Descrescent [Flavours]

di Lady Antares Degona Lienan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Four rings of light upon the ceiling overhead ***
Capitolo 2: *** The smell of hospitals in winter ***
Capitolo 3: *** Everything you ever wished for ***
Capitolo 4: *** As long as you're mine. ***
Capitolo 5: *** Above the thunder. ***
Capitolo 6: *** A new iconography of Resurrection. ***



Capitolo 1
*** Four rings of light upon the ceiling overhead ***


Four rings of light upon the ceiling overhead

Four rings of light upon the ceiling overhead

Quattro cerchi di luce sul soffitto

 

 

 

 

Temari guardò il soffitto, sconsolata.

Il soffitto guardò Temari, sicuramente con minore intensità: ma la ragazza era fermamente convinta del fatto che quel dannato rivestimento di paglia la stesse fissando.

Si girò da un lato. Sputò. Tornò a guardare in alto.

Di giorno faceva troppo caldo, di notte troppo freddo. In un modo o nell’altro, la ragazza aveva sempre una scusa per non dover uscire all’aria aperta e mettersi a guardare il cielo.

Osservò annoiata i suoi soliti vestiti coprirle il corpo ben proporzionato ed ondeggiare al ritmo cadenzato del suo respiro, su e giù, su e giù. Di nuovo su. Poi giù.

 

Cominciava a subentrare l’apatia della giornata, pensò stancamente lei. Gettò un’occhiata azzurrina all’orologio e notò, sgomenta, che erano solo le tre del pomeriggio.

- Cazzo. – disse. Si alzò, ma lo slanciò eccessivo la fece ruzzolare sul pavimento, col mento in avanti. Poi – Cazzo. –

Il ventaglio, abbandonato sullo stipite della porta della cucina, aveva un angolo un po’ strano, e le ombre sulla stoffa andavano a formare un… ghigno?

Come se non bastasse il soffitto.

 

Le tre e mezza, pensò. Giustamente, aveva cercato di ingannare il tempo giocando con le temari, ma dopo mezz’ora in cui aveva provato ogni combinazione possibile per quelle palle di corda si era costretta ad ammettere di non essere un gatto – e quindi, di non voler passare il resto della sua vita rotolando dietro a delle stupide palline colorate.

 

Niente da fare: a quanto pare, aveva esaurito la sua scorta di già limitata pazienza in tutti i giorni precedenti che aveva passato nella stessa identica, noiosa maniera.

Tuttavia, Temari perseverava nella sua decisione: non sarebbe uscita di casa.

 

Non lo avrebbe fatto, no.

Così, avrebbe evitato gli occhi tristi di Gaara, e il suo viso liscio, privo d’espressione.

Il pendolò batté le quattro del pomeriggio.

 

Un’altra mezz’ora.

I pensieri volavano veloci nella sua mente.

 

 

Si svegliò di soprassalto col tipico raspare discreto di una lucertola sulla stuoia.

Osservò il piccolo rettile – e, diciamocelo, gli si sentì particolarmente affine – e quindi sorrise. Le erano sempre piaciute, le lucertole. Discrete ma capaci di assalti letali, se adeguatamente nascoste nell’ombra.

Ed era così che Temari intendeva giocare la partita dei suoi sentimenti: nascosta.

E, possibilmente, muta.

 

Dei piccoli granelli di sabbia fluttuavano pacati nell’aria, mentre altri, quieti, rotolavano sul pavimento in silenzio.

Temari, assolutamente annoiata, si mise a contare il numero di macchie sparse sul pavimento.

2 di sangue, 3 di sabbia impastata. No, 4 di sangue.

Kankuro aprì la porta d’ingresso e, cercando di muoversi più aggraziatamente possibile, si mosse verso di lei.

- Cosa speri di fare, fratello? –

- Di rapirti e portarti all’aria aperta. – rispose.

- Non sono particolarmente incline a questa richiesta. –

- Non lo sei da una settimana. –

- E ho intenzione di esserlo ancora per molto. –

Il ragazzo delle marionette alzò le spalle, deluso. – Sei cambiata, Temari. –

- Chi non lo è? –

Kankuro la fissò per un ultimo lungo istante. Scosse la testa, anche lui stanco di aspettare, e si diresse verso la camera.

Temari sospirò.

Non poté far a meno di pensare che, ancora una volta, era tutta colpa di Gaara.

 

 

Esattamente una settimana prima, a Sunagakure, il vento aveva deciso, in chissà quale impeto di buonismo, di lasciar tirare un paio di sospiri agli abitanti della Sabbia.

Temari, non particolarmente entusiasta ma nemmeno indifferente all’avvenimento, aveva visto l’occasione giusta per poter fare una camminata nel deserto, di notte.

Non fosse per il fatto che Gaara aveva stabilito che non era sicuro, e si era obbligato a seguirla.

 

La sorella aveva alzato le spalle e si era avviata verso le dune a passo spedito.

Vedeva la timida ombra del fratello minore dipingersi sulla sabbia alle sue spalle.

Suo malgrado, non era riuscita a rilassarsi come al solito. Dopo un’oretta di camminata, infatti, si era lasciata cadere per terra.

 

- Cosa fai? –

- Mi rilasso, no? Quello che dovresti fare anche tu, ogni tanto. Sai, sdraiarsi sul letto e… -

Aveva compreso con un attimo di ritardo di aver detto le parole sbagliate.

- Gaara, non… -

Lui non poteva dormire.

- Non importa. Non so cosa voglia dire rilassarsi. Quando sento le palpebre pesanti mi costringo a fare qualcosa per non cadere a terra.

- Gaara, ascolta, non volevo dire… -

- E sai qual è la cosa peggiore? Non è nemmeno colpa mia. –

Il tono era rimasto pacato per tutto il discorso, quasi assente. Temari si era alzata, scossa.

Era stato allora che le aveva viste. Trasparenti su quel viso bianco come quello di una bambola.

Lacrime.

Cadevano sul naso e poi, perdute, si gettavano sulla sabbia, dove scomparivano in un secondo, assorbite dalle dune.

La ragazza aveva pensato che quella era tutta la vita di Gaara,

Non c’è niente di lui che non appartenga alla Sabbia.

ed era una vita triste.

 

Da allora, non era più riuscita a fissare in viso il fratello senza che una sorta di dolore le si arrampicasse, assolutamente non desiderato, per tutta la schiena.

Aveva risolto le cose nella sua solita sbrigativa maniera, come era solita fare: si era chiusa in casa.

Così Gaara, seduto sul tetto, sarebbe rimasto solo un ricordo.

E il cuore di Temari, abbandonato dentro la stanza, non avrebbe sofferto.

Non troppo, almeno.

 

Riaprì gli occhi, che automaticamente caddero sull’orologio davanti a lei.

Le sette.

Aveva fatto un notevole passo in avanti.

Di nuovo un solitario grattare la costrinse ad aguzzare la vista, in cerca dell’ennesima lucertola clandestina.

Temari sbatté le palpebre, perplessa.

Stanchezza a parte, le pareva di non aver mai visto delle lucertole grigie.

Un topo.

- Ah. –

La sua mente, parzialmente annebbiata dal sonno, scelse il momento peggiore per ricordarle che, in effetti, aveva sempre provato una folle paura verso quegli animaletti molesti.

- Oh. –

Un secondo, due.

Poi Temari iniziò ad urlare, disperata.

 

Gaara sussultò.

Indirizzò lo sguardo sul pavimento del tetto su cui era seduto e, istintivamente, pensò che Temari aveva urlato.

Nella furia di alzarsi, però, non aveva considerato un ribelle lembo del suo completo che, col solito proverbiale tempismo cui erano soliti quei dannati cosi, si era infilato sotto la sua scarpa.

Il ragazzo si sentì subito ributtare verso terra.

Atterrò di sedere, sbattendo contemporaneamente anche la testa, il piede destro e il corrispettivo gomito.

Infine, la paglia non aveva retto il suo dolce peso e si era semplicemente aperta sotto di lui, lasciandolo in balia della gravità.

Gaara si sentì precipitare.

Cadde, con gli occhi chiusi.

 

Il silenzio angoscioso che cadde – anche lui – sui due sapeva molto di derisione.

Temari alzò un sopracciglio, attendendo che quello che rimaneva del fratello sbucasse da quel grumo indistinto di paglia e travi.

- Non… -

- Che bravo. –

- Hai urlato, ecco. Pensavo avessi bisogno di aiuto. –

- In effetti si, c’era un topo. Ma credo che tu lo abbia schiacciato, oramai.

- Ah. –

Gaara si sentì incredibilmente idiota. – Torno sul tetto. –

- L’hai appena sfondato. –

- Ah. –

- Già. –

- Vado al campo ad allenarmi. –

- Si. –

Kankuro, attirato dal fracasso, mise piede nella stanza solo due minuti dopo, quando ormai del minore non c’era più traccia. Temari era tornata in posizione prona, di fianco alle macerie.

- Ma che diamine… -

- Non è nulla, poi ci penso io. –

Il burattinaio alzò le spalle, perplesso. – Non serve aiuto? –

- No. –

 

Le sette e mezza.

Temari, indolente, tirò un lungo sospiro.

Continuava a fissare il soffitto.

Ma là dove Gaara aveva sbattuto, cadendo, si erano formati quattro cerchi perfetti, che lasciavano trasparire una fioca luce.

La ragazza, in un ultimo solitario pensiero prima del sonno, non poté far a meno di pensare che, ancora una volta, era tutta colpa di Gaara.

 

Meno male.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Prima che mi prendiate per una cretina.

È mezzanotte e 16 minuti e la mia febbre ha toccato i 40.

La storia è stata concepita in un momento di pura follia, ecco. Pure io con le Flavours.

La colpa è ovviamente di Kodamy. E di chi, se no?

Sua anche la colpa se ho pubblicato questa fanfic. Me l’ha fatta passare.

Grashie, amora**

 

Come avete notato, non ho così tanto buona volontà per andare in ordine.

Questo era il terzo titolo.

Il prossimo, se non mi sbaglio, sarà il diciottesimo.

 

 

[Next]

 

The smell of hospitals in winter.

 

Solo i morti sentono l’odore di ciò che li ha uccisi.

E, in fin dei conti, Sasuke era già morto.

 

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Capitolo 2
*** The smell of hospitals in winter ***


The smell of hospitals in winter

The smell of hospitals in winter

L’odore degli ospedali in inverno

 

 

 

 

 

 

L’odore degli ospedali in inverno era lo stesso che vi si respirava durante tutte le altre stagioni. Per tutta la vita.

Ammesso che mai qualcuno avesse avuto il coraggio di definire quel lavoro vita e quel muoversi della cassa toracica respirare.

 

Sakura Haruno faceva il ninja medico da molti anni, ormai: e quel odore era diventato abitudine. Disinfettanti, medicine, ferite in cancrena, morte.

 

L’effluvio delicato eppure insistente dei corpi in decomposizione cosparsi di violette in attesa di essere sepolti. La vista di espressioni contorte e sofferenti. Il suono dei lamenti, seppelliti sotto i cuscini bianchi. Il sapore persistente di un’amara quanto sempre più vicina sconfitta. La ruvidezza delle lenzuola, bianche anch’esse, ultimo baluardo di purezza in quel luogo di desolante abbandono alla morte.

 

I suoi tacchi percuotevano con ritmica furia il pavimento in delicate tonalità di rosa confetto. I suoi occhi verdi si scontravano con quelli dei pazienti ancora da ricoverare. I suoi capelli, rosa, stonavano con il delicato bianco spento del soffitto.

 

Tutto in lei stonava, con quel posto.

Eppure Sakura sapeva che non avrebbe potuto farne a meno.

 

 

- Haruno, al primo piano c’è bisogno di te. – lei inclinò un sopracciglio, dubbiosa. Non era la sua zona, quella. Ad ogni modo, levò le spalle in un gesto di sconforto e si diresse con calma verso le scale.

Senza fretta e senza desiderio.

Il primo piano era il reparto pediatrico. Gemiti persistenti di neonati riempivano le mura delle stanze, generando una continua confusione che lei sapeva di non poter sopportare – ecco perché le era parso strano che l’avessero mandata li, lei odiava i bambini –

 

- Haruno, Shizune ti vuole di sotto. –

Un’altra zona che non era mai stata di sua competenza.

Ancora bambini, solo più grandi.

E più malati. La sofferenza sui visi era tangibile – così forte da provocare dolore a sua volta in coloro che osavano fissarli troppo. Sakura cercò Shizune in lungo e in largo, entrando più volte nelle stesse camere, passeggiando nervosamente per i corridoi deserti.

L’aria sapeva di caramelle – odore dolciastro per dissimulare quello di morte incombente – e di zucchero filato – ultima cena per i malati.

 

Dalla finestra aperta spirava un vento tagliente che non tardò a ricordare a Sakura quale stagione fosse.

L’inverno quel anno li aveva colti impreparati, sfoggiando con letale precocità il suo mantello bianco di neve.

Molti, troppi ninja erano morti assiderati durante le missioni.

L’ultimo se n’era andato giusto ieri. Le aveva preso la mano e l’aveva fissata fino alla fine.

Probabilmente non avrebbe voluto morire – ma chi, d’altronde?

 

Era quello che voleva comunicare l’odore degli ospedale, in inverno, così come in un’altra qualsiasi stagione.

Disperazione, abbandono.

Ma anche cieca speranza.

Solo i morti sentono l’odore di ciò che li ha uccisi.

 

Shizune non arrivava. Decise che aveva atteso anche troppo: prese le scale per recarsi nella sala comune. Incrociò una sua compagna d’accademia che, nel vederla salire, impallidì – prima – e le sbarrò la strada – poi.

- Sakura-chan! Non… dovresti essere qui. –

Un’espressione di evidente scetticismo le si dipinse in faccia. – Himire-chan, mi sto semplicemente recando alla sala. –

- Ti cercava Shizune, mi hanno detto. –

- Shizune non c’è. Ma che diamine sta succedendo? È tutta la giornata che vengo sballottata da una parte all’altra dell’ospedale perdendo solo tempo e non ottenendo nulla di rilevante! – sbottò irritata.

 

La giornata era iniziata male.

Non appena si era alzata si era resa conto di aver sognato Sasuke. Il letto era umido e il sudore le colava lungo tutto il corpo, rendendola sporca e appiccicosa. Ma non era quello che le aveva dato fastidio.

Era il fatto che, anche tre anni dopo che lui aveva deciso di andarsene, la sua mente cercasse ancora un luogo in cui poterlo rivedere, toccare, baciare. Far tornare vivo, insomma.

E questo Sakura Haruno non poteva permetterselo, perché sapeva bene che il dolore l’avrebbe portata ad auto distruggersi. Quindi, che Himire la stesse bloccando per le scale ostacolandole il passaggio era l’ultima di cento note negative accumulate in un solo giorno - pessima sinfonia.

La spintonò non troppo gentilmente, scostandola di lato e imponendosi con la sua forza sovrumana. – Scusa, Himire-chan. –

 

Ogni volta che arrivava all’ospedale pregava di non vedere il suo nome fra quelli dei pazienti.

O dei decessi.

Ogni volta che degli ANBU tornavano da una missione sperava di non essere costretta a rimirare il suo volto.

Ogni volta che un suo paziente se ne andava, urlava per non aver potuto fare di più.

Urlava perché sapeva che sarebbe successo anche con Sasuke.

 

Dei giorni invece desiderava ucciderlo con tutta se stessa.

 

 

Quando finalmente riuscì a recarsi nel piano chirurgia, dopo un intero giorno di infruttuosi tentativi, capì subito che qualcosa non andava: troppe vibrazioni nell’aria.

Qualcuno stava sprigionando un’enorme quantità di chakra.

Tsunade.

Affettò il passo verso la camera operatoria. L’ombra dei capelli biondi di Naruto nascosti dietro l’angolo si proiettava sul muro di fronte a lei.

- Naruto. –

Il ninja si voltò. Era in lacrime. – Sakura-chan… -

 

Corse. Corse per quanto le sue gambe stanche glielo permettessero.

Quasi sradicò la porta, tanta fu la violenza con cui la spalancò.

 

Poi, i suoi occhi.

E i suoi capelli.

Su un letto bianco.

Il nero sta bene col bianco.

Io e lui saremmo stati bene, insieme.

 

Poi, il rosso. Rosso che deturpava non solo gli occhi, ma anche tutto il suo viso, e giù, fino al torace, dove il suo cuore, praticamente esposto al cielo, batteva sempre più piano.

Chiunque fosse stato doveva essere forte. Molto forte.

 

Morirà, pensò lei.

I polmoni si sforzavano di comprimersi e poi di nuovo espandersi, ma sempre con minor rigore rispetto al respiro precedente. Senza accorgersene, la ninja prese a respirare con lui.

Sasuke sta morendo.

 

- Sakura. – Tsunade la fissò, incerta. – Non possiamo fare nulla. –

Lei annuì: essere un ninja medico l’aveva portata subito a vedere quella verità che avrebbe tanto desiderato mantenere sopita, oltre la coscienza.

La sua maestra si alzò e scivolò via, oltrepassandola piano. La porta, richiudendosi, produsse un suono fievole e delicato.

 

Gli si avvicinò, mentre le gambe urlavano di non poter reggere il suo peso ancora per molto e le sue mani erano scosse da un tremito incontrollabile.

- Ciao, Sasuke-kun. –

Con un tocco leggero tolse un ago dalla sua pelle nivea. Niente più sangue nuovo.

Ne tolse un altro. Niente flussi di chakra aggiuntivi.

Un altro ancora. Niente più nutrimento.

 

Sarebbe dovuto morire da ninja.

- Sakura. – dolce richiamo, nella stanza. Lei sorrise. – Sakura, me ne vado. –

- Si, Sasuke-kun. –

 

Solo i morti sentono l’odore di ciò che li ha uccisi.

 

E, in fin dei conti, Sasuke era già morto.

 

- Sakura, grazie. –

Un altro sorriso.

- Prego, Sasuke-kun. –

 

La trama delicata della sua pelle ancora tiepida.

La vista del sangue sui suoi capelli d’ebano e sulla pelle chiara, nivea, mai contaminata dal sole.

Il rantolo del suo ultimo respiro.

Il dolce sapore di un addio a cui era stata concessa finalmente risposta.

 

E poi,

… poi, l’odore degli ospedali d’inverno.

 

Come in tutte le altre stagioni.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Oh, grazie per le recensioni!

 

Lupus: molte grazie per i complimenti. Se la febbre mi aiuta così tanto nello scrivere, sarà meglio che mi ammali più spesso, ecco.

 

Artemisia89: ti ho mai detto che il mio colore preferito è il viola? [vago e assolutamente disinteressato commento, che non vuole far minimamente menzione al colore del drappo per il tempio]. Ad ogni modo sono contenta che ti sia piaciuta. SI, le flavour sono da applicare a qualsiasi fandom, e quindi anche agli originali, suppongo. Un bacio!

 

Kodamy: Luce della mia vita** (L) Ringrazio sentitamente per i complimenti. Idee… troppe ultimamente, ne? Mah. Ne verremo a capo, prima o poi. Spero. Prego.

 

Mary Garner: io AMO le lucertole, devo dire. I rettili in generale, ecco. Insomma, trovo che abbiamo un muso così divinamente delicato ed intelligente… mi conquistano.

Grazie, allora il mio nick piace a qualcuno. A me, per nienteXD Ma fa così taaaanto finto nobile che non ho saputo resistere, diciamo. Le flavours? Sono storie su qualsiasi fandom, i cui titoli ti vengono già dati. Guarda, basta una banalissima ricerca su internet. In ogni caso, se vuoi mandami una mail.

 

Kirjava: prendere Gaara e sbatterlo in un contesto vagamente ironico è una delle cose che mi diverte di più. Anche perché, sai, vederlo sempre serioso… invece poi ho scoperto che si scrive praticamente da solo. Bravo bambino**

Temari, non so perché, ma me la immagino molto “rude”. Così ho cercato qualcosa in contrapposizione, di signorile. La paura dei topi mi pareva appropriata, eccoXD

Povera^^

 

 

 

 

 

[Next] – 4°

 

Everything you ever wished for.

 

Il menù della serata comprendeva, in ordine, speranza, stallo e quindi delusione.

Lei doveva fare in modo che tutto andasse per il verso giusto, così si era appollaiata fuori dalla finestra, sui rami dell’albero.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ah, un piccolo avviso:

Jemei, se mai leggerai questa fanfic : sappi che se non vedo una tua mail sulla mia casella di posta entro 48 ore, vengo a stanarti. E saranno guai XD

Guai seri. *smile*

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Capitolo 3
*** Everything you ever wished for ***


Everything you ever wished for

Everything you ever wished for

 

 

 

 

Il menù della serata comprendeva, in ordine, speranza, stallo e quindi delusione.

 

Lei doveva fare in modo che tutto andasse per il verso giusto, così si era appollaiata fuori dalla finestra, sui rami dell’albero.

 

Il bambino era immobile al centro della sala, abbandonato come era sempre stato abituato ad essere, fin dai primi tempi dell’infanzia. I capelli rossi erano puliti e lucenti, specchio per le allodole, chi si fosse fermato ad osservarlo avrebbe pensato che era un bambino pulito e ben curato.

 

Nella realtà dei fatti, lui era semplicemente solo.

 

La donna, da fuori, tirava un sospiro di sollievo. Lui doveva rimanere così, affinché potesse sviluppare la sua abilità.

E non importava davvero di quei silenzi assordanti nella loro immobilità, o delle parole che non udiva mai, o ancora, delle occhiate di pena che racimolava ogni qual volta si decideva ad uscire.

 

Andava bene. Andava bene così.

 

Semplicemente solo.

 

Il rosso alzò gli occhi, scosso da un rumore, mentre le sue piccole mani affusolate stringevano spasmodicamente la tunica nera che era solito vestire.

La porta della stanza si spalancò lentamente, in piccoli scatti che sembravano tradire una certa debolezza, mentre due figure dietro di essa, ancora immerse nella penombra, si lasciavano andare a compromettenti sorrisi.

 

- Mamma, papà! – un piccolo sorriso si dipinse sul volto del bimbo.

 

Speranza.

 

La donna aveva capelli neri come i corvi e gli occhi un po’ fissi, quasi vitrei. Sorrise al figlio con un sorriso innocente, riflesso dell’altro.

 

L’uomo, invece, portava i capelli rossi tagliati un po’ malamente. Quando si sedette di fianco al ragazzino, in silenzio, un rumore meccanico raspò l’aria.

 

- Mamma, papà, alla fine siete venuti a trovarmi. Come è stato il vostro viaggio? –

 

Le sue manine, svelte, si muovevano sul tessuto. Cercando di essere sempre meno visibili.

 

I due chinarono la testa, contemporaneamente, e la madre mise la mano sinistra sulla spalla del figlio, come a volerlo tirare a sé in un piccolo moto di gentilezza.

 

Lui si lasciò prendere da quel richiamo, afflosciandosi sul corpo di lei.

 

La donna traballò pericolosamente, ondeggiando sul pavimento.

 

- Oh, scusa mamma. – di nuovo un piccolo sorriso. Quella smorfia aveva l’incredibile potere di renderlo sicuro, come confortato, e una sorta di calore si diffuse per tutto il suo piccolo petto, al ritmo del suo respiro.

 

- Mamma? –

 

Stallo.

 

La donna continuava a sorridere, fissa.

 

- Papà, perché non mi racconti come è andato il viaggio? Lei non vuole dirmi niente. –

 

Una leggera brezza mosse i capelli della donna che, sempre appollaiata sui rami, continuava ad aspettare.

Non un solo animale osava respirare o lanciare striduli echi nell’aria, contribuendo così alla realizzazione di un momento particolare.

 

L’uomo, dentro la stanza, stava seduto, lontano dal piccolo, e nessun calore pareva venire dal suo corpo.

 

- Perché non dici niente? –

 

Le sue piccole manine erano contratte sulla stoffa, e si muovevano sempre più piano, sempre con più fatica. Piccole gocce di sudore gli colavano giù dal collo, infilandosi sotto i vestiti.

La sua espressione si faceva sempre più sofferente.

 

- Papà…? –

 

Lui si alzò e, dal lato opposto di quello della madre, gli cinse la vita sottile, come a racchiuderlo in un piccolo abbraccio.

Finalmente il bambino si sentì completo.

 

Ma così era troppo.

L’attenzione calò all’improvviso.

 

La donna, fuori, tese il collo per vedere meglio.

 

Delusione.

 

I corpi dei due si afflosciarono immediatamente a terra, quando il bambino smise di muovere quelle fragili mani.

 

Il silenzio tornò a racchiudere la stanza, misericordioso, o forse semplicemente rivelatore di una realtà crudele.

 

La vecchia, alzandosi, sospirò.

 

La voce del bimbo le giungeva da lontano - Mamma, papà, alla fine siete venuti a trovarmi. Come è stato il vostro viaggio verso l’Inferno? –

 

Le marionette, come ovvio, non risposero.

 

Sasori rimase lì, a fissarle, unico corpo pulsante nella stanza. Pensò che era stupido.

 

O forse, semplicemente solo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ad ogni modo, mi sono presa una fissa per i cattivi. Ma vaaa? Che roba strana, ecco.

Ah, lasciamo stare.

 

Jemei: sembravi una povera derelitta impalata per la causa delle Saku/Sasu XD  Ah, amen tesoro, consolati: sono una coppia dannatamente… riuscita, ecco. Temo non la abbandoneremo per un bel po’. Grazie per le recensioni, teshora**

Me molto molto molto contenta. E, ovviamente, macabro forever*_*

 

Artemisia: ormai sei diventata la poetessa dei commenti. Posso chiamarti così? Lo trovo assolutamente stupendo. Insomma, le tue recensioni fanno sempre un piacere dell’anima, per brevi o lunghe che possano essere. Specialmente quando cogli in pieno il senso che ho voluto attribuire alla storia. Grazie dolcezza**

 

Kodamy: Ahr*_* Amen, sulle tue recensioni potrei morirci ciascuna volta, e poi continuare a farlo, all’infinito. Oddio, quest’aggettivo è inquietantemente ricorrente, non trovi? Mah.

Ad ogni modo, mi fa sogghignar il modo in cui definisci il mi stile. Definitivo, finale… oddio, magari devo proprio iniziare a preoccuparmi. Poi adesso mi è tornato in mente il tempo che hai passato a scrivere “rilegge” per questa storia. Ohh, lasciamo stare, XD

Grazie tesoro, sei unica (L)

 

Mary: Grazie^^ Qui cadono aggettivi di questo tipo in continuazione, e non possono che farmi contentissima.

 

Kirjava: tesoro! Ma tu dovresti saperlo, che quei due insieme danno poche soddisfazioni. Di questa coppia mi piacciono i pensieri singoli rivolti verso l’altro, lo studio dei personaggi che soffrono da soli.

Insieme, cioè, quando sono uniti in coppia, trovo assurdamente difficile farli ingranare.

Così, senza aggiungere il superfluo (è cioè che AMO le death fic), preferisco le scene drammatiche a quelle romanticamente tenere.

Cloni? Oh, quale inquietante prospettivaXD Mocciosi urlanti al rogo, si** SIII**

 

Sihaya10: ok, nel leggere il tuo commento la sequenza delle scene è stata più o meno la seguente.

“Non mi attirano i titoli”

Cade per terra, ma si rialza.

“Nemmeno i generi”

Ri-cade, e si rialza con maggiore fatica.

E neanche i pairing”

Stramazza al suolo. Fortunatamente, e dico, fortunatamente, la recensione ha cominciato a leggersi da sola, altrimenti col cavolo che l’avrei finita dal leggere. Magari da morta, ecco.

Sono commossa, dico sul serio. Hai scelto veramente le parole giuste per farmi contenta, perché io, per farmi piacere delle storie con pairing che non gradisco, di solito devo trovarle scritte molto bene. Insomma, poi è anche merito tuo se ho approfondito meglio questo Fandom. Ave Sihaya adorata**

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Capitolo 4
*** As long as you're mine. ***


14

14. As long as you're mine.

 

 

 

*°*

 

 

 

 

Sakura la ricordava distrattamente come una vecchia storia mai finita.

Forse, nemmeno mai iniziata.

Un ricordo del presente.

 

Nove volte su dieci, quando cercava di iniziare il discorso, lei annuiva leggera e la liquidava con un breve gesto della mano, limitandosi a dire un “dopo” assai poco significativo.

Lo studio che le circondava, oltre a essere costante scenografia di quei buffi momenti, era anche un luogo accogliente in cui rimanere a piangere, una volta che lei avesse preso la porta e se la fosse chiusa alle spalle, lasciandola sola e delusa.

 

La poltrona era fredda e scomoda, ma pur sempre accogliente quando si trattava di non sprofondare nel mare della solitudine e del dolore. Il porcellino arrivava pigro ad accomodarsi sulle sue ginocchia, cercando un affetto che la stessa Sakura ricercava in altri.

L’unica differenza era che il maialino veniva coccolato molto più spesso, e molto più a lungo.

 

La consolazione della rosa erano le notti con Sasuke – un’altra persona sola che cercava affetto ma non voleva darne – e le mattine seguenti, quando si svegliava ritrovandosi sola nelle lenzuola, senza dover nemmeno pensare ad un saluto convincente, o addirittura ad un’intera conversazione.

 

Lei, se mai si fosse decisa ad accettare quella conversazione, avrebbe semplicemente commentato quelle notti come una pausa di riflessione tra due persone che non sapevano essere riflessive.

D’altro canto, Sakura sapeva che non si sarebbe mai spinta fino a quel punto. Per lo meno, non con lei. Avrebbe potuto fare un commento del genere, ma parlando con altri.

Non era certo un segreto che Sakura Haruno e Sasuke Uchiha andassero a letto solo per passare il tempo superfluo.

Così come non era nemmeno un segreto che i due, pur consapevoli delle occhiate che venivano loro rivolte, avessero di comune accordo deciso di non smentire nulla, me semplicemente di lasciar scivolare le chiacchere senza che esse potessero creare problemi.

 

Ovvero sia, Sakura aveva dovuto far promettere a Sasuke che non avrebbe picchiato nessuno. La diplomazia a volte non era l’arma migliore degli Uchiha – storia docet.

 

Quando glielo aveva raccontato durante una pausa, lei era scoppiata a ridere. – Certo che ti innamori proprio delle persone sbagliate, ne, Sakura-chan? –

Poi aveva avuto il buon gusto di zittirsi, almeno per una volta.

- Scusami. – aveva borbottato, confusa. Poi era uscita dall’ufficio e si era dileguata tra gli infiniti corridoi dell’edificio.

Sakura era rimasta lì, a fissare la porta. Poi il maialino aveva grugnito – in cerca di coccole – e lei si era chinata per soddisfarlo.

 

L’amara verità: persino un porcellino sapeva essere più convincente di lei.

 

 

Poi finalmente, dopo ere di tentativi fermati da un banalissimo “dopo”, lei le aveva finalmente prestato la dovuta attenzione. In fondo, aveva scoperto Sakura, non era stato nemmeno così difficile. Era bastato urlare in mezzo al corridoio quello che avrebbe dovuto dire a bassa voce in privato, per far si che lei la prendesse di peso e la trasportasse in una piccola stanza in disuso.

 

- Io ti amo. – le classiche tre parole. Sempre efficaci. Urlate in un posto pieno di gente. Ma a mali estremi, estremi rimedi.

 

E lei era IL male estremo.

 

- Vuoi rovinarmi? – aveva sbottato.

Sakura si era arrabbiata. – Sei tu che non mi prendi mai sul serio! Mi hai costretta ad agire di conseguenza. –

- Non potevi continuare a scoparti l’Uchiha, e lasciarmi in pace? È una cosa passeggera, la nostra, Sakura. – era stata chiara e semplice, lineare come le era sempre stato insegnato.

La rosa l’aveva affrontata. – Se mi scopo l’Uchiha è perché qualcuno ha la pessima idea di farsi scopare da me, nonostante poi mi faccia chiaramente capire che non è niente di importante. –

- Tsk. –

- Vuoi forse negarlo? – l’allenamento con Tsunade aveva dato i suoi frutti, anche a livello puramente verbale.

- Tsk. –

 

Lei prese la porta e uscì, sbattendosela alle spalle.

Sakura la sentì dire che era completamente impazzita. La sua voce le giunse distorta, da dentro lo stanzino.

 

Uscì, ignorando a testa alta gli sguardi curiosi e derisori di chi le stava intorno, e rientrò nell’ufficio.

C’era un suo biglietto sulla scrivania.

Non ci fu nemmeno bisogno di leggerlo. Sakura sapeva che sarebbe tornata nel suo letto, anche quella notte.

 

Perché quello che Shizune ancora non sapeva, era che Sakura ormai l’aveva catturata nella sua tela fatta di lussuria e tradimenti.

Nonostante le parole rudi.

 

Sorrise.

 

Il maialino grugnì, reclamando le solite coccole. Sakura lo accontentò, come sempre.

A ciascuno il suo.

Almeno quelle, erano carezze senza dolore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Cronometrata: scritta in 23 minuti e 54 secondi.

Senza contare le interruzioni per scrivere a Suzako.

 

Spero mi perdonerete, quindi, se risulta eccessivamente breve o poco brillante. È che proprio doveva andar così. Non c’era altro modo.

 

Fanfic scritta unicamente per la mia amora. (L) Tesora, mi manchi.

 

 

 

Yaya86: Grazie, sono contenta che ti sia piaciuta.  Io la trovavo così terribilmente asettica da far venire il volta stomaco, si.

 

Solarial: ci metto sempre una vita per leggere le tue recensioni, e puntualmente mi perdo almeno tre volte. Però, grazie! Sono sincere, e scatenano sentimenti incredibili, che davvero hanno il potere di confortarti nei momenti difficili. Grazie perché ci sei*_*

 

Suzako: Hèra [ah, quanto mi piace], cara mia, grazie. Trovo delizioso quando qualcuno mi dice che ho uno stile particolare, perché vuol dire che in un qualche modo si distingue. Gaara? Non so nemmeno da che parte si prenda, Gaara. Però lo trovo così tenero. E incapace di essere crudele. Sasori-chan lo amo, invece, perché è totalmente assente, occhi fissi, parlata canonica. Per la seconda… credo volessi proprio farla così.

 

The Corpse Bride: giuro che lei mie non sono le uniche fanfic su Naruto decenti. Ce ne sono parecchie altre, ecco. Ad ogni modo, davvero non so come ringraziarti. Dici cose che la gente di solito non dice. Ah, mi commuovo, ecco.

 

Amora(L): si, mi ricordo le ghignate che mi facevo mentre tu ti scervellavi cercando di capire che personaggi mi stessi riferendo. Ah, ma se non son un po’ cattiva non so che farci. Quando ho letto che eri arrivata alla 14 (*_*) mi ci sono data anche io. Il risultato sarà indubbiamente peggio del tuo. Ma non si può esser perfetti. Ah, ti amo. E tu lo sai. Si, ti amo tanto tanto(L).

 

Mary: completa a incisiva come sempre. Grazie!

 

Artemisia: la poetessa dei commenti. Insisto, davvero. E continuo. Mica demordo facilmente, io. Poetessa(8). Suona così bene, poi. Ad ogni modo, si, è preso dall’ultimo manga (avendolo letto sulle scan, era un po’ che la progettavo). Hai ragione, a volte scelgo accostamenti di cui non ho la minima coscienza, ma che poi, sul lungo periodo, quando rileggo, mi piacciono tanto. Cioè, se mi piacciono devono essere carucce, ecco. Tesoro, un bacio!

 

Caya: thanks a lot, dear. Commento partecipativo, anche se mi spiace per la pessima fine che faccio sempre fare a tutti.

 

Kirjava: ah, nee-chan adorata! Sono andata avanti, a quanto pare, anche se non con il titolo previsto. Ma se vado in ordine non son contenta, mi conosci ormai.

Macabra io? Che strano, accostare a me questo aggettivo. Io macabra? Mhh, non credo proprio.

Si, solitudine. Le marionette per me sono la solitudine, ecco. È proprio un’immagine fissa.

Ah, son strana. Proprio strana, ecco. Un bacio!

 

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Capitolo 5
*** Above the thunder. ***


36

36. Above the Thunder   

Oltre il tuono

 

 

 

 

 

 

 

 

Sotto il cielo grigio non cresceva la luna.

Non quella notte.

 

La cena le uscì violentemente dalla bocca e si disperse sul pavimento, chiazza di un verdastro uniforme.

Poi la bile, il sangue.

L’attacco di panico era arrivato presto, quella sera.

Tremando si alzò dalla posizione in cui era precipitata, lo sguardo affondato nel buio, e pensò che non c’era niente di più orribile che rimanere lì, compressa al suolo, pregando dei lontani perché il dolore passasse e si dissolvesse nel vuoto della sua anima.

Anche perché non credeva più a niente che non potesse vedere.

Ancora un conato di vomito a cui resistette strenuamente – non c’era più nulla da rimettere – mentre il sudore le colava giù per il collo, bagnando tutti i vestiti che aveva addosso.

Rise. La notte l’avvolgeva nella sua cieca ignoranza.

Aprì la finestra e si gettò con un balzo al di fuori di essa, atterrando davanti a casa.

Poi cominciò a correre.

Corse dentro quella notte che non aveva sapore.

 

Lei saltava a perdifiato fra gli alberi. Uno scoiattolo si accompagnò a lei per alcuni metri e infine, stanco, le rivolse un’ultima penosa occhiata prima di smettere la sua corsa.

Occhi scuri dentro occhi scuri, pena dentro pena.

 

Anko.

 

Il marchio bruciava come fuoco.

 

Aveva avuto una vita normale, fino ad allora: alzarsi, guardarsi allo specchio e pensare che con quella faccia da cadavere non sarebbe piaciuta a nessuno, poi camminare svogliatamente fino all’accademia, massacrare degli studenti, fare gli occhi dolci ad un suo compagno, tornare a casa ed infine addormentarsi.

 

Non c’era niente di più banale in quella monotonia, eppure Anko cercava disperatamente il ricordo di quei giorni, utili per non annegare nello sconforto e nella desolazione.

Da quando aveva incrociato lui, in quella missione, non un solo elemento di quella sinfonia perfetta era tornato al suo posto senza una stonatura: per quanto ormai fosse quella, l’abitudine, i giusti tasselli si erano persi nel nulla.

 

“- Quando io ti vorrò vedere, oscurerò il cielo. – una pausa – E tu saprai che io ti sto cercando. –“

 

Semplicemente. Le uniche parole che gli erano uscite di bocca, quella bocca invitante, erano state la sua condanna per la vita. Così, ogni qual volta il cielo prendeva quelle tonalità di grigio che lei aveva sempre detestato – prima – il suo marchio pareva scoppiarle sulla pelle, e illuminarsi come se da un secondo all’altro dovesse giungere un’apparizione dall’Alto.

 

Invece quello era solo il richiamo dell’Inferno sfuggito al sottosuolo.

 

Aveva imparato a sprangare le finestre e a chiudere la porta a chiave, per impedirsi di raggiungerlo. Le urla strazianti foravano i muri e si perdevano nella notte insensibile, che non portava alcun conforto.

 

Atterrò nella radura, con leggerezza.

 

Lui era lì, come se l’era sempre immaginato – fermo, immobile, sorridente – e la fissava con occhi incuriositi.

 

- Anko. –

 

- Maestro. –

 

Aveva imparato a sprangare le finestre e a chiudere la porta a chiave. Ma quella sera, era stato troppo. Il desiderio prendeva le cellule del suo corpo e le faceva muovere, come impazzite.

 

Un tuono risuonò potente lungo il cielo, e piccole gocce di una pioggia sottile e fredda cominciarono a cadere su ogni cosa, velandola di umido.

 

- Sono passati parecchi mesi dall’ultima volta che ci siamo visti. Non rispondevi ai miei richiami, come una bambina piccola che si ostina a voler fare tutto di testa sua. –

 

- Si, Maestro. Non volevo vederla perché la odiavo, Maestro. – disse, dondolando buffamente la testa. – Perché lei aveva distrutto tutti i miei sogni, con un morso da serpente. –

 

- Non ho avuto altra scelta. D’altra parte, Anko, non puoi sempre aspettarti che il potere non richieda un grande sacrificio. –

 

Ancora pioggia sul suolo, che ormai saturo d’acqua la ributtava all’esterno quasi vomitandola.

 

- Ma io avevo dei sogni, prima che Tu giungessi a distruggerli. – pianse, Anko.

 

- Non ho avuto altra scelta, bambina mia. – il serpente si avvicinava a passo sibillino, silenzioso come era sempre stato abituato a fare. Le posò una mano su una guancia e poi scese con delicatezza fino alla spalla. – Era come se i tuoi occhi mi chiedessero di farlo. –

 

- Maestro… -

 

- Occhi vuoti. Dove erano i tuoi sogni, Anko? Ti ho donato un potere incredibile, capace di farti elevare sopra a molti. Eppure sei rimasta a casa, nascosta dentro l’ombra di una vita che non era più la tua.

 

Lei scansò la sua carezza con uno scatto del viso. – Non è vero! Sono rispettata dove sto, a Konoha. Dove c’è gente che mi vuole bene e che mi ama per quello che sono, e che non mi abbandona quando scopre che sono debole. –

 

La luce del lampo li sovrastò entrambi per un istante, mentre il volto di Orochimaru si tendeva in un piccolo gorgogliante sorriso di vittoria. Anko, istintivamente, rabbrividì in una scossa che la fece tremare tutta.

 

Gli occhi del suo Maestro erano gialli come la luna, sibillini. Si sentì piccola e inutile.

 

- Allora è questo, piccola Anko. Ti senti triste perché il tuo maestro ti ha abbandonato. –

 

- E dimmi, Anko, chi è il cattivo, fra me e quelli che dici di amare? – rise – Chi evita il tuo sguardo, mentre passi per la strada? Oh, Anko, tu lo sai che solo io posso darti quello cerchi. –

 

Lei sollevò di nuovo il suo sguardo scuro su di lui, fremendo. – Ma tu mi ha abbandonato! – replicò urlando – Mi hai abbandonato come un giocattolo! Cos’avrei dovuto fare, io? –

 

Giocattolo.

 

Auree ambizioni, svanite da tempo.

 

- Torna da me, piccola Anko, vieni qui e non pensare. –

 

La prese fra le braccia, come è solito fare un serpente che avvolge la sua preda. La cullò e baciò mormorandole promesse che la ragazza sapeva essere solo parole.

 

Accettò il pallido compromesso, per quella sera.

 

- Aspetta con me la prossima alba. – annuì.

 

Un altro tuono.

 

Gli occhi di Anko si persero oltre quel suono.

 

Poi non tornarono più.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Questa… cosa, ecco, cosa, nemmeno dovrebbe esistere. Ma nemmeno morti.

Colpa loro se è qui. Non faccio nomi, nooo. E chi deve starnutire… beh, lo faccia>>

 

Allora, premetto che la storia è stata scritta prima che la sottoscritta vedesse le parti dei filler relative ad Anko e Orochimaru. Però ci sono alcuni accenni che, manco a dirlo, combaciano alla perfezione. Ah, il caso.

 

Dunque, a costo di essere ripetitiva, questo è uno studio sui personaggi. Dialogo molto poco significativo, quello, a mio parere. Ma non ho trovato nemmeno una persona disposta a dirmi che faceva schifo, orrore!, e così mi son costretta a pubblicarla.

In ordine, non devo ringraziare: Amee, Jem, Suzako e forse anche Kirjava nee-chan, che sta leggendo ora [si, anche Kirjava nee-chan].

 

Comunque sia, il personaggio di Anko mi affascina da morire, e mi sto spiaccicando il cervello [sebbene più spiaccicato di così credo sia davvero difficile] per capire esattamente come ragiona. Ma è difficile. Centinaia di bozze, di discorsi e di disegni sono finiti nella canna fumaria a sole poche ore dalla realizzazione.

Si, sono pignola u.u

Difetto per difetto, tantoXD

 

 

La mia poetessa*_*: oh Dio, è kilometrico da scrivere, ma mi dà una qual certa soddisfazione, ecco. Anche se hai combattuto poco (avrei preferito prenderti per sfinimento), sono contenta lo stesso.

Guarda, ti dirò: ho letto una poesia che ho composto quando avevo tre anni, e ti giuro che è meglio di quelle di adesso. Non che la cosa sia molto confortante.

Sakura è la mia croce. Nel senso che rimango così colpita della sua piccola trasformazione, che alla fine tendo ad accentuarla, fino a trasformare un po’ tutto su un altro livello comportamentale.

Per lo meno, credo. La mia ossessione per Sakura non ha spiegazioni razionali. Non per il momento, almeno.

Io quel maialino lo amo. Mi sono resa conto di aver fatto un errore a livello grafico, nel senso che ho scelto come colore l’azzurro, quando forse avrei dovuto usare il rosa – femminile e maialoso^^

Un bacio!

 

Nee-chan: giuro che con quel “lei” stavo andando pericolosamente vicino alla paranoia, perché c’erano momenti in cui lo scrivevo riferito anche a Sakura, e temevo di fare confusione. Alla fine poi mi sono aiutata con la colorazione di quelli che volevo distinguere.

Con questa invece si ritorna al livello dei primitivi che scoprirono il fuoco. No, che dico? Sono molto più avanti di me, loro=_=

Adoro quel maiale. Secondo me è lui, il tocco assoluto di classe. Altrimenti, sarebbe stata una cosa come le altre.

 

Héra: piace anche a me come nome, si*_* Altrimenti, non l’avrei scelto, credo. [che logica oscena, dio!].

Povera cara, mi hai beccata in piena passione per le shonen-ai, tesorooo. Mi spiace così tanto. Ma almeno io sono così brava che ti distraggo e sopporti, ne? [prego inserire qui risata isterica dell’autrice].

Sarcasmo, sarcasmo… la cosa che mi sconvolge è che leggendo le storie, penso sempre al fatto che i miei personaggi sono degli stronzi. Poi rifletto e concludo che parlano esattamente come me. Forse questa non è quella che definirei propriamente una buona notizia.

Shizune mi è completamente indifferente ma, col mio solito astruso metodo di ragionamento, ho scritto le prime due righe, ed è venuto fuori un lei. Ora, Ino era troppo scontato, Tsunade troppo persino per me…

Eh, è rimasta solo quella poveretta. Che alla fine ha ricevuto in dono il primo carattere che ho deciso le stesse bene. Democratica, io(8). See ya, dear!

 

Sihaya10: insomma, lo so, il pairing era osceno. Però, ecco, alla fine è proprio come procedo. Scrivo due frasi, e poi penso a chi attribuirle. In un certo senso, è un po’ devastante come logica, però è molto più divertente così. A volte, anzi, mi faccio dettare le prime due frasi da mio padre, che se le inventa sul momento.

Così il divertimento è assicurato [dal mio punto di vista, ovviamente^^’’]

Insomma, è venuto fuori questo. Giuro che ne sono scioccata anche ioXD

Tesoro, ti ringrazio assolutamente per i complimento. Ti stimo tantissimo, per cui quando commenti, son sempre contenta e felice. In fondo, ribadisco, sei stata proprio tu a dirmi di avvicinarmi a questo fandom. Non credo che ti ringrazierò mai abbastanza.

Per Sasori, hai ragione. È un personaggio incredibile, seppur non compaia quasi per nulla. Ma ci sono alcune scene del manga che mi hanno spinto ad amarlo. Oltretutto, è molto intenso, sia come caratterizzazione, sia come espressione del volto. Suscita emozioni, ecco.

Non sai quanta gente l’ha odiata. Passavo loro tre righe per volta, e davo loro tre tentativi per indovinare. Alla fine delle fic, mi stavano quasi per ammazzareXD

Insomma, grazie ancora!! Un bacio

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Capitolo 6
*** A new iconography of Resurrection. ***


La ragazza osservò ansante il volto del compagno, mentre gli ultimi fili di chakra volavano via dal suo corpo

 

La ragazza osservò ansante il volto del compagno, mentre gli ultimi fili di chakra volavano via dal suo corpo.

- Riesci a vedermi, Kakashi? –

L’altro non si mosse. Rimaneva a terra, gli occhi impastati di lacrime. Un sottile filo di saliva gli colava da un angolo della bocca, fino al collo, e sulla maglietta impregnata di sudore e sangue. Solo il sottile movimento del petto mostrava cenni di vita.

- Kakashi, rispondimi! – voce incrinata di paura ed impazienza.

- Si. –

- Mi vedi, Kakashi? –

Riaprì gli occhi. Quello nero, scuro come la notte, si posò direttamente sulla compagna, che lo accolse con un sospiro. Quello rosso, invece, ricordo di un compagno del passato, si mosse con esasperante lentezza. Risalì piano da un angolo all’altro della cornea, fino a giungerne alla sommità, dove il volto dell’amica lo attendeva.

- Mi vedi? –

- … ti vedo. –

Lo Sharingan brillava di una luce ipnotica, quasi maledetta.

- Ho salvato parte di Obito e anche te. Siamo tutti vivi. –

- Si, tutto merito tuo, lo sai. –

- Siamo tutti vivi, non è vero Kakashi? – sebbene lei guardasse il corpo di Obito a qualche metro da loro, pareva esser convinta di aver salvato entrambi, con quel gesto.

- Si. Siamo tutti vivi. – disse lui.

 

E Rin si sentì Dio.

 

 

 

 

40. A new iconography of resurrection.

-nessun rimpianto-

 

 

 

 

1. A new start.

 

 

Quando finalmente Kakashi si decise ad uscire di casa, era ormai passata una settimana dalla catastrofe che aveva causato la morte del suo compagno di squadra.

Il quarto Hokage aveva ascoltato tutta la storia recandosi a casa sua di persona. Aveva annuito lentamente quando bisognava annuire, chiuso gli occhi quando era necessario chiuderli.

Infine aveva annunciato che sarebbe stato necessario trovare un nuovo compagno che sostituisse Obito Uchiha nelle missioni.

Kakashi non aveva obbiettato.

 

Poco dopo, Rin era entrata con un mazzo di fiori gigantesco, tutto colorato. Lo sguardo castano era scivolato sui suoi due occhi – quelli che il quarto Hokage aveva prontamente evitato di fissare – e poi aveva di nuovo sorriso, contenta. – Kakashi, Obito, sono così contenta che siate tutti salvi. –

 

In realtà, di vivo in quella stanza non c’era proprio nessuno.

 

Non c’era persona a Konoha che riuscisse a capire come Rin potesse ancora esser convinta del fatto che entrambi i suoi compagni di squadra fossero vivi e vegeti. Né tanto meno come potesse parlare con Kakashi e convincersi di parlare con Kakashi e Obito.

Ma la follia della ragazza perseverava senza alcun miglioramento e Kakashi, d’altro canto, non faceva nulla per disilluderla. Spesso si fingeva Obito, menzionava fatti e ricordi che erano di Obito, e le parlava con la tipica parlata di Obito.

Tutti sapevano che quella situazione instabile non avrebbe potuto far altro che peggiorare.

Così, quando un giorno Kakashi Hatake si presentò nella tenuta degli Uchiha affermando di essere tornato definitivamente a casa, e di aver appena salutato il migliore amico che era partito per una missione, più di una persona cominciò seriamente a credere che la squadra 5 fosse caduta a pezzi, e non solo metaforicamente parlando.

 

Gli Uchiha gli costruirono una casa ai margini della tenuta.

La madre di Obito si convinse che il figlio fosse ancora vivo. Rin continuava nel suo infantile gioco d’illusioni.

Kakashi rimase nel mezzo di quei sogni, convinto che fossero solo incubi.

 

 

2. Iconography of dead.

 

 

- Obito, guarda! Ho ricevuto una lettera da Kakashi: dice che la missione prosegue bene, ma che ci sarà bisogno ancora di qualche settimana per portarla a termine. Non sei contento, Obito? Così potremo nuovamente tornare ad essere il trio di amici che siamo sempre stati. Oh, non vedo l’ora! –

 

- Certo, Rin. Sarà bello essere di nuovo insieme. –

Anche se io sono sempre stato qui.

 

Il vento di Aprile muoveva le foglie degli alberi quasi con gentilezza, e non produceva che un sibilo dall’incredibile e confortante potere.

Il parco degli Uchiha, smisurato, era di nuovo dipinto di verde e rosso, e mille altri colori.

Rin respirò piano, assaporando la fragranza della primavera. – Sai, sto conducendo alcuni studi in soffitta. Credo che mi porteranno presto a delle nuove ed interessanti scoperte. –

Kakashi [Obito, quale dei due? Forse nessuno] alzò lo sguardo, incuriosito. Il coprifronte gli celava l’occhio rosso. La ragazza sussultò. – Kakashi…? –

Lui comprese: si levò immediatamente la benda, così che anche il sangue dell’Uchiha potesse tornare a risplendere alla luce del sole. – Kakashi è in missione, Rin. Che ti prende?

La ninja scoppiò in un risolino isterico, che suggerì a Kakashi di aver davvero sfiorato la catastrofe. – Oh scusami, Obito. È stato un istante di defaillance. –

- Mi stavi parlando dei tuoi esperimenti. –

- Si. Perché domani non vieni a vederli? Sono, come definirli… una reincarnazione, quasi. Da quando ho compiuto quel miracolo, salvando i miei compagni, ecco, mi sono sentita così forte. Tu mi capisci, vero? Non è cosa da tutti salvare i proprio amici da sola, con la responsabilità di ogni gesto sul capo. È stato così difficile. –

 

Il ragazzo la fissò, sconsolato, fino a che non trovò il coraggio di spalancare le labbra in un piccolo sorriso di rassegnazione. Rin lo intese come una sorta di incoraggiamento. – Hai ragione, Rin. Hai salvato la squadra. –

E io cerco di salvare ciò che ne rimane.

- Già. Oh, Obito, grazie per quello che fai. Ti voglio così bene, io. –

- Anche io te ne voglio. –

Certo, Obito voleva bene a Rin. Ma Kakashi? Il ninja si costrinse a rimanere zitto, eludendo i pensieri più scomodi, mettendoli ancora una volta a tacere.

- Scappo. Domani a casa mia, allora. –

- Si. –

 

La ragazza corse via, e Kakashi osservò la sua schiena fino a che essa non scomparve completamente dietro agli alberi della tenuta.

Nonostante il sole fosse caldo e rassicurante, nonostante la primavera e i fiori, il ragazzo rivide stesso e Rin, bloccati in un presente pieno di passato e privo di futuro.

E improvvisamente comprese che qualcosa non andava, in quel quadro fatto di luce e profumi.

Loro due, iconografia perfetta di due morti appesi alla vita per un filo logoro.

Non c’era modo di risalire. Potevano solo rimanere fermi.

 

Kakashi vide il suo riflesso nel laghetto, e pensò che niente era più stupido di quello che stava facendo.

Ma quando lesse la lettera che Rin aveva scritto fingendo di essere Kakashi, si ritrovò a chiedersi quanto dovesse essere difficile, quella missione.

Penoso pensiero, visto che era tutta fantasia.

 

Patetico.

Patetico davvero.

 

3. Memory of someone who’s not alive.

 

 

Si accasciò sul letto affranta. Niente era più semplice di una bugia, se aveva ormai assunto forma di verità.

Come quando ti annoi ma sei costretto a ridere – e continui a ridere senza fermarti, fino a che cominci a crederci davvero.

Poi arriva la fine del tuo spettacolo, gli amici vanno via e ti senti vuota – le tue risate allegre hanno perso la loro musica e non c’è più significato in quell’insieme di note.

 

Rin si sentiva come un Dio, un Dio vuoto, ma pur sempre un Dio.

Inconcepibile idea, poiché da quello che le avevano sempre insegnato, un Dio era un essere perfetto e completo, e che come tale NON poteva sentirsi vuoto, se non per potersi sacrificare.

Così ragionava, la visionaria di Konoha: essendo vuota – un Dio, si, ma vuota – riteneva che alla base di quella mortificazione dell’anima ci fosse un complesso cammino di redenzione.

Aveva bisogno di trovare qualcosa grazie al quale avrebbe potuto sentirsi più incompleta di quanto già non fosse. Senza dimenticarsi di essere un Dio.

 

Kakashi arrivò il giorno seguente, sulla scia di alcune voci che aveva sentito passando per il villaggio.

“- Dicono che sia stata al cimitero… -“

“- Di notte, poi! –“

“- … cambiata. –“

Nella realtà dei fatti, non riusciva ad immaginare Rin che, calatasi nei panni di un abile ladro, trafugava cadaveri nel pieno della notte.

Mentre saliva le scale del suo appartamento, però, si ritrovò a pensare che un mese prima non avrebbe mai pensato ad una vita come “maschera” di Obito. E la Rin che non poteva trafugare cadaveri stava solo nella sua testa – passato da mortale, proiezione verso il Dio.

 

Rimase parecchi minuti davanti alla porta in fragile carta di riso, indeciso se azzardare quel passo che l’avrebbe condotto irrimediabilmente fuori o dentro. E Kakashi sapeva bene che non era solo della casa, di cui si stava parlando.

Così, il suo destino poteva essere vicino a Rin.

O forse, non esserlo.

 

Il richiamo non fu l’odore dei fiori che lei portava sempre con sé, o lievi movimenti al di là della carta, quanto un mormorio sconnesso fatto di frasi incomprensibili, che filtravano attraverso la porta, come un frullar d’ali.

Qualcuno al di là della carta bianca sussurrava qualcosa, una nenia composta di dolci note mescolate da un pazzo che non sa distinguere capo e coda della melodia.

Entrò. Entrò e per un istante non seppe distinguere ombre e oggetti, tanto era il buio che creava le prime e avvolgeva i secondi.

- Obito. –

- Rin. –

Lasciò scivolare entrambi gli occhi sulla stanza, incerto. Particolari di una vita impazzita emergevano a tratti, vigliacchi come quei ricordi che di nuovo lo prendevano, costringendolo ad una recita immonda fatta di risate e respiri che non erano i suoi.

E non lo erano mai stati.

- Rin, cosa hai fatto? –

- Io non sono Rin. –

Io non sono Obito! Guardami!

- Chi sei, allora? –

- Sono il Dio che occupa la mente di Rin quando lei dorme. Sono colui che vi ha salvati. –

- …cosa? –

La ragazza spianò l’aria con un braccio, movimento elegante del polso che introduceva lo spettacolo di ombre dietro di lei. – Osserva. –

Di nuovo il ninja si costrinse a guardare oltre quella maschera di apparenze. Pezzi di corpi pendevano dai tavoli e dai cassetti, fili di sangue che li collegavano al pavimento ormai sporco.

- Rin… -

Indietreggiò fino a sfondare la porta. Crollò a terra, inebetito. Non era il sangue. Era la strategia.

La testa della madre della ragazza occhieggiava, qualche metro più in là, con lo sguardo fisso e consumato dalla terra.

Gli occhi della figlia rilucevano di un bagliore malsano, in cui Kakashi lesse tutto ciò che non aveva voluto comprendere – quello che i suoi occhi, seppur infallibili, non avevano potuto prevedere, ciechi.

- Rin, cosa hai fatto? –

- Io non sono Rin. Sono il Dio. –

Piccola voce sottile, come da bambina. – E un Dio può tutto, vero, Kakashi? –

 

 

 

4. This could not be your resurrection. I’m sorry.

 

 

L’idea di base, doveva riconoscerlo, non era affatto male.

Se era riuscita veramente a salvare tutti, quel pomeriggio, perché non avrebbe potuto salvare anche chi era già morto?

 

Lo specchio rifletteva un viso acuto, un po’ magro, fatto di piccole sofferenze.

I due occhi si combattevano, insofferenti, cercando di attirare l’attenzione a scapito dell’altro e lasciandosi andare ad una lotta senza alcuna pietà.

Kakashi decise che non poteva continuare così.

 

Lei era scoppiata a piangere. Probabilmente, non si era nemmeno accorta di averlo chiamato col suo vero nome, quasi fosse entrata ed uscita da quella trance che la teneva prigioniera.

Ossessione, avevano detto i medici quando erano entrati nella casa il pomeriggio seguente.

Rin – o quello che rimaneva di Rin – se n’era andata senza lasciare alcuna traccia.

Kakashi era fuggito via, preso da un terrore che gli aveva serrato le viscere con forza. E la nausea. Col sangue.

 

Così, ora rimaneva solo lui.

Rimaniamo solo noi due, Obito.

Mai stati amici, noi.

Allo specchio, lui continuava beffardamente a deriderlo.

 

La maschera calò sul viso del ninja, stoffa ruvida su pelle delicata.

- Scusami, Obito. –

La sua voce era diversa, filtrata dal tessuto.

- Ma non posso essere la tua reincarnazione. –

 

Quando uscì di casa, rivide di nuovo quei colori che da tempo parevano aver perso ogni brillantezza.

Sentiva il vento soffiare sulla pelle, la terra sporcargli i piedi, ancora umida.

Tutto rimase sospeso, fino a che la madre di Obito non si affacciò al balcone della casa e non lo salutò. – Oh, Kakashi, ben tornato. E Obito?

 

Attese un attimo prima di rispondere. Poi disse – Lui non c’è. – e corse via. Corse via cercando di dimenticare un mondo che si era inesorabilmente chiuso alle sue spalle.

 

Sentì umido, sotto la stoffa.

 

Lontano dall’occhio scuro, quello rosso piangeva.

 

 

 

 

 

Owari.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Aw, che disperazione scrivere di questo titolo. Anche se devo dire che mi ritrovo ad essere abbastanza soddisfatta, questa volta.

Non credo durerà a lungo ma, finchè c’è, rendiamo grazie e Amen.

Quante persone hanno letto questa storia? Tante. Grazie alla Bia, ad Héra, a Jem, a Erika, alla Ise, la Alex.

Vorrei poter ringraziare Kodamy. Che tristezza.

 

 

 

 

 

 

 

Solarial: ma ciao tesoro!! I tuoi commenti mi fanno sempre un sacco di tenerezza. Insomma, ti ringrazio per i bellissimo complimenti che mi hai fatto, anche se non credo di meritarmeli tutti, ecco^^’’

Anko, non so perché, mi è completamente estranea. Nel senso che non riesco a farla quadrare con il resto, e mi sembra tutto così fuori luogo. Alla fine finisco per ambientare le storie con lei come protagonista nei luoghi in cui mi muovo meglio.

Però sono contenta che ti siano piaciute, sisi. Bacio!

 

Jem: tesssoro mio, quanto ti adoro. Assolutamente credo che il termine malerba ci si addica (anche se al momento sei infebbrataX°D). Un buon motivo per non rimanerci secchi, non trovi?

Insomma, ti devo due grazie: il primo per il commento, che ha assolutamente colpito nel segno. Il secondo per avermi intrattenuta oggi a scuola mentre fondevo le ultime due sinapsi rimaste sulla relazione di fisicaX°D

Eppoi, grazie anche per avermi detto che son carina pure da ubriaca. Le soddisfazioniXD

 

Helen: grazie*_* Non trovo affatto che tu sia stata supponente, anzi, hai fatto davvero un’analisi perfetta del personaggio di Anko, almeno per come lo vedo io. Illusa giusto perché le fa comodo esserlo, si. Esattamente così. Dannazione, mi rode proprio il fatto che non ci siano approfondimenti a riguardo, se non nei filler [estremamente poco utile].

Eppoi dai, Orochimaru è assolutamente troppo alla moda per non tirarsela così. Assolutamente lo adoro, quando pretende e vuole. Grazie per il commento!

 

Mary: i tuoi commenti mi piacciono davvero tantissimo. Più che altro, in poche frasi riesci sempre a cogliere il succo del discorso. Grazie mille per i complimenti!!

 

Hèra: ammora, grazie. Ci vuol fegato per non smontarmi una fic, decisamente ce ne vuolo. Oh, diciamo che io per Orochimaru ho una passione un po’ morbosa, che fa molto Sakura con Sasuke. OMG, sono messa male. OMG, qualcuno mi salvi vi prego>>

E poi, Anko è AnkoXD Miticissima. Tesora, un bacio!

 

Poetessa: diciamo che effettivamente come livelli di telepatia stiamo messe molto male [e ci sono giusto un paio di conversazioni msn che lo dimostrano assolutamente].

Mi ha fatto troppo ridere, dai! Anche la fic su Rin. Praticamente ho spalancato gli occhini, gli ho sbattuti un paio di volte, e poi cominciato a ridere come una pazza isterica.

Diciamocelo, son quasi morta dal ridere.

Oh, ti ringrazio tantissimo per i complimenti, sisi*_*

 

Nee-chan: tu simile a Neji? Ohe, voglio sperare che almeno un paio di differenze ci siano, eccoX°°D

Hai ragione, a volte è un sentimento che si rischia di provare: per esempio mi affascina da morire. [non che sia poi molto salutare, diciamocelo]. Proprio no, eccoX°°D

Grazie anche a te per non aver smontato nulla*_* Cioè, grazie no. Oh, ad ogni modo. Bacioni!!

 

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