Frammenti

di Akane
(/viewuser.php?uid=27)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Perfetto ***
Capitolo 2: *** ribelle ***
Capitolo 3: *** ragazzo non piangere ***
Capitolo 4: *** forse domani ***
Capitolo 5: *** re del silenzio ***
Capitolo 6: *** un senso ***
Capitolo 7: *** soggetti smarriti ***
Capitolo 8: *** Che ironia! ***
Capitolo 9: *** gelido ***
Capitolo 10: *** Conto finale alla rovescia ***
Capitolo 11: *** Schiavi della sopravvivenza ***
Capitolo 12: *** Lontani ***
Capitolo 13: *** Le cose che non dici ***
Capitolo 14: *** La vera grandezza ***
Capitolo 15: *** Ti va di ballare? ***
Capitolo 16: *** Luoghi d'appartenenza ***
Capitolo 17: *** Frammenti di perfezione ***



Capitolo 1
*** Perfetto ***


AUTORE: Akane
SERIE: Original
GENERE: generale, romantico, un po' drammatico 
TIPO: etero e accenno di yaoi
RATING: giallo/PG13
AMBIENTAZIONE: un principato più o meno grande, luogo non specificato, ai giorni nostri
NOTE: la presente fic (che sto correggendo) è un po' ispirata ad alcune situazioni del regno inglese. Per la precisione ci sono scene e atti accaduti che tutti conoscono come spunto così come alcuni personaggi. Da qui ho ricamato, aggiunto, modificato, cambiato a mio piacere per ricavare questa storia. Quindi ci potrete trovare facilmente somiglianze con situazioni vere, ma è solo uno spunto, poiché poi io parto per la tangente! Vi auguro buona lettura. Baci Akane

FRAMMENTI

“Nobiltà d'animo è rispetto della vita, eleganza dello sguardo, sentirsi alla pari del più piccolo di tutti, mostrare l'anima senza farsi male. Raramente queste qualità corrispondono ad un nobile anche di nome. Ne nascono forse uno ogni 50 anni. Lì era successo. Un principe di nome e di fatto.”

PROLOGO:
VERO AMORE

‘Si amavano come forse nessuno sarebbe stato capace.’

Un unione non molto pulita.
Lei non era di sangue blu ma guardandola pareva proprio fosse una vera principessa. Lo si capiva subito dalla bellezza ineguagliabile, dal portamento distinto, dalla fierezza dello sguardo. Non aveva origini nobili, era una donna come altre. Alicia.
Lui era di razza, un purosangue. Figlio di una regina. Era il principe di una monarchia non famosa, non grande, semplice ma tenuta molto in considerazione. Lui non era il classico principe azzurro, anzi. Era brutto, insicuro, pieno di complessi con un educazione da manichino inculcata fin dalla nascita. Non era affatto un principe, la nobiltà la possedeva solo nel nome. Alberth.
Ma quando lui la conobbe non potè fare a meno di innamorarsene perdutamente, amandola fino allo spasmo, puntandosi per averla. Lei cedette a quel sentimento che pareva sincero e puro, lottarono fino allo stremo delle forze affinché venissero accettati dalla regina.
Inizialmente non erano andati d’accordo nemmeno loro, lui era un principe viziato che andava a corteggiare tutte le belle donne approfittando del suo rango, ma poi aveva imparato ad amarlo.
Non era una persona a cui importava qualcosa di impadronirsi del titolo reale, non lo era mai stato, per cui se si fidanzò con uno come lui fu solo per amore.
Sincero ed incontaminato.
La regina però non l'accettò mai, non aveva una provenienza aristocratica.
Quando si sposarono dimostrarono di essere all'altezza. Sembrò che il principe si fosse deciso a diventare qualcuno degno del nome che gli apparteneva, influenzato positivamente da lei.
Era una principessa esemplare come mai forse era ancora stata nessuna. Non aveva mai dimenticato la sua vita passata e faceva quel che poteva per aiutare quelli che prima erano gente come lei.
Fu così che nacque il primo erede, William Philip Louis Wilford e a distanza di due anni arrivò il secondo, Andrew Alexander Joseph Wilford.
Si amavano come forse nessuno sarebbe stato capace.


CAPITOLO I:
PERFETTO

'Era una vita meravigliosamente giusta e perfetta. Come un vetro di cristallo puro che non si incrina mai. Ma un cristallo può nascondere una doppiezza insostenibile se si trasforma in specchio.'

Quel giorno la lezione era finita. Una lezione che probabilmente aveva ascoltato sinceramente interessato solo lui.
Ripose i libri scolastici al loro posto e senza notare tutti gli sguardi sognanti che gli lanciavano, uscì dall'edificio. Seppur fosse una scuola privata riservata a gente di un certo rango, non erano abituati a vederlo lì. Normalmente a persone come lui si riservava un educazione speciale, con insegnanti appositi a casa, non li facevano stare in un edificio dove v’era un certo numero di individui curiosi di natura verso il prossimo, la cui attività preferita era vedere chi fra tutti era quello più bello, ricco e importante. Ma avevano insistito sia loro che la madre per fare come quasi la maggior parte, per cui non rimpiangeva la scelta di abbandonare le lezioni private.
In fondo, in quel modo, poteva provare a socializzare... si era detto questo all'inizio, tuttavia a volte si chiedeva che senso avesse. Tutti lo guardavano come se fosse un Dio, molti lo invidiavano al punto di parlare male di lui e trattarlo male, altri cercavano di essergli utili in tutti i modi ingraziandoselo. A lui semplicemente infastidivano quegli atteggiamenti per cui non calcolava mai nessuno risultando molto snob; tuttavia, a onor del vero, era così che si era fatto l'unico sincero amico.
Del resto che poteva pretendere? Un Principe ai giorni moderni che tenta una vita simil normale non passava inosservato.
Si differenziava pur cercando di mascherarsi e anche se non serviva rivelare il suo cognome e il suo titolo, trapelava la sua essenza da ogni poro.
Da come camminava elegantemente aggraziato, dallo sguardo espressivo e fiero, la piega sicura della bocca ben disegnata, gli occhi azzurri attenti e misteriosi, i lineamenti puramente aristocratici, i capelli biondi ordinatamente sistemati sul capo in modo da non cadergli sul volto e sulla fronte. Erano leggermente mossi e li domava senza l'ombra di qualche intruglio assurdo. Le mani sempre lungo i fianchi morbide e abbandonate senza in nessuna posa specifica che desse chissà quale comunicazione agli altri.
Tutto di lui rivelava la sua identità, non lo faceva apposta, era un dono di natura quell'apparenza così principesca. Non vestiva come un manichino, certamente tutto di marca ma anche uno straccio gli sarebbe apparso come un dono della regina. Semplici jeans che gli fasciavano le gambe lunghe, né troppo stretti né troppo larghi, il torace non esageratamente atletico per un quindicenne era nascosto da una maglia nera morbida che lo avvolgeva invidiabile.
Supremo.
Così veniva definito dalle fan.
Cresceva bene fisicamente parlando e le poche volte in cui sorrideva era contagioso, faceva inebetire chiunque. In quanto al carattere: supremo anch'esso.
Il classico principe, introverso, distinto, elegante, sapeva stare al suo posto, non osava più di quello che sapeva poter fare, non trattava male nessuno ma era educato e sornione. Il tipico sguardo importante e suggestivo. Sicuro di sé.
Lui aveva una luce dentro che fuoriusciva nei suoi gesti e nelle sue parole di giovane.
Forse era intelligenza, forse era rispetto per chi era sotto di lui, forse era solo un dono di natura, un dono che non aveva ancora nome ma certamente negli anni l'avrebbe posseduto.
Percorrendo il cortile incontrò l'unico suo vero amico che l'aveva convinto a continuare quella scuola, Drew. Lo salutò cordiale senza quei gesti esagerati che si scambiavano i ragazzi di quell'età.
- Ciao Will, come va? -
I due continuarono ad avanzare lentamente ma allo stesso tempo sostenuti, la voce calda ed educata del principe rispose senza scomporsi o fare espressioni particolari:
- Bene, grazie. Tu? -
Ricevette un sorriso amichevole, anche Drew era nobile e per di più lontanamente imparentato col biondo; si erano incontrati per la prima volta all’inizio delle superiori, quando avevano iniziato insieme, per puro caso, quella scuola. Era stato lì che avevano scoperto di essere cugini di un grado piuttosto lontano, così avevano iniziato a frequentarsi ritenendosi l’un l’altro la persona migliore presente in quell’istituto pieno di gente insopportabile.
- Come al solito... -
Il moro dai capelli ondulati ordinatamente pettinati, gli lanciò il solito sguardo laterale per osservare i suoi atteggiamenti giornalieri, in quello spiccarono molto il colore azzurro chiaro dei suoi occhi: non c'era dubbio, anche quel giorno il suo amico era il principe di sempre!
Poi, seguendo un suo pensiero, sentenziò:
- Te lo dico sempre. Io ti sostengo e ti ammiro, ma sei troppo maturo. Anche se sei un principe sei comunque un quindicenne. Comportati come tale! -
La freddezza e compostezza di William non si turbò, non una smorfia, non un cambiamento, la pelle chiara e levigata rimase liscia, il volto diplomaticamente sicuro e lontano.
Ecco il punto. Lui era lontano, sempre via, completamente in un altro mondo rispetto a tutta la gente che lo circondava e che cercava di essere al suo pari o avere rapporti con lui. Li distanziava nettamente e non si capiva se per sua volontà o inconsciamente.
Ad ogni modo risultava sempre perfetto e probabilmente questo era il suo più grande difetto.
William era perfetto in tutto: studio, sport, passatempi, vita sociale, comportamento...
Era irraggiungibile e non riusciva a provare gli stessi interessi degli altri coetanei. Veniva accusato di snobbismo ma non era così. Semplicemente era migliore rispetto agli altri, ne era semi consapevole e non vedeva motivo nell'affannarsi per apparire come gli altri anche se non lo era mai stato.
Si sentiva diverso e ancora a quell'età uno se lo chiede: che fare? Perché?
Ma poi non si trovano altri comportamenti adottabili per cui si continua così come si ha sempre fatto, come viene spontaneo. Lui aveva già trovato un suo equilibrio interiore e non si sarebbe piegato o abbassato.
Quelli, senza rendersene conto, erano semplicemente i primi passi per diventare quello che sarebbe diventato.
Per capirlo bisognava saper leggere negli animi indecifrabili come il suo e pochi, molto pochi ci riuscivano.
Abbastanza il suo amico Drew, in parte suo fratello Andrew e totalmente sua madre.
Lui era identico a lei e crescendo lo si vedeva chiaramente. Era il suo ritratto e a lui bastava ricevere il suo amore.
Si sentiva bene nella vita che conduceva, assurdamente bene, e non per vanità, senso di arrivismo o perché viziato, non lo era affatto. Lui era così.
Aveva sangue nobile nelle vene e un tipo del genere avrebbe riservato molte, ma molte sorprese.
Arrivarono fuori dal cancello dove si trovava parcheggiata la limousine nera della sua famiglia, lo stemma reale vigilava alla somma dell'auto. Accostato ad essa c’era l'autista, il solito che veniva a prenderli.
- Sua maestà principe William... buongiorno. -
Il ragazzo si fermò a qualche metro, eretto e senza assumere pose particolari.
Leggermente severo rispose:
- Quante volte te lo devo dire? Sono William e basta... -
Sapeva che non ci sarebbe stato verso di fargli cambiare idea.
- Drew, ci vediamo... -
Così si rassegnò e scotendo la testa salutò l'amico che ricambiò ridendo per poi andarsene.
Rimasti soli, il principe e l’autista, quest’ultimo chiese educatamente:
- Sua maestà il principe Andrew? -
Fu qui che William alla testa scossa aggiunse un impercettibile movimento con le labbra stringendole contrariato. Lo sapeva, l'aveva fatto di nuovo!
Non era essere principe che gli interessava, bensì essere lasciato in pace … pura utopia!



Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** ribelle ***


CAPITOLO II:
RIBELLE

' Non sempre si nasce dove e come si vuole con la missione desiderata. Spesso accade il contrario della propria volontà. Ma nascere nobili quando in realtà si vorrebbe essere solo gente comune è veramente duro.'

Fu la campanella a svegliarlo, fosse stato per lui avrebbe continuato a dormire sul terrazzo ancora per un oretta. Tuttavia, doveva farsi forza e alzarsi: il manichino lo aspettava all’auto funebre e sicuramente suo fratello era seccato dell'attesa.
Lui si trovava bene in quel posto, una scuola frequentata da altri ragazzi era sicuramente meglio dello stare rinchiuso in casa a sorbirsi lezioni private. Certo, era solo per nobili e cervelloni ma non si poteva avere tutto dalla vita!
William la detestava, non si trovava bene.
“ Quello è solo troppo snob!”  Pensò il ragazzo alzandosi e stiracchiandosi: “ Dice di no ma secondo me lo è eccome! “
Prima o poi sarebbe riuscito a frequentare una scuola pubblica qualunque, essere uno senza titolo o importanza era una cosa che desiderava da molto, si chiedeva come dovesse essere una vita normale. Invidiava coloro che non avevano titolo e potevano fare quel che volevano, girare per strada senza essere riconosciuti o aver bisogno della scorta, andare e venire come e dove voleva …
Era un sogno per lui, che difficilmente si sarebbe realizzato. Magari raggiungendo la maggiore età avrebbe potuto rinunciare al titolo di principe, tanto era il secondogenito, che importanza aveva?
Sbuffò guardando l’uscita.
- Che stress... -
Nonostante fosse un ribelle era pur sempre cresciuto con l'educazione di un principe, più di così non riusciva ad imprecare: il suo linguaggio era quello di uno del suo rango.
Si grattò il capo dai radi capelli rossi, una volta in piedi non si curò dell'abbigliamento stropicciato e leggermente sporco di polvere così alzando le spalle prese la valigetta che aveva come cartella, infine con noncuranza uscì scendendo le scale.
Si incrociò con ragazzi che lo fissarono un po' straniti, altri contrariati; pochi lì dentro lo accettavano ma si divertiva a giocare a fare il qualunquista. Del resto non gli importava nulla dei giudizi pubblici, altrimenti non avrebbe mai fatto la parte del principe ribelle!
Attraversò il giardino vasto giungendo all'auto ove l'attendevano il fratello e l'autista.
Lanciò una breve occhiata al giovane, nonostante fossero consanguinei non si somigliavano nemmeno un po’.
Lui era il classico principe che in ogni fiaba ci si immaginava: quei principi dei bei tempi andati, tipo quelli inglesi o francesi. Alto, biondo, carnagione chiara, occhi azzurri, lineamenti regolari e bellezza angelica. Non aveva un imperfezione.
Lo invidiava un po', ma poi a ripensarci attentamente era meglio non essere nulla di speciale, così le ammiratrici non c'erano e nelle occasioni pubbliche e ufficiali nessuno si aspettava nulla, non era mai sotto pressione.
Odiava le aspettative tipiche di quel mondo che tanto detestava, invece pareva che suo fratello, natoci in mezzo come lui, si trovasse pienamente a suo agio.
William assomigliava tutto alla madre, bella e regale, mentre lui era tutto il padre, per nulla affascinante o interessante. Ognuno i suoi pregi, questo gli avevano sempre detto: cercava ancora di capire quali avesse lui, visto che sembrava che li avesse presi tutti il bel biondo primogenito.
Il futuro re tanto osannato da tutti, preferito dalla regina madre e adorato dalla madre, la principessa.
Alzò nuovamente le spalle. A lui non importava nulla di quelle cose, avere lati positivi o negativi era una cosa da narcisisti, proprio non da lui.
- Ehilà! -
Ricevette solo uno sguardo di disapprovazione dal fratello che non lo salutò subito.
- Sua maestà il principe Andrew...-
Una smorfia nel volto dai lineamenti semplici del rosso tredicenne, gli occhi verdi si distolsero dai due personaggi in piedi davanti a lui per vagare sul cielo limpido e soleggiato.
Proprio insopportabile, come vita.
- Ciao... -
Rispose il fratello salendo subito sulla grande auto scura, dopo un brevissimo attimo di contemplazione in cui il rosso comprese che sarebbe stata una bella giornata, entrò anch’egli seguendo il biondo.
Non era la vita che voleva, non gli piaceva nulla, né sé stesso, né chi lo circondava, né ciò che si prospettava per il suo futuro, eppure pareva essere incapace di ribellarsi apertamente. Lui era tutto fumo e niente arrosto, alla fine non avrebbe mai avuto il coraggio di scappare da lì.
Fu con queste ennesime considerazioni che partirono verso il palazzo reale, una specie di castello moderno con tutti i comfort reso tale dopo l’ultima ristrutturazione della vecchissima costruzione che si tramandava nella loro famiglia nobile di generazione in generazione.
Durante il percorso non dissero nulla; i due non si poteva dire avessero un brutto rapporto o di indifferenza totale, anzi, si capivano e si confidavano nel bisogno ma era il carattere di William a rendere molti momenti così silenziosi e importanti. Ovunque lui fosse tutto acquistava un grande valore.
Lo ammirava, dentro di sé. Era perfetto e lo era veramente anche se doveva togliersi l'idea di snob che dava, non lo era ma lo sapeva solo lui perché lo conosceva.
Entrarono insieme in ‘casa’, un posto veramente enorme con tanti piani e stanze per non parlare dei saloni, degli uffici e dei passaggi segreti… un luogo in cui ci si poteva certamente perdere facilmente. William ed Andrew, attraversando l’ampio ingresso e superando la servitù giunta a salutarli e a consegnare le scarpe da casa prendendo quelle da esterno, salirono le scale dirigendosi al secondo piano per poi raggiungere la stanza in fondo al lungo corridoio. Era una consuetudine andare dalla loro madre a salutarla prima di andare nelle rispettive stanze a cambiarsi e rilassarsi; un’altra consuetudine era, invece, ignorare il padre…
Bussarono senza farsi annunciare dalla donna in divisa posta fuori dalla porta pronta per essere sempre a disposizione della Principessa Alicia. Quando la voce composta e cristallina arrivò loro, varcarono la soglia con un gran sorriso sincero, qualcosa che illuminò talmente i loro volti da renderli quasi irriconoscibili.
Una panoramica parziale della camera arredata in stile classico con quadri di impressionisti e toni delicati e sfumati, li accolse come accadeva a chiunque entrasse in quella camera che rispecchiava l'animo dell'abitante di quelle mura.
- Buongiorno, cari. Come è andata? -
La donna era seduta su una poltrona accanto alla finestra con un libro in mano, era il momento della pausa antecedente al pranzo che si sarebbe consumato a breve tutti insieme.
Alicia, la loro madre, era piccola e minuta, lineamenti dolci già visti in William, occhi azzurri, capelli biondi leggermente ondulati che le ricadevano morbidi sulle spalle, naturale e bellissima. Senza bisogno di trucchi o gioielli per essere splendida com’era.
Eppure, nonostante tutto, specie da quell’angolazione particolare dove la luce soffusa proveniente dalla finestra l’illuminava di sbieco, si poteva intravedere la sciupatezza.
I volti dei figli, e in special modo quello del più grande, si incupirono impercettibilmente constatando che qualcosa in lei ultimamente continuava sempre più a non andare.
Era strano.
Era sempre stata felice, aveva dato loro tutto quello che potevano desiderare, li aveva amati, era una madre sincera, una donna grandiosa e una principessa degna di quel nome, eppure ultimamente quella luce che splendeva agli inizi non c'era più.
- Bene... -
William si avvicinò composto con il suo passo e i suoi modi distinti ed eleganti, si chinò su di lei e le posò dolcemente un bacio sulla fronte. Solo con lei si lasciava leggermente andare.
Erano belli da vedere. Avevano un rapporto speciale, veramente speciale e rendendosi conto della bellezza che avevano quei momenti, Andrew si sentì a disagio mordicchiandosi involontariamente il labbro inferiore. Era un rito, lo faceva anche lui eppure la consapevolezza di non essere come William, di non fare lo stesso effetto ad un ipotetico spettatore che guardava prima lei e Will e poi lei con lui, lo irritava e lo mortificava al contempo.
“Perché cavolo è solo Will che somiglia a lei? Perché invece io devo assomigliare a quell’uomo?”
Questo tormento avveniva in special modo quando vedeva il fratello maggiore insieme alla loro adorata madre.
Silenzioso, tuttavia, assistette a quella magnifica scena sperando di poter un giorno essere alla stessa altezza, infine quando i due si separarono, il rossino si fece avanti incerto facendo la medesima cosa.
Quel che provò nel farlo, nonostante si ritenesse più simile ad un rospo più che ad un principe, fu come quella famosa fiaba in cui quel nauseabondo rettile venendo baciato dalla bella principessa si trasformava di nuovo in un nobile essere umano. Un essere stupendo tanto quanto la bella fanciulla.
Ogni giorno era sempre così, ecco perché pur un attimo prima provasse del profondo imbarazzo innanzi a quel confronto impossibile da vincere, il secondo dopo faceva ugualmente la stessa cosa.
Non avrebbe mai vinto nessun confronto, di nessun tipo, con William… però quella sensazione che provava baciando la madre era così unica che mai, per nessun motivo al mondo, ci avrebbe rinunciato.
- Come sono i preparativi? -
Chiese il maggiore il momento successivo per aggiornarsi vicendevolmente sulla mezza giornata passati separati.
- Bene. Domani mattina parto per Parigi, ho affari da sbrigare là e poi ne approfitterò per farmi una breve vacanza da sola... -
- Ti farà bene. -
Non si davano del ‘voi’ e non avevano un tono formale, anzi... era proprio il rapporto più semplice che esisteva sulla faccia della terra. Madre e figlio.
Rimase fuori da esso Andrew che come al solito si sentiva di troppo. Si mise, al contrario, a ripensare a quella lontana sensazione che aveva pervaso entrambi quando pochi giorni prima avevano ricevuto la notizia sulla partenza della madre.
Disagio.
Come qualcosa che non andava.
Ma la razionalità del biondo aveva prevalso su sé stesso e su di lui, non poteva essere nulla. Le guardie del corpo l'avrebbero accompagnata sempre e non ci sarebbe certamente stato nulla di che preoccuparsi.
- Ora andate a salutare vostro padre... -
Per la seconda volta i volti si incupirono, questa volta più chiaramente nel secondogenito.
- No. -
Disse infatti d'istinto, come al solito senza peli sulla lingua, per una volta sapeva che era anche il pensiero dell'altro.
Gli occhi candidi ma arrossati della donna si posarono sui suoi colpendolo come uno schiaffo. Erano stanchi. Di tutto. Ogni istante le era doloroso ma d'altronde non poteva pretendere da loro qualcosa di inaccessibile.
Dopo gli eventi di poco tempo prima, gli stessi che avevano fatto soffrire anche lei, il rapporto col padre si erano rotti... lui, il principe, ormai era un'altra persona, sconosciuta e distante, non più un padre, non più un marito. Solo uno che tradiva facilmente con la prima che capitava.
Era stato uno scandalo terribile, un colpo troppo forte tuttavia lei forte come nessuna donna ce l'aveva fatta, aveva retto, si era rialzata e aveva proseguito.
Vivevano ancora insieme anche se le carte del divorzio erano state ormai richieste.
Non si era piegata né sporcata, l'unico ad essersi logorato era lui.
Però la sua anima era al limite e soprattutto William lo sentiva.
I figli, dal canto loro, avevano rotto totalmente i rapporti col padre che non lo salutavano quasi mai, si vedevano solamente nei momenti pubblici e nei pasti, per il resto facevano il possibile per evitarsi e nei rai momenti in cui dovevano stare tutti insieme non si guardavano e non si parlavano ugualmente.
La principessa li congedò lasciandoli andare nelle rispettive stanze, li guardò uscire con uno sguardo affettuoso, infine appena sola si coprì il volto con una mano. Perfino in quel gesto stanco al limite dei nervi era sempre aristocratica ed elegante.
Presto sarebbe stata meglio.
Lo sentiva.
Doveva essere così.

William ed Andrew, dal canto loro, sentirono sempre più netta la terribile sensazione che avanzava inesorabile.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** ragazzo non piangere ***


CAPITOLO III:
RAGAZZO NON PIANGERE

' E poi è così... il mondo crolla quando la vita pare essere perfetta e giusta. La crudeltà, tuttavia, non è la tragedia in sé, ma il dover andare avanti nonostante tutto, con l'obbligo di mascherare lo strazio del tuo animo in pezzi.'

C'era qualcosa nell'aria da quando lei se ne era andata. Non doveva esserci. Non ce n'era motivo.
La principessa della piccola ma conosciuta monarchia era andata in vacanza da pochi giorni e non si sarebbe trattenuta poi molto. Aveva guardie del corpo. Nessuna preoccupazione.
Eppure i suoi figli, specie il maggiore, avevano sentito dal primo momento della sua partenza che non sarebbe dovuta andare.
Era quindi nell'aria l'inquietudine che William continuava a portarsi dentro senza mostrare a nessuno.
Nonostante la morsa continuava la vita prescritta da qualcuno di competente senza preoccuparsi di cercare qualcosa che piacesse a lui.
Era consapevole della sua posizione, inoltre era giovane e certamente non poteva dire no a qualcosa che non gli andava bene. Non ancora. Però gli stava bene. Tutto. Era una vita che gli andava a genio, a parte i riconoscimenti ovunque andasse e l'esaltazione del suo ruolo di principe.
Per il resto gli stavano bene le routine, le lezioni, gli obblighi che gli imponevano, le regole, il tenore di vita, i doveri... la vita che doveva condurre...
Si ripeteva sempre che era forte, aveva spalle larghe e sapeva reggere ogni cosa, pressione, aspettative, gelosie, invidie, impegni. Tutto.
Nulla lo toccava e affrontava quel che si poneva sul suo cammino sempre con lo spirito giusto riuscendo al meglio in ogni cosa.
Era perfetto.
Il Principe ideale.
Non lo sbruffone classico viziato che ci si potrebbe aspettare. Cresciuto in quel certo modo era facile che diventasse un bambolotto insopportabile ma lui non lo era, sapeva stare al proprio posto e cosciente del suo ruolo adempiva ai compiti. Gli piaceva.
Si ripeteva sempre anche questo. Se lo ripeteva così da tanto e con così tanta convinzione che ormai sembrava proprio il suo reale pensiero e volontà.
Veramente.
Era lui così, non gli era stato inculcato da nessuno, o meglio l’avevano cresciuto così ma aveva accettato di buon grado ogni insegnamento facendoli suoi, al contrario di Andrew che nonostante avesse condotto la sua stessa identica vita, sembrava proprio non volerne sapere di farsela andar bene.
La sua natura era nobile come il suo animo e da un certo momento in poi l'avrebbe dimostrato maggiormente.
Molti non lo capivano, fra la gente comune ma anche fra gli aristocratici. Erano in tanti convinti che la sua fosse una posa, una finta, quella che tutti i principini hanno. Pareva snob e viziato.
C'era però anche da dire che uno così difficilmente si riusciva a conoscere a fondo da poter dire che non era montato con la puzza sotto il naso.
Cosa fosse vero di lui solo la madre poteva certamente saperlo. Nessun’altro. Nemmeno il fratello.
Succedeva ogni mille anni, forse, che ne nascesse uno proprio dove doveva nascere e che egli fosse  perfetto per il ruolo che gli era stato assegnato. Prendere le strade giuste per diventare quel qualcuno prescelto da eletti.
A lui era capitato ed era incredibile.

Era pomeriggio inoltrato ma il cielo privo di nuvole presentava il sole che lento scivolava dietro le case all'orizzonte. Si stava bene, non era ancora freddo e si passava bene tutta la giornata senza giacca.
Vestiva con dei semplici jeans di marca, una camicia azzurra ove i primi bottoni erano aperti e sopra un maglione dal collo largo a V di qualche tessuto rinomato per le mezze stagioni, blu scuro.
Attendeva che l'autista lo venisse a prendere per andare a lezione di nuoto. La faceva proprio nell'ora precedente alla cena per poter avere almeno la sera libera; prima di quello aveva fatto pianoforte. Non ne aveva più bisogno tuttavia gli piaceva seguire le lezioni di quello strumento, lo rilassava e non erano ogni giorno, come non lo erano quelle di nuoto. Si alternavano a quelle di equitazione, scherma, disegno e ultimamente anche arpa. Era uno strumento più che altro femminile ma sempre da nobili e a lui affascinava molto. Inoltre era lo strumento preferito da sua madre, lo suonava divinamente. Aveva iniziato ad imparare con la donna ed ora avevano preso un insegnante apposita.
Aveva una vita piena di impegni e frenetica, considerando anche la scuola che volevano fargli fare come tutti gli altri c’era da chiedersi dove avesse il tempo per vivere la sua adolescenza...
Però tutto quello gli stava bene. Ogni cosa che faceva, anche se solo per poco, gli riusciva bene e gli piaceva sinceramente.
William era incomprensibile per il fratello. Andrew non faceva nulla di tutto quello e anche se lo forzavano gli riusciva male, per cui ancora qualche tentativo i genitori lo facevano, ma senza successo. Lo studio non andava benissimo e pareva sempre più attratto da sport estremi che ancora non aveva avuto il coraggio di provare.
Gli serviva un incentivo che presto sarebbe arrivato.
Andrew non era col fratello, quel pomeriggio.
Fuori dall'edificio del maestro di pianoforte, costoso e spazioso, attendeva nel grande giardino spazioso coperto di erba verde, che qualcuno lo venisse a prendere.
Era strano che non fosse già arrivato, solitamente erano sempre puntuali. Era pericoloso far aspettare i principi da soli, pericoloso per la loro incolumità.
Non sembrava annoiato, il ragazzo. Guardava il cielo con una certa inquietudine che nelle ultime ore era cresciuta sempre più.
Difficilmente mostrava nervosismo, non era tipo, non rivelava mai nulla di quel che provava realmente, non mostrava niente. Era serafico e indecifrabile, tutto qua.
Poteva avere il mondo apocalittico dentro, sarebbe rimasto sempre composto. Freddo, se lo si voleva definire così, ma più che altro composto e pacato.
Cosa aveva dentro? Un cuore che batteva in modo leggermente irregolare, una mente che cercava di razionalizzare la mancanza che provava, del sangue che correva lungo tutto il corpo troppo frenetico, dei muscoli tesi.
Infine un tuffo. Lo stesso che aveva avuto quella notte.
Il ricordo del sonno notturno interrotto improvvisamente da un inspiegabile dolore acuto al petto, un urlo partito nel sogno e sudore freddo in tutto il corpo. E poi guance umide di un pianto disperato che solo nell'oblio del sonno era uscito.
Al risveglio non aveva ricordato cosa aveva sognato però non era più riuscito ad addormentarsi, il malessere dello spirito si era espanto fino al fisico e non gli aveva più permesso di chiudere occhio.
Non l'avrebbe mai ammesso ma quello che aveva provato era dolore per la paura, paura della mancanza. Paura di sapere cosa sarebbe successo da lì in poi.
Cercò di distrarsi. Lì in un angolo c'era una vecchia palla da calcio, era sporca e rovinata, lasciata probabilmente da qualche bambino. Prese a palleggiare assorto, non pensava realmente a quel che faceva eppure come per ogni cosa,anche quello gli riusciva piuttosto bene. Piede, ginocchio, piede ginocchio…
Continuò per un paio di minuti con un ritmo calmo ma serrato, finché non suonò il cellulare, senza interrompersi rispose e il cuore, chissà come mai, martellava più veloce. Come se il rumore del cuoio sulla scarpa dettasse i battiti interni.
- Pronto? -
Ansia...
- Will... sono io... -
... crescente...
- Papà... -
... sempre più...
-... la mamma...-
... dolore...
- Cosa è successo alla mamma? -
... smorfia...
- Laggiù... ha avuto un incidente... -
... la palla dimenticata...
-... -
... cadere in ginocchio...
- Era grave... -
... un peso spropositato sulle spalle...
-... -
... rimanere schiacciato...
- William... -
... toccare l'erba con i ginocchi ed una mano...
-... tua madre è morta... -
... affondare il volto nell’erba...
- Will... -
... dimenticare di essere vivi...
-... mi dispiace... -
... cuore che salta un battito...

Lento, indefinibile. In sequenza si era inginocchiato a terra e senza rendersene conto, con i sensi che si amplificavano per poi abbandonarlo improvvisamente, con una smorfia impressionante sul suo volto levigato e nobile, si era accucciato, rannicchiato sul prato nascondendo il volto nell'erba fra le braccia, col cellulare dimenticato ancora all'orecchio e la bocca aperta in un urlo che non riusciva a venir fuori.
Gelo. Sangue che non circola, cuore che non batte, mente che non connette.
Mondo che non esiste.
Dolore che esplode.
Troppo.
Forte.
Assoluto.
Morte.
Morte.
Morte.
Non respirava, non riusciva più. Forse qualcuno lo vide, forse qualcuno udì... forse qualcuno intuì o magari immaginò che insieme alla voce sparita scesero calde lacrime salate a rigargli il volto d'arte.
Forse, ma chissà.
Tuttavia se l'anima fosse stata palpabile in quel momento sarebbero state curve in mille pezzi, piccole e frastagliate, poi fitte, poi larghe ma tante di colori che graffiavano e scemavano fino a scolorirsi in uno sfondo completamente nero.
Sfuggendo in un finale di totale rosso sangue, rosso cuore, rosso dolore.
Rosso anima spezzata.
Come l'anima svanita della persona più importante per lui.
Un urlo silenzioso senza voce uscì dalla bocca spalancata nella posa dell'Urlo di Munch, solo su un volto nascosto avvolto dall'erba e dalle braccia.
Tutto finendo in un nero totalizzante, avvolgendolo nel buio assoluto.
La principessa erede al trono era morta.
Aveva lasciato un marito col quale ormai stava divorziando, un marito che l'aveva rovinata e fatta soffrire, e due figli che amava più di sé stessa, che a loro volta l'amavano.


Era nella sua camera annoiato, il giovane principe, il secondogenito del principe e della principessa.
Solo in privato nella sua stanza si permetteva di ascoltare della musica per provare ad essere quel che voleva, una persona qualunque.
Cominciava a sentirci gusto in quel genere che un compagno di classe gli aveva proposto di nascosto. Si trattava di metal, l'aveva chiamata così. Steso nel letto si rigirava la custodia del CD fra le mani noncurante della lezione di ‘non-si-ricordava-più-cosa’ saltata. Leggeva alcuni titoli: ‘Fade to black’, ‘Nothing Else Matters’, ‘I disappear’ ‘Seek and Destroy’, ‘Turn the page’ e molti altri. Era una raccolta dei Metallica, un po' di rito per chi voleva convertirsi al genere.
Ad un tratto sentì bussare alla porta, leggermente seccato fece entrare, era una delle cameriere che lo pregava di andare in studio ove suo padre l'attendeva.
Ci andò svogliato senza fermarsi a riflettere sul fatto che effettivamente non era normale essere convocato dal padre in quel modo: quell'uomo aveva sempre cercato di evitarli accuratamente.
Percorso tutto il palazzo entrò nella stanza senza bussare o farsi annunciare, non lo faceva mai, non lo riteneva opportuno. Rimase però in silenzio a vedere e ascoltare il padre in piedi con la schiena alla porta, stava parlando al telefono con qualcuno. Sentì le ultime parole.
- William... mi dispiace... -
Lo vide stare in silenzio e subito la sensazione agghiacciante sulla sua pelle lo bloccò all'istante. Ogni funzione del suo organismo cessò di proseguire, come un blocco di ghiaccio.
Perché a suo fratello gli stava dicendo una cosa simile?
Dopo un attimo interminabile nel quale cercò di parlare ancora col figlio maggiore, invano, riattaccò il telefono poi immediatamente gridò un ordine ad una delle sue segretarie.
- MANDATE QUALCUNO A PRENDERE SUBITO WILLIAM, PERCHE' E' ANCORA LA'? -
Non si era ancora accorto della presenza di Andrew, sembrava agitato, molto.
Anche questo stonò nell'osservarlo.
Dalla porta ancora aperta entrò una delle persone al servizio del principe Alberth che timidamente si inchinò sussurrando:
- Maestà, subito, ma qua è tutto in confusione e fermento, non si riesce a rintracciare le persone giuste. L'autista del signorino non lo troviamo... -
- ALLORA VAI TU A PRENDERLO! -
Ancora senza voltarsi. Cercava di riprendere il controllo di sé, controllo che raramente perdeva per il semplice fatto che non si metteva mai in mezzo a situazioni tali da farlo uscire di testa. Evitava le questioni difficili e complicate appunto per quello ma ora ci si era trovato in obbligo.
La porta fu richiusa dalla donna e l'uomo vestito di tutto punto si premette gli indici alle tempie, in un massaggio circolare per cercare un po' di calma.
- Non dava più segni di vita, non si sentivano singhiozzi o urla. Nulla di nulla. Non parlava più. Non si sarà mica sentito male? -
Un sospiro preoccupato.
Andrew silenzioso era più che sorpreso, gli pareva di stare davanti ad un estraneo. Cioè, più del solito.
Ora proprio non lo riconosceva.
Tutta quella preoccupazione dove l'aveva messa fino ad ora?
E poi... suo padre così fuori di sé non l'aveva mai visto, nemmeno quando sua madre l'aveva scoperto a tradirla tramite i giornali scandalistici. Nemmeno in quell'occasione era stato capace di far qualcosa. Completamente senza spina dorsale, dalla nascita.
Ora invece era del tutto diverso, che era successo?
Il sangue scorreva in lui sempre più veloce e l’espressione al contrario di faceva sempre più di ghiaccio.
- Padre. -
Mormorò consapevole di dover fare attenzione, molta attenzione.
A cosa?
A quello che avrebbe saputo.
- Cosa è successo a William? -
Aveva un tono di voce titubante e poco convinto ma allo stesso tempo robotico. Non era William ad aver creato tutto quello, vero?
L'uomo si voltò mostrando un volto segnato seppur non bello, anzi. Non sembrava un principe a guardarlo, invece era l'erede al trono. Basso, mingherlino, mostrava più anni di quanti ne avesse.
- Andrew... -
Non sapeva come dire quello che doveva dire, lo capì subito guardandolo direttamente in viso.
L’uomo, dal canto suo, realizzò che se per William non aveva avuto idea della reazione, per Andrew era ancora peggio.
Nella fase adolescenziale in cui il giovane dai capelli rossi si trovava, era difficile affrontare ogni argomento, figurarsi quello dell'improvvisa morte della madre.
Si diceva, no? L'adolescenza è delicata, un forte trauma potrebbe segnarlo per sempre.
Una ruga, l'ennesima, solcò la fronte già preoccupata dell’erede al trono.
-... non è William a cui è successo qualcosa... -
Era una persona con poco tatto e sensibilità, piuttosto egoista e viziato nel complesso, abituato ad avere il capriccio del momento, specie le donne, non ce l'avrebbe mai fatta ad affrontare un argomento simile.
Intanto nel ragazzo cresceva sempre più smisurato un sentimento forte nei confronti del padre che non riusciva a dire una notizia importante in modo decente.
Sentiva troppo e tutto si ricollegava ai presentimenti e nervosismi di quei giorni.
- Tua madre... ha avuto un grave incidente. -
Spalancò gli occhi verdi che nella sua carnagione tipica dei rossi, tutta lentigginosa, spiccavano deliziosamente.
Lo sapeva. Sapeva cosa sarebbe venuto dopo ma non aveva il coraggio di farlo. Di dirlo. Non era William che impavido riusciva a dire quel che doveva dire al momento giusto nonostante fosse doloroso. Lui non ci riusciva per cui lo lasciò terminare.
- E’ morta, Andrew. -
Si. Era vero.
Dannatamente vero, se lo sentiva. Era proprio quello che non aveva nemmeno avuto il coraggio di pensare, eppure rifugiarsi in una negazione infantile era appropriato per un ragazzino di 13 anni.
Il ghiaccio si mutò in pietra e sul suo volto dai lineamenti squadrati e poco eleganti ma comunque di un ragazzino, non una smorfia, non un segno che indicasse il suo dolore. Nulla.
Completamente diverso.
Non crollò a terra, non si piegò al peso che sentiva sulle spalle.
Rigido come non mai rimase dritto in piedi stringendo i pugni lungo i fianchi, si ripeteva in continuazione le parole appena udite.
Sua madre era morta.
Morta.
Non c'era più, non l'avrebbe più vista, non le avrebbe più parlato, non l'avrebbe più sentita suonare. Nulla.
Mai più un bacio, mai più affetto.
Cercò di elencarsi velocemente tutti i cambiamenti, le conseguenze, i fatti, i pensieri però nessuna reazione arrivò. Con una forza ferrea fuori dal comune strinse le labbra, assottigliò gli occhi e contrasse il suo cuore in una morsa dove sarebbe rimasto per molti anni.
Voleva solo sparire da quella stanza soffocante ove perfino i sensi lo aiutavano a rimanere attaccato a quella realtà. Lui ci voleva scappare, eppure era saldo lì.
Si maledì per l'insensibilità di cui era padrone, poi senza dire nulla uscì dalla stanza camminando incerto come un fantasma che non capisce se è morto oppure no.
Sorpassò la servitù e le persone che frenetiche andavano e venivano, lo sfioravano, lo toccavano per sbaglio... lui era come se non ci fosse. Proseguendo con passo calmo e lento arrivò in camera sua, aumentò al massimo la musica lasciata aperta rendendola assordante, si sedette sul letto e guardando nel vuoto come se fosse semplicemente avvolto nel silenzio più totale, privo di espressione o pensieri, ne realizzò soltanto uno:
- Per telefono... glielo ha detto per telefono... quell'uomo è terribile… ed ora ci sarà solo lui... -
Lasciò la frase in sospeso immaginandosi la reazione terribile del fratello per accantonare la sua insolita, infine premendosi i palmi sulla fronte mormorò con un inclinazione un po' più umana:
- Mamma... ed ora? -
Ma non aveva ancora realizzato.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** forse domani ***


CAPITOLO IV:
FORSE DOMANI

'Mai piangere. Compostezza, aristocrazia, eleganza e grazia anche nel dolore. Reggere il peso senza provare nulla. Morire dentro ma non darlo mai a vedere. Un mondo, quello della nobiltà, pieno di pagliacci.'

Gli ordini erano stati chiari.
Ai funerali della Principessa Alicia, loro della famiglia reale, avrebbero dovuto tenere un contegno più che unico ed encomiabile. Non manifestazioni di sentimenti o dolore, nessun modo per i giornalisti di ricamare storie o notizie.
Quella gente aveva fatto abbastanza e poi l'immagine per loro era tutto.
In sequenza davanti a tutti prima la Regina, poi il Principe Alberth, quindi i figli William ed Andrew, di seguito i fratelli minori di Alberth, per finire con altri membri della famiglia.
Tutto ben calcolato, nei minimi dettagli. Tutto perfetto come sempre.
Nel luogo si era radunata una folla incredibile per assistere alla funzione, la più fitta e numerosa della storia di quella città e forse oltre.
Fece impressione vedere tutta quella gente al di là delle recinzioni preparate che aspettavano e consegnavano fiori ovunque.
La tiritera William ed Andrew l'avevano imparata a memoria.
Mai mostrare il dolore; compostezza, aristocrazia, eleganza e grazia anche in esso.
Il giovane tredicenne era semplicemente lì col corpo ma non con la mente, ancora di ghiaccio non mostrava segni di cedimento o tristezza. Non aveva ancora pianto tanto meno si era sfogato.
Accanto a lui, fra il fratello e il padre, c'era William.
Il giovane da un’altezza notevole che superava quella di entrambi, camminava composto e dritto nel suo completo identico a quello di Andrew. Nero con camicia bianca. Tipico per un funerale di nobili.
I biondi capelli erano sistemati sul capo in modo che le ciocche leggermente mosse non sfuggissero spettinate sulla fronte.
Un principe in piena regola.
Entrarono nella cappella reale. La bara era già davanti all'altare, in mezzo alle due fila di banchi, era ricoperta di fiori e ghirlande molto belle ed elaborate. La chiesa era addobbata in modo maestoso, mai vista una cosa simile nemmeno per un matrimonio. L'aria che si respirava, però, non era perfetta. Tutt'altro. Era pesante, troppo.
La funzione ebbe una lunghezza media durante la quale l'unico della stretta famiglia a cantare fu William.
Sembrava che nulla lo avesse toccato.
Sembrava perfettamente in sé e talmente controllato da non provare sentimenti.
Stava bene, era calmo, tranquillo. Viveva il suo dolore dentro e nel complesso sembrava solo un bel quadretto di ipocriti.
Lui per primo ne era consapevole, però se l'immagine che dovevano dare era quella, quella sarebbe stata.
Non si interrogò su cosa sarebbe accaduto ora, sperò solo che finalmente stesse bene, sua madre, lontano da quella massa di gente incomprensibile.
Non scappava con la mente, non si rifugiava in una menzogna, non fuggiva quei sentimenti forti che esplodevano in petto. Li viveva ma a modo suo, con razionalità e compostezza perché la gente che lo circondava non era degna di vedere quanto si agitava in lui.
Lontano. Dovevano stargli lontano.
Nessuno avrebbe mai capito.
Nessuno.
Eppure non si nascondeva.

Fu il suo turno di rendere omaggio alla madre, alla donna, alla principessa.
Il primogenito si sedette dietro un pianoforte posto nella cappella per l'occasione e si accinse a suonarvi qualcosa.
Ci aveva pensato a lungo.
Non aveva toccato il piano da quel giorno, alla comunicazione del padre di dover suonare qualcosa per la funzione, il cuore aveva preso a martellare così veloce da essere quasi assordante, non avrebbe voluto ma sapeva che l’avrebbe fatto ed ora infatti era lì, non ricordandosi più del motivo che l'aveva spinto a suonare una sonata non da chiesa.
Qualcosa che gli ricordasse la madre, unica vera nobile là dentro. Nobile d'animo e di cuore, ai suoi occhi.
Chopen.
Chiuse gli occhi e mantenendo il volto alto su un espressione fiera nella quale non passavano sentimenti contrastanti ed evidenti, solo qualcosa di effimero ed invidiato da molti, posò delicato le dita sui tasti pregiati.
All'inizio delle flebili note suonate si immaginò un filo su uno sfondo stellato. Vedeva l'universo attraversato da un lungo filo bianco che spiccava. Pareva delicato e fragile. La prima nota arrivò e con essa il filo si increspò.
Pensò che le note potessero essere le azioni delle persone e che in realtà esistesse un filo per ogni uomo. Il suono cominciò a prendere forma e come un elettrocardiogramma continuava a suon di musica delicata e sfumata. Con un intensità più forte sentiva che quel filo si sarebbe potuto rompere.
A chi era collegato?
Non corrugò la fronte di un millimetro anche se cercava di capire cosa vedesse, senza comprendere subito.
Lasciava le dita correre nel modo giusto sul piano e nel silenzio generale sentiva solo sguardi che lo fissavano ammirati.
A lui non importavano.
Non li calcolava, non se ne faceva nulla.
Dietro alle iridi azzurre nascoste dalle palpebre, William, con forte volontà proseguì la dedica con la musica che pensava per sua madre, la mente continuava a tessere l'immagine di quelle stelle suggestive su un blu cupo e quel filo che attraversava tutto pieno di guizzi dolci, leggeri, forti, avvolgenti; ripensò alla madre e al fatto che non sarebbe dovuta arrivare in quella famiglia. Erano stati belli i momenti passati con lei ma non se l'era goduta abbastanza.
Come ogni figlio che perdeva la madre a quell'età, aveva rimpianti, tuttavia con una maturità fuori dal comune a testa alta era passato oltre senza fermarsi a disperarsi. Sarebbe stato normale, giusto, comprensibile, no? Ma non lui, non William, il William cresciuto da lei.
Però doveva ammetterlo… la sua adorata madre sarebbe stata più felice in un altro posto, con un'altra vita. Non si era capito perché però non era stato un incidente comune o casuale, quel pensiero l’avrebbe tormentato per tutta la vita.
A causa delle storie che erano già venute fuori dalla tragedia, l’immagine della donna aveva già cominciato a sporcarsi e logorarsi… e un incondizionato senso di repulsione per tutti coloro che lo circondavano, presenti e non, lo avvolse da quel momento.
Un principe non doveva provare quei sentimenti negativi, però l'ipocrisia che dopo quell'evento sentiva intorno, era tanta e palpabile.
Partiva dalla Regina Madre e dal Principe Alberth.
Il volto della giovane donna delicata sovrapposto al filo bianco che suonava una vita, lo portò poi a comprendere.
Avrebbe voluto piangere e lasciarsi andare.
Lo sapeva perché su un pianoforte lui rischiava di perdersi e sul finale il filo si ruppe come la sua anima quando non vide più la madre nella sua mente. Rimase solo il silenzio, le mani sospese nell'aria, un universo solitario e tutt'un tratto poco illuminato.
Vuoto.
Smarrimento.
Nostalgia.
Incompletezza.
Insoddisfazione.
Sentimenti nuovi per lui, non da lui.
Avrebbe voluto essere un figlio qualunque che perdeva la madre troppo presto, ma non poteva.
Rimase solo un principino che perdeva sua madre, una principessa.
Non gli era concesso soffrire come un ragazzo normale poiché, lo comprese a fondo e totalmente solo in quell’istante, lui non lo era.
Aprì gli occhi e brividi percorsero tutti per l'azzurrità troppo pura e allo stesso tempo macchiata.
C'erano nuvole nel suo sguardo.
Nuvole che non si diradarono ma rimasero con una grazia e un continuo controllo.
Freddo.
L'impressione fu quella.
Un dolore molto contenuto e composto.
Criticabile ugualmente, come tutta la famiglia.
Si alzò e tornò al suo posto attraversando l'arcata in una concentrazione di sguardi e silenzio.
Dio, come avrebbe voluto scappare, in quel momento. Con corpo e mente.
L'unica volta in tutta la sua vita che provò un sentimento negativo identificabile vicino all'odio.
Proprio lui.

Cominciava a piovere ma non del tutto, fra pochi attimi si sarebbe riempita la città d'acqua. Resisteva. Ancora un attimo, resisteva.
La messa era finita, la bara fu caricata a spalla da guardie per portarla fino al cimitero.
La regina, un'anziana signora con un cappellino largo sul capo, stava fuori dai cancelli avanti a tutti ad attendere il passaggio; accanto a lei stava il figlio coi suoi due ragazzi.
Era forte.
Tutto.
Incomprensibile, su cosa concentrarsi di più?
A William parve di impazzire per l'obbligo pesante di non far nulla, di non poter piangere.
Era un dovere e l'avrebbe rispettato perché era da lui ma probabilmente nessuno avrebbe capito il carico che portava.
Facili le chiacchiere e le fantasie sulla povera principessa Alicia, perfino in quel momento…
- Che schifo... -
Mormorò Andrew a denti stretti facendosi udire solo dal fratello accanto.
Li si sentiva benissimo: persone sconosciute che con un fiore in mano e tanto dispiacere in viso parlavano in continuazione dicendo cose che mai ad un funerale sarebbero state da dire.
Colpe su colpe, accuse su accuse.
Una repulsione ancor più grande della precedente colpì il giovane biondo.
Guardò suo padre accanto che li sentiva anche lui senza fare nulla. Evitava di proposito lo sguardo con quella gente, lo portò con cura a terra, alle proprie scarpe. Vergogna.
Detestabile.
Al massimo vertice.
Se lo chiedeva sempre più, da chi era circondato?
Dove stava la fierezza del nome al quale erano tanto attaccati?
Già da quel momento cominciavano a 'massacrare' la principessa con le parole velenose e solo perché erano personaggi pubblici. Cosa sarebbe successo dopo quel giorno?
Eppure nessuno, no, nessuno poteva permettersi di ‘toccarla’. Non lei.
Sussurri e supposizioni su quanto avrebbero fatto il marito, la regina ed i figli, su quanto era accaduto in realtà alla principessa Alicia, cosa stava facendo, perché era a Parigi…
Maledette supposizioni persino sulla vera morte.
Quando udì la parola suicidio per lui fu troppo.
Quando si dice la parola troppo non la si comprende mai pienamente, la si usa facilmente. Per lui mai nulla era troppo, tutto era sopportabile.
Lui pensava che si nasceva ove uno si meritava, anche se forse non sempre era così, sua madre era stata punita per qualcosa che non aveva compreso, aveva affrontato una vita che nonostante le apparenze non era da augurare a nessuno.
Si pensava solo che era ricca e non nobile, una passata alla famiglia reale con mezzi sporchi, una fortunata che successivamente stufa dello splendore, avesse cercato avventure come il marito, stufa poi anche di quello, infine, si era tolta la vita.
Come poteva la gente malignare in quel modo?
Una morsa gli prese lo stomaco dandogli una considerevole nausea.
La parola troppo, William, non l'aveva mai conosciuta ed usata fino a quel momento ove nessuno aveva avuto il coraggio di alzare la testa e far qualcosa per quelle voci.
Si mosse il sentimento.
La nobiltà d'animo di una persona non deve mai essere stuzzicata fino a svegliare un lato pericoloso che riposa in tutti.
Bisognava sperare dal profondo di non farla fuoriuscire dal giovane principe.
Non ci furono parole, urla, imprecazioni, accuse pubbliche.
Nulla di nulla.
Solo uno sguardo.
Solo due iridi color tempesta che si posarono come fulmini sottili nella folla.
Il chiaro volto disegnato ad arte da un pittore del romanticismo pareva levigato, un increspatura nelle labbra: indecifrabile.
Solo lo sguardo si spostò, nient'altro, e un silenzio innaturale cadde ovunque.
Un silenzio che probabilmente, come si dice in certe occasioni, non fu mai stato scritto.
Non vide chi lo guardò fra quelli che gli stavano accanto.
Non vide nessuno. Solo volti sconosciuti che ammassati l'uno accanto all'altro guardavano improvvisamente altrove imbarazzati facendo cessare addirittura i flash continui dei giornalisti e fotografi.
Quando uscì la bara che lenta proseguiva il suo percorso verso il cimitero, niente musica e niente parole. Non vi era stato organizzato nulla per quel tragitto, nonostante le usanze. Nulla perché il simbolo più adatto, voluto dai due giovani figli, era proprio un semplice e regale silenzio.
Tutti si concentrarono su quel legno elaborato e pregiato che portava dentro il corpo della donna.
Tutti.
Assenza totale di rumori.
Concentrazione.
Su cosa?
Sui sentimenti.
Perché?
Per non farli fuoriuscire come volevano.
Respiro.
Respiro.
William scordò le male lingue, scordò tutto e si concentrò sul suo controllo, su ciò che provava e su una domanda.
Quanto dolore, quante lacrime, ancora, era in grado di trattenere in quel modo?
Non tese i muscoli, non palpitò, non si affannò, non dimostrò nulla col linguaggio del corpo.
Se non quando sentì lo stupore venire dalla folla. Si voltò cercando di capire che fosse successo e vide la regina inchinarsi lieve ma nettamente al passaggio della principessa Alicia.
Non sapeva se fosse organizzato o meno, se qualcuno se lo aspettasse o no, se fosse per ipocrisia o perché se lo sentiva, ma questo lo portò ancor più a cercare un controllo di sé maggiore.
In seguito il padre la imitò, furono seguiti da loro e dal resto della gente. Nessuno escluso.
Tutti al passaggio della bara si inchinarono profondamente colpiti dal gesto.
Brividi percorsero tutti i presenti che ebbero la sensazione di aver capito poco della persona che stava andandosene per sempre.
Fu un lontano sollievo che sentì William esercitando quell'atto, non come poter liberarsi del peso che le sue spalle e la sua anima sentivano, ma almeno qualcosa, un simbolo, un rispetto, un affetto... qualcosa… uscì da loro.
Non volle mai indagare sulla sincerità dell'azione.
Per non rovinare anche quello con la verità.
Tuttavia si potè capire quanto si agitava dentro di lui.
Iniziò a piovere in quel momento. Rimasero tutti fermi, aprirono gli ombrelli, tutti furono riparati, quando lo porsero anche a lui, lo rifiutò.
Fastidio.
Di seguito alla bara camminarono loro e il corteo li seguì in un giro della città nel quale vigeva il lutto nazionale.
L'unico a bagnarsi fu lui. Non gli importava nulla delle gocce fredde che gli arrivavano addosso, non gli importava nulla.
Pareva non sentirle.
In modo enigmatico ed indecifrabile più di sempre, pochi seppero leggere il dolore che trascinava con sé.
Molti, tuttavia, lo guardarono con occhi estranei non riconoscendolo più.
Solo osservandolo da vicino e attentamente si poteva notare lo smarrimento puro che regnava in quegli occhi lontani.
Voleva solo andarsene.


Se lo richiese quando finalmente da solo con suo fratello riuscì a vedere le prime lacrime di Andrew. Si era tenuto tutto dentro senza capire a fondo la situazione. Solo quando fu tutto totalmente finito aveva realizzato e potuto piangere abbracciato in solitudine a lui che non diceva nulla. Non azzardò parole giuste al momento giusto, non provò sensibilità o dolcezza.
Riuscì solo ad esserci poiché anche lui aveva perso momentaneamente ogni pensiero e razionalità.
Ma se lo richiese allora.
Quanto si poteva trattenere una persona, nel cuore, prima di scoppiare?
Quando la gente avrebbe capito ciò che non riusciva a capire?
Quale filo sarebbe stato abbastanza forte da non spezzarsi?
Perché l'ipocrisia pareva regnare in tutti?
Dove, in che luogo, si sarebbe potuti vivere in pace?
Un sospiro.
Sperò solo una cosa.
Che l'indomani arrivasse in fretta.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** re del silenzio ***


CAPITOLO V:
RE DEL SILENZIO

'Solo circondato di silenzio, senza parole. Non superficiale, non ipocrita, non severo, non intransigente. Solo senza parole. Per non ferire e non offendere. Per chiudersi solo in un dolore che ancora portava nascosto nel cuore. Avrebbe mai sorriso veramente?’

Il gran giorno era arrivato.
Il palazzo era in fermento e tutto pronto nei minimi dettagli. Ogni cosa al suo posto, perfettamente incastrata con la successiva, non un buco, una grinza.
I giornalisti e fotografi pronti a scrivere uno di quei storici servizi, gli invitati a fare a gara con chi fosse il meglio vestito.
L'unica pecca, però, erano i sentimenti con cui veniva affrontato il tutto.
La Regina in totale disaccordo, i principini William ed Andrew disgustati anch'essi del gesto che in quella data si sarebbe compiuto.
Chiacchiere, smorfie, pettegolezzi. Altro pane per la folla che come avvoltoi non aspettava che questo da anni per provare quanto la famiglia reale fosse falsa e meschina.
Le seconde nozze del Principe Alberth con una donna della gleba, una qualunque che fino a poco tempo prima era stata cameriera al palazzo reale.
Si amavano, avevano detto, da molto tempo.
Nonostante le scappatelle numerose del principe che aveva cornificato la sua defunta moglie ancora quando era in vita, lei, Emily, era sempre stata costante.Sembrava provare per lei un sentimento forte e sincero che l'aveva portato a fare dichiarazioni pubbliche imbarazzanti.
Per William ed Andrew fu solo un ennesima pugnalata a loro ed alla cara madre che tutto quello non se lo sarebbe mai meritato.
Un umiliazione troppo grande.
La donna che si accingeva a diventare principessa aveva due figli, un maschio di ventidue anni e una femmina di diciannove.
Così detestabili che erano già preda di brutti scherzi da parte del fratello minore, Andrew, attualmente diciottenne.
Non era stato chiesto loro nessun parere, solo erano stati informati del fidanzamento ufficiale pochi giorni dopo il funerale della madre e in seguito ai cinque anni di lutto, ecco che si andava a nozze.
D’altra parte, per quanto ne fossero disgustati i figli, sapevano che era inutile pensare ancora di contare qualcosa per quell’uomo, si consideravano solo estranei che vivevano insieme.
I due principino presenziarono alle nozze e l'unico a cantare come al solito fu William con la sua bella voce intonata, mostrando la formalità e la diplomazia di cui era padrone da anni. La regina era seria accanto ai nipoti privi anch'essi di entusiasmo ma sempre composti.
La contrarietà, tuttavia, si poteva leggere facilmente negli occhi di molti, partendo da Andrew, eppure non in quelli di William che pur scostandosi dalla scelta del padre, non mostrava severità o qualche altro sentimento negativo che alimentasse chiacchiere già troppo forti.
Quello che il giovane voleva attualmente era la pace, per sé e per la sua famiglia ormai svanita. Per ottenerla avrebbe utilizzato ogni mezzo in suo possesso o altre persone avrebbero sofferto come la sua adorata e defunta madre.
Tuttavia quali mezzi poteva disporre un ragazzo di venti anni che già il padre non avesse utilizzato? Se nemmeno lui aveva potuto fare qualcosa per arrivare a quella tranquillità, lui, figlio, come poteva pensare di riuscirci? Cosa aveva in più?
Forse nulla, forse molto… tuttavia una cosa era certa, William dalla sua aveva delle armi che Alberth non era mai riuscito ad utilizzare: armi dell'intelligenza, della diplomazia, della parole e dell'astuzia.
Non a caso la regina andava sempre più fiera di quel ragazzo al contrario dei sentimenti che nutriva per il figlio, dopo tutti gli scandali che gli aveva arrecato.
Fu solo uno strazio assistere a quel matrimonio che calpestava la donna per il giovane principe dai capelli biondi e il bell’aspetto più importante.
Stanco.
Era stanco di molte cose.
Avrebbe preferito andare a rifugiarsi un po' di giorni nella sua tenuta di campagna da solo con gli animali che poteva avere insieme alla discrezione, il silenzio, la tranquillità che adorava e poche volte poteva avere.

Tuttavia superò anche quel giorno terribile arrivando ad un altro comunissimo di università.
Quell'anno era il primo e con orgoglio di tutti passava sempre tutti gli esami a pieni voti, studiava con facilità nelle poche ore a disposizione, per il resto aveva i soliti impegni. Equitazione, strumenti classici, scherma, nuoto. L'università gli portava via molto tempo e di libero ne aveva poco.
La sera poteva uscire con il suo migliore amico Drew, la fidanzata e i pochi amici che cambiavano in continuazione.
Usciva per venire subissato di gente che lo guardava sognante e sentire le voci sul suo conto.
Non sopportava quel mondo, quella gente, quei modi di essere meschini, comuni, pesanti, insignificanti, piccoli. L'ambiente in cui era cresciuto l'aveva portato a pensare in certi modi, ma gran parte era dovuto a quel che aveva passato dopo la morte della madre.
Vedersi 'distruggere' un caro in quella maniera era terribile. Insopportabile.
Disgustoso.
Era maturato in quel modo, il principe William: non considerando nessuno se non gli stretti accanto a sé, che erano pochi.
Fuori dall'università lo vide ad aspettare la solita auto e appoggiata sopra una ragazza dai lunghi capelli castani mossi che le sfioravano la vita stretta. Un corpo femminile e un vestito elegante, costoso, che le donava un tocco di femminilità e aristocrazia perfetti.
Andò là, le porse un sorriso e lei si allungò verso di lui sfiorando le labbra con le sue in un saluto discreto e superficiale ma di 'marcatura di territorio'.
- Ciao Will... -
- Ciao Kate. -
Si salutarono e lei si riempì dell'immagine suprema del suo ragazzo, il principe primogenito.
Aveva fatto un gran bel colpo, glielo avevano detto tutti.
Anche lei era ammirata dalla sua famiglia: nobile alla lontana, sapeva stare al suo posto ed usare le sua armi, proprio come lui.
Una gran bella coppia, si diceva.
- Mangiamo insieme? -
Gli chiese lei gentile e aggraziata nella voce e in ogni gesto:
- No, oggi mio padre ed Emily partono per il viaggio di nozze così ci vogliono tutti a pranzo per salutarci. Usciamo stasera, se ti va... -
Lei non fece una piega, sapeva che non voleva scenate, mutismi o disaccordi, così li dava il meno possibile motivo di essere scontento di lei.
Un rapporto perfetto come entrambi erano.
- Si, va bene... -
L'ennesimo sorriso dolce da parte di Kate.
Un rapporto, tutto sommato, del quale nessuno avrebbe potuto lamentarsi. Qualcosa che andava a genio per uno come quel ragazzo.
Esigente e rigoroso, severo e pieno di disciplina.
- Così ti parlo. -
A quelle parole dette quasi con semplice naturalezza, Kate fece cenno di cadere dalle nuvole sgranando gli occhi.
- Oh, davvero? -
Lui però non sorrise, rimase serio. Gentile ma serio.
Era un argomento particolare, si capiva, e lei l'aveva sentito subito.
Perché ancora non lo conosceva e non era mai riuscita ad entrare nel suo mondo vasto ed incomprensibile?
In fondo l'aveva sempre saputo che continuando così, senza mai riuscire a decifrarlo e capirlo, prima o poi sarebbe successo.
Erano perfetti ma lontani.
Questo era il pensiero preciso del biondo quando salì in macchina sospirando contento per essere di nuovo solo.
Lei non lo asfissiava, non lo contraddiceva, non lo faceva arrabbiare, non si intestardiva, non ficcava il naso nei suoi affari. Gli dava il giusto spazio, la comprensione, la gentilezza... tutte cose che a lui stavano bene, che sarebbero state bene a chiunque.
Eppure era troppo.
Troppo giusto, troppo liscio, troppo piatto.
Troppo muto.
Non gli chiedeva mai cosa pensasse, non insisteva per entrare nel suo mondo, non faceva confusione, non tuonava contro di lui, non si arrabbiava per sciocchezze, non litigavano ed era solo questo il punto. Trascurabile, tutto sommato, se in cambio si poteva avere un’apparente perfezione piena di pace e serenità. Ci si poteva passare sopra, no?
Si era fatto quel discorso molte volte, che senso aveva stare con una con cui non si era mai confidato nulla di profondo e serio?
Si era messo con lei pensando che forse sarebbe potuta essere adatta e lo era stata, peccato che lo fosse stata troppo.
Fino a non trovare motivi per portare avanti seriamente la relazione.
Semplicemente non provava nulla per lei se non affetto.
William era un tipo difficile, molto.
Confronto ad Andrew era impenetrabile, incomprensibile.
Posò gli occhi azzurri sul cielo sfidandolo con pacatezza ancora una volta. La luce pura pareva non fargli male, non distolse lo sguardo e nemmeno gli lacrimarono gli occhi per la presenza del sole.
Infine il pensiero gli tornò incontrollato al padre e alla matrigna donandogli un lampo di amarezza sul bel volto apparentemente rilassato ma fiero in ogni sfumatura.
Fiero e lontano alla continua sfida di qualcosa, o qualcuno, che riuscisse a ridimensionarlo e metterlo al suo posto, qualunque esso fosse.
Sospirò di nuovo impercettibilmente abbassando gli occhi sul paesaggio che gli correva veloce accanto. Aveva cercato dopo la morte di ricucire i rapporti con suo padre, ma poi aveva annunciato il fidanzamento con quella Emily e tutto era crollato definitivamente.
Non era odio.
Era solo indifferenza, indifferenza che a volte, poche, cambiava in disgusto.
Ma per la pace che ancora non aveva ottenuto, era pronto a mettersi da parte e fare ancora una volta la cosa giusta.
Perché sperava che un giorno qualcosa sarebbe cambiato e lui avrebbe potuto sorridere sinceramente.


L'ennesima gara ufficiale di equitazione l'aveva visto in testa come sempre.
Non si era meritato anche quel giorno la vittoria per il suo titolo, c'era una bravura eccellente nel modo elegante, pieno di grazia, raffinato e pulito con cui cavalcava il cavallo, un esemplare bianco, purosangue, fiero, veloce e difficile da cavalcare.
Anche quel giorno erano stati una grande coppia ma del resto William riusciva a comunicare solo con gli animali...
Si tolse il caschetto asciugandosi la fronte ove le bionde ciocche leggermente ribelli si appiccicavano a causa del sudore. Il suo look più trasandato per la fatica e il caldo, era gradito da tutte le fanciulle che erano corse a vederlo gareggiare felici del suo essere tornato single.
Fermò il cavallo davanti ad un gruppo del pubblico riservato alla famiglia e agli amici stretti, ovviamente della famiglia non c'era nessuno, tanto meno il fratello. Il padre era in viaggio di nozze e la regina usciva ormai poco dal palazzo. Andrew… bé, lui ormai era diventato simile ad un fantasma!
Solo Drew e il maggiordomo personale del principe, occupavano quei posti.
L’amico dai capelli neri era cresciuto anch’egli, si era alzato e con lui il fisico si era fatto più atletico e slanciato. La bellezza totalmente diversa dall’altro compagno d’infanzia spiccava quando erano insieme.
- Ottima gara, complimenti! -
- Grazie, i complimenti vanno a lui... -
Disse concedendosi un leggero sorriso accarezzando il fianco del cavallo sotto di lui.
Era diverso in quei momenti, veramente dolce e protettivo. Lo era con tutti ai quali voleva bene.
Fu un momento così bello che ad immortalarlo non poterono mancare gli scatti dei fotografi. Molti flash scattarono e uno sguardo di scuse verso Drew partì da Will. Sapeva che non gradiva molto finire sui giornali, ma essendo suo amico era inevitabile.
Sarebbe stato preda di qualche gossip anche lui…
- Ci vediamo... -
Così dicendo il giovane se ne andò insieme al cavallo tornando al galoppo verso le scuderie e gli spogliatoi per cambiarsi e lavarsi; quel giorno aveva sudato parecchio e la sua candida pelle era madida di sudore come anche i suoi capelli leggermente più lunghi di cinque anni prima.
Era cresciuto non solo come persona, anche fisicamente.
Una bellezza matura, adulta, speciale.
Il pensiero andò brevemente al fratello e un moto di preoccupazione partì. Il padre non c'era e doveva controllare lui che Andrew non si cacciasse in uno dei suoi guai, come se non lo facesse già da molti anni…
Una nube oscuro il volto delicato del ragazzo quando pensò a lui. Andrew era un altro dei suoi crucci che andavano sempre più ad alimentare le sue già molte preoccupazioni.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** un senso ***


CAPITOLO VI:
UN SENSO

'Lui cercava in continuazione, senza sosta. Sperando un giorno di trovare un senso alla sua vita. Una sensazione che valesse la pena aver provato e vissuto.'

L'altezza elevata lo vedeva al vertice.
In piedi sul ponte che dava in un vuoto e poi in un fiume, scogli e rapide.
Là. Dritto, eretto, con le mani ai fianchi, testa alta, mento in segno di sfida come il suo sguardo fiero ed impavido.
Gli occhi verdi privi di una qualsiasi paura, più che altro accattivanti, mentre si riempivano di quel pericolo concreto.
Un idea malata, derivata dall'insoddisfazione e dalla ricerca di qualcosa di forte, sempre più forte. Sempre più.
Non gli bastava mai ed ora voleva vedere se così non avrebbe finito.
Ogni volta che trovava qualcosa di dannatamente eccitante e pericoloso la faceva superando la precedente.
Ora poteva essere al vertice. Poteva veramente non farcela questa volta. Questa volta poteva essere la fine.
In fin dei conti era possibile e un sorriso preoccupante, contento, aleggiò sulla sua pelle pallida piena di lentiggini. I capelli rossicci tagliati da poco in modo da non dargli fastidio, i lineamenti maturati e migliorati ma nulla di speciale ancora: non era brutto ma nemmeno bello. Insipido. Gli andava benissimo così.
I principi devono essere belli, si dice, e per quel ruolo c'era suo fratello che se la cavava alla grande. William era perfetto come principe ed erede al trono, lui non serviva. Nessuno avrebbe pianto la sua scomparsa, per cui avrebbe sempre fatto quello che voleva, ora voleva vedere e sentire la vita che ancora non era riuscito a sentire e ringraziare.
Spalancò le braccia sicuro.
Nessun ripensamento, nessun rimpianto.
Così era perfetto.
Un salto e lasciò il ponte. Un breve momento di sospensione, una frazione di secondo che parve fermare tutto il tempo con lui che si buttava orizzontalmente con le gambe unite, dritte ma rilassate.
Poi mantenendo gli occhi aperti decisi a vedere dove sarebbe arrivato e chi o cosa avrebbe visto e sentito, non fece una piega nello sguardo.
L'aria lo abbracciò e la velocità si fuse alla lentezza.
Sensazione di poter controllare il tempo stesso.
Il nulla. Il nulla intorno, sopra, sotto, ai lati.
L'adrenalina scorreva violenta in lui e l'eccitazione lo portò brevemente alla felicità.
Era quella la sensazione di massima vita?
Doveva arrivare alla fine per capirlo.
Già.
A testa in giù si immerse totalmente in quell'immenso vuoto dove il vento gli tagliava la pelle. Se volare era quello allora valeva la pena rischiare la vita.
Si, ma se non si tiene alla propria vita perché non si pensa abbia senso, allora non si proverà mai la sensazione giusta nemmeno in un momento simile e anche se si pensa che valga la pena morire per quello, non lo si crede veramente perché non ha valore la propria vita, di conseguenza anche tutto quello che si sente che ha a che fare con essa non ne ha.
Arrivato quasi alla fine, con lo sguardo fisso nell'acqua che correva sopra la sua testa, l'elastico legato ai piedi si tirò trattenendolo e riportandolo su subito.
Tornò giù finché la forza e la velocità non diminuì portandolo alla fine, il viaggio si era concluso e ne avrebbe potute provare molte di cose, veramente molte.
Peccato che normalmente si sentono solo se prima ti senti vivo.
Era stato bello, incredibile e forte, tutte le solite parole che si dicono ma la vera luce che avrebbe dovuto accendersi nei suoi occhi non si accese.
Fu ritirato su e come di consueto finse poiché era l'unica cosa che ormai gli rimaneva.
Fingere di essere vivo, allegro e felice, così nessuno gli avrebbe rotto le scatole.
Quando fu di nuovo su lo accolsero gli applausi e gli entusiasmi dei suoi amici, lui sorrise e si asciugò il sudore che gli colava ai lati del viso, inventò qualche parola che li avrebbe soddisfatti, poi riuscì a tagliare corto tornando indietro.
Era quello che volevano ma la sua ricerca non era giunta a buon fine, anzi, continuava e il risultato sembrava così lontano.

Girava accompagnato da due amici per la città, tutti lo riconoscevano come il secondo principe, Andrew. Lo salutavano, lo fotografavano ma non c'era lo stesso entusiasmo che avevano per William.
- Andrew! -
Una voce femminile familiare lo chiamò.
Era sera e non si preoccupava di tornare alla tenuta, tanto suo padre non c'era, sperava che quel viaggio ridicolo di seconde nozze sarebbe durato in eterno.
Si voltò e trovò davanti a sé Kate, la ragazza di William.
- Ti prego, devo parlarti, vieni un attimo. -
Era agitata e piangeva, aveva gli occhi rossi e il volto rigato di lacrime, sconvolta e disperata era dir poco.
Lui impreparato e stupito disse ai due ragazzi di andarsene e la portò in un locale semplice e intimo dove poteva passare spesso inosservato.
Lei gli posò una mano al petto, si era alzato in altezza parecchio.
Si avvicinò e continuando a piangere disse in maniera sconnessa:
- Tu sei suo fratello... devi sapere cosa gli passa per la testa… mi ha lasciato e non so perché... ha detto che era tutto troppo perfetto... vuoto e piatto... ma non è vero... non è vero... dimmi cos'ha? Perché fa così? Non parla e non si confida... cosa gli è successo? -
Parlava veloce e a fatica la si capiva. La ragazza sempre composta ed elegante ora era un'altra.
Rimase interdetto poi realizzò.
Suo fratello aveva lasciato Kate. Questo lo lasciò un attimo incredulo ma poi con il resto delle parole capì tutto.
Un sorriso amaro, non era un tipo compassionevole.
- Se lo ami come dici dovresti averlo capito invece, ma mi pare che tu non l'hai mai fatto. E poi... -
Distolse lo sguardo indurendolo ulteriormente, c’era rimpianto e cos'altro?
-... hai chiesto alla persona sbagliata, parlo poco con lui e non lo capisco nemmeno io... -
Rimase impietrita dal cinismo di quel ragazzo e sgranò gli occhi stupita per poi riprendersi e assottigliarli.
- Capirlo... sembra impossibile... -
- Se non l'hai mai capito come hai potuto amarlo e metterti con lui? -
Oltremodo duro. Non gli era mai piaciuta, in lei c'era solo bellezza fisica. Come lei ce ne erano molte, troppe, gente senza un minimo di cervello e sostanza, era ovvio che suo fratello l'avesse lasciata.
- Ma io lo amo veramente! -
- Ah smettila, mi fai solo ridere! -
Ebbe uno scatto che la fece allontanare e spaventare. Il disprezzo verso di lei lo leggeva chiaro negli occhi verdi e vuoti poi tornò ad avvicinarsi posando entrambe le braccia sul suo petto, lentamente combaciò i loro corpi e mormorò:
- Ti prego... parlagli e vedi cosa puoi fare. Se lo fai... -
Sospese le parole per lasciare ai gesti la conclusione del messaggio, infatti portando il volto vicino al suo, si allungò in modo da sfiorargli le labbra.
Andrew rimase rigido ed immobile senza facilitare un ipotetico bacio, non l'accolse e puntò lo sguardo di pietra in quello di Kate che sperava avesse ceduto.
Non successe.
- Vattene Kate. È finita, fattene una ragione. -
Duro.
Solo duro.
Fu così che capì che era finita del tutto quindi rivoltandosi contro di lui in una trasformazione rapida, lo insultò, lui e la sua famiglia, per poi correre via ancora sconvolta.
- Stronza... -
Mormorò con un linguaggio poco da principe mantenendo l’espressione impassibilmente dura di poco prima.
Si potevano dire molte cose su Andrew: che era tormentato, ribelle, ingrato, testardo... ma non carogna, questo no.
Il rispetto e la stima per suo fratello, anche se non la dimostrava, la provava  profondamente.
Se ne vergognava perché lui era così, tuttavia alla fin fine invidiava in senso buono suo fratello anche se al contempo sapeva benissimo cosa capitava ad entrambi: non avevano più il rapporto di un tempo.
Dopo la morte della madre tutto si era perso ed aveva finito per ammirarlo da lontano sentendosi piccolo e non all'altezza. Gli andava bene vivere all'ombra del più grande, del migliore.
Sentire, tuttavia, il tormento interiore di William lo rendeva impotente e pieno di fastidio.
Avrebbe voluto aiutarlo e proteggerlo ma era sempre stato il contrario, era lui che gli procurava pensiero e del resto non sapeva cosa fare.
Non ce la faceva nemmeno lui.
Era una cosa un po' complicata, si incolpava specialmente di aver rovinato tutto come al solito.
La madre era morta e lui non si era ripreso, mai.
Eppure era consapevole che nemmeno William era mai stato bene, però l'egoismo insito in lui lo portava a non pensare ad altri che sé stesso e a modi per trovare un senso alla propria vita, dimenticandosi di suo fratello e dei propri iniziali buoni propositi di dargli una mano in qualche modo.
Pensava inoltre che il problema fosse solo lui, se non fosse esistito suo fratello sarebbe stato meglio senza preoccupazioni, senza doverlo tirare fuori dai guai continuamente.
Rimase poco ancora là decidendo con uno sbuffo stufo di uscire dal locale.
Era solo un codardo alla fine, si sentiva così: tutto fumo niente arrosto.
Il suo tormento interiore sarebbe continuato per sempre se non avrebbe smesso di guardare sé stesso.
Ci teneva a modo suo a William ma non sapeva come dimostrarlo. Sentiva il vuoto che quel ragazzo provava giorno dopo giorno, era un vuoto non depresso, solo un silenzio regale per non ferire nessuno e fare quello che sua madre, forse, avrebbe voluto.
Andrew in realtà era l'unico a capire alla perfezione il biondo principe, peccato che non capisse sé stesso.

A cena era solo, William aveva già mangiato così gli avevano servito la cena. Nessuno osava più parlargli, lo vedevano come un fantasma irriconoscibile.
Quando il fratello seppe che era tornato, venne da lui a salutarlo.
Non sapeva nemmeno della gara di equitazione, Andrew come consanguineo era effettivamente una frana, ne era consapevole ma non poteva o non voleva farci nulla.
Si scambiarono qualche parola distanti ed educati nel corso delle quali il rosso osservò attentamente l'altro di fronte a sé.
Non gli avrebbe detto nulla di Kate ma solo accennato.
Per capire meglio...
- Ho saputo che hai lasciato Kate... -
Si stupì, Will, dopotutto non era da lui avere delle informazioni sulla sua vita privata… non sapeva nemmeno mai i giorni delle sue gare!
- La nonna era contenta… -
Decise quindi di alleggerire l'argomento, non gli dava fastidio fondamentalmente, più che altro non reputava l'argomento tanto importante da parlarne a tavola in uno dei rari momenti in cui aveva la compagnia del fratello.
Tuttavia questo bastò all’altro per fargli capire tutto.
William non aveva nemmeno pianto, non era dispiaciuto, non gli era pesato.
Poteva sembrare insensibile eppure non era così.
Quel ragazzo, come lui, cercava qualcosa che ancora non aveva trovato e ognuno lo faceva nel modo sbagliato.
Non avevano un cuore di pietra.
Volevano qualcosa di vero, meno perfetto e giusto.
Assurdamente sembravano lontani, ma erano più vicini di quanto sembrassero.
Erano molto vicini.
Non proseguì l'argomento e semplicemente dopo aver concluso la cena con entrambi i propri pensieri per la testa, si alzarono da tavola per andare nelle rispettive camere a continuare nella solita solitudine le loro continue riflessioni.
Vicini ma diversi anche se alla ricerca della stessa cosa.
Si sentivano comunque soli e vuoti lasciati a loro stessi in una vita che forse era per loro e forse no.
Una vita di cui non capivano il significato a fondo.
Si sarebbero mai ripresi?
Le cose, era il caso di dirlo, non andavano affatto bene.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** soggetti smarriti ***


CAPITOLO VII:
SOGGETTI SMARRITI

'Un altro mondo, diverso, opposto, scomodo ma ugualmente realtà. Due mondi diversi che vengono a contatto.'

Le strade della bassa città, i quartieri malfamati, correvano intorno a lui. Li osservava attento come se fosse la cosa più interessante e affascinante che avesse mai visto.
Per lui era così effettivamente.
Sapeva benissimo dove stava andando, gli amici che si era fatto stavano in quel posto.
Era un posto pieno di bande di teppisti ma non gli facevano certo paura, in fin dei conti lì nessuno lo riconosceva quindi poteva stare tranquillo.
Mentre camminava dritto verso il luogo d’incontro, si guardò con discrezione intorno in quello che era un mondo molto diverso rispetto quello in cui era cresciuto: in un angolo due persone si stavano picchiando in un litigio che sarebbe certamente sfociato in qualcosa di pericoloso, poco più in là correva fra la gente un ragazzino poco più che bambino inseguito dall’adulto derubato, in ogni marciapiede v’erano poveri ed elemosinanti.
In linea generica quel posto l’affascinava anche se doveva ammettere che non ogni cosa gli dava la stessa sensazione, nonostante questo dal suo punto di vista rimaneva comunque un posto decisamente più accettabile del ‘suo’, perché era reale e non fintamente dorato.
William ci stava bene in mezzo a tutto quel lusso e a quella ipocrisia dove il problema più grande era a chi avrebbe dato il trono la Regina, lui però no.
L'attenzione di Andrew fu attirata da una cupola di ragazzi radunati attorno a qualcuno, avendo riconosciuto fra la folla un suo amico si avvicinò incuriosito e vide.
La musica R&B usciva da uno stereo a pile e accanto un ragazzo al centro del cerchio umano, ballava della break dance, o meglio quel che più propriamente faceva, era creare una nuova sorta di arte lasciando di stucco gli spettatori assetati dai suoi movimenti fulminei e ritmati, pieni di onde, salti e giri. Nessuno riusciva a staccare gli occhi da lui.
Il giovane aveva un bel fisico, tipico del ballerino di strada, i capelli neri e mossi erano trattenuti da una bandana scura e la pelle era abbronzata. Non si riusciva ad intravedere altro poiché il volto era indecifrabile vista la velocità e le contorsioni che faceva.
Anche il rosso, come tutti, rimase presto incantato: non aveva mai visto nessuno ballare così bene ed in quel modo.
Stupito non gli staccò gli occhi di dosso, tuttavia le note ritmate cessarono e il ragazzo si fermò arrivando in piedi da un salto; a quel punto, come era naturale, un ovazione di complimenti si levò dalla folla che l’aveva guardato facendo ricambiare gli sguardi con uno suo penetrante e un po' provocante, oltremodo strano ed incomprensibile secondo il giovane principe che finalmente riusciva a guardarlo bene.
Aveva gli occhi più neri che avesse mai visto e i lineamenti tipicamente stranieri, gli occhi leggermente a mandorla, squadrato. Non bello ma dal fascino selvatico, intrigante.
Andrew si stava quindi accingendo a fargli le sue lodi quando fu preceduto da una ragazza che perse tempo civettando con lui, attendendo dunque che si liberasse finì per osservare il suo comportamento alle prese con una corte simile. Fu non poco sorpreso di vedere come l’allontanò nell’immediato reagendo decisamente male rispetto ad una cosa semplice ed innocente come quella.
Di nuovo gli parve strano, aveva sempre avuto l'idea che i ballerini di break dance si esibissero in quel modo in pubblico anche per attirare le ragazze. Era un idea generale dettata evidentemente da qualche pregiudizio, quando però vide quello sconosciuto non essere molto amichevole anche nei confronti degli altri che volevano complimentarsi, si chiese se fosse lui a non essere molto simpatizzante e socievole o l’intera categoria di ballerini di strada… magari aveva sempre avuto un idea diametralmente sbagliata dalla realtà, chi poteva dirlo, a quel punto?
L’idea di scoprire come stessero le cose gli balenò alla mante ma consapevole del litigio che sicuramente ne sarebbe scaturito, preferì stargli alla larga.
Eppure non riusciva a staccargli gli occhi di dosso, sperava ballasse ancora…
- Andry, sei arrivato... hai visto che bravo? -
Il suo amico si accorse di lui e avvicinandosi lo salutò amichevole.
- Si, non ne avevo mai visti di così bravi, ma è di qua? -
Istintivamente mostrò interesse visibile per lo sconosciuto, cosa che non stupì visto che Andrew aveva amici solo in quei luoghi.
- No, non è di qua... credo sia comunque europeo, di preciso non saprei. Chiediglielo se ti va... -
Scosse la testa.
- No, non mi sembra socievole... -
- Comunque è arrivato oggi e nessuno sa nulla di lui, meglio fare attenzione. -
Non rispose continuando a guardarlo sovra pensiero.
Qualcosa in lui lo attirava ma non sapeva bene cosa fosse, inclinò il capo ignorando l'amico accanto che parlava chiedendogli cosa gli andasse di fare quel giorno. Gli porse lo skate board e non fu notato.
Gli occhi verde chiaro scrutarono a fondo con attenzione il ballerino, voleva sapere il suo nome. Chissà se imparare una cosa come la break dance gli sarebbe piaciuto... chissà...
- Come si fa ad imparare? -
Chiese improvvisamente di punto in bianco dimostrando di non aver ascoltato minimamente l’amico che rimase spaesato.
- Cosa dici? Ma hai ascoltato quel che ti ho detto? -
Non fu di nuovo calcolato e addirittura più seccato, come se tutti dovessero ascoltare quello che diceva per rispondergli senza giri inutili, ripeté:
- Dico: come si fa ad imparare a ballare così? -
Sgranò gli occhi: l'ennesima sorpresa della giornata. Andrew che dimostrava serio interesse verso qualcosa? Incredibile…
Per non farlo arrabbiare ulteriormente rispose immediatamente lasciando da parte il proprio stato d’animo:
- Io... ecco... non so, non ballo nemmeno io... boh, credo che sia un dono naturale. Poi certo devi incontrare quello che ti insegna... -
Fra le sue conoscenze nessuno sapeva farlo bene, forse solo qualche semplice onda al massimo così sentendo il conseguente sbuffo spazientito del rosso, si preparò ad una giornata di malumori.
Lo consideravano un po' il capo banda nonostante fosse un principe di un altro mondo, viziato e abituato ai lussi. Lo vedevano come un pesce nato in un mare sbagliato, sapevano che non sapeva nuotare dove era stato destinato e lo compativano senza capirlo a fondo. Lo accettavano nel gruppo consapevoli che nessuno aveva mai quello che voleva e che meritava. Non lo accusavano tanto meno criticavano anche se aveva un caratteraccio terribile e cercava solo forti emozioni… del resto erano solo affari suoi.
Dal loro punto di vista un principe ribelle che scappa dalla corte era molto divertente, ma lo accettavano come capo perché il gruppo che aveva trovato non vantava di personalità forti come la sua, inoltre pagava sempre lui ogni cosa.
Tuttavia se lo chiese: e se avesse incontrato uno tosto?
La folla si era quasi del tutto diradata e notò il ragazzo si accendersi seccato una sigaretta per poi guardarsi intorno e avvicinarsi a loro fissando l'orologio di marca al polso di Andrew.
- Scusa, mi puoi dire l'ora? -
Aveva un forte accento straniero ma non avrebbe mai saputo identificarlo. La voce era bassa e cauta ma allo stesso tempo il tono fiero e sicuro.
Da vicino notò molti dettagli quali le goccioline di sudore che gli colavano lungo il volto, il fiato corto per il ballo, la sigaretta che stava molto bene nelle dita rovinate e affusolate…
Però riuscì a far finta di nulla e dirgli l'ora come nulla fosse. In risposta borbottò una frase nella lingua sconosciuta di prima per infine ringraziare e voltarsi.
- Un momento. Visto che ci sono volevo farti i complimenti. Dove hai imparato a ballare così? -
Ricevette uno sguardo torvo e infastidito, cercava di trattenersi, lo si vedeva.
- Col talento ci nasci… e poi io ho imparato per strada, nella mia città. Un po' da solo, un po' osservando chi sapeva farlo... -
Sembravano parole normali, gentili anche ma fu il tono seccato sulla difensiva che colpì l’interlocutore. Era come se si stesse difendendo da qualcuno che voleva attaccarlo verbalmente.
Lo vide chiudersi come un gatto randagio che tira fuori gli artigli ed è pronto a tutto per non farsi toccare e improvvisamente capì chi era: proprio un gatto selvatico cresciuto per strada da solo con un sacco di brutte esperienze, una bestiola che ora aveva paura, rabbia, orgoglio ed un sacco di sentimenti forti e contrastanti.
Eppure lesse la tristezza sul fondo del buio di quelle iridi.
Il modo di ‘rivoltarsi’ verso di lui diede fastidio ad Andrew, non era stato sgarbato tanto meno offensivo. Il proprio era stato un intento gentile…
- Non volevo irritarti... -
Disse sullo stesso tono dell'altro.
La cosa stava sfuggendo di mano e se ne risentirono entrambi. Il ragazzo probabilmente non aveva gradito l'invadenza e la curiosità. Andrew semplicemente il modo con cui aveva parlato.
- Bè, io ho solo risposto! -
Disse laconico l'altro.
Rimasero in silenzio a guardarsi torvi poco convinti per un breve istante.
L'impressione era che lo straniero cercasse di essere gentile in apparenza per la disciplina che gli avevano dato, rigida e severa, ma al tempo stesso ci fosse in lui un contrasto quale il mondo malfamato in cui era cresciuto che gli aveva provocato la nascita di quei sentimenti e reazioni forti. Era uno che i piedi in testa non sapeva cosa fossero.
Da ammirare, però doveva imparare che non in ogni cosa c'erano cattiverie contro di lui.
Fu un lampo eppure ebbe questa idea completa di lui, Andrew, che però preferì lasciar perdere, per lo meno quella sarebbe stata la sua intenzione se non fosse stato fermato dalle parole del moro con la bandana che ancora lo aggrediva con lo sguardo.
- Tu piuttosto, che ci fai qua? Sei di razza, vero? Lo si capisce subito! -
Questo mandò il sangue alla testa al principe che gli si avvicinò di nuovo guardandolo non male, ma peggio.
- Cosa vuoi dire? -
- Sei tu lo straniero qua, non io. -
- Fino a prova contraria io sono nato qua mentre tu sei straniero... e non ho mai avuto atteggiamenti razzisti!-
Ribatté convinto su quello che diceva. Anche il giovane aveva avuto un idea precisa in poco tempo del rosso.
- Sei nobile, tu, lo si vede dai vestiti, dal linguaggio e dal portamento. Cosa ci fai qua, nella parte del mondo schifosa? Io ci sono nato in posti come questi, tu no. Gli sguardi superiori come i tuoi li conosco e li detesto. Non sono stupido, leggo fra le righe, negli sguardi e nelle parole.-
Si era come acceso. Parlava bene la lingua nonostante non fosse la sua, l'accento si sentiva ma non infastidiva più di tanto.
Perché se l'era presa tanto con lui? Aveva letto?! Cosa? Andrew fu colpito, tuttavia, dalla sua acutezza d’osservazione.
- Allora lasciati dire una cosa: non ogni cosa che succede è contro di te! Da un complimento ti sei aizzato contro di me! Ti sembra normale!? -
Così sentì delle urla non indifferenti, prepotenti, rabbiose, con l'orgoglio insito in ogni cellula.
- NORMALE? TU INVECE LO SEI CHE SCONFINI IN POSTI CHE NON SARANNO MAI MONDI TUOI? IO NON SONO VISSUTO NELLA NORMALITA’ MA NON CREDO DI ESSERE MENO DI UNO CHE HA I SOLDI ANCHE NELLE MUTANDE CHE INDOSSA! TU NON SAI NULLA DI ME E TI METTI A DARMI CONSIGLI! MA CHI SEI!? MA CHI TI CREDI DI ESSERE!? UNO COME TE DEVE SOLO ANDARE A FARE IL BAMBINO VIZIATO NEL SUO CASTELLO! -
Rimase colpito da quelle parole accusatorie e piene di rancore, si sentì come se l'avessero preso a pugni. Nessuno aveva mai osato rivolgersi a lui a quel modo, eppure poteva comprenderlo, in fondo… era questa la realtà, però nessuno mai gli aveva dato del vittimista viziato buono a nulla e sentirselo gridare così su due piedi non gli era stato bene. Assolutamente. Come si permetteva quel tipo di dirgli quelle cose?
- Un castello dorato può essere una prigione quanto lo è un quartiere povero! Con la differenza che in uno c'è la libertà. -
Non aveva urlato, gli avevano insegnato a non farlo, ma era stato rabbioso e penetrante anche lui.
La verità ce l'avevano entrambi ma non si sarebbero mai incontrati finché nessuno dei due avrebbe avuto l'umiltà di capire l'altro e due sconosciuti con caratteri simili non si sarebbero mai capiti.
- Libertà? Nella povertà, nella malattia, nelle lotte continue per non morire dove la vedi la libertà? Tu non hai mai capito nulla né di questo mondo né del tuo! Torna da dove sei venuto. Qua da solo non sopravvivresti nemmeno un minuto! -
Parole dure, molto dure, e in un certo modo molto vere, troppo.
Nessuno si era mai preso la briga o il coraggio di dirglielo.
Si fissarono malamente negli occhi a lungo, però Andrew non trovò più risposte. C'erano molte cose che non aveva mai considerato nel suo egoismo e sentiva che solo ora cominciava effettivamente ad aprire gli occhi forzato da qualcuno, uno sconosciuto odiosamente sfrontato.
Come erano finiti a quello?
L'amico non era intervenuto in accordo, in fin dei conti, con lo straniero, aveva preferito starsene fuori per non perdere la comodità dei soldi del principino.
Non c'era nulla di bello, libero ed affascinante nella parte del mondo che faceva schifo a tutti.
Finì così con un nulla di fatto. Ognuno per la sua strada e il rosso in camera sua di umore nero che rifletteva fermamente sconvolto sulle parole del ragazzo.
Tutta la sua visione delle cose era sfumata completamente.
Ora cosa voleva?


Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Che ironia! ***


CAPITOLO VIII:
CHE IRONIA

'Come far crollare ogni aspettativa e l'immagine dei reali? Basta poco... davvero.'

Tutto partì da una convocazione della regina a ‘sua altezza reale il principe William’. Tante cerimonie fecero presupporre facilmente le intenzioni di quella 'simpatica' anziana signora.
Entrò nello studio della nonna nel quale ogni mobilia valeva circa uno stipendio intero.
Il giovane rimase composto e attese, dopo aver educatamente salutato, che gli parlasse; si disse mentalmente che il fatidico momento era arrivato. Se fosse stato una persona come tanti avrebbe alzato gli occhi e l'avrebbe prevenuta facendo cadere ogni aspettativa, ma lui non era tipo, preferiva per rispetto lasciare che tutti si esprimessero facendo poi capire il suo punto di vista nel migliore dei modi possibili, indolore e diplomaticamente. Suo fratello Andrew semplicemente non ci sarebbe andato alla convocazione.
La donna di una certa età avanzata donò la sua attenzione al nipote ancora in piedi che paziente attendeva. Sorrise compiaciuta per il gesto e l'aspetto con cui si presentava. Cresceva sempre meglio e aveva tutto di un principe, a partire dallo sguardo per finire con la posa del corpo e la mano che teneva il dorso dell'altra, adagiata davanti a sé.
Un breve inchino e poi disse con la sua voce vellutata dal linguaggio cortese.
- Mi ha fatto chiamare? -
La regina sorrise doppiamente compiaciuta, suo nipote era nobile in ogni singola parte.
Era pronto.
Era arrivato il momento.
Non aveva ancora conosciuto la ragazza, ma dall'aspetto sembrava alla sua altezza. Non avrebbero sfigurato l'uno accanto all'altro ed essendo del loro stesso ceto sociale era sicuramente in gamba. Non se ne sarebbe pentita, ne era certa.
- Caro, è venuto il momento che tu prenda moglie. Non parliamo subito di nozze, ma di un semplice fidanzamento ufficiale. Certamente col tuo consenso che avverrà, non ho dubbio, quando avrai incontrato la nobile che ti proporrò. Penso ti piacerà.
Si tratta della principessa di un ducato minore al nostro, ma comunque il titolo è quello che importa.
Non ho intenzione di lasciare il tuo destino a tuo padre, mi prenderò cura io di te e questa volta davvero... -
William lo sapeva perfettamente, era preparato.
Accennò ad un sorriso indecifrabile e con la solita garbatezza si limitò a non ferirla subito, lo trovò inutile. L'avrebbe fatta contenta, avrebbe incontrato la ragazza e poi a modo gli avrebbe risposto che non intendeva ancora né fidanzarsi né sposarsi... e poi non sarebbe stato male per lui allontanarsi da quel mondo aristocratico pieno di serpi. Lui principe lo era nell'animo, inconsciamente, ma non per questo voleva diventare come Andrew; semplicemente agognava, come ogni essere umano, alla propria pace. Eppure sapeva che per ottenerla non doveva far venire meno quella degli altri che lo circondavano.
Il suo problema era che possedeva troppo rispetto.
Decisamente troppo.
- Qual è il suo nome? -
- Charlotte Chesfild. -
Non la conosceva. Se era stata scelta da sua nonna si immaginava una ragazza tipica aristocratica con la puzza sotto il naso che si pavoneggiava trattando poco gentilmente chiunque, una viziata e capricciosa. Bella ma detestabile. Insomma... più che detestabile, indifferente visto che non era a quel mondo per giudicare chi non conosceva.
Così sorridendo di circostanza, si congedò lasciando una sana illusione alla regina.

Quando pochi giorni dopo arrivò l'ospite, la principessa Charlotte, furono tutti in trepidante e composta attesa. Solenni come arrivasse la vera sposa del principe. Un corteo di servitù si era raccolto davanti all'ingresso principale del castello e la regina con accanto i due principi, obbligatoriamente anche Andrew per l'occasione. Questi erano vestiti e sistemati di tutto punto mentre il figlio della regina e la sua consorte erano assenti dal momento che non erano ancora tornati dal loro viaggio di nozze.
La lunga auto nera arrivò accostando davanti ad essi. Ognuno aveva in mente una classica immagine di principessa elegante e fine, sarebbe scesa con armonia e avrebbe gentilmente ringraziato dell'ospitalità esprimendo la sua gioia nella possibilità di conoscere il futuro fidanzato, un principe di un ducato più grande del suo, tutto questo con un inchino e un sorriso.
Ecco che la portiera fu aperta dall'autista, la ragazza uscì dall'auto e prima ancora di farsi vedere mise male un piede saltellando in avanti per non cadere. In precario equilibrio, tutta contorta, si drizzò portandosi i capelli all'indietro, erano disordinatamente raccolti e diverse ciocche sfuggivano da quell'acconciatura composta da un fermacapelli a molla, consisteva in un nodo mal riuscito che grovigliava i capelli castani molto lunghi.
La giovane si tolse gli occhiali da sole e aprì la bocca per parlare. Tutti col fiato sospeso per quanto avvenuto fin ora.
E parlò.
- Ma che viaggio di merda! -
Silenzio.
Ancora silenzio.
Un silenzio quasi mortale... e una risatina si levò dal principe minore dei due, quello dai corti capelli rossi.
La ragazza vestita di scuro con pantaloni e camicia mezza slacciata, stropicciata e disordinata aveva una bella bocca carnosa di natura, sopracciglia non molto sottili ma nemmeno esageratamente folte, occhi blu intenso e nemmeno un filo di trucco. I lineamenti erano particolari, come definire la sua bellezza? Grezza? Selvatica?
In poche parole: eleganza sotto i tacchi. La bella immagine della fanciulla aggraziata e fine andò a finire in un posto poco carino da nominare!
- Sua altezza reale la regina, il principe William e il principe Andrew. -
Una voce li annunciò e come di rito fecero un passo avanti con un cenno di saluto.
La ragazza li fissò avvicinandosi a sua volta, squadrò poco carinamente tutti e tre per poi con una smorfia chiara che diceva: 'che snob', presentarsi.
"Per lo meno se lo ricorda..."
Pensò William sperando che a sua nonna non venisse un infarto.
- Ciao, sono Charlotte... -
Un masso enorme insaccò le loro teste nel collo. Era come sentire chiaramente i battiti cardiaci della regina che aumentavano.
"Fa che non le venga un infarto..."
- Ciao... io sono Andrew, lui è William e lei è la regina... -
Prese in mano la situazione colui che caratterialmente sembrava più vicino alla... principessa.
Colui che si stava divertendo alla grande!
William dal canto suo non badò molto a questi dettagli, si preoccupò perché se la regina lasciava quel mondo proprio in quel momento, si sarebbe dovuto occupare lui del funerale e di tenere a bada i giornalisti, infine avrebbe dovuto dire il motivo e lì sarebbe stato imbarazzante, lui sarebbe andato in prima pagina e tutti avrebbero visto lui e Charlotte come sposi!
Freddamente tese la mano e quando se la strinsero il suo sorriso per le grandi occasioni fece suo sfoggio illuminandogli un volto di chi in realtà è distante.
- Piacere. Spero che, nonostante il viaggio, ti troverai bene qua... anche se credo che ci sia stato un errore... -
Lei alzò un sopracciglio. Da vicino non era male, bastava avere immaginazione e vedersela pettinata, ordinata, vestita bene e magari con un filo di trucco... tuttavia rimaneva lontana mille miglia dall'immagine che si era fatto e forse, in fondo, non era totalmente un male, l’ammise.
- Perché un errore? -
Aveva un tono di voce diretto e schietto, nel quale la garbatezza non era nemmeno di casa.
"Da chi è stata cresciuta?"
Pensò, suo malgrado rispose con diplomazia e serenità.
- Dubito che in questo loco sia presente colei con la quale ci eravamo accordati... -
Spalancò gli occhi mostrandoli più grandi di quel che sembrassero, l'abbronzatura invidiabile era l'unica nota positiva.
Stupita fece:
- Perché, chi vi aspettavate? -
Ecco un secondo sorriso e con la cortesia più alta del globo William rispose continuando a stringere la mano di Charlotte:
- Una principessa! -
Quando capì il senso della risposta, la ‘dolce fanciulla’ istintivamente, o forse molto di proposito, strinse il palmo dell'altro con forza per poi agire facendo la cosa più intenzionale di tutte: una pestata di piede.
Già, proprio così.
La splendida principessina, promessa sposa di William, per vendetta pestò irata il piede al suo futuro consorte, visti tali da tutti i presenti; questo a causa della battuta, a suo parere, di cattivo gusto.
Quel che si sentì dopo fu solo la risata del fratello Andrew che si liberò sopra tutti mentre l'autista ancora lì vicino coi bagagli della ragazza, corse per sorreggere la regina sentitasi male.


Proprio quella stessa giornata, con grande ironia della sorte dopo il pessimo scontro forzato, la famiglia reale fece un'altra scoperta.
Un informatore che lavorava a palazzo si preoccupò di informare il principe William.
- Signorino... in giro non si parla d'altro, su tutti i giornali e nelle trasmissioni. Facendo perno sul caso di sua madre, hanno preso di mira la neo coppia, suo padre e la consorte ora in viaggio di nozze e ignari. Malevoci che presto avranno le inevitabili conseguenze come abbiamo visto con sua madre grazie a foto compromettenti.-
Un attimo. Basta una sciocchezza, sempre, per far crollare quel poco di serenità che con fatica ognuno pensa di riuscire a crearsi. Tutti, anche la persona più detestabile, ne ha diritto. Eppure basta un nulla per far sfumare quello che per qualcuno può essere tutto.
Che ironia.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** gelido ***


CAPITOLO IX:
GELIDO

'Prendendo le cose nelle proprie mani si rischia di venire troppo in primo piano. Qual è la vera pace? Lasciare che la gente parli oppure metterli a tacere?'

Le voci si espansero a macchia d'olio e nel giro di poco tempo tutti i giornali, la televisione e le persone parlavano del principe Alberth e della neo-principessa.
Scavando nelle vite private cercavano di distruggere la loro immagine e la loro vita, una costante che facevano spesso coi personaggi pubblici.
Cercare scoop, trovare i Reali in fallo, coprirli di fango solo per fare notizia, per invidia...
Scandali su scandali.
Il lavoro della gente che non si faceva mai i fatti propri.
Per William fu come un deja-vu.
Ovunque si voltasse si sentivano le notizie su ciò che facevano suo padre e la sua sposa, ancora in viaggio di nozze. Come se non esistesse altro. Tirando fuori il passato della donna distruggevano l'immagine che era già precaria.
Quello che rimaneva della famiglia reale si rinchiudeva nel palazzo senza rilasciare interviste a parte Andrew che comunque se ne andava di nascosto fregandosene della situazione. Diceva che non era mai stata una vera famiglia e a lui non importava.
La Regina faceva come se nulla fosse, vergognandosi di quel figlio erede al trono, intestardendosi che non l'avrebbe ceduto ad uno come quello.
Odio su odio.
Mentre tutto questo avveniva all’esterno, delle immagini nella mente del principe William ripresero nuovamente a tormentarlo, come accadde anni addietro, alla morte della madre.
Dalla finestra della sua camera, al secondo piano, guardava i giornalisti che si accalcavano fuori dai cancelli chiusi, sotto la pioggerella sottile primaverile, la stessa identica scena di cinque anni prima.
Era stato pietoso.
A quel tempo era ancora un ragazzino ed era rimasto shockato ad osservare come quelle persone che avevano finto dispiacere al funerale, il giorno dopo avevano iniziato ad indagare sulla morte scovando segreti e cose a dir poco terribili.
Come se non si rendessero conto che qualcuno soffriva. Forse pareva strano che anche personaggi pubblici soffrissero, chissà. Eppure era così, c'era chi riusciva a starci male e questo nessuno riusciva a vederlo.
Quel mondo era certamente sporco ma questo non dava il permesso di distruggere le vite altrui.
William aveva assistito inerme allo scempio che avevano fatto alla madre a quel tempo quando, nemmeno onorata come si doveva, già tutti si erano affannati a trovare la verità sulla morte. Gli avevano detto che era stato un incidente in macchina a Parigi, il suo viaggio era terminato male e spiegazioni dettagliate non ne avevano date.
Nel giro di pochissimo, però, le indagini avevano portato a rivelare a tutti che in realtà il principe Alberth aveva tradito la principessa, come già si sapeva, e che anche lei aveva fatto altrettanto per ripicca. Quel viaggio l'aveva fatto proprio col suo amante. Era stato per scappare dai classici paparazzi che correndo a rotta di collo avevano fatto quel violento incidente.
Come se non bastasse erano anche girate ovunque le foto della macchina distrutta e dei corpi dell'autista, dell'uomo in macchina con loro, l'amante, e di Alicia.
Corpi veramente malridotti.
Senza alcun rispetto.
Anche se erano personaggi pubblici e avevano fatto cose effettivamente di cui vergognarsi, questo toglieva il diritto di ricevere il rispetto? Era una persona morta e sapere che in fin dei conti la colpa era dei giornalisti che avevano voluto a tutti i costi coglierli in flagrante in chissà quale scandalo, non aveva giovato al giovane primogenito.
Già a quel tempo era una famiglia inesistente e nessuno aveva alzato un dito per porre fine a quel giro vizioso di pettegolezzi e scoperte.
Era stato mortalmente ferito.
La chiusura e l'allontanamento del fratello, il padre che aveva reso ufficiale il fidanzamento con quella donna senza nemmeno far trascorrere del tempo in più, la regina che non poteva sopportare più nessuno e ripeteva che col figlio aveva chiuso, non aveva nemmeno voluto ascoltare quanto i giornalisti e gli indagatori scoprivano. Infine lui lasciato solo in una camera deserta e spaziosa a guardare la calca della folla fuori dal loro castello, a guardare in silenzio senza poter fare nulla, solo sapere e sconvolgersi di quanto gli veniva detto. Foto su foto della madre distrutta ancora col sangue sul volto sarebbero per sempre rimaste impresse a fuoco nella sua mente come tutte quelle giornate, quelle ore trascorse da solo ad ascoltare, osservare, prendere atto e soffrire in silenzio nell'unico modo che conosceva.
Forgiandosi da solo. Dando vita pian piano a quel principe che tutti conoscevano al giorno d'oggi come il re del silenzio. Non si era mai intromesso negli affari pubblici della famiglia reale, era rimasto al suo posto cercando una pace che ancora non aveva avuto, cercando quel rispetto che avevano calpestato, facendo finta di nulla. Testimone della disfatta della sua famiglia.
Colpi su colpi incassati e lui che sorrideva ancora e cosciente, distante, composto, onorava la famiglia. Un grande nobile, probabilmente l'unico vero fra tutti i parenti.
Successivamente aveva fatto di tutto per non dissolvere anche quel poco di rapporto che era rimasto col padre. Non aveva mai sentito nulla per la nuova matrigna, ma l'aveva rispettata da subito, in fondo c'erano persone peggiori di lei, al mondo, lo riconosceva…
Rimase a lungo ad osservare quelle persone sapendo perfettamente cosa volevano.
Strinse i pugni e d'improvviso la sua espressione indecifrabile ed invalicabile divenne dura, il gelo negli occhi azzurri, le labbra una linea sottile in quel volto marmoreo dai lineamenti classici ed eleganti.
Si voltò scegliendo nell'armadio i vestiti da indossare.
Un abito per le occasioni ufficiali, camicia bianca, giacca, cravatta e pantaloni in stoffa fine e pregiata, neri.
Si guardò distante allo specchio. I capelli erano diventati troppo lunghi. Non erano adatti. D'ora in avanti sarebbe apparso spesso in pubblico.
A breve si trovò con l'addetto che gli accorciava i capelli sistemandogli il taglio, nascondendo le ciocche ribelli che si allungavano attorno al viso. Un taglio corto ma non esagerato, per un immagine classica.
Con sguardo duro e freddo andò alla sala ricevimenti senza nemmeno parlare con sua nonna chiusa nella propria stanza, poi diede ordine di far entrare i giornalisti.
La notizia che il principe William aveva concesso udienza ai mass-media era arrivata ovunque e nel giro di pochissimo arrivarono ad assistere alla scena anche quelli che stavano già a palazzo, maggiordomi e governanti.
Si interessò alla faccenda anche la principessa Charlotte ospite della famiglia reale, non si fece notare, rimase nascosta. Aveva una pessima idea di quel ragazzo, il classico principe come tanti che sottostava ai voleri dei genitori e dei nonni. Non si preoccupava minimamente di fare quello che gli interessava, una marionetta come tanti al posto suo. Lo vedeva così. Snob, superiore anche se in realtà non lo era, odiosamente con la puzza sotto il naso, uno insipido. Non gli piaceva e si sarebbe opposta al fidanzamento con uno così. Tanto bello quanto caratterialmente sbagliato. Si diceva che il proprio fratello maggiore aveva rivoluzionato il ruolo del principe moderno e non avrebbe sicuramente sposato uno così diverso da lui. Ribelle non sottostava ai voleri di nessuno, andava e veniva da palazzo come gli pareva e non rispondeva mai dei suoi doveri, ma aveva un gran carisma, faceva parlare di sé nell'esatto modo in cui lui voleva e sapeva rigirarsi chiunque volesse. All'occorrenza adempiva ai suoi compiti. Suo fratello era un vero principe, non quel damerino sputasentenze.
Era curiosa di vedere di cosa fosse capace.
Aveva un look ancora diverso dal solito, appena arrivata volta l'aveva certamente visto in versione formale, ma non era comunque paragonabile a quella attuale.
I capelli corti, un abito costosissimo da cerimonia ufficiale e lui posto dietro a quel tavolone pieno di microfoni, flash, telecamere, fotografie e giornalisti.
Aveva un espressione mai vista in nessuna persona, fino a quel momento.
Seria, diplomatica, tagliente.
Parlò conciso e gelido, come se non fosse il gentile principe che tutti conoscevano.
Era arrabbiato.
Si poteva definire così quello stato in cui era.
Era arrivato al limite e non ci stava più. Non avrebbe mai più osservato passivo certe cose e se questo comportava la fine della sua pace, quindi venire allo scoperto e cominciare a fare la vera vita pubblica che spettava ad un principe, ebbene così sarebbe stato ma prima doveva sistemare tutta quella gente.
Avrebbe difeso il padre pur non provando quell'affetto che provava invece per la madre defunta.
Era una famiglia svanita, non c'era nulla che li legava, ormai. Però a lui dava fastidio quell'accanimento, quella curiosità morbosa, quel ricordare la principessa morta in quel modo.
- Io di preciso non posso capire questo accanimento, ma dietro al viaggio di mio padre e della sua nuova sposa non ci deve stare assolutamente nulla.
Se ha deciso di sposarsi non ci deve essere visto nulla di che. Io non sono qui per condividere o criticare e se non lo faccio io non vedo come a voi potrebbe interessare. Si arriva ad un età matura immaginando di poter fare quel che meglio si crede e si desidera senza dover rendere conto a nessuno e preoccuparsi di quello che potrebbe scatenare. Cosa ci potrebbe essere di male nel provare ad essere felici?
Volete sapere chi era in realtà Emily? Cosa vuole da mio padre? Quando hanno iniziato a frequentarsi? Cosa stanno facendo ora? Gli indegni comportamenti di un futuro re e di una futura regina? Ed io vi domando il perché.
Tuttavia penso che siamo adulti per capire che ciò che la gente fa non è affar di nessun altro che essi stessi e che questa curiosità morbosa non ha motivo di procedere oltre. Sarebbe inutile.
Un uomo e una donna si amano, non importa da quanto, questo deve bastare. Chi siano cambia poco. Sono adulti per fare quel che desiderano senza che venga toccata la defunta principessa Alicia, mia madre e prima moglie del principe Alberth.
Io esigo che non si tirino fuori nuovamente quelle foto, l'argomento che tutti conosciamo e che si facciano paragoni. Mia madre non deve essere toccata, non c'entra con questa loro storia, che sia d'amore o di interessi. Io non voglio sapere nulla. Voglio solo un po' di dignità e rispetto per chi non c'è più ed ha diritto di riposare in pace senza che si continui a parlare di lei.
Mio padre non ha bisogno di essere coperto di chiacchiere da nessuno. Ha agito nel proprio interesse come chiunque e ritengo ridicolo che debba rendere conto a qualcuno. Spero che non si faccia un caso nazionale sulla lunghezza del viaggio di nozze, sul periodo di fidanzamento, sulla morte di qualcuno. Spero di essere stato chiaro e incisivo. Mi scuso per la lunghezza del discorso, ma credo che questo possa bastare.-
Rispose ad altre domande molto brevemente lasciando tutti di stucco per questa gelida ma lunga dichiarazione. Diplomaticamente infuriato li aveva liquidati rimanendo sempre in sé, mostrando il vero William, colui che aveva difeso i genitori e messo a tacere voci.
Le notizie si spansero a macchia d'olio e le reazioni generali furono immediate.
Il risultato fu che tutta la questione sollevata dai giornalisti sulla coppia in viaggio di nozze fu messa a tacere, la defunta principessa Alicia fu lasciata in pace e tutto tornò come sempre sotto l'aspetto pubblico.
Ammirato e stimato da tutti, sia servitori che vivevano a palazzo che gente comune del regno, il principe William divenne noto e amato come un vero principe sarebbe da amare. Un principe degno di quel nome.
I primi passi verso il ruolo che gli spettava, quella nobiltà d'animo propria sua, li aveva mossi.
C'era anche chi aveva avuto un immagine pessima della sua persona prima di quel momento e che dopo quell'evento di cui giornali e televisioni parlarono a lungo, del principe William come persona in gamba che difese il padre, molti cambiarono opinione in positivo.
Charlotte fu fra questi segretamente, senza smentirsi prese a guardarlo con altri occhi. Non lo ammise del tutto, si disse solo che forse non era del tutto esatta l'impressione che all'inizio aveva avuto su quel ragazzo.
Si sarebbe riservata il giudizio per quando l'avrebbe conosciuto meglio.
Il fratello Andrew non era stato presente al momento fatidico, tuttavia la notizia volò e vide come tutti ora adoravano quel giovane principe che si rivelava sempre più migliore del padre e che cominciava a partecipare alla vita di società facendo ottime impressioni.
Il rosso fratello minore semplicemente non pensò nulla. Si limitò a prendere atto della cosa e a rimanere il più possibile lontano dal palazzo sentendosi fuori posto e terribilmente inferiore a quell'essere perfetto che aveva il suo stesso sangue!
Non ne parlò mai, non si complimentò. Come se ad Andrew non importasse nulla che la defunta madre e la famiglia rimanente disastrata, potessero venir coperti ancora di fango.
Come se a lui nulla lo toccasse.
La regina dal canto suo comunicò ufficialmente il suo volere che il principe William diventasse re prima del figlio ed erede Alberth, buono a nulla a sua detta.


Pochissimo tempo dopo al palazzo si presentarono un ragazzo ed una ragazza, invitati dalla madre Emily, la nuova principessa e sposa di Alberth.
Un ragazzo di 18 anni, semplice, nulla di appariscente od eclatante. Anonimo.
La ragazza somigliava molto a lui, aveva 17 anni.
Lui si chiamava Nikolaj e lei Clarissa.
Erano fratello e sorella arrivati per accogliere la madre dal viaggio di nozze, quel giorno gli sposi sarebbero finalmente tornati dopo aver rinviato la data di molte giornate.
Clarissa aveva un aria trasognata quando si trovava al cospetto del principe William. Si capiva subito il sentimento che provava per lui e a lui dava un fastidio immenso, fastidio accentuato dal fatto che da ora avrebbero vissuto tutti insieme come una grande famiglia... falsa e ipocrita.
Con amarezza nascose questo sentimento e sperò solo che potesse essere lasciato in pace almeno da questi due nuovi membri della famiglia.
Subito dopo il loro arrivo, dopo le consuete cerimonie di dovere, il biondo con stanchezza si ritirò nella propria stanza uscendo solo per i soliti impegni giornalieri, senza dire mezza parola.
Andrew per quell'occasione invece non era nemmeno stato presente.
Charlotte a sua volta si trovò a squadrare molto male e con una certa insistenza, i nuovi arrivati. Era chiaro cosa pensasse di loro: peste e corna.
Dal suo punto di vista era molto meglio rimanere affascinata da qualcuno in un secondo momento come alla fine era successo con William, piuttosto che convivere con gente sicuramente ed irrimediabilmente insopportabile.
Essere antipatici alla graziosa ragazza nobile era veramente terribile.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Conto finale alla rovescia ***


CAPITOLO X:
CONTO FINALE ALLA ROVESCIA

' Nella vita di tutti si arriva ad un limite. Quando quel limite si sorpassa, cosa accade?'

Il sole scaldava la giornata tersa, il cielo presentava un azzurro che si rispecchiava negli occhi aristocratici di William.
Il ragazzo era appena tornato da un'uscita d'affari col padre, in qualità d'erede ormai aveva molto da fare con quel genere di cose. Seccature in linea di massima. Lui ormai l'aveva accettato, si era consegnato al proprio destino con la volontà di diventare l'opposto di sua nonna e di suo padre.
Se proprio doveva essere un principe e futuro re, allora tanto valeva esserlo veramente e non solo di nome.
A modo suo.
Nonostante la calda giornata, il ragazzo vestiva con un completo nero di pantaloni, giacca, camicia bianca e cravatta. Un taglio elegante ma semplice allo stesso tempo, su di lui faceva un gran figurone, i capelli biondi ora corti nascondevano bene le onde naturali e ribelli.
All'ombra del portico del castello che ormai aveva poco d'antico, il principe stava in piedi, evitando così di rivelare il proprio volto.
Ignorando i vestiti costosi reggeva fra le braccia un meraviglioso gatto persiano, il lungo e folto pelo bianco risaltava sugli abiti neri, si notava subito, lo carezzava lento e assorto.
Uno sguardo penetrante e magnetico era diretto in un punto preciso, guardava una persona specifica poco distante da lì.
Davanti al portico c'era il giardino pieno d'erba, delimitato da siepi e alberi, in esso c'era una piscina fatta costruire recentemente su qualche capriccio dei novelli sposi. Al suo interno ci nuotava qualcuno.
Costei era Charlotte. Una Charlotte mai vista.
In costume sembrava tutt'altro che un maschiaccio. Nemmeno una principessa. Sembrava semplicemente una donna.
La vedeva sotto un'altra luce.
Dopo aver fatto una vasca era emersa dall'acqua eseguendo un arco coi capelli scuri, una scia di gocce si liberò nell'aria creando degli affascinanti luccichii col sole. La giovane inconsapevole della propria bellezza si passò le mani sulla testa lisciandosi la chioma castana, infine uscì dalla piscina rivelando tutto il suo bel corpo dalla pelle lucida e candida, un bikini nero dal taglio semplice e non ricercato la copriva evidenziando le sue morbide curve.
Aveva un che di proibito e sensuale, specie perché non era cosciente di sé stessa.
Non era mai sembrata una principessa ma nemmeno una ragazza, in quel momento la sua bellezza grezza aveva un languore inconsapevole che la rendeva molto affascinante.
Si asciugò il volto e il decoltè con un asciugamano blu scuro, i suoi occhi dello stesso colore ora erano più chiari, dopo il bagno spiccavano incredibilmente.
Sul volto i lineamenti perennemente imbronciati allontanavano chiunque desiderasse avvicinarsi anche in quel momento in cui pensava di essere sola.
Non era stata stabilita una data di ritorno a casa propria, volevano dar loro tutto il tempo necessario per conoscersi bene, ci tenevano che si accettassero e si sposassero, anche se era effettivamente presto per parlare di nozze.
Di fatto, la principessa Charlotte e il principe William ancora non si sopportavano, lui la ignorava e lei lo stuzzicava ogni qualvolta n'avesse l'occasione, come una bambina. Detestava i nobili con la puzza sotto il naso, la sua bellezza non significava nulla, anche se quella volta, quando aveva affrontato i giornalisti e sistemato la faccenda dello scandalo di suo padre, era stato veramente incredibile... quasi meritevole di stima.
Tuttavia si era imposta di smettere di rivalutarlo in quel modo, sicuramente era stato solo un attimo in cui non era stato affatto male. Tutto lì, nient’altro. Peccato che nonostante i propri severi ragionamenti acidi, aveva diminuito le frecciatine indirizzate alla lui.
Ora, però, era William che guardava Charlotte pensoso con un'espressione indecifrabile, proprio come in quei giorni aveva fatto lei con lui.
Il ragazzo composto e serio non si era ancora fatto notare e la sua mano si muoveva impercettibilmente sul manto morbido del felino. Come se l'aspettasse per far qualcosa di proibito, in un certo senso.
La studiava, la scrutava e attendeva immaginando qualcosa. Cosa? Sembrava impossibile dirlo…
Aveva deciso di prendersi del tempo per rivalutarla, anche se la prima impressione era stata devastante. In fondo non era una brutta ragazza e la scena che aveva visto per caso aveva destato in lui qualcosa, un senso inspiegabile d'attrazione.
Ammettere che era una bella ragazza, fisicamente di suo gradimento, non lo infastidiva, non gli faceva effetto, certo se si sarebbe anche vestita e comportata da principessa sarebbe stato ancora meglio.
Non perché lui fosse effettivamente snob e preferisse quelle del suo rango, bensì perché non gli piacevano le persone troppo aggressive ed ogni fibra di lei diceva che lo era.
Inoltre immaginandola impostata in un certo modo si poteva vedere quell'ipotetico ottimo risultato garantito.
Gli sembrava come se Charlotte volesse atteggiarsi per difendersi da qualcosa, fingeva in un certo senso, per coprirsi, per non farsi male, per non mostrare com'era veramente.
Era un ottimo osservatore, William, non lasciava capire nulla di sé stesso, dando un'immagine di persona tutta d'un pezzo, superiore agli altri; eppure capiva chi gli stava intorno.
Charlotte si avvolse nell'asciugamano e si voltò per entrare nell’edificio, solo quando mosse qualche passo verso il portico lo vide.
Lui era lì nell'ombra, immobile ed impassibile che la guardava indecifrabile senza un'espressione che le facesse capire cosa pensava, con quel gatto in braccio che carezzava con una cura e delicatezza ipnotici.
Per un attimo ebbe invidia di quel gatto ma si sentì scema quindi riprese il suo passo deciso e ignorandolo gli passò accanto, proprio in quel momento voltò la testa di scatto per scrollare l'acqua dai capelli, le gocce andarono a bagnare William che scosse leggermente la testa pensando che in ogni modo rimaneva la solita detestabile ragazzina.
Non si scompose ugualmente, il felino scappò infastidito e lei non si fermò.
Tutto sommato era troppo presto per rivedere il proprio parere sull’altrui persona!


C'era sempre una specie d'angelo custode che seguiva William in ogni spostamento per quell'immenso castello ma più che angelo custode era una zecca, secondo il parere d'Andrew.
- Quella sanguisuga... -
Mormorò a denti stretti vedendo che seguiva come un'ombra segreta suo fratello.
Se n'era accorto e aveva espresso solo a lui il suo fastidio verso la cosa.
Era la figlia della moglie di loro padre, l’altro figlio se ne stava per i fatti suoi e di questo gliene erano tutti grati. Meglio dire Andrew gliene era grato, a William non importava molto cosa facesse.
Lei, invece, la ragazzina che si chiamava Clarissa ed aveva 17 anni, era proprio insistentemente innamorata del bel principe.
Come se uno dei suoi desideri si fosse avverato: conoscere l'uomo dei suoi sogni d'adolescente, non che ora fosse troppo grande…
Era detestabile, agli occhi del rosso.
Preferiva notevolmente Charlotte, anzi sperava che si sposasse veramente col fratello e che non cambiasse come tutti i nobili.
Dopo un gesto di stizza con le mani decise di dedicarsi al suo passatempo preferito, da quando quei due erano arrivati a vivere con loro; così in un lampo organizzò uno scherzo e lo attuò.
I suoi scherzi non erano divertenti o leggeri, al contrario molto pesanti e di cattivo gusto!
La chiamò.
- Ehi, scusa, mio fratello ti vuole... -
La condusse in una stanza del castello poco frequentata e piccola.
Era una cosa semplice e facilmente scopribile, ma lei ingenuamente ci cascò, come sempre.
"È divertente giocare con lei !"
Pensò il rosso mentre la chiudeva a chiave all'interno della camera, quando cominciò a bussare e gridare di aprirle lui ebbe un ghigno e se n'andò con le mani nelle tasche per nulla intenzionato ad aiutarla. Con sollievo mentre ridacchiava per quanto appena fatto, si disse che in fondo c’era ancora qualcosa che poteva impedirgli la noia totale. Anche se comunque rimanevano ugualmente sciocchezze.
Incrociando il fratello di Clarissa nel suo percorso verso l’esterno, Nikolaj, gli lanciò la chiave e con aria sadica disse:
- Ti aspetta una caccia al tesoro! Il tesoro ovviamente è la tua dolce ed impicciona sorellina! Chi cerca trova! -
Tirò poi dritto dopo essersi impresso l'espressione comicamente stupita e scandalizzata del diciottenne che non poteva credere che quel tipo antipatico fosse arrivato a tanto. Tuttavia non fu calcolato più di un secondo.
Andrew uscì senza avvisare nessuno.

Fu l'incontro con Ilyr a sorprenderlo maggiormente in quella giornata apparentemente noiosa, come tante.
Aveva creduto che non l'avrebbe più rivisto, invece nel giro di poco tempo l'aveva davanti, peccato che dopo uno dei suoi balli che lasciava incantati, avevano finito di nuovo per litigare.
Probabilmente erano due persone incompatibili, troppo diverse fra loro, i mondi, modi di pensare, essere, parlare…
Ilyr era un tipo molto insolente, rabbioso, deciso, sapeva cosa voleva, inquadrava subito le persone e non aveva amici perché in ognuno c'era qualcosa che non gli piaceva.
Credeva d'essere solo al mondo e che tutti ce l'avessero con lui, probabilmente a ragione vista la sua storia. Ciò, in ogni caso, dimostrava solo che aveva molti difetti anche se aveva le sue ragioni.
Sbagliava il modo di dire le cose e di imporsi e difficilmente sarebbe cambiato.
Preferiva star solo.
Era molto severo sia con sé stesso sia con gli altri.
Andrew, invece, era solo tormentato, non gli stava bene la vita che faceva e il mondo di cui era parte, ma non aveva intenzione, o forse non sapeva come, di togliersi da là.
Era affascinato dal confine nel quale quel ragazzo di strada lo allontanava sempre, era in continua contraddizione con sé stesso, non sapeva come fare in generale per realizzarsi e sentirsi meglio, sentiva una perenne e totale confusione dentro che lo portava ad una scontentezza penalizzante.
Il fatto era che lui per primo non sapeva cosa voleva.
Fu per nuove pesanti accuse, il senso di caos mentale crescente, il suo posto che non riusciva a trovare, che gli fece prendere quella decisione. Avventata, forse, ma sicuramente l'unica che l'avrebbe portato a capire qualcosa di più su cosa volesse lui stesso.
Andrew scappò da casa.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Schiavi della sopravvivenza ***


quelamivi25 CAPITOLO XI:
SCHIAVI DELLA SOPRAVVIVENZA

'C'è una categoria che è schiava del lavoro, delle regole, dell'amore, della famiglia, dell'etica ed un'altra che è schiava della sopravvivenza. Chi può dire cosa sia meglio? Libertà o vivere?'

Era ormai sera inoltrata e dopo il lavoro era passato a comprare qualcosa da mangiare, ma stanco com'era non se l'era sentito di fare un salto al solito posto per vedere chi ci fosse a ballare. Sulla via diretta del ritorno si era imbattuto nelle solite compagnie a cui non aveva dato più di tanto attenzione, Ilyr era conosciuto e rispettato, lo lasciavano in pace ed era considerato uno da temere e farsi amico.
L'aria ormai non era più fresca ma di sera faceva meno caldo rispetto al giorno, per cui lui si teneva il solito cappellino calato sulla testa nascondendo i capelli neri, gli occhi neri si amalgamavano bene sul volto dalla carnagione abbronzata; gli abiti erano come sempre larghi e cadenti ed uno zaino scuro pendeva da una spalla. L'ombra di un sorriso, però, non c'era.
Normalmente tirava dritto senza nessuna voglia di socializzare o trattenersi con qualcuno, non aveva veri e propri amici, conosciuto come asociale e scontroso, era famoso per credere che tutti bene o male ce l'avessero con lui, quindi reagiva di conseguenza sempre male.
Quella sera, però, attirò la sua attenzione un gruppo radunato a cerchio che se la stava prendendo con qualcuno, era chiaramente un litigio, Ilyr alzò gli occhi al cielo:
"I soliti vigliacchi, figuriamoci!"
Pensò veloce senza avere intenzione di intromettersi negli affari altrui.
Passando loro accanto vide chi avevano preso di mira quella volta e si fermò di colpo spalancando istintivamente gli occhi, dopo un primo istante tornò normale e acidamente si disse:
"Ovvio, se l'è cercata... è ovvio che prima o poi sarebbe accaduto! Se un principino gioca a fare il povero straccione, quelli che lo sono veramente si sentono presi per il culo da lui e gli spaccano il suo!"
Però nonostante si dicesse di ripartire e tirare dritto, si trattenne il necessario per vedere. Vedere come dopo le prime minacce cominciarono a spaventarlo e ad attuare le intenzioni coi primi brutti colpi. Scosse il capo continuando per la sua strada, intenzionato a non fare nulla.
"Che si arrangi, così finalmente sa cosa significa, lo stupido! Per lo meno non me lo rivedo più fra i piedi!"
Era convinto mentre pensava ciò e quindi quando si trovò a fare a pugni con quei ragazzi per difendere il principe, si sentì ancora più infuriato con sé stesso.
Aveva lasciato cadere lo zaino a terra e si era tuffato nella classica mischia; Andrew non sapeva fare a botte, ovvio, ma in compenso Ilyr se la cavava fin troppo bene, si vedeva che era praticamente esperto in quel genere di cose, non aveva problema alcuno e colpiva nei punti che sapeva avrebbero messo fuori gioco gli altri in un attimo.
Non disse nulla, non si giustificò, semplicemente lasciò che tutto finisse.
Ricevette qualche colpo anche lui, non era uno scherzo battersi con un gruppo di teppisti di strada, pur lui fosse simile a loro, ma quelli che mise fuori combattimento furono esattamente quelli giusti, i cosiddetti ‘capi’. Questo colpì i rimanenti che non andarono oltre lasciando perdere Ilyr e quel rosso, capendo che non era pane per i loro denti.
Il giovane moro al termine di tutto sputò a terra asciugandosi col dorso sella mano un rivoletto di sangue che gli usciva dal labbro spaccato, aveva del sudore formatosi sulla fronte che fu ignorato, si sistemò meglio il cappellino e il fiato tornò regolare; aveva un altro livido sullo zigomo ma non fu notato. Senza aggiungere nulla e nemmeno guardare chi aveva salvato, con rabbia e movimenti secchi, riprese lo zaino e se ne andò.
Andrew era ancora shockato per l'accaduto, non era riuscito a dare nemmeno un pugno e al contrario ne aveva presi alcuni, lo stomaco gli doleva come anche l'occhio che si chiudeva sempre più gonfiandosi. Si sarebbe aspettato tutto all'infuori di vedersi aiutato proprio da quel ragazzo, era la causa del suo scappare di casa e se anche non aveva idea di cosa fare, non sarebbe mai tornato indietro.
Agì d'istinto, come per lui era normale fare, e lo fermò:
- Ehi scusa... -
Ilyr si bloccò seccato dopo il secondo richiamo, non avrebbe mai voluto parlare con quel tipo ma si trovò costretto a voltarsi e guardarlo iroso negli occhi, non parlò.
- Volevo ringraziarti, non mi aspettavo che mi aiutassi proprio tu... -
Era una specie di pace che voleva suggellare, anche perché sperava di ricevere ulteriore aiuto da lui.
Ilyr fece un passo avanti e lo fronteggiò, alzò il mento in segno di sfida e chiese insolente:
- Che diavolo ci fai qua a quest'ora? Non sai che è pericoloso questo quartiere, di sera? -
Andrew andò subito sulla difensiva, pensava che visto l'aiuto non fosse più arrabbiato con lui.
- Perché mi hai aiutato se ora fai così? -
Fu spontanea la domanda sullo stesso tono che aveva usato il moro.
- Perché così hai la possibilità di ricevere altri pugni invece di morire subito e smettere di soffrire! Si può sapere perché sporchi queste strade? -
Rimase di sasso sentendo quelle parole velenose, lo vide tornare a voltarsi e riprendere la strada tuttavia Andrew non mollò, era arrabbiato e non sapeva dove andare, i suoi amici si erano dileguati e l'avevano trattato male, come se fossero esasperati dalla sua presenza.
- Non torno a casa, devo cambiare... -
Ilyr salì le scale di un palazzo fatiscente, fu seguito dall'altro e rispose senza voltarsi, alzando sempre più la voce:
- Per questo devi farti un trapianto di cervello, non basta andartene di casa! -
Era stato facile capire le intenzioni del rosso, il ragazzo di strada si stava sempre più seccando e infastidendo, per non dire infuriando. Entrò nell'appartamento vecchio e malandato, con movimenti bruschi posò lo zaino e si tolse il cappello rivelando per la prima volta i suoi neri capelli mossi che si raggruppavano sul capo e sulla fronte.
- Non era quello che mi consigliavi tu? Cambiare, smettere di fare finta, passare ai fatti? Io là non ci sto più! -
Mentre lui parlava vide il ragazzo andare al tavolo pieno di oggetti e girarsi guardandolo, aveva il fuoco negli occhi e si chiese d'istinto cosa lo muovesse, cosa gli bruciasse, non capiva cosa gli prendesse; fu interrotto dalla sua voce che urlava:
- Ma cosa vuoi da me?! Vaffanculo e basta! Chi ti vuole?! Non vedi che sei solo? Perché non torni da dove sei venuto? Sei un idiota! -
Andrew non poteva sentire quelle cose, iniziò a parlare a voce bassa, come se parlasse per sé stesso, via via il tono aumentò agitandosi come l’altro arrivato al limite della pazienza.
Fu facile prevedere come sarebbe finita, magari sarebbero arrivati proprio alle mani...
- Non sono io, non è per me, non è il mio mondo, non va bene, non sto bene, non trovo il motivo per andare avanti, non mi piace, non ci sto, è tutto troppo per me, non trovo un senso per fare quella vita, non ne sono capace, non ci arrivo, non è quella la vita mia, non so qual è ma quel posto mi fa vomitare come tutte le persone che ci sono dentro, a partire da mio fratello che accetta tutto, che si è rassegnato ai voleri della nonna, che fa il principe... lui è perfetto e coscienzioso ma non sa capire me, suo fratello...
Io sono un estraneo in quel posto, non so dove andare e cosa fare ma non rimarrò là, sono tutti stupidi, falsi, ipocriti. Will ha permesso che mi accadesse questo, mio padre l'ha permesso e mia madre che è morta per stare con un altro, invece di pensare ai suoi figli... mia madre che sapeva volerci bene ha preferito la sua felicità e la conseguenza è stato quello... è colpa sua che ci ha abbandonato se mio fratello somiglia sempre più a quei reali insopportabili, se papà non ci vuole più, se io sto così male e sono in un corpo, in una vita, non mia... se non so cosa fare di me, dove sbattere la testa... colpa sua... sua... che non c'è più... e nessuno sa amarmi come ho bisogno di essere amato... è tutto quello che chiedevo... che vorrei, che mi serve... non pensavo fosse tanto. -
La reazione di Ilyr fu ovvia e naturale, invece di ammorbidirsi per lo stato in cui si capiva fosse il principe, urlò ancor di più gesticolando e mostrando quel che aveva dentro, fuoco:
- Ma tu sei scemo, non è questa la vera disgrazia, la vera tristezza.
io l'amore di una persona ce l'ho ma sta morendo e non posso evitarlo perché non ho i soldi per aiutarlo, vivo per strada, mi spacco il culo per arrivare a fina giornata senza morire di fame, cazzo, lo capisci che senza salute non si va lontano?
Tu scappi dai soldi e cerchi l'amore, io che ce l'ho lo sto per perdere perché non ho soldi per la salute.
tu sei scemo!
e non contiamo tutti quelli che puntuali cercano di farmi fuori, tu devi ancora vivere e dici che non ti piace!
Vattene al tuo palazzo d'oro e fottitene dei tuoi stupidi problemi... rassegnati perché anche se lo neghi quello è l'unico posto dove puoi stare: fra gli ipocriti ricconi viziati! -
Andrew che non aveva ancora esagerato nell’alzare la voce ma si era solo agitato molto, profondamente scosso per quanto ammetteva gli stesse accadendo, all’udire quelle che dal suo punto di vista erano ingiuste accuse scattò ancor di più. C’erano cose che lo infastidivano immensamente e non poteva fare a meno di infuriarsi, gli occhi verdi erano battaglieri e l'espressione tirata per la rabbia:
- Io non giudico la tua vita tu non farlo con la mia, so SOLO IO se sto male e perché!
non c'è una bilancia che dice chi ha diritto a lamentarsi, io appena morta mia madre pensavo di seguirla... dovevo farlo perché tanto non c'è motivo che io viva...
non lo capisci nemmeno tu quel che provo. a me dispiace quel che accade agli altri, so che c'è chi sta peggio di me, ma so ANCHE come sto io e so che non posso e non voglio arrivare a 50 anni ed essere come mio padre e come forse sarà mio fratello! -
Ilyr si passò nervoso una mano fra i capelli spettinandoli, il labbro spaccato di poco prima riprese a sanguinare lento per le labbra che apriva urlando, gli fece certamente male eppure nemmeno lo sentiva. In quel momento tutto ciò che pensava veramente e con sempre più pericolosa convinzione, era che stava per far fuori quello stupido principe viziato.
Si sentiva sempre peggio, non ce la faceva più, il sangue alla testa lo rendeva rosso in volto e si tratteneva a stento dal mettergli le mani addosso.
Andrew si chiese perché fosse così fuori di sé, non era normale…
- Intanto non mi interessa giudicarti ma mi manda in bestia quello che dici, il tuo modo di essere, dire, pensare, fare la vittima… tu mi mandi in bestia!
Fai la parte della vittima ma non lo sei e non te ne rendi conto.
Giudichi tuo fratello che ha capito che ognuno ha il suo posto e non deve rompere le palle a nessuno, non fa finta di essere qualcun altro, non si appropria del mondo altrui, non viene ad impuzzare questa parte già marcia.
Io credo solo che fra tutti l'unico a non aver mai capito nulla di nulla sei tu!
Tu parli di morire, che non hai un motivo per vivere... ma allora attua quello che dici, non frega niente a nessuno della tua vita se sei tu a fregartene per primo. Cosa credi che me ne fotta a me?
E poi a te perché dovrebbe dispiacere quello che accade agli altri? Cosa te ne importa? Non li conosci, non serve a nessuno la pietà! -
Di conseguenza Andrew partì anch'esso:
- Certo, tanto se sparisco non importa a nessuno, tanto vale che la faccio finita, il mio posto forse è sotto terra!
A me dai fastidio tu che vedi solo il tuo mondo senza capire gli altri, li giudichi solo perché ti mandano in bestia, giudichi senza sapere veramente perché solo vivendo al loro posto lo sapresti... -
- Ma vaffanculo! Ti vuoi uccidere? Fallo, porca puttana, ne sarò felice! Cazzo! - Diede un pugno al tavolo buttando a terra quello che c'era sopra: - E poi c'è gente che muore ma vuole vivere, ma deve morire perché non ha la scelta... ed intanto gli idioti teste di merda si permettono di scegliere di sprecare la loro!
Se in cambio di una vita si salvasse un'altra mi sarei già tolto la mia ma non è così, non serve a nulla uccidersi, scappare, smettere di soffrire... è facile così, vacca troia, la verità è che sei un vigliacco inutile e non capirai mai nulla!
Puoi avere tutti i problemi che vuoi ma non si risolvono scappando, da quando ti conosco è l'unica cosa che hai fatto. Scappi da tutto e da tutti e sei ridicolo a far finta di essere chi non sei. Sei un principe vattene fra loro! -
Era irriconoscibile e Andrew indietreggiò sicuro di vedersi colpire con un bel pugno diretto al suo volto, ebbe un lampo di paura; i suoi occhi erano diversi, erano fuoco puro ed era sicuro di non aver mai assistito ad un'ira così totale.
Ad interromperli fu la figura di un ragazzo appoggiato allo stipite della porta della camera, era un ragazzo in tutto e per tutto identico a Ilyr, gli stessi lineamenti, i capelli neri corti, gli occhi neri, magro, si differenziava per l'aria malaticcia che aveva. Un espressione di fatica nel volto, fatica e domanda, non capiva cosa accadesse, teneva una mano al petto e l'altra al legno dell'uscio, la schiena curva come volesse in un certo senso proteggersi il torace.
Andrew non rispose pensando che quel ragazzo avesse ascoltato tutto, si imbarazzò e l'ira scemò brevemente, non voleva ascoltare e capire quello che il giovane gli urlava ma erano come tante percosse... sapeva, in fondo, che aveva ragione, per questo si sentiva male, ferito da uno sconosciuto che in realtà ammirava e temeva.
Ilyr si precipitò dall'altro sorreggendolo, egli gli si aggrappò e fece dei gesti approssimativi con l'altra mano indicando Andrew e il disordine.
Ilyr non rispose a voce ma nello stesso modo del nuovo arrivato, a gesti.
Era il linguaggio dei muti.
Il rosso spalancò occhi e bocca indietreggiando istintivamente fino all'uscita dell'appartamento. Cominciava a capire il discorso dell'altro: si era riferito a lui, il fratello gemello, probabilmente. Era sordo muto.
Non si sarebbe mai aspettato una cosa simile. Poi ricordò in un flash le parole del ragazzo: stava morendo. Che avesse qualche malattia?
Suo malgrado nonostante l’inspiegabile coinvolgimento emotivo che cominciò a sentire in quel momento in cui i pezzi andavano al loro posto, decise di farsi i fatti propri e di aspettarlo; vedendoli parlare in quel modo cominciò veramente a sentirsi fuori posto.
Quando il ragazzo fu riaccompagnato in camera, Ilyr tornò da lui e si mise a raccogliere distratto ciò che aveva buttato a terra. Si era sbollito, se ne accorse subito. Gli parlò con più calma anche se sempre con un certo fondo di scontrosità, non lo guardava più in viso:
- Vedi, il fatto è uno... voi che avete tutto siete schiavi del lavoro, della famiglia, dell'istruzione, delle regole, delle etichette, dell'amore addirittura... non avete libertà ed è questo che logora a lungo andare, lo posso capire, sono cose che purtroppo so... noi siamo liberi da queste cose che opprimono chi ha tutto. Noi poveri siamo schiavi solo di una cosa: della sopravvivenza... e non riesco ad immaginare cosa sia peggiore, libertà o sopravvivenza?
Prova a vivere qua per un po', ti accorgerai tu stesso della differenza e solo dopo potrai scegliere ed evitare di scappare... -
Era come un'altra persona, Andrew fu sorpreso e non lo nascose, pensò a quanto sentito e decise di accettare. Non sarebbe ancora tornato nonostante cominciasse a capire il suo errore, si sentiva stupido...
Fu Ilyr a cambiare discorso repentinamente, dicendo bruscamente:
- Quello è Koja, mio fratello gemello... oltre ad essere sordo muto è anche malato ai polmoni... gliene servono altri nuovi, non reggerà a lungo ma non abbiamo soldi e sai come vanno queste cose. Anche se ne avremmo comunque non ci sarebbero donatori, tuttavia non lo ritengo un problema perché se ci fossero i soldi donerei io i miei... giuro... però siamo destinati così ed io per quanta forza e determinazione abbia non posso fare più di questo... -
Lo disse con un amarezza inaudita, Andrew ebbe i brividi e mormorò solo un:
- Mi dispiace... – Che avrebbe voluto poter essere di più.
In realtà pensava che lui avrebbe potuto dargli i soldi, ma il vero problema sarebbe stato trovare un donatore prima che lui stesso si sacrificasse… così nella confusione di non sapere cose fosse meglio decise di rimanere in silenzio e aiutarlo a mettere in ordine.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Lontani ***


CAPITOLO XII:
LONTANI

'Tutti hanno sbagliato, ma si deve prendere atto di ciò e andare avanti, senza scappare. Lui è dalla morte della mamma che scappa. È ora che la smetta. Adesso basta.’

Se non si scatenò il panico nel palazzo e in città fu solo merito di William che improvvisò una scusa convincente per la scomparsa del principe Andrew.
Ora lo si poteva vedere col telefono in mano a chiamare chiunque potesse essergli utile: dritto, rigido, gelido, padrone di un autocontrollo ed uno sguardo molto duro e contenuto.
Alla fine arrivò un informazione preziosa, era stato visto nel quartiere basso della città insieme ad un certo Ilyr. Rifletté brevemente su quel che poteva fare, cosa gli sarebbe convenuto?
Era stupido mandarci qualcuno a prenderlo, ma lo sarebbe stato anche andarci lui di persona, l’avrebbero riconosciuto subito e non sarebbe riuscito a fare nulla.
Doveva mascherarsi, sembrare uno comune sperando di passarla liscia.
Se sua nonna avesse saputo una cosa simile piuttosto avrebbe lasciato Andrew a sé stesso, del resto tutti, lì dentro, si sarebbero mobilitati solo fino ad un certo punto.
Eppure se era scappato un motivo c'era e nessuno sarebbe riuscito a riportarlo indietro: lo conosceva, faceva così perché era al limite, era un grido d'aiuto.
William doveva fare il possibile, il SUO possibile.
Dal canto suo non esisteva che suo fratello si separasse da lui, non era tipo da dimostrare chiaramente i suoi sentimenti ma non gli ci voleva molto per capire chi e dove avesse sbagliato.
Con aria impenetrabile assottigliò gli occhi. L'errore era di tutti, ad Andrew era mancato l'amore e per questo si era permesso di comportarsi da immaturo.
Sospirò premendosi le dita alle tempie, non era al limite ma qualcosa gli si muoveva dentro, qualcosa che lo turbava ma che riusciva a controllare alla perfezione. In questo sbagliava, lo sapeva, se avrebbe dimostrato i suoi sentimenti almeno all'unico che sentiva veramente legato a lui, molte cose sarebbero state diverse. Alla fine ognuno aveva fatto i suoi sbagli e lui si metteva in prima fila.
Il suo problema era che non sapeva fin quanto sarebbe riuscito ad andare avanti, anche lui portava un peso.
Un peso che cresceva sempre più, cose che non ignorava ma ci conviveva, ne prendeva atto e maturava su di esse. Eppure certi pesi non si dovrebbero mai portare da soli…
Contrasse la mascella.
Anche lui aveva sofferto per la morte della madre, per l'indifferenza del padre, per l'ipocrisia della nonna e di tutti i reali della sua famiglia. Non era come loro ma in un certo senso si adattava per amor di cosa?
A volte se lo chiedeva. A lui andava bene quella vita, era su misura per lui, questo però non significava che l'approvasse o che gli piacesse.
Sapeva solo di avere dei doveri di nascita verso qualcuno, voleva adempierli nel meglio dei modi, non gli importava di venire compreso o criticato, andava avanti per la propria strada.
Riteneva giuste e sbagliate molte cose, quello che lo urtava ora dal profondo era che suo fratello pensasse che era solo lui a soffrire.
Anche William aveva sofferto a modo suo eppure l'altro si comportava da bambino, scappava da una vita che non gli piaceva, non concludeva mai nulla…
Lui semplicemente detestava gente simile e il fatto che fosse proprio suo fratello lo irritava maggiormente.
Aveva molto da dire ad Andrew, cose che non gli aveva mai detto e che era giunto il momento di tirare fuori.
Uscì dalla sua stanza dirigendosi sicuro verso l'uscita, nei corridoi incontrò Charlotte e istintivamente alzò gli occhi al cielo, non era da lui ma in quel momento controllava poco la sua espressione facciale; tornò subito in sé, ma lei si era ormai accorta dello strano comportamento del ragazzo e nonostante gli stesse piuttosto antipatico a volte aveva sprazzi di decenza.
O meglio riusciva ad ammirarlo, ma non sempre, dipendeva dai casi.
Lo fermò decisa, appena aveva visto il suo sguardo l'aveva capito, non era il William supremo e divino di sempre.
- Che cavolo c'hai? -
Un linguaggio che di nobile aveva ben poco, ormai lui ci era abituato.
Tornò freddo in modo esagerato, forse, e Parlò distaccato:
- Ho un problema con mio fratello! -
La ragazza l'affrontò a viso aperto e fissandolo con quei suoi occhi blu che spiccavano in quel volto dalla bellezza un po' grezza ma naturale, riuscì a calmarlo un po':
- Senti, non sono scema, so benissimo che Andrew non è da un suo amico. È scappato, vero? -
Un silenzio eloquente, strinse le labbra e ricambiò lo sguardo, voleva sbrigarsi e non stare lì a parlare, aveva molto da dire a quell'immaturo di suo fratello.
A quel punto, però, fu lei a stupirlo rivelandosi subito molto pratica precedendolo sul cammino:
- Cosa fai? - Stupito. Charlotte senza fermarsi tornò indietro e decisa lo prese per mano tirandolo poco carinamente, lui spalancò gli occhi azzurri e un pensiero fugace l'attraversò:
"Ora è finita!"
- Che pensavi di fare? Io posso dirgli cose intelligenti, più delle tue! Sono simile a lui, ho passato il suo problema e l'ho superato, come vedi! -
Spontaneamente a William scappò un commento, sempre però serio:
- Davvero? Non si nota mica... -
Un'occhiataccia lo colpì ma suo malgrado non si fermò e riprese a parlare di Andrew e del da fare, quasi correvano e il biondo cominciava a pensare realmente che sarebbe andato tutto per il peggio: coinvolgere una come Charlotte era sicuramente l'idea peggiore, eppure nonostante la flebile opposizione ammise che poteva essergli d'aiuto. Ovviamente non lo disse ad alta voce.
Le mani allacciate durarono dalla casa fino alla macchina che William poteva utilizzare poi si separarono, ma quel tragitto percorso in quel modo non li imbarazzò. Non sul momento in cui avevano entrambi altri pensieri per la testa. Non furono infastiditi da quel contatto, forse era sembrato così appropriato che non se ne accorsero nemmeno.
Un collaborare naturale e sincero, giusto, dovuto in un certo senso ad una maturità comune e un sentimento che lentamente cominciava a crescere e cambiarli.
In seguito ci avrebbero pensato, lei si sarebbe rivista camminare con lui mano nella mano come se lo facessero da sempre, avrebbe ricordato la sensazione del contatto, il calore in contrasto con la freddezza e compostezza del principe e si sarebbe chiesta come potesse una come lei avere a che fare con uno che era l'opposto del suo prototipo di ragazzo.
Lui, da parte sua, si sarebbe solo rivelato il migliore ad accantonare i pensieri scomodi, attendendo qualche altra certezza maggiore, un segno più significativo che gli avrebbe indicato di prendere in considerazione in altri modi quella ragazza.

Camminando per le strade malfamate accompagnati dal fedele amico Drew, William e Charlotte sembravano a loro agio e perfettamente amalgamati. Lo sforzo da parte del biondo era notevole, mentre per la castana era tutto così naturale. Il moro, invece, si era adattato all'atmosfera che viaggiava fra i due. Aveva capito perfettamente l'amico, sapeva che era così gelidamente contenuto per via del fratello, era arrabbiato con lui ma non ai massimi livelli, o per lo meno non lo pensava. Anche se sicuramente da lì a poco avrebbe assistito ad una litigata storica!
Drew aveva imprestato dei vestiti comuni ai due non avendone loro di adatti per girare in certe strade, poi su direzione di Charlotte si erano sistemati anche la capigliatura e lo stile. William indossava dei jeans scoloriti e cadenti tutti consumati, una camicia nera tenuta fuori dai pantaloni con diversi bottoni slacciati e persino le maniche sbottonate. Capelli con del gel per spettinarli come usavano fra i giovani, la frangia non molto lunga era quindi sulla fronte e non in parte. Aveva anche gli occhiali da sole. Stava molto bene, sembrava tutt'altra persona anche se bisognava ammettere che William era nato per vestirsi e conciarsi da principe e non da comune essere mortale!
Charlotte aveva un completo in pelle nera: gonna corta, stivali alti fino alle cosce con i lacci sul davanti, catena alla vita, canottiera in stoffa normale e una giacchetta leggera slacciata. Quell'abbigliamento a dir poco sensazionale per chiunque maschietto che la guardasse, le evidenziava alla grande le curve e il seno su cui il decoltè era generoso. Al polso si era procurata dei bracciali borchiati. A onor del vero queste cose erano tutte sue, se le era portate da casa, certamente Drew non vestiva così!
I capelli li aveva lasciati sciolti sulle spalle, essendo che li legava sempre in modo disordinato ora sembrava anche lei un'altra persona. Sexy era il termine adatto e il tipo di bellezza col trucco pesante esercitato e lo stile adottato per l'occasione le si addiceva perfettamente, sembrava che fosse nata così.
Drew, una bellezza più simile a quella di Charlotte, aveva neri pantaloni con qualche strappo strategico, una catena alla vita ed una maglietta nera attillata in perfetto stile dark, capelli neri ingellati anch'essi ed un'aria naturale da bello e maledetto.
Camminavano per il quartiere e tutti si girarono a guardarli, non passarono inosservati anche se comunque erano immersi alla perfezione nello stile delle persone che abitavano quei posti. Inizialmente erano rimasti stupiti l'uno dell'altro, specie William per Charlotte e viceversa, ma avevano domato in fretta i propri istinti. Imprimendosi bene l'immagine dell'altro nella testa per non dimenticarla, erano andati in 'missione'. Dovendo poi chiedere informazioni su questo Ilyr, trovarono il modo di farlo in modo naturale senza farsi sospettare.
Effettivamente non li notarono per questo, ma ben per altro!
La colpa, per così dire, fu di Charlotte, o meglio della sua appariscenza. Mentre i due ragazzi chiedevano discretamente informazioni, lei in disparte li aspettava guardandosi distrattamente attorno senza preoccupazioni alcune, per lei quello era puro divertimento, si sentiva a suo agio e non aveva problemi di alcun tipo a stare in luoghi simili. Quando sentì qualcuno avvicinarsi, una mano posarsi sulla schiena ed un puzzo di sigaretta avvolgerla, arricciò contrariata il naso e si girò con aria scorbutica per sistemare il malcapitato che osava tanto:
- Vattene! - Semplice e diretta, non c'erano dubbi sulle sue intenzioni!
- Ciao tesoro, vieni a fare un giro con me? - Peccato che fu bellamente ignorata, fatto per nulla gradito dalla non molto dolce fanciulla!
In risposta lo allontanò con una gomitata ed un grugnito per nulla forzato e finto:
- Persone come te mi danno profondamente fastidio! Non ti voglio intorno, non rompere le palle! -
Il linguaggio effettivamente non l'avevano provato, lei parlava sempre così ma William aveva una voce e una parlata così distinta e aristocratica che forse avrebbero dovuto pensarci prima!
L'altro tornò ad avvicinarsi appiccicandosi di nuovo, le mise le mani sui fianchi e la fissò con aria 'da re del mondo'.
- Non fare la preziosa! -
Era pronta per dargli il classico calcio, l'aveva fatto altre volte e non aveva problemi; in un certo senso si divertiva quando arrivava a quei punti, sperava che prima o poi anche il gran principe divino le avrebbe dato motivo per farlo a lui. Come evocato dai suoi pensieri rabbiosi arrivò in suo aiuto. Charlotte siccome era sicura che lui non sapesse dare nemmeno un pugno, si chiese che pensasse di fare, poi ragionò: le sarebbe toccato a lei aiutare lui!
Invece quel che fece la sorprese molto: William si limitò a prenderle la mano e ignorando il ragazzo la tirò portandola via da lì, senza calcolare niente e nessuno.
- Vieni, Char, l'abbiamo trovato! -
Lei stupita non ebbe il tempo di far nulla e lo lasciò fare: la sua attenzione si catapultò immediatamente su come l'aveva chiamata e sulla mano, nonché la disinvoltura con cui aveva fatto tutto quello.
Ammirata pensò che forse era veramente un Dio, quello della perfezione!
Come era ovvio il tipo ignorato e lasciato a bocca asciutta si indispettì e contrariato disse:
- Ehi! Che fai? Stava parlando con me! -
Charlotte alzò un sopracciglio ironica: 'parlare' non era il termine adatto... piuttosto si stava preparando a picchiarlo!
William si fermò e voltandosi verso di lui l'avvolse con un braccio cingendola senza farci troppo caso, come fosse la cosa più naturale del mondo, infine freddamente lo guardò come se parlasse con una pulce e lo nullificò con pochissime incisive parole:
- Parlavi con la mia ragazza? Mi sembrava fosse sola, non ti avevo visto! -
Lui si sentì come William voleva che si sentisse: un insetto poiché troppo piccolo per essere visto!
Non fu sgarbato, lesse sincerità nello sguardo, sincerità gelida.
Lo sconosciuto pensò subito che fosse vero, tanto che anche lei se ne convinse intrecciando le dita alla mano che teneva intorno alle sue spalle circondando a sua volta la vita sottile del ragazzo.
Una coppia, vista così, innegabile... sicuramente stavano insieme da anni, si vedeva che erano fidanzati!
Erano molto affiatati e di bellezza stavano molto bene insieme, un moto d'invidia pervase lo scaricato così diplomaticamente che alzò una mano in segno di scusa e se ne andò borbottando che era proprio stato sfigato!
Quando furono soli la risata cristallina di Drew e di Charlotte invase l'aria mentre lei per il troppo riso si trovò addirittura ad appoggiarsi con la testa al petto del suo salvatore. Rideva di gusto per la scena e fra le quasi lacrime disse:
- Ottima interpretazione! Dovresti darti alla recitazione! Mi ero convinta anche io di essere la tua fidanzata! -
Drew batté la spalla dell'amico e commentò a suo modo che per un momento gli era sembrato che l'altro si inchinasse al suo cospetto!
William dal canto suo rimase impassibile senza sciogliere l'abbraccio, un pochino doveva ammettere che nell'arrabbiatura per Andrew si era divertito.
Non ai massimi livelli ma aveva provato una certa soddisfazione nel fare quella parte... e anche nel fingersi fidanzato di Charlotte!
Dopo un po' di ridere spontaneo fu il principe, ovviamente, a riportare ordine e composto e distaccato sciolse le braccia e le mani con un fondo di dispiacere da parte di entrambi, non stavano male com'erano ma avevano una cosa importante da fare:
- Adesso basta, andiamo dove ci hanno detto... Charlotte, stacci vicina o non mi fingerò di nuovo tuo fidanzato, una volta basta e avanza! -
Lei gli fece la linguaccia senza dire nulla, si limitò a seguirlo e a stargli accanto come lui voleva, pestandogli i talloni di proposito!

Giunsero davanti ad un'abitazione cadente e vecchia, era un palazzo fatiscente che ispirava tutto all'infuori dell'abitarci!
- E’ qua! -
Mormorò Drew con una calma e un'attenzione appropriate al momento.
William si era fatto molto serio, troppo, proprio come sarebbe stato da lui. Charlotte non si perse di vista un movimento muscolare del biondo accanto.
I giochi erano finiti.
Salirono mantenendosi pressoché indifferenti, concentrati su chi avrebbero rivisto dopo molto tempo, su chi ora avrebbero visto gridare ed arrabbiarsi e le parole che sarebbero volate.
La porta gli fu aperta da un ragazzo dai rossi capelli spettinati, lentiggini, occhi verdi, trasandato.
Andrew.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Le cose che non dici ***


CAPITOLO XIII:
LE COSE CHE NON DICI

'Le cose che non dici non le saprà mai nessuno, né chi non le deve sapere né chi invece dovrebbe saperle perché potresti aiutarlo. O lui potrebbe aiutare te. Prendere una decisione su cosa dire e non dire è difficile, uno sbaglio su ciò che dici o non dici potrebbe significare sofferenza non solo per te stesso. '

Tutti si sarebbe aspettato di vedere Andrew quel giorno di nuova vita, tutti ma non suo fratello William vestito in quel modo così poco principesco.
Eppure all'uscio di quello che con coraggio si poteva chiamare appartamento, stavano loro tre: William, l'amico Drew e Charlotte, l'aspirante fidanzata. Sbatté gli occhi più volte sbalordito ed indeciso su cosa avrebbe dovuto e potuto fare. La prima che gli venne in mente fu una parola detta fra i denti:
- Vattene! -
Solo quella, non diretta a tutti, solo a lui, al centro del suo malessere. Anche se si poteva imputare unicamente a lui la colpa? Veramente?
Sarebbe stato facile comunque dire che la famiglia era rea di averlo trascurato e di non essere stata capace di ascoltare la crisi di un adolescente, troppo facile. Come altrettanto lo sarebbe stato per William prendersi ogni responsabilità, far così sciogliere il ribelle bisognoso di abbracci sinceri e riportarlo a casa.
Semplice ma non giusto.
Ora c'erano parole più profonde e vere da dire, che avrebbero fatto male all'inizio ma che ormai dovevano essere pronunciate poiché taciute a lungo.
- No! -
Una sillaba col tono fermo di un adulto. Andrew lo guardò come se lo stesse vedendo per la prima volta. Aveva davanti un estraneo adulto e coscienzioso, come un genitore. Non se ne sarebbe andato senza di lui, perché? Non gliene era mai importato veramente di lui dalla morte della madre, perché adesso era venuto in quel quartiere, travestito da gente comune, cercandolo e trovandolo?
Non capiva cosa volesse suo fratello e per mascherare questo stordimento si voltò dandogli le spalle: non l'aveva mai capito quel ragazzo ed ora meno delle altre volte.
Ora gli avrebbe sicuramente chiesto perché era scappato e perché non voleva tornare!
- Smettila di scappare come un miserabile! -  
Il fatto che non avesse indovinato lo infastidì perché si sentiva sempre più estraneo a quello che invece avrebbe dovuto conoscere perfettamente. In realtà non sapeva nulla di William... e dire che era scappato perché era lui che non si sentiva capito!
Scoprire all'improvviso e in maniera così semplice che invece era il contrario e che la colpa della propria sofferenza sarebbe potuta essere sua, lo stava come ammazzando dentro.
Però su una cosa era sicuro: William non avrebbe mai usato un linguaggio inappropriato, scaldandosi e infuriandosi, dicendo parolacce e imprecazioni. Ci avrebbe messo la mano sul fuoco e si sarebbe scottato, perché una volta di più stava per scoprire tutto in una volta chi era veramente quella persona che aveva davanti.
Andrew si voltò di scatto già bruciante per quelle verità che gli stavano premendo da dentro, che lo auto colpevolizzavano!
 - Tu cosa vuoi capirne di me? Non mi hai mai visto veramente, tu come tutti gli altri mi avete sempre visto inferiore al grandissimo e perfetto primogenito della famiglia reale!
Dopo il funerale della mamma siamo stati come due estranei. Ora non hai il diritto di parlarmi così e dare a me del vigliacco solo perché cerco la mia vita, una vita in un posto che mi soddisfi e che io possa sentire miei.
Non mi hai nemmeno chiesto perché me ne sono andato, dai per certo che lo sai, che quello che tu pensi sia giusto.
Tu devi smetterla di crederti il migliore e di sapere sempre ogni cosa! Devi smetterla, hai capito? Lasciami in pace, non voglio saperne nulla di te, di nostro padre e di quella schifosa famiglia del cavolo! -
Dopo la prima sfuriata, la vista che l'aveva offuscato durante l'alzata di voce gli tornò ridandogli fuoco sul mondo circostante e sulle persone che l'ascoltavano, fu solo lì, dopo aver quasi gridato, che lo vide. Vide William e i suoi occhi azzurro gelo che come due sottili lame quasi bianche lo penetravano e rabbrividì.
- Sei solo un immaturo viziato che fa la vittima e si auto compatisce perché nessuno lo fa per lui!
Sei una vergogna per qualsiasi fratello, non solo per me!
Fai la prima donna per farti notare, per far pietà agli altri, per avere il tuo momento di visibilità, per farti trovare da un padre che non abbiamo mai avuto, ti illudi che ti daranno i meriti che desideri ma nessuno ti regala niente.
Se volevi così tanto essere alla mia altezza, essere adulato da tutti, ricevere riconoscimenti, allora dovevi darti da fare per essere il migliore. Sei tu che hai voluto arrivare a questo punto, lo desideravi con tutto te stesso e speravi che un giorno avresti avuto abbastanza coraggio per andartene via! Aspettavi trepidante il mio arrivo, vero? Nei tuoi piani io avrei dovuto chiederti fraterno perché te ne sei andato, ti avrei pregato per farti tornare, ti avrei consolato e sostenuto e dopo un grande abbraccio di ritrovamento ti avrei ricondotto a palazzo, ma non sto facendo tutto questo ed ora ti arrabbi perché non ti assecondo nei tuoi desideri.
Lo vedi come sei immaturo e viziato? Fino a che punto lo sei? Tu vuoi dei posti che non sono tuoi e pensi che ti spettino e che tu possa averli senza però conquistarli e meritarteli.
Non ti dai da fare per star bene!
Il tuo problema è che sei solo un insensato qualunque che però vorrebbe essere il migliore così com'è! -
Dure parole, un lungo discorso tagliente ed estremamente freddo, nemmeno quando aveva affrontato i giornalisti per difendere il padre e il nome della madre, era stato così. Aveva detto tutto quello che pensava di Andrew dopo anni di sua attenta osservazione, aveva dato così un'analisi perfetta del ragazzo davanti a sé che lo fissava sempre più esterrefatto, la bocca aperta e sguardo impietrito, non ci credeva che potesse dirgli quelle cose. Pensava questo di lui?
Perché gli bruciava sapere che lui pensava questo?
Forse perché sapeva che era vero? Perché lui stesso ci si sentiva tale? O magari perché era William a pensarlo?
La persona che più di tutti dentro di sé aveva sempre stimato e sperato che lo considerasse e l'aiutasse nel suo cammino.
Non aveva parole, non avrebbe saputo cosa dire e sperò che Charlotte o Drew intervenissero, ma così non fu, entrambi sbalorditi dal discorso del principe rimasero in disparte. Erano venuti convinti che avrebbero potuto aiutare Andrew a ragionare e tornare indietro, tuttavia avevano notato che era una questione fra fratelli. William se la cavava alla grande anche se forse il rosso non sarebbe mai tornato a casa!
Dopo un attimo di boccheggi il fratello minore si decise a parlare, sperò che la voce gli uscisse ferma e naturale ma il risultato fu solo qualcosa che si stava spezzando e rompendo. Le lacrime gli premevano e il tono tremante non l'aiutò.
- Io... non pensavo avessi questa opinione di me. Quando hai potuto trovare il tempo per analizzarmi così a fondo?
Può essere tutto giusto ma hai trascurato una cosa, sai? Io mi sento solo. E non solo mi ci sento.
Io lo sono!
Sono solo!
Sono diverso da tutti voi, da te. Tu sei comunque pieno di gente che ti ben considera, hai amici che non ti fanno sentire solo, hai la nonna che ti idolatra, un padre che non ti vede come un figlio ma almeno ti vede come il suo erede ed è già qualcosa... io... io invece no, sono solo, non ho niente di tutto questo e di qualcos'altro. Io sono solo... -
Come se il limite delle persone potesse essere visibile e sbordare, l'anima potesse trasformarsi in vento e i sentimenti in fuoco e fondendosi generare una tempesta.
Lui e Andrew due punti distanti, nello spazio circostante colori freddi che si mescolavano, sciogliendosi in diversi modi, senza creare disegni definiti e ad ogni risposta, ogni discorso avvenuto con quei sentimenti carichi di rabbia, disperazione e lacrime, quelle che stavano per uscire al più piccolo, una linea si tendeva andando da punto a punto, frastagliata, zigzagata, come se fossero scariche elettriche. Poi si ritiravano e poi tornavano. Ora la decisiva, la più grossa, violenta ed esplosiva che investì il punto più piccolo paralizzandolo, i colori dello spazio circostante divennero improvvisamente caldi.
William sbatté la mano sul tavolo davanti a lui e guardando il fratello con occhi non più gelidi ma di fiamme, gridò come forse mai in vita sua aveva fatto, paralizzando tutti i presenti che si spaventarono indietreggiando, bloccando anche il pianto dell'altro innanzi a sé che voleva sfogare.
- Zitto zitto zitto!
Tu ti senti solo?! Tu?! Ed io? Io cos’è che sono?
Adulato da tutti? visto come un erede? Ben considerato dal mondo?
Tu sei solo ed io no?!
Cavolo, Andrew! Io sento sempre freddo qua dentro e da quando la mamma se ne è andata cerco anche io il modo migliore per non sentire quello che invece sento!
Sai cosa sento? Sai cosa desidero? Te lo sei chiesto?
Che la mamma non fosse mai morta, che nostro padre non fosse così estremamente imbecille!
Che tu parlassi con me per ogni problema e dubbio, parlare io con te per provare ad unire le nostre paure ed andare avanti.
Desidero non sentire queste urla negli orecchi che crescono e crescono!
Urla di qualcuno che chiede aiuto e si amplificano… chi è che chiede aiuto? C'è qualcuno che si è perso e non trova una via d’uscita, sai chi è questo?
Sono io!
Io che faccio il mio dovere!
Sono nato qua, questa è la mia vita e non posso rinascere altrove, l’accetto e la vivo ma cosa significa?
Che sono cosciente di me stesso.
Io però continuo a sentirmi solo lassù in quella torre di cristallo altissima. Sono solo e tutti mi gridano cosa fare, io faccio perché lassù non posso fare altro, perché la mamma mi chiederebbe quello, forse, e perché come te sono cresciuto senza una madre ed un padre, perché ho delle cose da fare e gente che mi lascia lassù da solo credendomi troppo grande e perfetto!
Tu ti senti solo… ed io? Io chi sono? Io cosa dovrei fare?
E metto a tacere le mie paure per non pesare su nessuno… siamo solo degli imbecilli che si affannano per non morire dentro... anno dopo anno le nostre paure esistono e sono sempre quelle... cosa abbiamo imparato?
Abbiamo imparato ad odiarci!
Vorrei... – Qua la voce gli si spezzò e smettendo di urlare divenne un sussurro dove il nodo gli venne fuori: - Vorrei che almeno tu fossi qui... lo vorrei veramente... ma tu preferisci piangerti addosso senza di me... -
Sul finale la voce di William si incrinò e il furore scemò lasciando posto a qualcosa di agghiacciante.
Lacrime scendevano dai suoi occhi. Lacrime vive.
Si inginocchiò a terra nascondendo il viso fra le braccia, appoggiato al tavolo mentre tutti intorno a loro non sapevano cosa fare, dire, pensare. In realtà era vero, Drew stesso si sentì un estraneo in quel momento. Non erano affari loro, non erano ferite che nessun amico potesse curare e rimarginare. Solo un fratello, solo uno che aveva passato la stessa cosa almeno in parte, poteva aiutarlo.
Solo Andrew.
Fu come un ferma immagine, nessuno si mosse e nemmeno respirò, concentrati su quella figura totalmente diversa da quella che conoscevano che ora piangeva.
Finalmente Andrew che era come stato colpito come da un pugno nello stomaco, si riprese e a fatica si mosse andando fino a lui, si inginocchiò come l’altro e con mani tremanti, con un fluire di sentimenti di vergogna per sé stesso e dolore per lui, l'abbracciò di lato dapprima timido e titubante, poi sempre più forte e concreto.
Forza, sempre più forza, alternando tutte le emozioni che emergevano da quel contatto.
- Scusa... hai ragione... sono un vigliacco... -
Anche William aveva passato le sue stesse cose, solo che al contrario suo aveva accettato ed era andato avanti per non dar pensiero all'amata madre ora morta, perché ormai indietro non si tornava, perché l'unica cosa che potesse fare era fare al meglio quello che la sua vita gli aveva dato. Bella o brutta che fosse. E le aveva fatte tutte da solo perché lui non aveva mai voluto saperne, era stato innalzato da tutti e avevano lasciato che in solitudine affrontasse ogni cosa.
Anche lui aveva sofferenze, fantasmi, paure…
Eppure era diventato quel principe che tutti avrebbero voluto.
Fu sull'abbraccio ricambiato che anche Andrew si sciolse e pianse insieme al fratello, perché si sentivano finalmente tali, con gli stessi vissuti, gli stessi timori, la stessa solitudine.
Niente più egocentrico egoismo.
Un abbraccio disperato di due persone semplici che avevano vissuto un dramma e non avevano avuto il modo di superarlo come avrebbero voluto. Che con silenzi e distanze avevano sofferto come ogni persona al loro posto avrebbe sofferto.
- Non lasciarmi più solo... questa è la vita che abbiamo, viviamola e basta. Lei avrebbe voluto questo. -
Le cose che non dici non le saprà mai nessuno, né chi non le deve sapere né chi invece dovrebbe saperle perché potresti aiutarlo. O lui potrebbe aiutare te. Prendere una decisione su cosa dire e non dire è difficile, uno sbaglio su ciò che dici o non dici potrebbe significare sofferenza non solo per te stesso.
Bisogna avvicinare i cuori, ascoltarsi ma soprattutto parlare unendo le rispettive paure.
Ora i due punti non erano più distanti ma un tutt'uno.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** La vera grandezza ***


FRAMMENTI

* Eccoci, ci siamo! Arriva un nuovo cap anche per questa storia. Sta giungendo lenta al suo termine come è giusto che sia…non temete, non lascerò nulla in sospeso ma diciamo che le cose più importanti, ovvero le maturazioni dei vari personaggi, sono avvenute ed ora devo solo tirare i fili, le conclusioni insomma…e mostrare il frutto di tutto il lavoro! Spero sia di vostro gradimento, questo non è né l’ultimo né il penultimo cap ma sappiate che ormai è questione di poco! Ricordate il tempestoso e shockante cap precedente? Questo è il suo diretto seguito, sempre là insieme ed i famosi Ilyr e Will si incontrano! Ringrazio i lettori di questa storiella…buona lettura. Baci Akane*

CAPITOLO XIV:

LA VERA GRANDEZZA

 

‘Alcune cose saranno sempre più forti del tempo e della distanza, più profonde del linguaggio e delle abitudini: seguire i propri sogni e imparare a essere se stessi, condividendo con gli altri la magia di quella scoperta.’

Il silenzio che seguì fu interrotto solo dai singhiozzi dei due ragazzi.

Non piangevano da molto, sicuramente non l’avevano mai fatto così: con tanta disperazione, sofferenza, bisogno nel cuore…ma soprattutto mai abbracciati, mai insieme.

Mai si erano scoperti l’uno nei confronti dell’altro fino a quel punto.

Un senso di pura liberazione per William ed Andrew, liberazione e benessere, mentre le lacrime scendevano dai loro occhi chiusi stretti, bagnavano le guance e le rispettive spalle altrui su cui erano appoggiati.

Così, inginocchiati in un lurido pavimento in legno scricchiolante, incuranti di potersi sporcare o di stare abbracciando uno pulito oppure uno sporco, in mezzo a ragazzi che non si conoscevano fino a quel punto, fino a dire: so cosa gli si agita dentro, avrei le cose giuste da dire che potrebbero aiutarlo. In fondo Charlotte e Drew si stavano sentendo dei perfetti estranei.

Era vero che lui aveva seguito l’amico per dargli una mano, una motivazione pura e semplice, senza nient’altro dietro, però non avrebbe mai pensato di assistere ad una scena simile e di sentirsi solo un conoscente per William, non ci rimase male ma capì solamente che era vero…che tutti, lui per primo, avevano innalzato quel ragazzo supremo, troppo perfetto per stare in mezzo agli altri. L’aveva lasciato solo perché erano ‘solo’ amici poco più che comuni e il moro per primo l’ammetteva…e si incolpava di non aver mai voluto insistere per approfondire quel rapporto con quel principe di una monarchia in fondo piccola per permettere certe lontananze fra i diversi ranghi.

Lei, Charlotte, aveva avuto un primo impatto di puro odio con William, ricambiato, e pur stando con lui per un periodo più o meno illimitato per cause di forza maggiore, aveva sì cominciato a scoprirlo e un po’ a rivalutarlo, ma solo in minima parte, era lontana dall’apprezzamento totale…o lo era stata fino a quel giorno. Anzi, fino a quei ultimi giorni.

Quando faceva il bagno in piscina e lo scopriva sempre più spesso a fissarla in quel modo assorto e magnetico, con fra le braccia quel gatto soriano bianco che gli si addiceva così bene; ma anche quando si trovavano quasi sempre loro due a cena da soli perché ognuno ormai era un estraneo in quel palazzo; quando lo spiava mentre si allenava a suonare qualche strumento musicale oppure si dedicava a qualche altra attività, sempre con quelle sue espressioni serie e assorte, scolpite su del marmo, talvolta addirittura ghiaccio, da un artista che amava creare la perfezione e gli angeli.

Si era lentamente resa conto che era uno dei più bei ragazzi che avesse mai visto, che superava perfino il genere di bellezza che lei aveva sempre preferito: quella da strada, da antagonista, da gatto randagio, un po’ come la sua. Si sorprese a preferire lui a qualunque altro ragazzo, a rispondersi alla domanda: chi è il più bello che tu abbia mai visto?, con un semplice e disarmante nonché pericoloso: William!

Si era soprattutto resa conto che c’erano dei lati di lui che non poteva immaginare, che era così misterioso da essere terribilmente interessante ed affascinante, pur avendo i suoi chiari difetti come lo snobbismo che a suo parere c’era eccome…eppure sapeva che di lui c’erano così tante cose nascoste che impulsivamente avrebbe voluto conoscere tutte.

Si era sentita shockata quando poi aveva sentito l’istinto di aiutarlo nell’impresa di aiutare suo fratello, che le importava a lei di quel pazzo di un rossino? Aveva detto che sarebbe stata utile, in effetti sarebbe potuto essere vero se però a lei fosse importato qualcosa di Andrew. La verità la sapeva, aveva visto William in uno stato di agitazione momentanea che l’aveva incuriosito, e spinta dal fatto che sicuramente standogli appresso avrebbe visto qualcosa di nuovo di lui, l’aveva seguito.

Quando poi si erano presi per mano in quella frazione di secondo, o quando avevano finto di essere fidanzati…erano stati tutti momenti disinvolti in cui lei stessa ci aveva creduto, per rendersi però conto che invece no, non era ancora vero, già…non era ANCORA vero! Sapeva però che prima o poi lo sarebbe stato.

Lo sentiva ed in un certo senso aspettava quasi intrepida l’arrivo di ciò.

Tuttavia la botta finale per lei era arrivata quando l’aveva visto uscire di sé, arrabbiarsi in quel modo e poi piangere, dimenticandosi di lei disprezzata e mal sopportata, del luogo, del suo ruolo, di ogni cosa…dimenticandosi di tutto si era snudato in quel modo e ogni tassello oscuro di lui era andato a posto.

L’aveva visto.

Aveva capito.

Ecco cos’era che cominciava ad attirarla: lui era la persona più tenebrosa ed inquietante che avesse mai incontrato, bellezza esteriore a parte.

L’aveva disprezzato per molti motivi ma poi in quel momento non era più riuscita a trovarne nemmeno uno. La disperazione che aveva tirato fuori l’avevano quasi ammazzata e lei era una tipa piuttosto forte ed impassibile su certe scene.

Quel puzzle completo che rispondeva al nome di William l’aveva shockata più di ogni altra cosa perché mai nella sua vita si era sentita così attratta da una persona, da un ragazzo.

Mai.

Ecco cosa aveva capito.

E visto.

La persona che lei sapeva aver cercato per tutta la vita e che non trovandola l’aveva fatta trasformare in quella caparbia e selvatica principessina assurda!

“Lo voglio…o mio Dio…era questo, allora, che non mi tornava…lui…lui mi piace…cioè, è tutto qua! Lui mi piace. William mi piace. Ho sempre cercato una persona per me che mi calmasse un po’ interiormente e quando l’ho incontrato ho pensato fosse l’esatto opposto di quella persona, mi è uscito in più occasioni il peggio di me…poi ho capito che sbagliavo tutto, che quella persona era lui. Porco mondo, ora che cosa dovrei fare? Vorrei solo abbracciarlo…questo maledetto…”

Pensò questo fra sé e sé la castana passandosi nervosa le mani fra i capelli, sentendole poi sudate se le strofinò sui vestiti.

Rimase così in silenzio a sentire i loro singhiozzi mentre realizzava che William le piaceva e se lo ripeteva ad oltranza ormai non più in sé.

Il colpo di grazia lo ebbe quando i due fratelli si staccarono ed il biondo ebbe la grande idea di voltare il capo proprio verso di lei, non casualmente senza guardare un punto fisso, ma per guardare proprio lei, Charlotte, ancore lì inebetita che fissava magnetizzata il bel principe piangente.

Quando si scambiarono quello sguardo in quel momento specifico e particolare, lei lo vide così scompigliato e sconvolto, gli occhi lucidi e arrossati, il viso bagnato e rigato di calde lacrime che scendevano ancora, i capelli scesi sulla fronti che gli si spettinavano sopra umidi ed una sconvolgente bellezza di angelo disperato, caduto e smarrito.

Fu per lei una delle più belle visioni che le erano mai capitate ed arrossì di colpo in modo incontrollato. Quel che voleva fare non seppe nemmeno lei come fece a non farlo: voleva abbracciarlo forte, solo questo, fargli adagiare quel volto sconvolto e sofferente, sul suo petto morbido ed accogliente e tenerlo lì, cullarlo, stare con lui.

Però non riuscì a staccare gli occhi dai suoi azzurri e troppo limpidi e pensò anche che potesse leggerle nel pensiero in quel momento, così distolse lo sguardo per prima, girandosi di scatto e andando verso la porta veloce, William interpretò il gesto come una sorta di sentirsi offesa per cui senza pensarci su, in quel momento non riusciva più a farlo in effetti, si alzò a sua volta non volendo che nessuno fraintendesse le sue parole, le andò dietro e quando lei aprì la porta d’ingresso si sentì afferrare per il polso e nello stesso momento dovette bloccarsi non per Will ma per chi aveva davanti.

C’erano due ragazzi identici fra loro, solo uno dei due era appoggiato all’altro ed era molto più magro e pallido, l’aria proprio malata.

Erano mori con una bandana sul capo, abiti scuri larghi da ragazzi di strada…ed un espressione a dir poco lugubre e di natura arrabbiata.

- Ops…-

Mormorò istintivamente lei dimenticandosi un secondo la mano del biondo che stringeva il suo polso, dietro di tutti Andrew si era alzato e tirando il collo senza capire molto li vide e cercando di prevenire una seconda guerra interna, alzò le braccia sventolandole per farsi vedere dal conosciuto ragazzo.

- Hey, Ilyr, ci sono…è tutto a posto, questi li conosco io…-

Ilyr li fissò comunque malamente e poco socievole, per nulla gentile, grugnì un:

- Che cazzo vogliono? Questa è casa mia, non un locale…tanto meno un albergo…-

In condizioni ottimali il principe maggiore avrebbe risposto una cosa tipo:

‘Se questa la chiami casa…’

Ma non era in tali condizioni e si limitò ad affiancare Charlotte asciugandosi veloce il volto, non ebbe un gran risultato visto che si vedeva ugualmente che aveva pianto e perciò faceva lo stesso impressione.

- Mi scuso a nome di tutti. È colpa mia. Sono William, suo fratello…loro sono nostri amici, Charlotte e Drew…siamo venuti a riprendere Andrew e a togliere il disturbo., spero che non ti abbia arrecato alcun fastidio e che non sia stato invadente, ti ringrazio per averlo accolto ed aiutato per questo periodo…-

In effetti erano passati alcuni giorni e i due erano sempre rimasti insieme, era naturale pensare che ormai fossero diventati amici e che Ilyr avesse voluto aiutarlo.

Costui rimase profondamente colpito per molti motivi:

Qualcuno era venuto a cercare e riprendersi Andrew, quel ragazzo, il fratello maggiore del rosso, aveva un linguaggio quasi incapibile e nonostante il chiaro stato d’animo in cui era stato sorpreso, aveva ripreso subito il controllo di se, era una sorta di angelo in mezzo ai diavoli e c’era da chiedersi che avesse compiuto il sacrilegio di farlo star male fino a piangere, colpiva anche perché si capiva che raramente perdeva il controllo di sé ma l’aveva appena fatto…e metteva curiosità per questo, soprattutto lasciava un istinto di accettazione, o meglio come respingere tale persona così adulta, matura, che sapeva chiaramente stare al suo posto e prendersi le proprie e le altrui responsabilità?

Lui sapeva apprezzare queste persone ma non ne incontrava quasi mai.

Aveva subito capito che William era un tipo così.

Uno nobile nell’animo.

“Questo è non solo fortunato, di più…è nato nel posto in cui doveva nascere…non succede praticamente mai!”

Ebbe il tempo di pensare questo, poi sbattendo le palpebre più volte si decise a rispondere e tornare in sé.

Borbottò un brusco e sempre poco gentile:

- Va bene, non me ne importa…era ora che qualcuno se lo riprendesse, ha fatto tutto da solo, si è stabilito qua senza chiedermi il permesso…-

Detto ciò fece qualche passo avanti per entrare, i due si fecero da parte e lo lasciarono entrare sorpresi e un po’ incuriositi dal trovarsi una persona simile davanti che aveva avuto a che fare con niente meno che un viziato principe egocentrico!

William e Charlotte si tenevano ancora in una sorta di mano, o meglio lui le teneva il polso per non farla scappare, dimenticando di essere rimasti così in un attimo sentirono entrambi un bruciore sul punto di contatto e abbassando lo sguardo si accorsero di essere ancora allacciati, arrossirono di nuovo e si separarono, lui la guardò subito d’istinto per vedere se però tornava a scappare, lei non potè certo non ricambiare lo sguardo ma pentendosene le fece la linguaccia e gli mostrò il dito medio per cercare di riprendere il controllo di sé.

- Volevi andartene? Sei arrabbiata?-

Glielo chiese a bruciapelo ignorando il suo comportamento grezzo, lei sbuffò e girò la testa dall’altra parte, poi mugugnò:

- No, testone…volevo prendere un po’ d’aria…mi sentivo di troppo…-

Lui le rispose in fretta, sicuro di quanto stava dicendo:

- Non lo eri, non lo sei più ormai…-

Si sospese rendendosi poi conto dell’ambiguità di quella frase e si affrettò a spiegare:

- Cioè nel senso che tu avevi detto di voler dare il tuo contributo ma non l’hai ancora fatto, stiamo aspettando, eh?-

Aveva trattenuto il fiato in questo breve scambio di battute con lei e lei aveva fatto altrettanto.

Si resero conto anche di essere terribilmente imbarazzati ed infastiditi entrambi della situazione, sentendosi un po’ scurrilmente parlando degli idioti, decisero di lasciar perdersi a vicenda per dedicarsi agli altri!

Saggia decisione!

Mentre loro erano stati impegnati in quei sussurri scambiati, Ilyr aveva portato Kohja il gemello in casa, adagiandolo su una specie di poltrona un bel po’ rotta, di quelle rimediate nell’immondizia e riadattate.

- Non dire stupidaggini…sei stato tu a dirmi di restare per provare cosa significava una vita come la tua che io sembravo preferire…adesso non far credere a tutti che ho fatto le cose da solo! -

L’aveva detto Andrew con un tono molto ironico e scherzoso, Drew li aveva osservati e sentendosi scambiare ancora queste battute capì al volo che qualunque cosa fosse successo erano diventati una sorta di amici, si chiese come potesse essere accaduto e mentre si perdeva in sue considerazioni vide Ilyr che fra una rispostaccia e l’altra parlava col gemello in linguaggio muto.

Spalancò i bei occhi verde-dorato che in alcuni momenti sapevano essere azzurri, si avvicinò e senza attendere che finissero disse:

- Oh, io lo conosco…-

Per poi partire con un discorso fatto tutti di gesti, Ilyr lo fissò stupito non pensando che fra i nobili potessero conoscere un linguaggio simile, non lo respinse anche se ebbe di natura quell’impulso: Kohja aveva preso a discorrere con lui molto disinvolto e col sorriso sulle labbra secche l’aveva accettato. Quindi non poteva certo fare altro che accettarlo a sua volta.

Anche se con le solite riserve, insomma: chi lo conosceva questo Drew?

Andrew in cuor suo dopo lo scossone e l’intontimento aveva faticato a riprendere controllo di sé ma la prima cosa che aveva realizzato era che Ilyr aveva accettato non solo Charlotte e Drew, anche se con qualche riserva evidente, ma soprattutto William!

Sarebbe stato convinto che l’avrebbe preso a pugni!

Il ragazzo di strada dopo un po’ decise di lasciare che i due facessero amicizia, anche se era sempre poco convinto, Ilyr era iper protettivo nei confronti del fratello, e lanciando un’occhiata furtiva ad Andrew lo sorprese a fissarlo.

In un attimo capì la situazione, all’inizio gli era sfuggita perché era stato preso in mezzo dall’idea di prendere tutti a calci e cacciarli oppure adottare un approccio più normale, poi però aveva notato l’espressione un po’ persa e sconvolta non solo di William, che era subito tornato freddo e cosciente, ma anche di Andrew…e aveva ripetuto fra sé e sé le parole del biondo:

‘…per riportarlo indietro…’

Lo capì e se lo ripetè ancora: quel rossino fastidioso e capriccioso alla ricerca della sua strada, che a fatica era riuscito a comprendere e addirittura apprezzare rivalutando gran parte della sua visione delle persone e della vita, stava per tornarsene via, l’avrebbe lasciato solo.

L’impulso fu quello di prenderlo a pugno e cacciarlo per evitare scene strappalacrime di addii o simili, la seconda di fare altrettanto perché dopo aver promesso grandi cose d’ amicizia e aiuti, lui se ne andava abbandonandolo, la terza però lo trattenne a fatica perché capì che pestandolo non sarebbe più tornato, avrebbe pensato male e frainteso, si sarebbe sentito ancora più obbligato nei suoi confronti…per cui andò non poco in confusione ma con la sua mente contorta decise un approccio generico:

- Così te ne vai finalmente…torneremo a respirare. Specie lui…gli toglievi aria preziosa ai polmoni!-

Aveva detto leggero e sempre col tono un po’ aggressivo.

Andrew non si fece più sorprendere e imparato a conoscerlo quel tanto che bastava, non lo fraintendeva più, sorrise un po’ rilassato ed un po’ tirato:

- Farai festa…-

Era un si e dentro di sé provò del definitivo fastidio, Ilyr.

Le persone non potevano entrare prepotenti nella sua vita, far di tutto per farsi accettare ed una volta che vi riuscivano uscirne in quel modo, lo mandava in bestia quel comportamento…per questo odiava la gente e non voleva amici o rapporti, però a volte non li si possono evitare, a volte si fanno incontri speciali che superano la comprensione e la volontà umana e rivoluzionano la vita.

Fra loro due era stata una cosa reciproca, dalla burrasca a qualcosa di piacevole e ancora indefinito, ma dipendente l’uno dall’altro.

Però entrambi sapevano che era giusto così, lo sapevano…Andrew doveva tornare a casa, per ora doveva. Con suo fratello. Ricucire quel rapporto, sistemare delle cose, prendere le sue definitive decisioni e finalmente mettersi a vivere. Come, sarebbe dipeso da lui dopo essere tornato con William.

In quel momento era giusto così.

Certo Ilyr lo invidiava ma non avrebbe mai detto, ammesso accettato altro.

Mai.

Orgoglioso oltre la norma.

Ad interromperli fu Drew che liquidò tutti così:

- Ma siete in mano a macellai! Venite da chi vi dico io, ho i giusti contatti, vi aiuteranno subito, essendo amici miei poi sarà tutto gratis!-

Fecero un po’ fatica a capire di cosa parlasse, ma in un secondo momento il moro spiegò che Kohja, ormai amiconi quei due, gli aveva raccontato la sua malattia e invece di rattristarsi per l’inevitabile morte prossima del giovane, si era infervorato sicuro con una soluzione in mano, sapendo che lui poteva aiutarli, che non c’era motivo di pensare alla morte, che certa gente non può passare tutta la vita nel suo personale inferno.

Indovinare la reazione di Ilyr, per Andrew fu facilissimo ormai, il loro rapporto aveva dell’incredibile visto dal di fuori, senza aver percorso il resto delle giornate che avevano passato insieme!

Aveva ovviamente rifiutato: il solito orgoglioso che non voleva pietà, facilitazioni, cose gratis e via discorrendo, ma poi a convincerlo fu una frase detta da William al punto giusto, una delle sue che come si soleva dire, tagliavano le gambe:

- Non importa avere, l'importante è dare e quando dai con il cuore dal tuo cuore ricevi quell'emozione che ti consente di dire "ho ricevuto anch'io"! Devi accettare per questo il suo aiuto. Non angustiarti perché ora non hai nulla da dare. A te sembra così, lascia decidere a Drew se riceverà o no, facendo quello che fa. È sciocco rifiutare una cosa simile, non la so bene la vostra storia ma so bene che quando ci è in situazioni come la sua non ci si può permettere di dire di no, non per disperazione ma per amore suo…e come ho detto per poter ricevere, che è importante. L’ho imparato pochi minuti fa…-

Così dicendo guardò il fratello che si era inebetito a guardarlo, stessa cosa che fecero in effetti anche gli altri. In pochi attimi William era riuscito a sorprendere non poche persone, ma lui era un tipo così.

A Ilyr, davanti a questo, non era rimasto che accettare, a modo suo, ma accettare:

- Si bè…si può vedere…ricambierò comunque, non è un favore, eh?-

Non si sarebbe potuto pretendere più di così…

Uscendo Charlotte sperò che quella certa persona non avesse notato il suo repentino cambiamento, anche se era rimasta poi in silenzio musona più di sempre ad arrossire ad ogni sguardo suo. Questa fu una speranza vana, visto che scendendo le scale questa stessa causa gli sussurrò tornato in sé del tutto:

- Noi due dobbiamo parlare, Charlotte…-

Su questo si concluse quella giornata, quegli incontri e quelle nuove amicizie…o come si potevano chiamare senza offendere il sempre offeso Ilyr!

William ed Andrew rimasero svegli tutta la notte a parlare da fratelli, per la prima volta nella loro vita.

FINE CAPITOLO

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Ti va di ballare? ***


Nuova pagina 1

* arriva così uno degli ultimi cap, se non il penultimo, direi….non ho progettato questo ma a grandi linee siamo veramente alla fine anche qua, le cose si stanno sistemando e chi doveva crescere, ormai è cresciuto…quindi attendete, in questi giorni finisco anche questa storia! Grazie ai lettori e a chi commenta nel Neurone Scrittore, Questa volta sviluppo il rapporto Charlotte/William…spero vi piaccia e di non deludere…a presto e buona lettura. Baci Akane*

 

CAPITOLO XV:

TI VA DI BALLARE?

 

‘Che fosse una sfida o un piano per raggiungere qualche strano scopo, talvolta il modo migliore per vincere era arrendersi!’

 

Era giunto il momento.

Charlotte se lo sentiva.

Aveva abilmente evitato William per qualche giorno ma il proprio timore si stava trasformando in realtà: non ce l’avrebbe fatta ancora per molto! Lui voleva parlarle e sicuramente sul suo comportamento strano dell’altro giorno, non sarebbe riuscita ad evitarlo. Il punto era che se l’avesse visto e lui glielo avesse chiesto, lei sarebbe riuscita a mentire nascondendo i suoi nuovi sentimenti verso di lui?

Avrebbe potuto nascondere che William le piaceva, ed anche parecchio?

Era sicura di no, ecco perché ogni volta che lui entrava nella sua stanza lei scivolava altrove, lui non era stupido, si era accorta che l’evitava, ma si chiedeva cosa avesse da nascondergli di così grave. Se non voleva proprio accettare il fidanzamento forzato dei rispettivi genitori o famiglie, sarebbe bastato andarsene. Un ‘no’ lui l’avrebbe retto senza problemi, anche se l’idea di vederla andare via da lì, sentirsi rifiutare da lei, non gli piaceva affatto. Non era per il rifiuto in sé, non era un narcisista…era perché Charlotte non lo voleva…ammesso che il problema fosse quello.

Gli pareva comunque strano, non era tipo da non riuscire a ‘scaricare’ qualcuno. Era sicuro che non cercava di dirgli, o non dirgli, quello.

Che ci fosse qualcos’altro…e non si sbagliava!

Lui aveva il sesto senso dei nobili d’animo o magari era quello dei principi o solo quello delle persone sensibili, chi poteva saperlo. Fatto era che lui se lo sentiva, come si sentiva che doveva parlarle e chiarire.

Aveva imparato a conoscerla ed era sicuro di una cosa…per farle fare qualcosa che non voleva fare, bisognava farla cadere in trappola e lui a giocare d’astuzia era molto bravo. Troppo forse!

Non avrebbe resistito se l’avesse punta sull’orgoglio.

Ecco perché decise di scommettere con lei e sfidarla ad una sorta di gara di ballo.

Con furbizia riuscì ad intrappolarla facendosi aiutare da Andrew, infine costringendola a farsi guardare, con aria sorniona e sicura di sé, nonché una strana luce nello sguardo chiaro, le disse:

- Ti va di ballare?-

Lì per lì lei credette di non aver capito bene, anzi era sicura  di aver avuto le allucinazioni uditive o di aver frainteso, così sbattè le palpebre e solo quando lui mantenendo la medesima espressione calma ma al contempo superiore le aveva chiesto di nuovo:

- Ti ho chiesto se ti va di ballare con me!-

lei aveva sgranato i suoi bei occhi blu intenso lasciando aperta anche la bocca carnosa.

- Dai i numeri?-

Aveva quindi risposto di rimando senza pensarci molto. Almeno il suo istinto funzionava bene, non la tradiva…per un momento aveva pensato di svenirgli addosso o arrossire come una qualunque…ma forse questo lo fece!

Lui continuò a guardarla e mettendola in soggezione cominciò a studiarla. Erano soli nella stanza di passaggio ma sentiva molto bene la tensione di lei, boccheggiante, che non sapeva più che pesci prendere; così ebbe pietà di lei e le spiegò:

- Domani c’è la festa, ricordi? Penso vogliano festeggiare Andrew. Ebbene dovremo aprire i balli in quanto ormai ci ritengono una coppia, così mi chiedevo se non fosse il caso di prepararti all’evento…sai, non mi sembri molto esperta in certi settori come, ad esempio il ballo ad una festa piuttosto solenne!-

Fu colpita proprio laddove lui voleva colpirla, l’orgoglio smisurato! Fu contento della sua reazione, per la prima volta ne fu contento. Lei imbronciò la bocca e fece una delle sue smorfie, infine incrociando le braccia al petto dimenticò il motivo per cui non voleva vederlo e ogni imbarazzo scemò in un lampo. In tono combattivo alzò il mento come a sfidarlo e infine disse:

- Non mi serve nessuna lezione preliminare! Sta tranquillo, so ballare meglio di te….QUALSIASI ballo!-

William a quel punto si concesse un sorrisino di scherno e scettico asserì:

- Anche un valzer?-

Charlotte quasi non ci vedeva più:

- ANCHE UN VALZER! Per chi mi prendi? Anche se non sembra sono una principessa e sono stata cresciuta come tale, per disgrazia mia è così e so ballare qualunque cosa! Te lo dimostrerò!-

La soddisfazione giunse al culmine…così avrebbero avuto tempo di parlare, l’avrebbe colta in fallo proprio mentre non pensava a sfuggirgli, ma proprio quando lui stava esultando dentro di sé, dicendo anche:

- Ebbene il valzer sarà il primo ballo e lo balleremo solo noi davanti a tutti gli ospiti!-

Lei non si era persa d’animo e presa da sacro furore era partita:

- Perfetto! Non ti farò sfigurare, principe caro! Anzi, voglio vedere se invece sarai in grado di ballare un ballo poco da principi e decisamente non da te!-

Si incuriosì ed alzando un sopracciglio pensò che forse aveva superato le sue aspettative.

- Tipo?-

La vide fare un passo avanti, avvicinarsi ulteriormente a lui, puntare un dito al suo petto e mormorare incisiva:

- Un tango argentino!-

A questo punto lui alzò anche l’altro sopracciglio e lei rise con un certo sadismo, senza preoccuparsi dell’idea poco elegante che dava di sé. Ad interromperla, sicura che lui non ne sarebbe mai stato capace, fu lui che insieme al suo, di orgoglio, aveva risposto serafico:

- E tango sarà!-

Lei aveva immaginato la sua reazione ma ugualmente aveva ridacchiato sicura che non sapesse ballarlo o per lo meno che non fosse alla sua altezza. Già si pregustava la figuraccia che gli avrebbe fatto fare davanti a tutta quella gentaglia!

Rimasero a guardarsi negli occhi con fare battagliero, anche se il biondo rimaneva col suo certo contegno, per poi darsi appuntamento davanti alla porta della camera di Charlotte alla sera successiva, quando lui l’avrebbe accompagnata alla sala da ballo dove si sarebbe tenuta la festa.

Sicuri entrambi che avrebbero ‘vinto’ questa sorta di sfida!

 

L’ebbe davanti a sé pronta per la festa e si stupì di avere la Charlotte che conosceva…o per lo meno credeva di conoscere. La guardò con quel suo sguardo penetrante ed indecifrabile, come se la squadrasse per portarla ad una mostra d’alta classe e al contempo si pregustasse già la vittoria del massimo premio.

Lei era…diversa dal solito ma assolutamente fantastica.

Un lungo abito in velluto nero dai riflessi blu, da sera, il corpetto era attillato, lasciava scoperte le spalle e la scollatura della schiena e del petto, la gonna arrivava fino alle caviglie, liscia con uno spacco laterale che scopriva la gamba destra. Ai piedi aveva delle scarpe sempre nere, da sera, semplici ma che si abbinavano al vestito…avevano il tacco!

Dei guanti di stoffa pregiata alle braccia arrivavano fin sopra al gomito mentre sopra, sul polso sinistro, un bracciale d’oro bianco con una perla incastonata, come anche la catenina al collo, l’anello e gli orecchini. I capelli castani erano pettinati lateralmente sulla fronte, alzati sulla parte superiore in un’acconciatura facile ma elegante e lasciati sciolti inferiormente.

Il volto era truccato ma non in maniera esagerata, solo in modo da evidenziare i suoi bei lineamenti, con dell’ombretto chiaro sugli occhi e un rossetto in tono, non scuro o pesante. Sembrava completamente un'altra ed era a dir poco fantastica. Anche se ai suoi occhi lei lo era sempre…la sua bellezza si notava in ogni caso, anche quando era in disordine, il più delle volte in effetti! Non era una principessa che giocava sempre a fare la grande donna, la vedeva più come un diamante allo stato grezzo…ora che era elaborato, il diamante appariva in tutto il suo splendore.

William l’ammise fra sé e sé, Charlotte era bella ma soprattutto attraente. Di lì a poco avrebbe anche visto quanto sensuale poteva essere.

Le tese il braccio dopo un leggero e formale inchino:

- Sei molto bella…-

La castana credette di aver capito male ma probabilmente era solo un copione che in quei casi veniva letto, lui era un principe in tutto e per tutto, conosceva le buone maniere e la galanteria. Era tutto qua, ma decise che l’avrebbe stuzzicato per tutta la sera poiché anche se non le piaceva pavoneggiarsi, sapeva di non essere la creatura più brutta dell’universo.

- Davvero?-

Fece lei con un pizzico di ironia infilando la mano sotto il suo braccio evitando di inchinarsi a sua volta:

- Sembri un’altra!-

Fece eco lui rimanendo molto formale e poco familiare. A lui questo non piacque ma pensò che la serata sarebbe stata lunga:

- Anche tu non sei male ma mi chiedo una cosa…-

Iniziò Charlotte con una luce furba negli occhi:

- Si?-

- Mi chiedevo…come un tango possa venir ballato da una persona rigida e distinta come te!-

William si trattenne dall’esprimere il suo reale stato d’animo, avrebbe voluto scoccarle un’occhiata carica di malizia ma non sarebbe stata nel suo stile, così rimanendo calmo e tranquillo, disse:

- Lo vedrai…-

Ad entrambi, in fondo, piacevano le sfide.

 

Quando giunsero alla sala grande già con tutti gli ospiti presenti, in attesa di vedere i veri protagonisti della serata, il brusio delle voci si dissolse lasciando spazio ad un maestoso silenzio per il principe William e la principessa Charlotte che a braccetto facevano il loro ingresso.

Non v’era arrivato ancora alcun avviso ufficiale del loro fidanzamento ma guardandoli in quell’attimo insieme parve sicuro e scontato l’esito. Sembravano fatti l’uno per l’altro e a sorprendere maggiormente fu proprio lei, bella più che mai come non lo era mai stata da quando era lì. Vedendoli insieme in quel momento nessuno ebbe dubbi sul fatto che stavano bene insieme.

Dopo aver fatto i soliti onori salutando gli invitati, l’orchestra annunciò l’inizio delle danze e nella parte riservata al ballo, tutti attesero accerchiati che i due le aprissero.

Si trovarono così l’uno davanti all’altro, come di rito per una fiaba antica, lui si inchinò davanti a lei porgendole la mano, lei fece altrettanto immaginando di possedere uno di quegli abiti ottocenteschi e posò la sua mano su quella tesa.

Le luci si abbassarono diventando azzurrine e sul silenzio la musica ebbe inizio quasi dal nulla, un leggerissimo  soffio accompagnato come da dei pizzichi, e presto si aggiunse qualcos’altro arrivando un po’ più veloce, un po’ più forte e via via sempre più intenso in un alternarsi di calo e crescita fino a che il ritmo pacifico del ‘Bel Danubio blu’ non raggiungeva il suo splendore in diversi acuti.

I due iniziarono a muoversi come immersi in una di quelle favole, una magia o un sogno.

Fluidi e dolci a passi di valzer ricrevano quell’atmosfera simile al ballo di Cenerentola che ognuno aveva invidiato.

Presto guardandosi vicendevolmente negli occhi ogni cosa spariva, la folla intorno incuriosita e sognante, l’orchestra, la sala stessa. L’idea che avevano e davano era quella di un isolamento totale sospesi fra il sogno e la realtà. William non avrebbe mai pensato che lei potesse non solo ballare così perfettamente ma anche essere maestosa, elegante e dolce come il tipo di ballo richiedeva. Trasportato insieme a lei in quella dimensione surreale desiderò solo che durasse più a lungo che poteva…che quegli occhi blu non smettessero di guardare i suoi senza timore, imbarazzo o vergogna…che quel bel volto rimanesse così vicino al suo e il suo corpo delicato gli si affidasse ancora e ancora, fino a diventare il suo completamento.

Il racconto di un amore, ecco cos’era.

E ad entrambi sembrò così reale da crederci e volerlo. Volere che lo diventasse non solo perché ballavano e c’era un atmosfera suggestiva.

Sia per lui che per lei fu una forte scossa, uno studio vicendevole ed un seguito di lasciarsi andare.

Una resa di sentimenti.

Sentimenti così tanto umani da essere terribilmente veri. Meravigliosamente veri. Ogni cosa sembrava giusta, naturale e magica e la sensazione di magnificenza li fece quasi perdere la cognizione del tempo e dello spazio, fino a che il finale del canto arrivò fermandoli, riportandoli quasi bruscamente alla realtà.

Con una cosa non avevano fatto i conti.

I sentimenti.

Non si erano nemmeno accorti che nessuno li aveva seguiti nella danza, rimanendo a guardarli sognanti immaginando quelle storie d’altri tempi.

Fermi anche sulla canzone successiva che ripartì e sulla gente che si metteva lentamente a ballare. Fermi immobili l’uno davanti all’altro senza nemmeno il fiato corto, solo a guardarsi così vicini immersi nei propri pensieri o forse solo in ciò che avevano provato danzano con l’altro.

Avrebbero voluto dire qualcosa ma non uscì nemmeno il minimo suono dalle loro bocche, perfino la loro scommessa era dimenticata e lui che avrebbe voluto parlarle e chiederle cosa le capitava in quegli ultimi giorni, non aveva avuto memoria per quello.

Quando furono toccati da una coppia in movimento, sembrarono svegliarsi, chiusero e riaprirono le palpebre scotendosi mentalmente e tornando alla realtà.

- Sorprendente…-

Disse William sinceramente colpito da Charlotte, lei arrossì e sorrise forzatamente credendo che di lì a poco sarebbe svenuta.

Lui così bello, perfetto ed ora vicino. Forse si era illusa di essere la sua principessa, di essere entrata in una fiaba e di aver vissuto una storia d’amore con lui solo con dei semplici movimenti aggraziati.

Forse.

Ma forse con il completamento della sfida, ogni cosa sarebbe andata al suo posto.

- Grazie…-

Mormorò.

Lui le prese la mano lasciando perdere le buone maniere e le formalità, fino a trascinarla fuori dalla pista. Lei guardò le loro mani allacciate e al tempo stesso sentì gli occhi di molti puntati su di loro.

Le aspettative di molti sarebbero state soddisfatte, per una volta.

Fu questo il pensiero lampante pur lei coscientemente non credeva che lui ricambiasse i suoi sentimenti. Quando furono in disparte e lui le porse un bicchiere di cristallo per sorseggiare, finalmente le chiese, ricordandosi solo in quell’istante cosa avrebbe voluto fare prima:

- Ora non scappi?-

Lei si ricordò tutto ciò che le aveva dato pensiero in quel periodo e l’angoscia tornò a contaminarla. Un peso al petto le impedì di gustarsi l’ottimo champagne pregiato. Ora sì che il respiro le veniva meno!

In un nano secondo dovette cercare nella sua testa una plausibile risposta, ma scossa per ciò che era appena avvenuto, non trovò nulla se non un difensivo:

- Sono sempre in tempo!-

Senza negare che in effetti scappava!

Lui sorrise e questo le immobilizzò le gambe.

- Non serve, rimani, dai…-

Lei si rigirò il calice fra le mani e guardandolo con finto interesse, si arrese mormorando:

- Penso di non avere scelta…-

- Tutti ne hanno una.-

- Non sempre…-

- Siamo giovani, è uno spreco parlare in questo modo.-

Fu qua che lei alzò di nuovo lo sguardo posandolo nel suo azzurro e di nuovo l’attrazione sbocciò, era una piccola tortura per lei dover stare con lui facendo finta di nulla. Insopportabile.

- Tu non hai mai avuto scelta, sei nato principe e per forza di cose sei dovuto diventarlo…fino a trovarti in cima a quella torre da solo…-

Citò lo scoppio del biondo senza volerlo, forse per tastare ma lui non si fece trovare impreparato, con lei non gli dava fastidio palrarne.

- Nessuno può scegliere cosa nascere. Si nasce e basta. Ma ognuno ha quel che merita, quel che può sopportare ed affrontare. La vita è fatta di scelte persino laddove non sembra possano starci. Tu ora puoi scegliere se andartene o continuare a parlare con me e spiegarmi cosa ti succede in questi giorni…-

Lei trattenne il respiro facendo forza su se stessa per controllare il proprio corpo e non contorcersi. Era faticoso, un delirio.

Sembrò soppesare a fondo quelle parole e compiacersi di quanto aveva detto. Aveva pienamente ragione e per quanto costasse ammetterlo, era vero. Ognuno quel che meritava.

Fu così che decise cosa fare.

Lo decise veramente e sicura assunse un aria indecifrabile, con una sottile vena d’ironia e malizia nello sguardo:

- Te lo dirò dopo il nostro tango!-

Lui si era aspettato una cosa simile, così a sua  volta domando l’istinto di riprenderla per mano, sorrise disteso:

- Perfetto!-

E così era giunto il tempo.

 

Sensualità.

Doveva traboccare da ogni lato di loro stessi.

Passione.

Doveva trasmettersi al compagno.

Amore assoluto.

Doveva sembrare lo facessero veramente.

Desiderio.

Dovevano volersi fin dalle viscere.

In un istante tutto fu silenzio e con forte stupore si videro i due, William e Charlotte, l’uno di fronte all’altro prepararsi ad un altro ballo. Quando la musica iniziò già incalzante, tutti capirono di quale ballo si trattava e un brusio si levò.

Le loro espressioni encomiabili sembravano scolpite da un esperto del settore e così vicini solo loro potevano vedersi.

Solo loro potevano volersi.

Lei di partenza non pensava lui sarebbe stato all’altezza ma quando partirono insieme esattamente come dovevano, dimenticò ogni cosa e si lasciò andare, rendendosi conto solo allora di quanto lo desiderava veramente.

Possessione.

Lui era solo suo.

Gli andò contro col proprio corpo, facendoglielo sentire, avvolgendolo con le proprie armi.

Gelosia.

Marchiava il territorio, nessuno poteva avvicinarsi, gli girò intorno senza mai staccarsi.

Seduzione.

Portava il suo volto vicino alle sue parti di desiderio, sfiorandolo con la sua pelle accaldata e profumata.

Gioco.

Attirarlo quasi con violenza, respingerlo con malizia e riprenderselo per averlo.

Peccato.

Avvicinarlo di più e ancora di più fino a fare l’amore con lui, senza dare importanza allo spettacolo peccaminosocce offrivano.

Amore.

Finire nell’unico modo possibile.

Un bacio sulle labbra proprio sul cadere finale, inarcata all’indietro, sorretta da lui.

Batticuore.

Silenzio e poi uno scroscio d’applausi.

Invidia e contrarietà per lo spettacolo sconveniente che avevano dato due di quel rango.

E loro due, sudati, accaldati, stralunati, sconvolti, eccitati…pieni di desiderio.

- Era questo che dovevo dirti…ti voglio!-

Lo disse quando si rimettevano dritti in piedi per ricevere meglio gli applausi e i complimenti.

Fu così che ora lui cadde nel panico.

 

FINE CAPITOLO

 

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Luoghi d'appartenenza ***


FREAMMENTI
:
* ci siamo, questo è l’ultimo capitolo, dopo ci sarà solo l’epilogo a sistemare ogni cosa. Ebbene ho velocizzato il finale poiché non avevo pensato ancora a come farlo e siccome vorrei iniziare una nuova fanfic ho deciso di chiudere questa, così non ho pensieri! Ok, mi dispiace, sono molto affezionata a William, è un personaggio incredibile, ma sono felice di aver scritto di lui. Penso che ne creerò altri così anche se lui sarà sempre unico. Non so bene cosa dirvi, vi riservo i saluti e i ringraziamenti per l’epilogo che arriverà presto sempre perché voglio finire presto per iniziare quella nuova. A presto quindi e buona lettura. Baci Akane *

CAPITOLO XVI:
LUOGHI D’APPARTENENZA

'Era giusto credere che non si poteva scegliere dove nascere, che a qualcuno capitava nel luogo appropriato ed altri no, ma era altrettanto giusto capire che qualunque tipo di vita si vivesse e come, importante era non farla da soli, saper chiedere aiuto e compagnia, trovare qualcuno con cui camminare per i propri sentieri, facili o difficili che siano.'

Occhi negli occhi. Charlotte non aveva più paura di quell’azzurro principe perfetto e superiore a tutti per grazia ricevuta alla nascita. Non aveva più paura dei propri sentimenti per lui. Si era data della stupida già abbastanza. Le bruciava per una volta, aver fatto quel che i suoi genitori con la puzza sotto il naso, le avevano imposto. Le aveva dato un fastidio inaudito dover cedere e ammettere che per una volta avevano fatto qualcosa di buono. Anzi, si era seriamente preoccupata per se stessa pensando di star diventando come loro visti i gusti simili. Come poter innamorarsi di uno come William? Per lei era inaudito eppure stando a contatto con lui aveva forzatamente imparato a conoscerlo, quindi era stato ovvio innamorarsene. Ci aveva impiegato un po’ ad ammetterlo, ma ormai era pronta ad affrontare la situazione e le conseguenze dei propri sconsiderati sentimenti! Si era scoperta ed adesso ce l’aveva davanti. Come si sentiva dopo averlo detto? Meglio. Decisamente meglio. Il classico peso che si toglieva!
William la viveva diversamente. Per lui era difficile fare il passo successivo a quello di Charlotte, poiché lui ancora non aveva ammesso nulla a sé stesso se non una sana curiosità verso una creatura così diversa e strana come lei. Dal di fuori il suo viso sembrava scolpito nel ghiaccio, come al solito, una statua bellissima che difficilmente si sarebbe sciolta, a vista d’occhio. Sarebbe tuttavia bastato toccarlo per rendersi conto che la temperatura interna saliva alle stelle. Aveva un controllo su sé stesso che aveva dell’incredibile. Analizzava. Non poteva far altro, in un attimo, che analizzare la situazione, Charlotte, il loro rapporto e, cosa ancor più difficile per lui, i propri sentimenti. Dopo quel ballo così…audace…chissà se avrebbe trovato il coraggio di affrontare tutto quello a cui era obbligato. Non era uno che si tirava indietro davanti a niente. Aveva avuto una storia seria, Kate, e tuttavia non aveva mai pensato che sarebbe stata quella giusta. Si era messo con lei solo perché era perfetta, era giusta per un principe. Tutto lì. Nient’altro. Ma ora che le avevano imposto la conoscenza di una nobile come Charlotte con l’intenzione di doverla sposare, bè, quello era tutt’altra cosa. Kate era cancellata e sepolta e forse poteva anche ammetterlo…se quella ragazza fosse stata più folle come quella con cui aveva a che fare ora, le cose sarebbero andate diversamente.
La guardò ricordando i momenti passati con lei, tutto ciò che aveva pensato sempre su di lei e le idee che gli erano saltate in mente in diverse occasioni…quando l’osservava fare il bagno in piscina o vestirsi a modo suo per uscire fra la gente comune, ma anche quando proprio quella sera, l’aveva vista elegante e a dir poco bellissima. Aveva un bel viso e si curava ma come diceva lei, aveva quel senso di selvatico e grezzo che contrastava con la sua bellezza ed i momenti in cui si comportava da principessa. Su una cosa era sempre stato d’accordo: era una splendida ragazza e pur sapendolo non si conciava all’ultima moda, non si atteggiava e questo le faceva acquistare punti. Era stato più volte attratto da lei. Fisicamente attratto…tanto da dover cambiare stanza nel momento in cui questa attrazione saliva in lui. Nessuna donna era mai riuscita a provocare in lui reazioni simili eppure l’aveva detestata in più occasioni. Spesso aveva sperato che se ne andasse, erano però stati solo momenti.
Analizzare tutto quello, in così poco tempo, era difficile.
Aveva carattere. Ne aveva da vendere, nessuno le avrebbe mai messo i piedi in testa, sapeva infrangere le regole ma anche stare al suo posto. Conosceva i limiti, quelli da superare e quelli da non superare. Era forte dentro, l’unica in grado di tenergli testa. Forse gli serviva una così. Una in grado di tenergli testa.
Non era facile ammetterlo per lui, così chiuso, isolato, severo con sé stesso e gli altri. Aveva chiuso il suo cuore in cima a quella torre e non l’aveva liberato con altri che non fosse suo fratello, quel giorno. Arrivare a lui era un impresa ma l’idea che lei ci fosse riuscita l’aveva sfiorato per poi appendersi addosso senza più mollarlo.
Era questo?
Charlotte era arrivata a lui? Al vero lui?
- Così sei venuta allo scoperto…-
Disse lui dopo quella breve e veloce analisi. Aveva un tono indecifrabile come anche il suo sguardo, lei era ancora molto tesa, non abitata a dichiararsi a persone simili, nonché infastidita dalla soggezione che quella creatura che sembrava scesa dal cielo, riusciva a metterle.
Arricciò il naso e rispose:
- Si!-
- Posso chiederti da quanto l’hai capito?-
- Posso chiederti che te ne importa?-
- Puoi semplicemente rispondere?-
Lei rimaneva sulla difensiva mentre lui sempre calmo ma senza alcuna inclinazione. Charlotte sbuffò spazientita, guardò in basso e si grattò la nuca sciogliendo una ciocca della sua acconciatura. Avrebbe voluto strofinarsi il viso ma quel trucco fastidioso le impediva di farlo. Non si sarebbe più messa niente in faccia!
- Dunque…da quando siamo andati a prendere Andrew…-
Un solo istante di silenzio, il ricordo di quel giorno per lui molto duro, infine una specie di mezzo sorriso:
- Lo immaginavo. –
Avrebbe voluto aggiungere che era stato proprio dopo quella volta che lei era diventata strana ed aveva cominciato ad evitarlo. Invece chiese solamente serafico:
- E come mai mi hai evitato, invece di parlarmene subito?-
Lei iniziò ad alterarsi e guardandolo di nuovo dritta negli occhi, questa volta seccata, disse:
- Certo, lo venivo a dire proprio a te! Non hai idea di quanto abbia impiegato ad accettarlo…come potevo dirtelo subito? A te?! La causa di tutti i miei problemi, di tutte le mie paranoie, e bada che non ne ho mai avute prima in vita mia, di tutte le mie notti insonni! Ci pensavo e ripensavo e guardandoti l’unica cosa che mi spingevi implicitamente a fare era allontanarmi da te! Andiamo, William, uno che è interessato a te e vuole avere un rapporto, una relazione, di qualunque sia la natura, tu lo istighi a scappare e non ad avvicinarti! Sei freddo, scostante, saccente, snob, superiore la mondo, chiuso come un guscio, guardi tutti dall’alto in basso, li giudichi e non avvicini nessuno. Sei sempre lì da solo ad adempiere ai tuoi doveri…e sembra che ti ci trovi proprio bene, in quei doveri! Sei la creatura più lontana di tutte! Allontani e respingi ed anche se so il perché lo fai questo non significa che avessi voglia di instaurare qualcosa con me! Non sono una kamikaze, non mi butto su qualcuno che mostra chiaramente segni di insofferenza verso di me! Se mi fai pensare che non mi vuoi intorno e vuoi stare solo, allora ti accontento e preferisco tenermi per me i miei problemi! Ti è tutto chiaro ora, o vuoi un disegno illustrativo?-
Dopo tutto quello sfogo agitato e gesticolante, tutto quello che uscì dalle labbra dritte e ben disegnate di William fu solo un laconico:
- Cristallino!-
Aveva detto cose dure e dirette, nel perfetto stile di Charlotte che tanto l’aveva attirato, lei era così. Teneva e poi scoppiava, ma quando lo faceva era pericoloso starle nei paraggi. Tuttavia si era contenuta. Non aveva alzato le mani, si era aspettato anche uno schiaffo.
Probabilmente fu questo a farle maggiormente male e ad ingigantire il suo nervoso e la sua rabbia:
- Ecco! Lo vedi come fai? Dimmi se ho fatto bene a parlartene! Sono queste le reazioni che allontanano, anche se sei così, a meno che tu non voglia stare solo per tutta la vita, devi cercare di modificarsi, sforzarti almeno…non puoi essere sempre così! William, dì qualcosa, reagisci, dannazione! Dimmi cosa pensi di me, se ho torto o ragione, spiegati….!-
Inizialmente cadde nel panico poiché ogni cosa uscisse dalle sue labbra era tutta verità, non avrebbe mai potuto ribattere per cui l’unica cosa che riuscì a dirle fu solo un semplice:
- Hai ragione…-
Al culmine si trovò ad urlare prendendolo per i lembi della camicia che indossava:
- Ma questo non mi aiuta! Mi hai messo allo scoperto ed ora ne paghi le conseguenze! Devi parlare…parlare veramente…esprimiti, merda!-
Sentì quella parola fuori luogo ma non era proprio riuscita a trattenerla così l’aveva sparata. Lui non la notò e non la rimproverò come faceva normalmente. I suoi occhi azzurri, ora, erano assenti, vagavano dritti davanti a sé in quelli più blu di lei furenti, ma non vedevano nulla, cercavano nella propria mente qualcosa da dire senza saper come farlo. Avrebbe voluto parlare ma non l’aveva mai fatto veramente per sé stesso, non sapeva come si faceva, cosa avrebbe dovuto o potuto dire, c’era come un blocco nella sua gola che gli impediva di scoprirsi e lasciarsi andare. L’aveva fatto una volta, davanti ad Andrew, non ci era più riuscito e l’idea di rifarlo lo gettava in quel pozzo chiamato panico. Non sapeva proprio come reagire a tutta quell’ira giusta di Charlotte. Cosa dirle? Cose gli chiedeva di fare? Di gettare la sua maschera, buttare giù il muro, scendere dalla torre che si era costruito. Farlo in quel momento solo per lei. Una volta per sempre.
Da solo non ci sarebbe riuscito. Non da solo.
E rivisse tutta la sua vita, il momento di massima sofferenza per la madre, l’allontanamento da suo fratello, le spalle di suo padre, le umiliazioni derivate dagli sbagli che sempre quell’uomo faceva uno dopo l’altro, i compiti che ormai adempiva al posto di chi di dovere, essere cresciuto troppo in fretta, solo i doveri da nobile, doveri stupidi ed inutili, che non servivano per vivere, parole mai dette, solitudine sempre più forte…e l’unico spiraglio di luce, in tutto quello, era stato il ritrovamento di suo fratello pochi giorni prima. L’unica cosa.
Ora doveva valutarsi, accettarsi e cambiarsi per affidarsi a qualcuno senza sapere se ne sarebbe stato all’altezza…se sarebbe finito tutto in successo o avrebbe sofferto ancora.
Cambiare e aprirsi.
Non ce l’avrebbe fatta.
Era maturato aiutando i suoi familiari sempre nei guai, nonostante la sua giovane età, ed ora che era lui che si trattava di lui non sapeva come fare. Non avevam ai pensato di avere dei problemi, lui era sempre andato avanti pensando a quei famosi doveri, senza chiedersi, come aveva fatto Andrew, se per lui c'era dell'altro nel mondo o se era tutto lì. Si era detto che era nato lì e stop, gli bastava. Non aveva cercato altri luoghi d'appartenenza e finchè non era arrivato nessuno a rivoluzionargli l'esistenza tutto era andato per il meglio. Ora, però, qualcosa era cambiato, quella famosa rivoluzione era arrivata e rispondeva al nome di Charlotte e lui era caduto nel caos.
Caos.
Lei continuò a squoterlo per ottenere delle reazioni, la mandava su tutte le furie quella sua calma neutrale, poi l'aveva visto. una breve luce negli occhi che subito aveva chiuso stretti, con un gesto secco delle mani l'aveva staccata da sè e di nuovo lì, davanti a lei, si era richiuso ancor di più proteggendosi il volto con le mani, senza piangere, solo per non farsi vedere, solo per tenere per sè le sue reazioni, i suoi dolori, i suoi dubbi, i suoi limiti. Solo per non farsi vedere umano e fregile. Lei si era fermata come in un blocca immagine e l'aveva fissata esterrefatta.
"Mio Dio, che ho fatto? Ho ottenuto l'effetto opposto....e ora che faccio?"
Si disse solo questo senza avere altro da dire a voce se non un tremante:
- Will...-
"Allora sbagliavo...il passo che va dall'esprimere i propri problemi ad affrontarli è così lungo? Credevo che dopo quello scoppio con Andrew sarebbe andato tutto meglio, sarebbe riuscito ad aiutarsi e cambiare per non star più così male...invece no. Così finisce per impazzire...cosa posso fare io?"
Veramente non seppe che fare ma forse fu ispirata quella parole che uscì con un filo di voce dalle labbra di William. Forse fu ispirata da qualcuno a cui il ragazzo stava a cuore e l'aveva sempre accompagnato col proprio spirito per non lasciarlo mai solo. Era ispirato perchè lui non l'avrebbe mai detto. Mai. Ma suggerito da qualcuno di materno e dolce si. Ecco perchè lo sussurrò:
- Aiutami...-
Facendogli anche aggiungere successivamente:
- Da solo non ci riesco...-
Questo fu come un pugno nello stomaco per lei che rimase sotto schock a sentire quelle parole uscire proprio da lui. Lo guardò un lungo istante realizzando che tutti, nessuno escluso, avevano sempre sbagliato tutto.
Quel che fece successivamente fu spegnere i propri ragionamenti di fuoco e fiamme e avvolgerlo istintivamente in un abbraccio che inizialmente a William parve molto materno. Smise di respirare aprendo gli occhi per assicurarsiurarsi che fosse Charlotte ad abbracciarlo e non sua mamma. A trarlo in inganno furono molte cose, il profumo, l'altezza, il modo in cui veniva avvolto. E anche la sensazione, la stessa che provava da piccolo quando lei lo consolava. Sperò un attimo che fosse tornato indietro il tempo ma quando vide proprio Charlotte improvvisamente cambiò il profumo che aveva sentito e con esso tutte le altre sensazioni rendendosi conto che era solo la ragazza a stringerlo. Tornò quindi a respirare e senza bisogno di piangere ricambiò quasi arrendendosi a lei e ai suoi stessi sentimenti, capendo che non era da solo a dovercela assolutamente fare in quella vita che gli era capitata.
Era giusto credere che non si poteva scegliere dove nascere, che a qualcuno capitava nel luogo appropriato ed altri no, ma era altrettanto giusto capire che qualunque tipo di vita si vivesse e come, importante era non farla da soli, saper chiedere aiuto e compagnia, trovare qualcuno con cui camminare per i propri sentieri, facili o difficili che siano.
- Ci sono...-
Rispose lei rendendosi conto fino a che punto arrivava il sentimento per lui. Veramente non avrebbe mai pensato che la situazione si sarebbe risolta in quel modo, ma ugualmente le sembrò tutto giusto e adatto. Si disse che ognuno aveva ormai scelto le proprie vie da percorrere e dopo l'annuncio che Kohia, il gemello malato di Ilyr, sarebbe stato operato nella clinica di famiglia di Drew e quindi accolto in casa dallo stesso per il periodo di convalescenza, tutti in cuor loro avevano saputo che Andrew aveva scelto la sua, di strada. Aveva capito a quale luogo appartenere e approfittando della partenza per la 'vacanza' di Ilyr, gli si era aggregato per il suo giro intorno al mondo, sempre per seguire la sua vita.
Già, lo pensarono insieme...ormai mancavano solo loro due a scegliere ed ora che avevano deciso di provare a camminare insieme seguendo i loro doveri nel modo in cui ritenevano rispettivamente giusto, tutto era andato a posto.
Ora tutti i frammenti di quel puzzle che prima erano messi in disordine, erano ben sistemati al proprio posto e si poteva cominciare a costruire il successivo!
Anche se in effetti, bisognava dirlo, ormai erano facilitati visto che non erano più tanti individui che vivevano in solitudine, bensì tanti frammenti uniti che collaboravano vicendevolmente. Così vivere sarebbe stato decisamente meglio.
Qualunque fossero poi le scelte.

FINE ULTIMO CAPITOLO...VI RIMANDO ALL'EPILOGO CHE FARò FRA QUALCHE GIORNO....SIG....CHE TRISTESS....

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Frammenti di perfezione ***


FRAMMENTI

*Siamo così giunti lentamente alla fine. Alla reale fine. Questo ragazzi è l’epilogo e volevo farlo prima di iniziare la nuova breve original che ho pensato. Si tratta del seguito di Somewhere i belong che forse qualcuno ha letto tempo fa quando la feci. Ma non do anticipazioni. Altre cose che potreste leggere di nuovo e mio è una fanfic su Dragon ball, etero anche quella, fra Bulma e Vegeta, quando si sono messi insieme. Non sarà lunga nemmeno quella ed è appena iniziata. Nel frattempo porto avanti Smoke on the water che lentamente anch’essa giunge alla sua fine, ma manca ancora un pochetto, sempre per gli amanti dell’etero, e anche la seconda saga di Sogni amici e stronzate, la storia che ho scritto sul fumetto. Queste ultime due sono original e non fanfic. Smoke sapete che si tratta di una drammatica mentre per SAS siamo in una sentimentale, comico e a tratti anche seria…generica, quindi! Fatte le dovute pubblicità affinché non piangiate la mia chiusura di questa storia, passo a ringraziare chi ha letto e commentato: Parsifal, Yukino, Sawadee, Yuyu e Yuki Kushinada. Ringrazio anche chi magari ho dimenticato o ha letto ma non ha commentato. Questa fine è corta, più che altro una conclusione in riflessione. Ambientato qualche mese dopo l’ultimo capitolo. Non mi resta solo che augurarvi l’ultimo buona lettura di Frammenti e sperare che le parole che ho scritto per questa serie, siano servite a qualcuno, vista la loro particolarità! A presto con nuove storie. Baci Akane*

EPILOGO:
FRAMMENTI DI PERFEZIONE

‘A volte sembra che si nasca nel luogo o corpo sbagliato, in realtà non è così. In realtà si nasce sempre dove e come si doveva nascere. Sono le scelte che si fanno a poter essere sbagliate. Tutto sta nel saperle fare. Tutto sta nel capirsi e capire a fondo chi ci circonda. Tutto sta nel collegare anima e spirito.’

La sala gremita di gente e i flash continui che illuminavano gli ospiti giunti anche da lontano per l’evento, indicavano la solennità della serata. Ma maggiormente a far capire che l’annuncio che avrebbe avuto luogo era molto atteso, era l’arrivo eccezionale dell’ormai viandante principe Andrew.
Erano alcuni mesi ormai che aveva annunciato la sua partenza e rinuncia al titolo di principe, tuttavia chi nasceva di sangue blu rimaneva tale fino alla morte. Una volta partito per seguire la propria strada altrove, nel mondo, accompagnato dall’amico Ilyr, molte voci sul suo conto avevano provato a levarsi nel regno, tutte sistemate dal fratello, il principe William. Nessuno aveva osato più malignare sul suo conto e magicamente avevano iniziato a guardarlo come un eroe il cui scopo era rivoluzionare il ruolo comune di principe. Ad Andrew in realtà non importava nulla di ciò che pensavano gli altri, stava trovando la sua giusta strada ed era contento, per la prima volta si sentiva bene con sé stesso ed il resto del mondo, senza problema alcuno. Gli sembrava paradiso!
Sembrava una serata in grande stile, tutti vestiti da sera ed i giornalisti pronti ad immortalare qualunque particolarità.
Su tutti però il più calmo rimaneva sempre William, il coprotagonista della serata. L’altro protagonista era Charlotte.
Non si era fisicamente alzato, i capelli biondi e mossi erano sempre domati sul capo e tenuti in parte sulla fronte, erano leggermente più lunghi del solito e l’aria che aveva era sicuramente più adulta e matura come se anche la sua, di decisione, fosse finalmente quella giusta. Quella più serena per lui.
Vestito come sempre impeccabile e sguardo nobile, con la testa ed la schiena eretta, il mento lievemente più basso per osservare maggiormente diretto la gente intorno a lui, studiarla e penetrarla col suo sguardo sicuro, di chi guardava dal basso all’alto. Penetrava tutti ma non lasciava che lo facessero con lui.
Al suo fianco v’era Charlotte più bella che mai, ormai così femminile da essere irriconoscibile, sempre con quei lineamenti un po’ lascivi e decisamente di natura provocante. I capelli alzati in un’elaborata acconciatura risaltavano il bel volto affusolato che ormai aveva assunto la stessa posa particolare del compagno e quegli occhi grandi di quel colore così particolare. Nel complesso una bellissima ragazza con o senza quel vestito elegante e fine da principessa moderna. 
Lei aveva una sua serenità da tempo, non aveva dovuto cercarsela e guadagnarsela ma si poteva dire che pur avendo già rivoluzionato il suo ruolo, aveva trovato il proprio posto e la felicità incontaminata che albergava nei suoi occhi nobili come quelli di William, facevano un grande effetto. 
Affiancati erano una bella coppia pur non mostrassero effusioni d’affetto.
Parlavano con Andrew ed Ilyr, infiltrato alla festa travestito da persona per bene….una gran fatica, in effetti. Con lui c’erano anche l’amico di William, Drew, e Kohia, il fratello di Ilyr ormai guarito ed in piena forma. Parlavano tranquillamente pur Ilyr si sentisse del tutto a disagio, per lui non era uno scherzo subire quella tortura, lo faceva solo perché glielo aveva chiesto Andrew. Gli aveva solo detto:
- William stesso mi ha detto che è importante la nostra presenza…e se lui dice così è qualcosa da non perdersi assolutamente!-
Il rosso principe i cui capelli ribelli erano lasciati più lunghi dei suoi soliti radi, appariva molto più in forza e maturo di quanto lo si aveva lasciato. I lineamenti si erano induriti rendendosi più simili alla madre defunta molto bella, ritratto di William, piuttosto che il padre la cui bellezza era non discutibile, ma proprio nulla. Una volta sviluppato aveva mostrato la sua somiglianza parziale con la madre ed ora appariva come un ragazzo adulto affascinante. 
Adesso poteva chiederglielo diretto e senza peli sulla lingua. L’aveva capito bene cosa stava per accadere, ormai poteva finalmente dire di conoscere suo fratello ed era contento di anticiparlo.
- Puoi dirmelo ora…vi fidanzate, vero?-
William l’aveva squadrato coi suoi occhi azzurri senza scomporsi, poi con un mezzo sorriso aveva detto solenne:
- Dovrai aspettare come tutti…-
Andrew rise di gusto battendogli la spalla:
- Ma non sei molto cambiato! Eddai, dillo, tanto lo so!-
Notando l’avversità allo sbottonamento, il rosso cominciò a tormentarlo a modo suo, facendo lo stupido, gesticolando ed imbarazzando chiunque si trovasse nel raggio di qualche metro. Erano i suoi nuovi modi, quelli di un ragazzo divertito e divertente che faceva ridere e rilassare, una persona ricca di colori nell’anima. Dal di fuori era comica: si poteva vedere un fratello che faceva il cosiddetto buffone ridendo mentre l’altro dritto, impettito con un espressione di chiaro sforzo per rimanere serio e silenzioso senza dargliela vinta! Come fossero tornati ai vecchi tempi in cui per Andrew era impossibile rimanere serio e tranquillo in situazioni solenni e si metteva in testa di far fare qualche figuraccia a William che, di rimando, faceva sforzi inumani per non rotolare dal ridere!
A mettere fine alla scena, immortalata da qualche giornalista con gran senso dell’umorismo, era arrivata Charlotte che poco femminile aveva spintonato prima uno poi l’altro, come se la colpa fosse del proprio ragazzo, poi schietta e fintamente seccata aveva detto al principe più giovane:
- Massì che è così, su! Cosa vuoi che sia, altrimenti? L’hanno capito tutti!-
L’altro si era fermato dal ridere e rimanendoci male aveva detto deluso:
- Si, ma potevi darmi qualche soddisfazione in più, tipo che ero il primo ad averlo scoperto!-
- Si certo, sei il solito tardo!-
A questa battuta detta sempre dalla fanciulla poco dolce, erano rimasti un attimo in sospensione per capire quanto seria fosse.
- Ha ragione…ora che sappiamo che succede possiamo andarcene?-
Era intervenuto sbrigativo Ilyr provocando il broncio scherzoso di Andrew…ad alleggerire arrivarono le risate di Drew e Kohia che avevano assistito divertendosi.
La serata aveva presto preso una piega gioiosa ed allegra, circondati da molti che pendevano da ogni loro gesto. 
In seguito si trovarono poco prima del fatidico annuncio, proprio William ed Andrew da soli a parlare più o meno sensatamente.
- Allora ti sei deciso!-
Aveva detto il rosso lanciando uno sguardo a Charlotte che salutava nuovi invitati suoi conoscenti.
William si concesse un sorriso enigmatico, poi rispose guardandolo diretto:
- Lo sapevi dal primo giorno!-
- Già! Ma questo, posso dirlo, lo sapevo solo io!-
Così il sorriso del biondo si accentuò rivelandone un altro più rilassato ed addirittura divertito, apertamente divertito. Già, pensò l’altro, William aveva fatto dei grandi passi in avanti…tentava di nasconderli ma li aveva fatti e a lui non li nascondeva.
- E tu che mi dici? Non mi aspettavo che arrivassi prima dell’ultimo minuto come hai fatto, ma spero mi dirai le tue intenzioni da ora in poi…-
Aveva anche parlato molto, se ne stupì l’interlocutore che ammiccò alzando le spalle:
- Mah…chi può dirlo…so solo che il mio posto è fuori di qua…in veste di vera persona normale e comune!-
- Si lo vedo…-
Alzò un sopracciglio incuriosito, a volte rimaneva comunque misterioso.
- Cosa?-
- Che stai meglio fuori come persona normale…-
Sorriso sbieco:
- Tu invece stai bene come persona suprema, vedo!-
William sospirò lasciandosi di nuovo andare.
- Che posso dirti…sono nato nel posto giusto!-
- Ti sei preso una bella gatta da pelare, sai?-
Rispose improvvisamente serio Andrew il cui modo di parlare era conforme alla sua nuova persona.
- Charlotte o il trono?-
- Tutti e due…ma forse di più Charlotte…-
Disse per sdrammatizzare. Avevano saputo dalla regina che avrebbe ceduto il trono di re solo a William e non al figlio. In quanto Regina tutti si chiesero se potesse farlo o meno ma sicuramente quell’uomo non era adatto a fare il re, William, il figlio, si.
Ora aveva scelto, sposandosi significava che accettava quel ruolo.
- Si tratta di scelte. Solo di scelte…-
- Già…pensavo si trattasse di nascita ma non è così…-
Iniziò pensieroso il rosso. William lo guardò con attenzione completando la sua valutazione finalmente positiva. Era diventato l’uomo che doveva, anzi, diciamo che aveva fatto il primo passo, aveva appena imboccato la giusta strada.
Adottò poi la sua solita espressione enigmatica e nobile, con quel tocco di superiorità, mistero e lontananza. Era volato di nuovo in uno dei suoi posti solitari e il fratello si allarmò per un istante, ma poi vedendolo ‘tornare’ di nuovo da lui con un sorriso maturo e fraterno allo stesso tempo, si rasserenò.
William concluse:
- A volte sembra che si nasca nel luogo o corpo sbagliato, in realtà non è così. In realtà si nasce sempre dove e come si doveva nascere. Sono le scelte che si fanno a poter essere sbagliate. Tutto sta nel saperle fare. Tutto sta nel capirsi e capire a fondo chi ci circonda. Tutto sta nel collegare anima e spirito.-
Ed ecco uno di quei momenti perfetti che potevano cristallizzarsi per essere vissuti in eterno.
In realtà si trattò solo di un frammento, l’ennesimo della loro vita.
Un frammento perfetto.

FINE

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=37382