The Memories Kill di GWatcher (/viewuser.php?uid=133375)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** 7 ***
Capitolo 8: *** 8 ***
Capitolo 9: *** 9 ***
Capitolo 10: *** 10 ***
Capitolo 11: *** 11 ***
Capitolo 12: *** 12 ***
Capitolo 1 *** 1 ***
1
Il
passato non
demorde.
Le
scarpe nuove bagnarono il terreno
verde ed umido del cimitero.
Booth
varcò l’entrata dell’angusto teatro
di cadaveri, respirando l’aria malsana dei giorni di guerra
andati. I ricordi
non possono scomparire, sono parte di noi. Purtroppo è
così.
Lo
sguardo rivolto alle lapidi in
continuo aumento. Giorno dopo giorno.
Si
può vivere accettando queste
disgrazie?
Il
solo pensiero che anch’egli poteva
trovarsi lì, fu inquietante. Subito dopo
idealizzò che prima o poi ci sarebbe
andato lo stesso. Sottoterra. Come tutti.
Abbottonò
il giaccone nero in preda ad un
brivido di freddo. Infreddolito per il tempo o per il luogo? Difficile
trovare
una risposta esauriente.
Una
donna si avvicinò a lui, scrutandolo
con comprensione. Comprensione… strana cosa per lei.
Eppure,
in quel momento, poté sentire perfettamente
le grida delle vittime nella testa del suo partner. Provò ad
immaginare,
almeno.
Quel
maledetto omicidio aveva rovinato tutto,
portando a galla memorie dolorose.
Memorie
che non dovevano essere ricordate.
Preso
da un impeto di commozione, Seeley
portò la mano agli occhi per nascondere il rossore.
L’attenta
antropologa, però, se ne accorse
lo stesso.
Nel
momento in
cui stava per allontanarsi, voltando le spalle, Brennan
afferrò la mano
dell’uomo, fermandolo.
Notò
ancora una volta che la mano di
Booth fosse così grande e maschile, capace di racchiudere
senza difficoltà le
sue più piccole e femminili.
Sì,
proprio Temperance. Non erano cose
che faceva tutti i giorni. Quella, infatti, fu un’occasione
molto speciale. Il
suo partner stava chiaramente male ed aveva bisogno di aiuto.
Strano
pensare che Booth non avrebbe mai
voluto affidarsi a qualcun altro: un uomo forte che sa provvedere a se
stesso.
Ma
dinnanzi agli spettri del passato, chi
osa restare solo?
Particolarmente
colpito da quel gesto, la
guardò dritto negli occhi. Per la prima volta – o
quasi – si accorse che quegli
occhi erano davvero belli.
Brennan,
invece, si accorse che Booth
lacrimante le provocava una terribile stretta allo stomaco. Desiderava
aiutarlo, pur non sapendo come.
Qualcosa,
però, le venne in mente:
ricordò della confessione avvenuta pochi minuti prima,
quando entrambi si
trovavano sulla panchina.
Si
ricordò che quando poggiò la mano sul
braccio dell’uomo, fu lui dopo a cercarla e a stringerla.
Capì che tornare lì
per un ultimo sguardo probabilmente non fu una buona idea.
“Vogliamo
andare via?” aggiunse la
dottoressa, tenendo ancora salda l’unione di mani.
Si
allontanarono dal luogo, ritornando in
macchina.
Adesso
c’era un intero viaggio da dover affrontare.
Non solo per tornare a casa, ma anche per riprendersi dal proprio
passato. Per
Booth.
E
magari per scoprire qualcosa di
nuovo.
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Capitolo 2 *** 2 ***
2
“Adesso
devi spiegarmelo, Angela”.
Brennan
esordì sulla soglia della porta
d’improvviso, quasi spaventando l’amica impegnata
nel ritrattato di un uomo. Il
modo in cui adagiava la matita alla carta era così semplice
e naturale che
veniva da chiedersi come riuscisse a ritrarre così bene, con
poca tecnica.
Alzò
lo sguardo e incrociò gli occhi
dell’antropologa alquanto adirata. Che cosa era successo? Si
interrogava su
qualche possibile risposta: forse qualcuno aveva toccato i suoi resti
umani? Le
spaventose e raccapriccianti ossa che amava tanto?
No,
la risposta di Tempe fu non poco
sorprendente: Booth.
Posando
la matita, si alzò in piedi e
raggiunse l’altra ancora poggiata all’entrata.
Seguirono
sguardi d’intesa e qualche
parola rassicurante.
Ma
in realtà quello che Brennan voleva
spiegarsi non aveva risposta.
“Tu
vuoi davvero che ti dica perché sei
depressa quando Booth sta male?”.
Angela
sgranò gli occhi in un’espressione
alienata. Pensò che le cose potessero essere solo due: o
Bren era sotto effetto
di stupefacenti o davvero era diventata così fredda da non
riuscire a reagire
alle emozioni umane.
“Tesoro
non puoi chiedermi una cosa del
genere! E’ assurdo”.
Sembrava
che l’antropologa ancora non
capisse, così cercò di spiegarle meglio il
concetto.
“Quando
una persona che amiamo soffre, è
normale dispiacersi, giusto? E questo lo sai bene, non hai bisogno che
ti
faccia da maestrina dei sentimenti. Quello che non capisci è
ben altro: lo stai
chiedendo a me solo perché hai paura di chiederlo a te
stessa”.
Un
brivido raggiunse la schiena della
donna, che silenziosamente ascoltava tutto. Era vero, ma ancora non
riusciva ad
ammetterlo. Ovvio che no! I cadaveri non possono parlare, e starci in
contatto
tutti i giorni non migliora certo le tue relazioni sociali.
Lavoro,
lavoro, lavoro! Basta Temperance,
basta!
“Ascolta
Bren, voglio farti vedere una
cosa”.
Raggiunse
nuovamente la poltrona dove era
seduta, e prese l’album che stava usando per disegnare.
Scorrendo tra le pagine,
poté vedere tante facce di persone diverse, a volte
sorridenti, altre meno. Ma
quella che la colpì di più fu proprio la
più bella.
“Guarda:
è Booth”.
Rimase
così sorpresa e quasi infastidita:
perché diavolo aveva disegnando Booth?
“Vedi
quelle piccole goccioline sul suo
volto? Sono lacrime, tesoro. Tutto il suo coinvolgimento nella storia
del
soldato ritrovato ha scosso tanto anche me. E quando è un
uomo a stare male si
è ancora più presi! Guardalo, è lui
che vuoi cercare, non me”.
Un
fastidioso rumore provenne dalla
finestra: la pioggia tendeva a diventare sempre più
violenta. Le nuvole si
infittivano. E Booth era da solo a casa.
Brennan
ricordò che quando venne il
compleanno di sua madre scomparsa, l’uomo restò
tutta la notte con lei solo per
starle vicino.
“C’è
sempre
stato” quasi
sussurrò, allontanandosi per un attimo dalle parole di
Angela.
Chiuse
la cinta del giaccone e rivolse un
sorriso all’amica. Adesso sapeva come trascorrere il resto
della serata.
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Capitolo 3 *** 3 ***
3
La
macchina di Tempe percorreva
velocemente il tragitto che la separava da Booth. Ad ogni chilometro
percorso,
si chiedeva se era giusto o no ciò che stava facendo.
Anzitutto, non era da lei
fare una cosa del genere.
Andare
a casa del
tuo partner solo per stargli vicino? Perché non si
può essere vicini ad una
persona anche con il solo pensiero o con una telefonata?
Scaccia
via
questi pensieri, antropologa molesta!
Lo
stava facendo di nuovo: tirarsi
indietro, scappare. Tutta colpa di Angela! Se non le avesse sbattuto in
faccia
quelle maledette verità, non avrebbe avuto tutti questi
problemi morali.
Sarebbe rimasta a risolvere crimini, indagando sui resti pervenuti allo
Jeffersonian. Almeno lì sarebbe stata così presa
dalle indagini da non dar peso
ai suoi stupidi pensieri personali.
Adesso
ti stai
dando della stupida?
Nulla
era razionale in quel momento.
Niente. Ad ogni occasione era tentata di spingere la scarpa sul freno e
fare
retromarcia. Ma ad ogni intenzione non lo faceva. E continuava a
torturarsi con
ogni pensiero più strano che le potesse venire in mente in
quel momento: cosa dirò quando
sarò lì? E se non mi vorrà?
Ancora
si incolpava per essere così
indecisa, e dovette sorbire anche un:
“Guarda
dove guidi, imbecille!”.
Sì,
era proprio un pericolo su quella
strada! Ma cosa poteva fare? I gesti che compiamo riflettono noi
stessi, come
siamo, e in quel momento lei era alquanto nervosa.
Nel
frattempo la meta era sempre più
vicina…
Ma
Booth è un
uomo forte! Continuava
a ripetersi nella speranza di trovare una
qualsiasi motivazione per tornare indietro. E’ sola e
terribilmente spaventata.
Aprirsi con qualcun altro…. Di cui potrebbe provare
attrazione.
Merda:
l’aveva ammesso! Potrebbe essere
innamorata di Booth. Potrebbe desiderarlo, volerlo suo. Ecco
perché voleva
tanto andare da lui, ecco perché era tanto indecisa!
Trovò
il posto di blocco più vicino e si
fermò accostando la macchina.
E’
sbagliato
stare qui solo per problemi strettamente personali. Probabilmente
qualcuno
avrà bisogno
realmente di una sosta,
perciò devo sbrigarmi.
Istintivamente
prese il cellulare per
chiamare Angela… riattaccò, pessima idea! Inutile
chiederle qualcosa che sapeva già.
Allora era vero? Con
ogni probabilità era attratta da lui?
Alcolici,
alcolici… no stava guidando!
Mancavano
pochi metri all’abitazione
dell’uomo. Doveva decidere una volta per tutte: andarci o
rinunciare. Era
tardissimo, quasi la mezzanotte.
Il
punto era che aveva così paura di
deluderlo… forse era meglio non provarci nemmeno. Come aveva
sempre fatto
fin’ora.
No,
è questo il
punto! Tirarsi indietro! Come sempre!
Nel
trambusto del traffico, il caos dei
pensieri e la ribalta dei sentimenti, non sapeva proprio come uscirne
fuori.
Menomale che a volte è il destino a darci una mano. Anche
più di una, in
verità. Il cellulare squillò e sul led comparve
il nome di Booth.
“Bones…
per favore, se non sei impegnata,
puoi venire da me? E’ importante”.
Angela
gliel’aveva
detto, la sua coscienza
gliel’aveva
detto, lui gliel’aveva
detto, il destino
gliel’aveva detto!
“Io
non posso assolutamente… rifiutare.
Dammi dieci minuti”.
Risalì
in macchina. Finalmente, con
qualche certezza in più.
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Capitolo 4 *** 4 ***
4
Quella
sera, Temperance si ritrovò completamente
spaesata. Ad esempio: quando parti per un viaggio lontano, e non
conosci le
tradizioni del posto in cui ti trovi. Le tradizioni che la donna non
conosceva
erano quelle del cuore. Perché era così difficile
relazionarsi... con un uomo,
con le persone, con tutti.
Probabilmente
neanche lei conosceva una
risposta concreta. Adatta, avrebbe
detto.
Era
tutto così strano. Quei sentimenti
che non riusciva a placare, sensazioni che indirettamente la
travolgevano e non
le permettevano di pensare ad altro.
Per
una volta,
una sola volta nella tua vita, cerca di essere meno razionale.
Ma
la verità spicciola la conosceva bene.
Fuori posto, perfettamente fuori posto. Era così che si
sentiva in situazioni
del genere, non sapeva cosa fare, come comportarsi.
Parcheggiò
la macchina ed arrivò dinnanzi
alla porta dell’appartamento di Booth.
*
* *
Trascorsero
una serata calma, tranquilla…
silenziosa. Abbastanza silenziosa.
Perché
il silenzio non mente. Mai. Ed era
lì, lei, che ascoltava le parole dell’eroe di
guerra ferito ed amareggiato.
E
cosa poteva mai significare ciò? Più
era imbarazzata, più si trovava fuori luogo…
più ci teneva. E a Booth teneva
immensamente.
Avrebbe
fatto di tutto pur di non vederlo
in quelle condizioni. Così triste.
Per
la maggior parte del tempo guardarono
un film vecchio alla TV. Lei semplicemente gli era accanto. E lo
guardava,
interrottamente, senza che lui se ne accorgesse.
Lo
guardava perché in quel viso poteva
scrutare la bellezza, la forza e l’audacia, proprio come un
soldato. Poteva capire
che, nonostante tutto, Seeley riusciva ad andare avanti. Anche a lei
sarebbe
piaciuto farlo… con i suoi genitori.
L’aveva
chiamata per avere della
compagnia, stufo di scendere al solito bar. Ma la verità era
un’altra: Booth
aveva un’infinità di amici e tantissime donne
disposte a tutto pur di essere ai
suoi piedi (anzi, calzini) … ma lui voleva Brennan.
Una
compagnia - seppur silenziosa - così
piacevole.
Perché
con lei riusciva ad essere forte,
di nuovo. Stranamente. Non consapevole del fatto che era tutto il
contrario,
che lui era l’eroe che ispirava ed aiutava le persone.
“E’
tardi, non andare per le strade a
quest’ora, è pericoloso. Ho un letto in
più… non è un problema trovarti un
posto qui, per stasera”.
Tempe
non voleva sentire altro che quelle
parole. Non lo sapeva perché, non lo sapeva assolutamente! E
questa volta non
scherzava: è la cosa
più irrazionale che
abbia mai pensato!
Non
riusciva davvero a capire il perché
di quella voglia incontrollabile… dormire da Booth. Strano,
visto che non si trattava
nemmeno dello stesso letto!
Trovava
quella casa maledettamente
familiare e si sentiva al sicuro, molto più che nel suo
appartamento.
Confermò
le parole dell’uomo,
ringraziando, decisa a voler dormire lì.
Le
mostrò la camera e il letto dove
avrebbe dormito. Entrambi si guardarono dritti negli occhi. Lo sguardo
di Booth
era riconoscente, sollevato.
Quello
di Brennan, invece, indecifrabile.
La
buona notte, com’era consono per la
buona educazione.
Socchiudendo
la porta, uscì, lasciandola
sola nella grande camera. Si guardò intorno. La finestra era
aperta ed un vento
gelido entrava indisturbato. La chiuse.
Si
sedette sul materasso. Comodissimo.
Guardò l’orologio. Si tolse le scarpe. Sciolse i
capelli… e pianse.
D’improvviso, inaspettatamente.
Ancora una volta, nel
silenzio… che –come
sempre – non mente.
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Capitolo 5 *** 5 ***
5
Era
passata circa una settimana da quando
la dottoressa Brennan aveva dormito nel comodissimo letto di
Booth… o meglio,
non propriamente nello stesso letto.
Nel
frattempo, un nuovo collega del FBI
era giunto per affiancare Tempe nelle indagini. Inutile dire che a lei
non
piaceva per niente. Era abbastanza basso, i capelli riccioluti e
biondi, gli
occhi strani – a detta di Angela: come
un
pesce palla – e la dentatura giallissima. Sembrava
una brutta copia di
Hodgins.
In
poche parole, era davvero
imparagonabile a ciò che Temperance aveva –
temporaneamente – perso. Desiderava
ogni giorno che Booth si presentasse allo Jeffersonian, e riprendesse
il suo
posto, magari sfoderando il suo solito raggiante sorriso.
I
cadaveri arrivavano e le indagini
andavano avanti, come sempre. Proprio in quel momento, gli Squints
stavano
indagando sul corpo di una donna straziato dalle fiamme. Era strano
lavorare
senza Seeley, ormai condivideva quasi tutto con lui. Sì,
perché l’agente
speciale del FBI aveva deciso di prendersi qualche settimana sabatica.
Dopo
tutto quello che era successo con il
suo passato… doveva essere in forma prima di ritornare sul
campo. Non sembrava
una scelta da lui, ma a detta dei suoi amici e familiari era la cosa
migliore:
separarsi dal lavoro e vedere uno psicologo.
Perché
per quanto le persone care possano
esserti vicine, non possono certo cancellare il passato.
Proprio
quel giorno, l’uomo si rivolgeva
per una nuova seduta. Anche se non l’avrebbe mai ammesso
così presto, doveva
riconoscere che dopo soli quattro incontri si sentiva già
molto meglio.
“Crede
di poter andare avanti, adesso?”.
“Non
è lei lo psicologo? Non dovrebbe
essere lei a dirmi se sono pronto o no?”. Quella giornata
Booth era
particolarmente nervoso. E la psicologia lo rendeva ancora
più nervoso, sempre.
“Dopo
tutte le volte che ci siamo visti…
lei è ancora scettico verso la psicologia?”. Lo
sguardo scrupoloso del Dottore
lo studiava con precisione.
“Sì…no…
credo di sì, non è qualcosa che
posso cambiare, anche se mi sta aiutando, ok?”.
“Abilmente
è riuscito a cambiare discorso
ed io ho retto il suo gioco, ma la domanda è sempre la
stessa, signor Booth: è
pronto a guardare negli occhi il cadavere di un suo compagno di guerra?
E’
pronto ad affrontare e dimenticare questa storia?”.
Qualche
minuto di silenzio rese l’attesa
ancora più trepidante. L’uomo interpellato si
sentiva molto confuso. Non sapeva
assolutamente cosa rispondere. Se avesse dichiarato di aver superato la
faccenda, avrebbe rischiato di affrettare la questione, e non
dimenticare
realmente l’accaduto. Ma se avesse negato, cosa sarebbe
successo? Brennan
sarebbe stata ancora sola, e lui avrebbe dovuto subire quelle stupide
sedute
ancora per molto, sdraiato su quello scomodissimo lettino in pelle
marrone.
Non
riusciva ancora a capire quale fosse
la scelta giusta, ma una cosa era certa: se fosse stato completamente
convinto,
avrebbe dato una certezza senza ripensamenti. Ed invece non era questo
che
faceva.
“Forse
è meglio se ci vediamo la prossima
volta” concluse amareggiato, alzandosi ed uscendo
dall’ufficio, affranto nel
cuore.
C’era
anche qualcosa che non aveva
calcolato, però: ammettere di aver ancora bisogno di aiuto,
nonostante il tempo
trascorso, voleva dire che non si stava prendendo in giro con quegli
incontri,
e che poteva sopportare anche la psicologia, che le cose potevano
davvero
aggiustarsi.
Uscì
dallo studio, e si diresse verso il
parcheggio. Inaspettatamente, riuscì a sorridere ancora una
volta: una
bellissima donna lo aspettava poggiata alla sua macchina.
“Ciao
Booth, penso ancora che la
psicologia sia inutile, perché per sorridere hai solo
bisogno di vedermi, a
quanto pare”.
Tempe
lo raggiunse dove si era fermato,
per lo stupore. Lo abbracciò così forte da
riuscire a sentire il profumo del
giaccone che indossava. Lo strinse con tanto affetto… come
non aveva mai fatto
prima, con nessuno.
Se
questa era la vera lei o meno… quasi
non le importava più: aveva deciso di provare a seguire solo
l’istinto per le
sue relazioni sociali… e sentimentali.
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Capitolo 6 *** 6 ***
6
Senza
dubbio, quella fu una
delle sensazioni più belle che Booth avesse mai provato
nella sua vita. Quel
tipo di sorprese non era da Brennan. Non dalla donna che conosceva da
tanto
tempo. Non si aspettava che lei potesse stupirlo così
facilmente, e
piacevolmente. Le persone, anche quelle antropologhe, erano sempre
imprevedibili.
Ne
rimase molto contento e
ricambiò l’abbraccio, dolcemente.
Avvertì
una strana
sensazione: sentiva che in quell’unione di corpi ci fosse
qualcosa di diverso, ma non
riusciva a capire cosa.
Tempe
non lo stringeva così
forte da quando fu rapita e lui la venne a salvare. Ma non ricordava
nemmeno se
fosse lo stesso tipo di abbraccio.
Era
un po’ confuso, ma sempre
felicemente confuso.
Si
avviarono verso il solito
bar, dove erano soliti chiacchierare delle indagini o di altro,
prendendo un
salutare caffè.
Nel
frattempo, al
Jeffersonian, le cose non andavano molto bene. Temperance si era
assentata
all’improvviso, senza avvisare nessuno. O meglio, aveva
avvisato Angela, la
persona più importante che in quel momento sentiva il
bisogno di avvertire...
ma, a quanto pare, si era dimenticata della vera persona che aveva il
diritto
di sapere dove fosse la sua partner. Il suo collega!
Bennie,
basso e riccioluto,
andò su tutte le furie. Quasi sbraitava dalla rabbia,
indignato dal
comportamento della dottoressa che sembrava tanto qualificata e
precisa. Aveva
ragione. Le era parsa come una persona seria.
In
verità, Brennan era fin
troppo seria, ed incarnava perfettamente ideali come la precisione e la
serietà, il più delle volte provocando fastidio.
Quindi, come mai non lo aveva
avvisato?
Mentre
lui cercava di trovare
una risposta, Angela ed Hodgins lo osservavano da lontano,
sghignazzando di
tanto in tanto.
“Non
ridere Angela, dovresti
dire qualcosa a quel poveraccio”.
“Ehi,
cosa dovrei dirgli? Nessuno ti vuole qui,
rivogliamo il nostro
Booth e per questo ti trattiamo peggio dei cadaveri?”.
“Sei
tu quella umana, qui!”.
Entrambi
conclusero in una
risata contenuta, perché sì, alla fine era vero:
quell’uomo era tanto buffo da
parer pazzo, e anche un po’ stupido. Tuttavia, Angela si
rivolse a lui,
specificando chiaramente la situazione.
Il
ritorno della dottoressa
era alquanto incerto, e nessuno sapeva molto di quello che stava
succedendo.
“E’
per il suo collega? E’
per lui che non è venuta?”.
Per
la prima volta, Bennie
aveva detto qualcosa di intelligente, seppur scontato. Purtroppo,
nessuno lo aveva
ascoltato.
Angela
fu distratta dal suono
del cellulare. Era un messaggio, indubbiamente, il suo gestore
telefonico le
comunicava del poco credito a disposizione.
Mandando
al diavolo il testo,
la donna compose un nuovo sms, diretto a Tempe.
Dove
sei? Con Booth?
Dopo
qualche minuto, ricevette una risposta e, prontamente, la
lesse.
Sì,
sono con lui, e ho
una voglia incontrollabile di baciarlo.
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Capitolo 7 *** 7 ***
7
Distrattamente,
il cellulare le cadde dalla
mano. Dritto sul pavimento, percorrendo una traiettoria invisibile e
irregolare
sospesa nell’aria, che portò, inevitabilmente, a
gravose conseguenze.
Il
nuovo – e modernissimo – telefono ne
uscì con lo schermo completamente rotto. Quelle nuove
apparecchiature
elettroniche erano molto belle, ma anche estremamente fragili.
Tuttavia, ad
Angela non importava affatto.
Perché
ciò che aveva appena letto era
così bello ed entusiasmante da poter mandare al diavolo
tutti i soldi spesi.
Sì,
finalmente, la sua amica… si era
innamorata. Poteva divenire completa.
E
non riusciva ad essere più felice di
così, visto che l’uomo dei desideri di Tempe non
era niente di meno che Seeley
Booth, l’agente dell’FBI più coraggioso
e gentile che avesse mai
conosciuto. Quelle
poche parole, ‘ho una voglia
incontrollabile di baciarlo’,
furono così inaspettate… non sapeva
neanche come dirlo! Non ci riusciva, le
sembrava fin troppo bello per essere vero.
Ma
nemmeno tanto… prima o poi, la
felicità veniva concessa a tutti. Anche a Temperance
Brennan.
Sviò
lo sguardo verso Hodgins, sfoderando
un sorriso incredibilmente entusiasmante.
“E’
successo qualcosa…” bofonchiò
l’uomo,
avvicinandosi a lei.
*
* *
“So
che non vuoi parlarne in questo
periodo, ma… ne ho davvero bisogno. Quando credi di tornare
a lavoro?”.
Tempe
fissò l’altro con una strana
espressione, a metà tra compiaciuta e impaurita. Si
compiaceva nel guardarlo,
ma al tempo stesso temeva una sua risposta negativa.
Anche
Booth era piuttosto in difficoltà…
che cosa voleva dire quel ‘ne ho
davvero
bisogno’? Aveva bisogno che lui tornasse a lavoro
per aiutarla nelle
indagini, perché quest’ultimo era stancante e da
sola non riusciva o perché
voleva accanto la sua presenza?
Lui
auspicava per la seconda, ma comunque
stessero le cose, gli fece davvero piacere sentire quelle parole. Anche
se,
effettivamente, non aveva una risposta concreta.
Si
limitò a dire: “Presto, Bones”.
Adesso
non aveva alcun problema. Si era
accorto che Brennan riusciva a calmare il suo animo, e che lui era di
nuovo
capace di sorridere. Ma forse era ancora troppo presto per immergersi
tra i
cadaveri.
Ci
fu un momento in cui nessuno dei due
proferì parola. Semplicemente, si guardavano. Con il dovuto
imbarazzo,
ovviamente. Erano stati ragazzini, adolescenti e giovani impossessati
dall’amore dolce e affettuoso (almeno in parte), ma adesso
non più. Adulti,
maturi e coscienziosi delle proprie scelte.
Purtroppo,
cambiavano tante cose quando
si cresceva e, senza volerlo, tutto diventava più
complicato.
Era
anche vero, però, che ad una certa
età si potevano fare cose che prima non erano
concesse…
“Forse…
potremmo andare da qualche
parte”. Booth si fece finalmente avanti.
“Non
è professionale lasciare il lavoro
in questo modo, ma… per questa volta sono disposta a fare
una dovuta eccezione”
disse lei, sorridendo.
Lui
si stava già preoccupando del fatto
che, a causa sua, Brennan non stesse lavorando. Ma quando la donna
notò
l’espressione interrogativa sul volto
dell’altro…
“E
comunque, detto tra noi, non ho nessuna
voglia di tornare in laboratorio dal nuovo collega”.
In
realtà, avrebbe voluto dirgli: ‘non
ho nessuna voglia di lasciarti solo’.
Coraggio,
ci voleva coraggio!
“C’è
un nuovo collega? Allora devi
raccontarmi tutto!”.
“Ci
puoi scommettere!”.
Uscirono
entrambi dal bar, diretti chissà
dove, con l’intento di fare una lunga e rilassante
passeggiata, prendendosi una
pausa dagli ultimi avvenimenti e dalla vita di tutti i giorni.
Proprio
vero: anche dalle peggiori
disgrazie potevano nascere cose belle.
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