The Midnight Blackout Experiment - Biography

di Acceleretor
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I: Un'idea che potrebbe stravolgere le nostre vite ***
Capitolo 2: *** Capitolo II: Pensavamo che fosse semplice ***
Capitolo 3: *** Capitolo III: Un Tour Turbolento ***



Capitolo 1
*** Capitolo I: Un'idea che potrebbe stravolgere le nostre vite ***


Capitolo I: Un'idea che potrebbe stravolgere le nostre vite

Eccoci qua, nuovamente seduti su delle poltroncine dell'ottocento che hanno passato qualunque tipo di sventura e su un catorcio di divano, costruito con qualche tavola di legno grezza e quattro chiodi, il tutto completato con un materasso che di materasso aveva solo il nome, visto che di fatto era un groviglio di molle. Se avessi potuto penso che avrei fabbricato anche quello ma non volevo privare i materassai del loro lavoro, quindi mi son dilettato solo nel costruire il mobilio necessario per vivere in una piccola stanza che affaccia sul muro di una delle più strette calli di Venezia, la mia città natale. Passavamo molto del nostro tempo in quel piccolo tugurio di camera, con il pavimento rosso ed i mobili neri, a giocare ad una forma taroccata del celeberrimo D&D, taroccata per il semplice che seguiva un regolamento scritto da noi, per evitare di comprare libri o cazzate simili. Troppi soldi. Troppi per le nostre tasche almeno.

E così passavamo le giornate, tra fogli e dadi. Ma quel giorno era diverso. Dopo l'ennesimo tiro fallito coi dadi ed una rissa generale mista ad un gergo verbale che ricordava i facchini del porto ci coricammo attorno al tavolo, pieno zeppo di matite dell'IKEA, rubate a sbaffo come di consueto da Lali... Aspetta... Lali?

Penso che il vostro misero cervello si stia ancora chiedendo chi cazzo sia io. Figuriamoci se nomino la gentaglia che mi sta intorno. Mi presento: Io sono Alex, un idiota che ha quasi 17 anni e non fa un cazzo dalla mattina alla sera se non riempire le mie orecchie di musica o disegnare quello che penso o voglio fare. Non sono un gran lettore, ne un cinefilo e passo le mie giornate a rivangare quanto la mia vita, pur felice, si senta sola. Cioè capiamoci: la mia cerchia di amici prevede dalle 3 alle 5 persone mentre chiunque esca di casa vede combriccole di ragazzi che spopolano in giro, fanno i fighetti e se la tirano fin che non toccano la luna. Chiariamo subito: io non sono così. Potrò essere definito come perditempo, associale o qualsiasi altro dispregiativo possa saltare in testa alla gente, ma quello che pensano gli altri non mi tocca per nulla. Quello che conta è cosa pensa chi mi vuol bene. Odio circondarmi di persone che non posso definire “amiche”. Non trovo utilità ad avere tante conoscenze ed divenire un essere che senza di esse non è nulla. Quindi mi limito a vivere pacifico assieme ad altri idioti del mio calibro che mi accingo a presentare:
Il primo è Angelo. Questo ragazzone filippino mi conosce fin da quando avevo la bocca sporca di latte e mi è sempre stato vicino quando avevo bisogno. È un gran lavoratore è sogna di diventare un grande pasticcere. Purtroppo è abbastanza filonario e si vede poco da ste parti, si o no due, tre volte a settimana. Lo stesso vale per Lali, soprannome dato per distinguerlo da me quando la gente si mette a chiamare “Aleeee”. Questo ragazzo rosso di chioma è più piccolo di un anno rispetto a noi anche se non ci abbiamo fatto mai caso. È molto sveglio ed è il più istruito nell'ambito musicale tra noi. (Perchè vi dico questo? Si capisce che sto racconto puzza di musica?) Frequenta il conservatorio, privandolo di vario tempo libero ma più o meno lo riesco a vedere come Angelo. Il terzo è un folle. Più che un folle viene definita una lesbica intrappolata nel corpo di un uomo. Questo tipo viene chiamato Bobbe e credo di averlo sempre visto. Cioè non ricordo un momento nella mia vita in cui non lo abbia conosciuto anche se lo vedo poco. Forse lo conosco da più tempo di tutti. Questo emerito pazzo ha 19 anni anche se ne dimostra meno. È un ballerino ed un fanatico di Madonna, di cui ha tutti i dischi, giornali che parlano di lei, poster, immagini e foto por....NO NULLA.

Ora che ho presentato tutti posso continuare. Dov'ero rimasto? Ah si.

Quel pomeriggio lo abbiamo trascorso a pensare. Pensare e masticare matite dell'IKEA (Sanno da liquirizia).

L'argomento era sempre lo stesso. Un stretto dibattito sui generi musicali contrastanti tra noi. Una sorta di rissa verbale che non faceva altro che accendere la fiammella che c'era dentro ognuno di noi. Una fiamma che ci avrebbe unito ma che non si decideva ad uscire. Fin che quel giorno è uscita dalla bocca di uno di noi.

Hey perchè non ci mettiamo a suonare insieme? Sai che figata?”... Queste parole seguite da una profonda e pesante risata che sembrava quasi prendere in giro questa proposta ebbero l'effetto contrario.

Parlammo e discutemmo sul formare un gruppo. Un gruppo che mi vedeva come batterista. Angelo come chitarrista. Lali come violinista e Bobbe come turnista cantante.

Una cosa irrealizzabile pensai. Anzi, pensammo tutti.

Il giorno dopo però nessuno la pensava più così...

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Capitolo 2
*** Capitolo II: Pensavamo che fosse semplice ***


Capitolo II: Pensavamo che fosse semplice

 

Era da qualche giorno che continuavamo a prendere in considerazione la folle idea di diventare una Band a tutti gli effetti. Ciò che remava contro di noi erano le cose basilari: non avevamo ne la strumentazione ne un posto dove provare. In più si sovrapponevano i problemi tecnici: io non avevo mai toccato una bacchetta in vita mia, Angelo suonava da otto anni a sta parte ma mai nelle retrospettive del metal e Lali non poteva mettersi a suonare uno strumento ricercato come il violino su ogni cover che avremo potuto fare. Insomma era disatrosa l'idea di imbarcarsi in una cosa del genere. Ma forse l'inesperienza più totale e le nostre menti talmente gasate appannavano la visione completa dei problemi che si sarebbero posti.

Sta di fatto che abbiamo iniziato a muoverci. La cosa basilare era trovarmi lo strumento. Per il posto il problema non sembrava poi grave. Camera mia pareva più che perfetta. Pareva.

Era da almeno una settimana da quando avevamo realizzato di aver tutte le carte in regola per poter iniziare a suonare che continuavamo a cercare un briciolo di strumentazione. I nostri sforzi vennero appagati tutto grazie ad un sito internet di annunci di roba usata. Li per un centinaio di euro ero riuscito ad aggiudicarmi una batteria di una marca sconosciuta al pianeta. Usata. Usata forte. Ma ai miei occhi era un gioiello, un frutto della tecnologia del ventunesimo secolo e, quando l'inserzionista mi propose di acquistare anche due vecchi piatti che aveva mi sembrò l'affare dell'anno. Poteva andarmi meglio di così? Avevo una settimana di tempo per decidere se acquistarla. I ragazzi non erano del tutto soddisfatti ma mi appoggiavano. Non stavo più nella pelle e così dissi a sto pezzente che la vendeva ad un prezzo talmente stracciato alle mie pupille che l'avrei presa. Saremo volti in quattro a prenderla. A Treviso. Una via di mezzo tra dove stava lui e dove stiamo noi. Aspetta.. Quattro? Credo di aver dimenticato di illustrarvi un pezzo. Anzi un quarto essere immischiatosi tra noi. Questo ragazzo sarebbe stato il nostro bassista dell'epoca. Anche lui come me non aveva mai toccato uno strumento, ma essendo coperto di denaro dalla faccia al culo era riuscito a procurarsene uno provvisto di amplificatore nel giro di due ore dalla notizia della sua assunzione. Anche se eravamo abituati a chiamarlo “Il Ciccione” o “Grasso” per via della sua mole ricordante molto quella dell'omino della Michelin aveva un nome: Alvise.

Torniamo al discorso iniziale: tra poco avrei avuto una batteria. Non ero gasato. PEGGIO. Ma nel tempo che si interponeva al ritiro dell'attrezzo musicale ne abbiamo approfittato per cercare una chitarra elettrica usata ed una sorta di pianola per Lali, (Si era deciso che sarebbe stato più comodo sfruttare i suoi 3 anni di conservatorio da pianista al momento piuttosto che farlo lavorare al violino) ma con scarso successo. Più che altro non è che non ci fossero, ma mancavano i soldi e la convinzione nel prenderle. In sostanza eravamo più che al verde. Era già faticoso pagare un centinaio di banane in quattro, figuriamoci ripeterlo per ogni strumento. Ma l'eccitazione era troppa e ciò che inizio ad ucciderci era la fretta. La fretta di avere tutto e subito, il dover sforzarsi per avere ciò che sarebbe stato meglio prendere con calma e con miglior coscienza, ma dopotutto non possiamo farcene una colpa. Anche se qualcuno di noi suonava già da un pezzo nessuno di noi aveva esperienza di gruppo ne sarebbe stato in grado di organizzare le spese in modo economico.

Tralasciando il modo disastroso di come stavamo iniziando a svolgere le spese, dopo qualche giorno di ricerca riuscimmo finalmente ad adocchiare qualche chitarra talmente economica da essere ai nostri livelli e la truppa che si stava muovendo per la tastiera inizio a tenere la mira verso un Synth, una di quelle pianole piene di effetti e manopoline balorde di cui non ho mai capito un cazzo e mai ce ne voglio capire. Tuttavia i ragazzi preferirono attendere il giorno in cui saremo volti a prendere la vecchia ed usata percussione che mi ero aggiudicato prima di fare qualsiasi altra mossa.

Quei giorni di attesa erano pesanti da completare. Non riuscivo a pensare ad altro. Continuavo ad immaginarmi seduto ad emulare brani dei più grandi artisti ottenendo più successo di loro, immergendomi in assoli mentali che non stavano ne in cielo ne in terra e non riuscivo a rendermi conto che non tutto sarebbe stato semplice come sembrava.

Finalmente dalla mia finestra sorse l'alba del giorno designato. Preparati con corde e carretti e fissato il punto di incontro, il primo Tour della nostra Band ebbe inizio...

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Capitolo 3
*** Capitolo III: Un Tour Turbolento ***


Capitolo III: Un Tour turbolento

 

Premetto. Non avevo mai visto una batteria dal vivo e non potevo immaginare le misure di una di esse.

Erano le due del pomeriggio. C'era un sole che scioglieva le pietre. Quattro cretini aspettavano che un treno diretto a Treviso. Indovinate chi erano.

Ovviamente non poteva arrivare un normalissimo treno che comprendesse più di tre carrozze ed un briciolo di pulizia. No. Il nostro mezzo era una sottospecie di supposta a due vagoni, cigolava come un ferro vecchio e l'aspetto esteriore di sicuro non suscitava giovinezza. L'interno era anche peggio. Assomigliava all'intestino di un cammello, sia per l'odore rancido di piscio e sudore dei passeggeri sia per l'aspetto unto e cadente. Il cesso era un buco nel pavimento del treno che se non stavi attento la trazione della locomotiva poteva risucchiarti le palle. I sedili erano la cosa meglio. Sembrava di sedersi dentro una friggitrice ancora accesa e nessuno di noi aveva poi coraggio di alzarsi. I finestrini erano chiusi ermeticamente e l'unica aria condizionata che avevamo erano le scoregge di Angelo, che ci imbalsamavano per qualche minuto facendoci dimenticare il caldo. La velocità media era di 4 kilometri orari, senza contare i momenti in cui rallentava per aspettare le coincidenze. In sostanza l'unica cosa che funzionava li dentro era il culo di Angelo.

Comunque potete immaginare l'aria era attraversata oltre da peti anche dall'emozione e la fibrillazione di tutti: uno si scaccolava ed appiccicava le umide croste sui sedili per vedere se si univano con l'unto, uno disegnava col suo sudore corporeo su ogni superficie tangibile e, mentre il ciccione gli decantava le sue mitiche doti da nerd io me ne stavo tranquillo e beato ad attendere la fermata, divertito dalle varie figure di merda che continuavo a collezionare con loro...

Ok lo ammetto. Proprio tranquillo non stavo neanch'io. Dopotutto nessuno incitava lo scaccolatore a provare col cerume.

Sta di fatto che ci impiegammo quasi un'ora solo per arrivare a Treviso. Sembravamo appena usciti da una rimessa a causa dell'oliatura dataci dai sedili del treno ma bene o male ci presentammo alla stazione puntuali. Li cominciò l'attesa. Era la prima volta che incontravamo sto tizio, poteva essere un bambino come una mummia incartapecorita. Non avrebbe fatto differenza se con sé aveva ciò che bramavo tanto.

Dopo una decina di minuti ricevetti una telefonata dall'uomo, con le coordinate su come raggiungere la sua macchina nascosta nei dintorni. I passi si facevano pesanti ed il nervosismo saliva, per poi tramutarsi in imbarazzo appena visto e raggiunto il ragazzone che ci attendeva.

Davanti a noi si pose un uomo alto quasi due metri, muscoloso e di origini campagnole, credo. Come tradizione campagnola vuole, prima di presentarsi tirò giù due bestemmie che fecero vibrare la Panda con cui era arrivato. A quanto sembra le imprecazioni erano un richiamo per far uscire l'autista: un pelato alto un metro ed un peto di Angelo, senza denti con un paio di occhiali che brillavano tutt'uno col suo cranio.

Dopo le dovute presentazioni il campagnolo aprì il bagagliaio mostrandoci la merce. Sarò franco. A quel tempo mi sembrava una delle batterie usate di Mike Portnoy ma se dovessi descriverla ora come ora direi che era simile ad un cassonetto lasciato ad arrugginire fuori casa. Il rullo era un pezzo d'acciaio ammaccato sui bordi, con una sola pelle, tra l'altro bucata e decorata con qualche fallo ricordante Rocco Siffredi ed imprecazioni fuori luogo. Solo i Tom erano completi di due pelli. Peccato che uno era crepato all'interno e l'altro aveva della malta incollata sul fondo. Il timpano era il pezzo messo meglio, solo la laccatura poteva dirsi rovinata ma non aveva danni evidenti. La cassa si. Un cerchione d'appoggio pelli era incrinato ed impediva l'inserimento della copertura frontale. Il pedale sembrava un mattarello incrostato e le altre meccaniche non invidiavano i ferri usati nelle antiche officine. Parliamo dei piatti? Il Ride era intero ma il suo colore ricordava l'alone interno del treno. L'Hit Hat era distrutto mentre il Crash che mi ero fatto affibbiare, seppur di marca, era stato riparato con una placca di ferro uccidendolo definitivamente. Non avevo aste quindi ci improvvisammo con delle barre affilettate prese dal ferramenta.

Che volete che dica? Era un gioiello a quel tempo. Un gioiello grezzo che aspettava solo un grande batterista per essere portato alla luce. Peccato che io non fossi quel genere di batterista.

Date le banane al campagnolo e rispedendolo da dove veniva, il problema ora era il trasporto. Ci mettemmo più o meno mezzora a trovare un incastro decente per far muovere il sofferente carrettino che sorreggeva tutto.

Alla fine ci ritrovammo con un enorme carretto con i fusti piccoli, Angelo che viaggiava con la grancassa in mano o sopra la testa (assomigliava troppo alle scimmiette che i viandanti portano con se, quelle che suonano i piatti...Più che una scimmietta un orango...), Lali portava tutti i piatti ed il grasso le meccaniche. Io trainavo il carro.

Ovviamente nessuno si era reffatto che avevamo appena cinque fottuti minuti per tornare in stazione e prendere il treno di ritorno. Adesso io non so come fosse apparsa la scena alle persone che ci vedevano passare, ma son sicuro che vedere un filippino con una grancassa, un pel di carota con dei piatti distrutti, un ciccione pieno di ferraglia ed un capellone con un carretto gigante, che correvano come dei folli non fosse piacevole.

Comunque a salire sulla supposta di ritorno ci siamo riusciti, buttando la roba assieme ai nostri corpi prima che partisse. In quel momento mi venne scattata una foto epica. Epica dal momento che stavo ruminando un qualcosa sopra una pila di fusti marci dentro una sottospecie di carovana sorella di quella dell'andata. In compenso il viaggio è stato più veloce e tranquillo: niente caccole, niente sudore. Il meteorismo di Angelo era l'unica cosa rimasta invariata.

Ci sentivamo osservati, tutti avevano gli occhi su di noi. Insomma...Chi non ha mai fatto qualcosa del genere? Non mi sembrava poi troppo strano. Eppure i passeggeri non la vedevano così.

Raggiunta nuovamente la madre patria e scesi dalla carretta scassata ci si presentarono diverse difficoltà:

Ovviamente il merdosissimo capostazione dove scegliere di arrivare al binario 24 al posto del normalissimo binario 3. Il binario 24...L'unico binario in mezzo al nulla, l'unico lontano 800 metri dall'uscita e come fortuna vuole doveva trovarsi in mezzo agli scarti della stazione. Penso di averci impiegato di più per uscire dalla struttura che per arrivare a casa. Tra rovinacci, vecchiette che ti guardavano isteriche e capistazione coglioni in mezzo alle palle siamo riusciti a perdere 3 battelli consecutivi. In compenso il quarto era abbastanza deserto al suo interno ed abbiamo fatto una crociera felice. Felice fin che non siamo scesi. Ci siamo trovati ad un miglio dalla mia topaia. Un miglio infinito per me.

Iniziammo la spedizione in gruppo ma i pesi diversi tra i bagagli ci fecero dividere, sbattere contro i muri, sbagliare strada, rotolare per terra in cerca dei pezzi persi per strada e così via. Tre ore abbiamo passato per raggiungere un'abitazione che normalmente sarebbe stata a dieci minuti di strada dal punto di partenza. Ciò che conta è arrivare comunque. E quello che contava in quel momento era che finalmente potevo montare l'arcano attrezzo ora in mio possesso...

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