Walking on Air

di Pandaroo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Walking on Air (to understand) ***
Capitolo 2: *** RICHIESTA GENTILE ***
Capitolo 3: *** Una Piccola Casa In Un Piccolo Villaggio ***
Capitolo 4: *** Strano Mondo ***
Capitolo 5: *** Una Piccola Ragazza Dal Dolce Viso ***



Capitolo 1
*** Walking on Air (to understand) ***


There’s a little creepy house in a little creepy place
Little creepy town in a little creepy world
Little creepy girl with her little creepy face
Saying funny things that you have never heard
 
Do you know what it’s all about
Are you brave enough to figure out
Know that you could set your world on fire
If you are strong enough to leave your doubts
 
Feel it
Breathe it
Believe it and you’ll be walking on air
Go try
Go fly so high and you’ll be walking on air
You feel this unless you kill this
Go on and you’re forgiven
I knew that I could feel that
I feel like I am walking on air
Yeah
 
She has a little creepy cat and a little creepy bat
Little rocking chair and an old blue hat
That little creepy girl
Oh
She loves to sing
She has a little gift
An amazing thing
 
With her little funny eyes of hazel
With her little funny old blue hat she will go and set the world on fire
No one ever thought she could do that
 
Feel it
Breathe it
Believe it and you’ll be walking on air
Go try
Go fly so high and you’ll be walking on air
You feel this unless you kill this
Go on and you’re forgiven
I knew that I could feel that
I feel like I am walking on air
 
Flitter up and hover down
Be all around
Be all around
 
You know that I love you
Go on
 
Feel it
Breathe it
Believe it and you’ll be walking on air
Go try
Go fly so high and you’ll be walking on air
You feel this unless you kill this
Go on and you’re forgiven
I knew that I could feel that
I feel like I am walking on air
 
I am walking on air
(Walking on air)
Yeah

T
RADUZIONE (che potrebbe essere fatta meglio, ma tanto è per capire ;))

C’è una piccola e sinistra casa in un piccolo sinistro posto
Piccola sinistra città in un piccolo sinistro mondo
Piccola sinistra ragazza con il suo piccolo sinistro viso
E dice cose divertenti, che tu non hai mai sentito
 
Tu sai di che si tratta?
Sei coraggioso abbastanza da capire
Sappi che potresti incendiare il tuo mondo
Se fossi abbastanza forte da lasciar andare i tuoi dubbi
 
Sentilo
Respiralo
Credici e camminerai sull’aria
Prova
Vola in alto e camminerai sull’aria
Lo proverai finchè non la smetterai
 
Vai avanti e sarai perdonata
Sapevo di poterlo provare
Mi sento come se camminassi sull’aria
Sì…
 
Lei ha un piccolo sinistro gatto ed un piccolo sinistro pipistrello
Una piccola sedia a dondolo ed un vecchio cappello blu
Quella piccola sinistra ragazza
 
Oh,
lei ama cantare
ha un piccolo dono
una cosa incredibile
 
Con i suoi piccoli divertenti occhi nocciola
Con il suo piccolo, strano e vecchio cappello blu, lei andrà ad incendiare il mondo
Nessuno ha mai pensato che avrebbe potuto farlo
 
Sentilo
Respiralo
Credici e camminerai sull’aria
Prova
Vola in alto e camminerai sull’aria
Lo proverai finchè non la smetterai
Vai avanti e sarai perdonata
Sapevo di poterlo provare
Mi sento come se camminassi sull’aria
Sì…
 
Svolazza e librati su e giù
Sii ovunque
Sii ovunque
 
Sai che ti amo,
Vai avanti
 
Sentilo
Respiralo
Credici e camminerai sull’aria
Prova
Vola in alto e camminerai sull’aria
Lo proverai finchè non la smetterai
Vai avanti e sarai perdonata
Sapevo di poterlo provare
Mi sento come se camminassi sull’aria
Sì…
 
Mi sento come se camminassi sull’aria
 
(camminando sull’aria)
 
Sì…

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Capitolo 2
*** RICHIESTA GENTILE ***


VI PREGO, VI SCONGIURO, VI SUPPLICO.
IO USO QUESTO SITO PER CHIEDERE PARERI ESTERNI SU CIO' CHE SCRIVO E PER CONDIVIDERLO CON COLORO CHE AMANO SCRIVERE QUANTO ME.
NON VORREI CHE I MIEI LAVORI VENISSERO COPIATI, PERCHE' QUI NON C'E' DIRITTO DI COPYWRIGHT E QUINDI SAREBBE POSSIBILE, MA NON POSSO IMPEDIRLO SE NON CON LA SPERANZA CHE LE MIE SUPPLICHE VI COLPISCANO.
QUELLO CHE STO PER PUBBLICARE SARA' IL MIO LAVORO PIU' IMPORTANTE, QUELLO CHE VORREI TANTO POTER PUBBLICARE UN GIORNO, FAR DIVENTARE IL MIO MASTERPIECE.
NON VOGLIO RITROVARMI IN LIBRERIA A LEGGERE COSE CHE HO SCRITTO IO, MAGARI CON NOMI DIVERSI, CI RIMARREI VERAMENTE MALE.
SO CHE TUTTI VOI SCRITTORI MI COMPRENDERETE BENISSIMO, VI DO FIDUCIA.
OVVIAMENTE SE AVETE PARERI DA OFFRIRE AD UNA DILETTANTE COME ME FATE PURE, MA NON COPIATE, VE NE PREGO!
BACI E GRAZIE
Pandaroo

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Capitolo 3
*** Una Piccola Casa In Un Piccolo Villaggio ***


UNA PICCOLA CASA IN UN PICCOLO VILLAGGIO
Faysnow era un bel posto in cui vivere: un piccolo villaggio abitato da elfi, il cui benessere era al pari di quello che si prova in una calda giornata estiva passata sulla spiaggia tra un tuffo in mare e il tepore dei raggi solari. La differenza era che a Faysnow non era mai estate e, strano ma vero per noi poveri umani, ai suoi abitanti piaceva molto così. Per descrivere questo posto meraviglioso non c’era bisogno di metafore, ma solo di una parola: bianco. La neve, infatti, lo ricopriva interamente di un bianco manto luminoso, dai camini uscivano nuvole di fumo che si disperdevano nell’aria come serpi evanescenti. Il villaggio era poco distinguibile a una prima occhiata per via di tutto quel bianco: se non fosse stato per i comignoli, nessuno avrebbe notato le piccole casette dalla forma fungina, e nemmeno gli orticelli delimitati dai recinti, dipinti ovviamente di bianco. Faysnow si estendeva per il lungo, con una sola via principale che portava al luogo più importante del posto: la fabbrica meteorologica. Snowfactory, così si chiamava, permetteva agli elfi da diversi secoli, generazione dopo generazione, di regolare la temperatura dal caldo al freddo, e di far nevicare quanto più possibile. Solo ai Nevici, appunto gli abitanti di Faysnow, era stato concesso un simile potere per questioni di sopravvivenza, poiché potevano vivere solo con la presenza di neve e ghiaccio, tanto che le cucine di tutte le case avevano un fuoco che non emanava calore, ma cuoceva comunque benissimo il cibo per sfamare i calorosi elfi senza comprometterne la salute. Appunto qualche Nevico in quell’ora mattutina si apprestava ad andare al lavoro nella propria bottega o alla fabbrica stessa, oppure sbadigliando e stiracchiandosi aprivano le imposte alle finestre per far entrare la luce nelle loro case o ancora raccoglieva i tuberi e le bacche fresche di piccoli ghiaccioli per preparare la colazione ai propri cari. Ai Nevici piaceva lavorare e rendersi utili al prossimo, o almeno questo valeva per la maggior parte di loro che non amava poltrire e mangiare gratis senza ricambiare mai una cortesia, e per questo, anche se nemmeno per loro suonava bello, si alzavano presto per darsi da fare. Questi elfi avevano tutti la carnagione pallidissima e gli occhi luminosi, come raggi di sole; i capelli, dallo splendore, riflettevano la luce e, nonostante il freddo pungente, si vestivano leggerissimi, in vesti di lino o tela, ad eccezione delle scarpe, che erano confezionate in pelle e pelo di Rambot (una specie di montone) per andare in esplorazione nella foresta. Una cosa particolare era che i Nevici non praticavano né caccia né pesca: amavano la vita e la rispettavano, perciò utilizzavano il pelo, le pelli e la carne degli animali solo se strettamente necessario e, soprattutto, solo dopo che erano morti per cause naturali. Per queste e tante altre questioni i Nevici si affidavano a riti magici per la propria protezione dalla furia della Presenza Superiore, in altre parole il Dio Fato che decideva le sorti di ogni elfo. La magia era davvero alla base della vita a Faysnow, e gli elfi sarebbero stati perduti se anni prima non fosse provvidenzialmente arrivato un vecchio e saggio mago a compensare l’assenza, anzi la scomparsa del suo predecessore.
Insomma, Faysnow era certamente un villaggio pieno di vita e di gioia e perfetto per i suoi abitanti. Ed è anche lo sfondo della nostra storia che ha inizio sul tetto di una piccola casetta, forse la più piccola di tutte, ai margini del villaggio, dove un giovane Nevico particolarmente bello quanto pensieroso sedeva con sguardo vacuo. Sirdan era il suo nome, e significava “sognatore”. Difatti egli era un elfo pieno di sogni. Aveva perso il padre misteriosamente quando ancora era in fasce e amava da sempre la magia. Proprio la pratica della magia, piuttosto insolita nel villaggio ad eccezione del suo mago, manteneva vive le sue speranze e lo spingeva a proseguire per la strada che si era prefissato. Era un elfo bello, biondo e con i capelli corti e arruffati. I suoi occhi erano colore del mare che non avrebbe mai visto. Tutti lo ammiravano per la sua bontà e bellezza, ma a lui non importava. L’unica cosa che gli interessava veramente era il suo meraviglioso sogno, cui pensava in quel momento osservando il cielo. Sirdan amava svegliarsi presto, arrampicarsi sul tetto di casa sua e osservare il sole nascere dietro una coltre di neve. Rifletteva che in quei giorni il cielo era più bello, perché la fabbrica non riusciva a produrre neve, probabilmente qualcosa si era guastato. Come tutti i Nevici, Sirdan si preoccupava per i suoi amici e abitanti del villaggio, perciò il pensiero che nessun elfo potesse più vivere a causa della mancanza di freddo, che ben presto sarebbe giunta a Faysnow senza la presenza della neve, lo tormentava almeno quanto una vita senza cibo. Ad ogni modo ritrovava il bello nelle cose anche in una situazione così incresciosa. Riusciva a vedere il cielo azzurro e le bianche nuvole: un’aquila solitaria volava in cerca di cose nuove da osservare, o semplicemente di una preda per nutrirsi. Proprio questo sognava Sirdan: di volare, di librarsi nel cielo sfiorando le nuvole con le dita, di raggiungere il sole e bearsi dei suoi raggi, di vedere la vita del mondo dall’alto. Purtroppo, per quanto ci avesse già provato, era ancora lontano da quel suo sogno che perseguiva con tutte le sue forze, e questo lo rendeva triste, ma anche più determinato a farlo. La cosa che rendeva Sirdan unico era che nessuno riusciva mai a capirlo appieno: i suoi pensieri, i suoi sogni, i suoi nascosti sentimenti erano oscuri a tutti. Una voce lo destò dai suoi pensieri.
<<  Sirdan? Dove sei?  >>. Sua madre Eril lo chiamava a gran voce non avendolo visto dormire placido nel suo letto, come quand’era piccolo e spensierato. Ormai erano settimane che l’elfo ripeteva quella routine mattutina e nonostante ciò la madre era ancora irrimediabilmente apprensiva nei suoi confronti. Comunque era sua madre. Un sorriso divise il viso di Sirdan.
<<  Scendo subito mamma!  >> gridò l’elfo iniziando a scivolare giù dal tetto.
Atterrò proprio davanti alla madre che lo abbracciò forte pur essendo visibilmente arrabbiata e preoccupata.
<<   Temevo già il peggio figlio mio! Che ti salta in mente di sparire così senza dire nulla! Che cosa combini tutte le mattine lassù sul tetto, posso saperlo?  >>.
<<   Nulla di che mamma, veramente.   >> disse Sirdan in cerca di una minima scusa per non sbilanciarsi sui suoi sogni più intimi e allo stesso tempo dichiarare la verità a sua madre. <<  È un periodo in cui ho voglia di riflettere sulle cose sai … ho voglia di rendermi utile in qualche modo. Sento che per me è il momento di intraprendere una mia strada!  >>.
<<  Sì, lo capisco, stai crescendo, hai nuovi pensieri, eccetera, ma veramente non dovresti farmi preoccupare così!  >> disse Eril accorata calmandosi un po’. <<  Lo sai che non sono più giovanissima e …  >>.
<<  Per me sarai sempre la più bella Nevica del villaggio!  >> la interruppe Sirdan schioccandole un bacio sulla fronte come scappatoia da quella ramanzina e avviandosi dentro casa, da cui sentiva provenire un profumo di patate dolci e torta di mirtilli appena sfornata.
Eril lo seguì. La rabbia era sicuramente passata ora che lo vedeva servirsi di dolci, seduto al tavolo nel posto che in passato era riservato a suo padre, e si commosse. Ovviamente suo figlio non poteva saperlo, ma aveva ereditato tutto dal suo compagno, sia l’aspetto fisico sia il carattere: erano sicuramente l’uno l’incarnazione dell’altro. Eppure in Sirdan c’era qualcosa di diverso, che però Eril, pur nei suoi diciotto anni da madre, non riusciva a scorgere a causa dello scudo protettivo che suo figlio metteva tra sé e il resto del mondo. Nonostante la semplicità e i puri sentimenti che provava, quell’elfo era e rimaneva un tipo affascinante e misterioso.
<<  Mamma,   >> disse Sirdan risvegliando Eril dai suoi pensieri. <<   posso chiederti una cosa? Un parere più che altro  >>. Eril rise forte davanti a un Sirdan stupito della sua reazione e anche un po’ preoccupato.
<<  Quello che vuoi caro, ma prima pulisciti la bocca dai mirtilli!  >>. Sirdan si pulì in fretta mentre, imbarazzato, si univa alle risate della madre.
<<  Volevo sapere  >> proseguì l’elfo ripulitosi per bene e scostandosi un poco da tavola con la sedia <<   se sai qualcosa di Snowfactory. Hai notato che da un po’ di giorni non produce più neve?  >>.
<<  Non saprei Sirdan, chi ne compete risolverà il problema non credi?  >>.
<<  Non sei minimamente preoccupata? Non pensi a cosa succederebbe se il caldo arrivasse a Faysnow? Avrai almeno un’ipotesi in testa!  >>. Sirdan era un po’ turbato nel suo animo altruista davanti alle opinioni della madre, ed Eril, preoccupata, non voleva assolutamente che qualunque cosa ferisse suo figlio.
<<   Se sapessi qualcosa te lo direi tesoro, ma come sai io vivo in casa. Raramente esco per comprare ciò che ci serve perciò non so quasi nulla dei pettegolezzi che girano per il villaggio. Non avercela con me, so benissimo cosa rischiamo. Comunque, secondo me, Fingolfin ha qualche idea in proposito, se …  >>.
Eril non finì la frase. In un attimo l’espressione di Sirdan era cambiata e, dopo un veloce su e giù da camera sua alla cucina per prendere la sua bisaccia e un frettoloso ringraziamento alla madre era sparito oltre la porta preso da nuovi folgoranti pensieri. Alla fine chi meglio del mago del villaggio poteva sapere che stava accadendo?
 
*°*
 
Fingolfin abitava ai limiti estremi del villaggio, sul confine con la foresta, cosa che lo favoriva molto data la sua veneranda età nel procurarsi gli ingredienti necessari ai suoi incantesimi senza interferire con la vita di nessun altro elfo. Vantava la bellezza di 105 anni, o così dicevano tutti, perché Fingolfin non parlava quasi con nessuno. Manteneva il mistero degno della personalità di ogni rispettabile elfo magico. Le sue orecchie puntute raggiungevano per la lunghezza la sommità del capo, ricoperto di folti capelli grigio topo; il viso era grinzoso e rispecchiava perfettamente il corrispettivo umano di un chicco d’uva passa. Era anche un po’ gobbo e si sorreggeva con un bastone che, sempre secondo le dicerie, usava anche per i suoi incantesimi o semplicemente per mescolare la zuppa della sera. Una cosa era facilmente distinguibile tra tutte quelle rughe nel viso: due occhi azzurri, contrastanti il resto del corpo, lasciavano scorgere, ai pochi cui era concessa una parola con il mago, la limpidezza dell’animo dello stesso Fingolfin e la fiducia che sicuramente ispirava a tutti. Quella mattina Fingolfin, mentre beveva il suo infuso di Brarch leggermente corretto, già sapeva che l’avrebbe atteso una mattina all’insegna della magia in compagnia del suo apprendista. Infatti, se c’era una cosa che tutti sapevano del mago, era proprio l’attaccamento che Fingolfin provava nei confronti di un particolare elfo, che, pur nella sua riservatezza, da subito aveva mostrato un pieno interesse per le arti magiche e, spinto dalla madre, aveva voluto a tutti i costi, all’età di nove anni, diventare il suo allievo. Dapprima il vecchio mago era rimasto perplesso, poiché i segreti della magia non potevano né dovevano essere rivelati al primo incontrato, ma poi era accaduto qualcosa che l’aveva convinto all’istante a prendere la sua decisione: gli occhi del piccolo elfo parlavano, dicevano di un animo vitale e pieno di voglia di imparare, di tenacia, di coraggio, di determinazione e di amore. Nessuno nel villaggio possedeva tutte quelle caratteristiche insieme, e nemmeno si sognava che queste trasparissero a un solo sguardo, specialmente in età così giovane. Così l’aveva preso con sé tutti i giorni, almeno per un’ora, concedendogli il privilegio di accedere alla propria dimora, cosa che fece solo quella volta in tutto il tempo passato a Faysnow.
Già sentiva i dubbi del suo pupillo avvicinarsi alla sua casa, e difatti pochi minuti dopo eccolo entrare, la parola d’ordine già eseguita e l’Incantesimo Impenetrante già sbloccato.
<<  Maestro! Chiedo il permesso di stare con voi per oggi, per favore! Mille dubbi mi assillano, e speravo che voi poteste darmi sicure risposte!  >>.
<<  Se ne sarai degno risolverò i tuoi enigmi. Hai studiato per conto tuo le formule e le ricette? Saresti in grado di riprodurmene qualcuna?  >>. A Fingolfin piaceva moltissimo sfidare Sirdan per vedere fino a che punto poteva spingersi nelle sue notevoli anche se acerbe capacità magiche, e come sempre, anche quella volta ottenne ciò che sperava.
<<  Eseguirò ciò che voi mi chiederete. Accetto le condizioni.   >>
Fingolfin si alzò scricchiolando dalla sedia e, attraversata la piccola stanza che si poteva definire come il suo “salotto”, prese una pergamena ingiallita e iniziò a scrivere. Quando finì, la porse al suo allievo: conteneva due incantesimi, un veleno e una ricetta medica da eseguire.
<<  Hai un’ora per mostrarmi che sai fare. Se sarai bravo, ti darò ciò che hai chiesto.   >> e così dicendo ritornò comodo sulla sua sedia in attesa.
Sirdan si sedette a terra per pronunciare il primo incantesimo, l’Aqua Saliens. Gli occhi chiusi e l’indice destro puntato a terra. Iniziò piano a disegnare dei cerchi immaginari servendosi del suo dito, e intanto pronunciò piano la formula “Zampillo Zampilla Che In Zampilli Zompi” per tre volte, senza prender fiato e senza confondersi con le parole. Come da manuale, anzi da Libro Magico, nell’immaginario cerchio formato da Sirdan, cominciò a sgorgare acqua che, dopo aver vorticato in aria in piccole onde, ricadeva sul pavimento senza lasciare traccia. Fingolfin annullò l’incantesimo e si mise in attesa di quello successivo.
Si trattava dell’Incantesimo Nutriente, che doveva far apparire del cibo nel punto prestabilito da chi lo pronunciava. Sirdan si concentrò nuovamente e, congiungendo le punte dei pollici e indicando con questi il tavolino del mago, pronunciò “Nutrimini Nutrio” nel preciso intervallo di tredici secondi e pensando allo stesso tempo al cibo da far apparire. Piano piano, quando stava scadendo il tempo di pronuncia della formula qualcosa prese forma sul legno scuro, e poco dopo un soddisfatto Sirdan addentava una succosa mela rossa.
<<  Non essere borioso Sirdan. Fa male all’animo.   >> disse Fingolfin come ammonimento. <<  Se non mi sbaglio, non hai ancora completato il tuo compito. Vai avanti.   >> disse poi con più calma il mago, indicando il vecchio calderone nero al centro della stanza.
Sirdan smise di masticare e, abbandonata la mela, si concentrò sulla ricetta medica. Era la Polvere Antipunti, che evitava che piccole macchie nere date dal contatto con il Fungus Septuplus si espandessero sull’epidermide di un elfo.
Prese gli ingredienti, dopo aver acceso il fuoco sotto il calderone, e li posò sul tavolo.
Per prima cosa versò l’Essenza di Camaplanula e pronunciò “Per distendere”.
Poi fu il turno di un grosso pezzo di Bonus Fungus e disse “Per prevenire un nuovo male”.
Poi, per ultimo ingrediente, cosparse il liquido granuloso e biancastro di Neve Rigenerante, pronunciando, appunto, “Per rigenerare”.
Poi, preso il mestolo, mescolò velocemente in senso orario per cinquanta volte, concentrandosi a occhi chiusi sull’esatta consistenza finale del preparato.
Terminato l’intero processo aprì gli occhi e riempì il barattolo che il mago gli porgeva della finissima polvere lilla raggrumatasi in fondo al calderone dopo che questo aveva sbuffato una nuvola di profumato fumo viola. Fingolfin era veramente fiero del suo allievo, ma ancora insoddisfatto.
<<  E il veleno?  >> disse, infatti, pochi secondi dopo con un ghigno beffardo, già sapendo che il suo buon discepolo avrebbe potuto fallire nel suo ultimo tentativo.
<<  Non ho intenzione di prepararlo maestro  >> disse Sirdan con un certo imbarazzo. <<   Chiedo perdono per la mia impudenza, ma io non ho intenzione di imparare a creare qualcosa che può nuocere a qualcuno. Mi dispiace.   >> e piegò la testa in giù fissandosi le punte degli stivali e contorcendosi le dita.
<<  Proprio quello che volevo sentire!  >> disse Fingolfin, stavolta, pienamente fiero di Sirdan. <<  Volevo metterti alla prova per vedere per l’ennesima volta se avevi capito veramente l’essenza pura della Magia Bianca, che non va mai contaminata con incantesimi maligni. Bravo! Ora meriti le tue risposte.   >> e detto questo, dinanzi al sorriso stupito del suo allievo, si mise in attesa.
<<  Volevo sapere se lei ha intuito cosa sta succedendo a Snowfactory: come mai non cade più la neve? Sta arrivando il caldo e, quindi, la fine per noi Nevici? Che si può fare?  >> disse Sirdan impaziente e quasi in un fiato. Fingolfin si sedette meglio sulla sua sedia e sorrise al giovane elfo.
<<  Per avere queste risposte prima devi conoscere una leggenda. Essa cela una mia possibile ipotesi sulla fonte del problema.  >>. Sirdan, sedutosi a fianco del mago, si preparò ad ascoltare emozionato.
<<  Si narra che, in un giorno di un freddissimo inverno di secoli fa, Monte Alto fosse in preda ad una tormenta. Era davvero insolito un tempo del genere, poiché qui a valle il sole era sempre alto e il calore della stella si espandeva ovunque. Sulla cima, in particolare, la neve e il ghiaccio impedivano di vedere un evento eccezionale, al di fuori dell’immaginazione di ogni elfo. Si staccò la punta di un’enorme stalattite e da quello, per magia, si dice, del Dio Fato, prese forma una giovane ragazza, bellissima e d’indescrivibile potenza magica. Per non farla sentire sola il Dio creò da una palla di neve una sua copia identica, ad eccezione degli occhi celesti come il cielo e non neri come il carbone. Attribuì loro i nomi di Merenwen e Maranwè e affidò loro poteri al di fuori dell’ordinario, per poter controllare il ghiaccio e la neve da cui erano nate. Infine, dopo aver fatto apparire dal nulla un magico castello di brina, impossibile da notare nel bianco del Monte e indistruttibile da qualunque intemperie, gli affidò il compito di vegliare su una nuova popolazione di elfi che stava per giungere a valle. Le gemelle accettarono le condizioni e da quel momento vissero nel Castello. Dopo un po’ di tempo, però, cominciarono a esigere di conoscere tutta la magia e non solo quella riguardante il gelo, perciò iniziarono a sperimentare nuovi incantesimi sempre più potenti fino a diventare potentissime e senza eguali. Il potere le accecò al punto da non distinguere più il bene dal male. Nessuno gliel’aveva mai insegnato e le due nemmeno si sognavano di capire quella grande differenza. L’unica opera di bene che continuavano a compiere era di far attivare magicamente quella che i Nevici chiamano “fabbrica meteorologica” facendogli credere che fossero, però, loro a metterla in funzione, per evitare che la loro identità fosse svelata. Da allora noi inconsapevoli, si dice, siamo affidati al potere delle due Streghe Gemelle.  >>. Fingolfin finì di raccontare e aspettò la reazione e la deduzione di Sirdan, che non si fecero attendere a lungo.
<<  Perciò  >> iniziò, infatti, l’elfo <>.
<<  Le azioni del Dio potrebbero essere già state messe in atto per quanto ne so. Ad ogni modo, non angustiarti troppo per una semplice leggenda. Può anche darsi, semplicemente, che si sia rotto qualcosa nel meccanismo della fabbrica. Vedrai che si sistemerà tutto a breve. Ora vai a casa da tua madre. Credo ti stia aspettando.   >> disse tranquillo Fingolfin.
Sirdan si alzò dalla sedia e fece per avviarsi, quando il mago lo fermò. Si guardarono intensamente da maestro ad allievo, come già era successo tante volte. Poi il mago sorrise al suo apprendista.
<<  Poiché è ancora un po’ presto credo che tu possa stare a praticare qualche incantesimo con me per il resto della giornata. È un evento eccezionale, ma almeno così ti distrarrai dai tuoi problemi. Avviserò io tua madre.  >>. E detto questo Fingolfin allungò le mani nodose verso la finestra in direzione della casa i Sirdan ed Eril. Da quelle, al pronunciare di “Nuntius”, apparve un pettirosso che, dopo aver guardato il mago e intuito il messaggio da portare, aprì le ali e, sotto lo sguardo incantato di Sirdan, volò a portare l’avviso alla destinataria.
 
*°*
Sirdan era nel suo letto da, ormai, un’ora, ma non riusciva a prendere sonno. Era tornato tardi e la madre l’aveva rimproverato un po’ per il modo improvviso con cui era stata avvisata dell’assenza del figlio per tutto il giorno. Poi, però, compassionevole per quel vecchio mago così solo, aveva accettato nuovamente il fatto che Sirdan era l’unico che aveva contatti con lui e che era, a quanto pare, degno della sua stima e attenzione. D’altronde Eril sapeva che, non avendo padre e non essendosi lei ancora fidanzata per la seconda volta, presto o tardi Sirdan si sarebbe avvicinato a una figura maschile che poteva sostituire quella che a lui mancava.
Il giovane e trepidante elfo aveva, quel giorno, scoperto l’esistenza di qualcosa d’inimmaginabile per lui e cui, tuttavia, faceva fatica a non credere. Ciò alimentava la sua preoccupazione per i Nevici, ma anche la sua curiosità per la reale o meno esistenza delle due Streghe. Così pensando si addormentò.
Era in mezzo al nulla, ma i suoi piedi poggiavano su una fredda lastra di ghiaccio. Una tormenta di neve lo scalfiva con qualche acuminato ghiacciolo, ma lui non si difendeva, anzi, provava piacere a sentir picchiettare quei minuscoli aghi sulla sua pelle. Dietro una nuvola due sagome scure si muovevano e lo indicavano. Sirdan provò l’immenso desiderio di raggiungerle, così staccò i piedi e si librò nell’aria come un uccello, dimenticando ciò che era e cosa sarebbe diventato.
Stava per raggiungere le due figurette umane dietro l’enorme nuvola quando pian piano si fece buio ed esse sparirono, così come ogni altra cosa e pensiero che poteva balenare nel cervello dell’elfo in quel momento di estasi.
Per quell’attimo che era durata la realizzazione del suo più grande desiderio, era già tutto mestamente finito.

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Capitolo 4
*** Strano Mondo ***


STRANO MONDO

Sirdan si svegliò tardi rispetto al suo solito. Si era beato a lungo di quel sogno meraviglioso prima che esso svanisse con l’intorpidimento dei sensi. Il sonno ancora lo pervadeva, gli occhi impastati e gli arti impigriti. Fosse stato per lui, non si sarebbe destato, continuando a volare verso quella nuvola, verso quelle due curiose figure in ombra. Sfortunatamente era nato Nevico e di conseguenza aveva nel cuore già a quell’ora una gran voglia di fare che lo costrinse a levarsi le coperte ad abbandonare il cuscino per dedicarsi alla sua solita routine quotidiana. Dopo essersi lavato con l’acqua del pozzo sotto casa e vestito e dopo aver colto i cereali dall’orto per la colazione, si diresse in cucina, dove Eril era già affaccendata da un pezzo.
<<  Buongiorno mamma!  >> disse Sirdan baciandola sulla guancia.
<<  Buongiorno! Hai dormito bene? Facevi un sacco di rumore stanotte, e parlavi pure! Mi hai svegliato prestissimo …  >> disse Eril suscitando imbarazzo e curiosità nel figlio.
<<  Che cosa avrei detto di preciso? Qualcosa di scandaloso?  >> disse il giovane elfo ridendo tra una cucchiaiata di cereali e l’altra.
<<  Voglio ben sperare di no!  >> - rispose la madre unendosi alle risate - <<  Dicevi qualcosa tipo “Aspettatemi!” o anche “Chi siete?” o, la migliore di tutte per me, “Come mi sento bene in questa tormenta”!  >>.
Sirdan era deciso a non raccontare il suo strano e, in un qualche modo, inquietante sogno.
<<  Non so, devo aver sognato. Non ricordo nulla comunque …  >> fece con indifferenza.
<<  Cos’hai intenzione di fare oggi?  >> disse Eril speranzosa di poter passare una giornata col figlio.
<<  Credo che andrò a provare qualche incantesimo nella foresta, torno presto, tranquilla! Così potrò aiutarti nelle faccende domestiche.  >>. La madre fece una faccia un po’ triste. A Sirdan non piaceva per niente darle dispiaceri, ma la magia era anche una delle cose più importanti della sua vita. Fatto sta che vedere Eril così gli fece cambiare idea.
<<  D’accordo mamma. Sto con te fino a dopo pranzo. Poi vado ok?  >>. Il broncio della madre si trasformò in breve in un sorriso, sancito da un abbraccio con la sua ragione di vita.
 
*°*
 
Dopo aver mangiato un lauto pasto Sirdan scappò letteralmente fuori di casa. La madre gli aveva fatto fare il bucato, zappare l’orto e annaffiare le piante, mettere in ordine la sua camera, andare a comprare spezie e una pentola nuova, infine aveva anche preparato il pranzo per entrambi. Se questo, però, era il prezzo da pagare per vedere il sorriso sul volto si sua madre, all’elfo non dispiaceva per niente regalarle un po’ del suo prezioso tempo.
Decise di andare subito nella foresta, ma quando stava per svoltare in quella direzione, si fermò un momento a osservare Snowfactory e cambiò idea. Deviò a destra e si diresse verso la fabbrica: voleva scoprire se c’era un fondo di verità nella leggenda raccontatagli il giorno precedente da Fingolfin. Quando arrivò ed entrò nel grande edificio, vide subito molti elfi armati di attrezzi che correvano di qua e di la in preda al panico. Erano molto laboriosi gli operai Nevici, pensò Sirdan, e non si accorsero nemmeno di lui, finché uno di loro non cascò letteralmente addosso a lui.
<<  Guarda dove vai!  >> disse burbero l’operaio.
<<  Mi scusi, non volevo disturbare. Perché siete così affannati?  >>
<<  Non so se te ne sei accorto, ragazzo, ma qui non c’è più neve! È inspiegabile. Abbiamo tentato di tutto, abbiamo controllato ogni pezzo del macchinario ma nulla! Ora scusa, ma devo proprio tornare al lavoro. Perciò non intralciare oltre e torna a casa. Non c’è bisogno di ficcanaso qui!  >>
<<  D’accordo, scusi ancora!  >> disse Sirdan in preda a una nuova euforia. Allora la leggenda non era poi così falsa come pensava! Tuttavia non era ancora soddisfatto. Fermò altri due elfi uno dopo l’altro per chiedere la stessa cosa che aveva domandato al primo. Entrambi gli diedero la medesima risposta.
Sirdan corse fuori e dopo un po’ riprese una velocità normale per dirigersi verso la foresta. Inizialmente sarebbe voluto andare a raccontare tutto a Fingolfin, ma poi pensò che sicuramente il mago sapesse già tutto poiché l’aveva informato sulla leggenda di Monte Alto. Intanto che camminava, la sua mente volò di nuovo verso il sogno. Ripensò a ogni particolare.
Il nulla totale che lo circondava, come se il mondo intorno a lui fosse sparito del tutto lasciando solo nebbiosi ricordi della sua vita reale.
I piedi congelati a contatto con il ghiaccio freddo che lo sosteneva su quel mare di niente, un freddo che in un certo modo lo confortava: sentiva solo la sua consistenza liscia, ma senza scivolarvi sopra, stando anzi ben piantato sulle gambe.
La tormenta di bianca neve, soffice e allo stesso tempo pungente, che lo sfiorava e allo stesso tempo lo percuoteva, senza muoverlo di un centimetro. I ghiaccioli che gli laceravano la pelle senza provocargli né ferite né dolore e l’immenso piacere che, anzi, provava nel sentire picchiettare l’acqua solida su ogni millimetro del suo corpo.
E poi, quella nuvola. La nuvola che copriva le due sagome che lo tormentavano, e risvegliavano la sua bramosia, la sua curiosità, la sua voglia di conoscere. Le due figure scure che lo deridevano, in un certo senso, indicandolo e parlando tra di loro di lui come se si fosse trattato di una bestia rara. 
L’implacabile desiderio di poterle raggiungere, bloccato dalla consapevolezza che mai sarebbe potuto accadere per la sua natura, ma anche alimentato dal suo sogno, il suo meraviglioso sogno, che gli infondeva fiducia nelle proprie magiche capacità.
E finalmente il volo. Quel volo durato così poco ma talmente intenso di felicità e pensieri gioiosi da sembrare che durasse per un tempo lunghissimo. Quel volo che Sirdan tanto agognava con tutto se stesso fin da quando era bambino. Quel volo per cui invidiava gli uccelli e per cui si odiava nella sua natura di Nevico. Quel volo che gli era stato concesso solo per quella notte.
Durante tutti questi suoi pensieri, senza rendersene nemmeno conto, era giunto nella foresta, tra gli alti alberi innevati. Vide un tronco tagliato e lo utilizzò come appoggio per i suoi strumenti.
Per prima cosa prese della neve da terra e la posò in un cumulo sopra il tronco. Poi alzò il palmo sopra di essa e facendolo ondeggiare di qua e di la pronunciò forte e chiaro “Sabulum!”. La neve si trasformò magicamente in candida e fine sabbia, che Sirdan non avrebbe mai potuto vedere dal vero, poiché apparteneva a un ambiente non suo. Poi disegnò sul cumulo di sabbia un cerchio perfetto, formando pian piano una profonda conca al suo interno. Ora aveva la forma di un vulcano, altro elemento naturale che mai gli sarebbe stato concesso di osservare. Infine, col dito ancora insabbiato, puntò verso l’alto e ripeté piano ma chiaramente la parola “Clepsdra”. La sabbia si spostò piano piano a formare un cerchio più ampio. Poi da quello ci staccarono dodici puntini che si disposero sul suo contorno. Infine sempre da quello si staccarono due forme allungate che si disposero una ad indicare il quarto puntino e l’altra, più lunga, a indicare il decimo. Erano quasi le quattro di pomeriggio. Sirdan doveva ancora provare tanti altri incantesimi e aveva così poco tempo!
Decise di ripassare semplicemente quelli provati durante l’ultimo incontro.
L’Aqua Saliens funzionò per metà, poiché con il freddo pungente l’acqua si era cristallizzata in tanti sottili zampilli, come fosse stata una meravigliosa scultura astratta.
Invece l’Incantesimo Nutriente riuscì molto bene, facendo rotolare fuori dalla superficie del ceppo un buono e sano panino imburrato. Peccato che quello stesse rotolando in discesa verso il cuore della foresta. Sirdan si accinse a rincorrerlo, poiché non voleva sprecare del buon cibo. Correndo e ansimando riprese per un pelo il lauto pasto prima che questo cadesse dal ciglio di un burrone.
“Che rischio!” – pensò Sirdan – “Da quassù sarebbe proprio un bel salto!”. Lo stesso salto che avrebbe fatto se solo si fosse trattato del suo bel sogno, in cui era libero di spiccare il volo. Quanto lo desiderava.
Sirdan decise che per quella giornata era bastato il tempo degli esercizi. Era ora di dedicarsi a ciò che gli veniva meglio fare: pensare, riflettere e, soprattutto sognare.
Si sedette calmo, come se nulla fosse, sul ciglio del burrone, per osservare meglio ciò che nascondeva agli occhi di chi era lontano.
Nascondeva una bianca e vasta valle, dove qua e la spuntava un sempreverde e un basso cespuglio infreddolito. Non vi erano impronte, nessuno si azzardava mai a mettervi piede, ma sicuramente l’elfo non poteva scorgere nulla di piccolo e poco appariscente come una serie di orme bianche che si confondono sullo sfondo. Sicuramente qualche specie animale lo stava comunque osservando, nascosta in qualche dove sotto di lui, curiosando sospetta e fiutando il bene o il male in lui.
Appena sopra la valle si ergevano diverse colline, come tanti grandi cumuli di neve, i cui promontori ospitavano altrettanti boschetti. Quel genere di posto dove qualunque cattivo ragazzo vi porterebbe la propria fidanzata per allontanarsi da occhi indiscreti: romantico e allo stesso tempo molto appartato. Se qualcuno avesse tuttavia nascosto qualcosa tra quegli alberi, e qualcuno fosse andato a ficcanasare, allora il nascondiglio di quello sarebbe stato scoperto.
Più in alto ancora vi erano sei montagne, una più bella dell’altra: i Nevici le avevano chiamate, da destra a sinistra, con i nomi di Aase, Eli, Hege, Iselin, Oda e Unni. Le sei figlie di Monte Alto, in altre parole quelle rocce che si staccarono dal monte più alto e vecchio di tutti. Narrava la leggenda che Monte Alto, troppo stanco per il troppo peso che tutti i giorni doveva sopportare, avesse generato con grande sforzo le altre sette piccole montagne.
“HOOO”, e nacque alla sua prossima sinistra Hege, la montagna che brilla, poiché era quella che rifletteva meglio e in modo più estasiante la luce del sole nascente.
“IIIIIII”, e sulla destra fu generata Iselin, la montagna che sussurra, perché in molti avevano sentito parole a caso provenire dalla cima di quella.
“EEEEE”, e alla sinistra di Hege si erse Eli, la montagna semovente, giacché i Nevici avevano notato che la sua posizione era cambiata nel corso dei secoli, forse perché Eli odiava il suo creatore e voleva allontanarsene.
“OOOOO”, e aldilà di Iselin nacque Oda, la montagna che risponde, che ripeteva con il suo eco, ogni parola le fosse detta.
“AAAA”, e all’estrema sinistra vi fu Aase, la montagna che cresce, che, sempre secondo leggenda, voleva raggiungere senza troppa speranza l’altezza maestosa del padre.
Infine con un ultimo grido, “UUUU”, Monte Alto procreò Unni, la montagna del mistero, poiché nessuno mai aveva nemmeno pensato di esplorarla, perciò non si poteva capire se nascondesse meraviglie o orrori.
In mezzo alle sei sorelle si ergeva, appunto, Monte Alto, la più vecchia pietra nella storia Nevica, il simbolo della natura di quegli elfi, il luogo ove tutta la vita di Faysnow aveva inizio.
“… si narra che, in un giorno di un freddissimo inverno di secoli fa, Monte Alto fosse in preda ad una tormenta… ”.Le parole di Fingolfin gli ritornavano alla mente.
La concentrazione di Sirdan si spostò sulle bianche nuvole, che solitamente portavano bufere e tempeste sulla cima del Monte. Intemperie che chiaramente i Nevici non potevano né prevedere né osservare.
“ …Era davvero insolito un tempo del genere, poiché qui a valle il sole era sempre alto e il calore della stella si espandeva ovunque. Sulla cima, in particolare, la neve e il ghiaccio impedivano di vedere un evento eccezionale, al di fuori dell’immaginazione di ogni elfo… ”.
Quelle nuvole che nascondevano chissà che cosa nella loro ombra. Quelle nuvole che in realtà non avevano ombre, come i migliori esseri umani.
“ …Dietro una nuvola due sagome scure si muovevano e lo indicavano… ”.
Il suo sogno, in cui le nuvole erano padrone del suo più grande desiderio, delle due figure che avrebbero coronato il suo sogno se solo avesse potuto incontrarle. Almeno così sperava, in fondo Fingolfin aveva detto che era solo una leggenda.
Ripensando però a quel pomeriggio a Snowfactory Sirdan, per la prima volta, mise in dubbio la veridicità degli insegnamenti del suo maestro. Il giovane elfo era davvero convinto che Maranwè e Merenwen, le streghe gemelle dai grandissimi poteri, si nascondessero ancora, chissà dove, sulla cima di Monte Alto.
Mentre pensava a queste cose un calore su diffuse dalla sua spalla e poi a seguire in tutto il suo corpo. Una sensazione bellissima e inspiegabile.
Sirdan trovò la spiegazione di ciò che gli stava magicamente accadendo voltando leggermente la testa dietro di sé.
 

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Capitolo 5
*** Una Piccola Ragazza Dal Dolce Viso ***


Ovviamente era Tarì ad aver diffuso quel calore, e chi avrebbe potuto altrimenti? La giovane elfa era la migliore amica di Sirdan da che lui ne aveva memoria, compagna di giochi e avventure fin da infanti, complice di marachelle e segreti inesprimibili. Erano cresciuti insieme a Faysnow, e si erano giurati tempo addietro eterna amicizia, nel bene e nel male, quasi fosse un patto suggellato a sangue, tanto era intenso. Tarì col tempo si era fatta molto bella, tanto che era una delle elfe più ricche di pretendenti nel paese. Aveva i capelli scuri, lunghi e lisci, con qualche boccolo sul fondo, del colore della terra fertile, così invitanti al tatto. Quante volte Sirdan vi si era perso, accarezzandoli anche solo di sfuggita, infilando le dita tra le ciocche e scorrendo quella morbida seta lungo tutto il palmo, e il bello era che a Tarì non sembrava dare per nulla fastidio, a differenza di altre. Il suo viso era allungato e perfetto, il naso dritto e la bocca carnosa. Quella bocca così bramosa di attenzione ma che mai era stata violata da alcuno, nemmeno dai più belli e aitanti, poiché questo era il suo volere, di lasciarla pura e immacolata fino a che non fosse stato il momento propizio. Del suo viso però la parte più bella erano certamente gli occhi, scuri come pece; quegli occhi che nascondevano ogni cosa, così similmente a quelli di Sirdan e al tempo così diversamente. L’elfo non poteva nemmeno lontanamente immaginare cosa celassero, quali sentimenti offuscati e indistinti potessero nascondersi dietro quelle iridi oscure. Tarì si sedette appunto accanto a lui, con quel portamento che solo lei sapeva avere, e si strinse a lui molto forte. Aveva una presa solida ma delicata, che però straniva Sirdan perché non ne vedeva assolutamente il bisogno. Questo era il motivo di molte discussioni tra i due.
<< Io non capisco la tua paura, Tarì… >>
<< Di che stai parlando Sirdan? Io non ho paura di nulla! >> disse con fare scherzoso l’elfa senza mai guardare in basso.
<< Parlo ovviamente della tua paura del vuoto, degli spazi aperti e immensi, di quella sensazione che ti percuote quando l’aria ti riempie violentemente i polmoni … hai presente? >> disse Sirdan mentre osservava nuovamente il paesaggio indicandolo all’amica. La valle, così bianca, punteggiata di cespugli sempreverdi. Le colline, ricche di boschetti appartati. Le sei montagne figlie di Monte Alto. Sirdan avrebbe tanto voluto gettarsi in quel burrone con la sua migliore amica per mano, e volare sopra a tutto quel candore per farle vedere il suo mondo, in altre parole tutto ciò che vedeva solo lui attraverso occhi curiosi e affamati di particolari che nessuno notava. Ahimè, però l’amica non sarebbe stata contenta di ciò.
<< D’accordo, mi hai beccata! Comunque non ci vedo nulla di male! Tutti hanno paura
di qualcosa! >>
 
<< Certo, ma com’è possibile che tu non sopporti l’idea del volo? È incredibile che un essere così leggiadro, quale sei tu, non desideri di vivere al pari delle aquile, dei passeri e dei colibrì! Io non so che darei per poter … >>
<< … volare! Lo so Sirdan, credo che da quando ci conosciamo, in altre parole da sempre, tu non abbia fatto altro che ripetermi queste parole tutti i giorni! Lo sai che a me non piace immaginarti lì nel vuoto, in una situazione in cui da un momento all’altro potresti precipitare … ed io ti vedrei laggiù a valle, steso, insanguinato, morto … >>.
<< D’accordo! Hai reso l’idea … >> e l’elfo sorrise al pensiero che mai la sua amica avrebbe mandato giù il fatto che lui desiderasse di volare con tutto se stesso. E pensare che sua madre voleva a tutti i costi che i due si sposassero quando avessero avuto l’età adatta per farlo. Avevano litigato molto quel giorno lui ed Eril. Lei era convinta che Tarì, vista la grande amicizia che li univa da sempre, fosse l’elfa più adatta a lui sia caratterialmente che fisicamente, che non ne esistessero altre al mondo in grado di capirlo e sostenerlo, di convivere con le sue stranezze e con i suoi comportamenti introversi e, talvolta, addirittura asociali. D’altra parte Sirdan la pensava in modo completamente differente. Per lui Tarì era una bellissima elfa, con un gran carattere e molto carisma, sapeva farlo ridere quando era necessario e c’era sempre se lui aveva bisogno una mano, e questo nessuno poteva negarlo. Comunque era solo un’amica, che mai avrebbe occupato il posto della magia nel suo cuore. Nessuno avrebbe mai potuto farlo, desiderava troppo imparare tutto ciò che c’era di magico da sapere per poter, un giorno, realizzare il suo sogno di diventare maestro in quest’arte privilegiante i puri di cuore. La discussione era rimasta tra loro e alla fine la madre di Sirdan aveva ceduto alle solide motivazioni del figlio, tanto che in breve Tarì fu promessa sposa a un altro. La voce della migliore amica lo risvegliò dai suoi ricordi.
<< Dimmi un po’, che stavi facendo qui tutto solo? >>
<< Guardavo il paesaggio e mi beavo della sua bellezza … >>.
<< Effettivamente oggi Hege è più brillante del solito non trovi? >>
<< Già! Riflette che è una meraviglia! Sembra un Sole venuto in visita sulla nostra Terra … >>.
<< Poetico, amico mio … come al solito sai essere fin troppo poetico e romantico! >>
E con un sospiro Tarì si abbandonò sulla spalla del suo migliore amico come fosse un morbido cuscino. Tarì in realtà pensava ben altro di Sirdan rispetto al romantico e al poetico. Per lei Sirdan era tutto il suo mondo. Era il Sole quando si svegliava e la Luna quando si addormentava. Era nella brezza che la investiva quando metteva un piede fuori dall’uscio ed era nel fuoco scoppiettante del forno dentro casa sua. Era nel piccolo ritratto sul suo comodino ed era parte della sua famiglia. Sirdan rappresentava il suo passato, presente e futuro, senza il quale lei non avrebbe potuto vivere. Era perdutamente innamorata del suo migliore amico, ma aveva sempre paura di essere avventata con lui, di affrettare troppo le cose, di ferirlo in qualche modo o di comportarsi in maniera troppo brusca per il carattere di Sirdan. Aveva paura con un solo gesto di perderlo per sempre. Perciò stava sempre nell’ombra, aspettando un segno che mai arrivava, fremendo invano per quel propizio momento in cui entrambi si sarebbero dichiarati e avrebbero coronato il loro sogno d’amore. A Sirdan non interessava l’amore puro, piuttosto quello artificiale, creato con un incantesimo, perché solo la magia era padrona assoluta del suo cuore, che aveva creato una barriera impenetrabile intorno a quell’organo di modo che alcuna ragazza potesse scalfirlo o conquistarlo attraverso semplici sentimenti. E il destino, oltre a quella sua lotta quotidiana con l’amore, le aveva offerto anche un’altra complicazione: il suo fidanzato. Beren era uno dei più begli elfi del paese, ma gli mancava l’intelligenza e l’acume che caratterizzavano Sirdan. Dimostrava la sua forza a ogni occasione, per farsi valere e per primeggiare sugli altri, ma non aveva la capacità di sognare e di inseguire un obiettivo specifico. Il suo unico desiderio era di essere il più forte di tutti e che gli elfi notassero e condividessero la sua supremazia sul villaggio. Ovviamente era tutta una finta, perché in realtà Beren era solo un gran codardo, che se la prendeva con i più deboli e si nascondeva dietro ai più forti. Non le piaceva per niente, in pratica lo odiava sotto ogni aspetto, e comunque il suo cuore ormai apparteneva da anni a un altro elfo. Un elfo che le sedeva al fianco proprio in quel momento sul ciglio di un burrone che, alla sua presenza, magicamente non la terrorizzava più nonostante l’immensa altezza e la vastità di vuoto che lo riempiva.
<< Giochiamo all’eco come da piccoli? >> disse Sirdan all’improvviso destando Tarì dai suoi pensieri. L’elfa, pensierosa, si chiese il motivo di quella richiesta. Forse l’amico aveva solo voglia di divertirsi un po’.
Lei si alzò e gli prese la mano per aiutarlo ad alzarsi. Poi si guardarono con intesa e si voltarono verso Oda, la montagna che risponde.
<< Cosa le diciamo Sirdan? >>. L’elfo, scherzosamente, gonfiò il petto e finse austerità.
<< Oggi, signorina, l’argomento di cui tratteremo saranno le stelle. Bisognerà quindi pronunciare solo parole riguardanti questi astri luminosi! >>.
<< Oh! Certo, maestro! >> rispose Tarì con un inchino profondo, stando al gioco dell’amico. << Cominci pure lei! >>.
Sirdan prese fiato e poi diede inizio ai giochi.
<< LUCE! >> uce … uce … uce … rispose Oda.
<< FUOCO! >> oco … oco … oco … disse la montagna per risposta a Tarì.
<< COSTELLAZIONE! >> - << NOTTE! >> - << PUNTINI!!! >>
One … one … one …
Otte … otte … otte …
Ini … ini … ini …
Buongiorno …
A quell’ultima parola i due elfi si fermarono. Si guardarono. Infine scoppiarono a ridere, facendo riecheggiare la valle delle loro risate rumorose.
<< Deve essere stata Iselin! >> disse Sirdan quand’ebbe ripreso fiato.
<< Già! Sarà il caso di risponderle … >> disse Tarì preparandosi a un nuovo urlo. Sirdan la fermò tappandole la bocca con un palmo.
<< No zitta, lasciala riposare. Per oggi abbiamo giocato abbastanza. Ora si è fatto tardi. È quasi buio. Ti va di andare a prendere qualcosa di caldo da bere alla Locanda? >>.
Tarì annuì, sempre con la mano di Sirdan davanti alla bocca. E allora lui le sorrise da dietro la sua testa.
<< Allora, per aver accettato di non fare più l’elfa sciocchina, per oggi chiaramente, ti meriti un regalo! >>. Dopodiché pronunciò a bassa voce Flos Floris all’orecchio dell’amica. Poi tolse la mano dalla sua bocca stringendola a pugno e le chiese di soffiare su di esso. Non appena quel piccolo vento caldo dalla bocca di Tarì andò a sfiorare la sua pelle, la mano si aprì e ne tirò fuori uno stupendo fiore rosso.
<< E’ bellissimo Sirdan! Che fiore è? Non ne ho mai visti di simili! >> disse Tarì prendendo quei morbidi petali tra le dita con un bagliore impareggiabile negli occhi.
<< Qui non possono crescere fiori così belli, e questo è solo tuo! Se vuoi puoi dargli un nome, ma bada! Sarà un nostro segreto, amica mia! >> disse Sirdan facendo l’occhiolino. << E ora andiamo alla Locanda prima che faccia troppo buio … >>.
 
<< Grazie Sirdan! Ti voglio bene >> fece Tarì estasiata per la bellezza del regalo aggrappandosi all’avambraccio dell’amico.
 
*°*
 
Una volta alla Locanda ordinarono due infusi, uno alla malva e uno al mirtillo. A Sirdan piaceva tanto prendere infusi che lo calmassero, che gli dessero in ogni momento la pace dei sensi, cosa che lo aiutava molto anche durante i suoi esercizi di magia. Invece a Tarì piacevano i sapori forti, fruttati, che esaltavano il suo spirito giocoso e talvolta infantile, in particolare quando era in compagnia del suo migliore amico. Si sedettero vicino a una finestra che dava sul sentiero principale di Faysnow, dove alcuni elfi rientravano frettolosi a casa propria per potersi preparare alla cena. Ormai solo un sottile strato di nevischio lo copriva quasi per intero, tanto era il tempo che non nevicava nel villaggio. In realtà al momento sembrava solo una fresca primavera, forse non era così impossibile che crescessero fiori insoliti o che vi fosse il Sole caldo in fondo.
<< Tarì, tu non sei un po’ preoccupata per il fatto che a Faysnow non nevica più da giorni? >>
<< Effettivamente, ora che mi ci fai pensare, un po’ mi preoccupa. Comunque c’è chi ci sta lavorando a Snowfactory se non mi sbaglio … Non credo dovremmo essere noi quelli in ansia, perciò rilassati e goditi la tua malva prima che sia troppo calda per i tuoi gusti! >> fece l’elfa sorridente all’indirizzo dell’amico che, sbuffando, era tornato a sorseggiare il suo infuso.
Ed ecco l’ennesima persona che era convinta non ci fosse nulla di strano nel fatto che non nevicasse più da giorni. Perché solo lui si preoccupava dell’incolumità dei Nevici in tutto il paese? Perché nessuno si accorgeva della gravità della situazione?
All’improvviso Tarì lo spinse sotto il tavolo con forza, facendolo quasi strozzare con l’infuso che stava cercando di finire tra un pensiero e l’altro.
Tossicchiando cercò di guardare cosa avesse fatto agitare l’amica fino a quel punto: perché mai voleva nasconderlo?
La risposta non si fece attendere. Sirdan, incurante del potenziale pericolo, aveva tirato fuori di nuovo la testa da sotto il tavolo, e subito aveva incrociato a pochi centimetri dal suo naso gli occhi di Beren.
Quello sguardo geloso e arrabbiato non prometteva nulla di buono e, al momento, Sirdan poteva cavarsela solo deglutendo l’ultimo sorso d’infuso alla malva che non era riuscito a godersi poco prima.

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