il Diario di Michelangelo

di tp naori
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** mi presento ***
Capitolo 2: *** 24/11/2012 ***
Capitolo 3: *** 25/11/2012 ***
Capitolo 4: *** 26/11/2012 ***
Capitolo 5: *** 27/11/2012 ***
Capitolo 6: *** 28/11/2012 ***
Capitolo 7: *** 01/12/2012 ***
Capitolo 8: *** 02/12/2012 ***
Capitolo 9: *** 03/04/2013 ***



Capitolo 1
*** mi presento ***


Esco solo di notte
Il re delle ombre, mente contorta.
Storta la mia vita.
Eppure sto in piedi, dritto contro ogni previsto.
 
 
Ecco come sono, ho come ero. Mi presento, sono Michelangelo. Non quello vero, il grande artista. Solo un ragazzo che si chiama cosi. Per sua sfortuna ho fortuna. Dipende da come si guardano le cose. Le sfighe che ho avuto con il tempo. Superavano di gran lunga le cose belle, che mi sono capitate. Probabilmente questo non mi salverà dalla sfortuna che mi pretende. Comunque tutto ebbe inizio, in una domenica di pieno inverno. Era buio, come al solito. Notte profonda. Mentre passavo in rassegna di bar in bar. Cercando la mia felicità, in qualcosa che sia materiale. Più di quanto un fondo di bicchiere non rappresenti. Mentre, stavo seduto ad un tavolo. Lo squallore mi era intorno. Mentre fuori inizio a piovere, in fondo le previsioni l’avevano detto. “probabili precipitazioni solo a notte fonda” e come, al solito quelli del meteo ci azzeccavano. Una figura incappucciata, cerco riparo. Proprio in quel bar. La vidi correre verso la porta, che a stento resistiva al tempaccio che si era alzato fuori. La persona, si scrollo di dosso le gocce di pioggia, sul suo capotto. Appendendolo al portabiti, accanto al porta. Rivelandosi per quello che era. Una donna che a stento si potevano vedere da quelle parti. Fu cosi, che i presenti. Quelli maschi. Rivolsero alla donna, sguardi interessati, soprattutto al vestito. Che a stento trattenevano dentro le sue curve. Ho almeno cosi penso, perche non ce motivo. Di tanto interesse, anche se questo non e molto poetico. In confronto, assomiglia molto allo squallore di questo posto. Ci fa vicino. La donna rivolse un sorriso appena, verso le mie parti. Cosa che io non contraccambiai. Perso nella mia innocenza di un tempo. Ormai andata, la donna rimase colpita. Portava un vestito, rosso lungo fino alle ginocchia, appena scoperte. Creando quel vedo non vedo, dove ogni uomo ci perderà ore di sonno. Dei capelli biondi, appena arricciati. Forse per il tempo e l’umidità. Con grande grazia, la donna si sedette al bancone. Ordinando un drink d’alta classe. Proprio come rispecchiava, tutto di lei. Era evidente che la donna, era una ricca. Figlia di qualcuno, che ha fatto soldi. Magari imprenditore, ho mafioso. Tutto poteva essere. Ma la donna, proprio non si scordo di me. Si giro. Per guardarmi dritto in faccia. Come se in me, ci fosse qualcosa che non andava. Marcio dentro, forse lei credeva in questo. Ciò non toglie, che il primo ubriaco ci provo con lei. Arrancando verso lei, con passo incerto. Prima di arrivare alla donna, cadde un sacco di volte. Per la precisione dieci. Prima di raggiungerla. Prima che questi potesse fare, qualche manovra azzardata. Mi alzai, con passo certo di quello che stavo facendo. E prima che l’ubriacone toccasse la donna. Io lo colpi. Con una bottiglia di birra, appoggiata sul bancone. E prima che si scateno la rissa. Trascinai la donna all’esterno. Per un braccio la portai fuori. Potrei dire che la stavo accompagnando fuori da quello strazio
“dove mi porti?” chiese la donna, con tanta calma apparente, simbolo che lei gestiva l’emozioni meglio di me. Il che mi fece sentire, ridicolo. Per il fatto di essere troppo d’impulso “ti porto via. Questo e un posto che per una donna come lei, non va bene” risposi mollando il braccio della donna “tu mi giudici, dai miei vestiti?” rispose la donna. Ma in quella domando cera di più. Celato dietro alla spavalderia. Che prese posto alla calma e spensieratezza di prima “no ma una con tanta grazia, non si dovrebbe trovare dentro ad uno squallido bar” dissi io guardandola fissa, negli occhi. Credendo con tutto me stesso, quello che avevo appena detto “come vedi non ti sto giudicando solo dai vestiti che porti” aggiunsi. Pioveva forte, ma potrei dire. Di aver scorto nella donna un sorriso diverso. Non malizioso come quello di prima. Ma di gratitudine “capisco… come ti chiami?. Mio salvatore” mi chiese la donna, aggiungendo un pizzico di sarcasmo, nella frase. Cosi io li risposi “non ha importanza il mio nome. Di certo, non porterebbe niente di buono” la donna rimase sconcerta, da ciò che avevo detto. Ma, si riprese subito e parti all’attacco “che sei. Uno spacciatore di qui ho un criminale mafioso?” cosa che mi sconvolse fu il suo modo di fare. Per nulla terrorizzato da chiedermi una cosa del genere. E vero potrei essere, uno di quelle persone. Appena descritte dalla donna. Ma io non ero nulla di quello. All’inizio ero restio, a dirle il mio nome. Per paura. Non ho problemi ad ammetterlo. Di paura ce ne avrei, se vi spiegassi la mia vita. Ma tornando sul pianeta terra. Dove ancora la donna mi guardavano. Cercando di capire, ciò che stava al di là dei miei occhi. Ho almeno, era quello che pensavo io “Michelangelo” risposi io quasi sfidando, la donna. Senza una ragione apparente. Ma io sono cosi, odiavo tutto il mondo. “un bel nome. Io invece mi chiamo Nicole” si presento a me Nicole. Azzardando una stretta di mano. Che di solito di faceva tra uomo e uomo. Ma lei no, Nicole dava l’impressione d’essere, una tipetta niente male. Eccentrica e con tanto coraggio da vendere. Tanto da entrare in uno squallido bar. Con un vestito cosi “tanto per dire. Io non sono ne spacciatore ho mafioso” ci tenni a precisarlo. Nicole sorrise “l’avevo intuito. Anche se mi hai salvato. Da quell’ubriaco, anche se avevo un sospetto…ma che ci facevi li dentro?” mi disse Nicole per nulla preoccupata  della pioggia. Soprattutto anche perche era senza cappotto. Decisi di rientrare nel bar. Raccogliendo il cappotto sull’appendi abiti. Usci quasi subito, senza essere notato “grazie, iniziavo ad avere freddo. Sei proprio un gentil’uomo” disse Nicole mettendosi il cappotto sulle spalle. A mo’ di spalliera. “questa e solo un illusione” risposi io, con fare da cafone. Più sullo strafottente a dirla tutta “sei troppo pessimista. Sai” mi disse Nicole. La pioggia oramai ci aveva bagnati, tutte e due “forse e meglio che tu vai al coperto” precisai più su quel “tu” che sul resto della frase. Credendo che per oggi, avessi già fatto le mie buone azioni giornaliere “si. Meglio cosi. Non avere le prese con un malanno, e sempre meglio che restare a casa da scuola” rispose Nicole con fare sarcastico e ammirevole. Nicole inutile a dirlo mia bacio. Sulla guancia, ci tengo a precisarlo “ciao” li dissi mentre, Nicole mi volse le spalle e si allontano. Senti solo il suo “ciao” di rimando. Ed il rumore dei suoi passi che piano a piano, si allontanavano. E seppi all’istante, di essere cotto di quella ragazza. Stesi li per qualche minuto, prima che le luci di una macchina. Mi abbagliarono. Mi misi subito in moto. Strascicai i passi verso casa. La mia casa. Un palazzo vecchio stile, tendente alla catapecchia. Ci misi poco a raggiungerla. Cosi facendo attraversai l’androne, si abitavo in un appartamento-mono-locale. L’affitto era basso, e la zona era tranquilla. Il massimo per un ragazzo di vent’anni appena. Mi pagavo l’affitto con il mio lavoro, di postino. E fu abbastanza dura. Ottenere quel posto, ancora mi ricordo tutti quei colloqui e una valanga, di email e lettere, spedite dovunque. Non mi importava dove. M’importava il lavoro e guadagnare. Una somma minima, ma che pur sempre mi aiutava ad avere, quell’indipendenza amata dai ventenni. La mia famiglia ne fu contenta, di lasciarmi andare. Non so quanti problemi li avevo causato. All’età delle medie e delle superiori, comunque riuscì a trovare quest’appartamento, ed il problema fu risolto. Ho almeno per ora.
Apri la porta di casa. Quello che guardai fu il divano consunto, un due posti di color blu intenso. L’unica macchia di colore in tutta la casa. Dalle pareti bianche, hai pochi oggetti che facevano da mobilio. Fino alla piccola amaca. Dove mi trovo in questo momento. A scrivere quello che sarà la mia memoria. Non so perche lo sto facendo. Ma credo che nella mia vita, ci siano dei dettagli da raccontare. E l’incontro di Nicole, e un fatto per nulla scontato. Ho voluto, quindi un ottimo motivo. Per lasciare il mio pensiero, su di un piccolo libricino. L’illuminazione di questa sorta di diario, non me l’ha data Nicole. Era da un bel po’ che avevo in mente di scrivere qualcosa. Mi ero già preparato tutto, dal libriccino, a delle penne stilografiche poco carine. Solo che non aveva una grande idea. E ripensandoci potevo avere un’idea migliore. Ma ormai ho intrapreso questa strada, e farò di tutto per arrivare alla fine. Anche se da parte mia, questo e un po’ egoistico. Concertare tutto su di me, addirittura scrivere una sorta di mie memorie, come se fossi una persona altrettanto famosa. Tanto da rendere i suoi pensieri, trascritti su carta. Sebbene io non sia cosi importante. Ciò non toglie che questo e un mio vantaggio a favore. Almeno non deluderei i miei fan, visto che non ne ho. Ma ora che ci penso. Come farò a scrivere continuamente? Nel mio appartamento, potrei farlo liberamente. Ma fuori?. Non posso mica, ogni volta fermarmi a scrivere le mie idee, ho le cose strane che mi capitano. Sarebbe da persona non normale. Il fatto che me ne preoccupi e un sintomo che già lo sono?. Non so perche mi faccio continuamente, le stesse domande. Forse e perche, per arrivare dove voglio arrivare. L’importanza di apparire di vitale importanza, più di quanto il talento, mi permette di arrivare. Potrei cambiare le cose. Ma a caro prezzo. Forse potrei scrivere un po’ al passato e un po’ al presente. In una sorta di racconto letto da me medesimo, ed interpretato da me medesimo. Potrei farlo. Ma della buona riuscita, non ne sarei cosi sicuro. E se al posto di una memoria scriverei un diario. Sarebbe geniale, a questo punto. Ma la memoria di Michelangelo, ha più stile. Quasi da più valore, anche se fosse una cosa patetica e per nulla bella. Ma comunque il titolo, non sarebbe male cosi.
Credo che opterò per il diario di Michelangelo, forse e una scelta azzeccata. Anche se di poco stile, ma  questo non ha importanza. Spero solo che la mia grammatica e punteggiatura, assai poco sviluppata mi tragga in inganno, facendo cosi grossi errori madornali. Racconterò tutto, quello che mi accade, i miei spostamenti giornalieri. A causa del mio lavoro. Ma comunque terrò questo diario aggiornato sempre. Ci tengo a rispettare i miei impegni presi.
 

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Capitolo 2
*** 24/11/2012 ***


24\11\2012.
 
Non ricordo, molto di ieri sera. Ero ubriaco, questo l’ho capito rileggendo la prima pagina di questo libriccino, che ho trovato sul tavolino, affianco al divano. Anche se, non credo che io abbia bevuto più di un bicchiere di birra. Ora ricordo. Di solito mi sveglio presto, perche faccio il turno di mattino. Di solito però. Perche oggi e l’unico dei miei giorni liberi da lavoratore. Credo che andrò al parco, ho staro rinchiuso in casa a scrivere, a riempire pagine. Ma senza nulla da raccontare diventa impossibile, credo che andò a farmi un giro. Magari schiarisco le idee……..
 
 
Eccomi qui, sono le undici e mezza di mattina. E l’acqua nella pentola sta per bollire, il tempo di scrivere ciò che ho visto al parco. A parte i soliti vecchi seduti sulle panchine, bene attenti a guardare muovi lavori stradali. C’erano un paio di donne che facevano jogging. Anche se manca tanto tempo, dalla prova costume. Comunque queste donne, si davano da fare a correre. Avranno fatto si e no. Venti giri del parco, il che sono grosso modo quasi dieci chilometri. Non male, anche se si sono fermate a prendere fiato un paio di volte. Alcune avevano la mia età. E con fare indugiante guardavano verso di me. Ora io non credo, di essere un figo della madonna. Con un fisico perfetto, più del loro.  Io sono estremamente convinto, che ciò che cattura le donne, in me. Sia il fatto di avere quell’aria trasandata. Poco normale e con problemi a relazionarsi con gli altri. Anche se in fondo e cosi. Ho delle difficoltà a comprendere la gente. E questo non e perche, io non la voglia capire. Questo perche per gli altri, sono sempre stati molto lontani da me. Non ho mai avuto l’occassione di farmi una chiacchierata con qualcuno. Senza che i miei ricordi vengano a galla. Come lo smog che imperversa questa città. Altro appunto. Sbaglio ho i monumenti, stanno assumendo quel tipico colore verde, di aria inquinata. Ricordo ancora quando andavo in campagna. Li l’aria sembrava più fresca. Avvertivo un non so che di sollievo alla gola. Non come qui a Milano, dove sento la gola impastata da qualcosa di melmoso ed insano. Perche vedete io abito a Milano. Nella periferia per l’esattezza. Dove nemmeno i Tram passano, solo i pullman svolgono qualche servizio, ogni due ore per il resto. Siamo, noi abitanti della periferia abbandonati a noi stessi. In qualche modo, ce la siamo cavata. C’e chi a preso la patente per lavoro ho il patentino per il motorino. Ho chi usa i treni, poco puliti con l’odore di piscio dappertutto. Ora devo andare. L’acqua a cominciato a bollire.
 
Siccome, mangio velocemente e voracemente. Sono già qui subito. Non so che farò questo pomeriggio. Quel che so e che mi serve, un pisolino. Avete presente, quelli che si fanno all’asilo. Ecco, la mia mente necessità, di un risposo.
 
Quando mi svegliai. Era pomeriggio tardi, cosi decisi di uscire. Per qualche ora. Non attesi molto, prima di respirare l’aria, poco inquinata di Milano (commento sarcastico, non avrei dovuto). Vagai per la periferia, in posti dove ero cresciuto. Cosi pensai, chissà se i miei genitori, abitassero ancora là. Nel palazzo vecchio, affianco al panettiere Mario. Quando ritrovai la strada, perche vuoi che non mi andava ricordarla. Vuoi che, il mio subconscio, certe volte mi tira certi scherzi. Sta di fatto, che la trovai. Eccola li, la fonte di ogni mia singolare diversità. Forse non e il momento di raccontarlo. Ma fa niente. Questa volta, farà finta di avere coraggio. Quello che mi e mancato sempre. Tutto ebbe inizio. Un quattro marzo di tredici anni fa. Avevo sette anni. E già li le cose, non e che andavano cosi poi tanto bene. Primo perche, ero assolutamente distratto. Il mio cervello, sembrava fregarsene di tutto ciò che mi stava attorno. Secondo, avevo lasciato perdere già da un po’ di tempo. Insomma, mi ero arreso. Perche nessuno prima d’ora, stese dalla mia parte. Tutti. E proprio tutti, davano ragione hai miei insegnanti di un tempo. E quindi con mentalità ristretta, come era di gran moda un tempo. Pretendevano che le cose, s’imparavano a memoria, non importava capire come funzionavano. Bastava solo ripetere a pappagallo, la formuletta. Come uno robot. E per loro andava tutto bene. Certo che, se però eri un indisciplinato come me. Non ti avrebbero perdonato. Qualche volta ho fatto, qualche marachella. Non me ne vanto. Ma proprio non li sopportavo, nessuno di loro. Mi riusciva a capire e quindi, non riusciva a calmarmi. Perche la rabbia, prese posto alla solitudine, che mi attanagliava. Soprattutto perche, nessuno avere niente a che fare con me. Poi perche io credevo, che era questo che mi meritavo. E che in fondo, questo in qualche modo mi avrebbe salvato. Ma iniziai a perdere colpi. Soprattutto perche, mi strapparono il quaderno. Dicendo che scrivevo cosi male, che tanto valeva non leggere quello che scrivevo. Cosi inizio il mio calvario. Ricordo, che camminavo da solo. Su questa strada che stavo guardando. Non mi era difficile immaginare me più piccolo attraversare la strada, magari con le lacrime sul viso.  Perche la maestra mi aveva offeso un’altra volta.  Questo mi porta a parlare della mia infanzia a casa. Come già citato. Nessuno era dalla mia parte. E quindi voleva dire che, i miei genitori appoggiavano in pieno. I metodi alquanto strani dei miei insegnanti. Anche loro ci provarono, mi strapparono i quaderni e mi dissero parole che non sognerei mai di dire ad mio figlio. Eppure io ero cosi, indisciplinato e stupido. Ho con un ritardo. Continuai cosi fino a quando diciottenne. Cambia casa. Mi trovai un lavoro. Per pagare l’affitto e il resto. E da quel giorno, mai nessuno mi venne a trovare. Un po’ come se fossi la macchia nera di quella famiglia. Una cosa che andava cancella e dimenticata. Il che non mi sorprese altrettanto. Ma mi lascia dubbioso. Davvero io sono cosi. Od era solo un immaginazione dei miei genitori ed dei miei insegnati? Forse. Cosi dubitai della mia intelligenza. Cosa che mi risulto, abbastanza facile. Anche perche la mia autostima a quel tempo, era pari a zero. Cosi decisi qualche mese, più tardi. Dalla mia fuga di casa. Di andare da uno che mi  poteva capire. E chi meglio di uno psicologo mi potrà capire? Ne girai tanti prima di trovare, quello che mi potesse aiutare. All’inizio mi disse parlami di te. Io tralascia che vivevo a casa da solo. Però li raccontai tutto il resto, dall’insulti gratis alle pagine strappate ecc… ecc….  cosi il giorno dopo, mi fece fare dei test. E mi racconto subito dopo che io avevo la D.S.A. cioè avevo dei disturbi specifici dell’apprendimento. Il primo sintomo, mi spiego l’uomo era la dislessia. Un disturbo, vero e proprio. Non riuscivo a memorizzare quello che leggevo. Ecco perche quando studiavo a notte fonda. Per poi svegliarmi la mattina successiva non mi ricordavo niente. Collezionando cosi un nuovo bel voto. Salto fuori che ero anche Disgrafico e Discalculico. La Disgrafia, come potete immaginare e un problema della scrittura. Da piccolo, all’asilo i miei compagni erano destrorsi, invece io ero mancino. E per sentirmi come gli altri, cambiai mano. Dalla sinistra passai alla destra. Cosi facendo non migliorai la mia calligrafia. Ma almeno , la mia mente da bambino era già preoccupata di non essere uguale, agli altri. Il che e strano, davvero strano. La Discalcullia invece e uguale alla Dislessia. Solo che trasferita con i numeri. Il mio cervello non e in grado di tenere a mente, un tot di informazioni. senza che questi se le dimentica. Ed in più ho dei problemi. Nel calcolare distanza, velocità e spazio. Il che mi rende difficile. Persino guidare un automobile, non che io non abbia la patente e solo che, odio andare in macchina. Per rischiare di 
ammazzare qualcuno, per un mio errore di valutazione. Eppure non ho nessun problema ad  girare per il centro a piedi e poi. A dirla tutta ci sono sempre i pullman e i mezzi di trasporto. Aspetterò solo la notte. Ma per adesso, un altro giro a piedi non guasterebbe.
 
Non saprai mai, cosa mi e successo. Ho incontrato Nicole. All’inizio ero indeciso, su cosa fare. Andarle a parlare. Si poteva essere un’idea, anche se forse non mi avrebbe conosciuto. Di sicuro, ora so che non sarà mai più sola. L’ho vista, in centro. Passeggiare con due sue amiche, credo. Si parlavano, in modo animato. All’improvviso, Nicole si e allontanata dalle due infuriata “io non ho fatto niente. Non sono stata con il tuo ragazzo ieri!!” aveva detto Nicola allontanandosi, con passo deciso, lontana dalle sue due amiche. Decisi che era troppo instabile, in quel momento. Per ricordasi, qualsiasi figuraccia mia. Cosi mi avvicinai, non appena Nicole si era fermata. Si fermo su di una panchina, vicino alla fermata del Tram. Mi riconobbe subito “forse, tu sei la mia salvezza. Sai?” mi disse Nicole a mo’ di saluto “potrei. Ma ancora non siamo arrivati, ad avere una certa confidenza” risposi io “forse hai ragione” disse Nicole, particolarmente arrabbiata e nervosa. Non sapendo che fare, mi sedetti affianco a lei. Cercandola di calmarla, solo con la mia voce. Speravo che parlandoli, sarebbe tornata calma.
“che e successo?” chiesi io “scusa prima, non avevi detto che non siamo ancora in confidenza”  rispose Nicole con aria sconcertata, dalla mia stupidità di quel momento. Cosa che non mi sorprese, divento molto nervoso se parlo, con qualcuno che mi interessa molto. Il fatto, era che dove recuperare con l’errore fatto “ora credo di aver fatto una figura di merda. Tu che ne dici?” chiesi cercando di sdrammatizzare quel momento. Cosa strana, funziono. Nicole torno a ridere, ed ha rispondermi con altrettanta sincerità “no ho visto e ascoltato di peggio” mi venne spontaneo risponderli cosi “grazie, in effetti le donne fanno la fila per parlami… ok questa era una bugia quanto l’ho era la tua” aggiunsi in un ultimo momento, notando la faccia poco convinta di Nicole. Quindi facevo schifo, ho ero impacciato e sbagliavo troppo. Almeno sapevo su cosa dovevo, migliorare. Ma Nicole mi sorprese dicendo “e chi ti dice che la mia era una bugia” rispose Nicole, il fatto fu che mi aspettavo qualcos’altro. Che ne so. Cose del tipo “sai essere cosi simpatico” oppure cose del tipo “ahahaha divertente”. mi aspettavo di tutto, ma quel commento no. Cioè mi stava dando ragione, su una cosa del tutto non vera. Ma Nicole, non mi conosceva. C’era d’aspettarsi che Nicole. Credeva che io fossi, un casanova con una bella casa. Non poteva in fondo, sapere che io fossi sul l’orlo della pazzia “hai proprio ragione. Ora devo andare, la mia terza amante mi aspetta in centro” risposi io. Ma non mi alzai, sentendo Nicole rispondere “ho dio che bel uomo che sei” con aria , avete presente. L’espressione che si ha, quando sei proprio cotto di una persona? Ecco Nicole, in quel momento aveva la stessa espressione facciale. Il che mi sorprese, ho era una brava attrice o l’ho era veramente “tu scherzi, ma veramente ho un appuntamento” risposi in maniera cosi seria, che sorpresi Nicole. Che ci stese di merda. L’avevo proprio presa alla sprovvista. “sto scherzando” ammisi alzando lo sguardo “sei un ottimo attore allora” rispose Nicole. Io non risposi, mi limitai a fissarmi le unghie, cercando di essere il più possibile fiero di me. Assunsi un atteggiamento altezzoso “ora puoi finirla. Frequentatore di brutti posti” aggiunse Nicole. Tornai a guardarla. E vidi, che non era più tesa come prima. Era rilassata a dirla tutta “senti chi parla. Vogliamo parlare di ieri sera” li rinfacciai io “questo e un colpo basso sai” commento Nicole. Eravamo spalla contro spalla. Ok sto iniziando ad avere atteggiamenti da bambino. Ma non potevo far finta, di non accorgermi che la potevo sfiorare “scusa. Non avrei dovuto” dissi io, per sistemare le cose. Anche se sapevo che Nicole, non stava facendo sul serio “apprezzo sinceramente le tue scuse-menzogne” rispose Nicole sorridendo appena. D’improvviso si alzo un venticello. Ed i suoi capelli mossi, lo notai solo ora. Perche ero tutto preso dalla conversazione da non accorgermi di nulla. I suoi ricci, le cadevano sulle spalle, appena lunghi. Non erano ne corti e ne lunghi. Per la precisione, era la perfetta lunghezza che dovevano avere i capelli. Ho almeno era un mio parere, forse ero cosi cotto di Nicole. Da apprezzarne ogni singola parte. Comunque, sta di fatto non potei non notare. Il fattore bellezza di Nicole, il che era il qualcosa in più. Tanto da renderla perfetta, sotto i miei occhi. Perche e ovvio che non esiste la perfezione, la natura e perfetta. Ma noi umani, non siamo natura. Siamo suoi derivati. e quindi per forza di cose, siamo imperfetti. Stavo parlando dei suoi, capelli e mi sono perso. In un altro discorso. Sta di fatto che i suoi capelli non erano proprio biondi. Erano una sfumatura sul biondo. Non so come descrivere il colore. Comunque Nicole noto, il mio interessamento. Non me lo disse, l’espressione della sua faccia si. Mi lanciai “so che non mi dovrebbe interessare. E non sono un manico, sai non si sa mai.” “perche non vai subito al dunque Michelangelo?” mi domando Nicole, ed aveva ragione. Ci stavo girando attorno “di che colore hai i capelli. Cioè non sono ne biondi e ne castani.” dissi io. Ed il fatto che mi aveva chiamato per nome, mi aveva creato un che di diverso in me “e una sfumatura non naturale. Adoro questo colore” commento alla fine Nicole “quindi e una tinta?” domandai non sapevo, perche in quel momento mi interessavano i suoi capelli. Forse era per il semplice fatto, che più li parlavo e più ne rimanevo estasiato. Lo so non e da persona di vent’anni. Questa e più una reazione da bambino o d’adolescente “si. Non mi piaceva il castano chiaro. E poi adoro il colore biondo” mi spiego Nicole arricciando i suoi capelli con le dita. Ero sul punto di farlo, anche io. Ma mi trattenni dal farlo “a me non mi interessa di che colore uno a i capelli. Basta che mi ci trovo bene a parlarli” risposi io guardandomi attorno. Cosi da non abituarmi al fatto di fissare Nicole, per tanto tempo “sai e la cosa che direi. Ma agli altri non piace che si dica” mi rispose Nicole cercando il mio sguardo. Il che diede alla mia convinzione e autostima una marcia in più. Se mi cercava c’era interesse, da parte sua. Ricambiato con il mio di interesse. Solo che non ho molta esperienza. Con le donne. C’e da immaginarselo, ma per adesso nessuna preoccupazione “quindi tu fai finta di seguire la moda. Ma sotto, sotto non sei cosi. Interessante. Ed e per questo che hai litigato con le tue amiche?” li domandai con un colpo furbo, riportai la conversazione sul motivo. Per il quale Nicole era li, seduta su una panchina della fermata del tram “no e che loro sono delle stronzette. Permalose, pensano che io sia stata con un ragazzo che piace a loro” rispose Nicole riprendendo ad essere nervosa. Lo notai dal fatto che le sua mani si chiusero a pungo “quindi, sono innamorate dello stesso ragazzo. Ma non e stupido, una delle due deve rinunciare a lui. A meno che lui non se ne trova un’altra” ipotizzai, anche se non ero convinto assolutamente della mia ipotesi. Un ragazzo come gli altri si sarebbe portata a letto entrambe. Senza fare nient’altro “sai ragioni benissimo. Ma non come gli altri” disse Nicole. Me lo aspettavo, ma non volevo apparire come gli altri. Davanti a Nicole, sapevo che lei era diversa dalle altre. Quindi anche io dovevo esserlo. Si lo so questo e mentire, subdolamente. E non e belle mentire “si probabilmente si porterà entrambe a letto” aggiunsi io “allora sai come funzionano le cose” rispose Nicole “sono un ragazzo. E normale che io sappia come si comportano gli altri” li spiegai io, con fare evidente “si ma tu non sei come gli altri?” mi chiese Nicole. Ma non era esattamente una domanda. Era più un’affermazione. Nicole lo sapeva che ero diverso dagli altri “si so che un altro, probabilmente ti avrebbe fatto complimenti sui i vestiti. O sul fatto di quanto sei bella. Ma non sarei io. Se ti direi, queste cose cosi banali, che ti posso dire tutti. Io voglio dirti qualcosa che nessun altro ti possa dire” risposi io. Mi diede un bacio sulla guancia. Cosi all’improvviso “credo che tu ci abbia azzeccato, nessuno mi aveva detto quello che tu mi hai appena detto” rispose Nicole “certo che sei proprio cotta di me” scherzai io “ho si certo. Sono cosi innamorata di te che lo griderei al mondo intero” scherzo Nicole, per nulla imbarazzata dalla mia pessima battuta. Ma almeno l’avevo fatta sorridere. Il che era già un traguardo per me. Nicole si avvicino di più. Si appoggio sulla mia spalla e chi fece la fatidica domanda “sai cosa. Ci dovremmo vedere molto più spesso. Mi rilassante parlarti” il che non era una domanda. Era più un test. Quelli che di solito, solo le donne ti sanno fare. Ti metto all’angolo con certe domande a trabocchetto. Tipo ti piace il mio vestito? o cose del genere “non sapevo che la mia voce, aveva un effetto lassativo. Ora si spiega perche mio padre aveva le emorroidi” scherzai io. Nicole mi diede un pugno sul braccio “ok forse hai ragione. Però potevi far finta, che la mia battuta faceva ridere” aggiunsi io, con la conseguenza di ricevere un altro pugno “va bene. Se vuoi parlare con me, non c’e nessun problema. Questo e il mio numero” e cosi dicendo, diedi a Nicole un foglietto con su scritto il mio numero del cellulare. Nicole lo prese, con se. Mettendolo nella tasca dei suoi Jeans aderenti “guarda che ci conto” rispose Nicole, allontanandosi dalla mia spalla. Solo per un momento “aspetterò una tua chiamata, con tanta pazienza. Allora” dissi io. Cercando fino a quanto mi era consentito, di sdrammatizzare “credo, che ti farò attendere molto. Come gli altri” disse Nicole abbassando leggermente la testa, tanto che i capelli li coprirono il  viso “ma se prima mi hai detto, che ero diverso dagli altri” sbottai io. Facendo ridere ancora Nicole “te la prendi troppo sul personale” rispose Nicole. Avevo la sensazione, di essere nel posto giusto. Come se ogni problema mio. Si incastrasse alla perfezione. Trovando cosi la soluzione della mia vita. Mi sentivo contento di vivere. In quel momento. Come se io fossi, nato per questo. Certa gente lo capisce prima. Io ciò messo il mio tempo, ma ci sono arrivato. Ed e stato tremendamente bello scoprirlo “a parte li scherzi. Io ci sono per te, se vuoi semplicemente sfogarti con me. Sappi che io ho le spalle larghe” dissi io, e dissi qualcosa di veramente azzeccato in quel momento. Ho stavo imparando, ad essere un vero uomo. O ci stavo, prendendo la mano. Tutto ciò, mi rassicuro. Cosa che prima non mi succedeva. Quando parlavo, anche con una semplice amica d’infanzia. Tendevo ad diventare nervoso. Cosa che mi porto, a non avere molti contatti. Con il mondo femminile. Tornando al discorso, con Nicole. Reagì stupendosi, del mio gesto di carineria. Forse, Nicole non era abituata “dai non essere cosi stupita. Mi lusinghi” aggiunsi io. Troppo sicuro di me “e che, non sono abituata a tanta gratitudine” rispose Nicole appoggiandosi, di nuovo sulla mia spalla. Il fatto che Nicole, tendeva ad avere un contatto fisico, seppur esile. Mi mando degli input, al cervello. Che non reagì, non era da me. O almeno, la mia etica. Mi disse che non dovevo, per forza cercare il contatto fisico. Già lo faceva lei. E non ne sentivo il bisogno. Anche se ogni parte del mio corpo prendeva fuoco, solo guardando Nicole. Il che era del tutto normale. Sono un maschio. Anche se non e molto poetico. O almeno non rispecchia, il modo in qui vedo io l’amore. Calo il silenzio. Ma non era un silenzio, imbarazzante. Era più un silenzio carico d’emozione. Era come se io e Nicole, stavamo parlando. Anche rimanendo in silenzio. Ed era incredibile “potrei stare cosi per tanto tempo” disse poi Nicole sospirando, aggiungendo una nota di perfezione. Dissi la cosa più stupida da dire, in quel momento. Forse era perche non mi stavo controllando. O forse perche quel contatto. Mi creava pazzia ed inconsapevolezza “allora non andartene mai”. Nicole non disse niente. Ma era consapevole quanto me. Che ogni cosa al suo tempo. E quella perfezione, trovata su di una panchina. Prima o dopo, sarebbe svanita. E come avevamo previsto entrambi. Da lontano arrivo, una delle amiche di Nicole. Solo, che Nicole non la vide “sta arrivando la tua amica” li dissi sussurrandolo all’orecchio. Nicole si alzo dalla mia spalla destra. Per precisione, leggendo quello che ho scritto. Ho scoperto che non avevo precisato un sacco di cose. Ma comunque Nicole si alzo dalla mia spalla. Lo notai in pochi secondi. Nicole aveva pianto. Le sue mani, asciugarono delle lacrime. Non potei fare niente. Solo esserne sorpreso. Come avevo fatto, ad non accorgermene? Cioè Nicole stava piangendo, in silenzio. Come potevo rendermene conto? Sono domande, che spero non mi assilleranno tutta la mia vita. Sta di fatto, che non ero consapevole, di ciò che mi stava attorno. L’amica di Nicole, quando si avvicino abbastanza da vedere, che Nicole stava affianco ad un ragazzo. Ne rimase sorpresa. Rimase pochi secondi abbastanza distante. Come se aspettasse, che Nicole stessa si avvicinasse a lei. Nicole lo intuì al volo. Si alzo dalla panchina, mi diede un piccolo bacio sulla guancia. E mi sussurro all’orecchio, nello stesso momento “grazie per tutto Michelangelo.” io avevo solo il tempo di risponderli cosi “figurati”. aspettai che Nicole, si allontano da me e dalla panchina. E non potei non far altro, che notare. Che aveva proprio un bel fisico. Cosa che mi stupii. Prima, mi accadeva. Di provare interesse, solo per le ragazze con dei bei culi e tette. Si so che questo, non e proprio un bel lessico. Quello che intendevo, che nulla di cui mi piaceva in una ragazza, andava al di là del fisico. Forse sono cambiato? Forse non m’interessa più fare sesso o robe del genere?. O forse amavo tutto di Nicole, ma ero abbastanza stupido da non accorgermene? Probabile. Ma se fosse effettivamente cosi, io saprei apprezzare tutto di Nicole?. Oppure avrei dovuto semplicemente, abbandonare l’idea?… quella sera non ebbi, tanta voglia di uscire. Quindi me ne stesi sdraiato sul divano. A pensare, ed a continuare a scrivere su questo diario. Sperando di non metterci troppa anima. In quello che sto facendo. Rischio di perdere Nicole. Il fatto che m’interessi non mi preoccupa. Saprò al momento giusto, cosa dirle o cosa fare. Se sbaglierò, sarà un altro problema a cui pensare. Ma per adesso non mi preoccupo. Scrivo e basta. Come se questo, in qualche modo. Annullasse tutto il mio passato. Dalle botte, agli schiaffi dati. Dalle ubriacate in solitudine. Alle sigarette fumate, assieme alle bombe. Frequentavo cattiva gente, hai tempi della mia adolescenza. Solo perche ero arrabbiato con il mondo intero. Credevo che questo in qualche modo. Mi avrebbe fato godere appieno la mia vita. Ma la droga e l’alcool, non durano in eterno. La vita invece continua. Come sempre. Spero solo che questo, non venga fuori proprio adesso. Rovinerebbe tutto con Nicole.
Ne sono sicuro.

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Capitolo 3
*** 25/11/2012 ***


 
 
25\11\2012
 
 
Mi sono svegliato di mattina presto. Con ancora le stesse domande, che dalla sera precedente mi assillarono. Mi alzai, per controllare il cellulare. Niente. Forse era troppo presto, per un cambiamento nella mia vita. Dovevo fare qualcosa.  Prima di andare a lavoro, certo. La prima idea. Che mi venne in mente. Fu di ribaltare. Il mio appartamento come un calzino. Cosi da renderlo un ambiente piacevole. Non un covo, di un sequestratore maniaco. Mi diedi da fare. Aprendo il più possibile le finestre arrugginite. Cambiando cosi l’aria, poco nuova e pulita dell’appartamento. Ok, cosi come lo sto descrivendo. Il mio appartamento sembra più una discarica al coperto. Ma non e cosi. Almeno ci e vicino ad esserlo. Misi in ordine prima di andare a lavorare. Feci più in fretta che potevo. Poi guardando l’orologio del cellulare. Mi diressi a lavoro. Non pensai a nulla, per tutta la giornata. Mi concentrai sul lavoro. Smistavo la posta, da ormai due ore. Quando fini, presi le ch chiavi del motorino 50cc. E andai in giro, a consegnare posta. Feci lo stesso giro. Come al solito, non incontrai niente di particolarmente interessante. Solo autobus e gente, che correva a lavoro su auto di lusso o meno. Quando finalmente fini. Ritornai a casa. Più stanco di prima soprattutto. Ma poi ripensai a Nicole. E tutte le domande che mi assillavano la mente, ogni volta che pensavo a Nicole. Era come se ci fosse un mondo, al di là della porta del mio appartamento, scuro difficile da viverci. Ed un altro dentro la porta dell’appartamento, dove sicurezza e assoluto silenzio si mischiavano assieme. Il piccolo problema, era l’ordine e lo stile del mio appartamento. Molto rozzo e con poche oggetti che ne abbellivano l’ambiente. Credo che nella mia testa, questo non sia un grave problema. Quindi non necessità di un cambiamento subito. Ma forse tutto e iniziato, perche speravo che prima o poi Nicole. Potrebbe entrare da quella porta. Era meglio mettere in ordine. Il mio appartamento. Misi apposto. Quasi tutte le stanze. Prima che la mia pancia, inizio a brontolare. Era ora di mangiare. Preparai una cena veloce. Prima di cimentarmi ancora, nella pulizia dell’appartamento. Quando fini, ero sfinito. Decisi che puzzavo, abbastanza da farmi una bella doccia. Il mio bagno, non era molto grande. Ma comprendeva al suo interno, una vasca da bagno. Un Wc quello non poteva mancare in un bagno. Ed un Bidet, proprio davanti al lavandino. Dove uno specchio appena pulito. Rifletteva la mia immagine. La prima cosa che si notava, erano i mie capelli alla ribelle mori. Poi seguivano naso, orecchie poco visibili da dietro i capelli. Ed gli occhi color nocciola, per poi passare ad una bocca carnosa. Aprì il miscelatore della vasca. Ritornai in soggiorno presi il cellulare, non si sa mai. E mi spoglia, infilandomi subito nella vasca, con l’acqua bollente. Rispetto al fresco che alleggiava nell’appartamento. Proprio mentre mi stavo per rilassare. Il cellulare mi squillo. Pensai o sarebbe più giusto dire sperai. Che fosse Nicole. Lo seppi dopo che dissi “pronto” “ciao Michelangelo” rispose Nicole “oh Nicole, non mi aspettavo che mi chiamavi subito” menti spudoratamente io “si certo” era evidente che Nicole non ci avrebbe creduto. Ma aveva reso tutto più adagiato “dove sei, ti ho cercato al bar. Speravo di vedere un uomo con il suo quaderno, penna in mano ed un boccale dall’altra parte” mi descrisse cosi Nicole. E lo fece alla perfezione, anche se del mio umore, Nicole non ne poteva sapere niente “a casa. Precisamente, mi stavo rilassando prima che tu mi disturbassi” spiegai sprofondando nell’acqua calda “sei in vasca da bagno?” mi chiese Nicole. Come faceva a saperlo non lo seppi, ma probabilmente aveva sentito il rumore dell’acqua. E aveva collegato tutto. O semplicemente era intuito “come hai fatto a capirlo?” chiesi io “dal rumore” rispose Nicole, avevo ragione a credere che Nicole aveva sentito il rumore dell’acqua. Aveva davvero molta intuizione la ragazza. Pensai nella mia testa “come mai mi hai cercato al bar?” domandai curioso. Forse mi voleva parlare o aveva bisogno di qualcuno che la capisse. Sta di fatto che mi aveva cercato. E quello per me, era già un bel passo avanti. Potevo veramente cambiare la mia vita. A volte basta il destino, o semplice caso o fortuna. Chiamatela come volete, sta di fatto. Che tutto cambia in meglio o in peggio. Ma il cambiamento, apre tanti orizzonti. Solo l’ambizione ti porterà ad uno di quei orizzonti. Ed io ambivo ad avere Nicole. Per una notte o anche per tutta la vita, perche no. Nicole ci mise molto tempo, prima di rispondermi “e che sono qui sola, volevo un po’ di compagnia” rispose, con fare molto invitante. Nicole aveva il dono, di farsi capire quasi subito. Io risposi quasi subito “dammi cinque minuti” “ti aspetto” rispose Nicole. Ci misi poco, ad asciugarmi ed a vestirmi. Non notai, cosa mi messi addosso. Non m’importava molto, di vestiti firmati. A me andava bene una semplice T-Shirt ed un paio di Jeans, poi dipendeva molto. Dal tempo fuori, ovvio che se faceva freddo. Mi mettevo una felpa. Presi al volo chiavi di casa. Ed il cellulare lo lasciai a casa. Tanto nessuno mi avrebbe chiamato. Mi chiusi alle spalle, la porta dell’appartamento. Camminai a passo spedito, verso al bar. Dove io e Nicole, ci siamo incontrati. Cosa molto romantica, a dirla tutta. Trovai Nicole appoggiata ad uno dei tavoli sul fondo. Stavolta portava una semplice felpa e dei jeans chiari. Non so perche, i suoi vestiti furono la prima cosa che notai. Ma il mio occhi era cosi, guardava ciò che li piaceva guardare. Appena Nicole si accorse di me. Tiro su le spalle e sorrise. Non stava bene, quello lo capì dal suo sguardo perso e dalla sua, poca convinzione nel essere felice di vedermi. Cercai di capirne il motivo “birra alla spina. Sai sei caduta proprio in basso” scherzai io, cercando di rallegrare l’ambiente. Nicole sorseggio un’altra boccata di birra prima di rispondermi  “sto abbastanza male. Non ho bisogno del tuo umorismo” rispose secca Nicole. Era arrabbiata, ma ero convinto che non lo fosse di me. Io ero solo una persona, con cui prendersela. Forse l’unica pensai “sto cercando, solo di vederti ridere” spiegai anche se, Nicole non ne fu abbastanza convinta “sei carino. Ma non mi serve la tua consolazione” rispose Nicole. Non era stato carino da parte sua. Ma forse era solo, una reazione involontaria. Come quelle volte che, dal dottore ti picchietta il ginocchio con un martelletto di gomma. La gamba si alza, ma tu non l’hai fatto apposta. Ecco, Nicole in quel momento era cosi. Non era del tutto convinta di quello che stava facendo ed, anche quello che stava dicendo “allora perche mi hai chiamato. Se non vuoi la mia consolazione?” le chiesi io, provando a farla ragionare “non so, non mi rendo conto di quello che faccio” rispose Nicole “e che in questi mesi, non me ne va bene neanche una” aggiunse girando un dito, sulla superficie del boccale di birra vuoto “la vita a volte e cosi, passi dei momenti bui. Per poi passare a momenti felici. Passerà e questione di tempo, tutto cambia. E nulla muore, si trasforma. Cerca di trasformare la tua infelicità in qualcosa di buono” dissi io, francamente colpito dalla mia saggezza “in cosa?” mi chiese Nicole, sull’orlo del piangere “non so avrai un Hobby a cui dedicarti. Ci sarà qualcosa che ti rende felice. Nonostante tutto no?!” risposi io. Che su questo argomento, ero abbastanza informato. Strano come a volte, la tua esperienza può essere d’aiuto a qualcun altro. Nicole non rispose, ed io mi trovai a cercare un contatto con i suoi occhi. Inutilmente nei primi minuti. Ma la mia pazienza fu ripagata “amo la galleria Garibaldi” mi rispose Nicole, quasi imbarazzata. Un po’ come se mi stesse dicendo, che quello era un po’ superficiale, da parte di una donna. La spronai ad alzarsi “ma che fai?” chiese Nicole con garbo “ti porto alla galleria Garibaldi. La felicità non si trova, sul fondo di un bicchiere di birra” e cosi portai fuori Nicole, lei ed il suo cappotto elegante. Nicole non la prese poi tanto male. Lasciai sul bancone dieci euro, che conteneva anche la mancia. E quando Nicole fu fuori, cammino con aria serena affianco a me “non capisco perche stai facendo tutto questo?” mi chiese Nicole. Mentre camminavamo verso il duomo. Che non era molto vicino “perche ne vale la pena. E poi ho sempre sognato di vedere Milano vuota. Senza quel mucchio di gente che va di fretta. Senza auto o vecchiette che si sono perse. O dei cinesi con le loro sneakers di marca” risposi io camminando sereno. Nicole mi stava affianco “sarebbe un po’ triste. Non trovi? non sarebbe la stessa Milano che ho conosciuto da adolescente” rispose Nicole. Il motivo di quel disaccordo, era semplice. Nicole nella sua adolescenza aveva goduto di Milano, più come una grande metropoli. Mentre io l’ho goduta, in senso di disprezzo. Non c’e l’avevo con Milano in se. Era il luogo dove ero nato, c’e l’avevo più con le persone che ho incontrato a Milano. Ecco perche, vedere Milano senza anima viva. Mi rendeva sereno. Non potevo incontrare nessuno che poteva farmi nel male moralmente, si intende. Anche se sarei solo, ma conoscendomi credo che ci farò l’abitudine e andrei avanti come sempre “del tipo, quale Milano hai conosciuto?” chiesi io sorpassando Nicole, per poi girarmi verso di lei. “quella della movida” mi rispose Nicole “oh interessante” risposi io “non ne sei molto convinto però” chiese Nicole “no non ne sono convinto” risposi io. Anche perche come faceva, una ragazzina a girarsi i locali della movida Milanese. Soprattutto all’età adolescenziale. Anche se io avrei figli, li manderei fuori per strada. Ogni pomeriggio, perche ci sono cose che non si posso. Imparare suoi banchi di scuola. E quelle poche cose, si posso solo imparare vivendo la vita. Al di fuori dei muri di casa “per quale motivo?” mi chiese Nicole, raggiungendomi “non so, forse e perche non m’immagino vederti, in giro per la movida Milanese, soprattutto in tenera età” spiegai, anche se Nicole era quella ragazza, che non aveva paura di nulla e di nessuno. Ragionava con la sua testa, su questo non c’era dubbio “mi credi paurosa di tutto” rispose Nicole, sembro più una domanda, che un affermazione. Eppure non risposi, anche perche non la credevo paurosa. La credevo più, una donna ambiziosa. Forse non era il momento giusto, per dirglielo. Aspetterò semmai, un altro giorno “allora che facevi una volta  la?” domandai, curioso. Forse non faceva nulla di male. Non beveva ecc…ecc… “stavo con le mie amiche” rispose Nicole, guardando a terra. Dispiaciuta per qualcosa, ecco Nicole in quello momento sembrava dispiaciuta per qualcosa. Ma che cosa? Mi domandai. E non potevo fare diversamente, se non nel chiederli “che e successo? Qualcosa con le tue amiche?” sii più preciso, forse cosi avrei ottenuto qualche risposta in più “secondo Sara, sono una puttana” mi spiego Nicole, con aria grave. Come se quell’affermazione l’avesse toccata nel profondo “non lo sei, sai questo” provai a spiegarle. Senza grandi successi “no e chi te lo dice. Mi conosci appena” disse Nicole incavolata “può darsi, ma mi sembra di conoscerti da una vita” risposi io. Nicole si giro verso di me, sul suo viso. Trapelava appena la sorpresa. In un attimo, Nicol reagì e nulla più trapelo, da suo viso solo la sua opinione “ti sbagli, sei troppo sicuro di te stesso” rispose. Mentre camminavamo assieme. Nicole non aveva molta voglia, ti continuare una conversazione. Rimasi in silenzio, per un po’. prima che chiesi “ho fatto qualcosa che non va?” domandai. La mancanza di parole, forse era dovuta a qualcosa che avevo detto. Non rendendomene conto, l’avevo ferita in qualche modo? “come fai a dire certe cose. Mi tratti come se fossi l’unica al mondo” mi disse Nicole fermandosi e puntando i piedi a terra. Come faceva di solito una bambina  “non devi trattarmi come se fossi cosi stupenda. Perche non lo sono” aggiunse Nicole. Dovevo dirglielo? Decisi che forse era arrivato il momento “ti tratto cosi, perche sei l’unica disposta a parlarmi” risposi con tanto calma “come mai nessuno ti parla?” chiese curiosa Nicole. Non c’era da esserne stupiti,  mi stavo giocando, la possibilità di parlare con lei per sempre. Rimasi un po’ fra me e me, prima di rispondere a Nicole “perche tutti pensano male di me. Solo perche sono diverso dagli altri. La gente a volte, non ha molta voglia di capirti e per di più se tu sei differente. Ti abbandona da sola.” risposi cercando di non mettere nella frase io. Ma era chiaro che si stava parlando di me, in quel momento “in che senso?” mi chiese Nicole “nel senso, che non andavo molto bene a scuola e poi sono molto estroverso” risposi. Oramai mi ero arreso, vada come vada. Alla fine saprò di aver fatto la cosa giusta “a me non sembri estroverso, ma ti chiederò comunque perche secondo te sei diverso?” chiese Nicole, aveva voglia di sapere la verità. Ma a me non mi andava, in quel momento. Ma, come potevo dirglielo? Rimaneva un problema “arrivo a capire, troppo tardi rispetto a te o a chiunque non sia nella mia stessa condizione.” ci girai attorno, senza lasciar traccia di qualcosa che mi identifichi, il mio problema. Condividere un problema, e molto difficile. Potrebbe capitare, che questo problema. Qualunque che sia, non sia molto accettato o capito. Ora non sto dicendo che Nicole non poteva comprendermi. E che sono molto restio a condividere, tutto ciò che e mio. Come se questi venisse giudicato male o da persona strana. Cosa che a volte, penso di essere “ok da ragazzo mi fu diagnosticata la D.S.A. disturbo specifico dell’apprendimento, ora non andare su interen a cercare. E piuttosto imbarazzante per me” aggiunsi, stupidamente o forse inconsciamente. Nicole apprezzo il mio gesto, di sincerità. Forse mi ero guadagnato il suo cuore. O almeno ci speravo “non andrò a cercare su internet. A patto che sia tu a dirmi tutto ciò che voglio sapere” rispose Nicole, più che altro sembrò un ricatto “questo e un ricatto?” domandai “cosa succede se non faccio niente” aggiunsi curioso “non so, credo che perderesti la mia fiducia” disse Nicole, e con i ricatti ci sapeva fare. Ecco, qualcos’altro che non so di Nicole? Sbuffai, solo nella mia testa. Ci tengo a precisarlo “ok….vai a cercare su internet” risposi io, con aria di sfida “ho ok sei cosi gentile, Michelangelo” rispose Nicole, ovviamente con aria sarcastica “no sul serio, sono curiosa” aggiunse poi Nicole. Ciò mi costrinse a dire la verità. Non tanto perche me l’aveva chiesto, in un modo gentile. Ma, perche si vedeva nei suoi occhi, che era veramente interessata a me. Cosa che mi rese orgoglioso di me. Il mio ego, non aveva subito un cosi grosso rigonfiamento, mai nella mia vita. Supponendo di dire la verità a Nicole, rimaneva il fatto di dover spiegarli in modo semplice e chiaro. Ciò che sono e che, quindi non posso diventare. Ci misi un po’, prima di formulare una frase, che avesse un significato. Senza però, lasciar trasparire il dolore. Cosi le dissi, in modo monocromatico “praticamente. Mi rende difficile, le semplici cose. Tipo il leggere un buon libro. Ora non sto dicendo che io sia un analfabeta. So l’italiano. E solo che faccio fatica a ricordarmi quello che leggo.” forse era il mio più grande problema. Ma come sempre, ed effettivamente  e giusto fare cosi a volte. Non volevo parlare solo di me, in quel momento. Anche perche credo, che perderei il mio fascino. Cosa che non credevo di avere. Nicole non seppe cosa dire, di tutto si aspettava tranne che quel piccolo dettaglio “perche non parliamo di qualcos’altro?” chiesi ricominciando a camminare “d’accordo, ma uno di questi giorni mi racconterai del tuo passato” rispose Nicole seguendo le mie orme “promesso” dissi io “ci conto, sul serio Michelangelo” rispose Nicole “chiamami Mich, Michelangelo e un nome da vecchio” dissi io “d’accordo Mich. E tu chiamami Nik” rispose Nicole. O dovrei dire Nik. Il fatto che ci inventammo sopranomi. Come bambini dell’elementari. Lasciava presagire, un legame in netta crescita tra me e Nik. Anche se non eravamo più bambini. E volente e nolente quei anni, non torneranno mai più in dietro. Costringendoci, in un qualche modo ad accontentarci della nostra vita, comune di tutti i giorni. Vedendolo dal lato romantico, passare i miei resti di giorni con Nik, non sembrava poi cosi tanto male. E credo follemente che in, qualche parte del cervello di Nicole, lei pensasse la stessa identica cosa. Parlammo per un sacco di minuti, prima di raggiungere la galleria Garibaldi. Dove a quell’ora di sera non c’era nessuno. A parte qualche barbone che si proteggeva dal freddo. Notai che in Nicole, ci fu un certo rilassamento. Quel posto veramente la rilassava, strano a dirsi. Ma, era cosi. Sarà il pavimento lucido, o li archi d’entrata e uscita. O forse sarà, che li affianco c’era una vetrina di Louise Vuitton. Sarà, sta di fatto che io ero con Nicole. E non mi ero mai divertito cosi follemente in vita mia. Nicole si sposto, come una bambina in un parco divertimenti. Fino a che, al culmine della sua follia. Si piazzo proprio al centro della galleria. Dove una specie di cupola illuminava di giorno la galleria. Si mise a girare su se stessa, con le braccia aperto, come a cogliere qualcosa che non c’era. Tracce di magia nell’aria pensai. E che ci crediate o meno, non mi scorderò mai più di quella visione. Dai capelli che seguivano, lo spostamento d’aria. Dal netto sorriso, che prima non aveva. Ogni cosa, era come se i miei occhi. Presero a funzionare come una macchina fotografica. Salvai ogni fotogramma di quel momento. Fino a che Nicole non si fermo “questa e proprio una netta pazzia” commentai, guardando Nicole a pochi passi da me “allora perche non lasciare che succeda?” mi domando Nicole. Con una saggezza che mai li avevo sentito pronunciare. Avete presente, quelle farsi dei scrittori o poeti, che sono dentro ad alcuni cioccolatini? Ecco quelle due frasi, erano di tale valore. Da non poter, non far leggere una cosa del genere. Fortunatamente, nel taschino del giubbotto, quello interno. Portavo con me un indelebile, non so perche ho iniziato a farlo. So soltanto, che fortuna vuole. C’e l’avevo nel taschino. Mi guardai attorno “che cerchi?” mi chiese Nicole curiosa. Ma quando io trovai uno spazio opportuno. Praticamente sull’insegna del Mc Donald, quella ad altezza uomo. Scrissi quelle due frasi “hoo” commento Nicole, mettendomi le sue due braccia sul mio collo “già, ci fai caso a quello che dici Nik?” li domandai io ridendo. La sua risposta non si fece attendere “e per questo che esco con te. Cosi te me le segno dove io passo” rispose Nicole. Semplicemente era il nostro scambio di battute. E questo negli anni a venire non sarebbe cambiato. Ma il futuro e tutto da vedere, troppo esile e imprevedibile.        

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Capitolo 4
*** 26/11/2012 ***


 
 
 
 
26/11/2012.
 
Non seppi, come tornai a casa. So soltanto che poco dopo, io e Nicole ci salutammo. Lei mi diede un bacio sulla guancia. Uno di quelli carichi di gratitudine. Cosi iniziammo a mandarci messaggi a vicenda. Da quella sera stessa. Seppi solo che tornai con passo leggero. Era come se non fossi vivo in quel momento. Come se il mio cervello, avesse smesso di funzionare. Solo il mio subconscio funzionava in quei momenti. E grazie anche, alle ormai strade già fatte e rifatte. Non avevo bisogno di sapere dove andavo. Le mie gambe lo sapevano già di fatto loro. Non avevano bisogno che il mio  cervello li mandasse qualche input. Comunque, tornai a casa. Sano e salvo, più salvo che sano. A ripensarci. Mi lascia cadere sul divano. Mi addormentai quasi subito, con un ultima immagine della mia testa, che alleggiava in aria. Nicole e la sua giravolta.
 
Ciao Mich che fai sto’ pomeriggio? Ti va se andiamo al parco?
 
Fu la prima cosa che lessi sul mio cellulare. E quindi, fu anche il primo utilizzo di suddetto cellulare
 
Faccio il turno di pomeriggio, non so. A che ora?
 
Li risposi io, ed era vero. Di sicuro, avrei guidato il motorino delle poste. In maniera molto più spregiudicata, di quanto facevo prima. La risposta di Nicole non si fece poi tanto attendere.
 
Verso le tre, c’e la fai a venire? Se no facciamo un altro giorno..e poi non sapevo che lavoravi. Potevi anche dirmelo.
 
Mi ammoni Nicole, me ne ero dimenticato di quel piccolo particolare. Cosi li risposi
 
Per le tre. Va benissimo, posso farcela.  Non ti ho detto che ho un lavoro. Perche mi sono dimenticato di dirtelo.
 
Quando rilessi il messaggio, non ne fui tanto soddisfatto.
 
Hoo si iniziano a scoprire gli altarini segreti hoooo 
 
Mi scherni, o più comunemente detto mi prese in giro Nicole. 
 
Non hai niente da fare? 
 
Domandai in tono sarcastico, cosi proprio di rimando.
 
A  dir la verità, sono a scuola. C’e economia. L’ha odio sta’ materia, lei e la stronza della professoressa.
 
Ahahah studente che messaggia nell’ora di economia. Dovrebbe valere una sospensione temporanea
 
Risposi io, anche se forse avevo esagerato. Con sparare con quella battuta. Ne valeva la pena però.
 
Ahahahahaahhaa temporanea. Potremmo passare quindi altro tempo assieme.
 
Mi rispose di rimando Nicole. Già me la immaginavo, seduta davanti al suo banco, con il cellulare sulle ginocchia. Anche di una piccola smorfia sul suo viso
 
Si va bene. Per adesso  segui la lezione.
 
Risposi io. Preoccupandosi soprattutto per lei e la lezione. Metti che la sgamavano in pieno. Anche se Nicole di certo, non era una sprovveduta. Di certo non era ingenua Nicole
 
Oh non ti preoccupare di me. Comunque che c’e già ti sei scocciato di messaggiarmi.
 
Mi rispose Nicole. Prendendosi una certa confidenza con me. Mentre io prima di rispondergli accesi la radio, con l’intenzione di mettere apposto il mio appartamento
 
Secondo te? Scherzo…comunque sono in fase di restaurazione del mio appartamento.
 
Risposi io, mentre dalle casse della radio. Si espandeva la canzone dei Coldplay Fix You. Non so come la radio ci avesse azzeccato in quel momento. Quella canzone era l’ideale per quel momento. Come se la mia vita, fosse scandita, non dal tempo ma, bensì da una canzone. Stupenda come lo e stata la mia vita, dopotutto. Compresi ogni cosa, il mio carattere estroverso. Capì come risolverò, al volo. Dopo che la canzone fini. Mi ritrovai a fissare, il vetro della finestra. Fuori c’era un bel tempo. Il sole illuminava tutto di Milano. Perfino la Madonnina del Duomo di Milano. Anche se si vedeva in lontananza. Comunque contribuiva al panorama. Il cellulare squillo un’altra volta.
 
Divertente Mich. Non mi avevi detto che avevi un appartamento? In che zona sta?
 
Mi chiese Nicole, ed io non seppi cosa rispondergli. Fino a che non mi lasciai andare.
 
Non te l’ho detto. Onde evitare il brutto spettacolo. Assomiglia più a un covo di un fuggiasco, che ad un appartamento.
 
Risposi io, ed a dirla tutta non andava molto lontano dalla verità. Sembrava proprio un covo di un fuggiasco, poco pulito. Forse avevo esagerato col dire “restaurazione”. visto che le mie manovre, erano poco invasive. Si limitavano solo a pulire e basta. Il termine restaurazione, non comprendeva solo pulire e basta. Comprendeva riportare una cosa anticha a nuovo splendore. E quello non era un restauro. Quindi, mi dedicai alle pulizie. Nel giro di pochi minuti, avevo accatastato tanti sacchi di spazzatura. Per la precisione dieci. Pieni di cianfrusaglie. O vera e proprio immondizia, quali mozziconi di sigaretta nel portacenere. Ed anche quello. Decisi di smettere con il fumo. Inizialmente avevo iniziato, per cura calmante. Anche se nessun medico qualificato me l’aveva prescritta. Avevo fatto tutto io. Diagnosi e cura. Risultato fumavo dalle tre sigarette fino a cinque, proprio quando non ce la facevo andare più avanti. La risposta di Nicole si fece attendere. In cuor mio, pensavo che l’avrebbero beccata. Ma, poi pensai che andava all’università, forse li non ti sequestravano il cellulare se ti beccavano a messaggiare con qualcuno. Non mi scrollai la voglia di pulire e mettere tutto in ordine. Quando fini e portai giù i sacchetti della spazzatura. Mi distesi sul divano, che ora aveva un altro aspetto. Ed mi accorsi, che mi era arrivato un messaggio. Forse proprio quando ero andato giù al cortile del palazzo, a buttare la spazzatura nel sacchetto in comune.
 
Pensa che io vivo con i miei genitori ancora. Ma fortunatamente per lavoro sono costretti ad viaggiare. E quindi ho sempre la casa libera, anche se mi mancano a volte. Non sono proprio una brava massaia. Lo so non e una bella cosa, per una donna cosi giovane. E lo sottolineo. Ora ho una verifica di algebra avanzata. Ci vediamo sto’ pomeriggio. Ciao Mich, qualche giorno però mi devi far vedere dove abiti. Ci conto.
 
Era la risposta che proprio, si addiceva a Nicole. Quello era la spiegazione di Nicole. Da un lato la giovinezza, dall’altro la consapevolezza di crescere per forza. Ed poi un piccolo pezzo di risentimento verso i suoi mai a casa. E per finire, un pezzo di Nicole, che non e proprio suo. Sto intendo quel per fortuna ho la casa libera. Suona più come qualcosa che Nicole non avrebbe mai pensato. O che io non spero che pensi. Mi ero fatto una certa impressione di Nicole, nella mia testa.  Sperando che non fosse troppo differente dalla realtà. E poi quel “ci conto” era la chiara firma di tutto ciò. La radio parti con un’altra canzone Leave Out All The Rest  dei Linkin Park. Alzai il volume al massimo. Mentre la vecchia del piano di sotto, si faceva sentire. Decisi che per quella volta, lasciai perdere. Trasgredendo i lamenti della vecchia. Smisi di pensare a nulla. C’era solo la musica ed il mio diario ed io impegnato a scriverlo.      
        
Va bene.
 
Risposi a Nicole, non sapendo cosa aggiungere. Sperando che per Nicole quelle due parole, per lei avessero un intenso significato. Ma cosa può dire “va bene” di profondo? Non ha nulla di romantico, o di altamente mieloso. Per tutta la mia vita, una parte di me e sempre stata un po’ sognatore ed al contempo stesso romantica. Avevo una visione del tutto mia sull’amore. Non quello ricambiato, anche perche mai nella mia vita, ho incontrato qualcuno che sapesse apprezzare ogni singola parte di me. Io credevo che bastasse anche una piccola parte. Ma forse, la vita non e proprio come c’e l’aspettiamo. Forse ce ne facciamo un’idea sbagliata. Non sempre è come te l’ho aspetti. C’e sempre qualcosa che ti sfugge nel quadro generale, della tua vita. Come se ti sentissi incompleto in qualche modo, come se ti mancasse qualcosa di vitale importanza. Può essere per i casi di chi non sa dare il giusto peso alle cose. Del tipo “perche non posso avere quel cellulare nuovo” o può essere per alcuni casi “perche non posso stare con una ragazza del genere?” di relativo peso, in confronto ad un cellulare nuovo. Anche perche magari il giorno dopo, ne esce un nuovo modello. In quanto ad una ragazza, possiamo anche dire l’amore. Si probabilmente c’erta gente, si riesce a fidanzare un sacco di volte. Prima di sceglierne una e sposarsela. Altri invece al primo tentativo. E un po’ la spiegazione di vita di noi umani. Un quadro generale, confuso e diverso da ogni punto di vista. Ma comunque e vita. E quindi perche non sognare qualcosa di buono. Può essere tutto. Ma sognare qualcosa ti porta ad combattere per qualcosa. Dando cosi significato a tutto ciò. Completando quel quadro generale, tanto confuso e diverso. Forse iniziavo a vedere qualcosa di normale nel mio quadro. Ma a completarlo mancavano ancora delle parti importanti. Mettere ordine nella vita di una persona non e cosa facile. Soprattutto se quella persona sei tu. La vita mi ha insegnato, ad affrontare i miei problemi e cosa che si e trasferita anche alla mia vita. Risolvo tutto a modo mio. Facendo li stessi errori, probabile. Ma cosi non ho sorprese. Insomma posso controllare le mie emozioni e tutto ciò che ne segue. Questo mi ha reso forte, anche se con il tempo sto diventando fragile. Ci volle solo Nicole a scatenare tutto. Dal mio appartamento, che primo giudicavo come qualcosa di mio e bello a modo suo. Ora lo consideravo un covo sporco. Mettere ordine nel mio appartamento voleva dire, mettere ordine nella mia vita. Ma cosa non andava, non l’avevo ancora capito. Forse Nicole era la soluzione. In questo caso, dovevo attendere quel pomeriggio. Mancavano ancora molte ore. Decisi di fare qualche passo fuori. La voglia mi era venuta soprattutto perche c’era anche bel tempo. Indossai una T-Shirt blu ed un paio di pantaloni ed usci. Il sole non era cuocente, come credevo. Camminai lo stesso, non sapendo dove andare. Continuai a vagare per le strade della periferia di Milano. Con il mio diario in mano. Era ancora mattina, quindi il traffico era sostenuto, macchine e motorini, facevano a gara. Per chi arrivava a lavoro prima degli altri. In una sorta di gioco, senza esclusioni di colpi, al limite del consentito. Quella in fondo era la prerogativa della mia vita. Camminare da solo, con un diario in mano. Tanto che si direbbe, sia cresciuto con una biro in mano. Solo che le grandi cose, non  erano per me. Tutto qui, cosi mi ritrovai a pensare, a quei telefilm americani, dove lo sfigato di turno, s’innamora della capitana delle Cheerleader. Un po’ stile I Love  You Beth Copper. Avete presente. Oppure anche Spiderman. Tutti finiscono, nella stessa trappola innamorati di una forma di vita, di alto livello. Questo non indica, che io sia un eroe. Tuttavia e un ruolo che davvero mi si addice. Probabilmente Nicole non amava i ragni, ma forse un Nerd si, l’avrebbe aiutata nelle verifiche. Anche se cosi, sarebbe sfruttamento che una relazione. A proposito, non e che io sia bravo nelle relazioni. Questo pregiudica, qualcosa di non buono. Prima o poi avrei detto, qualcosa che a Nicole non sarebbe andato giù. C’era però la possibilità, che io riguadagnassi la sua fiducia. In un certo senso aveva qualche talento. Ritornando hai pensieri terreni, mi trovai a camminare in Via Carlo Pisacane, che a dirla tutta era un nome di una strada qualunque. Sta di fatto che incontrai una delle amiche di Nicole. Probabilmente non frequentavano la stessa università. O semplicemente non aveva voglia di andarci. Personalmente credo che sia la seconda opzione. Ma chi sono io per giudicare. Sta di fatto, che questa si avvicina a me. E con aria pretenziosa mi chiede “l’altra sera eri con Nicole?” evita di dar peso, all’aria brusca dell’amica di Nicole e risposi “si  era con me, non con il tuo fidanzato che dir si voglia” risposi con tono calmo e controllato. L’attenzione della ragazza, si rivolse al mio diario che proprio in quel momento tenevo in mano. La ragazza allungo leggermente il collo curiosa “sei un’amica di Nicole?” domandai portando l’attenzione su di me. Cosi facendo, avevo guadagnato un certo vantaggio e mentre la ragazza mi rispondeva “si sono Federica” io avevo già messo al sicuro il mio diario. Un comportamento che la gente normale di solito non a. non dovrei preoccuparmene molto “scusa ma devo scappare” nel vero senso della parola, so di essere strano. E questa e la seconda o terza volta che lo scrivo. Ma Federica non la smetteva di guardarmi, come se qualcosa in me non andasse. E non volevo che altri sapessero della mia situazione. Cosi senza aspettare una risposta da parte di Federica. Mi voltai e proseguii il mio cammino perso nel nulla. Più comunemente detto. Come navi senza notte. Tornai subito a casa, spaventato. Chissà cosa dirà Federica a Nicole, forse avranno fatto pace pensai. Sfortunatamente non sapevo come erano andate le cose. Questo fino a che non si fecero le tre di pomeriggio. Avevo finito in fretta e furia, avevo guidato il motorino della posta, come non l’aveva mai guidato nessuno. Mi senti un po’ come Fast And Furios. Solo che la polizia non mi aveva inseguito, e di certo un motorino della posta non può essere elaborato. Anche se conosco parecchi compagni di classe, che avevano elaborato i loro motorini. Incontrai Nicole al parco. Arrivo prima lei, ed aveva uno strano sorriso. Quando fui a distanza di tiro. Mi abbraccio, come se gli avessi fatto un regalo bello, davvero bello, troppo bello. La prima cosa che mi venne in mente, era di contraccambiare a tale abbraccio. Solo che la mia mente, lavoro troppo in ritardo. E quando capì quello che dovevo fare, era già tardi. Nicole, o per meglio dire Nik si stacco da me. Non i maniera rude, ma in un modo cosi aggraziato che mai avevo visto in una ragazza prima d’ora “ok inizi davvero ad essere strana” scherzai con evidente successo “ciao Mick” rispose Nicole come se l’avessi salutata “ciao Nik” aggiunsi io subito dopo “per curiosità cosa ho fatto per meritarmi un abbraccio?” le domandai curioso. Nicole in tutta risposta si sedette sull’erba fresca, non tanto bagnata, quanto umida. Tanto che pensai di bagnarmi i pantaloni, ma Nicole non era una sprovveduta. E poi il sole stava girando, prima o poi avrebbe scaldato quella chiazza di terreno fertile. Cosi mi accomodai al suolo erboso “nulla, solo che la mia amica Federica. Mi ha mandato un messaggio. Nel quale dice, che vi siete incontrati e che tu gli hai detto che ieri sera ero con te. Ciò mi ha scagionato da tutte le accuse” mi spiego Nicole, felice come non l’avevo vista mai  “non sapevo che era prevista la corte inquisitoria” risposi io con aria spensierata. Guardai il cielo e Nicole fece altrettanto “che pensi?” mi chiese “sai non c’avevo pensato.” risposi io “a cosa?” mi domando ancora Nicole “che in qualche modo potevo aiutarti. Non l’ho fatto apposta. E solo che lei si e avvicinata e mi ha chiesto se ieri sera ero con te. L’ho fatto involontariamente” spiegai, lasciandomi andare. Sarà stata l’aria fresca oppure, il fatto di trovarmi a parlare con Nicole seduto su di un prato. Dove magari qualche cane aveva pisciato. Quello che più importava e che avevo qualcuno che mi ascoltasse. Non uno stupido diario, dove tutto ciò che ottengo. Sono altre, pagine bianche. Da Nicole il massimo che posso ottenere e un bacio sulla guancia. E perche non sperare di meglio? “sei davvero complicato Michelangelo, lasciatelo dire” rispose Nicole, ma non lo pensava veramente. O forse si?. Sta di fatto, che i suoi lineamenti erano sereni, ed infondo era quello che più m’importava “vorrà dire, che ho bisogno di uno specialista” risposi io, di buon umore. Cosa che Nicole capì “perche sei di buon umore?” mi domando Nicole curiosa, un suo ciglio si era alzato, mentre l’altro no “sono felice di vivere” risposi io, con la stessa aria poetica che riempiva i miei polmoni, in quel momento. Nicole sorrise, si mise una mano sulla fronte. E letteralmente si sdraio a terra. Solo allora notai. La gonna di Nicole, appena lunga sotto la caviglia. Tanto che l’immaginazione lasciava spazio a cose che da li non si vedevano. Cercai il più possibile di esserne meno interessato a ciò. Mi sdraiai accanto a Nicole, fissai il suo viso. Gli occhi erano chiusi, per via del sole. Stava proprio prendendo il sole, in quel momento. Come se nulla per lei, avesse importanza in quel momento. Tranne per il fatto, che per me tutto aveva importanza vitale “no sul serio, perche sei di buon umore?” mi chiese dopo Nicole, senza aprire gli occhi. L’indecisione, prese il posto della sicurezza. Mi senti davanti ad un vicolo senza uscita. Che fare? Dirle che tutto il mio buon umore era stare con lei, proprio in quel momento. Decisi di intraprendere la via della sincerità “perche parlo con qualcuno” risposi io, non ero stato proprio sincerità “non hai amici?” chiese Nicole, secondo me voleva anche aggiungere, oltre a me. Nicole era troppo buona, per dirlo “qualcuno, ma non troppi. Anche se con il tempo mi sono abituato” risposi io “questo non vuol dire, che ti devi adattare” rispose Nicole, sta volta si alzo e la notai innervosita “non ha importanza, sto cercando di mettere apposto la mia vita.” spiegai io. Sdraiato su quel erba, era davvero incredibile. Una quantità d’informazioni passavo nel mio cervello, assieme a mille domande. Curioso di come fosse Nicole, nel profondo “sai dovrei farlo, anche io. A volte sono cosi spregiudicata” rispose Nicole “almeno non ho ancora visto, la tua parte migliore” scherzai io. Guadagnando un pugno di Nicole, lieve. Non come i bulli, che a scuola mi perseguitavano a scuola. Anzi, quello non era un pugno. Era più una carezza lieve “davvero divertente. Mich. Comunque tu mi puoi aiutare” disse Nicole. Suscitando in me curiosità. Cosi tanta che mi alzai di scatto, rimanendo seduto. Fissando incredulo Nicole, che mi rivolse un sorrisetto dolce “come?” chiesi io. Forse se Nicole poteva aiutarmi a mettere ordine nella mia vita, voleva dire che ciò valeva anche per lei, nei miei riguardi. Io, avevo un motivo per cambiare. Ma ciò che intendesse Nicole, col dire “a volte sono cosi spregiudicata” era tutt’altro che qualche festa con alcool e fumo. Era di più, ma cosa fosse ancora mi sfuggiva  “semplice. Tu sai cose che io non so, ed io so cose che tu non sai” spiego Nicole facendo schioccare le dita della mano sinistra “grazie per la spiegazione accurata” risposi io, effettivamente non avevo capito cosa intendesse Nicole. Ma forse Nicole sapeva cose che io non sapevo. E forse questo ci può stare. Ma il contrario? Non ci credevo. Cos’altro mi ha insegnato la vita, oltre al soffrire costante ed alla solitudine. Ora che ci penso. Nicole forse intendeva, che voleva essere più sola. O forse, stava cercando di scappare dalla sua vita. Tanto invidiata da tante ragazze della sua età. Sicuramente Nicole era il centro nevralgico della socialità nella sua classe. Sempre alla moda, con i suoi vestiti oppure con i suoi jeans, che ne risaltava le sue curve “vorrei conquistare la fiducia degli altri, come fai tu. Non  per come mi vesto ecc. ecc.” rispose Nicole mettendosi a sedere, come me. Ora ci guardavamo negli occhi. Ed io gli chiesi “perche vuoi sfuggire dalla tua vita?” non so da dove venisse questa domanda “tu come fai a dirlo?” mi rispose Nicole, ma da come mi aveva risposto. C’avevo indovinato “lo leggo, dai tuoi occhi” risposi io, in aria scherzosa. Tanto che Nicole si rassicuro. Ma veramente l’avevo letto nei suoi occhi. Ma forse era meglio, che Nicole non l’ho sapesse “a parte gli scherzi. Veramente perche vuoi scappare dalla tua vita. Cosa c’e che non va?” aggiunsi io serio. Nicole si trovo a guardarmi con aria seria e della dolcezza hai bordi dei suoi occhi. Troppo facili da capire, non che Nicole fosse facile da capire. Era solo che io avevo un certo talento “non so. E che tutti pensano che io sia molto disponibile.” mi spiego Nicole, incrociando le braccia con aria offesa. Tanto che sembrava una bambina che stava facendo i capricci “sai a me non sembra.” risposi io. Ed per convincere Nicole aggiunsi “se saresti una ragazza facile, io non sarei qui. Basta come spiegazione?” le chiesi, prima di abbracciarla. E fu cosi, che nella mia testa. Risuono ancora quella canzone Fix You. Ma di radio o stereo nei paraggi non si sentivano. E nemmeno Nicole sembrava attratta dalla musica. Ne dedussi che ero io. Era il mio cervello ad cantare su quelle note “quindi questo e l’unico motivo per cui mi parli?” butto giù, una domanda del genere Nicole. Come solo una donna sapeva fare. O gli dicevo la verità o niente le mentivo “si in realtà mi fai molto pena” risposi scherzando. Parti un altro pugno da Nicole. L’ho bloccai. Per finire tutti e due a terra. Lei rideva. Ed io anche. Di colpo Nicole si fermo, per fissarmi negli occhi. Proprio dritto negli occhi. I miei occhi, d’istinto. Come se una mano invisibile mi spingesse la schiena verso Nicole. Lei non si ritrasse anzi, anche Nicole si stava avvicinando. Iniziavo a capire, la poesia di quel momento. Ma prima che le nostre labbra si toccarono “Nicole!” io mi ritrassi. Saltai giù da Nicole, che sbuffando si rimise in piedi “torno subito” disse Nicole mettendosi a posto la giacca. Chi aveva parlato era una sua amica. E fu li che pensai. A come mi guardava Federica l’amica di Nicole. Inizia a dubitare di valere, cosi tanto come Nicole. Ma Nicole era informata della mia non normalità. E non si era allontanata, come avevo pensato io. Ciò non vuol dire, che la gente avrebbe parlato. E sarebbe stato da egoista da parte mia. Solo perche voglio essere felice, questo non e il giusto prezzo. La gente parla. E non si può fare nulla per farla stare zitta. Solo coi fatti. E in quel momento i fatti, non erano a mio favore. Nicole arrivo subito si mise accanto a me “scusa la mia amica. Mi ha appena detto, che domani la verifica e saltata. Meno male, avrei passato tutta la sera a studiare.” si senti di spiegare Nicole. Io continuavo a guardare a terra. Dovevo cerare dei fatti buoni, in sostanza era cosi, dovevo procedere per quel verso. Solo che non era poi tanto facile. In dubbio, se dover diventare come gli altri. Vestiti, modi strafottenti di comportarsi. Stessi linguaggi. Insomma dovevo confondermi con gli altri, ma ero sicuro che a Nicole sarebbe piaciuto il mio cambiamento, oppure l’avrei delusa?. Le domande della mia testa, mi stavano confondendo. Lentamente mi stavano trascinando in un barato. Ho dei problemi sociali. Quando alzai lo sguardo, trovai Nicole che mi fissava. Pietà, la vera pietà si vedeva nei suoi occhi. Era sul punto di piangere. Anche se io non ne capivo il motivo, forse se potevo guardare la mia faccia. Avrei pianto io. Cercai di scherzare, trovare parole. Per colmare quel senso di vuoto, confuso con il silenzio. Ma non ci riuscì. Tutto quello che volevo dire, risulto essere “scusa ero perso nei mie pensieri. Cosa hai intenzione di fare sta sera?” li domandai. Volevo dire a Nicole, tutto quello che tormentava. In realtà avevo paura. Quei tormenti, tormentassero anche lei “non so pensavo di chiudermi in un silenzio, magari a casa tua” rispose Nicole con fare invitante. Ma il turbamento in cui ero caduto, non risaltava gli effetti di quella risposta. Provai solo una lieve tepore. Forse, non amavo Nicole. Non riuscivo nemmeno a capirmi in quel momento. Figuriamoci Nicole. Che di mentalità e modi di fare era complessa. L’amore può darsi, che non sia solo un fatto di capirsi a vicenda. Può essere solo il fatto di trovarsi in un bar. Anche se io l’avevo immaginato più romantico, con un pizzico di sofferenza alla fine. Ci sono coppie che vivono di solo sesso. Si onestamente, potevamo essere noi, io e Nicole. Ma non credo, che il nostro futuro sia quello. Onestamente non so come spiegare l’amore. Cosi facendo dare forma alle mie emozioni. Non so un cazzo della vita. Solo che il soffrire di porta a fare certe cose. E questo, francamente e un po’ retorico. Tornano a quel parco “il mio appartamento e tutt’altro che silenzioso” risposi io, come se l’ha volessi allontanare da me. Cosa in cui Nicole non era abituata “vuoi stare da solo ho capito”rispose lei.

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Capitolo 5
*** 27/11/2012 ***


 
27/11/2012
 
Persi nettamente la cognizione del tempo. Da quando Nicole se n’era andata sbuffando. Non troppo soddisfatta da me. So solo, che ogni volta mi ritrovo seduto su questo divano. A trovare una spiegazione alla mia insulsa vita. Non vorrei essere cosi drastico. Ed avevo passato tutta la notte E quasi contemporaneamente cattivo con me stesso. In mia discolpa, tutti i grandi artisti avevano questa visione di se stessi e della vita. Forse ero destinato a grandi cose. Ma non lo sapevo, credevo che probabilmente sarei finito a fare il postino per la mia intera vita. Cosa che non contribuiva a rendermi molto felice. Mi stavo deprimendo, sperando che una birra mi tirasse su. Non coerente su ciò che avevo detto a Nicole, il giorno prima. Ma contraddirmi era il mio talento. Sgusciai fuori dalla porta del palazzo. Non faceva freddo e ne caldo. Stranamente non lo sentii. Arrivai al bar, poco dopo. Abitavo a pochi metri dal bar. Che forse era il mio preferito. L’aria di posto malandato, le pareti scrostate di una sostanza, poco consigliata respirare. Era un po’ il quadro della mia situazione. Ero riuscito a comprendere ciò che mi stava attorno per la prima volta. E non so se sia una gran cosa, averlo capito ora. Ma come si soul dire meglio tardi che mai. Iniziai a bere. E ci andai giù pesante, fottendo il lavoro di postino. Fottendo tutti. Quando il mio cervello, fu cosi talmente pieno di birra. Tanto da sentirsi strizzato. Scivolai a casa. Barcollando. La birra aveva inibito il mio equilibrio. Non notai, qualcuno che mi stava seguendo. Sentii il suo odore. Era come l’odore dell’estate, dove tutto era possibile, ed il tempo era solo scandito da qualche folata di vento ed mare. Una piccola parte del mio cervello, riconobbe quel odore. L’altra parte convinceva la piccola del contrario. Prevalse la parte grande. E quella piccola, si ritrovo rannicchiata in un angolo. Non capivo niente in quella situazione. E pensai a quanto ero stupido. Potevo rovinare tutto, ma l’alcool mi faceva sentire, come se galleggiassi e quindi non imputabile per i miei errori. Riuscì ad aprire il portone di casa. La ragazza, era chiaro che era una ragazza. Appoggio una mano sulla porta. Entrando nel campo visivo dei miei occhi. Solo allora la parte più piccola del mio cervello reagì, con un balzo. Misi a fuoco, quel viso. Ma ero sicuro di chi si trattasse. Dal profumo, era evidente “ho mille problemi, perche mi hai seguito?” domandai con aria stanca “prima di tutto sei ubriaco, volevo solo accertarmi che arrivassi a casa sano e salvo. Secondo, non eri mica tu ad avermi detto. Che la felicita non sta in un fondo di un bicchiere di birra?” ripose Nicole. Che sembro sul punto di dirmi “come hai potuto” “di certo, tu non puoi rovinare la tua vita cosi perfetta” risposi io, anche se facendo fatica a dire l’intera frase. Nicole, aveva l’aria di mia madre, quando tornavo a casa con un altro N.C. ed i ricordi affollarono la mia mente. Meglio lasciarli andare. Mi dissi, faceva meno male. Ma in quel momento non avevo controllo di me stesso. Non seppi se piansi. Ma il viso di Nicole si addolcì “dai ti accompagno su” mi propose Nicole. Annui con la testa, o almeno e quello che mi ricordo. Sali le scale con Nicole appena sotto di qualche scalino, pronta a prendermi se fossi caduto. Arrivai sano e salvo e con me Nicole. Al pianerottolo del mio appartamento. Ritornai lucido, non so cosa accadde nella mia testa. Forse il mio corpo reggeva l’alcool meglio di chiunque altro. Mi voltai verso Nicole “scusa per il disordine” lei mi sorrise e mi spinse verso la porta “non devi per forza essere gentile con me ogni volta” mi sussurro  all’orecchio. Cosi le apri la porta al mio mondo. I colori affluirono nella mente di Nicole, o almeno era la mia immaginazione “abiti qui allora? Non male” disse Nicole voltandosi di 360° per guardare appieno il mio appartamento “si da quando i miei genitori mi hanno abbandonato” risposi io, non rendendomi conto di quello che stavo dicendo “come abbandonato?” domando Nicole sorpresa “ah non dovevi saperlo per forza” risposi io a mo’ di scusa. Non sorti nessun effetto la mia scusa, anzi “come sarebbe che non devo saperlo per forza. Di che stai parlando?” mi domando ancora “quante altre cose mi hai nascosto?” mi domando ancora. Non mi ero mai trovato in quella situazione, con un dito puntato sul mio petto. Nicole mi costrinse a sedermi sul divano. Cosa che era altrettanto facile, visto che non avevo opposto resistenza “shhh non urlare” li dissi, poi notando il suo sguardo indecifrabile aggiunsi “tante. Troppe, cose che non avresti piacere di sentirle dire. Rovinerei l’idea troppo perfetta che tu ti sei fatta di me. Questo non vuol dire, che e facile imbrogliarti. Sto solo dicendo, che nulla della mia vita, mi ha preparato a ciò. Avevo la terribile paura di deluderti. Tutto qui, non ti ho detto nulla. Omettendo gran parte della mia vita. Per non rompere quello che si era creato tra di noi” spiegai. A Nicole venne da piangere. Tentai di alzarmi, ma mi risulto difficile, provai un’altra volta sortendo un diverso effetto. Abbracciai Nicole come non avevo mai fatto “senti non per rovinare tutto. Ma mi sento stanco, perche non vai a casa tua a dormire. So badare a me stesso per una sera” dissi tentando di convincere Nicole ad andarsene. Lei rimase ferma nella sua convinzione, con i piedi piantati a terra “no ho voglia di stare con te in questo momento” rispose Nicole convinta, cosi tanto che convinse me a non insistere “ok. Ma sappi che sono ubriaco, probabilmente domani non mi ricorderò di questo” cosi dicendo, tutto si rivolse come un turbinio di colori. Qualcosa di umido venne a contatto con le mie labbra, forse l’asse del cesso. O un bicchiere d’acqua fresca.

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Capitolo 6
*** 28/11/2012 ***


 
28/11/2012.
 
Passai la notte, sopra il divano. Nicole non era nei paraggi, forse se ne era andata pensai. Ma non c’avevo azzeccato. Dormiva affianco a me, beatamente devo dire. Il suo viso, rifletteva un sorriso dalle sue labbra. Tentai di ricordarmi ogni singolo particolare, ma nulla. Vuoto, vuoto totale. Cercai di alzarmi, senza svegliare Nicole. Ma dormiva affianco a me, cosi attaccata che ogni mio spostamento, spostava anche lei. I suoi capelli erano cosi profumati. Avevo una voglia di sfioragli. Ma mi trattenni, probabilmente l’averi svegliata cosi. Non sapendo che fare. Stesi li fermo, ad assaporare quel momento. Ti tremendo romanticismo, quasi buffo e bizzarro per me. Mai ho passato minuti cosi intensi. Quasi senza respirare, per paura di far troppo rumore. Stesi li, ad immaginarmi di passare una vita e di più con Nicole. Tutto sbiadì, subito dopo che il cellulare di Nicole squillo. Il mio aveva una diversa suoneria. Nicole si alzo, intontita. come se avesse passato l’intera notte a far qualcosa. Non lo notai subito. Ma il io diario, questo diario. Giaceva affianco a Nicole. E mi si fermo il cuore, quando notai che non era solo appoggiato, era aperto, sfogliato e rispogliato da Nicole, che ora si stiracchiava. Con la parte inferiore della schiena, appoggiata a me. Rimasi a fissare Nicole, che si alzava come se nulla fosse. Per andare a prendere il suo cellulare, dentro al suo giubbotto appeso all’appendiabiti della sala “pronto” disse Nicole, sbadigliando appena “si ok ma’ sono a casa di amiche. Mi sembra che te l’avevo detto, che mi fermavo da Federica” aggiunse Nicole, capace di mentire anche se il cervello per via del sonno, era un po’ intontito “si, ciao. Si ho mangiato tranquilla” disse Nicole, prima di chiudere il telefono seccata “cosa ti ha fatto tua madre, per odiarla cosi tanto?” domandai, come se le ore passate poco prima, non fossero realmente accadute. Non provai ad alzarmi, per paura di un gran mal di testa. Cosi rimasi sdraiato sul divano. Stranamente non sembrava che Nicole avesse dormito male. Anzi, sembrava rilassata. Ed visto che non mi faceva male la schiena, ne dedussi che quel divano era davvero comodo per dormirci in due “nulla a quello strano modo di fare. A prima vista sembra una stronzzetta gentile. Poi nel profondo e una vera troia” quell’affermazione da parte di Nicole non mi sorprese. Ma i vecchi rancori di Nicole m’interessavano “perche che ha combinato?” chiesi, mentre guardavo Nicole sedersi su di una sedia, proprio davanti a me. Le mani nei capelli, non vedevo la sua bocca muoversi, ma senti distintamente “ha rovinato tutto, a tradito mio padre con un sua socio in affari. Ora faccio la spola, tra la casa di mia madre e quella di mio padre” era evidente, che Nicole preferiva di gran lunga suo padre, che la madre. Forse perche, vedeva nella madre lo sbaglio che aveva fatto, incolpandola di tutto. Sta di fatto che sua madre si era preoccupata di lei, non vedendola tornare a casa e non sembrava che quella fosse la prima volta “immagino che non sia la prima volta che le menti” dissi io, trovando la forza di alzarmi. E di conseguenza la mia testa, inizio a pulsare. Ci fu qualcosa, che trattene Nicole nel dirmi “ben ti sta!” cosa che inizio a sfuggirmi. Poi la mia mente ripercorse, quei piccoli avvenimenti. Il diario aperto ancora li, appoggiato al tavolino più vicino della sera prima. Probabilmente Nicole l’ho aveva spostato, per leggere meglio. Il fatto e che era evidente, che Nicole avesse letto il mio diario. Eppure qualcosa mi trattene, dal dirle “hai letto per caso il mio diario” provando un desiderio forte, di scrivere altre righe su quel diario. Mi spinsi in cucina “ti va il caffè?” le chiesi dalla cucina, poco distante dalla sala. Visto che il mio appartamento era più un loculo, che un classico appartamento di Milano “si grazie, aggiungici tanto zucchero” mi rispose Nicole, appoggiata sulla porta che divideva la cucina dalla sala. Sembrava divertita “cosa ti diverte?” le chiesi sinceramente, appoggiando la Moka per il caffè “nulla e solo che questa e la prima volta, da tanto tempo che faccio colazione in una casa” rispose Nicole, come se una casa valesse come le altre. In un certo senso, molto simile ad un mio ragionamento. Per la casa dove sono cresciuto, non era poi differente dalle case di altre persone. In fondo sono solo quattro mura ed un tetto, più altri mobili e qualche lampade appese hai soffitti. Accesi la fiamma del fornello, con un sorriso stampato sulla faccia “non sembra che soffri la sbornia” disse Nicole interessata ad ogni mio movimento “e che sopporto il dolore, ci sono abituato” risposi. E fu li che capì, inesorabilmente che  effettivamente Nicole aveva letto il mio diario. Anche se ancora tentavo di dirmi, che non era cosi. Ma oramai era inevitabile “so che hai letto il mio diario, se vogliamo chiamarlo cosi. E si, ci sono un sacco di cose che non ti ho detto. Vuoi perche non avevo tempo. O vuoi perche rovinare tutto, mi sembrava una soluzione drastica. E mentirti era una soluzione, alquanto stupida. Ma almeno non…….” la mia frase si spense nel vuoto, se effettivamente Nicole aveva letto il mio diario, sapeva perche mi comportavo cosi. Era facile, leggere tra le righe e capire del mio profondo interesse d’amore, che provavo per lei. Ma per qualche strana ragione Nicole, sembrava che stesse attendendo qualcosa. La moka inizio a far rumore, il caffè era salito. Ed io preso, solo dal caffè. Mi dedicai solo a quello. E mentre lo versavo in due tazze, fu Nicole a parlare “forse, avrei dovuto chiedertelo. Prima di leggerlo. Ma Federica, mi aveva detto che andavi in giro con un libricino. La tentazione era forte…” “non sono arrabbiato per questo” dissi io interrompendo Nicole. In fondo era cosi, non era assolutamente arrabbiato con lei, anche io se mi sarei trovato in una situazione simile, avrei fatto cosi. Li servi la tazza di caffè fumante, prima di averci aggiunto tanto zucchero “grazie” disse Nicole gentile come sempre. Cosa che mi fece sospettare, che lei non sarebbe scappata da me. Il che fece svanire, quel mal di testa terribile. Anche se le tempie ancora mi pulsavano, come prima ma, in maniera lieve “io, non posso capirti” esordi Nicole, di quello che proprio sembrava un discorso serio “ma” ce sempre un ma, pensai “non da persone mature ubriacarsi per scappare da questo mondo che non comprendi, anche perche non l’ho ancora capito io.” sembrava che Nicole, nascondesse una profonda intelligenza repressa “avevo solo bisogno che la mia mente, smettesse di tormentarmi con tutte le domande retoriche che mi faccio. Tutto qui, questa e la prima volta che mi ubriaco. E non ci tengo a rifarlo” risposi tentando di dare una spiegazione più che plausibile, quanto sincera. Nicole sorseggio il suo caffè continuando a fissarmi “su avanti cos’hai da chiedermi?” le domandai tornando per poco tempo, quello che ero l’altro pomeriggio, passato con Nicole al parco “ieri sera. Ti ricordi che mi hai detto?” mi rispose Nicole. Io mi ricordavo quel umido sulle mie labbra e basta. Ma non ero sicuro, che le mie fantasie si fossero avverate “ti potevo dire tante cose. Ero cosi turbato” risposi, con aria evidente dispiaciuta “mi dissi che i tuoi genitori ti avevano abbandonato. Ricordi. Ora non e un mio interesse. Ma quando e successo?” mi chiese Nicole, non voleva saperlo. Ma, era combattuta su ciò “e successo più ho meno, cinque anni fa” risposi io, con scarsa voglia di parlarne. Nicole sembro turbata da qualcosa. Intanto io avevo finito il mio caffè “non dovresti essere a scuola?” le domandai, notando che erano le otto di mattina “no non ho lezioni interessanti oggi” spiego Nicole sbadigliando “sei molto carina, coi capelli spettinati” scherzai io “sei tornato come prima” rispose Nicole qualcosa affioro hai suoi occhi. Spegnendosi all’istante, mostrando in Nicole un vero autocontrollo emozionale. Avanzato, quanto il mio “e questo ti fa morir dal piangere?” le domandai in modo sarcastico, prima che Nicole afferro un pacchetto di fazzoletti, per poi lanciarmelo “Ahahah molto divertente Mich” rispose Nicole. In un attimo, era ritornato tutto come prima. Io che scherzavo, Nicole che stava al gioco. Ciò non toglie, che avevamo passato la sera assieme. A dormire beatamente su quel divano consunto. Ciò mi rese un ilarità pazzesca. Non era una cosa romantica. Il quadro sembrava di no, ma nel profondo se ti avvicinavi, c’erano un mucchio di dettagli, da definirlo tale. Sembrava che Nicole condividesse appieno, quando disse “non male il tuo divano. E cosi comodo, tu sei comodo” l’ultimo pezzo della frase, lo disse Nicole come se fosse qualcosa di valore per lei. Ci mise, una piccola forza trattenuta nel dirlo. Tanto che la frase in se rispecchiava, la tenerezza di Nicole. Mi fissava negli occhi. Possibile mai che ci siamo baciati, ed io non me lo ricordo. Tutto faceva pensare, che le mie preoccupazioni non erano poi tanto infondate “si ok, poetessa. Dammi la tazza di caffè” riposi io, con un sorriso a ventiquattro denti “devi per forza rovinare tutto” rispose Nicole ritornando in sala-camera da letto “ti dispiace se uso il bagno?” mi domando Nicole dall’altro lato dell’appartamento, il che non ci voleva tanto per coprire quella distanza “l’acqua calda ci mette un po’ ad arrivare” gli gridai di rimando. Quando pulii le due tazzine tornai in sala. Il diario era la aperto su quel tavolino aperto. Lo presi nelle mie mani. Lo sfogliai. Cosi per nessun motivo. L’occhio ricadde su di una piccola didascalia,sul retro della copertina. Diceva:
 
In fondo, non sei molto diverso da me Mich. Siamo simili, seppur con diversi errori. Questo e quello che differenzia gli uomini gli uni dagli altri. Eppure siamo simili. Io vivo tra due famiglie. Un po’ come se fossi, in mezza tra il fuoco nemico e quello amico. Tanto che non so distinguere chi mi fosse amico o meno. Ma un bel giorno, ti incontrai . Mi feci capire un mucchio di cose. Solo a guardati. Sei la prova vivente, che la vita può essere crudele. Ma si può combattere, ed uscirne illesi. Solo con qualche traccia sul viso. I tuoi occhi mi dicono, tanto. Troppo. Cose che probabilmente mi spaventeranno. Ma solo ora so, che non mi sentirò mai persa tra le tue braccia. Anche se questa città, necessità di carne al macello che siamo. Soltanto tu non andrai al mattatoio dei dimenticati, perche dimenticarti e impossibile.
Un bacio Nik, appassionata di questo diario.
 
“speravo che non lo notassi, prima che me ne fossi andata” confesso Nicole sull’uscio del bagno. Per un attimo ci fissammo un’altra volta, come le altre volte. Ma non sembro una cosa già provata, sembro più una cosa nuova per entrambi “scrivi in maniera interessante Nik” risposi io non sapendo che dire. Si era aperta sul mio diario, proprio come io avevo fatto prima di lei. In fondo eravamo simili, storie differenti. Ma, stesse emozioni “si certo. Dovrei fare la scrittrice” sbuffo Nicole “ho andiamo” dissi io, come a dire. “dai non e cosi, veramente sei brava.” ma, in maniera abbreviata “no sul serio, quello con il talento, qui sei tu” cosi dicendo m’indico Nicole. I suoi occhi era cosi pieni di convinzione, tanto che non potei scappare. A quei pochi istanti che ci separavano. La mano invisibile torno a colpire, colpire me. Mi stavo avvicinando, involontariamente a Nicole. Ed lei a me “sai questo probabilmente non finirà sul mio diario” scherzai a pochi passi da Nicole “l’ho spero proprio, non sono vestita bene” e cosi dicendo, Nicole mimo una gonna con le mani “hai letto anche quello?” le chiesi imbarazzato “si può darsi” rispose Nicole. Eravamo ad un palmo di distanza. Tanto che potevo contare i suoi respiri e lei i miei. Ma non c’importava in quel momento. Tutto svanii piano piano. Le labbra s’incrociarono. I colori si mischiarono. Mentre nel profondo dello stomaco, sentivo un vuoto che mano a mano si stava colmando. Per un attimo desiderai che fosse sera. Ma il telefono di Nicole squillo un’altra volta “scusa” disse staccandosi dalle mie labbra in modo lieve, quasi non ne senti la mancanza “pronto?” disse Nicole arricciandosi i capelli con un dito. Morente di voglia, di aggiornare il mio diario. Ma decisi che forse era meglio aspettare. Attesi che Nicole finisse i suoi convenevoli “hai telefonato a Federica?! Cosa perche non ti fidi di me ma’” disse Nicole al telefono, che ora notai colorato con un rosa acceso. Sbuffando Nicole chiuse la telefonata, torno a fissarmi. Con evidente voglia di restare. Seppur comprensibile, per lei era meglio tornare a casa “lo so devi tornare a casa” ne dedussi io “e che mia madre. Hai sentito che ha fatto” rispose Nicole “probabilmente la Signora Eleonora avrà sentito tutto. Sai quella porta l’ampli phon” scherzai io, cosi per smorzare quell’aria carichi di addio. Ma mai un ci vediamo presto “senti. Mich, dovremmo farlo un’altra volta. Passare la serata assieme, non sarebbe male” disse Nicole, con fare invitante “si ma forse sarà meglio organizzarsi” dissi io guardandomi attorno “scherzi, mi piace il tuo covo da mentecatto” scherzo Nicole “non e divertente, usare ciò che ho scritto contro di me” dissi io facendo finta di fare l’offeso “ah no non lo è, hai ragione” rispose Nicole avvicinandosi per un ultimo saluto “assolutamente non l’ho è” aggiunsi io. Prima che un altro bacio, scandì il tempo muoversi “magari a casa mia. Ti farò sapere” disse Nicole, prima di imboccare la porta del mio appartamento ed uscirne fuori. Con una pettinatura perfetta, o forse questo non l’ho dovrei dire. Metti che Nicole legga queste frasi, devo starci attento. Sarà meglio che il mio diario, sia nascosto bene. Prima che Nicole torni da me. Il tempo continuo a scorrere. E più andava avanti, più non vedevo l’ora di rincontrare Nicole, come se fossi una ragazzina appena adolescente innamorata. Ricordo che la mattina la passai, ad non fare niente. Come si sul dire, mi dedicai al poltrire sul divano. Senza che nulla mi disturbasse. L’odore di Nicole, era nell’aria. E non sono un maniaco, ci tengo a precisarlo. Prima che vi faccia, venire qualche preoccupazione. Oltre a qualche, movimenti da parte non importanti. Non accadde nulla. Ma dovevo andare a lavoro. E non potevo mancare un giorno. Quello del postino e un duro lavoro. Cosa accadrà, se per caso non consegno una lettera importante. Di solito sono solo bollette da pagare. Me ne accorgo, dalla timbratura Enel. Comunque andai a lavoro, sereno. Come se nulla potesse spezzare quel momento. Sorridevo. E nessuno mi rivolgeva la parola. Come se non esistessi. C’erano tante cose, che volevo fare con Nicole. Alcune all’aperto, ma nessuno mi conosceva. E di sicuro non posso passare tutto il mio tempo, appiccicato a Nicole. Dovevo farmi degli amici. E la cosa mi risultava molto difficile. A dire il vero, non l’avevo mai fatto. Non sapevo come si fa. Sapevo solamente che con Nicole, non potevo solo permettermi di passare tutto il nostro tempo assieme, rinchiusi in casa. La mia o la sua. Cosa fanno le coppie di fidanzati? Anche questo non sapevo. E questo mi riporto, alla mia tremenda ignoranza sul fattore fidanzata. Era inutile pensare a vuoto. Probabilmente mi sarebbe venuta un’idea prima o poi. Il cellulare squillo, sta volta in vibrazione
 
Amo. Sto pomeriggio, ti voglio portare in un posto bellissimo. E il mio posto preferito di Milano. Ci devi venire.
 
Era di Nicole, difficile dire il contrario.
 
Solo di Milano? Quanti altri posti preferiti hai? Comunque va bene, stacco alle due.
 
Li risposi io. Proprio in quel momento, stavo percorrendo una via. Per il mio solito giro di posta. Francamente non so se questo sia legale o meno. Comunque continuai il mio giro, non vedendo l’ora delle due di pomeriggio. Chissà, qual’era il posto preferito di Nicole. Ipotizzando, tra tutti posti che conoscevo di Milano, tentai di individuare quello più bello. Ma rimasi al punto di partenza. Come se non fossi mai partito, avevo l’illusione di essere partito. Fini il mio giro, alle una e mezza. Avevo solo venti minuti per tornare alla centrale di smistamento. Per poi dirigermi a casa. Ci misi poco. Accelerai al massimo col motorino. Arrivai alla centrale alle una e trenta. Timbrai l’uscita e corsi a casa. Quando mi arrivo la risposta di Nicole, era quasi arrivato a casa
 
Bhè c’e Firenze. Torino, Venezia. Sai tanti altri posti.
 
Rimasi di stucco, mentre le mie gambe ancora andavano. Nicole aveva viaggiato più di quanto io avessi fatto fino ad ora. Non le risposi, anche perche trovai Nicole sulla porta principale del mio palazzo. Alzai le braccia, come a chiederle “non ci dovevamo vedere alle due” ed in risposta Nicole mi disse “pensavo che da qui e più vicino arrivarci” mi rispose Nicole. Abbandonai l’idea di una bella rinfrescata per andare con Nicole. La segui. Pensai a tanti posti stupendi di Milano. Ma dei tutti, mai avrei pensato ad un panorama, dall’alto. Nicole, mi porto in uno di quei serbatoi . Io la guardai con fare sospetto “non ti preoccupare, le scale varranno la pena” mi incito a seguirla, senza indugiare oltre. La segui, arrivammo in cima. E giuro era passata un’eternità. Chiusa questa parentesi. Arrivammo in cima, prima Nicole poi io. Quello che mi si parò di fronte, fu uno spettacolo. Di quelli che capitata raramente di vedere in una vita. L’imbrunire del sole, gettava strane ombre lucide e d’oro, sulla città. Le finestre sembravamo dei rettangoli bianchi. Da li le automobili si scambiavano per formiche. Ed l’arancio era presente in tutto, sostituendo il vecchio e sporco grigio. Nicole mi sorrise appena, incerta se anche io avrei avuto le stesse sue emozioni. Era difficile da descrivere, quello che mi senti di dire fu “ne valeva la pena in effetti” in tanto tornai a guardare, la città sottostante. Piccole nuvole all’orizzonte minacciavano di oscurare tutto. Ed i palazzi di conseguenza gettavano altrettante ombre terrificanti sul terreno sotto di noi. Saranno stati venti metri dal suolo, ma il panorama si godeva appieno, anche perche la forma circolare del serbatoio, non escludeva niente. Sebbene tu ti giravi su te stesso. C’erano anche dei poggia mani, che correvano intorno alla struttura. Come se qualcuno, aveva intuito che qualcuno ci fosse salito, su quella struttura da lui stesso eretta, per godere il panorama. L’intuizione della mente umana, va al di là di ogni altra previsione. Non chi disse questa frase, ma l’ho trovata nella mia testa, sottoforma di ricordo. Sarà stata una persona che conosco, o forse l’avrò letto da qualche parte. Quello che importa, era che quelle parole. In quel preciso momento, iniziavano ad avere un valore per me “sai, il bello deve ancora arrivare” disse Nicole mantenendosi a debita distanza da me. Stranamente Nicole era al centro, esatto del serbatoio. Mi fissava. Allargai un braccio. Per un momento la guardai anch’io, il sole in viso. Illuminava la pelle di Nicole. Tornai a guardare all’orizzonte, senti il suo contatto con il mio braccio, ancora allargato. Per poi stringersi attorno alla sua vita. Nicole si accoccolo alla mia spalla, con una mano in bocca. Guardammo la fine della giornata e l’inizio della sera. Cosi, come due piccioni appesi su un cornicione, che aspettavano la primavera. Il sole lentamente torno dall’altra parte del mondo. Calo il buio. Tutto d’un colpo, ogni singola lampadina, lampadario o le semplici lampade. Si accesero, alcune all’unisono, altre con qualche secondo di ritardo. Non compresi cosa fosse successo. No Nicole, non poteva pensare una cosa del genere. Pensai, ma mi contraddissi un’altra volta “e stato bello” affermo Nicole, quello lei l’aveva visto e rivisto, chissà quante volte. Ma tutte quelle volte, non le avevano fatto passare la sorpresa e l’emozione “quando hai scoperto questo posto?” le domandai curioso. Ritornai a ragionare, da persona umana. Chissà cosa ci faceva Nicole li. O come ci fosse arrivata “quando i miei litigavano, avevo bisogno d’aria. Quindi uscivo per Milano. Quando notai questo serbatoio dell’acqua comunale. Ci sali, cosi per vedere. Da quel giorno, sono sempre venuta qui ogni volta che avevo bisogno di conforto” mi spiego Nicole, piccole lacrime le cadevano dolcemente sulle guancie. Era troppo, tutto questo e parte della mia immaginazione. Pensai “e io che pensavo ad una vetrina di Burberry” scherzai “a pensarci bene” rispose Nicole sorridendo “come puoi rovinare tutto, ciò che dico di bello” aggiunse Nicole dandomi un piccolo pugno sul braccio, quello legato alla sua vita “perche cosi, tu puoi ricostruire tutte le parole dette. Come un puzzle, che fine non ne ha” risposi io “e poi amo rovinare tutto” aggiunsi ancora “e me?” mi domando Nicole “forse, hai ragione te. Meglio un vestito di Burberry” scherzai “come potrei non amarti” aggiunsi soffermandomi sui suoi occhi. Nicole mi guardo di rimando, come a dire “tutto qui, quello che sai fare”. avevo un sacco di cose, romantiche e dolci in quel momento nella mia testa. Ma forse quella che riusciva a descrivere tutto, erano queste semplice parole “ti amo, perche con te ho la costante sensazione. di aver raggiunto il mio luogo dove dovevo stare. E come se sentissi di essere nato per  questo. Amarti e nulla più. Come se tutto di colpo prendesse senso, d’ingiusto e giusto. Il cattivo e buono. Amare te o solo un panorama, ma non so ancora che il panorama che io amo sei tu” dissi io. Ignorando il panorama. Era vero, c’ero io e Nicole. Il resto era solo un panorama inanimato, eravamo solo noi a spostarti. A parte il sole la luna e qualche stella. Che iniziavano ad accendersi, come se stessero completando tutto ciò. Spiegarvi altro, sarebbe stupido, nei riguardi di Nicole e di me. Sarebbe come dirvi la fine di un film, prima che inizi l’inizio. Meglio lasciarvi alla vostra immaginazione completare tutto, nulla e più perfetto dell’immaginazione, bambina o adulta. Quello che accade sul serbatoio rimarrà nelle nostre menti. Il mondo aveva un senso, ora per me e Nicole. Le piccole carezze, che ci facevamo. Sostituivano le ingiuste. Il tempo cura tutto. Piante, ferite e tempo. Dateli solo il tempo di passare. La vita e un continuo di sorprese, di pianti, sorrisi, amori e di dormite che ti levano i sogni. Quando tornai a casa. La bocca sapeva di Nicole, lei era già a casa. Cosa che ne dedussi, lei abitava poco distante dal serbatoio d’acqua comunale. Lo dedussi dal fatto che mi mando un messaggio al cellulare 
 
Spero che nulla finisca tra di noi. Stasera passa da me abito al (piccola informazione che terrò per me)
Mi preparai, come se fosse un matrimonio. Fui cosi meticoloso a preparami che ci vollero delle ore per completare tutto. Non volevo che nulla variasse, tra me e Nicole. E credevo che se non fossi perfetto, non potevo apprezzare Nicole per quello che era. Anche se dicendo cosi, la faccio risaltare come cosa di poco conto. Ma Nicole per me, era di più che il nulla. Era quella piccola parte di me, che ancora sperava nel bene, che vincesse ogni volta il bene. Per riparare le nostre vite. Che assomigliano a brocche di vetro, rotte in mille pezzi. La meticolosità di quel momento, aiutava a darmi un certo ordine nei mie pensieri. Mai mia mente, fu libera da certi pensieri. La cura, iniziava a fare effetto. Ma era pur sempre consigliabile, prenderle a poche dosi. Cosi da guarire completamente. Raggiunsi poco dopo, la casa di Nicole. Che finalmente scopri, che abitava in un appartamento. Come il mio, tranne che il suo in quanto a lussuria era molto superiore del mio. Nicole apri la porta dell’appartamento, quando senti l’ascensore fermarsi al suo piano con me dentro. Chiuse la porta dietro a se “ciao” disse Nicole cogliendo al volo il mio viso, dandomi un bacio sulle labbra. Che alle mie stesse labbra sembro un vento lieve. Cosi era Nicole, in ogni cosa ci metteva grazia e poca forza. Ottenendo ogni risultato possibile “ciao, hai ordinato o stai cucinando?” le domandai. Le mie battute ormai per Nicole erano solo prassi “pensavo che tu mi potevi insegnare qualcosa” rispose Nicole aprendo la porta del suo appartamento. Ciò che vidi un sacco di foto, appese al muro. Soprattutto viaggi, che Nicole aveva fatto con le sue amiche. Solo qualcuna era con i suoi genitori, solo quando Nicole aveva solo dodici anni giù di li. Cosa che non sconvolse me, soprattutto dopo le dichiarazioni di Nicole sul fatto. In somma Nicole godeva di una libertà di una trentenne, quando invece superava appena i venti. Nicole si giro attorno, sorridendo. Invitandomi a dire qualcosa sul suo appartamento, oramai era chiaro che era il suo appartamento e non quello dei suoi genitori “carino, sei stata cosi in giro per l’Europa?” le domandai invece “più o meno, non farti ingannare ci sono voluti anni per collezionare un certo numero di foto. E poi ci sono voluti tante ore, per farle cosi bene” rispose Nicole sfiorandole col dito, quasi tutte. Tranne quelle dove apparivano i suoi genitori “quindi sei una fotografa professionista?” le chiesi indicando soprattutto i pochi paesaggi e le poche foto in bianco e nero, davvero molto artistiche. In particolare una, un vecchietto seduto sulla panchina affianco ad un bambino di sei anni, che se ne stava li mordicchiando il suo gelato, stretto tra le sue braccia. Notai foto, di Parigi, Di Londra, Del Galles in generale, di Roma, di Torino, Di Venezia. Mancavano un sacco di città, per completare la collezione d’Europa di Nicole. Qualcosa mi diceva, che non avrebbe smesso. Anche con una nuova novità, la novità ero io. Il fattore finanziario, mi fece sentire inferiore a Nicole, per un certo senso. Dovevo cercarmi un altro lavoro? O forse Nicole avrebbe fatto a meno di girare l’Europa, almeno una volta all’anno. Magari un po’ prima, visto che le mie ferie cadevano il primo di aprile e finivano a maggio. Quante questioni, si sollevavano a stare con Nicole. Il pregiudizio di noi terresti, quando qualcosa di ottimo ci accade, facciamo tutto per  renderlo peggiore. Fa parte dell’essere umani, tutto ciò. Nicole inizio a fissarmi, con aria curiosa. Avrei fatto meglio a dire qualcosa, prima che Nicole creda che io stia pensando a qualcosa d’importante “allora i fornelli dove sono?” le domandai con aria gioiosa. Nicole, indico una stanza, sulla sinistra. Una porta a soffietto, divideva la sala d’ingresso, dalla cucina. Che si rivelo, dello stile uguale, come le altre stanze di quel appartamento. Una cucina a cinque fornelli, con un tavolo, posizionato accanto a fornelli, frigorifero e lavandino. Tutti in fila, circondavano la stanza. Dai muri, delle piccoli murales. Con mattoncini dai colori che svariavano dal blu all’arancione, per poi finire in un giallo intenso. Contribuendo cosi, a rendere l’atmosfera rilassante e gioiosa “ecco qui, scegli di che morte morire” rispose Nicole avvicinandosi hai fornelli. La gonna corta appena, svolazzo. Un pensiero, inquietante si accese nella mia mente. Non tanto, perche i quel momento, giurai di vedere le cosce di Nicole. Ma perche, forse Nicole si aspettava di più. Ma per quella occasione, non ero attrezzato se si può dire cosi. Diciamo che ero senza le protezione. Cosi da rendere l’idea. Feci finta di niente “spero che sia qualcosa di veloce, la mia morte” risposi io. Aprendo cassetti, finche non trovai. La dispensa, oltre ad una quantità di pasta, c’era un Chilo di risotto. E qualche scatoletta di tonno. Cosi apri il frigorifero, non dopo aver guardato Nicole, come a chiederli il permesso. Accordato, sembrarono dire i suoi occhi e quel sorrisetto, che sempre ricambiava ogni mio sguardo verso Nicole. Dal frigorifero pieno, c’era di tutto. Dall’affettato, a delle cosce di pollo per poi finire con salami e qualche sugo da mischiare alla pasta. Dopo aver fatto il quadro generale, chiesi a Nicole “cosa ti va di mangiare?” Nicole, che nel frattempo si era seduta sopra il tavolo, guardando cosi ogni mio movimento “non so. Anche perche non so cosa sai cucinare” rispose Nicole. Effettivamente aveva ragione “quasi tutto, i piatti laboriosi non sono il mio forte” risposi “per me va bene anche una pizza” affermo Nicole accavallando le gambe, come solo donne di un certo livello sapevano fare. Sorrisi, pensai se c’erano gli ingredienti per fare una pizza. In fondo, non era troppo tardi “e vada per la pizza” risposi prendendo farina e uova, dalla dispensa oramai mi muovevo in quella cucina come se fosse stata mia. Portai farina, uova e un po’ d’acqua accanto a Nicole. Che guardo me all’opera, interessata. Inizia ad impastare la farina, con le uova e l’acqua. Mentre Nicole chiedeva informazioni su quello che stavo facendo. Sempre rimanendo seduta, sul tavolo della cucina. Gambe accavallate, come sempre. C’era un aria buona “certo che sei bravo a cucinare” mi disse Nicole. Proprio quando fini di impastare la farina. Ottenendo un composto ne troppo dure, ne troppo morbido. Come avevo imparato, non molto tempo fa “mi serve una coperta” dissi a Nicole, che scese subito dal tavolo. Per dirigersi in sala, dove torno subito, con una coperta di lana rossa calda. Intanto io, presi uno straccio pulito. Prima coprii l’impasto con lo straccio, per non rovinare la coperta, poi con la coperta. La lasciai riposare proprio su quel tavolo. Mentre le mani di Nicole, cinsero la mia vita. Andandosi ad unire, poco sopra l’ombelico, il mio ombelico “e una fortuna, che tu sia qui a farmi compagnia” disse Nicole appoggiandosi sulla mia schiena. Sentivo i suoi capelli, sulla nuca. Ed il suo respiro batteva contro la mia scapola, con precisione quella sinistra. Non so perche inizio a descrivere, tutto ciò. Come se fosse in terza  persona, forse rende meglio l’idea di ciò che stava accadendo. Rimanemmo cosi per tanto tempo. Prima che trovai il coraggio, di rompere quel tempo dicendo “di tutti i bar, che ci sono di Milano. Dovevi proprio scegliere quello?” le domandai. Nella mia testa, pensai “perche proprio io, con tutti ragazzi che ci sono a Milano”. non glielo dissi, solo perche sapevo, che Nicole da me non si aspettava questo. E poi non fa bene, piangersi sempre addosso ed essere cattivi con se stessi. Si certo, e un bene, ti sprona a dare il meglio. Ma come sa solo, insegnarti la vita. Non sempre devi dare il massimo, a volte le occasioni arrivano cosi facilmente. Basti pensare me e Nicole, l’unica cosa che dovevo fare per incontrarla era uscire di casa “non so, pensavo che lo squallore di quel posto, rispecchiava il mio umore a quel tempo” mi spiego Nicole, sciogliendo quel abbraccio. Mi girai e le dissi “fix you”. stabilirti, stavo proprio provando un senso di stabilità nella mia vita. Cosi intenso, che era cosi chiaro ed evidente. Di chi era la colpa o la fortuna mia, di aver trovato Nicole sulla mia strada “stabilirti, nulla di più simile potevi tirare fuori” rispose Nicole. Ci baciammo, ma quello non fu un solo caso di stabilità. Era più un intesa amorosa, come amo definirla io. Più comunemente detto, attrazione. Non finimmo più di baciarti, mentre qualcosa ci trascinava in camera di Nicole. A piccoli passi, in un arco di tempo di pochi secondi, tra un bacio e l’altro. Nicole si appoggio letteralmente sul materasso del letto. Il suo. La camera di Nicole, inizio ad essere un turbine di colori, cosi confusi da non vedere niente. Solo due corpi impegnati, sotto le lenzuola. Faceva caldo, o forse era il cuore che andava in ebollizione, mentre il mio cervello, ultima fonte di raffreddamento, andava a mille. Una quantità di informazioni andavano in giro per il mio corpo, i miei nervi continuavano ad darmi piccole scosse, o forse era qualcos‘altro, nella fretta di tutto ciò, provavo un sacco di cose, tanto da non essere sicuro cosa stesse accadendo al mio di corpo e quello di Nicole. Ansimava. Vidi Nicole nuda, non che fosse un evento. Visto che già, la mia mente sapeva com’era Nicole. E tra questi, anche com’era nuda. Fa uno strano effetto, la differenza tra l’immaginazione di una foto, ad far parte della foto. Sottile differenza tra realtà e finzione. Forse il sesso, era una realtà. L’unica arma, per definire ciò che più ci sta a cuore. Una persona, capace di farci bruciare dentro dall’emozione, lasciando un vuoto non fastidioso ma ben si un vuoto che ti riempiva dall’interno. Tante persone hanno, definito il sesso con altre parole. Più di questo non so che fare. Non ne do colpa, alla mia conoscenza del vocabolario d’italiano molto ristretto. E che certe cose, devono essere cosi indescrivibili. Nicole mi sussurro nell’orecchio “ti amo, Michelangelo” nulla più disse, come se quelle parole giudicavano una condanna a morte. E morire per amore, era una cosa che mi faceva sentire felice. Di esserci in quel momento. Ero vivo, e per metà della mia vita non l’ho mai saputo. Ero sul punto di buttarmi in un circolo vizioso della droga, ancora un‘altra volta. Ed ora, ero li sopra Nicole. Risaltavano i suoi capelli dalla suo viso, cosi dolce e cosi liscio perfetto. Cosi com’era quel momento “ti amo Nicole” sussurrai io all’orecchio a Nicole. E senti che lei dentro impazziva. Ci facemmo le coccole, per un svariato numero di volte e di tempo. Io che li sfioravo i capelli con le dita. Nicole che stava appoggiata al mio petto. Sentivo il mio cuore, battere all’interno. Appoggiato al corrimano di quel letto con la schiena. Mezzo nudo. Pensai a tutto questo, quanto valore aveva per me quel momento?. Forse valeva, cosi tanto da vivere una vita da urlo d’ora in poi. Ancora il cuore mio che batteva “senti che bel rumore” e questa non era una citazione di Vasco Rossi. Era la verità, quello era proprio un bel rumore. Martellante, tutta quella forza dentro il mio petto. La bellezza di Nicole, era inferiore a quella della natura, uomini compresi. E questo non e che svaluti, la bellezza di Nicole. Anzi, ne risalta la possibilità d’incontrare una simile a Nicole, in un’altra vita. O anche se per sfortuna, tutto dovrebbe finire. Non per forza. Pensai. Mentre Nicole guardava il mio viso, sorridendomi “che bel rumore” rispose appoggiandosi se era più possibile al mio petto. I nostri corpi, continuavano a rimanere caldi, nonostante fossero nudi, privi di vestiti. La gonna di Nicole, tutta stracciata giaceva a terra affianco hai miei jeans. Mentre le rispettive T-Shirt mia ed il maglioncino di Nicole giacevano affianco agli angoli lontani del letto. Un telefono inizio a vibrare “hoooo” disse Nicole, con fare eccitato. Risi, perche nell’insieme era buffo. Nicole l’ho rese buffo. Il suo corpo nudo, scavalco il mio. La linea perfetta della schiena, scendeva con una linea retta dritta. In una parola perfetta. Possibile mai che in questa ragazza non ci sia un difetto pensai. Poi mi copri il volto, con la coperta. Cosa che mi fece sembrare un bambino vergognoso. Anche per coprire la mia faccia, che di sicuro sarà stata troppo imbarazzante. Da lasciarla vedere a Nicole. Mentre lei stessa, girovagava col cellulare in mano, nella stanza. Non era imbarazzata, sentendosi nuda davanti a me. Come se la sua fosse, una sfida con se stessa. Per saperti apprezzare, devi lasciare gli altri a farlo. Nicole era consapevole di avere un fisico da paura, come lo era anche di quello c’e c’era al di là di quel corpo. Avete presente quei regali, con la carta d’oro luccicante. Insomma, bella. Appunto, la trovi bella solo per la carta, ma nel suo interno. Si nasconde un mondo, intero. Fatto di emozioni, contraddizioni ed espressioni, anche modi di fare. Straordinari, se messi in sequenza. Come una catena di montaggio, anche se la catena si spezzasse. Nicole ne sarebbe uscita con un sorriso. Per poi andare avanti, come se nulla la potesse spaventare. Dopo aver  scritto, quello che sembrava un messaggio. Nicole mi fisso, da sotto le coperte io non potevo vederla. E lei non poteva vedere me. Si avvicino, o meglio la sentii arrivare “io, avrei fame” mi disse con fare invitante. Mi alzai “credo che orami sia lievitata” confermai io. Togliendomi le lenzuola di dosso, presi le mie mutande. E Nicole fece altrettanto. Ci vestimmo in silenzio. Il che rendeva tutto un po’ malinconico. Non sapevo che dire, o forse in quel momento non mi andava molto di parlare. Ci riuscì solo sforzandomi “la pizza la vuoi normale. O ci aggiungo qualcos’altro?” le domandai “stupiscimi” fu la risposta di Nicole, completamente vestita. Come se nulla fosse accaduto “ vorrà dire, che mi dovrò impegnare. Certo se avrei un forno a legna, sarebbe l’ideale” risposi io sarcasticamente “ho scusa se non ho un forno a legna. L’ho farò costruire la prossima volta che verrai” disse Nicole, lanciandomi la mia T-Shirt. Risi, mentre me la infilai “che hai da ridere?” mi domando Nicole, lasciandosi la parte di se scherzosa e tornando seria. Aveva quel che, di non so cosa. I suoi occhi, sembravano volermi scavare al di là dei miei stessi occhi. Come se io racchiudessi in me, un segreto. E di cose che Nicole, non sapeva di me c’erano a bizzeffe. Sapevo che prima o poi, i miei fantasmi dovevano aprirsi a Nicole, solo che non sapevo quando. Forse era l’occasione giusta “ok, ti dirò tutto quello che vuoi sapere. Ma prima mangiamo” dissi io. Cosa che non sorprese Nicole. Ci spostammo in cucina. Dove la base per la pizza, era lievitata e anche di tanto “giuro che io non so come fai a capire quello che voglio” disse Nicole curiosa “perche so quello che pensi” feci io con fare pauroso “il mio sensitivo” rispose dolcemente Nicole. Intanto io stavo, spianando quella specie di palla che era diventata la pizza lievitata “era anoressica un paio di anni fa” affermo cosi all’improvviso Nicole. La testa china, come se ne vergognasse. Mollai subito, ciò che stavo facendo. Per abbracciare Nicole, da dietro “eri abbastanza stupida da non crederti stupenda” risposi io, dolcemente le toccai le guancie, sfiorandole con un dito “lo ero veramente un tempo” aggiunse Nicole, come se avesse fatto tante altre cose, oltre a quella “tranquilla, nessuno pretende da te, la perfezione” risposi cercando di consolarla. Nicole si giro verso di me, gli occhi pieni di lacrime “si ma non sei nessuno, se non ti avvicini la perfezione” rispose Nicole asciugandosi le lacrime con la mano “ne stai parlando con uno che non era nessuno, prima di conoscerti” dissi io, guardando Nicole fisso negli occhi. Come a rispondere alle sue domande, presenti nella sua testa. Rispondergli era difficile, ma forse ciò avrebbe aiutato Nicole “sai nulla e perfetto, solo l’anatomia umana. Ogni parte di un organo a un preciso scopo. Nessun errore e concesso, dai polmoni, al cuore ai reni. Tutto fa quello che deve, senza il minimo errore. Ecco cosa c’e di perfetto, nel mondo. . A vita” risposi io. Nicole mi fissava, riconoscente. Come se mai nessuno, gli avesse detto. Quello che io li stavo dicendo, li proprio ora. Accanto al tavolo, della cucina imbandita da una tovaglia e due posate. Nicole si soffermo a pensare “forse e meglio controllare la pizza” disse Nicole, qualunque cosa mi volesse dire, non ci tenette a dirmela li. In quella innocua cucina. Non mi sorprese, anzi andai io stesso a controllare la pizza. Che ancora, cuoceva beata nel forno della cucina di Nicole. Dove mi raggiunse poco dopo. Avevo la netta sensazione, che controllasse me, non la pizza. Come se stesse giudicando, in una sorta di gioco contorto se ero cotto ho meno. Ovvero, pronto o meno. Per qualcosa, forse una prova. Ma Nicole, non era certo il tipo, di tirarmi un tiro mancino. E ne vorrei, che la mia mente. Fosse contorta da un pensiero del genere. Quindi decisi, di lasciarmi scivolare addosso quelle preoccupazioni. Infondate in fondo “dimmi, hai mai pensato di diventare uno scrittore? Mi domando Nicole, ed era seria dall’espressione. Io ci rimasi sotto, proprio cosi ci rimasi sotto. Come se un pullman, dell’ora di punta mi venisse addosso, schiacciandomi i polmoni. I pensieri, fecero un viaggio a ritroso. Come a comporre un certo schema. Non so, tutto il mio corpo. Sembro dire, che Nicole ho era una pazza malata, cosa che poteva rivelarsi vera. Visto che amava me. Oppure era una che buttava idee a tutto spiano senza il ben che minimo senso e ne logica “scherzi vero?” ritrovai fiato per un attimo “no non sto scherzando, se ci pensi hai quel che dello scrittore. Non so, come definirlo. Scrivi purè un diario tuo, che ha mio dire e davvero stupendo” spiego Nicole, obbiettando. Ed infondo di motivi, per crederlo li aveva. Quindi non sparava idee a tutto spiano sena logica “e che dovrei fare secondo te?” li chiesi io. Lasciandomi convincere, da quel sorriso di Nicole. Convincente, lo era veramente Nicole, era convincente “non so scrivi qualcosa. Hai delle idee stupende. Basta solo metterle su carta” mi rispose Nicole, con piena fiducia in me. Cosa che sorprese, i mie ideali fino alle fondamenta. Convinti che mai nessuno, avrebbe creduto in me. Eppure, quella persona esisteva. Ed era proprio li davanti a me, la stessa persona cosi sicura di me. Tanto, da essere fidarsi a farsi vedere nuda. Quello non era solo amore, era la convinzione che in due si può essere perfetti, la convinzione di essersi capiti senza mai essersi visti. La convinzione di non essere soli. Al contrario, io e Nicole eravamo uniti. Sia come coppia, che come due persone. Che fondamentalmente, ragionavano in ugual misura, avendo quindi stesse onde di pensiero. Eppure, ancora oggi non riesco a definire questo rapporto. Ci amiamo entrambi, questo e ovvio. Ma andando a cercare il pelo nell’uovo, non si riesce a trovare altre parole, per definire tale rapporto. Non so perche mi sto puntando su questa cosa, forse la volontà di dare confine a tutto ciò, evitando cosi che vada oltre. Al semplice amarsi, che poi tanto semplice non è.  
 Ci trovammo, a fissarci. Non dando caso alla pizza in forno, gli occhi di Nicole iniziavano a darmi sicurezza. Forse bastava, trasportare i miei pensieri su carta? Tutto qui, non avrei dovuto fare altro. Se non dividere, il tempo, occupato dalla maggior parte dal lavoro e da Nicole. Questo, quindi avrebbe voluto dire. Meno tempo passato con Nicole e il lavoro. E più tempo per me. Un pensiero da egoisti, cosa che non sono. E non ci tengo, ad diventarlo. E poi, a dirla tutta. Non e che io fossi, cosi una cima in scrittura. Certo ho  molta immaginazione dalla mia, ma la parte ortografica e la punteggiatura. Andavano contro al pronostico, di pubblicare qualcosa di mio, in forma scritta. Nicole sembrava cosi decisa, tanto che mi lasciai convincere io stesso, anche se nel profondo ero ancora incerto “ci proverò, a patto che tu non legga ciò che io scrivo” risposi io puntellandomi su quel appiglio. Almeno, avrei evitato figure, da errori certi nei confronti di Nicole “va bene. E sempre stato tutto nelle tue mani” disse Nicole, il risentimento nella voce accentuava, il significato della frase “che vuoi dire?” chiesi io sospettoso, non c’era una bell’aria da quelle parti. Lo sentivo, Nicole prese una bottiglia di vino, in un mobile dietro di se “che e tua la vita, non mia. Puoi fare tutto ciò che vuoi fare” rispose Nicole, con un pizzico di minaccia di litigio nell’aria. Il nostro primo litigio, su una cosa cosi di poca importanza “io so, che vuoi far parte della mia vita. Ma odio deludere le persone che mi stanno attorno” provai a spiegarli, anche perche sapevo che una eventuale mia ricaduta, si sarebbe spostata sulle spalle fragili di Nicole “tu parti sempre dal presupposto, che ci sia qualcosa di sbagliato in te. Ma non capisci, che hai qualcosa nella tua testa, che gli altri non hanno!” rispose Nicole, allargando le braccia, con la bottiglia di vino appoggiata al tavolo centrale della cucina. Piano a piano, la convinzione di essere speciale, si fece strada nella mia testa. Come se sapessi di essere, speciale sin dall’inizio. E che mai ne avessi prova. Io so, di essere diverso. Appunto, diverso. Cioè sapevo sin dall’inizio, che qualcosa di me era diverso. Dalle elementari alle superiori. ma mai mi sarei giudicato unico. Anche perche diversità e unicità, non sempre sono sinonimi o simili “io so di ragionare in un’altra maniera. Probabilmente ho qualche talento, non che io l’ho voglia sminuire. Ma per adesso e meglio cosi, non ho ancora raggiunta una certa maturità, nello scrivere. Mi capisci?” le domandai, ma Nicole mi rispose con uno sguardo vago, come se non capisse “ e un po’ come se le mie idee, esistessero in un’altra dimensione. Che solo io vedo. Ma quando si spostano su carta, prendono forma in un altro modo, diversa da come me l’ero immaginata. Ho sempre vissuto, nel mio mondo. In un involucro non distruggibile, poi arrivi a tu e fai crollare tutto, sulle mie spalle. Devo solo trovare, un’altra dimensione uguale alla vostra e uguale alla mia. Per ora so, che il filo comune sei tu.” pronuncia, quello che sapeva di un emendamento o un patto firmato e controfirmato. Tra le righe in fatti, si legge chiaramente “vuoi passare più tempo con me?” mi domando Nicole, capendo quello che avevo detto. Non risposi, mi limitai ad annuire “poi per scrivere c’e tempo” risposi. La pizza e di conseguenza, quella sera. Fu speciale, indimenticabile per certi versi. Soprattutto come era iniziata quella serata. Quello fu l’apice, l’elemento che poteva dire tutto e niente. Mangiavamo e parlavamo, tra un boccone e l’altro. Nicole mi racconto di quasi tutta la sua infanzia, passata tra cortili di palazzo simile a quello dove abitava. Giocando a tutti i giochi possibili al mondo. Io le raccontai la mia infanzia, da persona distaccata. Nulla di più, da bambino sapevo di non essere capito. Quindi mi chiudevo in me, al sicuro. Speranzoso che nulla li mi potesse fare del male. Più andavamo avanti, ci accorgemmo entrambi. L’impossibilità che due personalità diverse l’una dall’altra. Perché non c’e racconto risolutivo di una persona, carattere e tutto ciò che ci circonda dall’infanzia. Eravamo diversi, sotto ogni aspetto. Eppure eravamo li, al tavolo lussuoso. Con una pizza, informale. A parlare, come se mai nella vita avevamo pensato ad una roba del genere “siamo cosi diversi, ma ci sappiamo capire al volo” dichiaro Nicole, ed quello fu uno dei tanti pensieri, che giravano in quella stanza. Avevano solo il bisogni di essere detti, per prendere forma e colore “vuoi dormire qui con me stasera?” mi chiese Nicole “va bene, amore” quella era la prima volta che chiamavo Nicole, amore. Ed lei non ne fu tanto sorpresa. Anzi, la prese bene.
   

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Capitolo 7
*** 01/12/2012 ***


 
 
 
 
01/12/2012.
 
I giorni volarono, da quella sera. Dalla nostra prima sera, dove l’inizio aveva avuto il suo tempo. Ed la fine, non era nell’aria. O almeno speravo, che non  finisse qui. Solo una notte di sesso, ed una cena. Non poteva essere la fine. Quindi, passavamo tutti i giorni assieme io e Nicole, alternando il lavoro per me e la scuola per Nicole. In giro, tra parchi e piazze. Nicole, mi fece far parte della vita sua appieno. Mi fece conoscere, tante persone. Alcune non mi approvavano, ed a volte me lo dicevano in faccia, quelli stronzi invidiosi. Pensavo ogni volta che l’incontravo “non tutti ti sanno apprezzare” mi rispondeva ogni volta Nicole. Il fatto e che lo diceva nel modo, come se fosse presa di me. Tanto da causarle assuefazione . Ci stavamo legando, in un modo incredibile. Eppure sentivo che qualcosa non andava. Non so, forse il fatto di legarmi cosi ad una persona. Non e di mia abitudine , forse ne sono spaventato. Penso cosi troppo intensamente Nicole, non posso rinunciarci solo perché ho paura. Non e cosi, che pensavo di essere. Uno stupido ragazzo, pauroso e ridicolo a tratti. Nicole mi stava sorridendo, davanti a me. Quando tutti questi pensieri, si sciolsero nell’aria, come l’iodio nell’acqua. Li sorrisi “pagherei per vedere i tuoi pensieri.” mi disse Nicole sospirando, la testa tra le mani era li, Nicole. Speranzosa di avere ciò che vuole, veramente voleva entrare nella mia testa? O forse scherzava, e quindi cercava un modo per chiedermi cosa pensassi, senza risultare troppo invadente. Che mi sta succedendo? Sto diventando cosi, sospettoso nei confronti di Nicole. Il fatto e che iniziato quella sera, come se un tarlo si fosse insediato nel mio cervello, e da li non è più uscito “vedresti solo prati incolti e qualche avvoltoio” li risposi io sdraiato sul suo divano, ancora l’appartamento dei suoi era vuoto. Sapevo che i genitori di Nicole, fossero cosi assenti nella sua vita. Ma comunque riservavo una certa voglia di conoscerli “dici? Sei cosi tragico a volte” disse Nicole alzandosi da terra, per raggiungermi sul divano. Io intano la guardavo avvicinarsi. Ed ne ero felice ora. A volte non mi capisco mai. L’unico mio nemico più temibile, sono sempre stato io. L’unico che può rovinare, ciò che mi sta attorno sono io. Cosa che non mi confortava. Nicole si sdraio su di me. I nostri visi, si sfioravano. Uno, due, tre baci. Lunghi quanti? Non mi ricordo, e che perdo la condizione del tempo con Nicole. A volte mi sveglio, senza sapere che giorno era. Solo questo diario mi aiuta, anche perche ho paura che ci sia qualcosa che non va in me. L’unica convinzione che posso dare a Nicole per mollarmi. Ecco, ora inizio ad volere Nicole senza nessuno pensiero sinistro “sei stupenda” dissi io, senza avere il controllo di me stesso. Significava che ero proprio fatto di Nicole. Non mi cerava sballo, quello che avevo quando fumavo polline o erba quella naturale o quella chimica. Si sembra che non si cosi reale. E di certo non voglio fare il duro. So di aver sbagliato, ma in mia discolpa tutto ciò mi faceva superare i mie complessi del cazzo. E li forse, sembrava che avevo toccato il fondo “grazie” mi rispose Nicole. Un altro bacio, sta volta con la lingua. Che aumentava tutte le mie sensazioni “ora devo andare, devo andare con amiche a studiare. Sta sera, vengono i miei a casa. Vogliono portarmi fuori a cena” rispose Nicole, mentre si alzava da me. Io avvertii la mancanza di quel peso, sul mio corpo “e una cosa fantastica no?” le domandai, tanto per esserne sicuro “si, e grandioso” non sembrava cosi tanto contenta Nicole, con quell’affermazione “ti va di non venire?” mi domando Nicole. Non mi turbo più di tanto, avevo iniziato a capire Nicole, e sapevo che aveva bisogno dei suoi spazzi. E fino a quando non avrebbe saputo che quei spazi doveva condividerli con me, Nicole non l’avrebbe mai fatto “non mi hanno invitato scusa” le risposi io, come a dirgli “non preoccuparti, starò bene per una sera senza di te (anche se probabilmente, sentirò la tua mancanza)”. Nicole si avvicino a me, mi bacio un’altra volta. Mentre io appoggiai la mia bocca sulla sua fronte. Usci dal suo appartamento, come ero entrato. Con la speranza di vedere Nicole un’altra volta, ancora. Tornai a casa subito, non mi sono imbattuto di nulla di cosi tanto strano, verso casa.  Tornai a martoriare il mio cervello, con i pensieri prima citati. Dormii tutto il giorno, alternando pause di scrittura, in fondo l’avevo promesso a Nicole. Non era una cosa convincente, ma ci provai lo stesso. Tirai cosi sera, quel giorno non andavo a lavorare, perche ero in ferie. Tanto io non andavo mai via da Milano, passavo più tempo a lavoro che in vacanza. Prima che conoscessi Nicole, cosi tutte le mie ore di ferie accumulate in tutti gli anni che ho lavorato alle poste dello stato. Le uso per passare più tempo con Nicole, avevo davanti a me altre cinque settimane di ferie. E me ne mancavano altre settimane di ferie. Deciso ad usarle tutte, iniziai a farmi qualche conto nella mente. Prima di crollare a tarda sera, senza mangiare. Il fatto che non avevo fame, non mi sorprese più di tanto. Ma poi arrivo la fame, con i suoi brontolii soliti al mio stomaco, quando non mangiavo. Cosi addentai un panino con prosciutto e qualche fetta di formaggio spalmabile. Tornai a scrivere qualche riga, prima di addormentarmi sul divano. Il panino per metà finito, penzolava giù dalla mia mano inerme.

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Capitolo 8
*** 02/12/2012 ***


 
 
 
 
 
02\12\2012
 
Qualcuno suono, il citofono. Sorpreso, ed pensando che probabilmente fosse Nicole. In fondo, quella non era la prima volta che si presentava davanti a casa mia. Andai a rispondere al citofono, prima di aver posato il panino per metà mangiato sul tavolino affianco al divano. Quando chiesi “chi è?” ricevetti di risposta “ciao figliolo mio, posso entrare?” mi chiese, la voce che più di tutti in quel momento non volevo sentire, la voce di mio padre. Rimasi, perplesso. Con la voce, nelle mie orecchi che ancora risuonava minacciosa, di mio padre. Prima di aprire il portone di casa, andai a guardare fuori dalla finestra, quella che dava sulla strada. Non c’erano dubbi, quello era mia padre. Le spalle ricurve, un tempo dritte orgogliose. Rimasi ancora perplesso, scivolai sulle scale che portavano all’androne dell’appartamento. Quando apri la porta, non immaginai quello che vidi. Mio padre, si era trasformato in un barbone, i capelli grigi lunghi e sporchi, la barba incolta a macchie scure e bianche. Poi la puzza, quell’uomo puzzava, come se fosse stato tutti questi anni per strada. Dormendo dove capitava, quindi perche tornare “e strano, che ci rincontriamo in questo modo” giustifico mio padre, a mo’ di saluto. Avevo sperato un “ciao figliolo, come stai?” invece mio padre, non mi deluse affatto. Iniziai non a schifarlo, perche in tutti quelli anni non si era fatto sentire. Dopo tutto e stato lui a buttarmi fuori casa, quando ancora ero adolescente. L’odiavo più di quanto avevo temuto, perche mai provai una rabbia cosi forte per una persona “ché non puoi ospitare il tuo vecchio per un paio di giorni?” mi chiese, facendomi pena. Ho una sfera emotiva, in costante movimento “perche? Cosa e successo a casa tua” chiesi io in risposta “me l’ha sono giocata, come tutto il resto” rispose mio padre, facendomi più pena possibile. Pensai che quella era in fondo la sua tattica, in fondo mio padre non era un scemo a quel tempo. Ed anche se si e giocato la casa su qualche scommesse, ciò non togli che abbia un cervello da qualche parte, capace di pensare idee ho piani. Non mi dimentico dei torti subiti, ma quel uomo che non era mio padre “io non ho un padre” pensai. Per qualche giorno, potrei ospitarlo a casa mia quell’uomo, ci tengo a precisarlo “d’accordo, non mi abbracciare. Non mi serve niente da te” risposi senza nota di emozione nella voce. Mio padre si limito ad entrare nell’androne del palazzo. Li apri la strada, fino al mio appartamento. Ed fino ad allora, né la mia bocca e quella di mio padre, proferì parola. Apri la porta, senza indugiare “quella e la  doccia troverai delle mutande e una tuta davanti alla porta” li dissi, sparendo in cucina. Non mi segui. Poco dopo sentii l’acqua della doccia andare. Ne dedussi, che in quel momento era sotto la doccia. Non riuscì ad evitare, l’ondata di rabbia. Tremenda rabbia, nei confronti della mia famiglia, che perfetta non era. E sempre stato cosi, i più deboli vengono fatti fuori subito. Quindi, io usci dalla mia famiglia, per quello più debole. Fini in questo appartamento, grazie hai piccoli lavori e i grossi sacrifici. Non me lo dimenticai cosi facilmente, quello che mi accadde in quei mesi\anni. La fame, la droga. Il costante bisogno di cercare, qualcosa che mi mancava. Intanto scivolavo in un limbo, tra realtà e finzione. La sofferenza fu l’unica emozione, presente. Quasi mi sfamava, mi costringeva ad andare avanti. Spalle dritte, arrabbiato con il mondo ed i suoi complicati meccanismi quali, la società, far parte di qualcosa che fosse collettivo, non solo mio. La costante voglia, di farla finita. Ogni qual volta, i risultati che volevo non arrivavano. Tutto perche, gente più grande di me, non era abbastanza da capirmi. Gli odiavo tutti, dal primo all’ultimo. Si salvava solo Nicole e qualche suo amico, davvero simpatico. Ora mi ci vorrebbe, una bella chiacchierata, un sorso di birra. E le risa. Tutto scemo, quando senti l’acqua della doccia spegnersi. Mi preparai psicologicamente, ad affrontare  quel momento. Decisi che scappare, era la cosa più giusta da fare. Cosi per calmarmi un po’. Nicole quella mattina, era a scuola. Disturbarla in quel momento, non mi sembrava carino, anche perche sapevo che aveva un importante compito in classe. Ho almeno non so se si usa ancora dire cosi, comunque era una verifica di algebra, anche se io non la capivo. Nicole me ne ha citato, qualche regola un pomeriggio. Decisi di uscire, prima feci sparire tutti soldi e le poche cose di valore. In un pezzo di soffitto, che si alzava. Difficile da individuare, solo io ne sapevo dell’esistenza. Una volta avevo una pallina rimbalzante, la feci rimbalzare sul pavimento e quando tocco quella parte di soffitto, un pezzo si mosse verso l’alto. Quando ebbi finito, mio padre usci dalla doccia. Era uguale, solo che non dava quella sensazione di sporco, di poco prima. In confronto sembrava più pulito, ma la barba incolta e i capelli grigi non contribuivano a renderlo più pulito del necessario “esco” mi limitai a dire. Sicuro che tutto fosse nascosto bene, avevo paura che se li giocasse anche quelle poche robe di valore ed i soldi alle scommesse. Quando usci, dal portone del palazzo. Mi concessi un breve sospiro. Mi incamminai, non sapendo nemmeno dove andare. Ma il fatto di essere in movimento è già qualcosa. Continuai a camminare dritto per la mia strada, in precisata. Prima che mi accorgessi, che qualcuno mi seguiva. Un uomo, che faceva paura solo a vederlo. Era russo, si capiva dall’accento ed anche dal viso, le linee troppo acute “tu sei figlio di Marco?” mi domando l’uomo bruscamente, quando capì che ormai l’avevo scoperto “si perche?” li risposi in modo brusco, odiavo sentire quel nome “dilli che il suo debito deve essere pagato” rispose l’uomo, dopo che si fu allontanato. Quella era una minaccia a che razza di gioco stava giocando mio padre?. Perche voleva mettermi in mezzo, in quella storia?. Camminavo meno sereno di prima, quando mi fermai davanti, ad un edificio. Dove un sacco di motorini stavano parcheggiati. Dall’edificio, proveniva un gran vociferare. Solo quando una campanella nell’edificio suono, mi resi conto che quella era una scuola. Sull’altro lato, della strada c’era una panchina color. Non ho idea di che colore fosse, quello che un tempo colorava la panchina. Comunque stesi si seduto, finche la campanella suono. Ne scaturì, un blocco di studenti di tutte l’età. Alcuni, notai erano conoscenti di Nicole. Ed eccola li, Nicole sorpresa di vedermi li. Vi giuro, non sapevo che quella fosse la sua scuola, sapevo solo che andava in un università. Non pensavo che quell’edificio facesse anche corsi d’università. Quando Nicole mi raggiunse disse “che ci fai qui?” mi domando sedendosi accanto a me. I capelli mossi, le cadevano su una parte del corpo a mo’ di treccia “sorpresa” provai a dire, ma senza convincerla più di tanto “mio padre e venuto a citofonarmi stamattina” le risposi. Non so da cosa l’aveva capito, ma Nicole mi mise un braccio attorno alle spalle, come a consolarmi. Sarà stato l’istinto di Nicole a parlare in quel momento, parlare con i fatti “non che sia cosi, grave” aggiunsi, mi limitai a non dirle del russo che mi aveva importunato per strada. Non avevo bisogno di far preoccupare Nicole, in quel momento. Ma quel abbraccio, non poté altro fare che rassicurarmi. e l’unico briciolo di preoccupazione scemo, con il rilassamento dei miei muscoli delle spalle “cosa vuoi fare ora?” mi domando Nicole staccandosi da quel braccio “e a casa mia, non so per quanto starà. So solo che vuole di sicuro qualcosa da me. Per quale motivo si e fatto rivedere no, per non ottenere qualcosa da me.” risposi io, guardando perso l’uscita di quella scuola. Mi alzai dalla panchina “ora l’importante e andare a lavoro” mi dissi far me e me. Bacia Nicole prima di allontanarmi, e lei me lo permise. Dopo averla salutata. Nicole mi rincorse dietro “ti va se ti faccio un po’ di compagnia?” mi domanda Nicole “sei sicura, non hai nient’altro di meglio da fare” risposi io, accondiscende. Mi mise calma, e quella faceva si che tutto quei problemi sollevati, dal ritorno di mio padre si affievolivano con il continuo camminare “credi, che farai mai pace con lui?” mi chiese Nicole, voleva mettere tutto apposto, ma anche lei non sapeva come “non so, mi ha abbandonato, mi ha buttato fuori casa.” lasciai la frase incompleta. Pensando che forse, un po’ di dolore l’aveva provato sulla sua pelle. Ma forse non era abbastanza. La cattiveria di quei giorni, si fece risentire nel mio profondo io “si ma infondo e tuo padre” rispose Nicole “si ma questa non lo esorta dal farmi male” dissi io “non so vedrò con il tempo, forse riusciamo a tornare come prima, padre e figlio. Perche per me ora, e solo un persona senza fissa dimora” lo dissi con lo schifo nella bocca. Il mio stato psicologico, andava via via peggiorando “si hai ragione, fan culo” commento Nicole. Cosa che mi fece, stare perplesso. Nicole che imprecava, era una cosa mai vista. Prima d’ora, non aveva mia imprecato. Ma forse Nicole, l’aveva fatto per essere solidale con me. In qualche modo, si era imposta di dire qualcosa, che ritrasse il mio modo di pensare in quel momento “perche sorridi?” mi domando Nicole confusa “sei cosi carina, quando fai quella di facili parole” risposi, prendendomi un pugno sul braccio da parte di Nicole “non sei divertente, non lo dire in giro comunque.” commento Nicole, allora io gridai hai quattro venti “questa ragazza impreca e bestemmia” lo riuscì a dire solo una volta, prima che la mano di Nicole coprisse la mia bocca “stai zitto, stronzo” disse Nicole, e lo disse a mo’ di gioco. Era divertente, era spassoso starsene li, con la bocca coperta dalla mano di Nicole, mentre invano cercavo di liberarmi. Dopo un paio di minuti di dura lotta, Nicole allento la presa “hai finito?” mi domando Nicole “si stronza ho finito” dissi a metà bocca. Nicole mi lascio andare, ero tentato di rifarlo un’altra volta. Ma Nicole mi riguardi, da ogni altra azione del genere “ammetti però che e stato divertente” dissi io. Nicole sorrise “un po’ e stato divertente” ammise Nicole, camminammo da coppia spensierata, fino ad arrivare al punto dove ci dividemmo “buon lavoro” sussurro Nicole tra le mie braccia, dopo che un bacio o forse due, sostituì ogni tipo di ciao esistente. Arrivai a lavoro, senza problemi. Mentre feci il mio giro consueto. Incontrai molte volte quel  russo. Che mi aveva importunato per strada. Mi guardo, con aria inequivocabile. Ritornai alla base, con ancora il pensiero che mi tormentava, come se ancora quel tarlo si fosse insediato nella mia testa. Tornai a casa. Trovai mio padre, sdraiato sul divano. Il soffitto, sembrava non essere stato toccato. Ciò non toglie, il dubbio che avesse cercato soldi o qualcosa di prezioso. Dubbioso, ed affamato. Non ci pensai due volte, iniziai a cucinare “ha sai anche cucinare” affermo mio padre, facendo finta di essere orgoglioso di me. Cosa che risulto abbastanza strana, ma mi addolcii un po’ cosi, preparai qualcosa per lui. Lasciai il piatto sul tavolo del divano “vado in centro con amici” mi disse mio padre, dopo aver mangiato il suo piatto di pasta con avidità. Quando usci, finalmente dalla porta dell’appartamento, respirai di sollievo, come se quella fosse stata una tortura, la quale non potevo resistere per altri minuti.
 
Come va li? Qui sembra alcatraz.. Aiutami, ti prego
 
Arrivo un messaggio di Nicole. Mi ci voleva un po’ d’aria fresca. Mi preparai, con un giubbotto pesante. Anche perche, effettivamente l’aria fuori era fredda. Solo dopo, chiesi a Nicole.
Dove amo?
 
Dopo un paio di secondi o giù di li, Nicole mi rispose cosi
 
Viale Duca D’Aosta.
 
Presi la macchina, strano perche non l’ho mai usata in questi giorni. Per tutto questo tempo, se n’era stata chiusa nel garage di quel appartamento, un loculo con lo spazio necessario per una piccola auto degli anni 93’. imprecai le prime volte, quando la macchina non voleva partire. Poi quando si accese, la portai fuori. Passando per il cortile. Quello stranamente, sembrava curato a perfezione. Tutto di Milano, deve sembrare perfetto. La gente parla. E sai quante volte l’ho fa. Non mi metto, ha spiegarvi dove Viale Duca D’Aosta, ci metterei un sacco di parole. E di tempo. Sta di fatto, che arrivai al ristorante, forse quello più in di Milano. Feci di tutto, per farmi vedere da Nicole. Seduta al tavolo, con quelli che dovevano proprio essere i suoi genitori. Sua madre, portava un elegante vestito color acqua marina, mentre suo  padre portava un completo nero e bianco, molto elegante quanto informale. Quando Nicole, mi noto, scandì esattamente queste parole, o almeno era il suo labiale “guarda chi c’e, mi deve dare un libro” e cosi, guardai Nicole raggiungermi, guardata a vista dai suoi con aria poco gentile, quasi a obbiettare quel tipo di atteggiamento. Nicole fece il giro, la vidi destreggiarsi tra un tavolo e l’altro. A proposito, anche lei era elegante. Quando usci dalla porta del ristorante, mi indico un luogo appartato sulla sinistra, dove gli occhi dei suoi non potevano seguirci. Io segui Nicole, all’ombra di un albero. Uno dei tanti, che costeggiava il Viale. Mi abbraccio, e mi bacio. Lasciandomi sorpreso “che succede?” li domandai, Nicole in risposta mi diede un altro bacio “nulla, ero solo stanca di sentire i miei, di quanto io li stia deludendo, che per la loro figlia avevano pensato, un futuro diverso da questo” centravo io, lo sapevo, Nicole aveva raccontato hai suoi di me. E questo, in qualche modo ha dato hai suoi genitori, una visione di loro figlia totalmente differente dalle realtà. Nicole, per qualche strana ragione. Intuii, quello che stavo pensando in quel momento “non e per colpa tua, gli ho spiegato che sono innamorata di te. Loro dopo un po’ l’hanno accettato. E per i miei voti, di scuola” spiego Nicole, ma sotto sotto in quella storia c’entravo io “hai solo una materia sotto!” sbottai io. Ovvio che Nicole, doveva per loro rappresentare la perfezione, anche perche era figlia unica. Tutto, ricadeva sulle sue spalle “che importanza ha, loro mi volevano giudice” rispose Nicole, sull’orlo delle lacrime “sai, i genitori non si dovrebbe intromettere, nella vita dei loro figli” dissi io, un po’ per rincuorare Nicole, un po’ per retorica nei mie confronti “si ma loro l’ho fanno” confermo Nicole. L’abbraccia, proprio come aveva fatto lei poco prima. Sua madre usci poco dopo “sicura che il tuo amico, non voglia mangiare qualcosa?” era gentile sua madre, ma dal vestito non sembrava. Dava proprio l’impressione di essere una aristocratica, non che io abbia qualcosa contro di loro. Ma dava proprio l’aria di essere troppo dura “grazie mille, ma ho un impegno sta sera di lavoro” menti spudoratamente, ma l’ho feci cosi tanto bene. Che la madre di Nicole, ci casco rientrando nel ristorante. Nicole mi diede un bacio, dolcemente mi sospiro “grazie, per la scenata” poi Nicole si allontano, io la segui con lo sguardo fino a che non era entrata nel ristorante. Rincuorato e appisolato, ritornando a casa. Con passo spedito. Arrivai a casa, dopo poche ore di camminata. Mio padre l’ho trovai sdraiato a terra, l’odore di alcool forte alleggiava nell’aria dell’appartamento. Dormiva beatamente. Ed io non mi disturbai più di tanto, li misi una coperta. Quando qualcuno suono il campanello, del citofono. Io andai a rispondere, ma nulla. Nessuno mi rispose. Pensai ad uno scherzo di qualche bambino o ragazzo ubriaco. Ma il citofono suono un’altra volta, risposi un’altra volta. La mia voce quando squillo, sembrava turbata e molto tesa. Ma nessuna risposta, decisi di scendere ad aspettare quello stronzo. Quando scesi le scale di corsa, non pensai a nulla. Solo la rabbia ribollente, quella era una buona scusa per farla uscire. Trovai il russo di quella mattina, davanti al portone “che vuoi?” li intima brusco “sono qui per farmi pagare il debito di tuo padre” rispose il russo, lo vidi maneggiare nel suo giubbotto “non ho soldi, da darti. E primo di a mio padre, che può andarsi a farsi fottere” risposi feci per tornare dentro l’androne del palazzo. Ma il russo mi prese per le spalle e con uno strattone mi riporto, proprio dove ero prima. Li mollai un pungo in faccia, d’istinto “non hai capito, tu pagherai il debito” disse il russo. E capi, subito cosa aveva sotto il giubbotto. Una pistola, nera come la morte. L’istinto di sopravvivenza, si fece strada verso me. Prese possesso di gambe e braccia. Ne consegui una lotta, serrata. Mollai un rovescio al russo, lui si asciugo il suo sangue con la manica del giubbotto “mi sono rotto di te.”.
BAM. Senti qualcosa farsi strada nella mia gamba sinistra, un dolore acuto ne segui. Barcollai a terra, quando notai le luci di tutto il palazzo accendersi, vidi mio padre che mi guardava dal mio piano. Qualcuno mi disse “come stavo” ma io non l’ho stavo sentendo, il dolore si fece più forte, man mano che il mio sangue. Colava dalla mia gamba, forse mi aveva preso una vena centrale quel bastardo di russo. sparito, non appena mi ha sparato alle gambe. Gambizzato su di un marciapiede, sveni.

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Capitolo 9
*** 03/04/2013 ***


03\04\2013.        
     
Caro diario, sono io Nicole. Forse l’avevi capito anche dalla calligrafia differente, scrivo perche e l’unica cosa che non mi fa impazzire, per cronaca di dirò quello che e successo dopo, che Mich aveva perso i sensi. Io l’ho seppi, quando tornai a casa e accesi il telegiornale, cosi tanto per vedere qualche notizia. Per rimanere aggiornata, su quello che accadeva in Italia. Vidi il viso di Mich, che lampeggiava in ogni telegiornale, rimbalzando di canale in canale. Inizia a chiamare Mich, incessantemente. Mentre lacrime mi bagnavo il viso, presa dal panico non seppi più che fare. Pensai a cosa fare, andare sotto casa sua sembrava una bella idea. Ma visto che, gli avevano sparato da qualche ora, non seppi se Mich era ancora li, sotto casa sua agonizzante. La sua immagine agonizzante, mi fece accapponare la pelle. Non dovrei pensare a certe cose, cosi presi la macchina dei miei, gli avevo invitati nel loro appartamento per la notte, loro avevano seguito la scena, preoccupati mia madre disse “e quel ragazzo, quel tuo amico, gli hanno sparato? Che razza di persone conosci?” mi disse, la collera, mi accani con mia madre. Lei non capiva niente, meno male che mio padre si mise in mezzo “posso fare qualcosa, ho degli amici che lavorano come giornalisti. Magari loro sanno dove e stato ricoverato” mio padre evito di dire portato, come se pensasse che la possibilità che fosse morto, non fosse una granché di possibilità. Lo ringraziai, ci mise poco. Mich era stato portato, al San Raffaele. Pensai ad un piano di azione, quando senti mio padre che parlava con l’altro tizio “mala vita russa?” ripente mio padre, sorpreso, forse iniziando a credere che quel Mich, non fosse poi tanto una persona raccomandabile a persone di un certo rango sociale “che ti ha detto?” li chiesi io, alzandomi dal divano, come una molla. La paura di perderlo, aveva aumentato il grado di percezione della realtà nel mio corpo “mi ha detto che è stato gambizzato da un mafioso russo” a quelle parole non ci vidi più. Presi la borsa, con mia madre che mi gridava dietro “dove stai andando?”. presi le chiavi della macchina di mio padre, visto che era già fuori, in quanto la mia macchina era nel garage del mio palazzo. Schizzai più veloce che il motore, di quella macchina mi permetteva. Arrivai sotto casa di Mich, poco dopo. Una folla si curiosi e poliziotti, affollava il marciapiede, dove tutto era successo. Mi immaginai di vedere Mich, steso a terra, e non potei fare altrimenti, nel immaginarlo col sorriso che sempre adornava il suo viso “dove sta andando?” mi domando una poliziotta dall’aria severa. Io con le lacrime agli occhi, perche era chiaro che stavo piangendo se no, cosa mi bagnava le guancia “sono la fidanzata di Michelangelo” li dissi. Con tutte le persone che c’erano li. Tra giornalisti che tentavano in tutti modi. Di fare una foto, dove il sangue di Mich aveva creato una pozza di sangue, da dove ero prima non l’avevo vista. Piansi di più, per che capi che Mich aveva perso troppo sangue. La poliziotta mi porto, sull’androne di casa “e stato portato d’emergenza al San Raffaele, camera undici” mi spiego la poliziotta dall’aria dispiaciuta “grazie” dissi, mentre salivo le scale fino all’appartamento di Mich, la poliziotta torno giù non appena sali il primo gradino. Come se volesse essere sicura, che ero veramente la fidanzata di Mich. Anche se non era vero, io e Mich non abbiamo mai avuto il tempo di definirlo. Il fidanzamento non e un contratto. Mi dissi fra me e me. Per me l’ho era, Mich era il mio fidanzato e lo sentivo dentro di me. Assieme al desiderio di non perderlo. Arrivai sul suo piano, il mio cuore fece un sobbalzo, di tristezza. L’ho davo per spacciato. Mi vergognai di me stessa. Presi a bussare, come se sperassi che dentro ci fosse qualcuno. Riflettendoci, il padre di Mich, non stava da lui per un po’. presi a bussare la porta, lo feci fino a che un uomo barbuto mi apri la porta “tu chi sei?”mi chiese l’uomo, il padre di Mich. Era molto diverso, da Mich. Avevano però gli stessi occhi “sono Nicole, devo prendere tutte le robe di Mich” risposi io, l’uomo mi indico il soffitto “troverai tutto li” mi disse prima di sprofondare nel divano dall’altra parte della stanza. Io feci fatica, ma l’uomo non fece nulla per aiutarmi. Sembrava turbato di qualcosa. Sembrava molto il Mich di poco fa’. arrivai a prendere tutto quello che c’era, in quella strana rientranza del soffitto. Trovai ovviamente questo diario e qualche foto della sua famiglia, ed una catenina in più un mp3 molto usato “arrivederci” dissi a mezza voce, prima di ritornare giù. Su quel marciapiede, ancora il cuore sobbalzo, anzi, per essere preciso si fermo per un istante. Ma mi feci coraggio, ora Mich aveva bisogno di me. Presi la strada più corta, per arrivare al San Raffaele. Tutte le strade, erano vuote.
I corridoi si assomigliava un casino, raggiunsi la camera undici del San Raffaele, non c’era nessuno quando entrai.
Lui era li, come una figura sinistra, la luce della luna bagnava il suo viso tirato dalla sofferenza. Iniziai a chiamarlo, ma lui non rispondeva alla mia voce, mi misi nel suo letto, senza pensare che ogni mia manovra poteva aprili la ferita, pensavo solo a starmene li, accanto a lui. L’importante e che non e morto. Pensai. Dormi assieme lui, ma poi qualcuno mi sposto da Mich. Un infermiere, mi sveglio e mi prese in braccio, posizionandomi su quel sedia poco comoda accanto a Mich. Dove mi addormentai un’altra volta, stanca di tutte quelle emozioni intense di poco prima. E li che ho iniziato a scrivere su questo diario. Utilizzandolo non solo per scrivere ma anche a leggere quello che Mich aveva scritto. Dal mio incontro con lui, fino alle ultime pagine.
I giorni passavano, senza eventi degni di nota “ha perso molto sangue, ma non e in grave pericolo” mi spiego un dottore, che passava per i soliti controlli due volte al giorno. Io intanto speravo che si svegliasse da un  momento all’altro. Smisi di andare a scuola, anche perche non c’era nessuno che veniva a far visita a Mich, in fondo lui e un tipo riservato ed estroverso. Pensai io.  Presi una poltrona dalla sala d’attesa, come se facesse parte di casa mia. Iniziai ad informarmi, sul coma. Iniziai a fare ciò che c’era da fare. Presi l’mp3 che ho portato assieme, a questo diario insieme alle poche foto di Mich ed anche la collanina. Una faccia d’angelo, dietro portava una scritta 24\11\1993. La sua data di nascita. Non ci pensai oltre, presi il collo di Mich, che stranamente non era ne freddo e ne caldo, era tiepido. Li misi al collo, la collanina d’oro. Sembrava proprio un angelo, pronto ad fare il viaggio che l’ho avrebbe portato in paradiso. Rimasi li a contemplare il viso di Mich, li scostai i capelli che li coprivano la fronte. Aveva proprio un’aria dolce, sdraiato su quel lettino. Quando pensai, che Mich non si meritava tutto questo. Era tutta colpa del padre, quel russo l’aveva sparato alle gambe, per colpa di suo padre. Forse aveva ragione Mich, quando diceva che i genitori non si dovrebbe intromettere nella vita dei figli. Se suo padre, non fosse tornato Mich adesso non starebbe li dove è ora. Inutile, mi sentivo inutile. Eppure sapevo che c’era qualcosa da fare. Iniziai a parlare a Mich, sperando che la mia voce l’avrebbe riportato in dietro, lo desideravo più di tutto, non m’importava di perdere l’anno di scuola, per le troppe assenze. Lui valeva più di ogni pezzo di carta. Che certificava cosa poi, che sono abile e arruolabile? Una delle mie tante amiche, venne a farmi visita sia a me che a Mich, lei lo conosceva bene. In fatti, lei conosceva Mich da una vita, erano compagni d’asilo. Cosa che io non sapevo, e credo che neanche Mich lo sapeva. Cosi grazie all’aiuto di Roberta, cosi si chiamava la mia amica. Mi portava i compiti Roberta. E sempre lei, disse della mia situazione hai professori, cosi iniziarono a farmi visita anche loro, per farmi le interrogazioni. Strano come Mich, incuteva negli altri simpatia, anche se non parlava. Mich aveva proprio la faccia gentile ora. Quando non era impegnata, con lo scrivere questo diario e fare l’interrogazioni con i professori. Raccontavo a Mich, tutta la mia vita. Lui ricambiava, non parlandomi ma nel suo diario ho trovato le informazioni che cercavo. Mentre le flebo si sostituivano continuamente, oramai l’avevo visto fare tante volte, tanto che a volte l’ho facevo io. Certo sempre, con lo sguardo di un infermiere attento. Mi faceva sentire bene, almeno aiutavo Mich in qualcosa. Tentavo di risanare, il suo copro stanco. I giorni passarono, fino ad arrivare ad oggi. Nessun, cambiamento fino ad ora, Mich se ne stava in coma sdraiato sul letto dell’ospedale. E sentivo, di essere stata abbandonata. Mi sentivo solo, a far compagnia a Mich. Nessuno che lo conosceva, aveva il coraggio di venire a trovarlo. Si a fatto anche lui, le sue cazzate. Ma infondo chi non le fa?. Stavo per perdere, ormai la speranza quando, sentii il camminare di qualcuno, cosa che mi sorprese, di solito quell’ambiente era privo di qualsiasi rumore. In un primo momento, pensai al giro del solito dottore. Ma quando il padre di Mich, entro nella sua stanza. La cosa mi sconvolse, la prima cosa che feci, li saltai al collo. Perche ormai lo sapevo, aveva veduto suo figlio. Ecco cosa voleva il Russo da Mich, voleva soltanto lui. Il padre di Mich si allontano da me, con l’aria frastornata “non ho fatto niente” fece per scusarsi l’uomo, ma io feci finta di alzare un pungo “ok, volevo solo salutarlo. Parto” rispose l’uomo uscendo dalla stanza. Senza rimpianto per suo figlio, in coma. Avevo fatto, qualcosa che non ero abituata a fare. Ma mi fece sentire bene, la stessa sensazione che Mich aveva provato poco prima, ma ora Mich non era nell’aria di fare quello che ho fatto io. Eppure, lo vidi sorridere a metà bocca, o forse me lo sono immaginato. Probabilmente. Era sera tarda, quando arrischiai di allontanarmi da Mich, solo per bere qualcosa un caffè. Prima me lo portava, o l’infermiera o il dottore delle visite. Ma oggi non si e fatto vedere nessuno. Lasciai il diario, sopra a Mich. Come un trofeo da andarne fieri.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Frastornato. Mi sono svegliato, su di un letto d’ospedale. C’era d’immaginarselo, visto che  avevo perso molto sangue da quella sera. Già, ma quante sere sono passate da quella sera?. Mi domandai, non trovando nessuna risposta. Girai la stanza, con lo sguardo. Visto che facevo fatica ad alzarmi, da posizione sdraiato a posizione seduta. Era proprio un ospedale, intonaci di colore, che non ti dava molta soddisfazione a guardarlo. Quando mi accorsi, che il mio diario era posato sopra le coperte, che trattenevano il caldo. Roba da non crederci, iniziai a sfiorarlo. E capi tutto, quello che mi era successo. A quanto pare, sono stato in coma per un po’ di tempo, e Nicole e sempre stata qui a farmi guardia, magari aspettando la mia morte. Ma non c’e da crederci, visto che Nicole a picchiato, addirittura, mio padre. Eppure era successo. Ma ancora, non capivo perche ha me. La colpa, di certo era di mio padre. Ma nonostante ciò non riuscivo a spiegarlo; a parte l’intontimento, dovuto anche alle medicine. Tutto non mi sembrava reale, e più lo scrivevo. Più non ci capivo niente. Ecco perche, decisi di provarmi ad alzarmi. Magari avrebbe aiutato, il mio cervello a fare il suo lavoro più in fretta. Cosa che mi risulto, abbastanza difficile, anche perche un paio di costole mi facevano male, al solo movimento. Forse dovuto, a quando sono caduto sul duro marciapiede. Quando mi misi, finalmente seduto. Dalla porta apparse Nicole, così d’improvviso. Ed in quel momento, ricordai tutto quello che mi disse. Miriade di voci di Nicole, nella mia testa che sciamavano, fino al nocciolo centrale. Dove si diffuse in tutto il corpo. Anche la reazione di Nicole fu lenta. In un primo momento, non aveva visto niente. Entrando nella stanza come se nulla fosse, poi in un secondo momento. Il caffè volo a terra, mentre Nicole corse ad abbracciarmi, altalenando tra baci e grida “sei vivo, sei vivo”. quasi mi soffoco, io la respinsi non perche non aveva bisogno di quell’affetto, ma proprio perche non riuscivo a respirare porca puttana. Trattenni il fiato, concedendo a Nicole di calmarsi. Quando lo fece, si sedette sulla poltrona e mi fissava. Pienamente consapevole come me del resto, che tutto questo non era reale. Quasi un gioco, dove se al massimo sbagliavi ripartivi dal via “mi hai fatto prendere un bello spavento” disse Nicole dopo un po’, forse parlare avrebbe reso tutto più reale “almeno non ti sono venuti i capelli grigi” scherzai “ho davvero, t’e lo faccio vedere io capelli grigi” cosi dicendo Nicole, mi salto addosso, anche se ero appena uscito da un coma. Che a proposito: mi successero un sacco di cose, ma quelle che più di tutte mi brillo nella mente, come un ricordo, sotterrato nella mia testa. Il momento dell’abbandono.
Quel giorno, non faceva caldo. Anzi a dirla tutta piovigginava e poi smetteva, il clima altalenante. Assomigliava più ad una percussione ritmica, tanto che inizia a fischiare seguendo il tempo. Subito venni ammonito da mio padre, un bel scappellotto e disse “vai vergogna, stupido ignorante” era stata mia madre a parlare, non c’e mai stato un clima mite tra di noi, sempre rimanendo in chiave tempo. Mi stava accompagnando, dalla preside, un’altra volta. Per ribadire la stessa solfa. Oramai me le ripetevano ogni anno, ed io mi stavo scocciando, non intuendo perche tale odio. Ma come ogni volta piansi. Quando senti la preside “Michelangelo, dovrà migliorare nello studio, anche perche se dovrà collezionare un’altra volta, un voto che non va più in alto di sufficiente sarà bocciato.” a quelle parole mia madre, rivolse l’attenzione su di me. Io non e che non sapevo, e che facevo fatica a seguire tutto. Le maestre, i miei compagni, le lezioni. Tutto anche scrivere dalla lavagna, risultava faticoso ed umiliante. Perche in giro, si diffuse la notizia che scrivevo male. Senza usare la punteggiatura eccetera. Mi estromisero da tutte le attività scolastiche. E se non lo facevo me ne andavo via io. Preferendo sgattaiolare fuori scuola. Per andare a vedere il mondo, che per me a quel età erano i Navigli. Ogni giorno andavo a curiosare tra le bancarelle, quando c’erano. Se no mi nascondevo in qualche museo. Fermandomi a guardare, qualche dipinto o statua. Avevo un debole per l’arte, il fascino di sapersi esprimere. Poi però, mi sgamarono. Era un giovedì, tre settimane dopo quel lunedì. La maestra, si accorse che nell’ultima fila c’era un banco vuoto. Ed dopo che chiese hai compagni “dove Michelangelo”. ed i miei compagni, li risposero unanime con una scrollata di spalle. La maestra andrò nell’ufficio della preside. Risultato, che i miei mi aspettarono fuori casa, con una valigia piccola. Si poteva definirlo mini Trolley. Mia madre non ebbe il coraggio di guardarmi, in quanto a mio padre. Mi diede un altro scappellotto. E mi butto in macchina. Io avevo paura a quel tempo, poi mio padre disse “non avrò per famiglia, una disgrazia” e cosi dicendo mi butto, davanti ad un palazzo, per poi ripartire a tutta velocità. Mollai tutto li, zaino e mini-trolley. Per rincorrere quell’auto, ma al primo semaforo non li stessi più dietro. Cosi passai mesi, a cercare cibo per strada. Smisi di andare hai Navigli, hai musei. Ormai l’arte non mi interessava più, come una volta. Inizia a lavorare in nero, i soldi poi li nascondevo in un di quei vicoli di quella zona. Dove un mattone si spostava, ad occhi nudo era difficile vederlo. Li nascosi li, fino a quando non raggiunsi l’età necessaria per acquistare una casa. La trovai poco distane a quel vicolo, cosi per rimanere in tema. In fondo, quella era diventata la mia casa negli anni a venire. Dove pativo la fame, ed ero ridotto a ossa e qualche pizzico di carne attaccata. Per via del tanto lavoro, ed del poco cibo. Mi pagavano una miseria. Il resto lo sapete.
Nicole  era li che mi fissava, i pungi al volto. Come se nulla, di cosi stupendo non esistesse al mondo “non sono cosi stupendo come pensi” le risposi, a quello sguardo “amo, vederti pensare” disse in risposta Nicole “se sapessi a che pensavo, non ti piacerà di sicuro” risposi “comunque come è andato l’esame di scienza della società” le domandai. Nicole rispose con un ghigno “immagino, che non ho più una scusa per non farlo” “no immagino no di no. Se vuoi mi ammazzo, cosi almeno avrai soldi a vita” risposi io sogghignando “oppure facciamo un’assicurazione sulla tua di vita e poi ti ammazzo” aggiunsi io. A quelle parole? Il putiferio. Anche se le costole non mi facevano poi cosi tanto male, il nostro in fondo era solo un gioco. Pugni, quasi fossero carezze. Dalla mia parte, perche dalla parte di Nicole ci andò giù pesante con me “ahi ahi, le costole” dissi in fini io, facendo praticamente finta. L’unica cosa che mi faceva male in quel momento, era l’addome per via del continuo ridere a crepapelle “davvero?” domando dispiaciuta “no non e vero” la presi di sorpresa, iniziando a farle il solletico sul collo, mano a mano scendevo fino alla pancia. Fu la volta di Nicole, a sorprendermi. Mi desse, un bacio di quelli che ti fanno venire la pelle d’oca, da tanto sentivi l’emozione afrodisiaca perdersi il controllo di te. Le nostre labbra, non la finivano di toccarsi, non sentivo nulla al di fuori di quel bacio e Nicole. Il suo profumo e il resto. E fu inutile dirlo, forse il ricordo di una vita intera. Conservo ancora, nel mia cassettiera dei ricordi, quel ricordo, chiuso a chiave con lucchetto in aggiunta. Cosi da non potermelo scordare mai. E se non bastasse, costringevo la mia mente a riviverlo per pochi istanti, in ogni giorno. Cosi che ogni dettaglio, ne risaltasse l’armonia di quel momento. Perche finalmente, trovai la pace al di là di tutto. Nicole si ritrasse,  estasiata. Come me del resto. Ma, non si sposto da dov’era “promettimi, che non mi farai uno scherzo del genere” disse dolcemente Nicole “prometto, ho un’altra scelta?” domandai io, Nicole scosse la testa. Tante, persone affollavano il corridoio. Dove la mia stanza stava, era come se tutto il piano. Attratto dalle nostri voci e risa, si fosse accalcato affianco la porta d’entrata della mia camera. Che ha proposito, aveva solo un letto. Ora che mi ricordo. Qualche infermiera sorrise, quando Nicole dopo aver intuito che oramai non la seguivo più, se n’era accorta. Altri mostravano gioia a tutti gli effetti. Un po’ come se vedi, un bambino per strada scherzoso e gioioso, con una sola caramella in mano. Ne dedussi, che la felicità a un prezzo, ad ogni età cambia però. Apparse il dottore, si fece strada con una sorprendente facilità e disse “si forse, ora non e il momento giusto”. imbarazzo. Nicole scese delicatamente da sopra me, particolarmente imbarazza, si ritrasse nella sua felpa. Vidi il suo rossore della pelle “potremmo chiudere la porta” sussurrai al dottore “infermiere le porte, devo visitare il paziente” rispose subito il dottore, che davvero sembrava simpatico “come se li ci fosse qualcosa da controllare” sospiro un’infermiera, dall’aria di andare in pensione a breve. Nicole, ancora sprofondo nell’imbarazzo. Che a dirla tutta, era ormai diventato generale. Tra me e Nicole, ed anche il dottore “questo e il suo ultimo anno” sembrava più una benedizione agognata, che solo un dato di fatto. Il dottore, prese a visitarmi. Con dita abili ed esperte. Mi tocco le costole, quelle che mi facevano male “sono solo un po’ incrinate. Ma nel giro di qualche, giorno saranno apposto” rispose il dottore rassicurante. Quando mi, scosto le lenzuola. Notai che portavo un bendaggio alla gamba destra. Un notevole bendaggio, devo dire. Cosa che mi riporto, alla storia di essere gambizzato su di un marciapiede. Per via del furore di poco prima. Quando il dottore, inizio a sciogliermi il bendaggio. Sentivo uno strano odore, provenire dal bendaggio stesso. Man a mano che, il bendaggio si smollava, perche effettivamente era molto stretto, attorno alla mia gamba. Senti un leggero dolore, mano a mano che la benda veniva via. Quando la benda fini. Notai che i tre quarti della benda, erano bagnate di sangue fresco. Forse dovuto, per il gioco di prima ed a quello che ne segui. Nicole si senti in colpa, la notai ritornare al colorito di sempre, dietro ancora la sua felpa “e tutto ok non ti preoccupare” tentai di rassicurarla “si meno male che i punti hanno tenuto” aggiunse il dottore, con fare giovale “ho proprio fatto un buon lavoro” scherzo ancora il dottore. A quelle parole, panico assoluto. Neanche pensavo lontanamente, di guardare giù. Infatti non lo feci. Ma quando il dottore inizio a  bendarmi aggiungendo beta dine. Lo notai un buco, sulla mia gamba destra. Rosso e gonfio. Tenuto chiuso da due semplici punti, di millimetrica distanza tra l’uno e l’altro. Non mi faceva male, cosa che mi fece sospettare “prendo, antidolorifici?” chiesi al dottore d’istinto. Quasi temessi, dell’imminente fine di tale dose “no non le prendi” rispose il dottore. Tutto sommato, e andata bene. Pensai, la mia vita continua ad essere sfortunata da una parte, dall’altra posso solo esserne felice. Quando il dottore se ne andò “ah un’altra cosa, c’e tempo prima di…. Avete capito no” disse il dottore a metà strada tra il corridoio e la mia stanza. Imbarazzo, ancora “sono molto simpatici” commentai io. Nicole non rispose. Ma inizio ad sfiorarmi il braccio, con la sua mano. Stemmo, li per ore ed ore. Parlando, io le chiesi di quante cose mi ero perso, in quei mesi. E Nicole mi fece il resoconto dettagliato, pieno anche di suoi pareri. Cosa che non mi stancherei di ascoltare.
 
Sono passati molti, anni. E ancora non c’e storia d’amore, vissuta da parte mia. Che non abbia toccato quei livelli. Mi manchi Nicole. Tanto.
 
Michelangelo.  

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