The Memories Kill

di GWatcher
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** 7 ***
Capitolo 8: *** 8 ***
Capitolo 9: *** 9 ***
Capitolo 10: *** 10 ***
Capitolo 11: *** 11 ***
Capitolo 12: *** 12 ***



Capitolo 1
*** 1 ***








1

 

Il passato non demorde.

 

Le scarpe nuove bagnarono il terreno verde ed umido del cimitero.

Booth varcò l’entrata dell’angusto teatro di cadaveri, respirando l’aria malsana dei giorni di guerra andati. I ricordi non possono scomparire, sono parte di noi. Purtroppo è così.

Lo sguardo rivolto alle lapidi in continuo aumento. Giorno dopo giorno.

Si può vivere accettando queste disgrazie?

Il solo pensiero che anch’egli poteva trovarsi lì, fu inquietante. Subito dopo idealizzò che prima o poi ci sarebbe andato lo stesso. Sottoterra. Come tutti.

Abbottonò il giaccone nero in preda ad un brivido di freddo. Infreddolito per il tempo o per il luogo? Difficile trovare una risposta esauriente.

Una donna si avvicinò a lui, scrutandolo con comprensione. Comprensione… strana cosa per lei.

Eppure, in quel momento, poté sentire perfettamente le grida delle vittime nella testa del suo partner. Provò ad immaginare, almeno.

Quel maledetto omicidio aveva rovinato tutto, portando a galla memorie dolorose.

Memorie che non dovevano essere ricordate.

Preso da un impeto di commozione, Seeley portò la mano agli occhi per nascondere il rossore.

L’attenta antropologa, però, se ne accorse lo stesso.

Nel momento in cui stava per allontanarsi, voltando le spalle, Brennan afferrò la mano dell’uomo, fermandolo.

Notò ancora una volta che la mano di Booth fosse così grande e maschile, capace di racchiudere senza difficoltà le sue più piccole e femminili.

Sì, proprio Temperance. Non erano cose che faceva tutti i giorni. Quella, infatti, fu un’occasione molto speciale. Il suo partner stava chiaramente male ed aveva bisogno di aiuto.

Strano pensare che Booth non avrebbe mai voluto affidarsi a qualcun altro: un uomo forte che sa provvedere a se stesso.

Ma dinnanzi agli spettri del passato, chi osa restare solo?

Particolarmente colpito da quel gesto, la guardò dritto negli occhi. Per la prima volta – o quasi – si accorse che quegli occhi erano davvero belli.

Brennan, invece, si accorse che Booth lacrimante le provocava una terribile stretta allo stomaco. Desiderava aiutarlo, pur non sapendo come.

Qualcosa, però, le venne in mente: ricordò della confessione avvenuta pochi minuti prima, quando entrambi si trovavano sulla panchina.

Si ricordò che quando poggiò la mano sul braccio dell’uomo, fu lui dopo a cercarla e a stringerla. Capì che tornare lì per un ultimo sguardo probabilmente non fu una buona idea.

 

“Vogliamo andare via?” aggiunse la dottoressa, tenendo ancora salda l’unione di mani.

Si allontanarono dal luogo, ritornando in macchina.

Adesso c’era un intero viaggio da dover affrontare. Non solo per tornare a casa, ma anche per riprendersi dal proprio passato. Per Booth.

E magari per scoprire qualcosa di nuovo. 


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Capitolo 2
*** 2 ***







2

 

“Adesso devi spiegarmelo, Angela”.

 

Brennan esordì sulla soglia della porta d’improvviso, quasi spaventando l’amica impegnata nel ritrattato di un uomo. Il modo in cui adagiava la matita alla carta era così semplice e naturale che veniva da chiedersi come riuscisse a ritrarre così bene, con poca tecnica.

Alzò lo sguardo e incrociò gli occhi dell’antropologa alquanto adirata. Che cosa era successo? Si interrogava su qualche possibile risposta: forse qualcuno aveva toccato i suoi resti umani? Le spaventose e raccapriccianti ossa che amava tanto?

No, la risposta di Tempe fu non poco sorprendente: Booth.

Posando la matita, si alzò in piedi e raggiunse l’altra ancora poggiata all’entrata.

Seguirono sguardi d’intesa e qualche parola rassicurante.

Ma in realtà quello che Brennan voleva spiegarsi non aveva risposta.

 

“Tu vuoi davvero che ti dica perché sei depressa quando Booth sta male?”.

Angela sgranò gli occhi in un’espressione alienata. Pensò che le cose potessero essere solo due: o Bren era sotto effetto di stupefacenti o davvero era diventata così fredda da non riuscire a reagire alle emozioni umane.

“Tesoro non puoi chiedermi una cosa del genere! E’ assurdo”.

Sembrava che l’antropologa ancora non capisse, così cercò di spiegarle meglio il concetto.

“Quando una persona che amiamo soffre, è normale dispiacersi, giusto? E questo lo sai bene, non hai bisogno che ti faccia da maestrina dei sentimenti. Quello che non capisci è ben altro: lo stai chiedendo a me solo perché hai paura di chiederlo a te stessa”.

 

Un brivido raggiunse la schiena della donna, che silenziosamente ascoltava tutto. Era vero, ma ancora non riusciva ad ammetterlo. Ovvio che no! I cadaveri non possono parlare, e starci in contatto tutti i giorni non migliora certo le tue relazioni sociali.

Lavoro, lavoro, lavoro! Basta Temperance, basta!

“Ascolta Bren, voglio farti vedere una cosa”.

Raggiunse nuovamente la poltrona dove era seduta, e prese l’album che stava usando per disegnare. Scorrendo tra le pagine, poté vedere tante facce di persone diverse, a volte sorridenti, altre meno. Ma quella che la colpì di più fu proprio la più bella.

“Guarda: è Booth”.

Rimase così sorpresa e quasi infastidita: perché diavolo aveva disegnando Booth?

“Vedi quelle piccole goccioline sul suo volto? Sono lacrime, tesoro. Tutto il suo coinvolgimento nella storia del soldato ritrovato ha scosso tanto anche me. E quando è un uomo a stare male si è ancora più presi! Guardalo, è lui che vuoi cercare, non me”.

 

Un fastidioso rumore provenne dalla finestra: la pioggia tendeva a diventare sempre più violenta. Le nuvole si infittivano. E Booth era da solo a casa.

Brennan ricordò che quando venne il compleanno di sua madre scomparsa, l’uomo restò tutta la notte con lei solo per starle vicino.

“C’è sempre stato” quasi sussurrò, allontanandosi per un attimo dalle parole di Angela.

Chiuse la cinta del giaccone e rivolse un sorriso all’amica. Adesso sapeva come trascorrere il resto della serata.


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Capitolo 3
*** 3 ***








3

 

La macchina di Tempe percorreva velocemente il tragitto che la separava da Booth. Ad ogni chilometro percorso, si chiedeva se era giusto o no ciò che stava facendo. Anzitutto, non era da lei fare una cosa del genere.

Andare a casa del tuo partner solo per stargli vicino? Perché non si può essere vicini ad una persona anche con il solo pensiero o con una telefonata?

Scaccia via questi pensieri, antropologa molesta!

Lo stava facendo di nuovo: tirarsi indietro, scappare. Tutta colpa di Angela! Se non le avesse sbattuto in faccia quelle maledette verità, non avrebbe avuto tutti questi problemi morali. Sarebbe rimasta a risolvere crimini, indagando sui resti pervenuti allo Jeffersonian. Almeno lì sarebbe stata così presa dalle indagini da non dar peso ai suoi stupidi pensieri personali.

Adesso ti stai dando della stupida?

Nulla era razionale in quel momento. Niente. Ad ogni occasione era tentata di spingere la scarpa sul freno e fare retromarcia. Ma ad ogni intenzione non lo faceva. E continuava a torturarsi con ogni pensiero più strano che le potesse venire in mente in quel momento: cosa dirò quando sarò lì? E se non mi vorrà?

Ancora si incolpava per essere così indecisa, e dovette sorbire anche un:

“Guarda dove guidi, imbecille!”.

Sì, era proprio un pericolo su quella strada! Ma cosa poteva fare? I gesti che compiamo riflettono noi stessi, come siamo, e in quel momento lei era alquanto nervosa.

Nel frattempo la meta era sempre più vicina…

Ma Booth è un uomo forte! Continuava a ripetersi nella speranza di trovare una qualsiasi motivazione per tornare indietro. E’ sola e terribilmente spaventata. Aprirsi con qualcun altro…. Di cui potrebbe provare attrazione.

Merda: l’aveva ammesso! Potrebbe essere innamorata di Booth. Potrebbe desiderarlo, volerlo suo. Ecco perché voleva tanto andare da lui, ecco perché era tanto indecisa!

Trovò il posto di blocco più vicino e si fermò accostando la macchina.

E’ sbagliato stare qui solo per problemi strettamente personali. Probabilmente qualcuno avrà  bisogno realmente di una sosta, perciò devo sbrigarmi.

Istintivamente prese il cellulare per chiamare Angela… riattaccò, pessima idea! Inutile chiederle qualcosa che sapeva già. Allora era vero? Con ogni probabilità era attratta da lui?

Alcolici, alcolici… no stava guidando!

Mancavano pochi metri all’abitazione dell’uomo. Doveva decidere una volta per tutte: andarci o rinunciare. Era tardissimo, quasi la mezzanotte.

Il punto era che aveva così paura di deluderlo… forse era meglio non provarci nemmeno. Come aveva sempre fatto fin’ora.

No, è questo il punto! Tirarsi indietro! Come sempre!

Nel trambusto del traffico, il caos dei pensieri e la ribalta dei sentimenti, non sapeva proprio come uscirne fuori. Menomale che a volte è il destino a darci una mano. Anche più di una, in verità. Il cellulare squillò e sul led comparve il nome di Booth.

“Bones… per favore, se non sei impegnata, puoi venire da me? E’ importante”.

 

Angela gliel’aveva detto, la sua coscienza gliel’aveva detto, lui gliel’aveva detto, il destino gliel’aveva detto!

“Io non posso assolutamente… rifiutare. Dammi dieci minuti”.

Risalì in macchina. Finalmente, con qualche certezza in più.


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Capitolo 4
*** 4 ***








4

 

Quella sera, Temperance si ritrovò completamente spaesata. Ad esempio: quando parti per un viaggio lontano, e non conosci le tradizioni del posto in cui ti trovi. Le tradizioni che la donna non conosceva erano quelle del cuore. Perché era così difficile relazionarsi... con un uomo, con le persone, con tutti.

Probabilmente neanche lei conosceva una risposta concreta. Adatta, avrebbe detto.

Era tutto così strano. Quei sentimenti che non riusciva a placare, sensazioni che indirettamente la travolgevano e non le permettevano di pensare ad altro.

Per una volta, una sola volta nella tua vita, cerca di essere meno razionale.

Ma la verità spicciola la conosceva bene. Fuori posto, perfettamente fuori posto. Era così che si sentiva in situazioni del genere, non sapeva cosa fare, come comportarsi.

Parcheggiò la macchina ed arrivò dinnanzi alla porta dell’appartamento di Booth.

 

* * *

 

Trascorsero una serata calma, tranquilla… silenziosa. Abbastanza silenziosa.

Perché il silenzio non mente. Mai. Ed era lì, lei, che ascoltava le parole dell’eroe di guerra ferito ed amareggiato.

E cosa poteva mai significare ciò? Più era imbarazzata, più si trovava fuori luogo… più ci teneva. E a Booth teneva immensamente.

Avrebbe fatto di tutto pur di non vederlo in quelle condizioni. Così triste.

Per la maggior parte del tempo guardarono un film vecchio alla TV. Lei semplicemente gli era accanto. E lo guardava, interrottamente, senza che lui se ne accorgesse.

Lo guardava perché in quel viso poteva scrutare la bellezza, la forza e l’audacia, proprio come un soldato. Poteva capire che, nonostante tutto, Seeley riusciva ad andare avanti. Anche a lei sarebbe piaciuto farlo… con i suoi genitori.

L’aveva chiamata per avere della compagnia, stufo di scendere al solito bar. Ma la verità era un’altra: Booth aveva un’infinità di amici e tantissime donne disposte a tutto pur di essere ai suoi piedi (anzi, calzini) … ma lui voleva Brennan.

Una compagnia - seppur silenziosa - così piacevole.

Perché con lei riusciva ad essere forte, di nuovo. Stranamente. Non consapevole del fatto che era tutto il contrario, che lui era l’eroe che ispirava ed aiutava le persone.

 

“E’ tardi, non andare per le strade a quest’ora, è pericoloso. Ho un letto in più… non è un problema trovarti un posto qui, per stasera”.

Tempe non voleva sentire altro che quelle parole. Non lo sapeva perché, non lo sapeva assolutamente! E questa volta non scherzava: è la cosa più irrazionale che abbia mai pensato!

Non riusciva davvero a capire il perché di quella voglia incontrollabile… dormire da Booth. Strano, visto che non si trattava nemmeno dello stesso letto!

Trovava quella casa maledettamente familiare e si sentiva al sicuro, molto più che nel suo appartamento.

Confermò le parole dell’uomo, ringraziando, decisa a voler dormire lì.

Le mostrò la camera e il letto dove avrebbe dormito. Entrambi si guardarono dritti negli occhi. Lo sguardo di Booth era riconoscente, sollevato.

Quello di Brennan, invece, indecifrabile.

La buona notte, com’era consono per la buona educazione.

Socchiudendo la porta, uscì, lasciandola sola nella grande camera. Si guardò intorno. La finestra era aperta ed un vento gelido entrava indisturbato. La chiuse.

Si sedette sul materasso. Comodissimo. Guardò l’orologio. Si tolse le scarpe. Sciolse i capelli… e pianse. D’improvviso, inaspettatamente.

 Ancora una volta, nel silenzio… che –come sempre – non mente.


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Capitolo 5
*** 5 ***








 

Era passata circa una settimana da quando la dottoressa Brennan aveva dormito nel comodissimo letto di Booth… o meglio, non propriamente nello stesso letto.

Nel frattempo, un nuovo collega del FBI era giunto per affiancare Tempe nelle indagini. Inutile dire che a lei non piaceva per niente. Era abbastanza basso, i capelli riccioluti e biondi, gli occhi strani – a detta di Angela: come un pesce palla – e la dentatura giallissima. Sembrava una brutta copia di Hodgins.

In poche parole, era davvero imparagonabile a ciò che Temperance aveva – temporaneamente – perso. Desiderava ogni giorno che Booth si presentasse allo Jeffersonian, e riprendesse il suo posto, magari sfoderando il suo solito raggiante sorriso.

 

I cadaveri arrivavano e le indagini andavano avanti, come sempre. Proprio in quel momento, gli Squints stavano indagando sul corpo di una donna straziato dalle fiamme. Era strano lavorare senza Seeley, ormai condivideva quasi tutto con lui. Sì, perché l’agente speciale del FBI aveva deciso di prendersi qualche settimana sabatica.

Dopo tutto quello che era successo con il suo passato… doveva essere in forma prima di ritornare sul campo. Non sembrava una scelta da lui, ma a detta dei suoi amici e familiari era la cosa migliore: separarsi dal lavoro e vedere uno psicologo.

Perché per quanto le persone care possano esserti vicine, non possono certo cancellare il passato.

Proprio quel giorno, l’uomo si rivolgeva per una nuova seduta. Anche se non l’avrebbe mai ammesso così presto, doveva riconoscere che dopo soli quattro incontri si sentiva già molto meglio.

 

“Crede di poter andare avanti, adesso?”.

“Non è lei lo psicologo? Non dovrebbe essere lei a dirmi se sono pronto o no?”. Quella giornata Booth era particolarmente nervoso. E la psicologia lo rendeva ancora più nervoso, sempre.

“Dopo tutte le volte che ci siamo visti… lei è ancora scettico verso la psicologia?”. Lo sguardo scrupoloso del Dottore lo studiava con precisione.

“Sì…no… credo di sì, non è qualcosa che posso cambiare, anche se mi sta aiutando, ok?”.

“Abilmente è riuscito a cambiare discorso ed io ho retto il suo gioco, ma la domanda è sempre la stessa, signor Booth: è pronto a guardare negli occhi il cadavere di un suo compagno di guerra? E’ pronto ad affrontare e dimenticare questa storia?”.

 

Qualche minuto di silenzio rese l’attesa ancora più trepidante. L’uomo interpellato si sentiva molto confuso. Non sapeva assolutamente cosa rispondere. Se avesse dichiarato di aver superato la faccenda, avrebbe rischiato di affrettare la questione, e non dimenticare realmente l’accaduto. Ma se avesse negato, cosa sarebbe successo? Brennan sarebbe stata ancora sola, e lui avrebbe dovuto subire quelle stupide sedute ancora per molto, sdraiato su quello scomodissimo lettino in pelle marrone.

Non riusciva ancora a capire quale fosse la scelta giusta, ma una cosa era certa: se fosse stato completamente convinto, avrebbe dato una certezza senza ripensamenti. Ed invece non era questo che faceva.

 

“Forse è meglio se ci vediamo la prossima volta” concluse amareggiato, alzandosi ed uscendo dall’ufficio, affranto nel cuore.

 

C’era anche qualcosa che non aveva calcolato, però: ammettere di aver ancora bisogno di aiuto, nonostante il tempo trascorso, voleva dire che non si stava prendendo in giro con quegli incontri, e che poteva sopportare anche la psicologia, che le cose potevano davvero aggiustarsi.

Uscì dallo studio, e si diresse verso il parcheggio. Inaspettatamente, riuscì a sorridere ancora una volta: una bellissima donna lo aspettava poggiata alla sua macchina.

 

“Ciao Booth, penso ancora che la psicologia sia inutile, perché per sorridere hai solo bisogno di vedermi, a quanto pare”.

Tempe lo raggiunse dove si era fermato, per lo stupore. Lo abbracciò così forte da riuscire a sentire il profumo del giaccone che indossava. Lo strinse con tanto affetto… come non aveva mai fatto prima, con nessuno.

Se questa era la vera lei o meno… quasi non le importava più: aveva deciso di provare a seguire solo l’istinto per le sue relazioni sociali… e sentimentali.


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Capitolo 6
*** 6 ***








6

 

Senza dubbio, quella fu una delle sensazioni più belle che Booth avesse mai provato nella sua vita. Quel tipo di sorprese non era da Brennan. Non dalla donna che conosceva da tanto tempo. Non si aspettava che lei potesse stupirlo così facilmente, e piacevolmente. Le persone, anche quelle antropologhe, erano sempre imprevedibili.

Ne rimase molto contento e ricambiò l’abbraccio, dolcemente.

Avvertì una strana sensazione: sentiva che in quell’unione di corpi ci fosse qualcosa di diverso, ma non riusciva a capire cosa.

Tempe non lo stringeva così forte da quando fu rapita e lui la venne a salvare. Ma non ricordava nemmeno se fosse lo stesso tipo di abbraccio.

Era un po’ confuso, ma sempre felicemente confuso.

Si avviarono verso il solito bar, dove erano soliti chiacchierare delle indagini o di altro, prendendo un salutare caffè.

 

Nel frattempo, al Jeffersonian, le cose non andavano molto bene. Temperance si era assentata all’improvviso, senza avvisare nessuno. O meglio, aveva avvisato Angela, la persona più importante che in quel momento sentiva il bisogno di avvertire... ma, a quanto pare, si era dimenticata della vera persona che aveva il diritto di sapere dove fosse la sua partner. Il suo collega!

Bennie, basso e riccioluto, andò su tutte le furie. Quasi sbraitava dalla rabbia, indignato dal comportamento della dottoressa che sembrava tanto qualificata e precisa. Aveva ragione. Le era parsa come una persona seria.

In verità, Brennan era fin troppo seria, ed incarnava perfettamente ideali come la precisione e la serietà, il più delle volte provocando fastidio. Quindi, come mai non lo aveva avvisato?

Mentre lui cercava di trovare una risposta, Angela ed Hodgins lo osservavano da lontano, sghignazzando di tanto in tanto.

 

“Non ridere Angela, dovresti dire qualcosa a quel poveraccio”.

“Ehi, cosa dovrei dirgli? Nessuno ti vuole qui, rivogliamo il nostro Booth e per questo ti trattiamo peggio dei cadaveri?”.

“Sei tu quella umana, qui!”.

 

Entrambi conclusero in una risata contenuta, perché sì, alla fine era vero: quell’uomo era tanto buffo da parer pazzo, e anche un po’ stupido. Tuttavia, Angela si rivolse a lui, specificando chiaramente la situazione.

Il ritorno della dottoressa era alquanto incerto, e nessuno sapeva molto di quello che stava succedendo.

 

“E’ per il suo collega? E’ per lui che non è venuta?”.

Per la prima volta, Bennie aveva detto qualcosa di intelligente, seppur scontato. Purtroppo, nessuno lo aveva ascoltato.

Angela fu distratta dal suono del cellulare. Era un messaggio, indubbiamente, il suo gestore telefonico le comunicava del poco credito a disposizione.

Mandando al diavolo il testo, la donna compose un nuovo sms, diretto a Tempe.

Dove sei? Con Booth?

 

Dopo qualche minuto, ricevette una risposta e, prontamente, la lesse.

Sì, sono con lui, e ho una voglia incontrollabile di baciarlo.


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Capitolo 7
*** 7 ***





7

 

Distrattamente, il cellulare le cadde dalla mano. Dritto sul pavimento, percorrendo una traiettoria invisibile e irregolare sospesa nell’aria, che portò, inevitabilmente, a gravose conseguenze.

Il nuovo – e modernissimo – telefono ne uscì con lo schermo completamente rotto. Quelle nuove apparecchiature elettroniche erano molto belle, ma anche estremamente fragili. Tuttavia, ad Angela non importava affatto.

Perché ciò che aveva appena letto era così bello ed entusiasmante da poter mandare al diavolo tutti i soldi spesi.

Sì, finalmente, la sua amica… si era innamorata. Poteva divenire completa.

E non riusciva ad essere più felice di così, visto che l’uomo dei desideri di Tempe non era niente di meno che Seeley Booth, l’agente dell’FBI più coraggioso e gentile che avesse mai conosciuto.  Quelle poche parole, ‘ho una voglia incontrollabile di baciarlo’, furono così inaspettate… non sapeva neanche come dirlo! Non ci riusciva, le sembrava fin troppo bello per essere vero.

Ma nemmeno tanto… prima o poi, la felicità veniva concessa a tutti. Anche a Temperance Brennan.

Sviò lo sguardo verso Hodgins, sfoderando un sorriso incredibilmente entusiasmante.

 

“E’ successo qualcosa…” bofonchiò l’uomo, avvicinandosi a lei.

 

* * *

 

“So che non vuoi parlarne in questo periodo, ma… ne ho davvero bisogno. Quando credi di tornare a lavoro?”.

 

Tempe fissò l’altro con una strana espressione, a metà tra compiaciuta e impaurita. Si compiaceva nel guardarlo, ma al tempo stesso temeva una sua risposta negativa.

Anche Booth era piuttosto in difficoltà… che cosa voleva dire quel ‘ne ho davvero bisogno’? Aveva bisogno che lui tornasse a lavoro per aiutarla nelle indagini, perché quest’ultimo era stancante e da sola non riusciva o perché voleva accanto la sua presenza?

Lui auspicava per la seconda, ma comunque stessero le cose, gli fece davvero piacere sentire quelle parole. Anche se, effettivamente, non aveva una risposta concreta.

Si limitò a dire: “Presto, Bones”.

Adesso non aveva alcun problema. Si era accorto che Brennan riusciva a calmare il suo animo, e che lui era di nuovo capace di sorridere. Ma forse era ancora troppo presto per immergersi tra i cadaveri.

Ci fu un momento in cui nessuno dei due proferì parola. Semplicemente, si guardavano. Con il dovuto imbarazzo, ovviamente. Erano stati ragazzini, adolescenti e giovani impossessati dall’amore dolce e affettuoso (almeno in parte), ma adesso non più. Adulti, maturi e coscienziosi delle proprie scelte.

Purtroppo, cambiavano tante cose quando si cresceva e, senza volerlo, tutto diventava più complicato.

Era anche vero, però, che ad una certa età si potevano fare cose che prima non erano concesse…

 

“Forse… potremmo andare da qualche parte”. Booth si fece finalmente avanti.

“Non è professionale lasciare il lavoro in questo modo, ma… per questa volta sono disposta a fare una dovuta eccezione” disse lei, sorridendo.

Lui si stava già preoccupando del fatto che, a causa sua, Brennan non stesse lavorando. Ma quando la donna notò l’espressione interrogativa sul volto dell’altro…

“E comunque, detto tra noi, non ho nessuna voglia di tornare in laboratorio dal nuovo collega”.

In realtà, avrebbe voluto dirgli: ‘non ho nessuna voglia di lasciarti solo’.

Coraggio, ci voleva coraggio!

“C’è un nuovo collega? Allora devi raccontarmi tutto!”.

“Ci puoi scommettere!”.

 

Uscirono entrambi dal bar, diretti chissà dove, con l’intento di fare una lunga e rilassante passeggiata, prendendosi una pausa dagli ultimi avvenimenti e dalla vita di tutti i giorni.

Proprio vero: anche dalle peggiori disgrazie potevano nascere cose belle.



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Capitolo 8
*** 8 ***








8

 

Era passata una settima dal loro ultimo incontro. Da quella frase così inaspettata, scioccante e al tempo stesso gradevole, con un esplicito senso romantico che Tempe aveva compreso fin troppo bene. La ricordava ancora, perfettamente.

 

* * *

 

La sveglia suonò. Segnava le 09:00 del mattino e continuava a dare fastidio. L’assordante rumore era simile ad uno stridulo grido. Incredibilmente assordante. Continuò a tuonare, finché Booth, poggiando la sua grande mano sopra, riuscì a spegnerla. Borbottò qualcosa mentre apriva gli occhi e dava il buongiorno ad una nuova giornata. Le lenzuola azzurre accoglievano il corpo nudo, dandogli il calore necessario. Anche se era pieno inverno e la temperatura piuttosto bassa, all’agente dell’FBI i pigiami proprio non piacevano. Doveva alzarsi. Nonostante non dovesse andare a lavoro, voleva comunque mantenere un certo equilibrio salutare. Perciò, ogni mattina, si alzava presto e andava a correre, a volte riflettendo intensamente, altre sgomberando completamente la testa dai pensieri.

Pure Brennan era fatta così. Le piaceva dormire nuda, allenarsi e tenersi in forma. Ma forse la vera cosa di cui aveva proprio bisogno era l’unica che non calcolava mai: rilassare la mente, allontanare ogni forma di logica e razionalità.

Il discorso era sempre lo stesso: con Booth riusciva a sentirsi diversa, ad uscire dalla dura linea di regole che si era sempre imposta, ma faceva ancora un po’ di fatica con il mondo esterno. A volte, con la sua stessa amica Angela, che però riusciva a comprenderla lo stesso, inspiegabilmente.

Però, riusciva ad essere molto speranzosa: sapeva che prima o poi sarebbe riuscita ad equilibrare le cose, ad essere meno rigida. Che poi… lei tutta quella rigidità non la vedeva affatto. Pensava di comportarsi come una persona perfettamente normale, forse più rigorosa delle altre, certo, ma comunque normale.

Eppure… c’era sempre quel momento. Quell’attimo in cui tutte le sue convinzioni sembravano rompersi in mille pezzi, cominciando così a provare sensazioni molto confuse e lontane da quello che aveva sempre sperimentato.

Bastava una sola persona per far succedere tutto ciò.

Nei sette lunghi giorni trascorsi, non si era affatto vista con lui. Quella frase era stata troppo. Davvero troppo. Troppo… bella. Stavano percorrendo un percorso senza basi, inagibile, impossibile da proseguire. Avevano bisogno di una pausa. Lei aveva bisogno di una pausa!

Non poteva succedere tutto all’improvviso, senza un po’ di coerenza.

Ma in quel momento… non voleva altro che sentire di nuovo quelle parole. E il suo desiderio si manifestava in tanti modi.

 

“Angela… dovrei chiederti una cosa”.

Diretta, si rivolse all’amica, trascinandola nel suo ufficio. Si preoccupò di chiudere la porta a chiave, in modo che non nessuno potesse dirompere all’improvviso. Quella precauzione era dovuta soprattutto a Zack, che nell’ultimo periodo aveva perso il pregio di bussare prima di entrare.

“E’ successo qualcosa? Sei incinta per caso?”.

“No! Non sono incinta, ma… non sono neanche brava con le parole, perciò te lo chiederò subito, senza girarci attorno. Tu, però, devi rispondermi con sincerità”.

 

Più Angela ascoltava quelle parole, più era convinta della sua teoria sulla gravidanza. L’antropologa aveva assunto un’espressione così seria – in realtà lei aveva quasi sempre un’espressione seria, ma adesso lo era ancora di più. Che cosa doveva fare? Ah, giusto, rispondere con sincerità. Ed era proprio questo il problema! Se le avesse chiesto qualcosa di imbarazzante? Quei secondi erano così lunghi, e la trepidazione aumentava sempre di più. Fin quando, Tempe si decise a parlare.

 

“Tu credi che… sia sbagliato masturbarsi pensando ad un uomo?”.

 

Un imbarazzante silenzio calò tra le due… poco dopo aver chiesto la domanda, la dottoressa si sentì terribilmente imbarazzata. L’altra la guardò negli occhi ma – nonostante cercasse in tutti i modi di trattenere ciò che le pulsava dentro – non riuscì più a controllarsi dal… ridere!

E più ripensava a quella scena, più le mancava il respiro per l’eccessivo riso. Era ovvio che una come Brennan ritenesse giusto provocarsi piacere da soli, d’altronde Dio non le aveva dato le mani solo per pregare – e, comunque, non pregava nemmeno, quindi quelle mani in qualche modo le doveva impiegare.

Ancora una volta, l’inaffondabile Montenegro non mise molto a capire la vera domanda, questa volta neanche tanto velata: è giusto che io mi masturbi pensando a Booth quando lui è lì, pronto ad abbracciarmi e a soddisfare i miei bisogni in tutti i modi possibili e immaginabili?

Angela pensò che qualunque donna sana di mente sarebbe corsa da lui, ma qui si parlava di Brennan, il che era leggermente diverso.

Per un attimo, Ange pensò al tipo di fantasie che l’amica potesse avere e, in un moto di cattiveria improvvisa, idealizzò anche che, probabilmente, nelle fantasie di Tempe, Booth potrebbe addirittura avere i vestiti addosso.

Ma quelli erano pensieri davvero stupidi, sapeva che sotto tutto quel metallo invisibile c’era una persona adorabile, c’era la sua amica che conosceva da tanto tempo.

Solo che in queste occasioni si sentiva inebriata, stupita che potesse ritrovarsi in tali situazioni.

 

“Tesoro, non sono la tua psicanalista, e ancora di più non posso dirti quello che è giusto e quello che è sbagliato. Ma voglio solo farti notare una cosa: l’uomo su cui fai pensieri sconci, ben una settimana fa, ti ha detto le famose paroline magiche, e tu sei scappata non facendoti più vedere, nascondendoti e ignorando ogni suo contatto. Forse questo può farti capire tante cose”.

 

Dopo un’occhiataccia, la donna uscì, lasciando l’antropologa sola nell’appartamento. A volte, tra amici, bisognava essere un po’ severi.

Che sciocca! Era tutto vero. Odiava quei moti di consapevolezza, ma la paura era troppo grande per andare avanti, per far nascere una relazione.

Quasi preferiva rimanere a casa da sola, pensando a ciò che poteva avere in qualsiasi istante. Sì, perchè poteva davvero.

Sette giorni prima, proprio quel giorno in cui aveva fatto una sorpresa all’uomo, andando al bar e facendo una passeggiata con lui, proprio quel giorno aveva sentito tutto quello che voleva.

“Ti amo”.

 

Booth glielo aveva detto, in modo lento e dolce. Ma lei… lei era semplicemente scappata.


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Capitolo 9
*** 9 ***







9

 

Ogni volta che la sera calava, Booth, dopo una nutriente cena, faceva una doccia lunga e calda, dopodiché si stendeva sul comodo lettone della sua camera e si avviva verso un sonno profondo.

Solitamente, dopo le giornate di lavoro, era così stanco da non riuscire neanche a pensare. Ma in quei giorni, trascorsi tra psicologo e corse nel parco, non faceva altro che riflettere. Quasi temeva che il cervello gli andasse in fumo per tutto quel rimuginare in continuazione. Principalmente, era sempre la stessa persona a metterlo in quella condizione. Lei. Temperance Brennan.

Quei passi lontani, la figura della donna che scappava via in modo talmente irrazionale e disarmante. Non riusciva proprio a trovare una spiegazione plausibile… cosa aveva sbagliato? Non le aveva detto nulla di male, anzi, le aveva confessato tutto ciò che provava, il proprio amore, finalmente.

Tuttavia, invece di una dichiarazione, quella frase sembrò una violenta coltellata nello stomaco. Una coltellata ripetuta più volte, dolorosa e incessantemente sanguinolenta.

Perché? Diavolo, perché mai!

Si interrogava a lungo sulla vicenda, torturandosi sadicamente. In tutto quel tempo trascorso, lui aveva cercato di contattarla, di sentirla, addirittura di vederla. Ma lei era sempre stata assente, nascosta, fuggente e impercettibile.

Era deluso da quel comportamento, ma anche da se stesso. Forse non avrebbe dovuto correre così. Si parlava pur sempre della sua collega, senza ombra di dubbio un tipo piuttosto particolare.

Seeley però non era l’unico a straziarsi mentalmente. La stessa dottoressa appariva svogliata e confusa a causa dei troppi pensieri. Se non riusciva a comprendere nemmeno se stessa, come poteva relazionarsi in un ambiente professionale con altre persone? Prima aveva deciso di smuovere la situazione… poi quel messaggio inviato ad Angela, tutta quella passione nei confronti del suo partner… ed infine, quel tragico finale.

Continuava a ripetersi che mai nella sua vita aveva preso scelte così illogiche.

Cosa peggiore, non riusciva a concentrarsi nemmeno sull’antropologia.

“Stai bene?” chiese Bennie, toccandole il braccio.

Vagamente, la donna accennò un ‘si’. La sua mente in quel momento era come un parabrezza… completamente offuscato dai sentimenti.

Si tolse il camice da laboratorio e si diresse verso il suo ufficio. Non aveva voglia di fare nulla e voleva stare sola. Arrendersi? No, non era così debole. Solamente troppo indecisa per andare avanti. Questa volta aveva paura sul serio. Paura di perderlo. L’unico uomo che poteva davvero diventare una constante nella sua vita.

Angela bussava di tanto in tanto, ma lei non rispondeva. Lasciò che gli amici del Jeffersonian vedessero la sua immagine solo attraverso la tapparella semi chiusa dell’appartamento.

* * *

 

Nel trambusto generale, anche Hodgins aveva i suoi seri dubbi sulla mezza relazione che stava intraprendendo con la bellissima Montenegro.

Effettivamente, sentiva che tra loro due vi era chimica. Ma lei si dimostrava piuttosto scostante, seppur interessata.

Forse per via delle condizioni della Brennan. In quel momento voleva essere vicina all’amica, e concedersi libertà personali non sembrava molto appropriato.

Tra l’altro, lo stress sul lavoro era notevolmente aumentato vista la poca produttività di Tempe. Tutti dovevano occuparsi un po’ del lavoro dell’altro, senza fermarsi. E anche arrangiarsi, date le limitate conoscenza nel campo.

Nonostante tutto, Jack non voleva arrendersi. 

 

* * *

 

Booth aveva deciso di passare il pomeriggio con suo figlio. Parker sarebbe arrivato a momenti a casa, dopodiché avrebbero fatto una passeggiata nel parco, accompagnata da un salutare gelato.

L’uomo, a causa del periodo di stress, stava finendo anche per trascurare la sua prole. Cosa che non voleva assolutamente. Mai avrebbe rinunciato a vederlo, per nulla al mondo. Neanche per la donna che amava e che adesso non gli rivolgeva più la parola.

Ecco, stava pensando di nuovo a lei. Non era necessario rivolgere i suoi pensieri a Brennan in ogni momento, soprattutto quando lui era occupato in altre faccende sicuramente più importanti.

Era sicuro che, con la visita del bambino, le cose fossero andate meglio. Fortunatamente, fu così.

Non ci voleva molto per rendere felice Seeley: una famiglia accogliente, l’amore ed un sorriso sempre pronto.

Gli mancava davvero poco per arrivare alla vera felicità.


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Capitolo 10
*** 10 ***







10

 

Conclusa la giornata trascorsa con suo figlio, appena tornato a casa, Booth si indirizzò verso la doccia, in cerca di riposo e tranquillità. Cercò di distogliere la mente dai pensieri, e per poco ci riuscì anche. Poi cominciò a pensare al piacevole pomeriggio che aveva passato, e a quanto gli era mancato vedere Parker. Ultimamente, non era riuscito a sentirlo molto, ma quel giorno aveva finalmente riparato il danno. Tra le altre cose, gli aveva comprato una bicicletta nuova, rendendo felice il bambino più che mai.

Ad un tratto, chiuse gli occhi, e sentì solo l'acqua scorrergli in viso. Proprio nel momento in cui cominciava a rilassarsi completamente, ascoltò un rumore provenire dalla cucina. Giusto il tempo di aprire le ante, e scoprì che era il cellulare a suonare. Era indeciso se rispondere o meno. Dopo pochi secondi, decise di scoprire chi fosse. Magari qualcuno di importante lo cercava.

Uscì dalla doccia ancora bagnato, e velocemente arrivò in cucina.

Prese il telefonino e guardò sul display, che lampeggiava in continuazione. Fu così sorpreso nello scoprire che era Tempe a chiamarlo… quasi non ci credeva.

Fissò a lungo lo schermo, non sapendo cosa fare. In realtà sapeva bene di dover rispondere, ma qualcosa lo bloccava. Improvvisamente, una tempesta di ricordi invase la sua testa, momenti belli e brutti. Pigiò il tasto verde, accettando la telefonata.

“Parla Booth”.

Proprio quando si decise a rispondere, la telefonata si staccò, interrompendo la comunicazione. Riprovò invano diverse volte, ma ormai dall'altro capo del telefono non c'era più nessuno.

"Maledizione!" urlò da solo, in preda al nervosismo. Ancora non voleva crederci, ma era andata proprio così. Tornò nuovamente in bagno, cercando di riprendere la sua doccia calda. Che disdetta… se lei lo avesse cercato per qualcosa di veramente importante?

L’acqua lo bagnò di nuovo e di nuovo… il cellulare emise un suono. Questa volta si apprestò a rispondere, e velocemente andò verso la fonte del suono.

Non poteva assolutamente fallire anche la seconda volta.

Per rispondere in fretta, non si accorse dello spigolo del tavolo, al centro della cucina. Con un movimento brusco, si avvicinò troppo e finì per colpirsi proprio nei gioielli di famiglia! E visto che era ancora nudo dalla doccia, non poté fare a meno che emettere un grugnito di dolore.

Si piegò a terra, portandosi le mani agli organi genitali. Sembrava di trovarsi in uno di quei film anni 80, quando al protagonista capitava di tutto, e una pallonata nell’inguine provocava comune divertimento.

In quel momento, però, non stava ridendo per nulla! Il dolore era intenso, e in tutto ciò il cellulare non smetteva di suonare.

Tragicomico, non avrebbe potuto trovare altro aggettivo. Trovò la forza di rialzarsi, e allungò la mano destra verso l’aggeggio elettronico, mentre la sinistra restava sull’amplesso. Con un sospiro si riprese ma… fu ancora più arrabbiato quando scoprì che gli era arrivato un messaggio, non una telefonata!

In un modo o nell’altro, avrebbe potuto risparmiarsi “l’incidente” e tanta preoccupazione. Come un agente dell’FBI così esperto potesse ritrovarsi in simili situazioni… proprio vero, l’amore rincoglioniva tutti.

Una cosa positiva, però, c’era: l’sms l’aveva inviato Brennan.

Lesse, impaziente e incuriosito.

“Ho bisogno di vederti. Tra un’ora, a casa tua”.

Alla fine, rise con un piccolo sorriso: non solo perché laggiù era ancora tutto a posto, ma perché sperava proprio in quel tipo di parole da parte della collega.

 

* * *

 

Finalmente, Hodgins decise di fare il grande passo… o meglio, un piccolo passo, ma pur sempre un passo… avanti.

 

“Non sono bravo con le parole, praticamente passo quasi tutti i giorni della mia vita a parlare con gli insetti, ma… posso spararla comunque lì, sperando che mi vada bene: ti va di uscire con me?”.

 

La donna col camice blu si trovava di spalle, con una cartellina gialla in mano. Dopo aver sentito quelle parole, si girò di colpo. Con un sorriso estremamente largo e felice, sgranò gli occhi ed emise un gridolino di gioia.

“Certo, amore!”.

Solo quando sentì quella stridula voce, l’uomo si accorse che quella non era Angela… ma, aiuto! Aveva appena proposto ad un’altra di uscire con lui!

Lo scienziato non riuscì a dire parola visto l’evidente imbarazzo della situazione. Ancora peggio, quando si accorse di chi aveva davanti: nessuno, e ripeto, nessuno avrebbe voluto uscire con… la persona che aveva davanti.  

La prossima volta avrebbe dovuto guardare le donne in faccia! Il punto era che i capelli delle due erano tanto simili… e adesso come poteva rimediare al danno?

“Ho aspettato tutta la vita che un uomo mi facesse una proposta così romantica! Ho fatto danza per tanti anni, e adesso il mio imene è diventato completamente largo… come se non fossi vergine!”.

 

Hodgins rimase tramortito. Aveva combinato un casino terribile. Orribile.

Anche perché… quale donna si sarebbe messa a parlare del proprio imene in un’occasione del genere?


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Capitolo 11
*** 11 ***







11

 

Da una tragica situazione, le vicende dei colleghi del Jeffersonian adesso varavano anche sul comico: tutti, ma proprio tutti, avevano saputo che Marianne sarebbe uscita per un appuntamento galante. Non da sola.

Il pretendente, però, era rimasto stranamente anonimo. Infatti, Jack era riuscito a convincere la donna a non dire parola sul loro… “incontro”.

Non sapeva ancora come uscire fuori da quella brutta situazione. Non voleva ferirla, ma non riusciva a trovare altre soluzioni. Ormai, lei si era messa in testa quella proposta ed era irremovibile. Magari stava già pensando al matrimonio!

Marianne era fatta così. Una persona terribilmente appiccicosa e molto, molto sociale… nel senso che a volte si ritrovava a parlare da sola, per via della sua lingua biforcuta che proprio non riusciva a fermarsi dal dire baggianate vagamente interessanti.

Sul lavoro era impeccabile, niente da ridire. Ma sul campo delle relazioni… forse, ricordava un certo qualcuno. Ma in uno stato piuttosto regredito.

Viveva da sola in un piccolo appartamento di città e, a volte, lasciava che alcuni gatti randagi le facessero compagnia.

Non si curava molto del suo aspetto esteriore, se non i suoi capelli, che apparivano sempre perfetti.

La femminilità sta tutta nei capelli’ diceva sempre, con ferma convinzione.

Hodgins, comunque, aveva imparato che fidarsi dell’acconciatura di una donna poteva portare gravi conseguenze. Nonché mortali.

Si torturava la mente, tentando di trovare una soluzione, ma nessun sbocco si mostrava davanti ai suoi occhi. Perciò, decise che il lavoro, in quel momento, era la cosa migliore per allontanarsi dai suoi stupidi problemi.

Aveva solo bisogno di distrarsi, ritornare a quei favolosi insetti, che senz’altro preferiva alla presenza della sua nuova “conquista”.

 

* * *

 

Mancava poco all'incontro, precisamente qualche decina di minuti. Tempe aveva chiamato intorno alle 21:00, poco dopo che Booth ritornasse a casa dall'incontro con suo figlio. Non sapeva quanto la donna sarebbe stata precisa, ma sperava che facesse  presto, perché quell'attesa era un pò snervante.

In verità, era anche piuttosto nervoso. D'altronde, la collega gli aveva detto solo di volerlo incontrare, senza un motivo in particolare. Era anche possibile che lei volesse dirgli qualcosa di non molto piacevole, addirittura catastrofico. L'ultima volta che si erano visti, era scappata, lasciandolo solo e scomparendo per un'intera settimana. Non poteva assolutamente sapere e immaginare quello che adesso voleva da lui. Ed era proprio questo che lo spaventava. Una possibile reazione negativa. In quel momento, non gli importava nemmeno che avesse ragione, voleva calmare le acque con Brennan.

A lui sarebbe andato bene anche solo ritornare a lavorare, risolvere casi assieme e disgustarsi per tutti quei cadaveri decomposti.

Voleva semplicemente tornare indietro e continuare come aveva sempre fatto fino a qualche tempo fa.

Per quei sette giorni, Booth l'aveva sempre cercata, in ogni momento, con telefonate, messaggi o addirittura improvvisate sul posto di lavoro. Aveva fatto di tutto, ma lei lo aveva sempre ignorato. Ed era questo il problema: una volta avuto il rifiuto, non poteva certo costringerla.

In ogni caso, aveva ricevuto quel messaggio e adesso poteva finalmente affrontarla. Quello che sarebbe successo dopo... era ancora tutto da vedere.

Indossò un semplice paio di jeans neri, e una camicia bianca a maniche lunghe, che spesso aveva anche sul luogo di lavoro. Non sapeva come lei si sarebbe vestita, ma pensò che fosse di ritorno dal Jeffersonian, perciò non si fece molti problemi riguardo l'abbigliamento. Stranamente, non riusciva a trovare le scarpe. Di tutte le paia che aveva, voleva le Converse, comode e sportive, per far sembrare il più naturale possibile quella specie di “appuntamento”.

Cercò dappertutto: sotto il letto, nell'armadio, nella cassettiera, nelle varie stanze dell'appartamento… ovunque, non riusciva a trovare quelle maledette scarpe porta fortuna. Che fosse il segno del destino? Sperava proprio di no.

Aveva ai piedi solo un coloratissimo paio di calzini a strisce blu, grigie e rosse. Di certo stonavano con il completo, lei se ne sarebbe accorta subito.

Nel profondo, però, sapeva che in realtà stava solo cercando un modo per occupare la mente, per non pensare a quello che avrebbe dovuto dire quando lei sarebbe arrivata. La sua cintura Cocky era riposta sul comodino, accanto al letto. Quella si che era davvero importante.

 

Mentre si avvinceva ancora alla ricerca delle scarpe, sentì un suono molto familiare provenire dalla porta. Il campanello.

‘Ok…’ si ripeteva, non sapendo cosa fare. Ovvero, certo che sapeva cosa fare! Rispondere…

 

Quando aprì la porta, scoprì quel volto familiare. I lineamenti del viso, i capelli profumati e i grandi occhi. Era Temperance, che finalmente aveva trovato il coraggio di mostrarsi dopo tempo. Booth la fissò a lungo, ed entrambi non proferirono alcuna parola. Ci fu un silenzio piuttosto imbarazzante, anche perché non sapevano assolutamente cosa dire, cosa fare, come comportarsi.

Avevano entrambi paura di sbagliare qualcosa, oppure di rovinare tutto. Quel momento riusciva ad essere speciale, anche se completamente muto.

“Entra” disse accogliendola. Aveva il solito tono di voce pacato, e questo la tranquillizzava. Temeva che lui potesse essere arrabbiato, e per una piccola parte lo era. Ma ormai, qualunque fosse il suo stato d’animo, adesso era arrivata lì, e non poteva certo farsi indietro.


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Capitolo 12
*** 12 ***







12

 

Booth e Brennan si spostarono nel salone.

Camminando, lei non poté fare a meno di guardare per terra. Si sentiva in imbarazzo, così, abbassare la testa era un tipico comportamento molto frequente che si assumeva in tali situazioni.

Di cosa doveva vergognarsi poi… proprio non riusciva a capirlo. Ma, irrazionalmente, compì quel gesto lo stesso, ed un sorriso le comparve in volto. Anzi, emise proprio un piccolo riso, che fu udito subito dall’uomo.

“Perche ridi?”.

“Ho visto… i tuoi calzini, li trovo molto… belli”.

Una delle caratteristiche di Seeley Booth, oltre alla famosa cintura Cookie, era l’indossare calzini piuttosto orrendi, colorati e talvolta infantili.

Li teneva poi con vestiti classici, eleganti e monocolori. Lui stesso ammetteva che era una mania piuttosto bizzarra. Ma ormai era impossibile farne a meno.

Ricambiò la risata, calmando l’aria fin troppo tesa che si era creata con l’arrivo della donna. Per un momento, furono più tranquilli.

Si sedettero sul divano, e si guardarono nuovamente negli occhi. Non volevano ricreare quel silenzio imbarazzante. Tempe non riusciva più a vivere con tutta quell’insicurezza, voleva andare via da quel posto il più presto possibile. Così…

“Ho pianto in questi giorni”.

Esordì lei. Ma Booth, che non aveva ascoltato la frase pronunciata in un sussurro, continuò a giocare, sorridendo.

“Mi sembra tutto così scontato. Andiamo… io soffro, tu soffri, io ti confesso il mio amore e tu mi rifiuti… adesso vieni qua, e tutti si aspettano una commovente riconciliazione, e magari anche…”.

Si fermò, visto che lei non sembrava più divertita. C’era qualcosa di strano nella sua espressione, e lui lo notò subito, almeno quando finì la frase e la osservò con attenzione. Non sembrava nulla di buono.

“Io non voglio alcuna riconciliazione. Sono venuta solo per ringraziarti”.

 

Quelle parole arrivarono dritte al cuore, spezzandolo in mille pezzi, frantumandolo senza pietà e uccidendolo con alcuna pena. Cosa stava facendo? Rovinando tutto, per caso? Perché? Cosa non andava bene?

“Cosa diavolo significa ‘non voglio alcuna riconciliazione?’”.

Booth cominciò ad adirarsi, ma al tempo stesso desiderò placarsi. Non doveva aggravare la situazione.

“Sei un uomo magnifico, ti ringrazio per tutto quello che hai fatto. Grazie Booth, lo apprezzo davvero tanto”. Adesso lei era in lacrime.

“Cosa stai dicendo?? Io sono qui, perché mi ringrazi? Ehi, perché piangi, Bones!”.

Non riusciva a capire il perché di quelle parole, che tanto suonavano come un addio.

“Devo andare. Ciao”.

 

Si alzò velocemente dal divano e si diresse verso la porta. Non voleva dare l’idea di scappare, ma cercò comunque di uscire il più presto possibile dalla casa. Non le piaceva piangere, non le piaceva il fatto che altre persone la vedessero così debole. Non voleva, soprattutto se si trattava di lui, l’unica persona al mondo per cui avrebbe fatto di tutto, in modo molto, molto… irrazionale.

Mentre lei camminava, Booth balzò dal divano e l’afferrò per il braccio, stringendola a se, e impedendole di andare via. Quasi con violenza, la teneva prigioniera della presa possente, negando alla donna ogni singolo movimento. Poteva solo respirare.

Non avrebbe mai voluto trovarsi in una situazione del genere, sperava tanto che fosse venuta per chiarire, e tutto si sarebbe risolto, sperava di poter toccare quelle braccia in modo delicato, sfiorare le sue labbra e farla sua completamente.

Ma, stranamente, stava succedendo l’esatto contrario. La fissò dritto negli occhi. Aveva uno sguardo serio ed imponente, gelido come nessun’altra cosa. La fissava, magneticamente. Stava vedendo tutto ciò che voleva… andare via.

E Brennan… per la prima volta, non aveva parole da dire.

Lei si dimenava, cercando di liberarsi dalla presa, e ci riuscì, Seeley non voleva trattenerla con la forza, non l’avrebbe mai fatto, con nessuna donna.

Tuttavia, lei continuava a piangere, furiosamente.

Stava lì, impalata, senza muoversi, senza emettere alcun suono, lo guardava soltanto, come se quella fosse stata l’ultima volta in cui l’avrebbe visto.

Lui la prese di nuovo, con dolcezza. Non riusciva a staccarsi da lei. Il desiderio gli bruciava dentro, e la stessa cosa valeva per la sua partner.

I loro sguardi, poi…

Quasi con rabbia, la baciò, premendo a forza le labbra contro quelle della donna. Solo il tempo di quel contatto, e subito il bacio venne ricambiato, in modo passionale e travolgente. Le lingue arrivarono a toccarsi per lungo tempo, senza lasciarsi mai.

Le mani della donna andarono a toccare la schiena dell’uomo, saggiandone la consistenza, verificando che quello non fosse un sogno, bensì la realtà.

Una fantastica realtà.

Erano pronti a far esplodere il loro amore e, in pochi minuti, si ritrovarono spogli di tutti i vestiti.

* * *

 

Una nuova carrellata di ossa invase il Jeffersonian, che sembrava completamente vuoto. O meglio, privo degli elementi portanti del laboratorio.

C’erano più di cinquanta comparse sparse per tutto l’edificio, si divincolavano avanti e indietro, molto probabilmente senza meta.

L’ultimo caso di omicidio era ancora fermo, e senza Temperance a dare ordini era difficile andare avanti. Misteriosamente, mancava anche Angela.

Hodgins era assente, visto che aveva chiesto il permesso per un giorno libero. Permesso che gli fu accordato, al costo di una giornata extra di lavoro.

Booth ormai mancava da settimane e, comunque, per quanto fosse bravo, il suo aiuto non sarebbe servito a molto per l’esaminazione dei cadaveri.

Era strabiliante come tutti potessero assentarsi senza farsi scoprire o avere problemi, in modo assurdo tra l’altro.

Rimaneva solo Zack, il quale, giostrandosi tra le ossa, cercava di essere il più operativo possibile. Proprio lì, faceva congetture ed esaminava resti, adattandosi alle circostanze.

 

* * *

 

Angela asciugò le lacrime.

Si voltò, rivolgendosi verso la finestra ancora aperta del suo appartamento. Sentì il vento carezzarle la pelle, i capelli fluttuare nell’aria e le goccioline d’acqua arrivare fino al collo. Quella lettera… non avrebbe mai voluto riceverla.

Non avrebbe mai voluto credere che Tempe potesse scrivere quelle cose… che certe cose potessero accadere veramente, d’improvviso, quando tutto sembrava andare per il meglio, quando tutti potevano essere felici. Nella sua testa, cominciarono ad emergere vecchi ricordi, momenti passati con la sua migliore amica, momenti che adesso… al solo ricordo, l’avrebbero uccisa.

 

* * *

 

L’appuntamento non si rivelò così catastrofico.

Marianne era una grande rompiscatole a volte ma, se scoperta a fondo, appariva come una bella persona.

Condivideva diversi interessi con Hodgins, e ciò sorprese molto l’uomo.

A Jack venne in mente una stupida frase che lesse tempo fa: a volte, l’amore nasce dagli errori più stupidi. Che potesse essere quello il suo errore fortunato?

Provava ancora qualcosa per Angela, non poteva negarlo, ma forse, molto probabilmente, avrebbe voluto percorrere una strada completamente sconosciuta, prima di tornare su quella vecchia. Di una cosa era certo: quello, era solo un inizio.

Brindarono, con una coppa di champagne alzata al cielo.

 

* * *

 

Booth dormiva beato nel letto. 

La notte trascorsa con Temperance… era stata un’esperienza che difficilmente avrebbe dimenticato. Un ricordo bellissimo, che l’aveva persuaso completamente. Si era finalmente congiunto con la donna che amava, con quell’amore che poteva rivelarsi il più importante della sua vita.

Quell’unione, quell’emozione profonda, l’orgasmo reciproco, aveva soddisfatto entrambi. E la sensazione che avrebbe potuto provare nello svegliarsi e ritrovarsi accanto a lei… era troppo forte per dormire ancora.

Aprì gli occhi, lentamente. Si accorse di essere completamente nudo, con tutte le coperte sparse per il pavimento. Ridacchiò, e girò il volto per vederla.

Era calmo e rilassato, almeno finché non si accorse di essere solo.

Si alzò sulla schiena, e si guardò attorno.

Lei non c’era. E nemmeno i suoi vestiti. Non c’era più niente.

 

* * *

 

Alla stazione, correva voce che il treno avrebbe subito un ritardo nell’arrivare.

Così, si sarebbe verificato un ritardo anche all’arrivo. La cosa infastidì terribilmente i passeggeri impazienti, i quali chiedevano informazioni ovunque.

Era uno strano mezzo di trasporto che poche volte aveva usato.

Brennan si appoggiò sulle scomode sedie marroni, aspettando che il veicolo arrivasse.

Sperava presto, perché non le piacevano i ritardi, e non voleva trattenersi ancora lì. Soprattutto adesso, che non aveva più tempo da perdere. 

Alcune nuvole coprirono la visuale del cielo. Sembrava completamente offuscato.

 

 

 

Angolo dell’autore

 

E così termina questa storia (?).

In verità, no, perché sono sicuro che chiunque abbia letto il finale vorrebbe cercarmi e darmele di santa ragione. Effettivamente, non avete tutti i torti! Soprattutto, se teniamo conto delle ultime situazioni, che sono solo piccoli prologhi a quello che verrà dopo… si, la questione: mentre cercavo di dare una degna conclusione alla fic, mi sono accorto che ci sono troppi elementi che avrei potuto sviluppare, magari anche parecchio interessanti. Al tempo stesso, però, sentivo che una parte del racconto era già conclusa, perciò continuare sarebbe stato inutile e avrebbe tradito le premesse iniziali della fic. In definitiva, ho deciso di scindere le trame, e ambientare il continuo delle vicende in un secondo titolo, un seguito. Ho inserito “il mistero di Brennan” solo nelle ultime modifiche, anche se alla fine sarà il nocciolo del (prossimo) racconto.

Perciò, cosa ha costretto la nostra antropologa a scappare da tutti e compiere un gesto tanto irrazionale? Cosa c’è scritto nella lettera che ha ricevuto Angela? Come si rapporterà Hodgins con la sua nuova conquista? Come prenderà la notizia Booth?

Lo scoprirete, ma non adesso!

Tempi: prometto che non farò passare un’eternità per pubblicare la continuazione, credo che se ne riparlerà dopo l’estate, a settembre. Anche perché non vorrei far scocciare nessuno per la lunga attesa.

Prometto anche capitoli più corposi e ricchi di colpi di scena.

Spero che troviate l’idea non troppo malvagia!

 

Pertanto, vorrei ringraziare le persone che hanno recensito questa storia: Fras, Defunkt, Radiolina_936, CCSerena89, Roby_Marauder e in particolare Beckett66, presente assiduamente dall’inizio alla fine.

Ringrazio di nuovo Defunkt per aver inserito la storia tra i preferiti.

Inoltre, ringrazio tutte le persone che hanno messo la storia tra le seguite: Beckett66, CCSerena89, chachot, Fras, harlem, Radiolina_936, ReiraIchinose99, wchicco95.

 

A presto!


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