I'll be there in a heartbeat.

di taemotional
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un giorno troverò la strada per tornare... ***
Capitolo 2: *** ...dove il tuo nome è scritto sulla sabbia. ***



Capitolo 1
*** Un giorno troverò la strada per tornare... ***


Prefazione: Sono tornataaaaaaa!!! Avevate perso le speranze vero? xD ahahah! Ma chi mi cerca xD 
Bon, a parte le cavolate... vi presento una JunDa fresca fresca, estiva e fluff (divisa in due capitoli). Che c'è di meglio ora??? Mi scuso se i livelli di zucchero nel sangue di qualcuno cresceranno a dismisura!!! LOL detto questo, un ringraziamento speciale a Rory!!!! <3
Buona lettura!! <3

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“Un giorno 
Troverò la strada per tornare 
Dove il tuo nome 
E’ scritto sulla sabbia” 


Il fuoco scoppiettava in mezzo a loro.
C’era chi cercava legna, chi si era seduto sulla sabbia e ora rideva con gli amici, chi preparava la carne da grigliare e chi, come Ueda Tatsuya, rivolgeva lo sguardo verso l’oceano. Non c’era vento, e quella apparente calma era solamente ravvivata dalle risate degli amici e dallo scoppiettio irregolare delle fiamme.
Non era certo la prima volta che Tatsuya si trovava lì, dove anche le onde sembravano essersi calmate per permettere loro di accendere quel fuoco nel piccolo lembo di spiaggia, ma quella sera la visione piatta dell’orizzonte gli diede una strana sensazione nel petto. O forse erano solo i colori del tramonto che iniziavano a farsi così accesi?
Pensò che fosse più opportuno rivolgere lo sguardo agli elementi animati di quel panorama e spostò lo sguardo alle altre persone lì presenti. Non conosceva tutti, anzi, la maggior parte di loro erano dei perfetti sconosciuti. Cercò con lo sguardo la protagonista di quella serata, la ragazza che compieva gli anni e che lo aveva invitato alla propria festa di compleanno sulla spiaggia. Si conoscevano da molto tempo ma era una vita che non la rivedeva e, in effetti, pensò a quale potesse essere stato il motivo effettivo di quell’invito. Al telefono lei gli aveva semplicemente detto che avrebbe festeggiato il suo diciottesimo compleanno ad Okinawa, e che le avrebbe fatto piacere se fosse andato.
Continuò a domandarsi perché lui invece avesse deciso di andare. Forse il motivo era proprio il mare.
Quando la mise a fuoco notò che era accerchiata dai compagni di classe. Sembrava felice. Un ragazzo piuttosto alto teneva una mano poggiata sulla sua spalla. Nel momento in cui anche lui ricambiò lo sguardo Tatsuya voltò il viso da un’altra parte. Non voleva certo creare situazioni di gelosia e romanticherie varie. Decise che dopotutto poteva tornare ad occuparsi di quello che era il vero motivo per cui si trovava là e si mise a contare le stelle che iniziavano a brillare contro il cielo sempre più buio.
Amava il mare. Se fosse stato per lui avrebbe potuto vivere lì, seduto sulla sabbia, per sempre. Amava il rumore, lo scroscio silenzioso e i singulti che spezzano il silenzio di notte. Amava l’odore di sale, il sole sulla pelle, il sole che sparisce all’orizzonte. Le stelle impossibili da contare, la luna che si specchiava sull’acqua e la sabbia che prende la forma del piede durante le passeggiate mattutine. Amava il mare di giorno, e quello di notte in egual misura. Ma il suo momento preferito era di certo l’alba. Per questo, e per altri motivi, si era trasferito su quelle coste di Okinawa da quando aveva raggiunto la maggiore età. Ormai, era impossibile per lui resistere anche solo un giorno senza respirare iodio.
Le stelle intanto diventavano sempre più visibili e anche gli invitati aumentavano di numero, o almeno, le orecchie di Tatsuya ebbero quell’impressione. Quando si voltò verso il fuoco, quell’impressione si fece concreta.
La festeggiata gli si avvicinò in quel momento.
“Ueda-san!” esclamò mentre lui si alzava per ricambiare l’inchino, “Sei venuto, che bello! Da quant’è che sei arrivato?”
“Ah... da un po’! Ma non volevo disturbarti, ho visto che parlavi con i tuoi compagni di classe” rispose Tatsuya sorridendo.
“Ma come! Dovevi venire subito! E’ una vita che non ci vediamo!”
“Vero” acconsentì Tatsuya, “Non avevi nemmeno dieci anni l’ultima volta che ti ho visto! Fortuna che mi sono messo a vedere le tue ultime foto su internet altrimenti non ti avrei riconosciuto!”
Lei rise, “Idem!” poi indicò il ragazzo alla propria destra.
“Lui è Junnosuke Taguchi... anche lui di Tokyo e... non lo sai, ma...” e il resto della frase le rimase in gola. I suoi amici la stavano strattonando per andare a vedere i loro regali. Lei fuggì tra mille scuse.
Tatsuya guardò il ragazzo più attentamente, chissà perché aveva l’impressione che l’avesse osservato tutto il tempo dopo quel primo scambio accidentale di sguardi.
“Piacere” disse, “Devi essere un suo compagno di classe?”
Junnosuke annuì ma non disse altro. Non lo guardava più nemmeno, ma lo sguardo tradiva un sorriso. Che tipo strano.
“Bene!” esclamò allora Tatsuya per riempire quel silenzio, “Quanti altri invitati devono arrivare?”
Il ragazzo fece spallucce. Nello stesso momento la festeggiata dichiarò che ormai c’erano quasi tutti e che si poteva iniziare a mettere la carne sulle griglie. A quella notizia, lo stomaco di Tatsuya si rallegrò.
 
“Non mi ero accorto di avere così tanta fame!” esclamò con la pancia piena rivolto ad alcuni ragazzi lì vicino. Una ragazza dai capelli lunghi raccolti in una coda annuì cercando di intavolare una conversazione più profonda. Ma Tatsuya aveva subito capito dove voleva arrivare e aveva optato per troncare il contatto sociale all’istante.
Si allontanò dal fuoco prima di tutti e iniziò a seguire il perimetro dell’acqua.
Ogni tanto lanciava qualche sguardo malinconico all’oceano, verso un punto più distante, sempre più distante... fino a che la testa non gli girò e dovette chiudere gli occhi. Si accucciò in quel punto aspettando che ogni linea tornasse al proprio posto.
Ormai si era allontanato parecchio, e il fuoco era solo un piccolo spruzzo luminoso alla sua sinistra. Poteva essere benissimo confuso con una stella particolarmente vicina.
Sospirò tornando a guardare verso l’acqua nera. Non era normale, vero? Per lui che amava così tanto il mare, le sue onde e agognava quei fondali misteriosi, avere paura dell’acqua, avere le vertigini al solo pensiero di quelle profondità erano sentimenti che laceravano il proprio io. Era davvero quello il suo posto quindi?
Sprofondò le testa tra le braccia intrecciate e si rannicchiò. Decise che era meglio pensare a qualcos’altro. Pensare a qualcosa di vivo. Ecco, sì... a quel ragazzo. Lo aveva guardato per un brevissimo istante di tempo ma decise che tentare di ricordarne i dettagli gli avrebbe distratto la mente per un po’.
La cosa che più l’aveva colpito era la statura decisamente alta. No, la cosa che più l’aveva colpito era il fatto che, sebbene fossi così alto e avesse delle spalle piuttosto ampie, il fisico tradiva l’acerbezza tipica dei teenager. Niente da fare lo stesso: aveva un debole per i tipi alti e atletici. Il viso lo ricordava bene... i lineamenti morbidi, gli occhi profondi color nocciola - dello stesso colore dei capelli -, il collo così lungo. O forse, la cosa che più l’aveva colpito era stato l’abbigliamento. Sebbene quel caldo, indossava una giacca chiara su una t-shirt variopinta e jeans attillati ma strappati in vari punti. Se poi gli avesse ascoltato la voce, di sicuro avrebbe trovato strana pure quella.   
Insomma un ragazzo - diciottenne anche lui? - che era il suo esatto opposto. Strano e attraente allo stesso tempo.
Ma non doveva rifletterci troppo. Si alzò di scatto. Dopotutto era il fidanzato della propria amica.
Mentre tornava verso il fuoco pensò che, in fondo, finché quei pensieri restavano nella propria mente non ci sarebbero stati problemi.
 
Mentre si sedeva al proprio posto avvertì ancora il suo sguardo sul proprio viso. Sbuffò prendendo con le bacchette un pezzo di carne e lo addentò nella maniera più maleducata che conosceva. L’aveva forse scambiato per una ragazza? Eppure si erano presentati e tutto. Ingoiò la carne senza averla masticata troppo bene e fece fatica a farla passare per l’esofago. Si diede un paio di colpetti sul petto e gli occhi iniziarono a lacrimare.
 “Tutto bene...?” gli domandò la solita ragazza lì acconto porgendogli la caraffa dell’acqua.
“Sì, sì, tranquilla...”
Fece finta di guardare verso la festeggiata, ma con la coda dell’occhio cercò la sua figura. Annuì soddisfatto. Non lo stava fissando. Possibile che fosse stata solo un’impressione? Una percezione auto indotta...?
Tornò a concentrarsi sulla sua amica. Caspita se era cresciuta. Ormai era proprio una donna, pure bella. Mentre si allungava per afferrare un secondo pezzo di carne i suoi compagni di classe iniziarono a fare baccano. Volevano portarla in un locale lì vicino ma lei non voleva andarci. Eppure sorrideva. Di sicuro stava solo facendo la difficile perché c’era il suo ragazzo.
A Tatsuya uscì un sorriso. Ripensò ai propri diciotto anni, alla prima volta che i suoi amici più grandi lo volevano portare in discoteca. Ma lui non voleva andare. Perché sapeva che il ragazzo che gli piaceva era solito frequentare proprio quel posto. Chissà cosa sarebbe successo se non fosse andato. Magari non avrebbe mai avuto la possibilità di conoscere il suo primo fidanzato, e magari non avrebbe scoperto di essere davvero gay. E, chissà, forse in quel momento sarebbe stato alla festa mano nella mano con la propria ragazza. Invece di sognare il mare, sarebbe rimasto a Tokyo, come tutti gli altri.
“Se vuoi puoi andare!” gli diceva quel ragazzo alto... Junnosuke, se non ricordava male. Come l’altezza, anche il nome era davvero lungo. A pensare quella cosa le orecchie di Tatsuya presero fuoco. Smettila, non fare strani accostamenti mentali... non continuare il discorso. Si concentrò nuovamente sulla scena, ignorando invano il ragazzo. Era la prima volta che gli capitava di avere un colpo di fulmine per il ragazzo di qualcun altro.
Lei continuava a scuotere la testa e voleva che lui andasse insieme a loro.
Junnosuke rispose che doveva tornare a casa e riprendere lo studio per un qualche test. E che si fidava di lei.
Lei restò un po’ interdetta, poi gli sorrise scoccandogli un bacio sulla guancia. Si voltò verso di noi.
“Chi vuole venire? Andiamo al locale sulla spiaggia privata di Kamenashi!”
La maggior parte degli invitati risposte di sì, mentre alcuni le si avvicinavano per salutarla. Anche Tatsuya fece così, inventandosi la prima scusa che gli venne in mente. Ormai certi locali non li frequentava più.
Mentre si dirigeva verso il mare alcuni ragazzi avevano iniziato a raccogliere l’acqua per spegnere il fuoco. Mano a mano quel calore e quella luminosità alle proprie spalle iniziò ad affievolirsi, finché non si ritrovò al buio e gli schiamazzi degli invitati si facevano sempre più lontani. Solo i riflessi delle stelle sull’oceano e qualche lampione in lontananza illuminavano la sua vista.
 
“Hey, tu!” gridò a un certo punto qualcuno, “Stiamo andando via! Resti al buio?”
Tatsuya si voltò. Junnosuke, con ancora il secchio in mano, lo guardava dal punto in cui poco prima c’era stata quella stella scoppiettante.
“Resto ancora un po’!” gli gridò Tatsuya di rimando, e tornò a perdersi con lo sguardo verso l’orizzonte. Si era seduto nel punto in cui le onde non arrivavano, per non sentire quelle vertigini nel petto, e aveva allungato le gambe fino a bagnare i piedi scalzi.
Junnosuke gli si avvicinò, svuotando nel mare l’acqua che era rimasta nel secchio. Poi rimase lì cercando di scorgere anche lui quello che Tatsuya sembrava star fissando con tanta intensità.
“Non ti ho mai visto,” commentò Junnosuke di colpo, “Anche tu sei di Tokyo?”
Tatsuya alzò lo sguardo verso l’altro, “Non proprio...” iniziò aggrottando la fronte, “E’ una storia complicata.”
“Ah... okay.”
No, la voce non era affatto strana. Forse il tono non lo convinceva molto. Dal primo dialogo che si erano scambiati si sarebbe aspettato una persona decisamente più scorbutica.
“Come si scrive il tuo nome? Così ti cerco sul web.”
A Tatsuya non andavano troppo a genio i social network, ma si era dovuto abituare ai tempi e, alla fine, le foto del profilo erano servite per riconoscere l’amica. L’amica...
Tatsuya aggrottò le sopracciglia. Se quel ragazzo fosse stato chiunque altro magari un pensierino ce l’avrebbe fatto. Ma con lui no. E poi non capiva perché quello sembrava tanto un abbordo. Decise di testare fin dove volesse arrivare. Tanto non lo rivedrò più.
Si stampò un ghigno sul volto.
“Ai miei tempi gli spasimanti mi chiedevano il numero di cellulare.”
Non lo stava guardando, ma vide con la coda dell’occhio che l’altro aveva fatto un passo indietro. Sei rimasto schifato, eh? Ma non fece in tempo a dire altro che Junnosuke si sedette lì accanto. Lo guardava con un’espressione incredula.
“Ma scusa, tu quanti anni hai?”
Mi spieghi cosa vuoi da me?, avrebbe tanto voluto chiedergli, invece si limitò a rispondergli come nulla fosse successo.
“Molti più di te.”
“Eeh! Non si direbbe guardandoti! Però io, anche se ho appena finito il liceo, ho vent’anni.”
Questo non andava bene. Era maggiorenne. Un freno in meno.
“Io vent’otto.”
“Wow!” esclamò Junnosuke sorridendo, “Non si direbbe proprio.”
“Già, me lo dicono tutti” concluse Tatsuya alzandosi.
“Dove vai?”
“Sono vecchietto, ho bisogno di dormire a differenza di voi giovani.”
“Esagerato! Ah! Ma quindi non me li dici i kanji del nome?”
“Tatsu si scrive come drago. Ti basta questo” e si incamminò verso la strada.
“Perfetto! Ti aggiungo!”
Junnosuke lo guardò allontanarsi.
 
Possibile che Junnosuke fosse come lui? Possibile che, proprio come era successo a lui tanti anni prima, stava prendendo in giro la propria ragazza in attesa di quello giusto? E possibile che poi fosse interessato a lui?
Mentre si chiudeva alle spalle la porta di casa avvertì il cuore pulsargli forte in petto. Sbuffò.
“Smettila” si disse, dopotutto non era più il tempo delle cotte da un pezzo. “Dovresti cercare di metter su famiglia, piuttosto.”
Si lasciò cadere sul letto. Dopo qualche secondo, prese a rigirarsi convulsamente sulle lenzuola.
“E’ troppo caldo!” gridò di colpo, e si sfilò t-shirt e jeans. Quindi allungò un braccio e aprì la finestra. La brezza del mare entrò di colpo riempiendogli i polmoni. Chiuse gli occhi.
Restò un po’ immobile in quel modo, seduto sul letto, mentre l’odore e il rumore delle onde riempivano la stanza. La frangia si muoveva a ritmo del venticello serale. Osservò attentamente il cielo e, sebbene fosse completamente nero, lui sapeva che di lì a poco sarebbe venuto a piovere. Lo sentiva e basta. Inspirò profondamente e, dopo essersi calmato, tornò a distendersi, aspettando l’acquazzone. Gli piaceva il rumore della pioggia contro le onde.
Sorrise, poi ridivenne serio. Sorrise ancora. Quindi aggrottò le sopracciglia.
“Povera...” mormorò aprendo gli occhi e puntandoli al soffitto alto. “No, mi sto immaginando tutto.”
Chiuse gli occhi con forza. Non pensare a niente, dormi e basta.
 
Quando aprì gli occhi trovò il coinquilino disteso sull’altro letto lì accanto. Si alzò cercando di non fare rumore e decise di preparare la colazione.
Mentre sistemava gli ingredienti si impegnò a tenere la mente occupata con dosi e modalità di preparazione delle pietanze. Non aveva voglia di pensare, ricordare e costruirsi altri castelli in aria. Non serviva a niente. Doveva pure eliminare dal corpo il sentimento dolciastro che aveva provato al risveglio quella mattina.
“Buongiorno!”
Tatsuya alzò il volto verso l’entrata della cucina.
“Giorno, Koki” rispose sorridendo mentre tornava a riempire le ciotole di riso bianco. “Ti sei alzato presto.”
“L’odore della tua colazione è la mia sveglia naturale! Sei sempre bravissimo.”
“Questa è roba semplice da fare... Quando imparerai piuttosto a farti da mangiare da solo? Io non ci sarò mica per sempre.”
Koki mise il broncio e si sedette a tavola.
“Non ne sarò mai capace... dovrò trovarmi qualcuno bravo come te in cucina” e a quella frase il suo viso si illuminò di una strana luce.
“Che hai?” chiese Tatsuya senza dargli troppo peso e spaccò l’uovo sopra le ciotole.
“Non sai cosa è successo ieri sera...”
Koki Tanaka era il suo coinquilino dal momento stesso in cui Tatsuya aveva deciso di trasferirsi in quel posto. Si conoscevano da un po’ e, dal momento che avevano qualche anno di differenza d’età, Koki lo aveva subito visto come il proprio fratello maggiore. I loro genitori invece erano amici di vecchia data, per questo si erano fidati a lasciarlo partire insieme a lui. Ovviamente non sapevano che il proprio figlio fosse gay, né tantomeno che anche Tatsuya lo fosse. Dopo il trasferimento, Koki si era subito segnato in una scuola pubblica a Naha e Tatsuya gli aveva fatto da tutore finché non aveva raggiunto la maggior età.
“Allora, me lo dici che ti è successo?” insistette Tatsuya. Quello poteva essere un buon modo per distrarsi.
“Ieri sera... ad una festa sulla spiaggia... ho conosciuto un ragazzo...”
Tatsuya cercò di trattenersi, ma aveva preferito che il motivo di quel sorriso sul suo volto fosse dovuto a tutto tranne che a quello. Che ne so, tipo un bel voto a scuola.
“Un ragazzo...” ripeté con gli occhi fissi alla propria ciotola.
“Sì...”
“E ti piace?”
“Credo di sì...”
“Okay allora, sono contento.”
“Davvero? Non sei arrabbiato?”
“Hey, non sono mica tuo padre! E non è nemmeno la prima volta, no?”
“Sì... ma questa volta è diverso...” iniziò Koki, “E poi ha la mia età!”
“Ah!” esclamò Tatsuya ignorando l’amaro che provava in bocca. “Allora è perfetto!”
Era geloso. Maledettamente geloso. Non di Koki - lui era l’unico ragazzo gay che conosceva e con cui non gli era mai passato nemmeno per l’anticamera del cervello di andarci a letto. Il problema era la sua giovinezza. Innamorarsi a quell’età, essere ricambiato, le feste la sera e le ubriacature che ti facevano dimenticare il motivo per cui la mattina dopo ti ritrovavi nel letto di qualcun altro. Tutto quello gli mancava. Da quanto tempo non si innamorava come un ventenne spensierato? Che non provava quella fitta allo stomaco che gli toglieva la fame e il sonno?
“Ah...” mormorò poi.
“Cosa?” chiese Koki con la mente visibilmente da un’altra parte.
“Anche io ho conosciuto qualcuno.”
Koki saltò in piedi.
“Ehhhh!?” gridò, “Da quanto tempo! Tatsu, sono così contento!!”
Accennò un sorriso.
“Davvero?”
“Ovvio! Sei sempre così solo!”
“Hey!”
“Cosa? E’ vero!”
Tatsuya sbuffò. Però aveva proprio ragione. Se trascorreva le proprie giornate tra gli spartiti e la palestra non poteva certo sperare di trovare qualcuno. Quello giusto. Eppure la vita era così strana. Una sera esci e ti innamori come fosse la prima volta. Lo stomaco gli aveva fatto davvero male. Ogni volta che avevano incrociato gli sguardi. E pure quando gli aveva sorriso perché sorpreso nello aver scoperto la sua età. Di solito la sorpresa che vedeva nella faccia della gente lo irritava... quella volta invece... il sorriso sul suo volto aveva così tanto accorciato quel divario che li separava al punto che avrebbe potuto allungare una mano e raggiungerlo.
“Già... l’età...”
Koki, che stava sciacquando le scodelle nel lavabo si voltò. “Hai detto qualcosa?”
“Senti... se una persona è fidanzata può comunque uscire con qualcun altro, no? Ma se c’è troppa differenza d’età si rischia di non capirsi e si può soffrire per ogni frase fraintesa.”
“No, aspetta...” cominciò Koki asciugandosi le mani con uno straccio, poi gli si avvicinò al tavolo, “...mi dici che il tradimento lo perdoneresti?”
“Eh...? Non l’ho mai detto! Come potrei!”
“Ma hai appena detto che si può uscire con due persone allo stesso momento!”
“L’ho detto?”
“Sì...”
“E’ che... okay, mi sto auto convincendo che non è un problema se lui uscisse con me.”
“Ma se è fidanzato lo è...”
“Non c’è bisogno che tu me lo dica!”
“Eppure mi sembra che il bisogno ci sia eccome!”
Si erano ritrovati a gridare in cucina. Finiva sempre che litigassero. E ogni volta, era Tatsuya quello nel torto, e consapevole di esserlo.
“Va bene” concluse quindi fingendo una maturità che non aveva, “Vado in camera.”
“Tatsu!” gridò Koki sospirando, “Ma sei sicuro che sia fidanzato?”
“L’ha baciata!” rispose aspro voltandosi verso l’ingresso della cucina, un piede sulle scale per il piano superiore. “Sulla guancia...”
Koki non disse altro.
“E poi è troppo piccolo! Pure più piccolo di te! Come potrei!”
L’altro apparve sulla porta con le braccia incrociate.
“Certe volte anche tu mi sembri più piccolo di me.”
“Come?”
Koki sospirò, “Se pensi cose del genere e addirittura tralasci il fatto che sia fidanzato, significa solo una cosa per me... non te lo devo dire io, no? Vedi se ne vale la pena, e, anche a rischio di soffrire, dovresti metterti in gioco. Lo riesci a vedere da solo se ce la fai.”
Tatsuya restò immobile, il solito piede sul primo scalino. Che urto. Per te è facile metterti in gioco. Ma la cosa che più gli urtava era il fatto che anche lui voleva pensarla allo stesso modo...
“Non lo rivedrò più comunque...”
“Non hai il suo numero?”
“No...”
“Avete almeno parlato?”
“Sì...”
“E te lo sei fatto sfuggire?”
“Senti” sbuffò Tatsuya salendo finalmente le scale, “Io me ne vado in palestra.”
“Oggi non è il tuo giorno libero? Vai a farti una passeggiata all’aria aperta piuttosto.”
Tatsuya lo ignorò.
“Non venire a piagnucolare da me poi!”

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Continua...

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Capitolo 2
*** ...dove il tuo nome è scritto sulla sabbia. ***


Quando tornò a casa la sera non riusciva più a camminare senza sembrare un idiota. Aveva corso così tanto che non si sentiva più le gambe, e il sedere doleva ad ogni scalino. Riuscì comunque ad arrivare al piano di sopra e si buttò sul letto. Sarebbe morto lì per qualche ora, almeno finché i muscoli non si fossero un po’ riposati, o finché Koki non sarebbe venuto a buttarlo giù dal letto e lo avrebbe costretto a mangiare qualcosa. E infatti non tardò ad arrivare.
“Tatsu! Ma hai già cenato?”
Inutile mentire, lo avrebbe scoperto comunque.
“No...”
Lo sentì respirare pesantemente, doveva stare per fargli una delle sue solite ramanzine serali. Si era convinto che Koki lo considerasse come il proprio fratello maggiore, ma in realtà era Tatsuya quello ad essere sempre ripreso. In effetti... si stava auto convincendo di un po’ troppe cose. Avrebbe fatto meglio ad aprire gli occhi e a vedere la realtà così come stava. 
Allora aprì davvero gli occhi e, senza dire nulla, scese al piano inferiore. Koki lo seguì non capendo le sue intenzioni. Tatsuya aprì il frigo, preparò la cena, quindi la mangiò velocemente lasciando l’altro a guardarlo incredulo. 
“Va bene così? Ora vado in camera, non disturbarmi.”
Koki annuì lentamente. Possibile che avesse davvero fatto come gli era stato detto senza una lamentela?
 
Dopo essersi chiuso in camera, Tatsuya accese la piccola lampada del comodino e aprì la finestra. Si perse qualche secondo a guardare verso il mare. Lo sentiva gorgogliare distintamente a qualche decina di metri di distanza. Non lo vedeva ma sapeva che c’era. Le solite stelle si specchiavano sulla superficie leggermente increspata. Chissà se alla fine la notte precedente aveva piovuto.
Annuì sicuro di una risposta positiva quindi recuperò il proprio computer e lo accese. Si distese sul letto e aspettò che la connessione gli permise di accedere al social network.
Diede un’occhiata alle poche notifiche nella homepage. A parte un paio di inutili inviti a giochi online -che lui odiava - non c’era altro... ah, Koki, il giorno prima, gli aveva lasciato in bacheca uno dei suoi soliti commenti. Qualcosa tipo un insulto velato, che ignorò. Poi un’ultima notifica... una richiesta d’amicizia. La guardò per qualche secondo. Perché non gli aveva semplicemente lasciato il numero di telefono? Cercò di pensare che non potesse essere lui e la cliccò. Accettò senza pensarci, la mente vuota. Non pensare a niente, si ripeteva nella testa, appena prima che la finestra di una chat si aprisse.
J: Sei tu?
Guardò lo schermo imbambolato, senza riuscire a fare niente. 
“Che domande fai...?” mormorò. Poi si decise.
T: Dipende da chi stai cercando.
Sì, si doveva comportare così. Cercare di mantenere la calma. Eppure non ce ne dovrebbe essere bisogno. Con la sua esperienza dovrebbe essere calmo senza alcuno sforzo. E allora perché?
J: Cerco il ragazzo che fissa l’oceano.
No, non ce la poteva fare. Perché ora il cuore gli batteva all’impazzata? Calmati! E che cavolo... ma come fa... deve averlo tenuto d’occhio sul serio. 
T: C’è qualcosa di male in questo?
J: No. Sembravi davvero sereno mentre lo facevi.
T: Lo ero infatti.
Per qualche secondo la conversazione rimase a quel punto. In un certo senso Tatsuya era rimasto sollevato dal fatto che quel ragazzo non usasse linguaggio sms o emoticon in maniera casuale. Ma no! Anche quello era un punto a suo favore!
J: Sei a casa?
Quella domanda così strana gli impedì di pensare ad altro. Sapeva fare solo domande inutili?
T: Sì, perché tu no?
J: No...
T: Dove sei?
J: A Naha.
T: Ah, quando tornerai a Tokyo?
J: Non lo so... fra qualche mese forse.
T: Perché? Non devi prepararti per l’università?
J: Non ci andrò...
Sembrava proprio diverso. Dal vivo gli aveva dato tutta un’altra impressione. Ma era giusto così, quella era solo una chat. Nemmeno lui stava mostrando le sue emozioni di quel momento, e per fortuna. Chissà se anche lui aveva il batticuore.
T: Lavorerai?
J: Vedremo, intanto sto facendo uno stage qui ad Okinawa... poi chissà.
T: Ah, capisco.
Un altro momento morto. Tatsuya guardò un attimo fuori dalla finestra, una moto parecchio rumorosa passava in quel momento lungo la strada sotto casa. Quando guardò di nuovo lo schermo del pc il cuore ebbe un tuffo.
J: La sera che locali frequenti?
Ma perché si stupiva? C’era da aspettarselo, no? Avevano abitudini diverse, otto anni di differenza sono un baratro invalicabile. Un sorriso non può colmarlo. Esitò troppo a lungo, Junnosuke scrisse ancora.
J: Io non esco molto la sera, semmai possiamo andare da qualche parte insieme. Che ne dici?
Insomma: gap d’età, abitudini diverse, lui era già impegnato. 
T: Perché no! Conosci qualche posto carino?
Tutti quegli ostacoli e non poteva farci nulla. Forse quella non sarebbe stata solo una cotta passeggera. A ventotto anni non esistono più queste cose. Si sarebbe scottato, con la stessa imprudenza con cui ci si espone al sole senza l’adeguata protezione. Ma, come gli aveva detto Koki qualche minuto prima, era lui a decidere se mettersi in gioco. Non è ancora amore, ma chissà se sei la persona giusta per me.
J: Faccio una ricerca veloce su internet!
A Tatsuya sfuggì una risata.
T: Ai miei tempi si dicevano cose come... sento qualche amico! 
J: Ma quanto sei vecchio? Comunque non ho ancora amici qui... mi sono trasferito al dormitorio da solo un paio di giorni...
Il cervello si domandò automaticamente che stage stesse facendo e in che tipo di dormitorio potesse alloggiare, ma le dita scrissero altro.
T: E la tua ragazza?
J: Eh? Sono single al momento...
T: E Anne?
J: Cosa? Lei è mia sorella.
T: Non mentirmi... la conosco da molto più tempo di te, so che è figlia unica.
J: Forse sì, la conosci da più tempo di me... perché sono stato adottato a dodici anni.
T: Ah... Io... non lo sapevo. Scusami...
J: Tranquillo, ormai è come se avessi vissuto sempre con loro. Non ho molti ricordi precedenti. Comunque non trovo nulla su internet! Forse i tuoi metodi erano migliori! A proposito, ai tuoi tempi ci si scambiavano i numeri di telefono, no? Ecco il mio...
Anche Tatsuya scrisse il proprio e lo inviò. Quella situazione era così assurda che Tatsuya osservò il proprio telefono squillare per un minuto buono.
J: Non rispondi? Ho sbagliato numero?
T: Ah, no, no! Ora rispondo!
“Non pensavo che dovessi rispondere...”
-Preferisco parlare a voce!-
“Okay...”
-Allora ci vediamo da qualche parte e poi cerchiamo insieme un posto?-
“Sta sera?”
-Perché no!-
“Va bene, non ho nulla da fare.”
-Perfetto! Ci vediamo lungo la spiaggia dove abbiamo fatto il falò? Ti sa scomodo?-
“No, no! Non ci metto nemmeno dieci minuti a piedi...”
-Perfetto! Sarò lì in un battito di cuore!-
“Eh?”
La risata di Junnosuke gli riempì le orecchie. Un brivido gli corse lungo la schiena, senza motivo.
-Niente! A tra poco!-
Tatsuya chiuse la chiamata e fissò lo schermo per un altro minuto buono. Tutto era scivolato troppo liscio, e gli era sembrato perfino troppo naturale. E poi cos’era quell’ultima cosa che gli aveva detto? Un battito di cuore? Se fosse stato il battito del cuore di Tatsuya in quel momento di sicuro non avrebbe fatto in tempo nemmeno ad uscire dalla stanza. Sospirando, la mente guizzò veloce tra i pensieri e si fermò al ricordo di un’altra frase, che non aveva messo a fuoco subito. Era sua sorella? Si morse il labbro per nascondere un sorriso al proprio cuore, che non sembrava volergli dare tregua. 
Poi pensò di colpo che doveva sbrigarsi e uscì di corsa - ignorando le lamentele dei muscoli - senza nemmeno avvisare il proprio coinquilino. Si sarebbe risparmiato spiegazioni. E comunque gli avrebbe raccontato dopo. In un battito di cuore fu fuori.
 
Camminavano lungo il marciapiede che seguiva la linea della spiaggia.
Quando Tatsuya lo aveva visto - appoggiato ad un lampione, con le braccia incrociate - non aveva potuto fare altro che sorridere. E nel momento in cui anche l’altro lo aveva notato e aveva iniziato a salutarlo con la mano il cuore gli aveva tremato in petto.
“Ciao” si erano detti. Ed ora camminavano l’uno al fianco dell’altro, senza dire altro, circondati da quel silenzio imbarazzante. 
Il viale non era molto affollato. Di solito la gente si ammassava alle varie feste disseminate qua e là lungo la spiaggia, ed era raro trovare qualcuno a passaggio. Due ragazzi, però, li superarono camminando velocemente e questo fu il pretesto che Tatsuya usò per spezzare quella cortina densa che li separava - isolando l’uno dall’altro - e che lui temeva così tanto.
“Che?” domandò.
Junnosuke lo guardò interrogativo.
“Quei due tipi là davanti, li hai sentiti? Che lingua parlavano?” 
“Ah, coreano credo. L’ho studiato un po’ alle superiori.”
In verità a Tatsuya non importava niente di quei due ragazzi ma sentire a quella breve distanza la voce dell’altro gli fece sfuggire il secondo sorriso di quella sera.
“Ah, ecco!” esclamò Tatsuya ridendo senza alcun motivo apparente, “Perché non ho capito un accidente!”
“Credo che parlassero di una festa sulla spiaggia? Ma uno dei due non voleva andare e preferiva tornare in albergo...”
Tatsuya lo guardò interrogativo.
“Se sei così bravo con le lingue perché non continui a studiare?”
Junnosuke si voltò a guardarlo e sorrise. “Ho scelto di lavorare, per questo sono rimasto ad Okinawa. Devo ripagare i miei genitori ed iniziare a vivere da solo.”
Tatsuya non seppe cosa rispondere e si bloccò, il capo leggermente chino. In lontananza un’onda decise di sbattere violentemente contro la riva. E il vento soffiò più forte.
“Che c’è?”
Tatsuya scosse impercettibilmente la testa.
“Siamo così diversi...”
“Che vuoi dire?”
“Tu hai queste preoccupazioni, pensi ai tuoi genitori e li vuoi ripagare, sacrificando pure gli studi. Io invece sono due giorni che non ho fatto altro che scervellarmi con questioni inutili... ha ragione Koki, sono proprio un bambino...”
Junnosuke poggiò una mano sulla sua spalla, e cercò di stabilire un contatto visivo inclinando un po’ la testa.
“Sono sicuro che anche i tuoi pensieri siano importanti. Lo penso perché ho visto la tua espressione mentre osservavi l’oceano. E poi tranquillo! Anche se non potrò studiare, sto facendo il tirocinio per un lavoro che mi darà sicuramente delle soddisfazioni!”
“Sì, però...”
“Basta fondersi il cervello! Certe volte è meglio lasciar perdere questi pensieri aggrovigliati, e agire semplicemente per essere felici.”
Mentre aveva detto quelle parole, i suoi occhi non avevano mai smesso di guardarlo, e il sorriso non gli aveva mai abbandonato il volto. Junnosuke, cosa mi vuoi dire? In quel momento, agire per essere felici significava...
“Chi è Koki?” Junnosuke interruppe quel suo pensiero - stavolta affatto aggrovigliato - afferrandogli anche l’altra spalla. Ora lo scrutava da vicino, forse anche troppo vicino, al punto che la luce del lampione che li sovrastava non riusciva più ad illuminargli il volto. C’erano solo i suoi occhi, grandi e chiari. Che, se possibile, si avvicinarono ancora di più.
“Il mio coinquilino,” trovò le parole chissà dove. Il cuore stava per scoppiargli in petto e, quando pensò che forse poteva davvero agire o lasciarsi travolgere, Junnosuke lo lasciò, tornando a mettere la solita amara distanza tra di loro. E Tatsuya sospirò, vedendo che ora fissava una coppia che veniva dal lato opposto, tenendosi per mano. Automaticamente, anche lui iniziò a guardarli. Sembravano davvero felici, e Tatsuya continuò a seguire il loro percorso anche quando si furono avvicinati a loro, incrociati, e quando proseguirono oltre. 
Junnosuke, invece, già guardava verso il nero del mare. Tatsuya spostò lo sguardo su di lui, e seguì la linea del suo profilo. Stava per dire qualcosa, quando Junnosuke si voltò di scatto.
“Vogliamo andare anche noi a quella festa di cui parlavano i coreani?”
Tatsuya rimase un attimo immobile, il proprio pensiero spezzato da quella proposta. Non lo recuperò, decise di non pensare e di essere felice. Di essere se stesso, e di non imporsi limiti - o distanze - che non esistevano. Junnosuke era là, lo poteva toccare, abbracciare, baciare...
“Non vogliamo andare giù verso la spiaggia?”
 
Il mare di notte gli piaceva allo stesso modo che quello di giorno. Ma forse un po’ di più, perché anche se restava in piedi a fissarlo, e bagnava i piedi nudi nell’acqua, non provava quella sensazione di vertigini che l’orizzonte netto e irraggiungibile gli provocava di giorno. Di notte non esistevano distanze, era tutto livellato e a portata di sguardo.
La luna era solo un puntino bianco lontano, che si rifletteva svogliatamente sulla superficie increspata dell’acqua.
Camminarono un po’ lungo la riva fino a che non decisero di sedersi su degli scogli. Il mare era poco mosso, e le onde non potevano toccarli.
Junnosuke si spinse un po’ più in là, fino ad arrivare ad uno scoglio piuttosto livellato. Quindi chiamò l’altro.
“Qui si sta seduti bene!” gridò sventolando la mano.
Tatsuya non sembrava molto convinto. Ma volle lo stesso provare a raggiungerlo. Stando molto attento, e tenendo bene di vista dove metteva i piedi, arrivò a sedersi al suo fianco.
“Non è stato troppo difficile” commentò sorridendogli.
Junnosuke rise sottovoce, poi guardò verso l’orizzonte. Da lì si potevano vedere chiaramente le luci variopinte dei vari locali sparsi lungo la costa. Anche la musica, decisamente affievolita, arrivava alle loro orecchie. Ma a loro non interessava, entrambi preferivano guardare verso quel punto in cui cielo e acqua si fondevano.
Junnosuke inclinò la testa.
“Stavo cercando di capire cosa guardassi ieri” commentò quasi più a se stesso. “Ma forse non deve esserci per forza qualcosa  da guardare, no? Mi piace anche solo così.”
Tatsuya guardò ancora il suo profilo debolmente illuminato.
“Forse tu potrai non vedere niente... Ma io guardo la mia paura, e il mio amore più grande.”
Anche Junnosuke si voltò. 
“L’oceano?”
Tatsuya annuì sospirando. “Ho le vertigini. Succede ogni volta che guardo verso la linea dell’orizzonte. Ogni volta, tranne che di notte.”
“E di giorno?”
“Mi sforzo, e provo ad affrontare questa cosa. Ma fin’ora non è migliorata molto.”
“E... fai mai il bagno?”
“Ma che sei scemo?” domandò ironicamente Tatsuya. Ma si era messo a ridere, per sdrammatizzare un po’. Non gli piaceva quando parlava in maniera così seria di quel problema. Lo rendeva più serio di quanto fosse in realtà.
“Vieni” Junnosuke lo prese per un polso e si alzò, facendo fare lo stesso anche all’altro.
“Eh? Dove?”
“Andiamo in acqua.”
“Sei impazzito sul serio!” gridò Tatsuya quando Junnosuke mise un piede in acqua. In quel punto il livello non era troppo alto, a malapena gli copriva la caviglia.
“Avanti!”
“Ma siamo vestiti!”
“Poi li asciughiamo” commentò Junnosuke come fosse una cosa normale.
“No, non posso...” mormorò Tatsuya chiudendo gli occhi. Sentiva ancora la presa dell’altro salda sul polso. 
“Avanti, non succederà nulla, e poi sto facendo lo stage per diventare bagnino! Non c’è pericolo!”
“Non vuol dire nulla!!” si ritrovò a gridare senza motivo. Junnosuke forse ci rimase un po’ male, ma strinse ancora di più la presa.
“Senti, Tatsuya,” iniziò con voce ferma - e il cuore di Tatsuya fece una capriola - “Tu non hai mai affrontato sul serio questo problema. Per niente. Non serve a niente guardarlo, devi entrare in contatto col mare per capire che non è pericoloso come credi. Non so quale sia stata la causa di questa paura. Forse da piccolo sei caduto in acqua? Ma non ha importanza, ci sono io. Ti tengo, non ti lascio andare, se c’è bisogno ti prenderò pure in braccio. Ma vieni qui, okay?”
 
Anche questa volta vorrei essere lì in un battito di cuore.
 
Tatsuya aprì un po’ gli occhi e lo guardò. Nessuno prima d’ora lo aveva mai costretto in quel modo. Anzi, nessuno lo aveva mai spronato in quel modo. Osservò i suoi occhi e vi ritrovò la stessa profondità oscura che gli metteva così tanta angoscia. Ma cosa teneva nascosto in quei fondali che lo attraeva con così tanta forza?
“Mi... tieni...?”
“Anche in braccio” confermò Junnosuke sorridendo. 
“Sul serio...” continuò alzando un piede dallo scoglio e allungandolo in avanti. Solo un secondo a mezz’aria e lo lasciò cadere in acqua con così tanta forza che gli schizzi arrivarono fino al ginocchio. Trasalì.
“Tranquillo” continuò a dire Junnosuke, e si allontanò per farlo entrare.
“Aspetta!” gridò Tatsuya ed affondò entrambi i piedi in acqua. Quel liquido viscido che gli circondava le caviglie lo paralizzò, e si dovette attaccare forte alla maglia dell’altro. Le nocche erano bianche. Gli occhi serrati. 
 
Non riusciva più ad avere la percezione del tempo che passava. Poteva dire che c’era effettivamente un esterno rispetto a se stesso per il solo fatto che le onde gli sbattevano contro la pelle. 25, 26, 27... o forse erano già 30 volte? E ogni volta era un battito del cuore che saltava, o un respiro mancato.
Junnosuke lo stringeva per la vita, e una mano gli carezzava i capelli. Ma non aveva ancora detto nulla. Aspetti forse che sia io a dire qualcosa? 
Pian piano la presa sulla maglia si allentò e infine riuscì a staccare il viso infossato contro il petto dell’altro. Come aveva detto poche onde prima - in quel luogo era diventato questo il suo modo di contare il tempo - non c’era da aver paura. Alla fine non era differente dalla sensazione dell’acqua sulla propria pelle nella vasca da bagno.
“Va meglio?”
La sua voce ruppe con un pop quella bolla schiumosa in cui si era rinchiuso. E il tempo tornò a scorrere con i suoi secondi, minuti, ore. Quanti secondi erano stati attaccati in quella posizione? Le gambe di Tatsuya avevano iniziato a formicolare.
Si staccò di colpo.
“Ora sì” lo rassicurò respirando regolarmente. Guardò a terra e prese a schiacciare l’acqua con i piedi. E’ troppo innocua. Quindi tornò a posare lo sguardo su Junnosuke. Lo trovò che sorrideva.
“Perché sei felice per me?”
“Eh? Hai un pochino superato la paura, no? Anche se sono solo due centimetri...”
“Ma non sorridere così.”
Junnosuke cercò di tornare serio, ma le sue labbra non gli volevano dare retta. Fece una specie di smorfia e Tatsuya si mise a ridere.
“Torniamo sulla terra ferma” concluse voltandosi. Ma Junnosuke lo afferrò per un polso.
“Per di là, andiamo verso la spiaggia.”
“Vuoi farmi restare in acqua fino a laggiù!?”
“Ti senti male?”
“No...”
“Hai le vertigini?”
“Nemmeno...”
“Allora andiamo” ordinò Junnosuke facendo strada.
 
Raggiunsero la sabbia, ed uscirono dall’acqua. Sebbene avesse detto che non si sentiva affatto male, Tatsuya fece un profondo respiro. Come se, in verità, gli avessero tenuto la testa sotto l’acqua per tutto quel tempo.
“Grazie” mormorò.
Junnosuke gli lasciò il polso e si voltò a guardarlo. Tatsuya sorrise. Poi un giorno ti racconterò meglio quello che mi è successo. Per ora non voglio pensare, ed essere felice in questo presente.
“Sono contento che tu mi abbia ascoltato” disse Junnosuke, “Hai riposto fiducia in me... eppure...”
“Eppure ci conosciamo solo da un giorno” completò Tatsuya al suo posto.
L’altro annuì.
“Junnosuke” lo chiamò per nome, “Io non sono un tipo che crede al destino... ma penso che ci siano degli incontri che non avvengono per caso. E sono felice di averti incontrato.”
Restarono in silenzio. 25, 26, 27 secondi... o forse ora Tatsuya stava contando i battiti del proprio cuore?
Lui non credeva al destino, ma poteva anche pensare che un incontro del genere non fosse così casuale come sembrava in apparenza. E se, in un momento particolare, il - chiamiamolo in questo modo - destino ti pone di fronte ad un evento così particolare, perché non sforzarsi per renderlo speciale? E, perché no, duraturo? Non potevano quegli incontri sul mare di notte, diventare routine? Lui, che odiava al punto la quotidianità della capitale, e che si era trasferito sul mare per sfuggire ad una cosa simile, ora pensava che una quotidianità del genere l’avrebbe accettata volentieri.
“Per questo...” riprese, senza riuscire a decifrare quale espressione fosse nata sul volto dell’altro, “...possiamo rivederci anche domani sera?”
“Ecco...”
“Ah! Non è un problema! Mi era venuto in mente e niente... come se non avessi detto nulla!”
Junnosuke alzò le mani come per volersi scusare e a Ueda salirono improvvisamente le lacrime. Si irrigidì di colpo. E’ solo la tensione che si scoglie... è solo la tensione che si scioglie...
Mosse un passo in avanti, allungò le braccia. Strinse il viso di Junnosuke tra le dita e pigiò forte le proprie labbra sulle sue. Le proprie mani erano sudate, e quello non sembrava di certo il bacio più romantico del secolo, ma a Tatsuya non importava. Se voleva rendere duraturo quel dono del destino, ormai non gli restava che giocare quest’ultima carta. Dopotutto Junnosuke gli aveva detto di affrontare sul serio i propri problemi, no? 
Quando si staccò, gli occhi dell’altro lo guardavano sbalorditi.
“Io...” iniziò Junnosuke, “...ti volevo solo dire che domani sera ho il coprifuoco in dormitorio... e non posso uscire la sera.”
“Ah...”
“Però... dopodomani... possiamo rivederci...”
Tatsuya annuì e arrossì leggermente. Almeno ora non aveva più il bisogno di piangere.
Junnosuke sorrise e lo tirò per la vita. Il loro secondo bacio fu decisamente più romantico. Uno di quelli in cui il respiro si spezza - ma non per la paura - e sembra che le gambe possano cederti da un momento all’altro - e non per le vertigini. Per la prima volta Ueda Tatsuya poteva finalmente associare quelle sensazioni a qualcosa di bello. Poteva sentire le farfalle nello stomaco e avvertire il cuore accelerare i battiti così repentinamente senza doversi spaventare. E sorrise sulla sua bocca. Per poi tornare a baciarlo, a tirarlo per la maglia per poterlo sentire ancora di più contro di sé. 
E forse da quel giorno avrebbe contato il tempo passato con lui scandendolo col battito del proprio cuore.
 
Lui si china a terra, e io lo vedo scrivere qualcosa sulla sabbia scura. Scrive il suo nome, e il mio.
“Ci rivediamo dopodomani in questo punto! Okay?”
Sorride. E gli sorrido anche io.
 
-Fine-

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