Elisa: tra sogno e realtà!

di Giglio
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il vestito bianco ***
Capitolo 2: *** Caduta Libera ***
Capitolo 3: *** Chiusa nel bagno ***
Capitolo 4: *** In libreria sotto la pioggia ***
Capitolo 5: *** Christian ***
Capitolo 6: *** Rose bianche... rose rosse ***
Capitolo 7: *** Vuoi sposarmi? ***



Capitolo 1
*** Il vestito bianco ***


Piccola premessa:

IL VESTITO BIANCO

Una grossa lacrima spuntò dai grandi occhi nocciola, scivolò velocemente sulle paffute guance rosee e cadde sulle piccole mani infantili. Nata da mille ricordi intensi le attraversò il viso, con la stessa velocità con cui quegli stessi ricordi avevano percorso la sua vita.

Sulla collina dove era cresciuta ora era sistemato un gazebo bianco ricoperto da fiori colorati. Le lacrime continuavano a rigarle il viso, mentre guardava quei luoghi a lei un tempo così famigliari e ora improvvisamente così ostili. Il luogo era splendido come sempre e in quel momento, se possibile, ancora di più; così addobbato di fiori profumati, nastri vivaci e tavoli decorati ordinatamente disposti in modo casuale, era tutto come nei suoi sogni, eppure non riusciva a smettere di piangere.

Mancavano poche ore al giorno più bello della sua vita e tutto era come lei aveva sempre desiderato, come aveva sempre immaginato dovesse essere: il luogo, le decorazioni, il suo vestito, che continuava a guardare allo specchio e trovava atrocemente perfetto, come se chi l’aveva confezionato fosse riuscito a entrare nei suoi sogni e copiare la sua idea di un abito da sposa.

Fissava con occhi lucidi la sua immagine riflessa; era spaventosamente splendida, come non lo era mai stata, come forse non era. Mentre le lacrime continuavano a rigarle il viso e gli occhi restavano immobili sullo specchio, Elisa si vide allontanarsi lentamente e avvicinarsi alla porta della stanza: le mani cercare la maniglia e infine trovarla. Mano a mano si fece più vivida nella sua mente la figura, inizialmente sfocata, di casa sua.

Si voltò di scatto e, con passo audace, si diresse verso l’uscio che aprì senza esitare e richiuse silenziosamente dietro di sé.

********

Alcuni avvisi!!!

Sinceramente mi ero ripromessa di non iniziare a pubblicare una storia senza aver finito prima almeno una delle due già in corso. Poi però ho deciso di pubblicare almeno questa. Infatti visto che è già stata scritta per parecchi capitoli penso che non mi porterà via del tempo alla stesura delle due fic in corso.

Infatti ho già una quindicina di capitoli pronti per essere letti e qualcun altro che va rivisto ma comunque già scritto. Ho anche la trama dettagliata di come andranno le cose e di come voglia finisca, il problema è che il tutto giace da parecchio tempo nel mio pc senza che abbia l’ispirazione giusta per completarla. Così ho pensato che l’unica cosa da fare era pubblicare il materiale già pronto, in questo modo, potrò vedere se riesco a “sbloccarmi” e concluderla oppure decidermi ad abbandonarla definitivamente.

Volevo fare anche una premessa per quanto riguarda la storia. Quando iniziai a scriverla l’ispirazione mi ha portato a scrivere i capitoli facendo incredibili salti temporali. In che senso? Nel senso che la storia non viene raccontata “ieri-oggi-domani”, ma “oggi-l’altro ieri-domani-ieri-dopodomani-etc”, insomma continuo a saltare nel tempo tra le diverse fasi della vita di Elisa.

La mia beta mi aveva consigliato di dare un “senso” una “spiegazione” a tutto per non confondere il lettore, ma sono affezionata al modo in cui la fic è stata scritta e la lascerò così. Quelli di voi però a cui la cosa non piace o pensa che sia troppo confusa, fatemi sapere, così deciderò il da farsi.

Tra l’altro il riassunto della storia suggerisce che sia proprio Elisa a fare questo viaggio nella sua vita per capire il motivo della sua scelta (quale scelta lo scoprite già in questo capitolo).

Ah vi avviso che aggiornerò ogni due settimane (giorno più giorno meno), finché ho i capitoli pronti. Quando arriveremo al “blocco”… beh stiamo a vedere, sperando che fin là mi sarò già sbloccata!

Mi scuso già per questo capitolo TROPPO breve, magari il prossimo lo posto prima di due settimane, visto che è davvero troppo corto.

Per finire vorrei ringraziare SERINTAGE, la mia BETA! Sperando che se riuscirò a riprendere la fic, anche lei riprenderà il suo DURISSIMO lavoro!

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Capitolo 2
*** Caduta Libera ***


Piccola premessa:

CADUTA LIBERA

 

 

 

Sul letto una ragazza di diciannove anni con lunghi capelli mossi color del miele dormiva profondamente.

 

Si svegliò d’improvviso quando il suo cellulare cominciò a squillare incessantemente; le piccole mani lo cercarono a tastoni, accanto al cuscino; infine lo trovarono.

 

Lo guardò con aria contrariata e vide che erano le tre; ne impostò la sveglia per le tre e dieci, quindi richiuse i grandi occhi assonnati.

 

Il telefonino riprese a suonare e questa volta, dopo averlo immediatamente spento, la giovane si alzò; non ne aveva alcuna voglia, ma aveva poca scelta: alle quattro aveva lezione all’università. Si tolse la felpa e indossò un maglione che con orrore notò essersi “ristretto” ulteriormente.

 

C’era qualcosa che non andava nei suoi vestiti…

 

“Continuano a rimpicciolirsi” pensò, cercando di scacciare l’idea che forse era lei che continuava a ingrassare.

 

Aprì la porta di casa e come sempre scrutò il cielo sopra la collina, a destra del portone; non guardava mai dall’atra parte, dove si poteva intravedere la città in cui si sarebbe dovuta recare.

 

Non le importava davvero se ci fosse il sole o se piovesse; fin da piccola aveva collegato il suo umore al quel cielo: se questo era di un celeste luminoso la sua giornata sarebbe andata bene, altrimenti avrebbe dovuto aspettarsi dei guai.

 

Da circa otto anni, comunque, non era soddisfatta della sua vita.

 

“Ripetitiva”, “vuota”, “inutile”, “mediocre”, “poco divertente” erano solo alcuni degli aggettivi con la cui descriveva.

 

Eppure non aveva mai smesso di guardare il cielo e di sorridere grazie ai suoi sogni così fantastici da rendere, nel contempo, la sua esistenza meravigliosa ma banale in confronto a essi.

 

Nel suo diario annotava le proprie speranze sovrapponendole alla realtà, in modo che divenisse quasi impossibile distinguere il vero dal falso. A volte quelle pagine erano misteriose, criptiche, incomprensibili; talvolta, invece, erano dettagliate, chiare e ripetitive; in taluni casi, poi, erano allegre e piene di entusiasmo; in altri tristi, malinconiche e disincantate.

 

Mentre scendeva in strada il cellulare squillò: ciò stava a significare che Sara, la sua amica, aveva già  preso l’autobus, che entro due minuti questo sarebbe arrivato alla fermata e che lei, come sempre, l’avrebbe perso. Decise che non aveva voglia di aspettare quello successivo per mezz’ora, quindi cominciò a correre.

 

Non era decisamente portata per lo sport e la corsa non era il suo forte: si sentiva goffa nel e dotata di ben poca grazia. Non era molto veloce, inoltre: arrivò che le porte erano appena state chiuse.

 

Vide Sara.

 

Le fece cenno perché chiedesse al conducente di aspettarla, ma questa scrollò la testa e mosse la  mano a indicare che alla guida c’era un nuovo autista, giovane e molto carino.

 

Elisa diede un pugno alla porta.

 

Si accorse di quanto il suo comportamento fosse stato ridicolo quando il mezzo si fermò perché potesse salire: tutti la guardavano con aria divertita, tanto da farla pentire per aver insistito.

 

- Potevi anche chiedere che si fermasse. - disse, respirando con affanno.

 

- Non ci pensavo nemmeno, eri così buffa… - rispose Sara, continuando a ridere.

 

- Che amica, davvero unica! E quelli lì? Che hanno da guardare? - borbottò la ragazza a bassa voce, indicando dei ragazzini seduti un paio di posti più avanti. - Non hanno mai visto nessuno correre? – guardandoli con cattiveria.

 

- Lascia stare, potresti non voler sentire la risposta… e poi eri davvero ridicola. – replicò l’amica ironica.

 

- Stronza! – sentenziò Elisa.

 

- Devi imparare a sbrigarti! - ribadì l’amica con aria superiore.

 

- Dovrei andare davanti e parlare con l’autista? Che so... magari di te? – si difese la ragazza facendo la superiore.

 

- Fai pure… ma sarà troppo occupato a ridere per starti a sentire! – replicò Sara.

           

- Secondo te c’è Bizio oggi? – disse Elisa cambiando argomento, come a voler dimenticare l’accaduto.

 

- Boh... quello è peggio di te! Un giorno non c’è, e l’altro pure... – rispose Sara distratta.

 

- Non è vero! Io vengo sempre a lezione…- 

 

- Sì, adesso che c’è Fabrizio. -

 

- Beh…. - Elisa cercò di rispondere ma Sara la interruppe e le fece segno che alla prossima fermata avrebbero dovuto scendere.

 

Le due ragazze arrivarono davanti alla facoltà; frequentavano il primo anno di Psicologia.

 

 Si conoscevano da tre anni, da quando Sara si era trasferita nella città di Elisa e si era iscritta nella sua stessa scuola. Non erano mai state in classe insieme, ma negli ultimi anni avevano stretto un’amicizia fondata su un rapporto d’amore-odio. All’inizio non potevano sopportarsi, ma ben presto avevano cominciato a capirsi e a diventare complici: avevano dei caratteri opposti ma, per quanto male assortite, facevano una bella coppia.

 

Sara era una ragazza molto carina, e la cosa non passava inosservata; Elisa le voleva bene ma non poteva non provare un pizzico d’invidia per una persona tanto spigliata, intelligente, sicura di sé, che riusciva sempre a conquistare tutti.

 

Nemmeno lei era da buttare, ma non aveva fiducia in se stessa né sapeva mettere in risalto le se sue qualità che sembrava piuttosto voler tenere nascoste.

 

Aveva un carattere complesso.

 

Si sentiva brutta, inadatta a ogni situazione e non perdeva mai l’occasione di fare pessime figure; nel contempo, però, era orgogliosa e vanitosa: non si accettava ma pretendeva che gli altri l’apprezzassero.

 

Mentre camminavano per raggiungere l’aula, Elisa si chiedeva cosa i ragazzi pensassero di lei.

 

Aveva indossato il maglione nero con la scritta cinese e i jeans con la tasca laterale: prima di uscire aveva notato che il pullover le stava un po’ stretto e che i pantaloni non volevano abbottonarsi ma ora, mentre camminava, si sentiva carina, pensava che i suoi difetti potessero essere addirittura attraenti.

 

Pensava che Fabrizio, il ragazzo che le faceva perdere la testa, non avrebbe potuto non notare che era speciale, che anche altri sarebbero giunti alla stessa conclusione e che lui si sarebbe dovuto sbrigare se non avesse voluto perderla.

 

Stava per voltarsi e dire a Sara quanto le donasse il vestito che indossava, quando inciampò e cadde proprio davanti all’aula 43. Non poteva credere a quanto le era successo: come poteva essere così goffa e sfortunata?

 

Durante la lezione fece fatica a non piangere.

 

Le doleva il ginocchio, ma questo non era niente in confronto all’imbarazzo: avrebbe voluto uscire dall’aula e non tornare mai più, avrebbe voluto svegliarsi una mattina ed essere qualcun’altro.

 

Tratteneva a stento le lacrime. Si alzò di scatto e disse all'amica che doveva andare in bagno.

 

- Attenta a non inciampare! - replicò quella in modo sarcastico ma con voce dolce.  Elisa la odiò, la odiò per quelle parole, la odiò per le risate che esse avevano provocato ma soprattutto la odiò perché anche Fabrizio rideva e ciò voleva dire che aveva assistito alla scena.

 

Uscì dall’aula e una lacrima le rigò il viso; aveva una voglia terribile di piangere.

 

Aveva fatto appena due passi quando uscì l’assistente della professoressa, un ragazzo giovane di circa ventisei anni, di bel aspetto e dall’aria gentile, che la guardò con aria divertita.

 

Elisa si sentì davvero in imbarazzo, stava per scoppiare a piangere, ma riuscì a trattenersi: odiava mostrarsi debole davanti ad altre persone.

 

Lui notò che aveva gli occhi lucidi.

 

- Ti senti bene? - le chiese dolcemente.

 

- Sì. - rispose lei molto piano.

 

- Ho visto che ti sei alzata e mi sono preoccupato… - le disse con tono gentile. - Non ti sei fatta male? – aggiunse preoccupato guardando il ginocchio che la ragazza stava massaggiando.

 

- No! - replicò lei mortificata, senza riuscire a guardarlo in viso: non le piaceva essere derisa, ma essere compatita le faceva ancora più rabbia; il viso le scottava e pensò che dovesse essere rossa come un pomodoro.

 

- Mi scusi, devo andare. - balbettò, sentendo che non poteva fare a meno di scappare.

 

 

********

 

 

 

Vi avviso che aggiornerò ogni due settimane!

Per finire vorrei ringraziare SERINTAGE, la mia BETA! Sperando che se riuscirò a riprendere la fic, anche lei riprenderà il suo DURISSIMO lavoro!

 

 

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Capitolo 3
*** Chiusa nel bagno ***


Piccola premessa:

CHIUSA NEL BAGNO

 

 

 

Erano passati tre giorni da quando Elisa era scappata, e, nell’agitazione della fuga, non aveva trovato posto migliore da andare che la casa del suo ex.

 

Non sapeva perché fosse andata proprio là, ma ci si era ritrovata.

 

Quando arrivò lui non le fece nessuna domanda. Le aveva aperto la porta in boxer con in mano una tazzina di caffè. La guardò con aria stupita dritta negli occhi, senza badare a quello che indossava, come se fosse normale trovarsi davanti una ragazza vestita da sposa. Senza dire una parola si scansò dall’entrata, le porse la tazzina che aveva in mano, e le indicò il bagno.

 

Elisa entrò senza fiatare. Era contenta di non dover parlare, le lacrime le rigavano pigramente il viso, ma sapeva che se avesse aperto bocca sarebbe scoppiata a piangere per davvero.

 

Trovatasi nel bagno cominciò a sfilarsi il vestito. Non aveva il coraggio di guardarsi allo specchio, ma conosceva bene quel bagno. Sapeva che voltandosi si sarebbe ritrovata ancora una volta faccia a faccia con la sua immagine.

 

Non riuscì a resistere a lungo e si girò. Vide nuovamente la sua figura riflessa allo specchio, era identica a quella che aveva osservato poche ore prima nella sua stanza, ma ora che il vestito era sgualcito, leggermente sporco e il suo viso più stanco, l’immagine perfetta di poche ore prima lasciava intuire che tale perfezione era illusoria.

 

Fu allora che Elisa capì perché era fuggita. Quello doveva essere il giorno più felice della sua vita, una nuova vita che le si apriva davanti. Sarebbe stata perfetta! Un marito fantastico, attraente, bello, simpatico, protettivo. Avrebbe avuto una bella casa, presto sarebbero arrivati dei bambini e tutto sarebbe stato come doveva essere, come era comune dovesse succedere. Meraviglioso? Sì. Ma uguale a ciò che accadeva a tutti, in poche parole: normale.

 

Normale, nella norma, comune, regolare, erano tutti termini che lei sentiva non le appartenessero, per quanto tutto le appariva perfetto, era troppo comune per lei.

 

Sì, era stupido buttare tutto all’aria, ma Elisa aveva dei sogni, dei sogni non comuni, o forse lo erano, ma non era da tutti realizzarli. Quei sogni non escludevano certo una vita normale, ma la vita normale che le si era presentata davanti in quel momento escludeva i suoi sogni.

 

Fu così che guardandosi nuovamente allo specchio Elisa capì che l’immagine era sì perfetta, ma non per lei.

Dopo essersi spogliata entrò dentro la doccia. Sotto l’acqua sentì la voce di Paolo e quella di una donna. Comprese con orrore che lui non era solo, e si vergognò di quello che aveva fatto. Solo allora si rendeva conto di essersi precipitata a casa del suo ex. Lo stesso ragazzo che non era riuscito a ricevere la notizia del suo matrimonio, senza versare una lacrima.

 

Si ricordava ancora quel giorno.

 

 

********

 

 

 

Machi grazie del sostegno machi… ormai se non ci sei nelle mie fic mi manchi :D!!! Beh questa non l’ho proprio iniziata è già scritta ;o)… cercherò di aggiornare prima, vediamo!!!

Scusate se non ho rispettato le due settimane, ma del resto il sito era off-line. Probabilmente stavolta aggiornerò prima (o comunque appena possibile, visto che il capitolo è cortissimo)!

Per finire vorrei ringraziare SERINTAGE, la mia BETA! Sperando che se riuscirò a riprendere la fic, anche lei riprenderà il suo DURISSIMO lavoro!

 

 

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Capitolo 4
*** In libreria sotto la pioggia ***


Piccola premessa:

IN LIBRERIA SOTTO LA PIOGGIA

 

 

 

Sdraiata sul letto Elisa ascoltava la radio.

Era una giornata buia, non c’era il sole, e il vento soffiava feroce facendo muovere con vigore gli alberi.

Avvolta dai suoi pensieri, quel giorno tristi e un po’ confusi, la ragazza non aveva voglia di fare niente. Ad occhi chiusi cercava di concentrarsi per sentire il sibilo del vento, ma la radio le impediva di udirlo.

Tutto ciò che poteva sentire erano le parole della canzone che suonava il quel momento: “quando vedi che sei sola a sto mondo, quando il mondo che sta intorno va in buio, quando cadi ti rialzi com’è? quando piangi ti domandi il perché, quando crollano i tuoi sogni campione vai cercando un po’ di forza nel cuore, quando il mondo che volevi migliore ti sorrise con il suo ghigno peggiore. Noi gente che spera, cercando qualcosa di più infondo alla sera la sera la sera, noi gente che passa e che va cercando la felicità sopra sta terra sta terra sta terra…”.

A quel punto Elisa si alzò velocemente dal letto e spense la radio. C’era qualcosa in quella canzone che la faceva sentire strana. Le piaceva molto, ma la metteva quasi a disagio.

La giovane guardò l’orologio, e decise che era ora di prepararsi. Aprì la porta dell’armadio e cercò di ignorare le foto appese. Prese la maglia rosa e i jeans chiari a vita bassa. Si vestì, trucco e sistemò i capelli; prima di uscire si guardò allo specchio.

Com’era cambiata la sua immagine negli ultimi tempi, si ritrovò a pensare la ragazza. Aveva perso parecchi chili, riusciva a scegliere i vestiti in base a ciò che le stava bene e ciò che non era adatto a lei, ed era bravissima a truccarsi. Le piaceva ciò che osservava allo specchio. Una ragazza di 25 anni molto carina!

Eppure sentiva che le mancava qualcosa. Qualcosa che intuiva di aver avuto, qualcosa che le piaceva avere, qualcosa che le faceva apprezzare più l’immagine che lo specchio le restituiva non molto tempo prima. Anche se era quella di una ragazza un po’ robusta, con a volte un pessimo gusto nell’abbinare vestiti e colori.

Cercando di scacciare qualsiasi pensiero dalla mente, prese le chiavi della macchina e aprì la porta di casa. Osservò la collina, ma come se si fosse ricordata di qualcosa si costrinse a guardare da un’altra parte.

****

Elisa entrò nella libreria completamente zuppa. Aveva appena parcheggiato la macchina e fatto due passi, quando aveva cominciato a piovere. Aveva aperto l’ombrello, ma non ci era voluto molto perché questo si rompesse. Ormai a metà strada dalla libreria, aveva deciso di proseguire. 

Ancora arrabbiata con il mondo per la sua solita sfortuna, si diresse subito versò un commesso e senza perdere tempo chiese il libro che stava cercando. L’uomo controllò il computer e vide che ne avevano una copia, quindi le chiese di attendere e andò a prenderlo.

Elisa, nel frattempo, si diresse verso il reparto cinema e guardò qualche libro. L’impiegato tornò e si scusò, dicendole che un ragazzo aveva appena chiesto l’ultima copia rimasta.

- Non è possibile. - disse Elisa. - E’ la quinta libreria in cui vengo. – aggiunse irritata.

- Mi spiace signorina. - rispose il ragazzo sfoggiando un sorriso fastidioso. -Se fosse arrivata appena un minuto prima. – continuò.

La ragazza avrebbe voluto rispondere in malo modo per averle detto ‘se fosse arrivata prima, ma il commesso la precedette.

- Pensi, il ragazzo che ha acquistato il libro, lo sta pagando giusto ora! – le disse puntando il dito contro una delle casse.

- Come? - domandò Elisa. – Dove, quale? – gridò avvicinandosi alla cassa indicata dal commesso.

- Quello con il la giacca nera… ma… - rispose il ragazzo confuso.

La giovane si precipitò verso lo sportello dal tipo indicatoli, che in quel momento stava tirando fuori i soldi.

- La pregò non lo compri… lo lasci a me, questo libro è mio. - disse bloccandogli la mano.

- Come? - rispose il ragazzo con la giacca nera, voltandosi a guardare Elisa.

I loro occhi si incrociarono ed Elisa sentì un brivido percorrerle tutto il corpo. Sia lei che lui non si mossero e fu come se fossero trascorsi dei secoli da quando lei lo aveva preso per il polso a quando sentì la voce dell’impiegato dirle:

- Signorina lasci immediatamente il signore, è arrivato prima di lei, questo è un comportamento terribilmente villano. - disse il commesso prendendola per il braccio in modo molto scortese.

Elisa lasciò la mano del ragazzo, e abbassò lo sguardo mentre si teneva il polso, perché il commesso le aveva fatto male. Non disse nulla, si sentiva come una bambina che aveva fatto qualcosa di sbagliato, ma non aveva il coraggio di dirlo.

Il giovane, che veniva riempito di scuse dall’impiegato, non le staccava gli occhi di dosso. Pagò il libro, e sempre senza smettere di guardarla glielo porse, sotto gli occhi stupidi del commesso.

- Ma signore non deve. - s’intromise l’impiegato.

- No? E perché? Il libro è mio e ne faccio ciò che voglio. - rispose il ragazzo mentre continuava a tenere gli occhi fissi su Elisa. - Vieni, ma guardati, sembri un pulcino bagnato. Cos’è, sono troppo brutto o bello per essere guardato in faccia? – aggiunse sorridente sollevando con le mani il viso della ragazza.

- Paolo io… -  cercò di dire Elisa senza alzare lo sguardo.

- Dai andiamo fuori di qui a parlare, prima che sarò costretto a picchiare questo tipo per averti fatto male al braccio. - disse duramente Paolo mentre la guardava massaggiarsi il polso che il commesso le aveva stretto, forse con troppa energia.

- Paolo… - cercò di dire nuovamente Elisa con un filo di voce, ma Paolo le aveva già preso la mano e trascinata fuori dalla libreria.

- Immagino che tu non abbia l’ombrello da come sei conciata, e come sai di certo io non ce lo. - le disse una volta fuori dal negozio, si comportava come se non fosse mai successo niente.

- Paolo io fra …- cercò nuovamente di dire Elisa, ma fu interrotta da lui.

- Sei molto bella sai. – le disse sorridendole felice. Poi smise di guardarla, prese a osservare il libro e lo nascose nella giacca. - Tengo io il libro per ora, entriamo in un bar e aspettiamo che spiova; puoi venire da me ad asciugarti. – le propose lasciando la ragazza confusa, sembrava che per lui non fosse passato un anno da quando si erano lasciati.

Velocemente le afferrò nuovamente la mano, ed Elisa senti per la terza volta dei brividi percorrerle il corpo. Si sentiva incapace di reagire, e si lasciò trascinare.

Camminarono per un po’ e, dalla strada che facevano, Elisa capì che Paolo non si stava dirigendo verso un bar qualsiasi ma verso il “Posto delle fragole”, un pub in cui erano andati molte volte insieme.

Pioveva molto forte e le gocce le bagnavano il viso, si fermò di scatto, lui la guardò, le teneva ancora la mano, quando lei urlò:

- Paolo io fra tre mesi mi sposo. -

Paolo non poteva vedere le lacrime rigarle il viso mentre, ancora tenendole la mano, annunciava che si sarebbe sposata con un altro.

Anche Elisa non poteva vedere che Paolo aveva pianto dopo averle sentito dire quelle parole. Ma non poteva non capire di averlo fatto soffrire, visto che lui le aveva lasciato la mano ed era corso via senza dirle una parola.

 

 

********

 

 

 

Scusate se non ho rispettato le due settimane, ma sono un po’ incasinata. Scusate anche (per chi legge le altre due storie) se non aggiorno da secoli le mie storie, ma sono davvero un po’ in crisi :o)!!!

Come al solito vorrei ringraziare SERINTAGE, la mia BETA! Sperando che se riuscirò a riprendere la fic, anche lei riprenderà il suo DURISSIMO lavoro!

 

 

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Capitolo 5
*** Christian ***


Piccola premessa:

CHRISTIAN

 

 

 

Elisa, a cui mancavano ancora pochi esami per la laurea, era seduta sul banco, l’ultimo a destra dell’aula 43, da cui anni prima si era alzata, con le lacrime che le bruciavano gli occhi e il ginocchio che le doleva dopo essere caduta. 

La ragazza ricordava quel giorno con estrema nostalgia, era il giorno in cui aveva conosciuto Paolo.

Pensò, mentre il professore approfondiva l’argomento sull’abitudine dei bambini di infilarsi di tutto in bocca, che non vedeva Paolo da ormai quattro mesi, l’ultima volta che l’aveva incontrato, lui le aveva chiesto di non abbandonare tutto per un sogno, una sciocchezza, mentre lei stava piangendo, giurando che non l’avrebbe mai perdonato per aver definito i suoi sogni, un’illusione, non dopo tutte le notti passate insieme a fantasticare.

Scuotendosi dai suoi pensieri, Elisa si accorse che mancavano venti minuti all’una. Il professore parlava di quando il cane aveva morso suo figlio perché aveva mangiato dalla sua scodella, e non accennava a finire la lezione, così decise di alzarsi pensando al traffico che avrebbe trovato per la strada.

Arrivò nella chiesa con un forte ritardo, la maggior parte degli invitati erano già arrivati, e quindi ebbe delle difficoltà a sistemare le apparecchiature. Ma per quando la cerimonia ebbe inizio aveva già tutto pronto. Non riusciva a capire come sarebbe riuscita a scattare le foto, visto che le mani le tremavano, e anche le gambe non l’aiutavano affatto. Era la prima volta che Miguel, il suo capo, le permetteva di svolgere un lavoro da sola. Certo, ai clienti aveva detto che Elisa era una professionista, e che nonostante la giovane età aveva già portato a termine molti lavori. Ma una volta che gli sposi uscirono, la guardò severamente e le disse:

- Combina uno dei tuoi guai e non scatterai mai più una foto! - Poi tornò come se nulla fosse al suo lavoro, canticchiando un tango argentino.

La sposa si dirigeva lentamente verso lo sposo, che, trepidante e forse un po’ troppo teso, l’attendeva senza guardarla, ma dirigendo lo sguardo verso la porta della chiesa, pensando forse che fosse la sua ultima opportunità di fuga. Elisa si posizionò davanti allo sposo per scattare una foto della promessa sposa a braccetto con il padre, la vedeva davanti a sé, nel suo, forse un po’ troppo semplice, abito bianco, ma non riusciva a vederla attraverso l’obbiettivo della macchina fotografica. La sposa che aveva rallentato per la foto, la guardava con aria di rimprovero, cercando di capire perché ci stesse mettendo così tanto. Elisa cominciò a tremare, non riusciva a capire, vedeva soltanto delle immagini sfocate, di vari colori pastello, cominciò a tremare e a guardare la macchina terrorizzata, fino a quando non sentì una mano poggiarsi sui suoi fianchi, e una voce sensuale sussurrarle all’orecchio:

- Metti a fuoco, quello che vedi dovrebbe essere il bouquet della sposa. -

Elisa si sentì mancare.

“Ma certo…” pensò, poco prima aveva scattato alla sposa una foto mentre scendeva dalla macchina, era stata costretta a farlo da lontano, perché non era riuscita a farsi sentire dagli invitati mentre urlava:

- Permesso, fatemi passare, sono la fotografa. -

La cerimonia in chiesa era appena terminata, ed Elisa, assonnata, cercava di trasportare le attrezzature nella macchina e dirigersi al ristorante, dove i festeggiamenti sarebbero continuati fino a tardi. Passò tutto il pomeriggio a scattare foto di zii, cugini, nonni, nipoti, fratelli, madri, piatti, menu, torte e tutto ciò che la gente ritiene necessario fotografare nei matrimoni. Si sentiva davvero stanca, e ancora in imbarazzo per la difficoltà iniziale, inoltre il testimone della sposa, il ragazzo che l’aveva aiutata in chiesa, non smise di osservarla per tutto il tempo con aria divertita.

Quasi alla fine della serata, la maggior parte delle persone non voleva più essere fotografata, perché dopo un tale banchetto e le ore trascorse ad aggiornarsi su tutte le novità e i pettegolezzi su parenti di cui non ricordavano neanche l’esistenza, i vestiti non sembravano tanto perfetti come la mattina e le acconciature tanto sicure. Così Elisa poté finalmente fermarsi a riposare, uscì dal ristorante e si appoggiò alla ringhiera nel giardino, guardando il cielo attraverso le foglie di un albero, e presa la macchina fotografica scattò delle foto agli ultimi raggi del sole che filtravano attraverso il fogliame.

- Almeno ci sarà una bella foto da mettere nell’album - disse la voce sensuale che la mattina l’aveva colta di sorpresa e salvato il lavoro.

- Posso assicurarle che nonostante la svista di questa mattina, gli sposi non potranno lamentarsi delle foto.- rispose offesa, ma con gentilezza Elisa.

- Scusami, non dubitavo certo del tuo lavoro, è solo che c’è molta poca arte nelle foto di un matrimonio, e questo lo pensi anche tu, visto che appena hai avuto un attimo di tregua sei venuta a scattare una foto “poetica”. – si spiegò l’uomo camminando verso di lei. - Infondo tutti nel guardare l’album di un matrimonio vanno subito a cercare se stessi, per vedere se quel giorno erano belli ed eleganti come ricordavano, fregandosene delle altre foto. – aggiunse divertito.

- Non sono affatto d’accordo signore, credo… - cercò di rispondere Elisa, ma fu interrotta dal giovane.

- Sì… certo, ne sono convinto. – replicò lui poco convinto. - Dammi del tu comunque, e non assecondarmi, non sono io che pago il tuo conto. - disse interrompendo la ragazza e guardandola con aria di sfida.

- Elisa, faccia una foto - urlò una voce, alle spalle dei due ragazzi.

- No, io… perché, cosa c’entro? Grazie ma non è il caso. – replicò la giovane confusa.

Il giovane che le stava accanto cominciò a ridere senza ritegno, e l’uomo, che aveva chiesto una foto a Elisa, disse con aria sorpresa e scocciata:

- Ma cosa dice, come non c’entra niente lei? E’ o no la fotografa? Venga a scattare una foto allora. -

Elisa rimase pietrificata nel capire perché il ragazzo accanto a lei rideva, e cercando di non inciampare, si diresse verso la porta del ristorante scusandosi con l’uomo che era venuto a chiamarla. Mentre si allontanava il ragazzo la trattene prendendole la mano, e le disse:

- Sei un vero spasso sai? Comunque io sono Christian… piacere. -

Elisa non ebbe il coraggio di stringere la mano che il ragazzo le porgeva, si sentiva terribilmente umiliata. Voleva come sempre piangere e scappare via. Ma guardando quel ragazzo dagli intensi e maliziosi occhi neri e con un fisico davvero niente male, porgerle la mano e guardarla, mentre le sorrideva in modo contagioso, con aria di sfida, non poté fare a meno di sorridergli a sua volta. Per poi guardarlo anche lei con la stessa aria di sfida e allontanarsi senza stringergli la mano.

 

 

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Scusate se non ho rispettato le due settimane, ma sono un po’ incasinata. Scusate anche (per chi legge le altre due storie) se non aggiorno da secoli le mie storie, ma sono davvero un po’ in crisi :o)!!!

Come al solito vorrei ringraziare SERINTAGE, la mia BETA! Sperando che se riuscirò a riprendere la fic, anche lei riprenderà il suo DURISSIMO lavoro!

 

 

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Capitolo 6
*** Rose bianche... rose rosse ***


Piccola premessa:

ROSE BIANCHE… ROSE ROSSE

 

 

 

A poco più di un anno dall’episodio dell’aula 43, Elisa già frequentava da tre mesi Paolo. Preciso in ogni cosa che faceva, simpatico, dolce, romantico e intelligente, per lei, lui era sinonimo di perfezione. Era il fidato assistente della temibile professoressa di Psicologia Visiva, ma la ragazza sapeva che lavorava, come cameraman, per noti registi di videoclip.

Capelli castani, occhi verdi, era sempre vestito in modo imbeccabile, puntuale e preparato; accanto a lui, Elisa si sentiva una bambina, sempre pronta a combinare guai, e ancora non riusciva a capire come l’assistente più bello di tutto il suo corso di laurea si fosse invaghito proprio di lei, così goffa, ritardataria e imprecisa.

Comunque fossero andate le cose, Elisa era davvero innamorata di lui, che con un sorriso affettuoso cercava di non badare a tutti i guai, gravi o meno, che la ragazza combinava, e con lo stesso dolce sorriso ma di rimprovero, cercava di aiutarla a studiare per gli esami. Spesso passavano notti intere a parlare di Freud e Nietzsche, e ad Elisa piaceva starlo a sentire mentre si esaltava nel cercarle di spiegare l’esatto significato del super io, oppure mentre cercava di interpretare la psicologia di alcuni fotografi nelle loro opere.

Accanto al letto un piccolo vaso con dentro una rosa bianca. Rosa, che il ragazzo le aveva regalato la mattina, come faceva ogni giorno ormai da due mesi. Stretta tra le braccia di Paolo, Elisa spesso desiderava non doversi mai più muovere da là; sentiva i loro cuori battere, mai all'unisono, e comporre una di quelle vecchie melodie che una volta ascoltata non si dimenticano più, e all’improvviso tornano di prepotenza ad occupare i tuoi pensieri, costringendo la tua mente a ricordare qualcosa che credevi dimenticato.

Elisa guardava la rosa bianca che anche quel giorno il ragazzo le aveva regalato, immersa nell’acqua contenuta in un grazioso bicchiere decorato con piccole fragole rosse, aveva i petali bianchi ed era appena sbocciata, ma già pronta ad appassire. Mentre il ragazzo cercava di spiegarle il libro che lei avrebbe dovuto studiare per il prossimo esame, Elisa si alzò dal letto e senza dire una parola uscì dalla stanza, prese le chiavi di casa e scese correndo le scale della palazzina in cui abitava Paolo. Uscita in strada, guardò il cielo, dalla casa del ragazzo non riusciva a vedere i monti che era abituata a fissare fuori da casa sua, ma cercando di capire da quale parte fossero, scrutò il cielo da quella parte. Il sole era calato da poco e il cielo era celeste, ma coperto da piccole nuvolette bianche, disperse qua e là. Attraversò la strada, quasi senza guardare, e si diresse verso il fioraio dove Paolo era solito acquistare le rose bianche e ne chiese una rossa.

Rientrò in casa del ragazzo stringendo fra le mani una singola rosa rossa; aveva i capelli scompigliati e il respiro affannato a causa della corsa per le scale, il viso era rosso come la rosa che teneva tra le mani mentre la porgeva al ragazzo. I grandi occhi nocciola fissavano il pavimento nel disperato tentativo di non incrociare quelli di Paolo, che la guardava con aria sorpresa ma consapevole della situazione. Così come l’avrebbe guardata tre anni dopo, ritrovandosela vestita da sposa davanti a quella stessa porta, anche se quella volta l’avrebbe solo lasciata entrare, e non presa tra le sue braccia e condotta sul suo letto.

 

 

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Scusate se non ho rispettato le due settimane, ma sono un po’ incasinata. Scusate anche (per chi legge le altre due storie) se non aggiorno da secoli le mie storie, ma sono davvero un po’ in crisi :o)!!!

Come al solito vorrei ringraziare SERINTAGE, la mia BETA! Sperando che se riuscirò a riprendere la fic, anche lei riprenderà il suo DURISSIMO lavoro!

 

Maki non preoccuparti per il ritardo… l’importante è che ti piaccia! Sì Christian è un tipo niente male, vedrai fra qualche capitolo… c’è un pezzo in cui mi fa impazzire ;o)!!! Grazie per recensire sempre le mie storie!!!

 

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Capitolo 7
*** Vuoi sposarmi? ***


VUOI SPOSARMI

VUOI SPOSARMI

 

Il cellulare non voleva saperne di resistere neanche per quei due secondi necessari ad Elisa per chiamare Christian e dire al ragazzo che avrebbe fatto tardi. Non poteva pensarci, aveva già dieci minuti di ritardo, e ce ne sarebbero voluti altrettanti per arrivare. Continuava a sentire la voce autoritaria e ironica di lui chiederle di non ritardare come al suo solito. Non sopportava che Christian si raccomandasse qualcosa, o desse per scontato che lei avrebbe combinato una delle sue, perché ecco che effettivamente Elisa sbagliava qualcosa e dava a lui l’opportunità di continuare a prenderla in giro.

Arrivata nel luogo da lui indicato, Elisa scese dalla macchina e cominciò a correre per recuperare qualche istante, ma dopo pochi passi fu costretta a tornare indietro a cambiarsi le scarpe, in quanto aveva indossato delle scarpe da ginnastica per guidare, che poco s’intonavano con l’abito da sera che portava. Inginocchiata sulla poltrona, cercava furiosamente le splendide scarpe nere che s’intonavano perfettamente alla borsetta nuova e al suo elegante vestito, sforzandosi di ricordarsi dove le aveva mai potute mettere e scacciando la sua immagine che esce in fretta di casa con nulla in mano al di fuori della piccola borsetta e le chiavi della macchina.

"Non posso presentarmi così" pensò tra sé e sé ormai arresasi all’idea di aver dimenticato le scarpe a casa.

"E di tornare a casa non se ne parla, non prima di essere riuscita ad avvisare Christian almeno", continuava a pensare cercando di non scoppiare in lacrime al pensiero di quanto poteva essere sciocca e sbadata.

Si diresse scoraggiata verso la porta del locale in cui il ragazzo l’aspettava, aveva deciso di avvicinarsi e di chiedere a qualche cameriere di andare a cercare Christian e di farlo uscire, ma una volta davanti al locale, appena chiese del fidanzato, un uomo sulla quarantina l’avvicinò con aria molto cortese e la invitò ad entrare.

- No aspetti, volevo chiederle di chiamare Christian, il signor XX - cercò di spiegare, mentre si guardava intorno controllando che nessuno le fissasse i piedi.

- Lei è la signorina xx? - le chiese l’uomo che sembrava non ascoltarla.

- Sì, sono io e ora mi può chiamare il signor XX per favore? - rispose sorpresa Elisa, stupendosi di essere così attesa, e spaventandosi al pensiero che la notizia che sarebbe dovuta andare via avrebbe deluso molto il ragazzo che l’attendeva con ansia, insieme a personaggi molto importanti per lui.

- Ho ricevuto ordini precisi di farla entrare appena fosse arrivata - le disse l’uomo trascinandola con cortesia, ma con aria minacciosa sempre più all’interno del locale.

- Ma lei non capisce, aspetti non posso entrare, io ho… - cercava di spiegargli Elisa, quando si accorse che due giovani cameriere la fissavano da testa ai piedi ridendo.

- …mi porti dal signor XX, per favore - concluse Elisa non volendo dare la soddisfazione alle due cameriere che ridevano di lei e delle sue scarpe, e cercando di assumere l’aria di chi non ha niente che non vada.

La stanza in cui l’uomo la condusse era completamente deserta e buia, Elisa si voltò per dire all’uomo che c’era una errore, ma di lui non c’era più traccia. Sola nella stanza buia la ragazza rimase per un attimo immobile cercando di capire cosa stesse accadendo, trattenne il fiato per un attimo, ricordando lo strano comportamento del fidanzato negli ultimi giorni e le strane risatine della madre che s’interrompevano non appena lei entrava nella stanza.

All’improvviso la sala buia s’illuminò di una luce fiocca, e mentre dal pavimento usciva del fumo dall’odore di talco, dal tetto scendevano palloncini di tutti i colori, e davanti a lei, nonostante il fumo intenso, Elisa scorse la figura di Christian. Alto, fisico atletico, sembrava quasi un Dio greco, o comunque qualche figura mitologica di cui la giovane non ricordava mai il nome.

Mentre il fumo si dilatava e i palloncini finivano di cadere, una musica nota alla giovane cominciò a suonare ed invadere ogni angolo della stanza in cui si trovava; presa tra le braccia di Christian si lasciò trascinare in un ballo che percorreva la stanza ricoperta da palloncini colorati e striscioni con la scritta "VUOI SPOSARMI?".

Con le lacrime che le rigavano il viso dopo alcuni lenti volteggi Elisa si fermò con le gambe tremanti e mentre guardava emozionata negli occhi il giovane che aveva davanti, con un filo di voce chiese:

- Perché? -

Christian la guardò con i suoi occhi neri penetranti e con la sua solita aria ironica e sfacciata, e rispose guardandola con un sorriso beffardo ma dolce:

- Perché neanche cercandola in ogni angolo del globo potrei trovare una ragazza tanto imbranata da presentarsi ad una delle richieste di matrimonio più romantiche degli ultimi tempi, vestita con una grazioso abito da sera ma indossando delle ridicole scarpe da ginnastica logore. –

La ragazza, che si era dimenticata delle scarpe che portava ai piedi, si portò la mano alla bocca e rimase imbambolata a guardarsi i piedi.

- Perché ti amo sciocca! - le disse togliendole le mani dalla bocca con una mano, sollevandole il viso con l’altra e tirando fuori dalla tasca una piccola scatolina nera.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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