Jinete en la lluvia.

di Firelight_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Atto primo. ***
Capitolo 2: *** Atto secondo. ***
Capitolo 3: *** Atto terzo. ***



Capitolo 1
*** Atto primo. ***


Atto primo.

 
 



Colore azzurro d’ala d’uccello di dimenticanza,
  il mare ha bagnato le sue piume,  
il suo aspro meno forte, la sua onda di pallido peso
insegue le cose accumulate negli angoli dell’anima,
e il fumo batte invano sulle porte.

(Pablo Neruda)

 
 
 



Da qualche tempo a quella parte, Niall stava all’erta: non era mai stato un tipo particolarmente diffidente, non era nella sua natura, ma aveva una capacità d’osservazione davvero sorprendente.
E, semplicemente, quel nuovo arrivato non lo convinceva affatto. Era troppo disinvolto, troppo sicuro di sé, troppo brusco e freddo perché la sua razionalità si quietasse, perciò era più prudente continuare a tenerlo d’occhio.
Inoltre, avrebbe proprio dovuto ammetterlo con se stesso, colui sul quale spostava le proprie attenzioni era troppo attraente per interrompere quel nuovo compito che si era di recente assegnato.
Niall sperava che il ragazzo non avesse niente da nascondere – in un periodo come quello, durante il quale tutto ciò che si poteva scorgere erano guerra e violenza, un traditore sarebbe stata un’ulteriore batosta – ma, nonostante quella sensazione che avvertiva a pelle, quell’interessamento di ceneri spente e pronte a incendiarsi di nuovo, si ostinava a sospettare di lui.
A dire la verità, non ricordava  neppure quale fosse il suo nome; a giudicare dalla carnagione dolcemente ambrata e dall’accento marcato, comunque, non doveva essere di quelle parti.
 
Quella sera, Niall era davvero stanco. Aveva passato una giornata estenuante, affannandosi di continuo tra i sotterranei bui e umidi del Quartier Generale, le sale riunioni coperte da tappeti di velluto e gli allenamenti senza sosta dell’Accademia.
Sì, tutto ciò che avrebbe voluto fare sarebbe stato sfilarsi la camicia di dosso, nascondersi sotto la coltre d’acqua di un lungo bagno caldo e dimenticare i problemi. Ma come si poteva dimenticare la sanguinaria battaglia che infuriava al di fuori delle mura di Naimhde?
In fin dei conti, Niall James Horan era solamente uno dei tenenti dell’esercito, che svolgeva le sue mansioni con precisione e diligenza. Ciò che tuttavia era sorprendente era la giovane età di quell’efficiente soldato che, malgrado il suo grado piuttosto alto, mai se n’era vantato, il che era probabilmente merito di una modestia innata e inconsapevole che, da sempre, era insita nel cuore di quel ragazzo biondo e dalle iridi limpide esattamente come la sua anima.
Per certi versi, Niall era un guerriero spericolato esattamente come tutti gli altri. Non risparmiava i nemici, si recava sul campo impugnando la spada con coraggio, difendeva i suoi uomini con estrema lealtà e non lesinava di versare sangue avversario; ma mai, neppure una volta nella sua intera vita, aveva gioito nel vedere la morte, non importava di chi essa fosse.
Quel che ogni giorno accadeva nell’ormai storico conflitto fra i due antichi popoli non era nulla del quale avrebbe potuto rallegrarsi. Come avrebbe potuto sorridere allo spegnersi di qualsiasi traccia di luce rimasta al mondo?
Comunque fosse, Niall era deciso a proteggere la propria terra con tutte le forze in suo possesso, ed erano pressappoco quelli i pensieri che gli vorticavano in mente mentre percorreva per l’ennesima volta il passaggio che portava al torrione centrale.
Sapeva di esser quasi certamente l’unico ancora all’interno del Quartier Generale poiché, a quell’ora di notte, tutti gli altri dovevano esser andati via. E allora, perché lui non faceva lo stesso? Perché qualcosa di incomprensibile continuava a trattenerlo lì, con la suola degli alti stivali di cuoio che cozzava contro le pietre grezze del selciato?
Niall si appoggiò al davanzale di una delle numerose finestre, incrociando le braccia e facendo scorrere morbidamente lo sguardo sui folti boschi di pini innevati che svettavano sotto la furiosa tormenta.
Aveva lasciato la sua cavalcatura nelle stalle del Quartiere e sapeva bene che, se solo l’avesse voluto, in meno di un’ora di tempo avrebbe potuto far ritorno a casa, nella sua solitaria dimora ai limitari del territorio.
Ma che senso avrebbe avuto? Chi ci sarebbe stato ad attenderlo, fra quelle mura fredde e deserte?
Un rumore leggero e sordo lo riscosse momentaneamente. Dapprima credette che si fosse trattato soltanto di una delle finestre di vetro levigato che sbatacchiava a causa della bufera ma, quando quel suono fu seguito da uno scalpiccio lieve, si immobilizzò all’istante.
In un gesto istintivo, portò la mano all’elsa intarsiata della spada che teneva allacciata alla cintura, e i suoi occhi guizzarono da una parte all’altra, attenti.
A passi felpati, camminando sulle punte dei piedi, Niall si diresse in silenzio nella direzione dalla quale aveva sentito provenire quei rumori. Quando udì quelle che sembravano essere carte sfogliate frettolosamente, deglutì e proseguì con maggiore determinazione verso l’ufficio del Comandante Supremo.
Era certo che questi fosse partito alla volta delle colline diversi minuti prima, perciò si preparò ad affrontare la presenza di un nemico, essendo inoltre certo di non poter in alcun modo ottenere rinforzi alleati.
Avrebbe dovuto cavarsela da solo ma, al momento, la cosa non lo spaventava. Sapeva che, non appena si fosse trovato davanti a un soldato antagonista, la situazione dentro di lui sarebbe mutata, tuttavia preferiva non pensarci.
Raggiunse finalmente la porta dello studio del Comandante e, sperando che essa non scricchiolasse, spinse appena i battenti, sbirciando dentro la stanza.
La lampada a olio sulla scrivania era accesa e, con quella tipica luce tremolante e giallastra che a Niall ricordava ogni volta le interminabili riunioni con gli Strateghi, illuminava una figura di profilo, che riconobbe subito.
Ringraziò mentalmente il suo – quasi – infallibile istinto, mentre osservava acuto il giovane generale senza nome che tanto gli aveva dato da pensare. Egli era chino sul tavolo e, con una frenesia evidente, scorreva le righe di alcuni documenti scritti a mano, senza muoversi di un millimetro.
Niall rimase a guardarlo per un secondo interminabile, scivolando piacevolmente sulla curva sensuale della mascella e concentrandosi un attimo di troppo sulle labbra carnose e arricciate da quello che pareva disappunto, poi si disse che era per lui ora di agire.
Per quanto l’interesse nei confronti del generale, che adesso sapeva con certezza essere una talpa infiltrata dal nemico, fosse potente, l’amore per la sua patria e la sua gente sormontava qualunque altra cosa.
Tutto ciò che avrebbe dovuto fare era bloccare quello straniero, consegnarlo ai suoi superiori e lavarsene le mani. Ad onor del vero, non era solito comportarsi con tale menefreghismo e velata codardia, ma non se la sarebbe sentita di assistere alla fine di quel suo così ipnotico rivale.
Alla fine, mandando via quelle riflessioni dettate dall’umana debolezza, Niall fece scattare la porta sui cardini e, sguainando la spada dal fodero, puntò l’arma contro la spia, la lama a pochi centimetri dal suo splendido viso.
Quello rimase pietrificato per qualche secondo, alla fine volse il viso in alto di colpo e le sue iridi si abbatterono su quelle di Niall, affondandole, ancorandole al fondale e in seguito riportandole in superficie.
Le sue dita non abbandonavano quelle carte spiegazzate, quelle carte tanto importanti che sapeva gli avrebbero permesso di dare una svolta decisiva alla guerra, e intanto stava cercando una via di fuga.
Per un brevissimo istante, Zayn ebbe paura.
Era appena stato sorpreso da quel tenente biondo – Horan, si chiamava? – a frugare nell’ufficio privato del Comandante Supremo, il che lo classificava chiaramente come un traditore.
Come avrebbe fatto a sopportare di esser condannato a morte da quel ragazzo che lo affascinava come nessun’altro? Ma, soprattutto, come avrebbe fatto a sottrarsi alla sciabola acuminata che da un momento all’altro avrebbe potuto lacerargli la carne?
Nonostante le circostanze fossero totalmente a suo sfavore, Zayn riuscì a non perdersi d’animo. Era stato addestrato a mantenere il sangue freddo in qualsiasi situazione, anche la più disperata, e il fatto di essere il diretto erede dell’attuale Comandante Supremo della sua nazione aveva il proprio peso.
Non poteva lasciarsi sconfiggere da un tenente venuto dal nulla: non l’avrebbe permesso.
“Non muoverti”.
Quando la voce dell’altro lo sorprese in quei cruciali istanti, Zayn si soffermò inconsciamente a pensare a quanto essa fosse piacevole. Contrariamente al solito, l’inflessione strascicata del popolo di Naimhde non lo infastidì, ma gli cullò i pensieri.
“Non ho intenzione di venire trafitto dalla tua spada” fece presente, adottando subito un tono sarcastico “perciò credo proprio che rimarrò immobile”.
Niall non si era aspettato una risposta talmente ironica e, anche se non lo lasciò vedere, l’avere un degno avversario gli fece tutto sommato piacere. E, per di più, gli confermava l’idea che quel generale gli aveva dato a primo acchito, quella di una persona estremamente sveglia e sottile.
“Chi sei?”
“Che importa?”
Zayn ribatté così velocemente da non accorgersene neppure. Sapeva che, in un modo o nell’altro, il suo vero nome sarebbe venuto fuori, il che sarebbe stata una rovina per tutti.
Se fossero venuti a sapere che era il primogenito del Comandante Malik, di certo l’avrebbero utilizzato come merce di scambio, attuando un ricatto.
Niall strinse la presa sull’elsa della spada, rendendola più salda, preparandosi a un contrattacco da parte del moro, che però non muoveva un muscolo. Cosa stava aspettando?
“Cerca di collaborare, generale. Chi ti manda qui? Sei una spia da Fiender?”
La lama brillava davanti agli occhi di Zayn, il quale stava pensando fervidamente. Il tenente Horan era intelligente e aveva già capito da dove venisse, per cui l’unica via che avrebbe adesso potuto percorrere era quella dell’effetto sorpresa.
Indietreggiò appena, anche se fece in modo che colui che lo fronteggiava lo notasse.
“Non voglio combattere” affermò, sapendo come far sì che tutto ciò che diceva suonasse come la verità “Sono disarmato”.
“Arrenditi e non ti farò del male” promise Niall con durezza, anche se era in fondo parecchio sorpreso.
Aveva pensato che il moro avesse più nerbo, che fosse capace di sopportare un colloquio serrato contro un nemico, ma a quanto pare si era per l’ennesima volta sbagliato.
Zayn annuì lentamente, ponendosi di traverso rispetto al corpo di Niall, in modo che un eventuale colpo non lo raggiungesse in maniera diretta. Mosse le braccia come per tenderle al tenente cosicché egli potesse legarle, ma in realtà collocò un avambraccio a proteggere il ventre, stando ben piantato sulle gambe.
Prima che Niall potesse anche solo accorgersi di quelle velocissime manovre, l’altro ruotò sul piede sinistro sfruttandolo come perno e, con un movimento di fianchi, con la gamba destra gli sferrò un violento calcio, colpendogli il polso e facendo schizzar via la spada dalla sua mano.
Zayn ritrasse subito la gamba per sottrarla alla presa del biondo e, raggiungendogli il viso con due nocche del pugno serrato, riuscì poi con il peso del proprio corpo ad abbattere il tenente al suolo, schiacciandolo a terra.
Con la maggior celerità che gli era concessa da quella posizione, estrasse un pugnale dalla tasca interna della giubba, avvicinandolo alla gola di Niall fino a fargli percepire il gelo del metallo.
Il cuore di Niall gli batteva svelto nel petto, terrorizzato e incredulo di fronte alla inesorabile realtà di essersi fatto abbindolare da quel nemico tanto abile.
“Arrenditi e non ti farò del male” sogghignò Zayn, ricalcando quelle che erano state le parole del biondo, senza lasciare la presa su di lui e tenendo fermo il pugnale.
Il sangue pulsava forte nelle vene di Niall.
“Preferisco morire piuttosto che cedere” ringhiò fieramente in risposta, cercando di tirarsi a sedere con uno scatto di reni che per poco non riuscì a scostare l’altro.
Zayn, preoccupato da quel tentativo sorprendentemente audace, schiacciò il piatto della lama sul collo niveo di Niall, al quale si mozzò il fiato.
“Tenente Horan” disse a voce alta, senza accennare a distogliere gli occhi dai suoi, sforzandosi di non pensare a quanto quell’azzurro fosse puro e meraviglioso “ti propongo un patto”.
Quello grugnì, facendo una smorfia.
“Procedi” concesse, dubbioso.
Zayn ci pensò su qualche secondo. Sapeva che quel che stava per dire non sarebbe stato mai permesso da suo padre né da nessun’altro dei suoi compatrioti, ma come avrebbe potuto porre fine all’esistenza di qualcuno come Niall?
La sola idea gli riusciva insopportabile e, nel frattempo che senza rendersene conto studiava ogni particolare del giovane oppresso sotto di lui, si ritrovò ad odiare la propria compassione.
“Tu mi darai tempo fino all’alba per uscire dalla città senza dare l’allarme e io, in cambio, ti risparmierò la vita e ti lascerò andare”.
Niall attese prima di parlare, soppesando le differenti possibilità. Era consapevole del fatto che, se avesse rifiutato la proposta, il nemico l’avrebbe ucciso senza esitazione, e mai nessuno sarebbe stato avvisato del tradimento. Se invece avesse accettato, questi sarebbe andato via e lui avrebbe avuto salva la vita, oltre a poter mettere in allarme i propri superiori.
Nonostante disprezzasse con tutto se stesso l’idea di esser costretto a scendere a patti con i suoi avversari, Niall sapeva alla perfezione quale fosse la cosa più ragionevole da fare.
“D’accordo”.
Serrò i denti per cercare di digerire l’umiliazione e Zayn, sollevato dal fatto che avesse pensato razionalmente, si alzò in piedi di scatto.
Aveva la bizzarra impressione che il contatto col corpo fin troppo tentatore di Niall potesse provocargli una reazione palese e, senza dubbio, imbarazzante.
Il biondo si mise a sedere, scrollandosi di dosso i capelli chiarissimi, puntando gli occhi alteri sul viso di Zayn, continuando malgrado tutto a sfidarlo.
“Dovrai condurmi fuori dalle mura, facendo in modo che le guardie non mi fermino”spiegò Zayn in fretta “e poi io ti lascerò libero”.
“Che cosa?” sbottò Niall di rimando, sdegnato “Non posso farlo”.
Il moro si piegò sulle ginocchia, accostando nuovamente il coltello intagliato alla sua giugulare, dove risiedeva la vita.
“Invece penso che tu possa riuscirci, Niall”.
Non appena quello udì Zayn pronunciare il suo nome sussultò visibilmente, e sperò che l’altro attribuisse quella sua reazione alla vicinanza col pugnale.
“Mi dispiacerebbe parecchio, ucciderti” proseguì Malik, pensieroso, prendendolo per una spalla e tirandolo su con malagrazia “Non vorrei sprecare quel tuo bel faccino in questo modo”.
Niall si chiese confusamente come potesse quel nemico conoscere il suo punto debole, anche se forse le incessanti chiacchiere cittadine sul bel tenente che respingeva ogni donna, destando non pochi sospetti, erano state sufficienti a fargli capire come stessero le cose.
“Va’ al diavolo!”
La replica infastidita del biondo, sommata al suo viso che aveva assunto una tonalità terrea di certo per la mortificazione, fece sfuggire una risata dalle labbra di Zayn.
Sì, se solo non fossero stati mortali nemici era sicuro che non avrebbe esitato a far suo quel giovane così bello e dal carattere di ferro, ma la questione era un’altra.
Non era lì per decidere se prendere quel biondo tanto seducente, bensì avrebbe dovuto scegliere se troncare o meno la sua vita.
“Hai addosso altre armi?” domandò Zayn, allontanando quelle riflessioni.
Non doveva mai lasciare che la pietà prendesse il sopravvento, però sapeva purtroppo che quell’attrazione che provava era ancora più pericolosa. Come poteva essere interessato a un suo rivale?
“No”mentì Niall, facendo mente locale e cercando un modo per sfoderare un pugnale senza che quello del suo nemico lo squarciasse.
Zayn sbuffò vistosamente, irritato.
“Ti consiglio di non rendere tutto più difficile di quanto già non sia” suggerì, guardandolo di sbieco “Per me non è un problema perquisirti e toglierti i calzoni, ma suppongo che per te potrebbe essere leggermente imbarazzante”.
Una vampata di calore percorse Niall da capo a piedi e il tenente, desiderando solamente che quel soldato sconosciuto sparisse e lo abbandonasse lì, si sfilò il mantello nero e lo gettò sul tavolo poco lontano.
“Non ho più armi addosso” asserì, incrociando le braccia sul petto e lanciando a Zayn un’occhiata in cagnesco, che questi però non colse.
Che fosse troppo impegnato a considerare il modo sensuale in cui la camicia di seta candida fasciava il biondo?
Zayn sapeva che, secondo le normali procedure, a quel punto avrebbe dovuto controllare la veridicità della sua affermazione, così come lo sapeva Niall.
Dunque, perché aveva talmente tanta paura di avvicinarsi a lui? Perché temeva di non riuscire a controllarsi, quando sempre aveva avuto successo nel farlo?
Con un breve passo, Zayn spostò il coltello nella mano sinistra e, con l’altra, tastò rapidamente le maniche della camicia di Niall, al cui interno avrebbero potuto essere cucite delle lame nascoste, scorrendo poi velocemente con le dita le tasche dei pantaloni.
Niall si sentiva morire e, nel profondo, si disdegnava. Perché uno spregevole nativo di Fiender, uno di quegli assassini senza cuore, gli provocava certe sensazioni?
Perché, quando questi lo sfiorava per assicurarsi che non portasse con sé qualcosa di pericoloso, doveva impedire al proprio respiro di accelerare? Non era pertanto capace di trattenersi? O era forse Zayn che, senza alcuna logica, lo stregava lentamente, come il più assuefacente dei veleni?
“Hai detto la verità” commentò infine il moro, scostandosi un poco per poterlo guardare in faccia.
“Naimhde non è un popolo di bugiardi” ribatté Niall tagliente, non rinunciando a una sfumatura arrogante nella voce.
Zayn lo ignorò, cercando di non far caso alle piccole e invitanti increspature delle sue labbra color fragola in netto contrasto col volto cereo, e si tirò su il cappuccio sul capo.
“Non c’è tempo da perdere” tagliò corto “Devi portarmi fuori di qui”.
 
 

Niall, coperto dalla mantella scura, mostrò brevemente il distintivo della Guardia Reale agli uomini che stavano di vedetta sulle imponenti mura di Naimhde e, dopo quel gesto, i cancelli si schiusero, lasciando via libera alle due cavalcature.
Zayn spronò il suo stallone, sperando che la propria ansia non trapelasse dai gesti dal malcelato nervosismo che compieva, e si avvicinò di più al tenente. Egli sapeva che il moro nascondeva sotto le maniche ampie un coltello stretto nella mano che, in caso lui avesse fatto qualcosa per smascherarlo, l’avrebbe senza indugio colpito.
Si diressero con ostentata indifferenza verso un boschetto riparato, sfuggendo agli occhi stanchi dei soldati sulle mura, e si fermarono sotto i rami protettori di un abete.
“Ho fatto quel che ti avevo promesso” affermò Niall, tentando di mantenere la propria voce algida e impassibile.
“Sì, sei stato di parola” convenne Zayn, rigirandosi il pugnale fra le dita e saltando giù da cavallo, subito imitato dall’altro “Hai ragione, Naimhde non è un popolo di bugiardi”.
Niall inarcò le sopracciglia, incredulo.
“A cosa devo questa confessione?”
Zayn fece una risata bassa, che risuonò cupa fra i tronchi scricchiolanti, disperdendosi nei refoli di vento affannati, raggiungendo le orecchie del suo interlocutore e ammaliandolo inesorabilmente.
Il cavaliere di Fiender avanzò di qualche passo, la neve che scricchiolava sotto gli scarponi come frutta acerba spaccata da mani impietose.
Niall rimase a guardarlo muto, mentre quello si fermava di fronte a lui, gli occhi incatenati gli uni agli altri, e un’emozione lo prese in contropiede, stupendolo.
D’improvviso, avrebbe avuto voglia di allungare una mano verso la pelle di Zayn e toccarla, stringerlo a sé per sentire che era reale, sfiorargli il collo, la barba leggera sul mento e i polsi che si intravedevano tra la camicia e i guanti di pelle.
Avrebbe voluto premersi contro di lui e inspirare il suo odore fino a ubriacarsene completamente, perdendo la propria ragione, che già iniziava a divenire più opaca.
Niall avrebbe voluto…
 Zayn, preso dal bisogno irrefrenabile di non abbandonare quel giovane gentiluomo, tremante nel suo cappotto sotto la pioggia di un inverno cieco, fece ruotare l’arma che aveva in mano sotto gli occhi atterriti del tenente.
“Sei stato di parola, Niall, il che ti fa onore” gli rivolse un sorriso stiracchiato, avvertendo un brivido percorrergli la schiena “ma, colpo di scena!, io non rispetterò gli accordi. Non fare movimenti bruschi e non provare a fuggire o ad attirare l’attenzione, altrimenti non esiterò ad attaccarti”.
 
 

Fuori, infuriava una tormenta.
I due si erano rifugiati in una grotta, più che altro simile a un anfratto scavato nella roccia tagliente delle montagne a nord di Naimhde, e fra loro ardevano pochi ceppi fiammeggianti.
La notte stava per volgere al termine – fra pochi minuti il cielo avrebbe cominciato a schiarirsi – eppure non accennavano ad assopirsi.
Niall era accucciato in un angolo, stretto nei suoi abiti non abbastanza pesanti per un clima così rigido, che cercava di non dare a vedere quanto battesse i denti, anche se invano.
Zayn camminava avanti e indietro davanti alla soglia della caverna, senza produrre il minimo rumore. Irrazionalmente, tutto in lui gli stava strenuamente ordinando di sedersi al fianco del biondo accovacciato pochi metri più in là, ma stava cercando di non prendere in considerazione quella voce interiore. Per quale ragione, poi, avrebbe dovuto seguire i propri sentimenti contrastanti?
Perché mai avrebbe dovuto sistemarsi accanto a lui, cingergli le spalle con un braccio e attirarselo vicino, per sentire il suo respiro caldo accarezzargli il collo?
Ebbe un moto di fastidio, attirando su di sé un’occhiata azzurra e incerta; a quel punto, Zayn si accorse che le membra del biondo erano scosse da tremiti di freddo e, senza più pensare a niente, gli si avvicinò in pochi secondi, rimanendo piantato in piedi davanti a lui.
“Che cosa c’è?” sibilò Niall, sottovoce, forse per il freddo o per l’ira nei suoi confronti.
Zayn non pensò. Contrariamente al solito, fece ciò che il suo cuore gli chiedeva di fare, senza chiedersene il motivo.
Sciolse i lacci del proprio mantello, infilandosi in tasca le poche armi che vi custodiva, e lo lasciò ai piedi del suo nemico, il quale spalancò gli occhi, incredulo.
“Congelerai, con soltanto quella camicia leggera” commentò infine Niall, sfregando le mani intirizzite contro la stoffa morbida e facendo saettare lo sguardo sulle iniziali ricamate vicino al bordo orlato.
Nella sua mente per un attimo calò il silenzio, poi gli sguardi dei due si incontrarono, dando inizio a una schermaglia inframmezzata da desideri a stento trattenuti.
“Sei Zayn Malik, non è vero?” domandò in un soffio il giovane tenente, con un sorriso mesto e rassegnato.
Quello si strinse nelle spalle, in un gesto che pareva insieme volere schermirsi e scusarsi.
“A quanto pare”.
Niall non sapeva cosa dire e, sopra ogni altra cosa, non sapeva cosa provare. Era tutto talmente confuso e indefinito da dargli alla testa, frastornandolo.
“Potremmo condividerlo” mormorò, così piano che Zayn fece fatica a udirlo. Il biondo scosse leggermente il mantello “Io ho freddo, tu hai freddo. Potremmo condividerlo”.
Zayn, sebbene avesse tentato di evitarlo, si ritrovò a sorridere: un sorriso lieve e ammorbidito, che non gli apparteneva e che insieme era nato con loro.
“Sì” concordò, piegandosi e sedendosi vicino a Niall, fondendo i suoi occhi con quel blu sconfinato “Potremmo condividerlo, ma come credi che andrà a finire?”

 
 
 
 
 






Angolo autrice:
 
Salve!
Questo è il primo atto di una brevissima Ziall che, lo anticipo già da qui, conterà solamente tre capitoli. Possiamo in un certo senso dire che questa è l’introduzione ai reali fatti, senza la quale non potrei proseguire, tuttavia non ne sono comunque per niente soddisfatta.
Ma cominciamo dall’inizio. L’idea per questa storia mi è venuta in mente alcuni giorni fa, anche se all’inizio l’avevo progettata come originale. Però poi mi sono detta: perché non inserire quei cinque gay (luff ‘em! <3) in un contesto diverso dal solito?
E ne è venuta fuori questa robaccia qui c’: scrivo spesso di questo genere di ambientazioni dalla cornice storica, così ho attinto un po’ da alcuni miei racconti e ho progettato una piccola bromance.
Insomma, ormai sapete che parlo tanto in questi a.a., e che scrivo sempre storie senza senso, quindi è colpa vostra se vi trovate a leggere queste parole u_u
Re: l’atto primo è quasi unicamente introduttivo (per intenderci, il contenuto di Ziall è pressoché sottozero, shame on me), ma necessario (: spero che, comunque sia, non risulti ai vostri occhi pessimo quanto lo è ai miei!
Mi farebbe piacere se mi lasciaste una recensione anche breve, giusto per dirmi se vale la pena di continuare o è meglio che mi dia all’ippica.
Grazie a chiunque abbia letto; non so di preciso quando aggiornerò, causa impegni, ma se tutto va secondo i piani dovrei riuscire a postare una volta a settimana.
Okay, sto blaterando cose stupide, me ne scappo! Spero mi darete un parere :)
 
firelight_
 
ps. se non avete niente di meglio da fare, sul mio account potete trovare diverse one shot… aspettano solo di essere lette u_u
 
ah, quasi dimenticavo. Il titolo della fanfic significa ‘Cavaliere sotto la pioggia’, ed è il nome di una poesia di Neruda. Quella che ho inserito all’inizio, invece, è una parte di Josie Bliss, un altro dei suoi capolavori.

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Capitolo 2
*** Atto secondo. ***


Atto secondo.

 
 



La tua cintura di nebbia vedo intorno a me
e il tuo silenzio insegue le mie ore in fuga,
e sei tu con le braccia di pietra trasparente
quella dove si ancorano i miei baci e la mia
umida ansia s’annida.

(Pablo Neruda)

 
 
 





Niall odiava tutto di quel castello.
Ogni pietra incastonata nelle mura, ogni torcia nei corridoi, ogni clangore d’armatura gli gridava: nemici! Dentro di lui si rimescolava ancora la rabbia repressa per quello che considerava, se non un tradimento, una grande slealtà da parte di Zayn.
Non aveva rispettato i patti e, dopo averlo catturato e aver inspiegabilmente passato una notte al suo fianco, stretto a lui in una grotta gelida, l’aveva condotto al maniero di Fiender.
Lì, il tenente non si era di certo aspettato di esser trattato con riguardo, ma le maniere brusche e sbrigative delle guardie l’avevano stupito.
Non appena avevano varcato il cancello, sul viso ambrato di Zayn sembrava essersi nuovamente instaurata una maschera impassibile e, senza congedarsi in alcun modo, l’aveva semplicemente abbandonato in mano dei soldati, cominciando a salir su per i gradini.
Il castello era bianco come quella che si narrava essere la dimora della Morte nell’oltretomba, di marmo candido e liscio, privo di qualsiasi venatura. L’inverno nelle terre di Fiender era ancor più rigido di quello di Naimhde e Niall, rinchiuso nelle prigioni sotterranee, si sentiva gelare.
Di tanto in tanto, qualche soldato avversario passava davanti alla porta della sua cella, e alcuni gli gridavano contro qualche insulto in gergo di Fiender che il biondo, naturalmente, non poteva capire. A volte s’azzardava a rispondere con un’ingiuria nella propria lingua e, a quel punto, la maggior parte degli interlocutori esclamavano un meccanico: “Cane di Naimhde!” e si allontanavano lungo la galleria.
 Niall si trovava lì da più di un giorno e, durante tutto quel tempo, aveva avuto a disposizione solamente una rustica scodella di terracotta ricolma d’acqua. Si sentiva senza forze, avrebbe davvero gradito qualcosa da mettere sotto i denti, anche un po’ di pane raffermo, e aveva freddo. I sotterranei erano umidi, e sentiva che l’odore della muffa cominciava a penetrargli nei vestiti.
Quando aveva chiesto la possibilità di fare una doccia, il secondino di turno aveva riso e, poco dopo, gli aveva gettato una secchiata d’acqua gelida addosso. In seguito a quell’episodio, aveva deciso di rinunciare a qualsiasi contatto con le guardie, e ora era in attesa del proprio destino.
Non riusciva a fare a meno di pensare, tra le imprecazioni contro i propri nemici, a Zayn, che aveva scoperto essere il figlio del comandante Malik.
Probabilmente, si diceva Niall, egli era chiuso nelle sue stanze, con un bicchiere di vino raffinato, riscaldato da un camino ardente e, forse, anche da una buona compagnia.
L’idea del moro insieme a una donna lo infastidì terribilmente, anche se non sapeva perché, e prese a giocherellare nervosamente con il ciondolo argenteo che aveva al collo, rappresentante lo stemma della propria patria.
La porta delle prigioni di ferro battuto si aprì di colpo con un cigolio sinistro, e quello che doveva essere uno dei marescialli dell’esercito entrò, facendo scattare sull’attenti i suoi sottoposti.
“Dove si trova il prigioniero di Naimhde?”
Niall alzò il capo di scatto, allertandosi e seguendo ogni mossa dell’uomo, che iniziava a scorrere le celle poste l’una accanto all’altra.
“Nella cella numero 18, signore” rispose una delle guardie.
Seguendo l’indicazione, il maresciallo andò a pararsi di fronte all’occhiata ferma e gelida di Niall, che lo fissava senza alcuna traccia di timore.
“Dunque, la missione del generale Malik ha portato i suoi frutti” commentò, squadrandolo con aria di superiorità.
“Non otterrete alcun risultato da me” lo sfidò il tenente, ostinato e coraggioso.
“Sappiamo essere convincenti”.
Ci fu uno svelto giro di sogghigni e sorrisetti laidi e per un attimo Niall, al pensiero delle torture che avrebbe dovuto subire, sentì il suo cuore tremare incerto.
“Scoprirete la tempra degli uomini di Naimhde, allora” proseguì imperterrito, ben deciso a non dar nessun segno di cedimento.
Detestava gli individui che, come il maresciallo Mills, pensavano di tenere chiunque in proprio potere. Quell’uomo era convinto che, riusciva a leggerglielo negli occhi, lui avrebbe presto ceduto sotto la sadica persuasione di braci ardenti o lance affilate, ma non era intenzionato a dargliela vinta. Era il momento che i nemici imparassero cos’era il vero eroismo e, se fosse stato lui a dover cadere vittima di quel martirio, l’avrebbe accettato.
Il maresciallo fece cenno a uno dei suoi uomini di aprire la grata e, in un batter d’occhio, Niall venne agguantato per le spalle e trattenuto violentemente contro il muro. A quel punto, Mills indossò un guanto di maglia di ferro e, così svelto che il tenente fece fatica a scorgerlo, lo colpì al volto.
Niall sentì il naso spaccarsi sotto il colpo secco, e il sangue gli inondò il viso, solleticandolo appena con i suoi rivoli scarlatti, insinuandosi fra le sue labbra e aspergendole di sangue.
“Fa’ attenzione a quel che dici, ragazzo” ringhiò il maresciallo, serrando il pugno attorno al suo collo in una morsa incontrastabile, mozzandogli il respiro.
“Non riuscirete… a s-sconfiggermi...” biascicò questi, la gola stretta e il dolore che si pervadeva lungo tutto il corpo.
Vide l’altro prepararsi a vibrare un nuovo colpo, di certo un calcio che, con gli scarponi ferrati, gli avrebbe incrinato le ossa, ma qualcosa lo interruppe.
Qualcuno, alle sue spalle, si schiarì la voce e Niall, come un miraggio, un sogno irraggiungibile e irreale, scorse Zayn uscire fuori dalla penombra, in uniforme militare, senza dubbio reduce da una sessione di addestramento.
“Può bastare” disse, con il tono deciso di chi è abituato a comandare.
Niall venne immediatamente liberato e crollò a terra fra i massi aguzzi, sentendosi cedere le gambe, troppo stanco di fronte a quello che era solo l’inizio della sua prigionia.
Sollevò il viso in direzione di Zayn, incontrando i suoi occhi di bronzo scuro e immergendovisi dentro, anestetizzato per un breve secondo da tutto il male che lo circondava.
“Alzati, prigioniero” ordinò il generale, freddo e perentorio. Niall eseguì perché, glielo suggeriva una voce dentro di sé, sarebbe stato meglio affidarsi a Zayn piuttosto che a quelle guardie tanto brute “Voi, legategli i polsi” ingiunse poi ai suoi soldati.
Quelli obbedirono all’istante e, un attimo dopo, il biondo si ritrovò fuori da quei tetri sotterranei, le mani costrette dietro la schiena da una ruvida corda che gli tagliava la pelle e Zayn al suo fianco che camminava a ritmo serrato.
Niall sapeva che cercare di fuggire non avrebbe avuto senso – era disarmato, mentre una spada affilata pendeva al fianco di Malik – perciò seguì il generale senza dire una parola, attraversando muti i corridoi del castello.
Giunti oltre le tre rampe di scale, Zayn rivolse al tenente un cenno brusco e, spalancata una porta di legno massiccio, gli fece capire che voleva che lo precedesse.
Mentre lui entrava nelle sue stanze, il moro si sentiva dilaniato in due, come se artigli di rapace lo stessero squarciando dolorosamente, straziandolo.
Non riusciva a sopportare di vedere Niall in quello stato: era malconcio, stanco e affamato, il viso smunto e i segni delle percosse evidenti sulla pelle candida.
Eppure, nonostante tutto, continuava a trovarlo bellissimo, mentre si consumava nella compassione e nella voglia, l’acido che gli corrodeva piano le vene.
Zayn richiuse la porta con un tonfo, poi si diresse verso Niall a passi decisi, agganciando i loro occhi e non riuscendo più ad allontanarsi da quello sguardo sempre incredibilmente determinato.
Si sentiva come se ogni pagliuzza più chiara che inframmezzava quelle iridi lo riportasse in vita.
“Mi dispiace” disse, il tono basso e misurato, il respiro che gli attraversava tremolante il petto.
Niall lo guardò, sorpreso e con una traccia di speranza, confuso dai suoi atteggiamenti ogni volta contrastanti.
“Perché?” domandò soltanto, gelido.
“Non volevo che ti facessero del male” gli rispose Zayn di getto, ugualmente impenetrabile.
A quelle parole, il tenente sobbalzò. Che cosa significava? Che cosa stava succedendo? Era forse da parte del moro un segnale di… interessamento nei suoi confronti?
No, era decisamente impossibile.
“Non ha senso, Zayn” lo rimbeccò di getto, impaurito da quel caldo qualcosa che gli riempiva morbidamente il petto.
“Lo so che non ha senso!” sbottò questi in risposta, spazientito da quella reazione che si andava a sommare allo scompiglio che aveva dentro
Rimasero in silenzio per lunghi minuti, imbarazzati, la notte stellata che ondeggiava oltre le finestre, penetrando lenta dagli spifferi.
Zayn rimase a osservare Niall per un po’, desiderando in qualche modo alleviare i suoi tormenti, senza però sapere come fare. Era dopotutto stato lui a condurlo a Fiender: perché adesso se ne pentiva, sentendosi fondamentalmente una persona spregevole?
“Stai… stai bene?” domandò sottovoce, facendo incrociare i loro occhi e beandosi della profondità di quelli azzurri dell’altro.
“Ti sembra che stia bene?”
Niall avrebbe voluto suonare altezzoso, ma la nota spaventata nella sua voce balenò chiara sotto la mente attenta del moro, che sospirò.
“Avanti, vieni con me” gli disse, autorevole senza risultare autoritario, facendogli un cenno con il capo e avviandosi verso una porta.
Il tenente lo seguì con una certa riluttanza, ancora a ragione sospettoso, e rimase profondamente sorpreso quando si vide davanti un bagno raffinato, dai decori elaborati, con una grande vasca da bagno lucente.
“Credo che potrebbe farti piacere ripulirti, dopo quel che hai passato” commentò Zayn, a disagio per quella propria gentilezza “Non ci sono armi, qui dentro, a meno che non ti venga in mente di assalirmi con un pettine per capelli” entrambi accennarono un sorriso “Ti aspetto nell’altra stanza, poi potremo parlare”.
Niall era profondamente sconcertato dalla natura di quel gesto, così stranamente cortese e umano per un guerriero di quelle lande desolate, ma infine si voltò a guardare colui che sarebbe dovuto essere suo nemico, fremendo sotto il suo sguardo ardente.
“Non capisco la ragione di tutto ciò” ammise, scuotendo i polsi per fargli capire che necessitava di essere liberato.
Zayn si pose dietro di lui e, frugando nelle tasche della propria giubba, ne estrasse un taglierino, con il quale cominciò a recidere le corde.
Era così vicino al suo corpo che Niall poteva percepire il suo respiro contro la propria nuca, il che lo fece percorrere da un lungo brivido, che gli lasciò addosso una sensazione fin troppo piacevole.
I legacci si sciolsero e Zayn li infilò all’interno della propria giacca, mentre Niall si massaggiava i polsi, che recavano gli evidenti segni della detenzione.
In più, sul suo viso c’erano ancora le tracce del sangue ormai secco, e sentiva fitte di dolore pervaderlo di tanto in tanto. I nemici non avevano avuto pietà di lui, e Zayn sembrava essere l’unica – seppur lunatica e incoerente – eccezione a quella malvagità.
“Dunque…”
Il generale si sentiva terribilmente fuori posto, e quella non era una sensazione che solitamente gli si confaceva. Avrebbe voluto scomparire dalla visuale di quel bellissimo giovane e, insieme, avrebbe desiderato tenerlo per sempre con sé, privando egoisticamente il mondo di quella inestimabile meraviglia.
Niall, di contro, era combattuto, spezzato tra quelle nuove emozioni che sbocciavano inesorabili dentro di lui e tra quelli che, comunemente, erano i suoi doveri.
Perché provava quei sentimenti talmente confusi per Zayn? Con che logica osava far vacillare il suo cuore di fronte ai suoi occhi scuri e caldissimi?
“Non andartene”.
Parlò prima di potervi riflettere sopra e il moro, senza parole, spalancò gli occhi, mentre Niall si voltava di scatto e faceva infrangere i loro occhi sempre in cerca gli uni degli altri.
“Che intendi dire?”
Il biondo tenente sorrise, un sorrisetto astuto e malizioso che gli fece contorcere le viscere.
“Siamo due uomini, non credo che potrei farti alcun effetto, giusto?”
Ha capito tutto, riuscì a balbettare internamente Zayn, il cuore che compiva una violenta e improvvisa accelerata all’interno del suo petto.
Ma, nonostante la chiara sfida, non aveva intenzione di abbandonare la partita, né di lasciarlo vincere a tavolino. Avrebbe giocato al suo stesso gioco.
“Fa’ pure” accordò. E poi, per buona misura, aggiunse: “Non sono io quello dalle preferenze discutibili”.
Niall gli rispose con una smorfia infastidita, girando la manovella d’acciaio del rubinetto e lasciando che l’acqua calda iniziasse a riempire la vasca, pregustando il momento in cui si sarebbe abbandonato fra la sua massa accogliente.
Certo, adesso avrebbe necessariamente dovuto superare l’imbarazzo di spogliarsi davanti a Zayn, però, avendo dato lui inizio a quella sorta di assurda competizione, era costretto a proseguire.
Il moro si accovacciò contro il bordo dello specchio, sperando intensamente che lo spettacolo offertogli non gli provocasse reazioni troppo visibili, gli occhi puntati su Niall che, con lentezza esasperante, si stava togliendo il gilet di cuoio impolverato.
Non appena si sbottonò la camicia e la abbandonò a terra senza alcuna cura, Zayn iniziò a sentire caldo, imputando la colpa all’acqua bollente che intanto scorreva.
Niall si girò a guardarlo, sorprendendolo mentre lo fissava avidamente, con desiderio inscritto palesemente nelle sue iridi brucianti.
Facendo mentalmente mostra di tutto il proprio repertorio di imprecazioni in lingua di Naimhde, il tenente si spogliò in fretta di tutti gli indumenti, dando le spalle al suo avversario e permettendogli di ammirare la sua figura diafana e perfetta.
Alla vista di quella pelle bianca come la luna nonostante stenti e privazioni, al soffermarsi sulle natiche pallide e invitanti, che parevano supplicarlo d’esser strette fra le dita mentre lo violava, Zayn avvertì qualcosa di pressante nascere nel cavallo dei suoi pantaloni.
Nel frattempo Niall, del tutto ignaro di ciò che stava accadendo in lui, si decise a immergersi nell’acqua, lavando finalmente via la sporcizia e sorridendo al pensiero delle proprie raffinate abitudini da gentiluomo.
Si immerse sotto la superficie per bagnare la chioma bionda e scompigliata e, non appena riemerse, sobbalzò visibilmente.
Zayn era seduto sul bordo della vasca, sulla penisola di marmo che stava nell’angolo, le gambe portate contro il petto, che tentava di concentrarsi sull’accendere una sigaretta artigianale, di quelle di contrabbando che comprava giù ai mercati dei quartieri bassi.
Aspirò presto la prima boccata, rivolgendogli un sorriso sghembo, e a quel punto Niall si sentì mancare. Perché lui era completamente nudo, Zayn era il ragazzo più dannatamente attraente che avesse mai incontrato, e perché quel sorriso che gli stava rivolgendo gli dava alla testa.
Il moro si sporse verso di lui reggendo la sigaretta fra le dita e, rassicurato dall’odore familiare e dolcemente acre del fumo, la appoggiò contro le labbra sottili e rosse dell’altro, invitandolo a prendere un tiro.
 Niall non se lo fece ripetere due volte e, innamorandosi del contatto con quelle dita e con il filtro leggermente umido, incavò le guance e aspirò la nicotina, facendola scendere nei polmoni.
Quando soffiò di nuovo fuori, la nuvoletta grigia veleggiò quieta in direzione di Zayn, strappandogli un altro sorriso, sempre più a proprio agio.
“Sei bellissimo” gli mormorò, tornando ad appropriarsi della propria sigaretta e accogliendola come un’amante fedele.
Nel momento in cui Niall si rese conto di quelle parole, una scarica elettrica lo attraversò da capo a piedi e, velocemente, si strofinò con energia i capelli folti e poi si alzò in piedi per uscire fuori dalla vasca.
Zayn, persa la soggezione precedente, lo osservava sfacciatamente e, quando il biondo lo vide indugiare sulle sue parti basse, arrossì furiosamente, agguantando un asciugamano e stringendoselo in vita per coprirsi.
Il generale, resosi conto di quella reazione tempestiva, scoppiò a ridere.
“Non c’è necessità che tu ti nasconda” gli consigliò, sogghignando impudente, nuovamente padrone di sé.
“E sarei io ad avere delle preferenze discutibili?” lo rimbeccò Niall, lanciandogli un’occhiataccia.
“Mmh” Zayn fece una smorfia “Datti una mossa e rivestiti”.
Il biondo, soddisfatto, capì di aver colto nel segno, e fece un paio di passi nella sua direzione, gocciolando distrattamente sul pavimento, l’acqua che si perdeva nelle pieghe della sua pelle chiara.
“Forse sarebbe meglio lavare anche i miei abiti” osservò “Non sono in ottime condizioni”.
Zayn, diventando impaziente, il controllo della situazione che continuava a cambiare possessore, saltò a terra con la sigaretta fra le labbra e fece cadere i vestiti di Niall nell’acqua della vasca, lasciandoli galleggiare e roteare lenti.
“Mi sembra sufficiente”.
“E, per inciso, neanche tu sei poi così male” lo sorprese ancora il tenente, stavolta con un sorriso sincero e, per certi versi, timido.
Era inevitabile: anche a Zayn venne da sorridere, perché non poteva non ricambiare quel raggio di sole che gli era stato donato.
Spense la sigaretta contro il lavandino, per poi gettarla sui tappeti pregiati con estrema noncuranza.
A quel punto, temendo che o prima o poi non sarebbe più riuscito a nascondere quel che gli provocava la visione di Niall, il moro si incamminò in direzione dei propri armadi e, di scatto, tirò fuori una camicia e dei pantaloni puliti, non particolarmente diversi da quelli che si usavano portare a Naimhde.
L’altro si rivestì con la stessa insopportabile mollezza con cui aveva avuto cura di spogliarsi, facendolo pian piano macerare nella sua brama, senza staccare gli occhi dai suoi.
E la cosa più paradossale era che fuori c’era la guerra, e loro erano nelle loro rispettive prigioni – che fossero concrete o meno – a desiderarsi follemente a vicenda, senza poter mai aversi. I loro popoli si scagliavano gli uni contro gli altri, inumane belve, distruggendo ogni traccia di comprensione negli animi, ma il veleno non riusciva a contaminare Niall e Zayn.
Perché, chissà?, forse erano diversi. O, più semplicemente, possedevano dentro una capacità di rimanere fedeli a se stessi fuori dal comune.
“Sai che sei qui per essere interrogato, non è vero?” esordì Zayn, poggiandosi contro il bordo della scrivania e scrutandolo con attenzione.
“Non dirò nulla che possa tradire il mio popolo” affermò l’altro con risolutezza, guardandolo fisso in segno di sfida.
Il moro sospirò: aveva imparato a capire che il tenente aveva un coraggio fuori dal comune, dal quale lui doveva riuscire a proteggerlo.
“Cercheranno di costringerti a parlare” lo mise in guardia, stando ben attento a non includersi in quella spaventosa entità senza nome “Non si fanno scrupoli nel torturare i nemici, soprattutto se si tratta di gente di Naimhde”.
“Resisterò”.
La sua ostinazione, fu costretto a pensare Zayn, era davvero ammirevole, anche se l’avrebbe soltanto portato all’autodistruzione.
“Ragiona” lo invitò “Si potrebbe arrivare a un compromesso vantaggioso per ambo le parti. Se collaborassi, verresti senza dubbio rilasciato”.
“Non lo farò”.
Il generale iniziava ad arrivare al suo limite di pazienza, perché non poteva sopportare l’idea della fine di quel giovane e valoroso soldato.
“Stai decretando la tua fine!”sbottò, battendo un pugno serrato contro il tavolo, carico di frustrazione.
“Credi che non lo sappia?” ribatté prontamente Niall “Sono un essere umano anch’io, Zayn, e come tutti ho paura del dolore e della morte. Ma, nonostante ciò, non cederò e mai scenderò a compromessi. È la mia ultima parola”.
Zayn si prese il capo fra le mani, sospirando profondamente e cercando una soluzione che potesse salvare la vita del suo nemico, ma era inutile. Non c’erano scappatoie.
“Non posso permetterti di firmare la tua condanna in questo modo” sussurrò affranto, perdendo il proprio abituale controllo e sporgendosi verso di lui, stringendo una delle mani bianche e affusolate del biondo fra le proprie.
Niall sussultò: non si era aspettato una tale dimostrazione di – come definire in modo appropriato ciò che Zayn gli mostrava? – trasporto nei propri confronti.
Perché il suo avversario sembrava a tutti i costi volerlo aiutare? Era una trappola?
E perché lui avvertiva dentro di sé una sconcertante tendenza ad assecondare quello stesso avversario in ogni cosa che diceva? Perché, quando gli sembrava che si preoccupasse per lui, era costretto a nascondere un sorriso?
Cos’era dunque quel sentimento che, sfidando le avversità come un bucaneve che si erge delicato oltre la coltre bianca, sbocciava in lui con la stessa dolcezza e fragilità di quel fiore?
Niall gli accarezzò piano i palmi delle mani, gli occhi persi in ogni sfumatura diversa che si fondeva in quella pelle e il cuore rigenerato dal lieve contatto.
“Se non fossimo nemici sarebbe tutto più facile” si ritrovò a bisbigliare, il tono basso e scoraggiato.
“Ma lo siamo” fu la triste risposta di Zayn, che teneva lo sguardo puntato sul pavimento, un’espressione profondamente infelice dipinta sul viso.
“Sì, lo siamo”.
Sapevano che niente, niente!, avrebbe mai potuto cancellare i secoli di lotte sanguinarie e disprezzo che univano e distruggevano le loro terre; quello in cui vivevano era ed era sempre stato un mondo privo di possibilità di scelta e, soprattutto, nel quale non era contemplata la felicità.
“Ho una promessa sposa” disse improvvisamente il moro, come inghiottendo un boccone amaro.
“Davvero?”
Niall non voleva sbilanciarsi troppo, preferiva prima capire appieno quale fosse il suo parere al riguardo.
“Ricca, nobile, bella e di famiglia facoltosa, proprio come si conviene a uno del mio rango. Proprio come si conviene a Zayn Malik”.
“Ne sarai lieto” azzardò il tenente, sentendo il cuore incrinarsi nel petto.
“A dir la verità, la sola idea di andare con una donna mi disgusta. Per quanto esse siano limpide e meravigliose, non riesco ad abituarmi al pensiero di essere costretto a fingere di amarle”.
L’anima di Niall venne animata da un’improvvisa vampa di speranza e voglie taciute, che riuscì a esprimere soltanto intrecciando le loro dita.
“Potresti rifiutarti di sposarla” suggerì sottovoce.
“Potrei” convenne Zayn, rivolgendogli un sorriso malinconico “E dopo? Mille altre potrebbero prendere il suo posto. Se, succedendo a mio padre, erediterò il comando militare del paese, è tradizione che mi sposi entro il compimento dei venticinque anni”.
“Non… non farlo”.
La pelle pallida del viso del biondo si colorò all’istante di rosso, tuttavia lui sostenne comunque lo sguardo penetrante e vigile di Zayn, che pareva leggergli dentro.
“Perché non dovrei?” esclamò, con inaspettata energia “Non posso, Niall, non posso!”
Sentiva il sangue pulsare forte e disperato nelle vene, infiammandogli le membra e la mente, anche se sapeva che il suo ardore sarebbe stato inutile contro un universo che o prima o poi sarebbe riuscito a piegarlo al proprio volere.
Non riusciva a capacitarsi di quello che, come una inattesa valanga, l’aveva sommerso da capo a piedi, portandogli via il respiro e facendolo inchinare al cospetto di quell’instancabile tenente venuto da lontano.
Come poteva amare un nemico, quando sapeva che non gli sarebbe neppure stato concesso di scegliere la donna che preferiva tra quelle proposte da suo padre?
Zayn era sempre vissuto all’ombra di quell’uomo spietato, giudicato come la più potente arma offensiva di Fiender, e tutti si aspettavano che lui non fosse diverso.
Si aspettavano che, quando Yaser Malik fosse diventato troppo vecchio per dirigere le operazioni di guerra, il figlio avrebbe preso il suo posto e le avrebbe condotte con eguale successo e ferocia.
Ma la verità era che lui non era come suo padre; in realtà, Zayn aveva dentro emozioni troppo profonde e giuste perché la battaglia potesse sormontarle, e ne temeva l’influenza.
“Dovrei odiarti” intervenne Niall, distogliendolo da quei pensieri “È per colpa tua e del tuo popolo se, quando avevo appena tre anni di età, i miei genitori sono stati uccisi in un conflitto, lasciandomi orfano. E dovrei odiare specialmente te, che porterai avanti ciò che tuo padre e la stirpe dei Malik hanno iniziato e perpetrato nel tempo. Dovrei, eppure…”
“Eppure?” lo incalzò il generale, facendo un passo verso di lui e frugando nelle sue iridi per trovarvi bagliori di emotività.
“Non ci riesco” affermò infine Niall, riducendo ancora la distanza fra loro e, essendo più basso del moro, appoggiando la fronte contro il suo petto che si alzava e si riabbassava svelto.
In un gesto a cui gli sembrava di agognare da tutta la sua esistenza, Zayn lo cinse gentilmente con le braccia e lo avvicinò appena di più a sé, ritrovandosi con le proprie labbra sui suoi capelli dorati.
“Tu soffri, Niall”.
Questi si strinse nelle spalle, beandosi di quel nuovo istante che sorprendeva entrambi e li rendeva cera nelle mani del destino.
“Tutti soffriamo, ogni giorno” fece una pausa, socchiudendo gli occhi e fremendo al tocco della bocca dell’altro contro la sua fronte “Credevo di essere immune a tutto questo. Pensavo che, essendo tanto temprato, non sarei mai e poi mai caduto in un inganno così banale, incatenato dalle mie stesse passioni” impreparato di fronte a quella sincerità, Zayn trattenne il fiato “Ho sempre cercato di controllare me stesso e di cavarmela da solo, anche a partire dal fatto che in passato nessuno si è occupato di me se non per addestrarmi e istruirmi. Ho vinto contro un’infanzia solitaria, contro un’adolescenza insicura e traumatica, contro il vuoto della mia esistenza e il ribrezzo degli altri per ciò che sono e per quel che provo. Ho lottato e trionfato contro tutto e tutti, ma ora… ora, che ne è di me?”
“Mi sei mancato” gli rispose Malik, spostando le labbra e facendole scivolare lungo il profilo del suo volto di marmo “Da sempre aspettavo che qualcuno come te arrivasse, ma temevo anche quel momento, perché sapevo che saresti stato capace di uccidermi. E adesso fa male, perché ciò che sta accadendo sta sgretolando quello per cui ho lavorato tutta la vita, recidendo le mie fondamenta e le mie radici. Non sono mai stato autentico – non so se la colpa sia da imputare alle continue pressioni che mi opprimono a causa della mia posizione sociale e dinastica – il che mi ha sempre, in un certo senso, confortato. Meglio rimaner cieco alla realtà, se essa è troppo difficile da tollerare.
Però, e non so perché, ora sto aprendo gli occhi e, sebbene sia abbagliato, finalmente vedo la luce”.
Le parole di entrambi – affrettate, avventate e troppo reali per esser pronunciate a voce alta come avevano fatto – veleggiarono spumose fra le pareti di granito, riempiendo i loro pensieri fino a ridurli al punto di rottura.
Sì, alfine gli argini stavano per spezzarsi, e il fiume avrebbe inondato le valli circostanti con la sua piena impetuosa e purificatrice.
“Cosa stiamo facendo, Zayn?” soffiò Niall, alzando il capo verso di lui e puntandolo con i suoi occhi lucidi e non più di ghiaccio insensibile, divenuti marea incontenibile.
“Non lo so”.
Il respiro delle sue parole colpì bruciante ogni centimetro del corpo del biondo, mentre il cuore accelerava e prendeva il volo verso cieli infiniti, svanendo fra le costellazioni degli amanti.
E poi, tutto precipitò. Tutto nacque, si ricompose e trovò il proprio posto nel mondo, ricongiungendosi e percorrendo un cerchio senza limiti che univa anime e impeti in un nastro di seta vermiglia.
Ogni cosa – la luna che occhieggiava dal firmamento, il vento che spiava fra i rami degli abeti con sguardo curioso, le luci opache e lontane che li osservavano dall’alto delle torri, le loro palpebre che si chiudevano e lo scontro dolcissimo dei due corpi – nacque e perì quando le loro labbra si toccarono.
E non capivano più chi stesse baciando chi, non capivano né perché né quando, ma sapevano soltanto che: , era giusto.
Forse era la lingua di Zayn nella bocca di Niall, o forse era al contrario; forse erano i denti di Niall che mordicchiavano avidi Zayn, o forse viceversa; forse erano i loro respiri insieme che, affannosi, celeri e per la prima volta completi, formavano una sola cosa.
Ma non importava. Niente importava, perché tutto era loro.
E, in quei secondi che sapeva che mai avrebbe potuto dimenticare, Niall ritrovava se stesso nel sapore irresistibile di Zayn, nelle loro salive mischiate e nelle proprie mani che gli tiravano i capelli neri, allacciandosi poi dietro al suo collo come a non volerlo mai più lasciare andare.
Zayn, dal canto suo, aveva perso ogni riflessione razionale e logica nello stesso momento in cui le vellutate labbra del biondino avevano cominciato a saggiare le sue, appianando ogni insicurezza e paura e lasciando spazio solamente a una verità che non voleva più negare.
Sapevano che era sbagliato, ma ciò aveva per loro davvero un significato? Come poteva essere sbagliato quell’amore che, sfidando temerario le aspre difficoltà, era esploso con la forza di una supernova, trascinandoli in buco nero di meraviglioso oblio al quale mai avrebbero voluto sottrarsi? Come poteva essere sbagliato riuscire a scorgere nel buio una traccia di luminescenza?
Però, nonostante tutto, non potevano. Non potevano lasciar spazio a quel che provavano perché, ed era una realtà che non avrebbero in alcun modo potuto influenzare, i loro popoli erano rivali nella più cruenta guerra che avesse vessato l’isola negli ultimi tre secoli, e l’amore non era considerato un’eccezione all’odio.
Fu Zayn, il suo spirito che si scuoteva veemente, a interrompere quel bacio che era riuscito momentaneamente a salvarli dalla concretezza della società. Si staccò di colpo, respingendo Niall quasi con violenza, allontanandolo da sé e puntandogli addosso due occhi sconvolti.
Ogni traccia di bronzo era scomparsa dalle sue iridi, lasciando il posto a una terra bruciata che sembrava non poter più essere ferace.
“Va’ via”.
“Zayn, aspetta soltanto…”
Questi non gli concesse neppure il tempo di parlare perché, ansimando piano, si rassettò la camicia, spalancò la porta dei propri appartamenti e, affacciatosi in corridoio, chiamò a gran voce le guardie.
“Riportate questo prigioniero nei sotterranei” ordinò in fretta, il cuore che martellava come mai aveva fatto prima.
Quello sguardo azzurro, artico di nevischio e grandine, lo tenne ancorato al suolo finché Niall non fu trascinato a forza fuori di lì e, non appena la porta si chiuse con un gran tonfo, Zayn si accasciò su se stesso, le carni squarciate dalla sofferenza.
Soltanto quando si rese conto di essere prostrato a terra e di avere un gran senso di nausea, il moro si accorse anche di star piangendo silenziosamente, le lacrime bollenti che gli scivolavano lungo le guance, il gusto di Niall ancora sulla propria lingua.
Si odiava con tutte le proprie forze per averlo scacciato in quel modo così brusco, ma non aveva avuto altra scelta pur di salvare se stesso.
Lui era Zayn Malik, era il figlio del comandante Malik, era il generale dell’esercito di Fiender, e presto avrebbe condotto le sue truppe sul campo, contro un’orda di nemici.
Come poteva starsi innamorando di Niall Horan, originario delle lontane e fertili terre di Naimhde, che con un semplice sguardo era stato capace di fargli perdere la bussola?
 
 

Ormai da settimane Niall si trovava nelle celle del maniero di Fiender, in attesa che qualcosa – qualunque cosa – accadesse. I secondini continuavano a passare fra le gallerie, anche se erano diventati silenziosi e non gli rivolgevano la parola neppure per un'ingiuria.
Il tenente era convinto che, se la situazione avesse continuato ad esser tale, presto avrebbe cominciato a parlare con se stesso per spezzare il silenzio gelido di quelle carceri.
Inoltre, quella sospetta assenza di movimento nei confronti di un prigioniero speciale come lui gli dava la possibilità di rimanere a rimuginare per ore, il che riusciva unicamente a fargli del male.
Perché, per quanto cercasse di impedirsi di ripensarci, la sua mente correva costantemente a quell’angolo di gioia nel deserto che era stato il bacio con Zayn; quantomeno, lo era stato prima che questi lo fermasse con tanta fredda decisione, lasciandolo diviso in mille parti differenti e contrastanti.
Provava ancora la sensazione delle loro lingue intrecciate e indivisibili, quella delle grandi mani di Zayn che gli accarezzavano il viso e poi le spalle, protettive e affezionate insieme.
Però, si disse imperterrito, non aveva senso continuare a centellinare ogni brano di quei minuti che avevano passato l’uno fra le braccia dell’altro, perché erano ora perduti e vagavano senza padroni nel vento indomito.
Ogni parvenza di vita – perché, anche solo per poco, gli era sembrato di comprendere appieno il significato di quella breve e cruciale parola – si era dissolto nel momento in cui Zayn l’aveva respinto, però Niall di una cosa era certo: anche lui aveva provato dolore nel farlo.
L’aveva avvertito chiaramente, l’aveva scorto nell’espressione afflitta del generale mentre lo rispediva indietro fra spintoni rudi di grezzi soldati, rifiutato senza ricevere ragioni.
E la cosa peggiore era che, ora come ora, non poteva più mentire a se stesso, dicendosi che quella questione era dopotutto di scarsa importanza, poiché mai amore più sconveniente e duraturo di quello era sorto in un’eclissi di inverno.
Zayn e Niall avevano cercato di liberarsi dal giogo della crudeltà, ma in quel momento il biondo sentiva solamente di aver fallito in modo eclatante.
“Tenente Horan! Diamine, bastardo Naimhde, il generale Malik vuole vederti!”
L’interpellato balzò in piedi, il cuore che gli risaliva in gola e batteva a singhiozzo, sconcertato e privo di punti di riferimento.
“Che cosa?”
“Sei per caso sordo, o hai perso la ragione?” la guardia sputò a terra con esagerato sdegno “Il generale Malik ha chiesto che tu venga condotto nei suoi alloggi; fossi in te, direi le tue estreme preghiere in questa gabbia sotterranea”.
Niall abbozzò un sorrisetto, facendo sgranare gli occhi a quell’uomo tanto più ignorante della vita rispetto a un biondo gentiluomo di poco più di vent’anni.
“Credo che implorazioni e suppliche aspetteranno. Conducimi da lui”.

 
 
 










Angolo autrice:
 

salve a tutti!
Prima di iniziare uno dei miei soliti sproloqui a caso, vorrei ringraziare i miei lettori – specialmente chi mi recensisce – per l’accoglienza splendida che avete riservato al prologo di questa piccola Ziall senza tante pretese c:
detto ciò, mi scuso per il ritardo, ma al momento non sono in città e sto riuscendo a postare solo per un momento di generosità di mia sorella, che mi ha prestato il suo cellulare, che ha la connessione internet (io ho un Motorola risalente al dopoguerra, ehm ehm).
Scusate gli eventuali errori, ma essendo dal telefonino non posso rileggere.
Comunque sia, la storia fra i due personaggi ha avuto inizio, e nel modo più tormentato possibile. Ho cercato anche di rendere l’idea di un certo tipo di mentalità del tempo, che non è quella che potrebbe essere quella odierna – sebbene spesso abbia dei dubbi al riguardo…
Dato che in molti me l’hanno chiesto, questa mini-long non ha né una collocazione né un periodo definiti.
È, come ho già detto, inserita in una cornice storia: cornice, appunto, perché non reca dati precisi. I luoghi sono evidentemente immaginari, così come le vicende, e l’epoca equivale più o meno al diciassettesimo secolo, anche se non è del tutto corrispondente. Insomma, è semplicemente di fantasia.
Spero che questo secondo atto vi sia piaciuto; ad esser sincera, io sto iniziando ad affezionarmi parecchio ai personaggi, il che mi fa riconsiderare alcuni avvenimenti che avevo intenzione di inserire… ma non dico altro (:
siete sempre gentilissimi a seguirmi con tanta assiduità, davvero, non so che dire!
Spero che lascerete un parere anche a questo capitolo, e spero inoltre di poter postare con puntualità, anche se non sarà facile.

A presto,
 
firelight_
 
 
ps. la poesia iniziale è sempre di Neruda, una parte di ‘Ah vastedad de pinos’. Consiglio random: leggete le sue raccolte, sono meravigliose!
 
Ah, come sempre, sul mio account ci sono storie che attendono solo che un lettore le scopra.

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Capitolo 3
*** Atto terzo. ***


Atto terzo.

 
 



Ah la tua voce misteriosa che l’amore colora e piega
nell’imbrunire risonante e morente!
Così nelle ore profonde sopra i campi
vidi piegarsi le spighe nella bocca del vento.

 
 
 





Zayn era in attesa, lo sguardo fisso sulle schegge di ghiaccio che, portate dal vento nordico, ticchettavano contro la finestra, andando in frantumi.
Non era certo di star facendo la cosa giusta: era suo dovere di generale dell’esercito di Fiender richiamare a sé il prigioniero per interrogarlo e, se reso necessario dalle circostanze, ricorrere alle maniere forti. Ma come avrebbe potuto fare del male a Niall? E, soprattutto, come sarebbe riuscito a resistere all’unico che fosse mai riuscito a far battere più forte il suo cuore incatenato?
Qualcuno bussò alla porta e, con un sobbalzo, il giovane si raddrizzò la giubba e avanzò per schiudere l’uscio, dietro al quale trovò due guardie corpulente che trattenevano Niall.
Non appena incrociò quegli occhi azzurri, nobili e alteri esattamente come li ricordava, Zayn perse ogni sicurezza, ma come sempre celò le proprie debolezze dietro a una facciata impassibile.
“Lasciate qui il prigioniero” concesse, il tono gelido.
Il biondo venne spinto bruscamente all’interno della stanza, le mani legate dietro la schiena da una corda e i polsi arrossati; nonostante i capelli spettinati e le evidenti privazioni di intere settimane trascorse nelle carceri, Malik non riusciva a non trovarlo bello da star male.
Non appena la porta si richiuse con un tonfo cupo, il cuore di Niall eseguì una notevole impennata nel suo petto: avrebbe voluto mostrarsi sicuro di sé, ma in verità era terrorizzato.
Terrorizzato perché quel che provava per Zayn, il suo mortale nemico, si rafforzava ogni giorno di più, e lui non poteva far nulla per fermare quel lento processo di dolcissima autodistruzione.
“Dunque, Horan” esordì il più grande, schiarendosi la voce, senza avere il coraggio di guardarlo in faccia “Spero che la prigionia vi abbia sciolto un po’ la lingua”.
Niall la fece schioccare contro il palato, lo sguardo fermo.
“Potresti verificarlo tu stesso” ribatté, tagliente e provocatorio, lieto di vedere le guance dell’altro colorarsi di rosso a quell’allusione.
Zayn sembrava essere determinato a ignorare quel che era accaduto fra loro, nonostante l’uragano che lo uccideva da dentro, ma Niall era altrettanto ostinato nel non permetterglielo.
“Non esagerare” lo ammonì il moro, il sangue che pulsava più forte “La mia pazienza ha un limite”.
“Ah, davvero?” sbottò quello “Di preciso quale, Zayn? Il limite di settimane chiuso in quel maledetto sotterraneo, dopo esser stato cacciato via da te come se fossi solo un banale errore?”
“Taci!”
Il generale si sentiva esplodere, era come se le sensazioni stessero risalendo in superficie e premessero per uscir fuori e travolgere ogni cosa.
Si voltò di scatto a guardare Niall, e il cuore gli s’incrinò, per poi spezzarsi del tutto e andare in infinitesimali frammenti.
Questi aveva una posa aggressiva, un’aria furente e tenace dipinta sul viso pallido e il respiro accelerato, ma ciò che non poteva ignorare erano le lacrime lucenti addensate nei suoi occhi celesti, che gli bagnavano le ciglia chiare.
“Niall…”
Zayn gli si avvicinò di qualche passo, sentendo due forze opposte che lo strattonavano in direzioni differenti.
“No!” soffiò questi, feroce “Non voglio la tua pietà”.
“Ti prego”.
Improvvisamente il tenente si scagliò contro di lui, come ad assalirlo: tuttavia, tutto quel che Zayn riuscì a percepire furono le loro labbra schiacciate goffamente l’una contro l’altra per un breve secondo, poi Niall si accasciò fra le sue braccia e – il viso premuto sulla sua gola – cominciò a piangere in silenzio, minuscole gocce d’acqua salata che gli scorrevano sulle gote smunte.
Il moro sentiva un groppo in gola, ma riuscì comunque a stringerlo forte a sé, baciandogli dolcemente i capelli in disordine, tenendo insieme quel fragile corpo singhiozzante che racchiudeva l’anima di un grande uomo.
“Oh, Dio, mi sei mancato talmente tanto” sussurrò Niall, le parole che sibilavano nell’aria e si attorcigliavano ai loro pensieri.
Zayn, senza pensarci su due volte, estrasse il coltellino dal fodero e tagliò la fune che gli bloccava le mani, e subito il ragazzo ricambiò la stretta disperata, portandogli debolmente le braccia al collo.
“Anche tu” bisbigliò “anche tu”.
Niall annuì piano, non accennando a staccarsi da lui, il pianto condiviso sulla loro pelle, la bocca che teneramente cominciava a sfiorargli il collo e lo faceva sospirare.
Infine sollevò lo sguardo, immergendosi nelle sue iridi di miele e cenere.
“Perché?” mormorò, socchiudendo le palpebre “Che giustizia c’è in questo? Perché sono destinato a star lontano dal solo che potrei mai amare?”
Zayn sussultò, sentendosi inesperto di fronte a quell’intensità di sentimenti che – perché negarlo persino con se stesso? – anche lui si ritrovava a provare.
“E se anch’io ti amassi?”
Piccole grandi parole che sfuggono senza permesso, piccole grandi verità che aleggiano nella brezza e ci colpiscono di sghimbescio, volando e danzando sempre più in alto.
Cos’era, per loro, la vita?
Niall fece una risata bassa e incredula, le lacrime che avevano smesso di scorrere e due nuovi pomelli rosati sulle guance.
“Non mi importerebbe di altro” affermò con sincerità, posando una mano candida sul volto dell’altro e accarezzandolo con delicatezza.
Zayn assentì quasi fra sé e sé, non riuscendo ad allontanare gli occhi da quei pozzi immensi di lande innevate che erano quelli di Niall, i quali lo catturavano, drogandolo con il veleno più delizioso che avesse mai avvertito nelle vene.
E poi lo baciò. Lo baciò perché non avrebbe potuto fare altrimenti, lo baciò perché era l’unica cosa che volesse davvero, lo baciò perché Zayn Jawaad Malik era nato per amare Niall James Horan con tutti gli anneriti brani della sua anima tormentata che, su quelle labbra rosse, rinasceva.
E ora non aveva più senso rifiutare di amarsi, perché era impossibile, perché era imprescindibile dalle loro anime, un destino che non potevano né volevano contrastare.
Cosa sarebbero stati l’uno senza l’altro, se non ombre prive di qualsiasi segno di vita?
Zayn tracciò il contorno delle sue labbra con la lingua, facendogliele aprire e insinuandogli la lingua in bocca, provocandogli un sorriso leggero e un brivido lungo la schiena.
E li faceva star così bene che non avrebbero mai smesso; le lingue che si cercavano e si ritrovavano gioiose, il fiato caldo che si fondeva insieme e s’affannava sempre più, dita che esploravano un corpo e gemiti soffocati in bocca all’altro, fremiti sulla pelle e voglia nella carne: ogni cosa era tanto perfetta da accecare.
Non importava se di tanto in tanto mancava il respiro, perché bastava separarsi per un momento e ricongiungersi l’attimo dopo, vicini e indivisibili per paura di essere un giorno costretti a dividersi.
Quando Niall sentì Zayn cominciare a lambirgli il collo con la lingua calda, si abbandonò completamente al suo abbraccio, beandosi di quel che gli sembrava un assaggio di Eden terreno. Si ritrovò, nella foga dei loro movimenti appassionati, a venire sospinto contro uno dei mobili pregiati, e in un secondo vi si sedette sopra, avvolgendo i fianchi dell’amante con le gambe e riprendendo a baciarlo con avidità.
“Non è possibile che tu mi faccia perdere la testa in questo modo” borbottò Zayn, divertito e un poco contrariato, ma soprattutto desideroso di saggiare quel corpo che teneva stretto.
Niall sorrise, arrossendo appena per l’inaspettato affanno nella voce dell’altro, ogni pensiero cancellato dal contatto dei loro bacini che si scontravano leggermente a ogni sfioramento.
Riusciva solamente a realizzare quanto fosse meraviglioso mordicchiare il labbro del moro, che ogni volta emetteva un roco lamento di approvazione, e infilargli le mani sotto la camicia per scoprire la sua pelle liscia e bollente.
“Sto per mandare al diavolo il mio autocontrollo” lo avvertì Zayn, che gli stava lasciando piccoli baci umidi lungo il mento.
“Approvo pienamente” mugugnò soltanto, facendosi sfuggire un gemito quando l’altro prese a succhiargli e leccargli la pelle fino a marchiarlo con un segno rosso ed evidente.
Da quel momento in poi, tutto ciò che risuonò per le pareti della stanza – dopo che Zayn ebbe sapientemente fatto girare il chiavistello per due volte – furono respiri veloci che si disperdevano nelle pieghe della pelle accaldata, baci troppo innamorati per sembrare reali e sospiri appagati a ogni tocco.
Fu solo quando Niall, capendo che il generale di Fiender doveva avere certamente meno esperienza di lui con gli uomini, si tolse la camicia di foggia tipica delle sue terre, che Zayn si lasciò andare a se stesso.
Aveva avuto paura che il biondo non volesse spingersi così oltre, ma gli eventi che si affollavano attorno a loro li opprimevano e mettevano addosso una fretta smaniosa.
“Voglio fare l’amore con te” gli disse Niall sottovoce, guardandolo dritto negli occhi senza traccia di timore o timidezza, sicuro di sé come mai era stato semplicemente perché quel che provava non lasciava spazio a dubbi.
E allora Zayn sorrise – un sorriso da ragazzino che non aveva mai avuto il coraggio di mostrare a nessuno, il sorriso raggiante di chi non vede altro che luce e si compiace del Sole che lo illumina, il sorriso di chi ama e fa dell’amore il proprio eterno scudo nei confronti della vita.
Continuarono a baciarsi con una tenerezza che entrambi usavano per la prima volta anche mentre, le mani che tremavano emozionate e si inceppavano su bottoni e cerniere, i loro vestiti cadevano a terra, facendoli sentire terribilmente giovani, maldestri e felici.
E Niall aveva un po’ paura perché gli sembrava di imparare tutto daccapo, e Zayn aveva un po’ paura perché mai gli era successo di sentire sotto le dita ciò che di più importante aveva al mondo, ma non aveva importanza.
Nudi fra le lenzuola bianche e fruscianti, illuminati dalla luce fioca delle candele e da quella di una fetta di luna oltre le torri, si guardarono brevemente negli occhi, cercando di esprimere quel tutto che li animava profondamente.
Niall sentiva la lingua dell’altro ovunque sul proprio corpo e, dopo avergli baciato le labbra con affettuosa premura, Zayn affondò dentro di lui, prendendolo con voluttà rispettosa, violando quell’antro ardente e immergendosi in una distesa di oblio.
Fecero l’amore dolcemente, senza fretta, impegnandosi a scoprire ogni cosa l’uno dell’altro e beandosi delle grida gutturali soffocate mordendosi forte le labbra per far silenzio.
Zayn credette di vedere la luna brillare sulle goccioline di sudore che imperlavano la pelle diafana del biondo, fremente di piacere sotto di lui, e il pensiero di essersi innamorato del proprio universo gli attraversò irrazionale la mente. Niall in lui vedeva la notte che morbida lo avvolgeva, un’oscurità che non gli incuteva più timore ma che si intrufolava in ogni suo angolo e lo trasformava in una persona nuova.
Fecero l’amore più e più volte durante ore che parevano troppo brevi per tutto ciò che desideravano, donandosi accurate attenzioni a vicenda, amandosi e conoscendosi in ogni sospiro, in ogni morbida e affannosa spinta che li rendeva un unico corpo.
E fu l’alba quando, sfiniti e tremanti per le troppe emozioni che li facevano traboccare, si nascosero sotto un rifugio di coperte, accoccolandosi l’uno contro l’altro.
Sussurrarono e si baciarono all’infinito, facendo unire le loro labbra umide che si cercavano in ogni momento, finché non caddero nel sonno e – dietro i monti innevati – il sole si risvegliò.
 
 

Quando Zayn aprì gli occhi, sorrise.
L’irragionevolezza passionale della sera prima era scemata, ma il sentimento che lo pervadeva dalle radici persisteva, riempiendolo di calore. Cercò di pensare in modo razionale, accarezzando piano il corpo bianco che teneva fra le braccia, osservando i respiri che gli gonfiavano impercettibilmente il petto, lo sguardo che scivolava su ogni centimetro di quella pelle cerea.
Era consapevole di non aver scusanti per ciò che aveva fatto la notte precedente – l’amore non sarebbe mai stato considerato una giustificazione – tuttavia non riusciva a considerarlo come un errore.
Il fatto che il tenente di Naimhde fosse comunemente definito un nemico, per lui non aveva più alcun valore; era semplicemente l’uomo che – in modo del tutto inaspettato – amava, e sapeva che ciò non sarebbe cambiato.
Niall biascicò qualcosa nel sonno, si girò su un fianco e gli si posizionò meglio addosso, raggomitolato su se stesso, il fiato che gli sfuggiva e s’infrangeva contro l’incavo della gola di Zayn.
Senza preavviso, mentre questi si chinava per baciarlo sul capo, il biondo spalancò gli occhi limpidi e lo guardò con una sorta di gioioso stupore, strofinando il naso sulla sua pelle.
“Buongiorno, Zayn” farfugliò assonnato, strizzando le palpebre e rivolgendogli un sorriso obliquo.
Zayn sentiva il cuore battergli più forte, perciò non resistette oltre e unì brevemente le loro labbra, permettendo al sapore del più giovane di rubargli la lucidità.
Quando si separarono, Niall si stiracchiò come un felino e si mise a sedere, scompigliandosi i capelli chiari con una mano e guardandosi intorno, schermandosi dalla luce che lo colpiva.
Prima che uno dei due potesse dire una parola, si sentì bussare alla porta e il generale rabbrividì, i pensieri di colpo invasi dalla cruda realtà che li attendeva là fuori.
“Generale Malik, signore?” azzardò una voce dall’altra parte della soglia.
I due amanti si scambiarono una breve occhiata, poi Zayn si alzò in piedi e prese un lungo respiro.
“Che cosa c’è?” domandò, maledicendo la propria voce arrochita e instabile.
“Stiamo cercando il prigioniero di Naimhde; il maresciallo Mills mi ha riferito che voi siete stato l’ultimo a interrogarlo”.
“Esattamente” confermò sbrigativo, cercando una soluzione.
“Non si trova più nei sotterranei, signore”.
“Certo che no” convenne lui, messo ormai alle strette “L’ho fatto condurre nell’antica Sala della torre più alta, credo che lì troveremo un metodo adatto per farlo parlare”.
“Quali sono gli ordini, generale?”
“Nessuno” si affrettò a rispondere, le mani serrate a pugno “Dite al maresciallo che fra poco lo raggiungerò nell’Ufficio Riunioni”.
“Sissignore”.
Rimasero ad ascoltare i passi della guardia di palazzo che si allontanavano, rimbombando lungo il corridoio di pietra, poi Zayn si voltò di scatto a guardare Niall.
“Non c’è tempo da perdere” balbettò, cominciando impacciato a rivestirsi “Dobbiamo fare in fretta!”
Il biondo gli si avvicinò incerto, prendendogli una mano per fermare i suoi gesti frenetici.
“Che intendi dire?”domandò, senza peraltro aver alcuna voglia di udire quel che sarebbe stato il verdetto del loro destino.
“Devi andar via”affermò il più grande, un groppo in gola “Devi subito andar via da Fiender”.
 
“No. Zayn, no! Non ti lascerò mai, non posso sopravvivere senza di te”.
Sentiva il pianto infiltrarsi malevolo nella voce di Niall, ma Zayn sapeva di non avere altra scelta e, ignorando la sensazione di avere a propria volta gli occhi lucidi, gli catturò le mani fra le sue e le baciò convulsamente.
“Devi farlo, invece. Se rimanessi qui al castello, verresti torturato e infine ucciso. Non posso permetterle che accada”.
“Io… io ti amo. Non ti abbandonerò qui”.
Il moro gli baciò una lacrima solitaria che stava rotolando giù per il suo viso.
“Non puoi rimanere in terra nemica, Niall. Se cercassero di farti del male, mi recherei in tua difesa e di conseguenza verremmo entrambi uccisi. È questo, ciò che vuoi?”
Niall impallidì, sconvolto da quanto l’altro potesse essere sottilmente subdolo pur di convincerlo a salvarsi la vita.
“Sai che non è così!”
“Allora devi fuggire”anche Zayn aveva il volto invaso dal pianto, ma non c’era tempo per curarsene “Sei tutta la mia vita, e non permetterò che per colpa mia ti accada qualcosa. Devo riuscire a farti scappare dalla fortezza”.
“Vieni con me” disse l’altro, senza pensarci su “Potremo allontanarci da Fiender e Naimhde, viaggiare in terre lontane e non tornare mai più. Insieme”.
Il silenzio regnò sovrano per pochi secondi, mentre i due si guardavano negli occhi, straziati dalla sola idea di non rivedersi più e di separarsi per sempre.
“Insieme” ripeté piano Zayn.
E, fra le lacrime che scorrevano copiose, suggellarono il loro patto d’amore con un bacio.
 
 

Con il cappuccio nero calato sugli occhi, Niall faticava a vedere fra l’intrico di viali del parco del castello, ma si lasciò guidare da Zayn che – nonostante fosse camuffato allo stesso modo – non compieva mai un passo falso.
Si nascosero svelti sul retro di una stalla, le mani sempre vicino all’elsa della spada nascosta sotto i mantelli scuri, lo sguardo saettante e acuto che scandagliava ogni azione estranea.
Un solo sbaglio sarebbe costato loro la vita.
Zayn lo guidò lungo il profilo delle mura, alla ricerca di un punto privo di guardie che avrebbe loro permesso di sgattaiolare fuori, anche grazie all’aiuto del passepartout che – come generale dell’esercito – lui possedeva.
“C’è un passaggio” affermò d’un tratto “tra le torri Est e Nord-est. Durante il giro di perlustrazione, quel cancello viene lasciato senza protezione per la durata di circa trenta secondi. Dobbiamo riuscire a uscire passando di lì”.
Niall annuì soltanto, stringendogli forte una mano e inspirando bruscamente a ogni passo dei militari di Fiender che marciavano a centro metri di distanza.
Il moro evitò il suo sguardo, ben sapendo che – se solo l’avesse incrociato – l’altro gli avrebbe letto la sconfitta nelle iridi. Zayn sapeva che il tempo non sarebbe stato sufficiente perché entrambi uscissero fuori dalla cinta muraria senza che nessuno se ne accorgesse, ma cercava di non pensarci.
Sapeva che, una volta che il tenente fosse passato oltre i fossati, le guardie si sarebbero precipitate verso di loro e lui avrebbe dovuto cercare di trattenerle abbastanza a lungo per permettere al compagno di fuggire; e, nonostante questo garantisse la sua morte certa in quanto traditore della patria, riusciva ugualmente a non occuparsene. Se era il prezzo da pagare perché la vita di Niall venisse risparmiata, non si sarebbe tirato indietro.
Zayn si voltò verso il biondo, catturando per un momento la luce dei suoi occhi di firmamento celati dalla stoffa, poi volse il capo in direzione dei battaglioni che percorrevano il cortile.
Ancora pochi attimi e avrebbe messo in atto il suo piano.
Fece lentamente risalire la sua mano sul volto candido di Niall, la pelle liscia e morbida sotto i polpastrelli e – del tutto senza preavviso – lo coinvolse in un bacio disperatamente infuocato, che sapeva di amarezza e di addii.
Quando si separarono, il biondo avrebbe voluto chiedergli qualcosa, avrebbe voluto esser rassicurato e sentire che sarebbero rimasti insieme per sempre, ma non ne ebbe la possibilità.
Zayn gli fece un cenno e, silenzioso come la notte, sgusciò fuori dal loro nascondiglio, diretto verso il varco fra le mura; lui si affrettò a seguirlo e, non appena il generale gli passò velocemente il passepartout, lo fece scattare nella serratura per costringerla ad aprirsi.
Fu in quell’istante che il silenzio crollò; una vedetta, che si trovava appostata sulle torrette ornate da bandiere e stendardi variopinti, gettò un grido di avvertimento lungo tutta la vallata.
“Intrusi! Due intrusi incappucciati in fuga tra le torri Est e Nord-est! A tutte le milizie di Fiender: accorrete!”
Zayn, già preparato di fronte a un attacco di quelli che sarebbero dovuti essere i suoi alleati, sguainò la spada e si mise in posizione, pronto a combattere fino alla fine.
Niall, alle sue spalle, si immobilizzò. La porta si era aperta, la chiave era ancora infilata nella toppa, ma lui non riusciva a muoversi di un millimetro, perché tutto ciò che gli apparteneva era ancorato al coraggioso soldato che si apprestava a difenderlo a costo della propria vita.
“Scappa, Niall!” gli gridò il moro, angosciato, mentre già alcune guardie li raggiungevano e sfilavano le sciabole dai foderi intarsiati “Posso trattenerli, ma tu devi andartene!”
Incrociarono le lame e Zayn, con abilità dettata da una combinazione di talento e funesta abitudine, si liberò del primo avversario.
Tuttavia, per quanto egli potesse essere capace, i nemici erano troppi, ed era evidente che o prima o poi sarebbero riusciti a sopraffarlo.
Niall, ignorando i suoi richiami afflitti, si pose al suo fianco e trasse a sua volta l’arma, i cappucci che scivolavano via e rivelavano i volti di un soldato di Naimhde e uno di Fiender che combattevano fianco a fianco per salvarsi la vita.
Nel momento in cui il comandante Yaser Malik – a detta di tutti disumano e insensibile –, a capo della fazione che stava assalendo i due, riconobbe i tratti di suo figlio, si pietrificò sul posto, impallidendo terribilmente.
“Niall, devi andar via!” Zayn era completamente abbattuto “Se rimarrai qui, moriremo!”
Il biondo sferrò una violenta stoccata, trafiggendo la carne rivale con la lama e distogliendo lo sguardo dal sangue che iniziava a scorrere a fiotti.
“Allora moriremo insieme” asserì, schivando un colpo “Non ti lascerò”.
Da tutte le parti accorrevano legioni di soldati armati per fermare i fuggiaschi, ed entrambi vedevano srotolarsi davanti ai loro occhi un fato crudele che non li avrebbe risparmiati, recidendo ogni loro speranza e illusione di felicità.
Nulla avrebbe potuto salvarli da quel che si prospettava all’orizzonte: nulla, a meno che…
Niall ringhiò un’imprecazione e si portò una mano alla spalla, dove una ferita andava aprendosi e allargandosi, e un agghiacciante chiazza scarlatta cominciava a inzuppargli i vestiti.
Alzò il viso verso il suo avversario, non sorpreso di vedere il maresciallo Mills con un sogghigno malvagio sul volto, che si preparava a sferrare il colpo finale. Il tenente sollevò la spada, ma sapeva che sarebbe stato troppo tardi per parare l’attacco, e la sua intera esistenza gli attraversò la mente in un turbinio di immagini.
 
Le bare lustre dei suoi genitori sotto la luce pallida d’inverno, sommerse da mucchi di terra e oppresse dalle insensate e inutili litanie del prete; le pareti gelide e impersonali della residenza di famiglia, ornate da poche torce che non riuscivano a rischiararle; rigidi istitutori, nozioni polverose apprese su libri polverosi, clangore di spade e sibilo di frecce all’Accademia; i dormitori delle reclute e i corpi sudati dei compagni d’arme in astinenza; le battaglie di sangue e terra e zanzare e rumore sul campo, calcati tra eserciti sconosciuti.
Zayn: la sua voce, il suo sorriso, i baci colpevoli e quelli innamorati, la notte d’amore senza paura di esser sbagliati, il risveglio con il suo profumo che lo pervadeva tutto; i capelli neri che solleticano il viso, occhi di fiamma inestinguibile che ardono nella notte, labbra vellutate che donano ambrosia, un corpo caldo che elargisce sempre nuovi picchi di desiderio e bramosia. Parole strette nelle loro bocche, troppo vere per esser pronunciate e troppo belle per esser taciute, mormorate fra denti, lingua e saliva in un intreccio di amore inopportuno e meraviglioso.
Fu un attimo, e la figura corpulenta di Mills crollò a terra davanti ai suoi occhi, senza vita, le orbite che vagavano a sondare un cielo che non potevano più vedere. Alle sue spalle, la mano serrata saldamente su un’elsa di avorio, il comandante Yaser Malik lo guardava fieramente negli occhi, consapevole di avergli appena salvato la vita.
“Porta via Zayn” si sentì dire Niall, nella cruda confusione di ghiaia “Correte lontano e non guardatevi più indietro”.
E il biondo avrebbe voluto piangere, gridare e uccidere, perché non sapeva come avrebbe mai potuto salvare colui che amava da una morte che si preannunciava quasi incontrastabile, tuttavia doveva tentare. Riusciva appena a vedere le celeri mosse dei due Malik che, eliminando un soldato di Fiender dopo l’altro, si mantenevano in vita, cercando di non perire sotto il fuoco amico.
Niall afferrò Zayn per un braccio, sottraendolo alla battaglia e trascinandolo dietro di sé con tutte le forze che possedeva, le lacrime del cielo che si riversavano su di loro in un accecante boato; il sangue non aveva smesso di scorrere, ma riuscì comunque a spingere il cancello e a barcollare oltre la soglia.
Poi udì l’esplosione.
La mano del comandante Malik aveva appena lasciato andare una granata, facendola schiantare contro il suolo, proprio fra i suoi uomini. Proprio di fronte a sé.
Zayn, riacquistando il sangue freddo e rendendosi conto della situazione, recuperò il passepartout e chiuse la cancellata con fragore, i polmoni invasi dall’odore di carne bruciata, che mai più sarebbe riuscito ad allontanare dai pensieri.
Infine, mano nella mano, immersi in sangue e dolore, le scarpe che slittavano sulle pendici scivolose del colle, fuggirono.
Fuggirono insieme, due cavalieri sotto la pioggia.
 

* * *

 
Niall rise, avvolgendosi il corpo nudo nel lenzuolo ruvido, le braccia attorno al collo di Zayn e i denti che gli stuzzicavano il lobo dell’orecchio.
“Mi trovi tanto ridicolo?” sbuffò il moro, alzando gli occhi al cielo e trattenendo un sorriso.
Attirò il suo ragazzo più vicino a sé, facendo scontrare ogni centimetro della loro pelle e rabbrividendo per la sensazione che quel contatto scatenava.
“Scusa” ridacchiò l’altro, dandogli un bacio all’angolo della bocca “Ma sei un pessimo allievo”.
“Sei stato tu a decidere di emigrare in Irlanda” lo rimbeccò Zayn, mettendosi a sedere e sporgendosi verso i cassetti semiaperti del comò per cercare un po’ di tabacco “Ti avevo detto che non sono portato per le lingue straniere”.
“Comunque sia, per tutto il resto che abbia a che fare con le lingue sei molto, molto portato. Posso testimoniarlo personalmente”.
Niall si innamorò per l’ennesima volta dell’espressione sbigottita e leggermente imbarazzata – solo un pizzico, che però era sufficiente a farlo impazzire – di Zayn, che scosse piano il capo e si accese una di quelle sigarette artigianali che non riusciva a fargli smettere di comprare.
“Devo ricordarti che non abbiamo un soldo e che non puoi andare in giro a sperperare denaro in roba che ti distrugge le vie respiratorie?” mugugnò, protettivo, provocandogli una risata divertita.
“Non ho speso neppure una sterlina” gli assicurò, cercando di assumere un’aria innocente.
Il biondo lo fulminò con lo sguardo.
“Zayn! Un giorno o l’altro ci ritroveremo i gendarmi dietro la porta di casa, e a quel punto cosa…”
Venne prontamente zittito da un bacio al sapore di fumo – in fondo, forse, quell’aroma non gli dispiaceva poi tanto – e, quando la lingua dell’altro prese a esplorargli la bocca, emise un sommesso mugugno di soddisfazione.
“Sei un ricattatore” brontolò, le dita intrecciate ai suoi capelli.
Zayn soffiò un’altra risata che sapeva di tabacco, senza però interrompere il loro bacio.
“E tu ti lasci persuadere troppo facilmente” fece presente.
Poi la sigaretta cadde a terra sul pavimento cosparso di vestiti, resti di cibarie, armi arrugginite e vecchi manoscritti, e i due sprofondarono insieme nel materasso con un cigolio di molle, non preoccupandosi di chiudere la finestra, ben consapevoli delle consuete lamentele che avrebbero ricevuto l’indomani mattina.
“Ci citeranno in giudizio per schiamazzi notturni” mormorò Niall, che già perdeva la cognizione del reale all’entrata di quelle labbra paradisiache.
“Per l’ennesima volta” commentò Zayn.
La loro risata si fuse e si confuse e, un attimo dopo, c’erano soltanto loro e nient’altro, aggrappati l’uno all’altro come la luna che si artiglia appassionata alla notte.

 
 
 




Più in là, più in là, più in là, più in là,
più in là, più in là, più in là, più in là,
i cavalieri rompono la pioggia, i cavalieri
passano sotto aspri nocciòli, la pioggia
tesse in tremuli raggi il suo grano eterno.

 
 
 
 









Autrice:
 

Salve a tutti, e grazie per essere arrivati fino a questo – tanto atteso – terzo atto. Quasi non ci credo che sia già finita!
Ed ecco infine la conclusione di questa Ziall, che spero non vi abbia delusi. Sin quasi alla fine avevo in mente un finale drammatico, che prevedesse la duplice condanna a morte per i nostri protagonisti, ma ad un certo punto mi sono detta: è questo, ciò che voglio? Voglio davvero esprimere un messaggio completamente privo di speranza?
Allora ho cambiato le carte in tavola, passando al padre di Zayn il ruolo di martire della vicenda (non era poi spietato come lo dipingevano, allora!) e facendo sì che i due si salvassero senza danni – o quasi, n.d.Niall.
Sono riusciti a fuggire, allontanandosi dalla guerra e dall’odio delle loro terre, e rifugiandosi in Irlanda, lontano da tutto e tutti.
Il concetto di amore espresso nella vicenda è a volte volutamente antiquato, ma ho voluto inserire un po’ di romanticismo all’antica, perdonatemi il sentimentalismo. Analizzando i componenti del capitolo, penso che la notte tra Zayn e Niall non richieda affatto un cambiamento di rating o genere – non c’è nulla di erotico, anzi.
Sì, capisco che la scena attorno alle mura e il sacrificio del comandante Malik fa un po’ melodramma, ma imputerei la colpa all’atmosfera medievale dell’intera avventura. Non riesco a resistere a un po’ di tragicità storica.
Avrete notato il richiamo al titolo della mini-long, il gioco di parole con ‘ambrosia’ e ‘bramosia’ e anche il sottolineare più volte sul fatto che Zayn e Niall siano come la notte e la luna, indivisibili. Spero che la conclusione vi sia piaciuta: ho cercato di sdrammatizzare l’atmosfera e di dare un’idea della vita che ora i due conducono.
Bene, ho parlato anche troppo! Vorrei ringraziare tutti i lettori, soprattutto chi recensisce; siete il motivo per il quale ciò che la mia mente confusa partorisce finisce sul web, quindi vi ringrazio. Avere il vostro parere è davvero importante, mi aiuta molto.
Mi auguro che lascerete una recensione anche a questo ultimo atto, in modo che io sappia che ne pensate. Grazie ancora a tutti coloro che mi seguono.
Le poesie riportate sono entrambe di Neruda; la prima è una parte di Ah vastedad de pinos, la seconda di Jinete en la lluvia. Gente, leggete le sue raccolte, non c’è niente di meglio.

Vostra,
             firelight.

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