Proveremo a dimenticare insieme

di Lils_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** L'arena ***
Capitolo 3: *** La trappola ***
Capitolo 4: *** Alleati ***
Capitolo 5: *** Gli ibridi ***
Capitolo 6: *** L'attacco ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


 
Proveremo a dimenticare insieme
 

 
 
Prologo
 
 
 
“Annie?”
“Non uccidermi.”
“Annie, sono il Dottor Glass. Sono qui per aiutarti.”
“Non uccidermi.”
“Non ho intenzione di ucciderti. Voglio solo parlare con te. Sai dirmi quanti anni hai e da dove vieni, Annie?”
“Non uccidermi.”
Il Dottor Glass sospira, lanciando un’occhiata impaziente e scoraggiata allo specchio unidirezionale posto sulla parete. Sa di essere osservato mentre interroga quella ragazzina, la vincitrice dei Settantesimi Hunger Games, uscita di senno dopo la morte del suo compagno di Distretto, un certo Brandon. E sa anche che non c’è nessuna speranza che torni in sé. Scruta attentamente la ragazza che gli sta di fronte, cercando di capire cosa veda che la terrorizza così tanto. La postura del suo esile corpo è irrigidita, colta da improvvisi spasmi che la lasciano senza fiato e i suoi occhi sono spalancati, le pupille così dilatate che quasi non né si riesce a distinguere il verde intenso dell’iride. Il viso è coperto da una massa di capelli scuri. Non è né denutrita né scarmigliata dopo che il suo staff di preparatori l’ha ripulita e rimessa in sesto in seguito alla sua vittoria, qualche giorno prima. E’ solo terrorizzata. Da qualcosa che ha visto. Da qualcosa che ha vissuto.
“Dottor Glass, esca, c’è il mentore della vincitrice che vuole provare a parlare con lei.” Quell’ordine perentorio gli giunge dall’auricolare che indossa, così il dottore esce dalla stanza, scuotendo mestamente il capo. “Che ci provi, non credo che quella creatura potrà mai tornare a com’era un tempo.”
Quando il mentore di Annie, Finnick Odair entra nella stanza, c’è un’improvviso cambiamento in lei: si dibatte sulla poltrona su cui è accucciata e sposta lo sguardo su Finnick, distogliendolo per la prima volta dal punto indefinito che aveva fissato fino ad allora.
“Finnick?” mormora flebilmente Annie, prima di tornare a fissare il vuoto.
“Sono io Annie.” replica lui nel tono più calmo che riesce a trovare, anche se vorrebbe urlare, correre ad abbracciarla, dirle che andrà tutto bene, che riuscirà a salvarla come aveva cercato di fare mentre lei era ancora nell’arena.
“Non uccidermi.”
“Non lo farei mai. Di cosa hai paura, Annie? Sono io, Finnick. Non ti farei mai del male, lo sai.”
Lei sposta di nuovo lo sguardo su di lui, guardandolo disperata.
“Ti prego, digli di non uccidermi, Finnick.”
Quella era la frase più lunga che le sentiva pronunciare da quando era uscita da quella maledetta arena. Stavano facendo progressi, dopo tutto. Finnick le si avvicina un po’, aspettandosi una qualche reazione, ma lei continua a fissare il vuoto, dondolandosi terrorizzata e tremando incontrollabilmente, le mani premute sulle orecchie.
“Di cosa hai paura, Annie?” chiede di nuovo Finnick, avvicinandosi ancora, fino a quando non è a pochi centimetri di distanza da lei. Cade in ginocchio davanti, aspettando una risposta.
“Di loro.”
“Degli altri tributi? Non ci sono più, Annie, sono morti. Sei sopravvissuta solo tu. Hai vinto.” risponde lui cercando di reprimere la gioia nella sua voce. Ce l’aveva fatta. Era sopravvissuta. Era tornata da lui. Ma a che prezzo?
Annie scuote leggermente la testa, a scatti, e torna a guardarlo per qualche istante. “Non di loro. Di loro.” replica puntando un dito contro lo specchio, senza però voltarsi a guardarlo, tenendo gli occhi fissi su di lui.
Finnick sospira lentamente, cercando di scegliere con cura le sue prossime parole. E’ un terreno minato quello in cui si stanno inoltrando. Il loro odio per Capitol City non deve manifestarsi.
“Nessuno ti farà del male, Annie. Sei al sicuro qui. Ci sono io con te. Non ti accadrà nulla di male.” Cerca di rassicurarla, in modo da poterla calmare, in modo da potersi far raccontare ciò che vede, per poter condividere con lei le sue paure.
“Non voglio tornare la.” piagnucola Annie, guardandolo con occhi pieni di lacrime, e a lui si stringe il cuore vedendola così.
“Non ci dovrai tornare mai più, Annie.” dice e colto da un’improvvisa ispirazione aggiunge “Raccontami com’era. Raccontami tutto. Così saremo in due a portare questo peso, d’accordo? Proveremo a dimenticare insieme.” mormora sperando che i medici dall’altra parte del vetro non sentano l’ultima parte della frase. Loro non vogliono che dimentichi. Capitol City non dimentica nulla.
Annie lo fissa terrorizzata, ma poi sembra calmarsi un po’. Gli occhi tornano quasi normali, e la posizione si ammorbidisce, come se si fosse liberata da un peso.
“Va bene, Finnick.” replica docile.
E i Settantesimi Hunger Games ebbero inizio.
 
 
 

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Capitolo 2
*** L'arena ***


 
 
Capitolo 1
 
L’arena
 
 
 
Sono in piedi sulla mia pedana del Tributo in attesa che i sessanta secondi finiscano e che i Giochi abbiano inizio. Il turbinio della vita a Capitol City che avevo potuto assaporare per una settimana durante l’Addestramento mi sembra così lontano ora, mentre sto ferma qui, a guardarmi intorno per cercare di capire dove sono. L’intervista, l’addestramento, i sorrisi, le telecamere, la sfilata: tutto è lontano in questo posto così strano e diverso da quello in cui sono abituata a vivere. Finnick, il mio mentore, mi aveva avvertita questa mattina, dopo un ultimo abbraccio che subito mi sarei sentita confusa da ciò che mi circondava, ma che avrei dovuto reagire in fretta per trovare una via di fuga dal bagno di sangue iniziale.
Il mio mentore… probabilmente non lo avrei più rivisto. Mi sarebbe mancato tanto Finnick, il suo sorriso ironico, la tristezza nascosta dietro un’espressione provocatoria. Ho da sempre una cotta per lui. Quando lo intravvedevo al mercato del pesce la domenica mattina, il cuore mi batteva sempre a mille. Ovviamente non avevo mai pensato di avere qualche speranza con lui. L’unica volta in cui gli avevo parlato era stata per contrattare sul prezzo di una dozzina di trote. Io le vendevo sempre al solito posto, ma lui non era mai venuto al mio banchetto fino a quel giorno. E io da stupida, invece che sembrare un minimo carina per fare colpo su di lui, mi ero messa a litigare sul prezzo.
Ammetto che una parte infinitesimale del mio cuore aveva esultato quando avevano gridato il mio nome alla Mietitura, ma l’euforia era subito sparita. Non so di preciso quando, però, tra l’Intervista e la sfilata dei carri, mi sono accorta di essermi innamorata del mio mentore, ma comunque ormai non ha più importanza, perché sicuramente non sopravvivrò per vedere ancora i suoi occhi.  
Mi guardo attorno, cercando di capire dove sono. La Cornucopia è di fronte a me e le piattaforme dei Tributi sono disposte in fila, equidistanti le une dalle altre. Ma la cosa che più mi sorprende è che tutto il vasto spiazzo erboso in cui si erge la Cornucopia e in cui ci troviamo noi è circondato da un muro verde alto almeno dieci metri, impenetrabile, creato probabilmente da una siepe. Mi volto per vedere se anche alle mie spalle c’è quel muro, e non mi sorprendo quando lo vedo. Lo spiazzo è circolare, così pare di trovarsi in una grande cupola; anche se, quando alzo gli occhi al cielo, vedo che non c’è alcun vetro a rinchiuderci tutti nello spiazzo della Cornucopia.
Strizzo gli occhi per vedere il muro oltre alla Cornucopia, che è a circa un chilometro da dove mi trovo io. La struttura invece è vicina, e con un buono scatto si può raggiungere in qualche secondo. Scruto la siepe dall’altro lato della Cornucopia e vedo un’apertura e poi un’altra un po’ distante e un’altra ancora e così tutt’attorno allo spiazzo e finalmente capisco “Siamo al centro di un labirinto.” Mormoro.
Nel distretto 4, a casa, avevo alcuni libri che descrivevano luoghi come questo e a Capitol City, durante il viaggio in treno mi era parso di scorgerne uno.
Il tempo sta finendo, rimangono appena dieci secondi così mi preparo allo scatto e attendo lo scadere del tempo ascoltando solo i battiti del mio cuore, escludendo il resto dell’arena. Sento il gong proprio mentre il mio cuore batte un colpo e i miei piedi scattano in avanti per raggiungere la Cornucopia. Afferro uno zaino tra quelli che mi si parano davanti e prendo una lancia e un coltello senza perdere tempo a confrontarli, per poi fuggire subito dalla Cornucopia e imboccare una via a caso tra quelle più vicine. Dietro di me le grida hanno inizio, ed io mi porto le mani alle orecchie per non sentire. Continuo a correre per almeno mezzora prima che la stanchezza vinca e mi decida a voltarmi indietro. Non c’è nessuno che mi segua, né dietro né davanti a me. Cammino ancora a lungo, cercando di mettere la maggiore distanza possibile tra me e gli altri tributi. Mi trovo spesso di fronte delle deviazioni e sono costretta a cambiare direzione, ma cerco di lasciarmi dietro alcuni segnali discreti, come alcuni mucchietti di foglie, in modo da non ritornare sui miei passi.
Quando finalmente decido di fermarmi è il crepuscolo. Mi trovo in una specie di largo corridoio racchiuso tra due mura di siepe verde alte come quelle della Cornucopia. Non ci sono alberi, solo questa siepe infinita che offre ben pochi ripari con i suoi cespugli ordinati. Così mi ricavo una specie di tana, scavando il terreno e tagliando il fitto intrico di rami e striscio sull’erba tenera fino a ficcarmici dentro completamente, mimetizzando l’entrata della mia tana. Vengo praticamente inglobata dalla siepe. Contenta del risultato mi concedo qualche minuto di riposo. Sta calando la notte, così mi affretto a esaminare il contenuto del mio zaino.
In uno trovo una borraccia d’acqua fortunatamente piena, che mi affretto a bere avidamente. So che sarebbe più responsabile accertarsi che ce ne sia dell’altra nello zaino, ma con la corsa e il caldo mi sono ritrovata con la gola secca in fretta. Adesso la temperatura è precipitata, così scavo ancora nello zaino alla ricerca di qualcosa con cui coprirmi. Trovo una coperta e mi ci avvolgo grata, mentre esamino anche la torcia, il kit di pronto soccorso che mi rifornisce di disinfettante, bende e pillole varie, una scatola di fiammiferi che guardo con occhi increduli, una corda e alcune lattine di cibo. Non c’è altra acqua ma mi resta ancora più di metà della borraccia e la cosa mi rassicura abbastanza, così mi appunto mentalmente che il mio primo compito domani sarà cercare una fonte, o qualcosa del genere. E’ un bottino davvero niente male, considerato che sono riuscita a conquistarlo uscendo indenne dal bagno di sangue. Mi sistemo meglio nel mio bozzolo fatto di coperte e cespugli e attendo il sonno che non tarda a venire. Pochi minuti dopo sono però svegliata dall’inizio dell’inno di Panem che preannuncia il consueto riepilogo delle morti di quel giorno. Durante la mia fuga non avevo prestato attenzione ai colpi di cannone sparati a ogni morte, così adesso faccio capolino dalla mia tana per assistere alla proiezione delle morti.
Undici morti in tutto.
Entrambi i tributi del distretto 1, del 2, del 4 e del 5 ancora in vita. I ragazzi del 6, del 7 e del  10 anche.  Tredici ancora in vita.
Dodici da eliminare.
A quel pensiero mi viene in mente Finnick. E’ una strana associazione, in effetti, ma il pensiero di dover uccidere altri tributi per poter tornare da lui mi tormenta. Chissà cosa starà facendo? Il mentore? Per me o per Brandon, l’altro tributo del mio distretto? Starà pensando a me?
M’impongo di smetterla di pensarci. Credo che anche lui provi qualcosa per me. Me l’ha dimostrato con tanti piccoli gesti d’attenzione che riservava solo a me. Ma probabilmente era solo una infatuazione, la sua. ‘E va bene così. Gli ho detto addio. E’ improbabile che io vinca, anche se per antonomasia io dovrei essere uno dei tributi Favoriti. Ma io non ho ricevuto nessun addestramento speciale. A casa la mia famiglia è piuttosto povera e campiamo solamente perché non ci sono troppe bocche da sfamare. Solo io e mio padre. Mia madre morì di parto, quindi non l’ho mai conosciuta e non posso dire che mi manchi. A volte mi scopro a pensarci, ma mai con dolore, solo con curiosità. Chissà com’era?
Fatto sta che la mia unica abilità è con la lancia. Mio padre m’insegnò fin da quando ero una bambina a pescare con la lancia, così ho una mira praticamente infallibile. Ma le mie doti finiscono lì, se non consideriamo un disperato bisogno di vincere per poter tornare da Finnick. Ma non credo comunque di avere molte speranze. Durante l’Addestramento alcuni degli altri Tributi Favoriti mi sono sembrati delle vere macchine da guerra, Brandon compreso. Lui si offrì volontario alla Mietitura, mentre io incrociavo le dita sotto le pieghe della gonna buona per non essere scelta, mentre lo sguardo di Finnick scivolava tristemente sulla folla di ragazzi chiedendosi quale fosse il prossimo a dover affrontare i Giochi, e quello di Trish, la nostra accompagnatrice, ci fissava come io fisso il pranzo della domenica. Quando ha trillato il mio nome dopo averlo estratto dalla boccia il mio primo istinto è stato quello di tirarle il collo. Il secondo quello di scappare.
Ma il peggio è stato dopo, prima di salire sul treno. Quando frotte di amici e parenti sono corsi a congratularsi con Brandon per il suo coraggio e da me è venuto solo mio padre, che mi ha stretta in un abbraccio così soffocante che ho pensato sarei morta ancora prima di mettere piede nell’arena, e che si è asciugato le lacrime di nascosto subito dopo, mentre io non facevo nulla per arginare il flusso di copiose lacrime che mi si affollavano sulle guancie. Dopo essersi soffiato rumorosamente il naso, mi aveva messo le mani sulle spalle e mi aveva piantato addosso i suoi intensi occhi verdi, identici ai miei. Con tono duro aveva detto “Non ti azzardare a morire, Annie. Sei la sola cosa che mi resta al mondo, quindi vedi di tornare a casa in tempo per il tuo compleanno.” Io ero scoppiata a ridere, e quando i Pacificatori erano arrivati per prendermi in custodia, mi ero sentita nuda. Così indifesa che non ero riuscita a reggere lo sguardo di Finnick che mi studiava, chiedendosi come una ragazzina così disgustosamente anonima era finita su quel palco.
Finnick… che la mattina del mio compleanno aveva bussato alla mia porta con una pagnotta del nostro Distretto in mano, una nostra tradizione. Quanto mi manca..
Senza rendermene conto scivolo nel sonno, con ancora l’immagine di quella pagnotta e degli occhi del mio mentore a danzarmi nella mente.
Vengo svegliata poche ore dopo, all’alba da una serie di grida atroci che mi fanno piombare subito in uno stato di allarme. Raduno le mie cose che per fortuna avevo avuto il buon senso di riporre nello zaino e striscio fuori dal mio rifugio in fretta e furia, dandomela a gambe.
Corro finché i polpacci mi bruciano a tal punto da non reggermi più in piedi. Le urla non cessano e quando mi fermo a riprendere fiato mi rendo conto di essere esattamente nello stesso punto in cui avevo lasciato il mio piccolo rifugio. Mi accuccio a terra premendomi le mani sulle orecchie per non sentire più quelle grida atroci e cerco di calmare gli ansiti che mi scuotono. M’impongo di rimanere calma, così mi alzo e cerco di seguire il suono di quelle urla tremende in modo da potervi porre fine. Quando mi sembra che si stiano per affievolire, finalmente ne trovo la fonte. La ragazza del Distretto 2 è intrappolata in una trappola raccapricciante che affiora dalla siepe: è stata sollevata di peso da terra grazie a dei ganci che le trapassano da parte a parte le spalle e più si muove e si agita, più quegli orribili spuntoni la trapassano. Urla, chiedendo aiuto ai suoi compagni che non verranno a salvarla, perché questi sono gli Hunger Games e ci può essere un solo vincitore. Non si può mostrare pietà.
Tutto quel sangue e le urla disperate mi annebbiano la mente e così mi accuccio a terra ancora una volta portandomi le mani alle orecchie.
Improvvisamente le urla si interrompono e vengono sostituite da dei respiri affannosi “Ti prego” mormora rauca la ragazza, indicando il mio coltello e così facendo un fiotto di sangue mi schizza in faccia, facendomi rabbrividire. Ancora una volta cerco una via di fuga dalla realtà. Poi, ritrovando un briciolo di coraggio, estraggo il -coltello dalla cintura a cui lo avevo appeso e taglio la gola alla ragazza, ponendo fine alle sue sofferenze. Nei suoi occhi vedo finalmente la pace, e la gratitudine, prima che diventino vitrei.
L’arma mi scivola di mano proprio mentre il cannone spara un colpo, segnalando la fine della giovane vita di quella ragazza. Cado a terra anche io, accasciandomi inerte e rendendomi conto solo in quel momento che la vita gliel’avevo sottratta io. Mi chiedo come vivesse prima della Mietitura. C’era qualcuno a casa ad aspettarla? Un padre? Un padre? Dei fratelli? Un fidanzato magari? Mi domando come mi sentirei se Finnick fosse al posto di quella ragazza, e se io fossi a casa a d aspettarlo, invano. Probabilmente, andrei da lui. Mi toglierei la vita, per poter stare con lui.
Arriva l’hovercraft a riprendersi il corpo e sento il suono terribile della carne che si lacera sotto l’attrazione del braccio meccanico. Mi premo le mani sulle orecchie per non sentire e vomito quel poco cibo che avevo ancora nello stomaco. Non so quanto tempo passo lì distesa a fissare il cielo, aspettando. Aspettando la morte. Aspettando un tributo con un coltello e nessuna pietà. Aspettando un perdono, che non sarebbe mai arrivato. Aspettando un segno, che invece arriva, sottoforma di un paracadute. Slego lentamente le corde che tengono stretto il dono e libero una pagnotta del mio Distretto. Sa di casa, sa di tranquillità, sa di speranza. Insieme ad essa, libero anche un bigliettino, che mi affretto a nascondere sotto un lembo del paracadute. E’ vietato comunicare con i tributi mentre sono nell’arena. Così faccio finta di essere intenta a tagliare un pezzo di pane, mentre sbircio il bigliettino.
Una nostra tradizione. Ricordati di casa. Non mollare, Annie.
F.

Sento le lacrime salirmi agli occhi, mentre leggo quelle poche parole. Nel nostro Distretto, regalare del pane significa regalare speranza, perché il pane è fondamentale per noi: si crea con gli elementi che regolano la nostra sopravvivenza, l’acqua e il sale. Come il pesce è basilare noi. Mi asciugo gli occhi e quando rialzo lo sguardo so che ciò che leggeranno nei miei occhi gli spettatori di tutta Panem sarà una determinazione sconfinata. Perché ho deciso. Proverò a vincere per Finnick. Tornerò per quel bacio che mi ha promesso.
 
 
 
 
 
 
 
 
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Ciao a tutti :3
Allora, spero che il capitolo vi sia piaciuto! Volevo avvertirvi che non aggiornerò sempre così in fretta, anche se la fan fiction è già completa. Ho postato subito questo primo capitolo perché solo il prologo mi sembrava abbastanza inconsistente.
Ah, l’accenno del pane che Finnick regala ad Annie l’ho voluto inserire per spiegare un po’ l’ossessione che Finnick aveva durante “La ragazza in fiamme”: infatti quando nell’arena ricevevano del pane Finnick si affrettava subito a contare le pagnotte.
A presto, Lily.

 

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Capitolo 3
*** La trappola ***


 
Capitolo 2
La trappola
 



 
Dopo essermi ripresa, aver mangiato qualche fetta di pane e una delle lattine di cibo, mi rimetto in marcia, evitando di guardare le pozze di sangue rappreso accanto a me. Dalla posizione del sole, deduco sia metà mattina, così mi metto in cammino alla ricerca di acqua. Dopo poche miglia però, mi rendo conto che il labirinto ha cominciato a farsi più opprimente, le parenti m’incombono addosso, come se mi volessero schiacciare. Mi affretto a tornare sui miei passi, ma la sensazione persiste, e quando mi volto a guardare indietro capisco che non è solo una sensazione: le pareti di siepe si sono davvero richiuse su loro stesse, bloccando per sempre quel passaggio, e costringendomi a una veloce ritirata, prima che mi schiaccino tra di loro.
Corro a perdifiato cercando di stare lontana da quella trappola, i vari arbusti che si staccano dalla siepe creano un letto d’insidie ed io inciampo continuamente, fino a quando non riesco più ad alzarmi. Cerco di continuare ad avanzare carponi, quando mi rendo finalmente conto che l’avanzare apparentemente inarrestabile della siepe si è fermato, e io scoppio in un risolino liberatorio, mentre mi accascio cercando di riprendere fiato. Finché non lo sento. L’avanzare dei passi, i respiri eccitati.
“Ci siamo! Ne abbiamo scovato un altro!” sento gridare, da un punto indefinito affianco a me. Devono essere nella via accanto alla mia. Così mi alzo e comincio a correre, imboccando vie sconosciute. Li sento avanzare, sempre più eccitati dall’idea di uccidere. Il terreno si fa sempre più instabile, finché non capisco di essere finita dritta in una specie di pantano. Una voce nella mia testa mi suggerisce la risposta “sabbie mobili”. Qualcosa d’imparato da un’Edizione precedente, zone di terra che cedono sotto il peso del corpo e t’intrappolano per sempre nelle viscere della Terra. Cerco di correre, ma sto affondando sempre più velocemente. La terra mi avvolge fino quasi alla vita quando li sento arrivare.
“E’ la ragazza del Distretto 4!” esclama quella dell’ 1, Cordelia mi pare di ricordare.
“Non per molto ormai” replica il tizio del Distretto 2, di cui non ricordo nemmeno il volto, figurarsi il nome. Ora che lo vedo, è un ragazzo dai capelli chiari, con occhi scuri e una bocca troppo grande, sproporzionata. Quando scoppia a ridere si fa ancora più grande. “Pare che abbia trovato il modo di morire da sola, vero, ragazzina?” mi domanda beffardo e io lo fisso bellicosa, ma ormai la terra mi arriva quasi alle spalle, e non ha senso continuare ad illudersi. “Volete darmi il colpo di grazia?” domando con voce ferma, che mi sorprende dato che in realtà me la sto facendo sotto.
“Visto che ti sei impegnata così tanto credo che ti lasceremo fare da sola, vero ragazzi?” domanda retorico lui, suscitando l’assenso generale. “Ma magari è meglio darti un aiutino.” E così dicendo mi si avvicina quel tanto che basta perché io sia a portata di tiro e mi squarcia il braccio all’altezza della spalla. Un urlo mi risale dalla gola, mentre sento gli occhi farsi umidi per via del dolore. I Favoriti ridono vedendomi in quello stato  e lanciandomi un ultimo sorrisetto beffardo, il Tributo si volta e se ne va, con gli altri ragazzi che lo seguono fedelmente. Ora che se ne sono andati posso lasciarmi andare al panico. Mi dibatto, cercando di liberarmi, ma sembro peggiorare ancora di più le cose, così alla fine mi limito a stare ferma, aspettando di venire sepolta del tutto. Il dolore al braccio è inconcepibile, e con una occhiata noto che la ferita è parecchio profonda e sta perdendo molto sangue. M’impongo di non urlare, ma una serie di gemiti disperati mi risalgono dal petto.
Quando la terra mi arriva quasi al naso, una voce mi risuona nella testa “Non mollare, Annie.” E’ Finnick. Mi sono ripromessa di vincere per lui. E non mi arrenderò così. Cerco di arrivare fino alla siepe accanto alle sabbie mobili, ma più mi muovo e più affondo. Provo persino ad arrivare alla corda che tengo nello zaino a portata di mano, ma il dolore è insopportabile. E quando penso che sia davvero giunta la mia ora, noto una cosa strana: il processo che faceva sì che la siepe si richiudesse su se stessa è ricominciato. Così faccio leva, libero le braccia dalla terra e mi aggrappo disperatamente agli arbusti. Il braccio ferito urla di dolore, ma mi impongo di continuare a tirare. Poi rotolo su un fianco, fino ad arrivare a quello che credo sia il bordo delle sabbie mobili in cui sono finita, e mi trascino fuori. Ansimo per la fatica e la paura, ma sono ancora viva e questo è l’importante. Raduno le mie cose con il braccio sano, mi ripulisco alla bell’è meglio dalla terra con il fondo della borraccia e mi tiro a sedere. Non c’è tempo di piangersi addosso. Questa notte arriveranno gli incubi, e sognerò di essere di nuovo lì, sul punto di soffocare, ma ora devo andare avanti. Per papà. Per Finnick.
I Favoriti si saranno sicuramente accorti che non sono morta, dato che nessun cannone ha suonato per decretarlo, ma non credo che si prenderanno il disturbo di tornare a controllare. L’arena è grande, siamo ancora in undici, e prima o poi verrà ancora il momento di scontrarci. Così mi prendo tutto il tempo per esaminare la ferita, che sanguina copiosamente inzuppandomi la giacca. Me la sfilo, insieme alla maglietta e scosto la spallina della canottiera per scoprire la ferita. Non è molto larga, ma è molto profonda. Estraggo il kit di pronto soccorso dallo zaino, e verso il disinfettante il più velocemente possibile. Il bruciore è quasi insopportabile, e altre lacrime mi salgono agli occhi, ma ancora una  volta m’impongo di non urlare, in modo da non segnalare ad altri eventuali Tributi la mia posizione. Sono troppo debole adesso per uno scontro. La ferita continua a sanguinare, così la fascio alla bell’è meglio con le bende del kit e prendo una pastiglia contro il dolore.
Mi lascio ricadere a terra, sfinita. Chiudo gli occhi per qualche secondo, immaginando di essere in un altro posto. Incrocio persino le dita, come facevo da piccola per far si che i miei desideri si avverassero. Ma quando riapro gli occhi sono ancora qui, nell’arena, con ogni sorta di pericolo ad incombermi addosso. Con quell’incentivo, mi rialzo e mi rivesto il più velocemente possibile. Il mio obiettivo adesso è trovare dell’acqua, quindi devo mettermi in marcia se voglio riuscirci prima che cali la sera.
Mentre cammino mi guardo intorno facendo più attenzione a dove metto i piedi e a ciò che mi circonda, con l’immagine della ragazza del Distretto 2 intrappolata da quei ganci che mi danza davanti agli occhi. Cammino a lungo, finché non cala la sera, ma di acqua non c’è traccia. Mi fermo parecchie volte a riposare. Ho il fiato corto, dal dolore, dalla sete che sto cercando di combattere e dalla paura. Ad ogni minimo rumore alzo la lancia e mi preparo a combattere.
Al crepuscolo, mi fermo ancora una volta a riposare. Tiro alcune pietre che ho trovato per terra contro la siepe per far scattare eventuali trappole, ma mi sembra tutto tranquillo, così scavo la mia tana e mi ci ficco dentro esausta. Scuoto la borraccia nella speranza che ci sia ancora qualche goccia d’acqua, ma invano e faccio un rapido calcolo delle lattine di cibo che mi restano. Tre in tutto. Anche mangiandone metà al giorno non resisterei a lungo. Mi resta ancora metà pagnotta in aggiunta a quelle scorte, ma anche così è davvero poco. Una cosa che mi stupisce dell’arena è che non ci sono animali. Niente uccelli, né conigli né selvaggina in genere. Figurarsi dei pesci. Non c’è nemmeno l’acqua. Quindi i Tributi che sono fuggiti dal bagno di sangue senza nessuna provvista devono trovarsi davvero nei pasticci.
Svolgo le bende ormai impregnate di sangue e faccio una smorfia alla vista della ferita. E’ peggiorata seriamente nonostante l’abbia disinfettata due volte. La pelle attorno alla ferita è gonfia e lucida, e ciò mi fa pensare ad una infezione. Non vedo pus, ma in fin dei conti l’ho disinfettata, quindi forse è solamente per lo sforzo. Poi però, guardando meglio, vedo che all’interno la ferita è sporca: vedo una specie di sassolino, probabilmente un grumo di terra. Sospiro. So che se non la ripulisco in fretta rischio di rimetterci il braccio per un’infezione. Friziono ancora del disinfettante sperando che basti per far uscire la terra dalla ferita, ma non ottengo nessun risultato. Il dolore è quasi insopportabile. Sono madida di sudore, e sto ansimando. Probabilmente ora sono in diretta tv su ogni schermo di Panem. Penso a Finnick. Mi sta guardando, in questo momento? Si starà preoccupando per me?
La risposta mi plana dolcemente accanto, in un piccolo paracadute. Lo svolgo al massimo della velocità e ne cadono un tubetto grigio di pomata e un bigliettino.
Spalmala abbondantemente. Calmerà l’infezione. E cerca di pulire la ferita molto bene.
Io credo in te.
F.

Quelle parole mi danno un po’ di conforto, finché non mi rendo conto che l’unica soluzione possibile è anche la più terribile. Qualcosa che ho visto fare in un’Edizione precedente, e che aveva salvato la vita ad un Tributo con una ferita peggiore di questa.
Estraggo un paio di fiammiferi dalla loro scatola e li accendo, fiduciosa che il rosso sangue del tramonto li nasconderà al resto dell’arena. Scaldo la punta del coltello finché non comincia ad assumere una leggera sfumatura arancione. Poi conto fino a tre, cercando di calmare il respiro, cercando di trovare un luogo tranquillo in cui rifugiarmi. Penso a casa, al ruscello pieno di trote che scorre dietro casa nostra. Penso all’erba fresca che mi accarezza i piedi. Penso al rumore del mare quando s’infrange contro gli scogli. Penso a Finnick.
Abbasso la lama in fretta, lasciandomi scappare un urlo di dolore per poi mordermi subito le labbra a sangue per impedirmi di continuare. La mano mi trema talmente forte che penso potrei anche tagliarmi un braccio involontariamente. Armeggio un po’ nella ferita, mentre il dolore si fa allucinante, e io sudo a secchiate piangendo e agitandomi. Alla fine estraggo la lama dalla ferita. Il coltello mi cade di mano. Gemo, mentre rivoli di sangue mi imbrattano la canottiera. Esamino la ferita alla ricerca di qualche residuo di terra, anche se so che non avrei il coraggio di ripetere l’operazione, ma fortunatamente non ne trovo. Poi ritrovo un minimo di controllo, asciugo alla bell’è meglio il sangue e spalmo la pomata. Il sollievo è immediato e inatteso, tanto da farmi scappare un risolino. Bendo la ferita, che appare molto più gestibile ora. Poi mi lascio ricadere all’indietro, sfinita. Mi rannicchio nella coperta, e osservo il resoconto serale delle morti. Il volto della ragazza del Distretto 2 appare in cielo ma m’impongo di non pensare alla sua morte. Per essere solo il secondo giorno, il pubblico di Panem può dirsi più che soddisfatto: un morto, un ferito, scampato alla morte per un pelo, e la promessa di molte altre vittime.
Le probabilità di una mia vittoria sono ancora a dei livelli deprimenti, ma per lo meno sono ancora viva. Un po’ ammaccata, ma niente d’ingestibile.
Mi ritrovo a pensare a Brandon, il ragazzo del mio Distretto. Chissà come se la sta cavando lui? Ovviamente è scampato al bagno di sangue, e penso anche con delle provviste. Ma come mai non si è unito ai Favoriti? Aveva tutte le possibilità per farlo. Ripenso a come Finnick era freddo con lui, durante l’addestramento. Non penso che avesse proprio in simpatia i Tributi Volontari del nostro Distretto. Lui non lo è stato, e penso che nemmeno io morirei dalla voglia di vedere ogni anno ragazzi che si fanno avanti spontaneamente per qualcosa di così terribile come gli Hunger Games.
Mi guardo attorno cercando di trovare un po’ di conforto che mi faccia andare avanti. Ma tutto ciò che vedo è solo un’arena piena zeppa di crudeli strumenti di tortura ideati per il divertimento degli abitanti di Capitol City. E improvvisamente il labirinto, la siepe tutto mi appare per ciò che è realmente: una trappola. Una trappola crudele e spietata, mirata a farti provare dolore, ma soprattutto a farti diventare matta.
Mi rigiro inquieta pensando a ciò che potrebbe aspettarmi. Orribili ibridi? Imboscate mortali? Improvvisamente gli altri Tributi diventano la cosa che temo di meno qui nell’arena.
Mi stringo di più nella coperta e chiudo gli occhi in attesa del sonno. So che ci saranno incubi orribili a tormentarmi, stanotte. Ma il profumo del pane, il profumo di casa, le parole di Finnick che tengo strette al cuore e la calda promessa di qualcosa di migliore, mi faranno andare avanti. Mi pare quasi di vederlo, il mio mentore, mentre mi regala un sorriso, un vero sorriso, non quella smorfia sexy che ostenta sempre. E accanto a lui vedo mio padre, con le braccia spalancate, un caldo invito. E ora sono quasi grata alla sete e al dolore che mi permettono di vederli.
 

 
 
 
 





 

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Capitolo 4
*** Alleati ***


Capitolo 3
Alleati
 







Una fastidiosa sensazione mi accoglie il mattino dopo. C’è qualcosa che mi sgocciola sulla faccia, qualcosa di freddo e bagnato. Bagnato. Apro gli occhi di scatto, e una grossa goccia d’acqua mi plana sulle labbra. Apro la bocca e mi lecco le labbra avidamente. Poi, striscio fuori dal mio rifugio e scoppio in una risata liberatoria. Sta piovendo. Anzi, no, sta letteralmente diluviando.
Grosse gocce cadono a terra con dei sonori schiocchi ed io mi ritrovo con le braccia e la bocca spalancate, ignorando il dolore e curandomi solamente dell’acqua fresca che mi scivola giù per la gola.
Parecchi minuti dopo, una volta che mi sono dissetata completamente, striscio di nuovo nel rifugio e recupero la borraccia che incastro strategicamente in modo che si riempia, mentre io mi tolgo gli abiti sporchi di terra e impregnati di sudore, rimanendo in biancheria, e mi pettino i capelli fradici con le mani. Ripulisco gli abiti meglio che posso e poi mi rintano di nuovo nel mio rifugio. Oggi non offrirò alcun spettacolo a quelli di Capitol City. Ho tutte le intenzioni di rimanere tutto il giorno rintanata sotto la siepe, osservando la pioggia cadere, ascoltando il rombo dei tuoni e provando a pensare positivo per la prima volta qui nell’arena.
La pioggia è la cosa migliore che mi sia capitata da quando sono qui, probabilmente. O per lo meno, se la contende con il primo dono che mi è stato recapitato da Finnick.
Cerco di tenermi occupata tentando di creare dei recipienti con gli arbusti della siepe. Durante l’addestramento Finnick mi aveva mostrato come intrecciare l’erba per creare delle ciotole, in aggiunta ai pochi nodi che avevo imparato a fabbricare a casa. Provo a riprodurre uno di quei recipienti, ma il risultato è deludente, così mi limito a lavare le lattine che contenevano il cibo e che fortunatamente ho portato con me, e a riempirle d’acqua. Il loro coperchio era a pressione, così le richiudo con quelli.
Verso metà mattina smette di piovere, e lungo la via del mio rifugio si è creato un vero e proprio pantano. Se non voglio rimanere intrappolata dal fango, è meglio che mi rimetta in marcia. Mi rivesto, con i vestiti semi asciutti e decido di mettermi alla ricerca del cibo. Non credo proprio infatti che gli Strateghi decidano di farci piovere bistecche dal cielo, così mi toccherà arrangiarmi.
Cammino a lungo, leggermente più rilassata di ieri ma sempre in guardia. Lancio sassolini di fronte a me, per far scattare eventuali trappole, e anche sulle pareti di siepi. Ma non accade mai nulla. Probabilmente, sono gli Strateghi a decidere se far scattare o meno le trappole. E di certo non le sprecano per dei sassi.
Quando sta per calare la sera, realizzo che non troverò mai del cibo. A meno che io non voglia avventurarmi alla Cornucopia, ma i Favoriti l’avranno sicuramente scelta come loro base, e non ci tengo proprio ad avere un altro incontro ravvicinato con loro.
Così gironzolo ancora un po’ senza una meta, cercando di decidere dove sistemare il mio rifugio, e rimuginando sul da farsi, quando lo vedo. Un bagliore, in lontananza. Mi acquatto veloce tra i cespugli, cercando di passare inosservata. Voglio vedere chi è il genio che accende un fuoco quando sta calando la notte.
Quando mi avvicino abbastanza, capisco che è un ragazzo. Sta facendo scaldare qualcosa sul tiepido fuocherello che è riuscito ad ottenere e a quanto pare non ha alcuna paura degli eventuali pericoli che comporterebbero una fuga veloce, dato che tutte le sue cose sono sparpagliate attorno a lui, senza un ordine preciso. Se ne sta seduto a gambe incrociate, la testa incassata nelle larghe spalle.
Mi avvicino ancora un poco, e vedo che sta facendo scaldare una specie di zuppa di fagioli, ancora nella sua scatola. Penso all’unica lattina di cibo che mi è rimasta, e al tozzo di pane ormai raffermo, e decido di agire. Non c’è spazio per la compassione nell’arena.
Mi avvicino a lui silenziosamente finché non è a portata di tiro e gli punto la lancia contro la schiena, abbastanza perché ne senta la pressione sulla pelle.
“Non muoverti oppure ti trapasso da parte a parte. Dammi il tuo cibo e potrei anche pensare di risparmiarti la vita, per ora.” Dico cercando di sembrare il più minacciosa possibile.
“Annie?” replica il Tributo, e, in effetti, sono un po’ stizzita, perché avrebbe dovuto mettersi a tremare implorandomi di non ucciderlo. Evidentemente non sono un granché con le minacce. Ma per lo meno ho capito chi è il Tributo tanto stupido da segnalare a chiunque la sua posizione accendendo un fuoco. L’unico che non deve temere i Favoriti, essendone uno lui stesso.
“Brandon?” replico allora, mentre lui si volta a guardarmi. Ha gli occhi chiari tipici del nostro Distretto, e i capelli biondi che gli conferiscono un’aria fin troppo angelica. Lui di angelico non ha un bel niente. Occhieggio la spada che tiene accanto a se e che ha un’aria davvero letale e improvvisamente mi sento un po’ ridicola con la mia misera lancia.
“Sapevo che te la saresti cavata. Mi sei sembrata un tipo sveglio fin da subito.” Dice Brandon squadrandomi da capo a piedi e io sono presa un po’ in contro piede. Sì è per caso dimenticato che stiamo partecipando agli Hunger Games e si suppone che dovemmo combattere tra noi, invece che stare a discutere del tempo? Non mi premuro di fornirgli una risposta, così lui si rimette ad armeggiare con il suo fuoco, ed io sposto il peso da un piede all’altro, a disagio. Che dovrei fare ora? Ucciderlo? Non mi sembra molto corretto. Lo so che non dovrei farmi questo tipo di scrupoli, che ci può essere un solo vincitore, ma dopo tutto viene dal mio stesso Distretto e ucciderlo mi sembrerebbe una carognata. Non che mi sia mai stato troppo simpatico, però.
“Sei a corto di cibo?” domanda lui a un certo punto, e io annuisco.
“Mi sorprende visto la tua partenza lampo verso la Cornucopia, l’altro giorno. Pensavo che ti fossi rifornita per bene. Io ero ancora sulla mia piattaforma quando tu eri già corsa via. Ho dovuto faticare un bel po’ per procurarmi tutto questo.” Dice lui indicando con  un gesto circolare della mano i due zaini sicuramente carichi di provviste e le armi. Non ho bisogno che definisca esplicitamente il termine “faticare”. Probabilmente metà dei Tributi caduti nel bagno di sangue sono stati uccisi per mano sua. Lo aggiro circospetta, ponendomi di fronte a lui. “Lo sai che stai praticamente sventolando ai quattro venti la tua posizione?”  me ne esco alla fine.
“Fredda è veramente disgustosa questa roba.” Replica lui sfacciatamente.
“Dovrei ucciderti.” Sbotto stizzita.
“Allora perché non lo fai?”
Esito, cercando una risposta. Già, perché non lo faccio? Piantargli la lancia nella gola sarebbe così facile ora. Non farebbe nemmeno in tempo ad avvicinarsi alla sua spada. Allora perché non mi muovo? Forse perché ho bisogno di lui vivo.
“Saresti più utile da vivo che da morto.” Dico infine, abbassando la lancia.
Lui mi lancia un sorrisetto di trionfo “Alleati?”
“Ho paura di sì.” Concludo, sedendomi accanto al fuoco, dalla parte opposta rispetto a lui. Mi sfilo lo zaino dalle spalle, facendomi sfuggire una smorfia quando la cinghia dello zaino sfiora le bende che coprono la ferita. La cosa non sembra sfuggire a Brandon che chiede subito: “Come te lo sei fatto quello?”
“I Favoriti. Sono caduta in una trappola – delle sabbie mobili – e loro mi hanno sorpresa mentre cercavo di uscirne.” Spiego mentre svolgo delicatamente le bende: è molto migliorata rispetto a ieri, ma la pelle resta gonfia vicino alla parte lesa. Spalmo un altro strato di pomata e rifaccio la fasciatura.
“Un regalino di Finnick?” chiede Brandon indicando la pomata. Io annuisco seccamente senza approfondire l’argomento. Non mi va di parlare di Finnick con lui.
“A me non ha ancora mandato niente. Non che mi serva nulla, ovviamente. Ma non credo che mi manderebbe nulla, anche se ne avessi un disperato bisogno. Non gli sto molto simpatico.” Continua lui imperterrito, mentre apre una seconda lattina di cibo e la piazza sul fuoco a scaldarsi. Mi passa quella già pronta ed io gli sorrido grata. Tutto sommato potrebbe non essere poi una idea tanto malvagia questa dell’alleanza, se significa pancia piena e protezione in più. Anche se ovviamente la cosa non può durare.
“Non dire scemenze. E’ il nostro mentore. E’ il suo compito trovarci sponsor se siamo nei pasticci. Non solo per me. Per entrambi.” Replico ingozzandomi di fagioli e manzo. In effetti ha ragione, caldo è tutta un’altra cosa.
“Sì ma ho la netta sensazione che gli piaccia di gran lunga di più trovare sponsor per te che per me.” mormora Brandon, spegnendo il fuoco.
Io scrollo le spalle imponendomi di non arrossire. Che cosa ridicola. Siamo agli Hunger Games, mica ad un programma sugli affari di cuore.
La nostra conversazione viene interrotta dallo squillo di trombe con cui attacca l’inno di Panem ed entrambi alziamo gli occhi al cielo, in attesa di vedere qualche volto, ma non appare nessuno. Oggi non ci sono state vittime, e questa è una cattiva notizia, perché il pubblico sarà annoiato, e gli Strateghi dovranno fare qualcosa per vivacizzare l’atmosfera. Il silenzio si protrae a lungo, a tal punto che quasi mi dimentico di Brandon. “Come dormi di solito?” chiede facendomi trasalire, e la cosa sembra divertirlo parecchio. Scrollo le spalle, indicando la siepe. “Mi rintano lì sotto”
Lui stringe le labbra contrariato “Non mi sembra proprio comodissimo.”
Io lo fisso schioccata per qualche secondo “Siamo agli Hunger Games, nel caso te lo fossi dimenticato. Non è di certo la fiera della comodità, ma per lo meno siamo ancora vivi.”
Lui sbuffa infastidito “Preferirei essere vivo e comodo.” Io scuoto la testa allibita. Evidentemente è una sua strategia apparire così rilassato e sicuro di se, ma sinceramente non la riesco a comprendere. Raccolgo il mio zaino, e mi preparo a scavare la mia solita tana, quando Brandon mi ferma “Lascia stare. Potremo dormire qui entrambi, tanto ora possiamo fare dei turni di guardia. Io faccio il primo. Ti sveglio tra quattro ore.” E detto questo si sistema appoggiando le spalle alla siepe, la spada a portata di mano. Io valuto l’idea di strisciare lo stesso sotto la siepe, giusto per stare tranquilli, ma alla fine decido di fidarmi di lui. Dopo tutto se avesse voluto uccidermi avrebbe già potuto farlo ampiamente. Così mi avvolgo nella coperta e poggio la testa sullo zaino, cercando di prendere sonno. Per qualche ragione sono inquieta riguardo a questa alleanza. So che non può durare a lungo, quindi sarebbe meglio farla finita subito e piantargli la lancia nel petto. Ma ormai siamo rimasti in dieci, e siamo nell’arena da meno di una settimana. Stiamo morendo fin troppo velocemente per i miei gusti, quindi un paio di occhi in più non guasteranno di certo. Decido che resterò con lui fino a che non rimarremo in quattro nell’arena. Sempre che non muoia prima, cosa ancora altamente probabile.
Mi rigiro infastidita, cercando di arginare il flusso di pensieri che mi affollano la mente. Non voglio pensare a casa. Non voglio pensare a Finnick. Più ci penso e più la nostalgia cresce, e non mi va stare a piangermi addosso. Voglio cercare di uscire da qui, possibilmente non in una cassa da morto.
Mi giro verso Brandon, e vedo che sta fissando un punto indefinito sopra la siepe. Chissà a cosa starà pensando. Forse anche lui ha qualcosa a cui aggrapparsi per non scivolare definitivamente verso la pazzia. Forse anche lui ha qualcuno che lo aspetta, a casa.
“Dovresti dormire.” Dice improvvisamente, facendomi sobbalzare. Non si volta nemmeno verso di me, ma io lo vedo comunque chiaramente sogghignare per la mia reazione. Sbuffo infastidita. Quel ragazzo mi sta veramente facendo saltare i nervi. Credo che stia prendendo un po’ troppo sottogamba la situazione, e riesco a comprendere in pieno il giudizio glaciale di Finnick sui Volontari. Spacconi.
“Perché ti sei offerto alla Mietitura?” chiedo, conscia che comunque non riuscirei a prendere sonno. Troppa tensione.
Brandon tace a lungo, e io penso che si sia sentito offeso dalla domanda. “Scusami, non volevo essere indiscreta.”
“Per via di mio fratello.” Risponde lui, voltandosi verso di me. Ha i capelli scompigliati e un graffio sullo zigomo destro che non avevo notato prima, ma gli occhi sono vigili e attenti, di un azzurro chiarissimo. Taccio aspettando che continui.
“Joshua partecipò agli Hunger Games, due Edizioni dopo quella di Finnick.” Spiega Brandon tornando a fissare la siepe. La risposta mi sconvolge. Ricordo bene quell’Edizione, perché era la prima volta in cui il mio nome compariva nella boccia di cristallo, pronto per il sorteggio. Ero molto agitata per questo, così mio padre la mattina presto, prima della Mietitura, mi portò a pescare al mare, sulla piccola scogliera vicino a casa nostra. Un posto tranquillo e felice nella mia mente, dove gli orrori di Capitol City non potevano arrivare. Quando venne il momento di recarsi in piazza, ero pervasa da una pace e una calma che mai avrei immaginato di provare in un giorno del genere. Ovviamente non scelsero me, ma prestai comunque molta attenzione a chi venne sorteggiato: Minnow Grey e Joshua Seaworth. E nessuno dei due venne incoronato vincitore.
“Mi dispiace, Brandon.” Mormoro. Lui fa un mezzo sorriso nella mia direzione, prima di continuare a raccontare. “Era stato addestrato tutta la vita a quel momento. Sapeva a cosa andava in contro. Si offrì volontario apposta, era sicuro di tornare a casa da vincitore. Quando morì i miei genitori rimasero scioccati, e iniziarono ad addestrare me. Volevano riscattare il nome della nostra famiglia, volevano che io vincessi gli Hunger Games, in modo da poter tornare ad essere fieri dei loro figli. Così mi offrì volontario. E ora eccomi qui.” Conclude Brandon. “Ma ovviamente un’altra ragione è che volevo assolutamente provare la zuppa di fagioli, specialità dell’arena.” Io scoppio a ridere e anche lui accenna un sorriso. Ora che conosco tutta la storia lo vedo sotto una luce diversa: non è più lo spaccone che credevo che fosse, ma un ragazzo costretto dai suoi genitori ad offrirsi volontario per uccidere, o nel peggiore dei casi, farsi uccidere. Mi ritrovo a pensare che anche Finnick lo rivaluti dopo queste parole, così che nel caso si dovesse trovare il pericolo dopo che ci saremo lasciati, potrà ricevere aiuto da lui.
“Scusami.” Sussurro, sperando che non mi senta, ma mi sentivo in dovere di dirglielo.
“Per cosa?” chiede lui.
“Per averti giudicato male.” Lo sento ridacchiare, mentre le palpebre mi si chiudono, e scivolo nel sonno.
Sogno. Sono a casa, nel Distretto 4, e sto spingendo un masso enorme sulla scogliera vicino a casa. Mio padre mi sta urlando contro, spronandomi a continuare a spingere, ed io ci sto provando con tutte le mie forze, ma il masso non si muove. E improvvisamente mi rendo conto di che cosa è fatto il macigno: le ossa dei Tributi morti sono state incastrate tra loro e brandelli di carne in putrefazione sono ancora attaccati qua e la. D’istinto ritraggo le mani, ma mio padre mi sprona a continuare a spingere, e improvvisamente con me c’è anche Brandon, che spinge anche lui con tutte le sue forze. Accanto a noi appare all’improvviso Finnick, in lacrime, che m’implora di smetterla, di tornare da lui ed io vorrei correre da lui, ma sono costretta a continuare a spingere.
Mi sveglio di soprassalto, urlando, coperta di sudore freddo. Accanto a me, Brandon mi scuote leggermente una spalla. “Ehi, va tutto bene?” chiede con le sopracciglia inarcate. Io annuisco. “Solo un brutto sogno.” Spiego mettendomi a sedere. E’ ancora notte, devono essere circa le due, e le occhiaie che cerchiano gli occhi del mio alleato mi confermano che il suo turno di guardia è finito e che tocca a lui riposare. Così mi trascino fino alla siepe, appoggiandomi ad essa, ancora avvolta nella coperta. Flashback del mio incubo continuano ad affollarmi la mente, e più cerco di scacciarli, più tornano a tormentarmi.
Mi concedo di pensare a Finnick, e l’immagine di lui in lacrime mi torna in mente. Chissà cosa starà facendo ora. Chissà se sente la mia mancanza come la sento io, o se semplicemente ha smesso di preoccuparsi per me ora che sono insieme a Brandon e ho più protezione.
Sto seduta a lungo fissando la siepe di fronte a me, senza muovermi, senza pensare, cercando solo di accedere a quel luogo sicuro nella mia mente, fatto della scogliera accanto a casa, del rumore del mare, dell’odore del sale, delle urla del mercato la domenica mattina, dei libri consumati dal tempo nella mia stanza, di Finnick. Del suo sorriso, dei suoi occhi, del suo tono di voce, della sua bontà, della sua forza.
E all’improvviso lo vedo. Anzi, lo sento. Mi sta chiamando, un urlo lontano, disperato, primitivo. Mi agito, cercandolo nell’oscurità. Non è un sogno, sono sveglia e lucida, non è nemmeno un’allucinazione. Lui è qui, ed è in pericolo. Cerco a tentoni la mia lancia nel buio, e mi precipito verso destra, da dove mi sembra provenga la sua voce. “Finnick! Finnick, dove sei?!” sto urlando, mentre corro a perdifiato verso di lui. “FINNICK!” strillo ancora, pregando di ottenere una risposta, ma tutto quello che ottengo sono urla disperate, lamenti che solo delle atroci torture gli potrebbero strappare. E all’improvviso mi sento strattonare nel buio. Cerco di liberami, mi dibatto graffiando e tirando pugni e calci, ma il mio assalitore non molla la presa. “Lasciami! Lasciami!” urlo, talmente forte ma farmi venire il mal di testa.
“Annie, smettila! Calmati, sono io, Brandon! Non ti agitare.” Dice il mio assalitore, ed io smetto di dibattermi. “Lasciami, ti prego.” Mormoro tra le lacrime che nemmeno mi ero accorta di aver cominciato a versare. “Va bene, ma tu calmati.” Replica Brandon allentando la stretta con cui mi tirava a se, e rimettendomi a terra. Appena poggio i piedi a terra ricomincio a correre ma non faccio molta strada, poiché Brandon mi riacciuffa. “Devi lasciarmi andare! Non lo senti? Lui è in pericolo! Devo aiutarlo, Brandon!” strillo cercando di liberarmi.
“Annie, smettila, Finnick non è in pericolo! Non può esserlo, è solamente un trucco. Non possono averlo fatto entrare nell’arena.” Dice Brandon cercando di calmarmi, ma io mi accuccio a terra e mi premo forte le mani sulle orecchie, tanto che quando il mio alleato mi costringe a toglierle sento solo un fischio acuto per qualche istante. “Annie, va tutto bene. Lui non è in pericolo. E’ solamente un trucco.” Continua a ripetermi, tenendomi stretta perché non mi venga in mente di scappare. “Torniamo indietro, abbiamo lasciato tutte le nostre cose li.” Mi prende per mano e mi fa alzare, come se fossi una bambina di tre anni. Cerco di camminare per un po’, ma le grida continuano e si fanno perfino più vicino, tanto che tento di raggiungerle un paio di volte. Alla fine, Brandon mi prende in braccio di peso e mi trascina fino alle nostre cose. Proprio non mi spiego perché si stia prendendo tutto questo disturbo per me, va bene che siamo alleati, ma questi sono pur sempre gli Hunger Games e ci può essere un solo vincitore.
Quando finalmente raggiungiamo il nostro accampamento improvvisato, alle urla di Finnick se ne aggiungono altre, di un tipo diverso. Sono acute, femminili e strillano il nome di Brandon. Le sue braccia si stringono istintivamente attorno a me, mentre i suoi occhi cambiano: le pupille si dilatano dal terrore, e i suoi occhi si spalancano.
“Brandon, non è davvero lei.” Gli ricordo flebilmente, anche se segretamente spero che ora che c’è in ballo anche una persona a cui tiene lui si decida ad andare a vedere che succede. Ma Brandon annuisce seccamente e mi deposita a terra. Vedo che le mani gli tremano e anche la voce, quando dice “Hai ragione non è davvero lei. Non è lei.” Poi prende una corda dallo zaino e me la fa passare attorno alle braccia stringendomele saldamente ai fianchi. Ancora una volta mi agito, strillando improperi, ma lui continua imperterrito a legarmi. Fa passare la corda anche attorno a se e mi ordina di legarlo. “Così non ci verrà in mente di andare da nessuna parte.” Spiega, mentre si torce le mani tra di loro. Io mi limito a premermi ancora le mani sulle orecchie, per non sentire quelle urla atroci, che si fanno sempre più vicine.
 
 

 

 
 
 

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Capitolo 5
*** Gli ibridi ***


Capitolo 4
Gli ibridi
 
 
E’ la notte più lunga della mia vita.
Le urla non cessano e anzi si fanno sempre più insistenti. Brandon accanto a me trema incontrollabilmente, e ogni tanto ripete il nome della ragazza che sta urlando, Sarah. Dal canto mio, mi limito a farmi sempre più piccola, mordendomi le nocche delle mani a sangue per non urlare, e tappandomi le orecchie per non sentire. Mi sorprende che gli altri Tributi non approfittino della situazione per attaccarci, ma mi rendo conto che in lontananza si sentono altre grida. E’ probabile che ogni singolo Tributo in questa arena stia passando la mia stessa notte d’inferno, sentendo urlare le persone che amano. Sentiamo due colpi di cannone in rapida successione, e questo induce Brandon a stringere di più i nomi della coda che ci lega, e a tenere strette le armi. Qualunque cosa produca queste urla, è decisamente letale.
Verso l’alba arrivano. Li vedo arrivare dal fondo della nostra via, due sagome spettrali che fluttuano nella tenue luce del giorno in arrivo. Tiro una manica a Brandon per attirare la sua attenzione su di loro. Finnick si trascina lentamente verso di me. E’ pallido come un cadavere, e sta piangendo. Ha un lungo squarcio sul petto, che sta sanguinando copiosamente e un altro sul braccio, identico a quello che ho io. Sento Brandon irrigidirsi accanto a me, segno che anche lui sta vedendo lo stesso spettacolo raccapricciante. Sposto lo sguardo sulla sagoma accanto a quella di Finnick. E’ una bambina, con lunghi capelli biondi e un delizioso abitino di pizzo. Sembrerebbe un angelo, se non fosse per l’orribile squarcio che le sfregia irrimediabilmente il volto.
Ma la cosa peggiore, e che sento la voce disperata di Finnick nella mia testa. “Annie, perché non sei venuta ad aiutarmi? Io contavo su di te, e tu mi hai abbandonato a loro. Annie, io ti amavo. Come hai potuto farmi questo?” Mi pianto le unghie nelle guancie ma il dolore che provo non è niente in confronto a quello che sento dentro di me. Sento Brandon afferrarmi la mano e stringerla forte. “Non ascoltarlo, Annie. Non devi ascoltarlo. Non è realmente lui, e lei non è realmente Sarah.” Mormora stringendomi a se. Io scuoto la testa, piangendo e singhiozzando. Non è vero. Devono avergli fatto qualcosa, è tutto troppo reale per essere una finzione.
Ma poi ripenso agli ibridi che ogni anno Capitol City sguinzaglia contro i Tributi. Sono loro creazioni, che fanno comparire dal nulla grazie a dei computer sofisticati. Ripenso a come si dissolvono quando terminano il loro compito e quando la voce di uno Stratega li richiama a se.
“Sono soltanto ibridi.” Sussurro a Brandon, che annuisce. “Sono soltanto ibridi, e non capiterà nulla di male a Finnick e Sarah.”
E improvvisamente le due sagome svaniscono, lasciandosi dietro solamente cuori straziati e menti confuse. Alzo gli occhi al cielo, osservando il sole che pian piano si fa strada nel buio della notte. Restiamo a lungo rannicchiati l’uno accanto all’altra, cercando di farci forza tra di noi. L’intera arena tace. Dopo una notte del genere, nessuno ha voglia di combattere. Nessuno ha voglia di fare nulla, se non provare a rimettere assieme i pezzi, cercando di fare chiarezza nella propria mente, dandosi spiegazioni che non saranno mai accettate al cento per cento finché non potremo assicurarci noi stessi che i nostri cari sono al sicuro. E solo uno di noi ne avrà la possibilità.
Si preannuncia una giornata nuvolosa, così non so esattamente che ora è quando Brandon si scosta da me, sciogliendo il nostro abbraccio e mettendosi ad armeggiare con i fiammiferi per ottenere un piccolo fuoco. Non avanzo alcuna protesta in merito, perché fa molto freddo e perché capisco anche che è il suo modo per tenersi occupato, per poter dimenticare. Io non ne ho uno, così mi limito a scivolare nell’apatia, lasciandomi andare ad un oblio fatto di urla e sangue e disperazione. Il luogo felice in cui ero riuscita a rifugiarmi stanotte per qualche momento è ormai sigillato e lontano.
Ritorno alla realtà solamente quando Brandon mi appoggia due batuffoli di cotone imbevuti di disinfettante sulle guancie. Faccio una smorfia per via del bruciore mentre lui mi disinfetta i tagli che mi sono procurata stanotte piantandomi le unghie nella carne. “Scusa.” Mormora lui stendendomi un po’ della pomata di Finnick contro le infezioni sulla pelle. Io scuoto la testa in segno di diniego.
“Grazie Brandon.” Sussurro con voce roca per via delle troppe grida.
“E di cosa?” chiede lui aprendo due barattoli di stufato e mettendoli sul fuoco a scaldare.
“Per non avermi permesso di andare da lui stanotte.”
Brandon scrolla le spalle con fare noncurante, ma so quanto gli costi apparire così disinvolto dopo una notte come questa. Mi porge una delle due lattine di stufato ed io comincio a mangiare meccanicamente, senza fare caso a ciò che metto in bocca. “Siamo alleati, no?”
“Sì, ma ci può essere un solo vincitore.”
“Non ti avrei mai lasciata morire così.”
Cala il silenzio, e per un po’ non si sente altro che il rumore delle nostre bocche impegnate a masticare.
Deve essere passato mezzogiorno quando finalmente decidiamo di metterci in marcia. Non possiamo più stare qui, circondati dal ricordo di questa notte, dobbiamo reagire. Così ci mettiamo in marcia, senza uno scopo preciso. Nessuno di noi due lo dice apertamente, ma sappiamo entrambi che non siamo alla ricerca né di acqua né di cibo. Siamo alla ricerca di Tributi da eliminare.
Verso metà pomeriggio ci fermiamo per riprendere fiato. Visto che Brandon ha passato la notte insonne, gli dico di riposare per qualche ora. I cerchi attorno ai suoi occhi hanno assunto una sfumatura violacea, ed io ho bisogno di lui sveglio e reattivo.
“Se per caso senti, o vedi qualche cosa, qualsiasi cosa, svegliami subito.” Brandon si stende accanto a me, avvolgendosi nella coperta fino quasi a scomparire.
Passo le successive sei ore alla ricerca di quel posto sicuro nella mia mente, in modo da potermici rifugiare ancora un po’, ma non lo trovo. Nella mia mente affiorano solamente i ricordi della notte scorsa, il volto disperato di Finnick, la paura nei suoi occhi. Mi accorgo di essermi di nuovo rannicchiata su me stessa, con le mani premute sulle orecchie, anche se non c’è alcun suono esterno che possa turbarmi. E’ all’interno che le grida divampano come fiamme. Le urla di Finnick, di mio padre, della ragazza del Distretto 2, persino della piccola Sarah, mi tormentano ed io non riesco a farle smettere. Mi accorgo di star gemendo solo quando Brandon mi afferra le mani e me le allontana a forza dalle orecchie. “Ehi, ehi, calma, Annie. Va tutto bene, non è successo niente. E’ solamente la tua immaginazione. Andrà tutto bene.” Mi sussurra all’orecchio stringendomi a se. Sto piangendo e cerco di sciogliermi dalla sua stretta, ma è come se le grida si calmassero, si attutissero se lui continua a parlarmi, a dirmi che andrà tutto bene, così alla fine cedo alla sua stretta e mi faccio consolare per un po’. “Non riesco a non pensare a quello che gli possono aver fatto” mugugno. Il pensiero di tutto quel sangue, del dolore sul suo volto, mi fa uscire di testa.
“Annie, non gli hanno fatto nulla. Non possono. E’ uno degli uomini più famosi di Panem, non possono avergli fatto nulla.” Mi rassicura Brandon, ed io mi calmo un po’ a quelle parole. In effetti è vero. Se facessero del male a Finnick Odair l’intera nazione scatenerebbe una rivolta, Capitol City compresa. Ma esistono certe ferite che non lasciano tracce all’esterno.
“Sono sicura che non è successo nulla nemmeno a Sarah. Non possono averle fatto nulla di male.” Sussurro, certa che nemmeno il presidente Snow in persona avrebbe il coraggio di ferire una bambina così piccola e indifesa.
“Lo spero tanto. Non potrei vivere senza la mia sorellina.” Replica lui e finalmente riesco a collocare la piccola Sarah nella vita del mio alleato: una sorella, che conta sul ritorno del fratello che aspetta di vederlo varcare la soglia di casa, da vincitore.
Mi ritrovo a pensare che senza Brandon io sarei morta. Di sicuro sarei corsa incontro a Finnick ieri notte, anzi, l’avrei abbracciato, felice di poter morire con lui.
“Brandon, devo dirti una cosa, e voglio che tu mi ascolti finché non avrò finito” esordisco, nel tono più fermo che riesco a trovare. Tiro su col naso, asciugandomi gli occhi con una manica, mentre lo sguardo di Brandon si fa attento e vigile.
“Ti ascolto Annie.”
“Io devo ringraziarti. Senza di te sarei sicuramente morta ieri notte. Io… sarei andata a cercare Finnick, e probabilmente sarei morta se non ci fossi stato tu. E non solo. Tu mi hai consolata e poi mi hai accettata come tua alleata, anche se sapevi benissimo che non sono una grande combattente e non ho nessuna particolare dote. Sei una delle cose migliori che mi sia capitate nell’arena e quindi ci tengo a farti sapere che se ci dovessimo trovare in pericolo, io darei la vita per salvarti.” Gli prendo una mano e gliela poggio sul cuore “E perciò voglio che tu mi prometta che se io dovessi morire, tu proverai a vincere, con tutte le tue forze. Per Sarah.” Mi sento stranamente svuotata dopo questo discorso. E’ come se una parte di me, quella che si sentiva in debito con Brandon per tutto ciò che aveva fatto per me si fosse staccata, tramutandosi in parole da regalare a lui. Il mio alleato mi sta guardando intensamente, come se cercasse di decifrare qualcosa di segreto. Forse sta cercando di capire se sono realmente sincera.
“Te lo prometto, Annie.” dice infine, in tono stranamente solenne. Ed io mi sento sollevata, perché ora ho una garanzia che, anche se le cose si dovessero mettere male per me, il distretto 4 avrebbe ancora una possibilità di avere un vincitore.
“Ma voglio che anche tu mi prometta la stessa cosa” aggiunge Brandon prendendo la mia mano e poggiandola delicatamente sul mio cuore. Io annuisco e sento una strana sensazione dentro di me. Come se un filo si fosse teso tra me e Brandon legandoci indissolubilmente grazie a questa promessa. Capisco che mi sto affezionando a lui, e questo mi spaventa, perché alla fine ci potrà essere un solo vincitore. Ed io non vorrei mai ritrovarmi ad uccidere colui che sto cominciando a considerare quasi un fratello maggiore.
Mi impongo di non pensarci, per il momento. Adesso l’unica cosa che mi va di fare è stendermi accanto a lui e smettere di pensare, staccare il cervello per qualche ora, ma so che non è possibile. Che appena chiuderò gli occhi rivedrò le orribili immagini dell’altra sera. Rivedrò la ragazza del Distretto 2. Riascolterò le loro urla.
Ma la mano di Brandon che mi accarezza gentilmente una spalla sembra scacciare via almeno in parte i miei incubi.
 
 
 
 

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Capitolo 6
*** L'attacco ***


 Capitolo 5
L’attacco



 
Quando riapro gli occhi è l’alba.
Devo aver dormito per almeno dieci ore filate e la cosa mi sorprende, visto che non mi sono svegliata nemmeno una volta per via degli incubi. Mi giro verso il punto in cui avevo lasciato Brandon prima di addormentarmi e lo trovo riverso a terra, che dorme con la bocca spalancata, una mano tesa verso di me e l’altra abbandonata mollemente sul suo petto. Mi viene da sorridere a quell’immagine. Sembra così sereno nel sonno.
Decido di preparare la colazione, così accendo il fuoco, cercando di utilizzare meno arbusti possibili e cercando solo quelli più secchi, in modo da non fare troppo fumo e da non rivelare così la nostra posizione. Frugo nello zaino alla ricerca di un paio di barattoli di stufato ma non trovo nulla. Cerco ancora frugando anche nel mio zaino, li rovescio a terra ma tutto quello che ne esce è la corda e il kit di pronto soccorso dal mio, i fiammiferi e tre bottiglie d’acqua dal suo.
“Brandon! Brandon svegliati, per l’amor del cielo!” sibilo scuotendolo per un braccio, ma quello non accenna a volersi svegliare, così gli spruzzo un po’ d’acqua sulla faccia facendo attenzione a non sprecarne troppa. “Che diavolo combini?” sbotta il mio alleato aprendo gli occhi, e tirandosi su a sedere.
“Il nostro cibo! E’ sparito Brandon!” dico nel panico prendendomi la testa tra le mani. Quest’arena mi sta facendo impazzire. Non c’è cibo, non c’è acqua, solamente Tributi pronti a tutto e orribili ibridi.
“Che cavolo significa che è sparito?” domanda Brandon infuriato, mentre fruga negli zaini, tra le nostre cose, si tocca persino le tasche dei pantaloni e della giacca.
“Che non c’è più, razza d’idiota!” esplodo io e in un impeto di rabbia gli tiro contro il kit di pronto soccorso. Come può essere così stupido?
“Se tu mi avessi svegliato questa notte, avrei fatto un turno di guardia! Invece no, e così hai finito per addormentarti attirando qui metà dell’arena manco avessi messo dei cartelli segnaletici!” gli rinfaccio lasciandomi cadere a terra con la testa tra le mani.
“Ah e sarebbe ancora colpa mia?” chiede Brandon sarcastico. Alzo gli occhi su di lui e, in un primo momento, mi sembra  veramente infuriato, ma dietro all’espressione incollerita mi accorgo anche di quanto si senta mortificato in realtà. Improvvisamente non sono più in collera con lui, anzi mi sento stranamente rassegnata. “Scusami Brandon, mi sono lasciata prendere dal panico.” mormoro. La sua espressione si addolcisce, e anche i suoi occhi smettono di lampeggiare di rabbia. “Non fa nulla, Annie. Hai ragione, è colpa mia, non avrei dovuto addormentarmi.” replica inginocchiandosi di fronte a me e facendomi alzare lo sguardo su di lui. I suoi occhi sono così pieni di senso di colpa, che mi sento veramente uno schifo per essermela presa con lui. Istintivamente lo abbraccio, cercando di trasmettergli tutto il mio affetto e la mia gratitudine. Ma dopo poco lui si scosta, facendomi alzare e cominciando a raccogliere le nostre cose.
“Forza, su, dobbiamo metterci in marcia. Dobbiamo cercare del cibo, altrimenti non andremo da nessuna parte.” Qualche minuto dopo siamo di nuovo in marcia. Per lo meno chi ci ha derubato ha toccato solo il cibo, lasciandoci l’acqua e il kit di pronto soccorso. Con la pancia vuota si può sopravvivere, ho già patito la fame prima d’ora, ma senza acqua non resisteremmo nemmeno due giorni. Mentre camminiamo cerchiamo di capire le motivazioni di questo ladro sconosciuto: è piuttosto ovvio che lui o lei, era a corto di cibo, ma perché lasciarci in vita? Avrebbe potuto tranquillamente ucciderci nel sonno, senza nemmeno un lamento da parte nostra. Poi mi viene in mente che potrebbero essere stati i Favoriti a commettere il furto: avrebbero potuto farlo per indebolirci, per poi poterci attaccare alle spalle quando saremmo stati troppo deboli per ribellarci.
“Secondo me è una teoria assurda. Avrebbero potuto farci fuori subito e tanti saluti.” dice Brandon in tono scettico, ma io resto della mia idea.
Verso metà pomeriggio siamo entrambi sfiancati dalla lunga marcia e di cibo non ce n’è nemmeno l’ombra: abbiamo controllato ogni singolo cespuglio alla ricerca di bacche commestibili o frutti della terra, spazzando il terreno alla ricerca di radici commestibili, ma non abbiamo ricavato nulla su non graffi per via delle spine dei cespugli. Di animali nemmeno a parlarne. Non si sente nemmeno un cinguettio, nessun fremito, nulla. L’intera arena tace, tanto che possiamo sentire il suono affannoso dei respiri dell’altro con chiarezza assoluta.
Quando sta per calare la notte, decidiamo di accamparci. “Non caveremo un ragno dal buco. L’unico cibo qui è quello della Cornucopia e quello degli sponsor.” conclude Brandon lasciandosi cadere a terra con un tonfo, ma io non gli presto attenzione. Sono concentrata su un suono in lontananza. E’ una strana litania, una sorta di canto melodioso che mi attira verso di se. Richiamo l’attenzione di Brandon verso quel suono e entrambi concordiamo senza parlare di avvicinarci di più: potrebbe essere uno dei Tributi, e l’occasione sembra buona per trovare altro cibo e eliminare un po’ di concorrenza.
Sento uno strano senso di eccitazione man mano che ci avviciniamo. E’ una sensazione che mi parte dallo stomaco e si propaga per tutta la lunghezza del mio corpo, rendendomi euforica. E’ qualcosa che ho provato pochissime volte, ma che il mio cervello non è mai riuscito a catalogare. Immagino sia una sorta di scarica adrenalinica. Più ci avviciniamo e più la sensazione cresce. Un largo sorriso si apre sul mio volto e vedo lo stesso fenomeno accadere sul volto di Brandon. Mi sento stranamente in pace, e appagata. Vedo tutto più luminoso, come se il mondo si fosse fatto più colorato.
Quando siamo praticamente giunti alla fonte del suono ci accorgiamo di essere di fronte a qualcosa di assolutamente fuori posto nell’arena: un bellissimo albero, dai lunghi rami e dal tronco spesso, con foglie color argento si innalza di fronte a noi. Ma la cosa più sbalorditiva sono i frutti succosi dall’aria invitante che pendono dai rami. Sono talmente tanti che l’albero è incurvato sotto quel peso. Immediatamente mi viene l’acquolina in bocca, mentre il canto si fa più incalzante.
Mi sporgo per afferrare uno dei frutti, ma Brandon mi ferma. Sta scuotendo la testa, e mi guarda con aria di rimprovero. “Annie, non dovremmo coglierli. Potrebbero essere velenosi.” dice, ma non sembra troppo convinto nemmeno lui. Il suono flautato continua, intanto, facendosi sempre più forte, e mi domando perché gli altri Tributi non siano ancora accorsi a vedere che cosa provoca quel suono così soave.
“Tentar non nuoce, Brandon. Questo potrebbe essere l’unico cibo nel raggio di miglia.” replico e la mia voce sembra così strana in confronto a quel canto così vellutato che mi affretto a chiudere la bocca. Sono completamente ipnotizzata. Allungo di nuovo una mano, ma ancora una volta Brandon mi ferma. “No, lascia. Faccio io.” dice il mio alleato e improvvisamente sono colta da un senso di collera verso di lui. Vuole forse prenderli tutti per sé? Ma poi mi placo, pensando che in fondo siamo alleati, e che li spartirà sicuramente con me. Così lo lascio fare, ma mentre sta per cogliere uno dei frutti le urla nella mia mente ricominciano. I ricordi riaffiorano, la paura torna, e il senso di pace e tranquillità che mi aveva accompagnato fino a quel momento svanisce. Mi porto le mani alle orecchie, tappandole per non sentire più quelle urla e così facendo estrometto anche quel canto melodioso che continua a pervadere l’aria.
Ed è come se tutto cambiasse. Improvvisamente torno a vedere chiaramente. Osservo l’albero di fronte a me, che non sembra nemmeno lontanamente l’albero fatato che c’era fino a qualche secondo prima. I rami sono secchi e contorti, il tronco e rovinato e brulica di termiti, ma la cosa più sconvolgente sono i frutti, che da succosi e invitanti sono diventati marci e anneriti.
“Brandon, fermati!” urlo istintivamente, ma è troppo tardi. Brandon si è già sporto e ha staccato un frutto dall’albero. C’è qualche secondo di immobilità prima che si scateni l’inferno.
Centinaia di insetti lunghi circa quindici centimetri e che assomigliano in modo impressionante ai rami sono piombati in direzione del mio alleato. Mi precipito da lui per proteggerlo, ma gli insetti hanno già cominciato a trafiggerlo con le loro zampe taglienti. Brandon si ricopre di sangue in pochi secondi, e io riesco a trascinarlo via appena in tempo. Sento le zampe acuminate di quelle creature infernali lacerarmi gli abiti e la pelle, aprendomi tagli ovunque. M’impongo di correre trascinandomi dietro un Brandon semi cosciente, e riesco ad arrivare sino alla fine della via prima di crollare a terra sotto il peso del mio alleato. Penso che sia giunta la mia fine, quando gli insetti si ritraggono improvvisamente. Penso che sia perché hanno terminato il loro compito, quando mi accorgo che un’altra coppia di Tributi si è avvicinata all’albero. Hanno sguardi ipnotizzati e sono storditi, probabilmente dalla musica che ha ricominciato a risuonare. Cerco di urlare loro di scappare, ma il peso di Brandon mi soffoca, così assisto alla loro morte. Gli insetti tagliano profondamente, finché di loro non rimangono che brandelli. E di nuovo urla, da aggiungere alla mia collezione personale. I cannoni sparano, e un hovercraft cala a raccogliere i resti, decretando la fine di quei due Tributi. E com’era apparso, l’albero incantato scompare.
Respiro affannosamente mentre cerco di togliermi Brandon di dosso, che intanto ha perso conoscenza. Lo faccio rotolare giù da me, e cerco di respirare con più calma. Poi mi alzo, cercando di non farmi prendere dal panico alla vista delle mie ferite, e trascino Brandon fino alla siepe.
Trovo una specie di rientranza nella siepe, una sorta di cupola piuttosto ampia, così ci striscio sotto trascinandomi dietro il mio alleato, e mimetizzo l’entrata. All’interno si può stare comodamente in ginocchio, così decido di occuparmi prima delle sue ferite mentre è ancora incosciente. E’ ridotto piuttosto male: ha due tagli piuttosto profondi sul volto, uno sulla guancia destra e uno sulla fronte. Tiro fuori dal mio zaino il kit di pronto soccorso, e gliele disinfetto il più dolcemente possibile con due batuffoli di cotone. Poi ci applico sopra la pomata di Finnick e due cerotti. Il suo viso ora sembra ridotto molto meglio.
Contenta del risultato, passo al torace: ha tre tagli sul petto, uno profondo e due lievi. Gli tolgo delicatamente la maglietta, ormai ridotta in brandelli e applico la stessa procedura anche su quei tagli, poi gli sfilo i pantaloni e curo anche quelli sulle gambe. Il risultato non è niente male, così mi lascio cadere soddisfatta accanto a lui, improvvisamente stremata. Fino a quel momento non avevo pensato alle mie ferite, che mi sembravano molto meno gravi di quelle di brandon ma ora che ci faccio caso, mi rendo conto di aver perso molto sangue. La cosa strana è che non provo dolore, soltanto un lieve pizzicore e forse è per questo motivo che non me ne sono reso conto prima.
Faccio per allungarmi verso il kit di pronto soccorso, ma improvvisamente le palpebre mi si sono fatte pesanti. Così decido di riposare un po’ prima e faccio appena in tempo a distendermi accanto a Brandon che cado in un sonno profondo.
Ancora una volta, sogno.
Sono su una barca, in mezzo al mare, e alle mie spalle vedo la costa dei Distretto quattro. Insieme a me c’è Brandon, che sta leggendo un libro. E’ semi sdraiato e tiene una mano fuori bordo, a lambire l’acqua, mentre l’altra regge il libro. Improvvisamente alza lo sguardo e mi sorride. Faccio per contraccambiare il sorriso, quando vedo una barca scivolare sull’acqua accanto a noi. C’è Finnick su quella barca. Mi sta guardando, tendendomi una mano perché possa raggiungerlo. Ed io ci provo, ma improvvisamente mi rendo conto di essere bloccata. Provo e riprovo a raggiungerlo, chiedo aiuto a Brandon, cerco di liberarmi, ma per quanto ci provi non riesco a raggiungerlo.
Quando apro gli occhi la prima cosa che registro è lo scrosciare della pioggia. Probabilmente diluvia fuori dal nostro rifugio, ma qui l’ambiente è asciutto e c’è un calore gradevole. Poi arriva il dolore. E’ come se centinaia di aghi mi stessero perforando la pelle. Faccio per alzarmi, ma una mano mi spinge giù premendo sul mio petto.
“Resta giù, scricciolo. Te la sei vista brutta, stanotte.” dice Brandon poggiandomi un batuffolo di cotone imbevuto di disinfettante sull’addome. Mi lascio sfuggire un lamento, e non mi sfugge lo sguardo preoccupato del mio alleato. “Ehi, tranquillo, è solo qualche graffio.” mi affretto a dire. Ma in effetti, mi sento piuttosto debole, così lascio che Brandon mi disinfetti e fasci tutte le ferite. A quanto pare ne ho una sull’addome, due su un fianco e una su una gamba. Nessuna di queste è molto profonda, ma hanno perso tutte molto sangue. Così quando Brandon finisce di medicarmi mi avvolge in una coperta e mette i miei e i suoi abiti fuori perché si lavino con l’acqua piovana. La mia biancheria è rimasta miracolosamente integra a parte due strappi sulla canottiera, e questo mi rincuora un po’. So che dei corpi nudi non sono nulla di speciale nell’arena, ma mi sentirei comunque parecchio a disagio.
“Tu come stai?” chiedo dopo aver ottenuto il permesso di stare semisdraiata. Mi appoggio con la schiena alla siepe e passo in analisi le ferite del mio alleato. Sembrano molto più gestibili rispetto alla notte precedente, e i medicamenti fatti da me sembrano aver tenuto bene.
“Molto meglio di te di sicuro. Avresti dovuto pensare prima a te e poi a me, ieri notte.” risponde Brandon in tono di rimprovero, ma nella sua voce leggo anche la gratitudine.
“Figurati, non c’è di che.” replico, strappandogli un mezzo sorriso. “Comunque che mi sono persa nel corso della serata?”
“Beh, c’è stata la proiezione dei caduti, e sono morti anche i ragazzi del 6 e del 10. Siamo rimasti noi, entrambi quelli dell’1, il ragazzo del 2 e quello del 7.” mi informa lui mentre armeggia con una coperta. Ci si avviluppa dentro e si appoggia alla siepe di fronte a me. Provo uno strano senso di protezione dal quando abbiamo trovato questa sorta di rifugio. Le pareti e il tetto a cupola creati con la siepe mi fanno sentire al sicuro, così come lo strato tenero di erba sotto di me. Siamo racchiusi in una specie di caldo nido.
“Quindi siamo rimasti in cinque.” concludo tetramente. Il cerchio si restringe, e il fatto che siamo ancora entrambi vivi aumenta le possibilità di doverci uccidere a vicenda, una volta eliminati gli altri. Per la prima volta realizzo di avere una tenue speranza di vittoria. Ma la cosa non mi consola affatto.
“Già. E noi siamo ancora senza cibo.” aggiunge Brandon e quasi magicamente sentiamo la risposta alla sua tacita domanda planare fuori dal nostro rifugio. Brandon si sporge fuori dal nostro nascondiglio e raccoglie un paracadute bagnato da terra. Restiamo entrambi a guardarlo affascinati finché Brandon non chiede “Per chi pensi che sia?”
Mi rendo conto che per lui è il primo dono che riceve nell’arena, così decido di lasciarglielo. “Aprilo tu.”
Brandon scioglie con delicatezza i nodi che tengono legato il voluminoso pacchetto e rivela una terrina di stufato caldo e due pagnotte del nostro Distretto. Intravedo anche un bigliettino e mi scambio uno sguardo d’intesa con lui. “Il pranzo!” esclama in tono entusiasta e io gli sorrido. Adoro che mi capisca così al volo senza bisogno di parole. Si affretta a far sparire il bigliettino, mentre affetta il pane per due. Decidiamo di mangiare una fetta di pane a testa e di dividerci lo stufato, che in ogni caso non durerà a lungo. Il pane invece sì, così lo avvolgo con cura nel paracadute ispirandone a fondo il profumo e lo ripongo nello zaino come se fosse una sacra reliquia.
Brandon mi porge la mia fetta di pane, e assieme ad essa ricevo anche il bigliettino. Leggo in fretta le poche righe, mentre Brandon ricava due cucchiai da una vecchia lattina di cibo.
 
Brandon: Grazie. Per averla salvata.
Annie: Tieni duro, resta viva e torna a casa.
F.
 
Mi salgono le lacrime agli occhi mentre leggo quelle poche parole, ma le scaccio via risoluta. Non è il momento di mettersi a piangere. E’ il momento di continuare a lottare.
 

 
 

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