le era successo: come
poteva essere così goffa e sfortunata?
Durante la lezione fece fatica a non piangere.
Le doleva il ginocchio, ma questo non era niente
in confronto all’imbarazzo: avrebbe voluto uscire
dall’aula e non tornare mai più, avrebbe voluto svegliarsi una mattina ed essere
qualcun’altro.
Tratteneva a stento le lacrime. Si alzò di scatto
e disse all'amica che doveva andare in bagno.
- Attenta a non inciampare! - replicò quella in
modo sarcastico ma con voce dolce. Elisa
la odiò, la odiò per quelle parole, la odiò per le risate che esse avevano
provocato ma soprattutto la odiò perché anche Fabrizio rideva e ciò voleva dire
che aveva assistito alla scena.
Uscì dall’aula e una lacrima le rigò il viso;
aveva una voglia terribile di piangere.
Aveva fatto appena due passi quando uscì l’assistente della professoressa, un ragazzo giovane di
circa ventisei anni, di bel aspetto e dall’aria gentile, che la guardò con aria
divertita.
Elisa si sentì davvero in imbarazzo, stava per
scoppiare a piangere, ma riuscì a trattenersi: odiava mostrarsi debole davanti
ad altre persone.
Lui notò che aveva gli occhi lucidi.
- Ti senti bene? - le chiese dolcemente.
- Sì. - rispose lei molto piano.
- Ho visto che ti sei alzata e mi sono
preoccupato… - le disse con tono gentile. - Non ti sei fatta male? – aggiunse
preoccupato guardando il ginocchio che la ragazza stava massaggiando.
- No! - replicò lei mortificata, senza riuscire a
guardarlo in viso: non le piaceva essere derisa, ma essere compatita le faceva
ancora più rabbia; il viso le scottava e pensò che dovesse essere rossa come un
pomodoro.
- Mi scusi, devo andare.
- balbettò, sentendo che non poteva fare a meno di scappare.
********
Vi avviso che aggiornerò ogni due settimane!
Per finire vorrei ringraziare SERINTAGE, la mia
BETA! Sperando che se riuscirò a riprendere la fic, anche lei riprenderà il suo
DURISSIMO lavoro!
Erano passati tre giorni
da quando Elisa era scappata, e, nell’agitazione della fuga, non aveva trovato
posto migliore da andare che la casa del suo ex.
Non sapeva perché fosse
andata proprio là, ma ci si era ritrovata.
Quando
arrivò lui non le fece nessuna domanda. Le aveva aperto la porta in boxer con in mano una tazzina di caffè. La guardò con aria stupita
dritta negli occhi, senza badare a quello che indossava, come se fosse normale
trovarsi davanti una ragazza vestita da sposa. Senza dire una parola si scansò
dall’entrata, le porse la tazzina che aveva in mano, e le indicò il bagno.
Elisa entrò senza
fiatare. Era contenta di non dover parlare, le lacrime le rigavano pigramente
il viso, ma sapeva che se avesse aperto bocca sarebbe scoppiata a piangere per
davvero.
Trovatasi nel bagno
cominciò a sfilarsi il vestito. Non aveva il coraggio di guardarsi allo specchio,
ma conosceva bene quel bagno. Sapeva che voltandosi si sarebbe ritrovata ancora
una volta faccia a faccia con la sua immagine.
Non riuscì a resistere a
lungo e si girò. Vide nuovamente lasua figura riflessa allo specchio,
era identica a quella che aveva osservato poche ore prima nella sua stanza, ma
ora che il vestito era sgualcito, leggermente sporco e il suo viso più stanco,
l’immagine perfetta di poche ore prima lasciava intuire che tale perfezione era
illusoria.
Fu allora che Elisa capì
perché era fuggita. Quello doveva essere il giorno più felice della sua vita,
una nuova vita che le si apriva davanti. Sarebbe stata
perfetta! Un marito fantastico, attraente, bello, simpatico,
protettivo. Avrebbe avuto una bella casa, presto sarebbero arrivati dei
bambini e tutto sarebbe stato come doveva essere, come
era comune dovesse succedere. Meraviglioso? Sì. Ma uguale a
ciò che accadeva a tutti, in poche parole: normale.
Normale, nella norma,
comune, regolare, erano tutti termini che lei sentiva non le appartenessero,
per quanto tutto le appariva perfetto, era troppo comune per lei.
Sì, era stupido buttare
tutto all’aria, ma Elisa aveva dei sogni, dei sogni non comuni, o forse lo
erano, ma non era da tutti realizzarli. Quei sogni non escludevano certo una
vita normale, ma la vita normale che le si era
presentata davanti in quel momento escludeva i suoi sogni.
Fu così che guardandosi
nuovamente allo specchio Elisa capì che l’immagine era
sì perfetta, ma non per lei.
Dopo essersi spogliata entrò
dentro la
doccia. Sotto l’acqua sentì la voce di Paolo e
quella di una donna. Comprese con orrore che lui non era
solo, e si vergognò di quello che aveva fatto. Solo allora si rendeva conto di
essersiprecipitata a casa del suo ex. Lo stesso ragazzo
che non era riuscito a ricevere la notizia del suo matrimonio, senza
versare una lacrima.
Si ricordava ancora quel
giorno.
********
Machigrazie del sostegno machi… ormai se non ci sei nelle mie fic
mi manchi :D!!! Beh questa non l’ho proprio iniziata è già scritta ;o)…
cercherò di aggiornare prima, vediamo!!!
Scusate se non ho rispettato le due settimane, ma
del resto il sito era off-line. Probabilmente stavolta
aggiornerò prima (o comunque appena possibile, visto
che il capitolo è cortissimo)!
Per finire vorrei ringraziare SERINTAGE, la mia
BETA! Sperando che se riuscirò a riprendere la fic, anche lei riprenderà il suo
DURISSIMO lavoro!
Era una giornata buia, non c’era il sole, e il vento
soffiava feroce facendo muovere con vigore gli alberi.
Avvolta dai suoi pensieri, quel
giorno tristi e un po’ confusi, la ragazza non aveva voglia di fare
niente. Ad occhi chiusi cercava di concentrarsi per sentire il sibilo del
vento, ma la radio le impediva di udirlo.
Tutto ciò che poteva sentire erano le parole della
canzone che suonava il quel momento: “quando vedi che sei
sola a sto mondo, quando il mondo che sta intorno va in buio, quando cadi ti
rialzi com’è? quando piangi ti domandi il perché,
quando crollano i tuoi sogni campione vai cercando un po’ di forza nel cuore,
quando il mondo che volevi migliore ti sorrise con il suo ghigno peggiore. Noi
gente che spera, cercando qualcosa di più infondo alla
sera la sera la sera, noi gente che passa e che va cercando la felicità sopra
sta terra sta terra sta terra…”.
A quel punto Elisa si alzò velocemente dal letto e
spense la radio. C’era
qualcosa in quella canzone che la faceva sentire strana. Le piaceva molto, ma
la metteva quasi a disagio.
La giovane guardò l’orologio, e decise che era ora
di prepararsi. Aprì la porta dell’armadio e cercò di ignorare le foto appese.
Prese la maglia rosa e i jeans chiari a vita bassa. Si
vestì, trucco e sistemò i capelli; prima di uscire si guardò allo specchio.
Com’era cambiata la sua immagine
negli ultimi tempi, si ritrovò a pensare la ragazza. Aveva
perso parecchi chili, riusciva a scegliere i vestiti in base
a ciò che le stava bene e ciò che non era adatto a lei, ed era
bravissima a truccarsi. Le piaceva ciò che osservava allo specchio. Una ragazza
di 25 anni molto carina!
Eppure
sentiva che le mancava qualcosa. Qualcosa che intuiva di aver avuto, qualcosa
che le piaceva avere, qualcosa che le faceva apprezzare più l’immagine che lo
specchio le restituiva non molto tempo prima. Anche se
era quella di una ragazza un po’ robusta, con a volte
un pessimo gusto nell’abbinare vestiti e colori.
Cercando di scacciare qualsiasi pensiero dalla
mente, prese le chiavi della macchina e aprì la porta di casa. Osservòla collina, ma come se si fosse ricordata di qualcosa
si costrinse a guardare da un’altra parte.
****
Elisa entrò nella libreria completamente zuppa.
Aveva appena parcheggiato la macchina e fatto due passi, quando aveva
cominciato a piovere. Aveva aperto l’ombrello, ma non ci era
voluto molto perché questo si rompesse. Ormai a metà strada dalla libreria,
aveva deciso di proseguire.
Ancora arrabbiata con il mondo per la sua solita
sfortuna, si diresse subito versò un commesso e senza perdere tempo chiese il
libro che stava cercando. L’uomo controllò il computer e vide che ne avevano una copia, quindi le chiese di attendere e andò a
prenderlo.
Elisa, nel frattempo, si diresse verso il reparto
cinema e guardò qualche libro. L’impiegato tornò e si scusò, dicendole che un
ragazzo aveva appena chiesto l’ultima copia rimasta.
- Non è possibile. - disse Elisa. - E’ la quinta
libreria in cui vengo. – aggiunse irritata.
- Mi spiace signorina. - rispose il ragazzo sfoggiando
un sorriso fastidioso. -Se fosse arrivata appena un minuto
prima. – continuò.
La ragazza avrebbe voluto rispondere in malo modo
per averle detto ‘se fosse arrivata prima, ma il commesso la precedette.
- Pensi, il ragazzo che ha acquistato il libro, lo
sta pagando giusto ora! – le disse puntando il dito contro una
delle casse.
- Come? - domandò Elisa. – Dove, quale? – gridò
avvicinandosi alla cassa indicata dal commesso.
- Quello con il la giacca nera… ma… - rispose il
ragazzo confuso.
La giovane si precipitò verso lo sportello dal tipo
indicatoli, che in quel momento stava tirando fuori i soldi.
- La pregò non lo compri…
lo lasci a me, questo libro è mio. - disse bloccandogli la mano.
- Come? - rispose il ragazzo con la giacca nera,
voltandosi a guardare Elisa.
I loro occhi si incrociarono
ed Elisa sentì un brivido percorrerle tutto il corpo. Sia lei che lui non si mossero e fu come se fossero trascorsi dei secoli da quando
lei lo aveva preso per il polso a quando sentì la voce dell’impiegato dirle:
- Signorina lasci immediatamente il signore, è
arrivato prima di lei, questo è un comportamento terribilmente villano. - disse
il commesso prendendola per il braccio in modo molto scortese.
Elisa lasciò la mano del ragazzo, e abbassò lo
sguardo mentre si teneva il polso, perché il commesso le aveva fatto male. Non disse nulla, si sentiva come una bambina che
aveva fatto qualcosa di sbagliato, ma non aveva il coraggio di dirlo.
Il giovane, che veniva riempito
di scuse dall’impiegato, non le staccava gli occhi di dosso. Pagò il libro, e
sempre senza smettere di guardarla glielo porse, sotto gli occhi stupidi del
commesso.
- Ma signore non deve. -
s’intromise l’impiegato.
- No? E perché? Il libro è
mio e ne faccio ciò che voglio. - rispose il ragazzo mentre continuava a tenere
gli occhi fissi su Elisa. - Vieni, ma guardati, sembri
un pulcino bagnato. Cos’è, sono troppo brutto o bello
per essere guardato in faccia? – aggiunse sorridente sollevando con le mani il
viso della ragazza.
- Paolo io… - cercò di dire Elisa senza alzare lo sguardo.
- Dai andiamo fuori di qui a parlare, prima che sarò
costretto a picchiare questo tipo per averti fatto male al braccio. - disse
duramente Paolo mentre la guardava massaggiarsi il polso che il commesso le
aveva stretto, forse con troppa energia.
- Paolo… - cercò di dire nuovamente Elisa con un
filo di voce, ma Paolo le aveva già preso la mano e trascinata fuori dalla libreria.
- Immagino che tu non abbia l’ombrello da come sei
conciata, e come sai di certo io non ce lo. - le disse una volta fuori dal negozio, si comportava come se non fosse mai
successo niente.
- Paolo io fra …- cercò nuovamente di dire Elisa, ma
fu interrotta da lui.
- Sei molto bella sai. – le
disse sorridendole felice. Poi smise di guardarla, prese a
osservare il libro e lo nascose nella giacca. - Tengo io il libro per ora, entriamo
in un bar e aspettiamo che spiova; puoi venire da me ad asciugarti. – le
propose lasciando la ragazza confusa, sembrava che per lui non fosse passato un
anno da quando si erano lasciati.
Velocemente le afferrò nuovamente la mano, ed Elisa senti per la terza volta dei brividi percorrerle il corpo.
Si sentiva incapace di reagire, e si lasciò trascinare.
Camminarono per un po’ e, dalla strada che facevano,
Elisa capì che Paolo non si stava dirigendo verso un bar qualsiasi ma verso il
“Posto delle fragole”, un pub in cui erano andati molte volte insieme.
Pioveva molto forte e le gocce le bagnavano il viso,
si fermò di scatto, lui la guardò, le teneva ancora la mano, quando lei urlò:
- Paolo io fra tre mesi mi sposo. -
Paolo non poteva vedere le lacrime rigarle il viso
mentre, ancora tenendole la mano, annunciava che si sarebbe sposata con un
altro.
Anche Elisa non poteva vedere che Paolo aveva pianto
dopo averle sentito dire quelle parole. Ma non poteva non capire di averlo fatto soffrire, visto che
lui le aveva lasciato la mano ed era corso via senza dirle una parola.
********
Scusate se non ho rispettato le due settimane, ma
sono un po’ incasinata. Scusate anche (per chi legge le altre due storie) se
non aggiorno da secoli le mie storie, ma sono davvero un po’ in crisi :o)!!!
Come al solito vorrei
ringraziare SERINTAGE, la mia BETA! Sperando che se riuscirò a riprendere la
fic, anche lei riprenderà il suo DURISSIMO lavoro!
Elisa, a cui mancavano ancora
pochi esami per la laurea, era seduta sul banco, l’ultimo a
destra dell’aula 43, da cui anni prima si era alzata, con le lacrime che
le bruciavano gli occhi e il ginocchio che le doleva dopo essere caduta.
La ragazza ricordava quel giorno
con estrema nostalgia, era il giorno in cui aveva conosciuto Paolo.
Pensò, mentre il professore
approfondiva l’argomento sull’abitudine dei bambini di infilarsi di tutto in bocca, che non vedeva Paolo da ormai quattro
mesi, l’ultima volta che l’aveva incontrato, lui le aveva chiesto di non
abbandonare tutto per un sogno, una sciocchezza, mentre lei stava piangendo,
giurando che non l’avrebbe mai perdonato per aver definito i suoi sogni,
un’illusione, non dopo tutte le notti passate insieme a fantasticare.
Scuotendosi dai suoi pensieri,
Elisa si accorse che mancavano venti minuti all’una. Il professore parlava di quando il cane aveva morso suo figlio perché aveva
mangiato dalla sua scodella, e non accennava a finire la lezione, così decise
di alzarsi pensando al traffico che avrebbe trovato per la strada.
Arrivò nella chiesa con un forte
ritardo, la maggior parte degli invitati erano già arrivati, e quindi ebbe delle difficoltà a
sistemare le apparecchiature. Ma per quando la
cerimonia ebbe inizio aveva già tutto pronto. Non riusciva a capire come
sarebbe riuscita a scattare le foto, visto che le mani
le tremavano, e anche le gambe non
l’aiutavano affatto. Era
la prima volta che Miguel, il suo capo, le permetteva di svolgere un lavoro da
sola. Certo, ai clienti aveva detto che Elisa era una professionista, e che nonostante la giovane età aveva
già portato a termine molti lavori. Ma una volta che gli sposi uscirono, la guardò severamente e le disse:
- Combina uno dei tuoi guai e non
scatterai mai più una foto! - Poi tornò come se nulla fosse al suo lavoro,
canticchiando un tango argentino.
La sposa si dirigeva lentamente verso lo sposo, che,
trepidante e forse un po’ troppo teso, l’attendeva senza guardarla, ma
dirigendo lo sguardo verso la porta della chiesa, pensando forse che fosse la
sua ultima opportunità di fuga. Elisa si posizionò davanti allo sposo per scattare una foto della
promessa sposa a braccetto con il padre, la vedeva davanti a sé, nel suo, forse
un po’ troppo semplice, abito bianco, ma non riusciva a vederla attraverso
l’obbiettivo della macchina fotografica. La sposa che aveva rallentato per la
foto, la guardava con aria di rimprovero, cercando di capire perché ci stesse
mettendo così tanto. Elisa cominciò a tremare, non riusciva a capire,
vedeva soltanto delle immagini sfocate, di vari colori pastello, cominciò a
tremare e a guardare la macchina terrorizzata, fino a quando non sentì una mano
poggiarsi sui suoi fianchi, e una voce sensuale sussurrarle all’orecchio:
- Metti a fuoco, quello che vedi dovrebbe essere il bouquet della sposa. -
Elisa si sentì mancare.
“Ma certo…” pensò, poco prima aveva scattato alla sposa una foto mentre scendeva dalla macchina,
era stata costretta a farlo da lontano, perché non era riuscitaa farsi sentire dagli invitati mentre urlava:
- Permesso, fatemi passare, sono
la fotografa. -
La cerimonia in chiesa era appena
terminata, ed Elisa, assonnata, cercava di trasportare le attrezzature nella
macchina e dirigersi al ristorante, dove i festeggiamenti sarebbero continuati
fino a tardi. Passò tutto il pomeriggio a scattare foto di zii, cugini, nonni,
nipoti, fratelli, madri, piatti, menu, torte e tutto ciò che la gente ritiene necessario fotografare nei matrimoni. Si sentiva
davvero stanca, e ancora in imbarazzo per la difficoltà iniziale, inoltre il
testimone della sposa, il ragazzo che l’aveva aiutata in chiesa, non smise di
osservarla per tutto il tempo con aria divertita.
Quasi alla fine della serata, la
maggior parte delle persone non voleva più essere fotografata, perché dopo un
tale banchetto e le ore trascorse ad aggiornarsi su tutte le novità e i
pettegolezzi su parenti di cui non ricordavano neanche l’esistenza, i vestiti
non sembravano tanto perfetti come la mattina e le acconciature tanto sicure. Così
Elisa poté finalmente fermarsi a riposare, uscì dal ristorante e si appoggiò
alla ringhiera nel giardino, guardando il cielo attraverso le foglie di un
albero, e presa la macchina fotografica scattò delle
foto agli ultimi raggi del sole che filtravano attraverso il fogliame.
- Almeno ci sarà una bella foto
da mettere nell’album - disse la voce sensuale che la mattina l’aveva colta di
sorpresa e salvato il lavoro.
- Posso assicurarle che
nonostante la svista di questa mattina, gli sposi non potranno lamentarsi delle
foto.- rispose offesa, ma con gentilezza Elisa.
- Scusami, non dubitavo certo del
tuo lavoro, è solo che c’è molta poca arte nelle foto di un matrimonio, e
questo lo pensi anche tu, visto che appena hai avuto
un attimo di tregua sei venuta a scattare una foto “poetica”. – si spiegò
l’uomo camminando verso di lei. - Infondo tutti nel guardare l’album di un
matrimonio vanno subito a cercare se stessi, per vedere se quel giorno erano
belli ed eleganti come ricordavano, fregandosene delle altre foto. – aggiunse
divertito.
- Non sono affatto d’accordo signore, credo… - cercò di rispondere
Elisa, ma fu interrotta dal giovane.
- Sì… certo, ne sono convinto. –
replicò lui poco convinto. - Dammi del tu comunque, e non assecondarmi, non sono io che pago il tuo
conto. - disse interrompendo la ragazza e guardandola con aria di sfida.
- Elisa, faccia una foto - urlò
una voce, alle spalle dei due ragazzi.
- No, io… perché, cosa c’entro?
Grazie ma non è il caso. – replicò la giovane confusa.
Il giovane che le stava accanto
cominciò a ridere senza ritegno, e l’uomo, che aveva chiesto una foto a Elisa, disse con aria sorpresa e scocciata:
- Ma cosa dice, come non c’entra niente lei? E’ o no la
fotografa? Venga a scattare una foto allora. -
Elisa rimase pietrificata nel
capire perché il ragazzo accanto a lei rideva, e cercando di non inciampare, si
diresse verso la porta del ristorante scusandosi con l’uomo che era venuto a
chiamarla. Mentre si allontanava il ragazzo la trattene prendendole
la mano, e le disse:
- Sei un vero spasso sai? Comunque io sono Christian… piacere. -
Elisa non ebbe il coraggio di
stringere la mano che il ragazzo le porgeva, si sentiva terribilmente umiliata.
Voleva come sempre piangere e scappare via. Ma guardando
quel ragazzo dagli intensi e maliziosi occhi neri e con un fisico davvero
niente male, porgerle la mano e guardarla, mentre le sorrideva in modo
contagioso, con aria di sfida, non poté fare a meno di sorridergli a sua volta.
Per poi guardarlo anche lei con la stessa aria di sfida e
allontanarsi senza stringergli la mano.
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Scusate se non ho rispettato le due settimane, ma
sono un po’ incasinata. Scusate anche (per chi legge le altre due storie) se non
aggiorno da secoli le mie storie, ma sono davvero un po’ in crisi :o)!!!
Come al solito vorrei
ringraziare SERINTAGE, la mia BETA! Sperando che se riuscirò a riprendere la
fic, anche lei riprenderà il suo DURISSIMO lavoro!
A poco più di un
anno dall’episodio dell’aula 43, Elisa già frequentava
da tre mesi Paolo. Preciso in ogni cosa che faceva, simpatico, dolce, romantico
e intelligente, per lei, lui era sinonimo di perfezione. Era il fidato
assistente dellatemibile professoressa di
Psicologia Visiva, ma la ragazza sapeva che lavorava, come cameraman, per noti registi di videoclip.
Capelli castani, occhi verdi, era sempre vestito in modo imbeccabile, puntuale e
preparato; accanto a lui, Elisa si sentiva una bambina, sempre pronta a
combinare guai, e ancora non riuscivaa capire come l’assistente più bello di tutto il suo corso di laurea si
fosse invaghito proprio di lei, così goffa, ritardataria e imprecisa.
Comunque fossero andate le cose, Elisa era davvero
innamorata di lui, che con un sorriso affettuoso cercava di non badare a tutti
i guai, gravi o meno, che la ragazza combinava, e con lo stesso dolce sorriso
ma di rimprovero, cercava di aiutarla a studiare per gli esami. Spesso
passavano notti intere a parlare di Freud e Nietzsche, e ad Elisa piaceva starlo a sentirementre si esaltava nel cercarle di spiegare l’esatto
significato del super io, oppure mentre cercava di interpretare la psicologia dialcuni fotografi nelle loro opere.
Accanto al letto un piccolo vaso
con dentro una rosa bianca. Rosa, che il ragazzo le aveva
regalato la mattina, come faceva ogni giorno ormai da due mesi. Stretta
tra le braccia di Paolo, Elisa spesso desiderava non doversi mai più muovere da
là; sentiva i loro cuori battere, mai all'unisono, e comporre una di quelle
vecchie melodie che una volta ascoltata non sidimenticano più, e all’improvviso tornano di prepotenza ad occupare i tuoi pensieri,
costringendo la tua mente a ricordare qualcosa che credevi dimenticato.
Elisa guardava la rosa bianca che
anche quel giorno il ragazzo le aveva regalato,
immersa nell’acqua contenuta in un grazioso bicchiere decorato con piccole
fragole rosse, aveva i petali bianchi ed era appena sbocciata, magià pronta ad appassire. Mentre il ragazzo cercava di spiegarle il libro che lei avrebbe dovuto studiare
per il prossimo esame, Elisa si alzò dal letto e senza dire una parola uscì
dalla stanza, prese le chiavi di casa e scese correndo le scale della palazzina
in cui abitava Paolo. Uscita in strada, guardò il cielo, dalla casa del ragazzo
non riusciva a vedere i monti che era abituata a fissare fuori da casa sua, ma cercando
di capire da quale parte fossero, scrutò il cielo da quella parte. Il sole era
calato da poco e il cielo era celeste, ma coperto da piccole nuvolette bianche, disperse
qua e là. Attraversò la strada, quasi senza guardare, e si diresse verso il
fioraio dove Paolo era solito acquistare le rose bianche e ne chiese una rossa.
Rientrò in casa del ragazzo
stringendo fra le mani una singola rosa rossa; aveva i capelli scompigliati e
il respiro affannato a causa della corsa per le scale, il viso era rosso come
la rosa che teneva tra le mani mentre la porgeva al ragazzo. I grandi occhi nocciola fissavano
il pavimento nel disperato tentativo di non incrociare quelli di Paolo, che la
guardava con aria sorpresa ma consapevole della situazione. Così come l’avrebbe
guardata tre anni dopo, ritrovandosela vestita da sposa davanti a quella stessa
porta, anche se quella volta l’avrebbe solo lasciata entrare, e non presa tra
le sue braccia e condotta sul suo letto.
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Scusate se non ho rispettato le due settimane, ma
sono un po’ incasinata. Scusate anche (per chi legge le altre due storie) se
non aggiorno da secoli le mie storie, ma sono davvero un po’ in crisi :o)!!!
Come al solito vorrei
ringraziare SERINTAGE, la mia BETA! Sperando che se riuscirò a riprendere la
fic, anche lei riprenderà il suo DURISSIMO lavoro!
Makinon preoccuparti per il
ritardo… l’importante è che ti piaccia! Sì Christian è un tipo niente male,
vedrai fra qualche capitolo… c’è un pezzo in cui mi fa impazzire ;o)!!! Grazie per recensire sempre le mie storie!!!
Il cellulare non voleva saperne di resistere neanche per quei
due secondi necessari ad Elisa per chiamare Christian e dire al ragazzo che
avrebbe fatto tardi. Non poteva pensarci, aveva già dieci minuti di ritardo, e
ce ne sarebbero voluti altrettanti per arrivare. Continuava a sentire la voce
autoritaria e ironica di lui chiederle di non ritardare come al suo solito. Non
sopportava che Christian si raccomandasse qualcosa, o desse per scontato che lei
avrebbe combinato una delle sue, perché ecco che effettivamente Elisa sbagliava
qualcosa e dava a lui l’opportunità di continuare a prenderla in giro.
Arrivata nel luogo da lui indicato, Elisa scese dalla macchina
e cominciò a correre per recuperare qualche istante, ma dopo pochi passi fu
costretta a tornare indietro a cambiarsi le scarpe, in quanto aveva indossato
delle scarpe da ginnastica per guidare, che poco s’intonavano con l’abito da
sera che portava. Inginocchiata sulla poltrona, cercava furiosamente le
splendide scarpe nere che s’intonavano perfettamente alla borsetta nuova e al
suo elegante vestito, sforzandosi di ricordarsi dove le aveva mai potute mettere e scacciando la sua
immagine che esce in fretta di casa con nulla in mano al di fuori della piccola
borsetta e le chiavi della macchina.
"Non posso presentarmi così" pensò tra sé e sé ormai arresasi
all’idea di aver dimenticato le scarpe a casa.
"E di tornare a casa non se ne parla, non prima di essere
riuscita ad avvisare Christian almeno", continuava a pensare cercando di non
scoppiare in lacrime al pensiero di quanto poteva essere sciocca e sbadata.
Si diresse scoraggiata verso la porta del locale in cui il
ragazzo l’aspettava, aveva deciso di avvicinarsi e di chiedere a qualche
cameriere di andare a cercare Christian e di farlo uscire, ma una volta davanti
al locale, appena chiese del fidanzato, un uomo sulla quarantina l’avvicinò con
aria molto cortese e la invitò ad entrare.
- No aspetti, volevo chiederle di chiamare Christian, il signor
XX - cercò di spiegare, mentre si guardava intorno controllando che nessuno le
fissasse i piedi.
- Lei è la signorina xx? - le chiese l’uomo che sembrava non
ascoltarla.
- Sì, sono io e ora mi può chiamare il signor XX per favore? -
rispose sorpresa Elisa, stupendosi di essere così attesa, e spaventandosi al
pensiero che la notizia che sarebbe dovuta andare via avrebbe deluso molto il
ragazzo che l’attendeva con ansia, insieme a personaggi molto importanti per
lui.
- Ho ricevuto ordini precisi di farla entrare appena fosse
arrivata - le disse l’uomo trascinandola con cortesia, ma con aria minacciosa
sempre più all’interno del locale.
- Ma lei non capisce, aspetti non posso entrare, io ho… -
cercava di spiegargli Elisa, quando si accorse che due giovani cameriere la
fissavano da testa ai piedi ridendo.
- …mi porti dal signor XX, per favore - concluse Elisa non
volendo dare la soddisfazione alle due cameriere che ridevano di lei e delle sue
scarpe, e cercando di assumere l’aria di chi non ha niente che non vada.
La stanza in cui l’uomo la condusse era completamente deserta e
buia, Elisa si voltò per dire all’uomo che c’era una errore, ma di lui non c’era
più traccia. Sola nella stanza buia la ragazza rimase per un attimo immobile
cercando di capire cosa stesse accadendo, trattenne il fiato per un attimo,
ricordando lo strano comportamento del fidanzato negli ultimi giorni e le strane
risatine della madre che s’interrompevano non appena lei entrava nella
stanza.
All’improvviso la sala buia s’illuminò di una luce fiocca, e
mentre dal pavimento usciva del fumo dall’odore di talco, dal tetto scendevano
palloncini di tutti i colori, e davanti a lei, nonostante il fumo intenso, Elisa
scorse la figura di Christian. Alto, fisico atletico, sembrava quasi un Dio
greco, o comunque qualche figura mitologica di cui la giovane non ricordava mai
il nome.
Mentre il fumo si dilatava e i palloncini finivano di cadere,
una musica nota alla giovane cominciò a suonare ed invadere ogni angolo della
stanza in cui si trovava; presa tra le braccia di Christian si lasciò trascinare
in un ballo che percorreva la stanza ricoperta da palloncini colorati e
striscioni con la scritta "VUOI SPOSARMI?".
Con le lacrime che le rigavano il viso dopo alcuni lenti
volteggi Elisa si fermò con le gambe tremanti e mentre guardava emozionata negli
occhi il giovane che aveva davanti, con un filo di voce chiese:
- Perché? -
Christian la guardò con i suoi occhi neri penetranti e con la
sua solita aria ironica e sfacciata, e rispose guardandola con un sorriso
beffardo ma dolce:
- Perché neanche cercandola in ogni angolo del globo potrei
trovare una ragazza tanto imbranata da presentarsi ad una delle richieste di
matrimonio più romantiche degli ultimi tempi, vestita con una grazioso abito da
sera ma indossando delle ridicole scarpe da ginnastica logore. –
La ragazza, che si era dimenticata delle scarpe che portava ai
piedi, si portò la mano alla bocca e rimase imbambolata a guardarsi i piedi.
- Perché ti amo sciocca! - le disse togliendole le mani dalla
bocca con una mano, sollevandole il viso con l’altra e tirando fuori dalla tasca
una piccola scatolina nera.