Suicide

di Yomi22
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ospedale ***
Capitolo 2: *** Risveglio ***



Capitolo 1
*** Ospedale ***


 
La luce della sala operatoria lampeggiò due o tre volte, infine si spense. Un medico alto e vestito con il camice da chirurgo si tolse la mascherina e con un gesto teatrale la buttò nel cestino al suo fianco. Poi, con passo spedito e calcolato, come fosse in una puntata di Doc House si avvicinò al gruppo di ragazze che aspettava ansioso.
«Buonasera» disse loro, sfoggiando un sorriso affabile. «Voi siete le amiche della paziente?»
«Sì» rispose Tsumugi composta come al solito. Era l'unica che in quel momento di terrore era riuscita a mantenere un comportamento tranquillo. Certo tutte, lei compresa, sapevano che si trattava di una maschera, ma era sicuramente la ragazza più adatta in quel momento a parlare con i medici.
«I suoi parenti?» chiese loro il chirurgo. 
«Sono nell'altra sala, staranno arrivando. Sono andati di là perché il fratellino della paziente aveva fame.»
«Bene. Mi dispiace ma finché non avrò il loro permesso non potrò dirvi nulla.»
Tsumugi sorrise. «Be' dalla sua faccia comunque possiamo intuire che è andato tutto per il meglio»
Lui sorrise di rimando e poggiò una mano sulla spalla della bionda «non posso aprir bocca» rispose, poi si rivolse alle altre, con un cenno di saluto. Azusa e Yui risposero cordialmente, seppur ancora tremanti dalla paura.
Mio non si mosse. Da quando, cinque ore prima, era arrivata in ospedale era rimasta seduta con le gambe piegate sotto il mento e la testa poggiata sopra. Ogni tanto si dondolava avanti e indietro mormorando una cantilena di cui nessuno aveva capito le parole. 
«Mio-senpai» le disse con calma Azusa, poggiandole una mano sulla schiena e accarezzandola con forza, per tirarla su. «L'intervento è finito»
La bassista non si mosse. «Ritsu?» chiese, in un soffio. 
«Si trova ancora dentro, ovviamente, non fare la scema. La terranno qui per un po', immagino.»
«Come sta?»
Azusa sospirò, era impossibile parlare con una ragazza in quelle condizioni. «Bene. Stai tranquilla. Vuoi un caffè?»
«Dov'è Ritsu?» chiese nuovamente Mio, senza dar ascolto alle parole della ragazza più piccola. Azusa si tirò su e guardò prima Yui e poi Mugi con aria interrogativa. Le altre due alzarono le spalle, poi la chitarrista propose alla più piccola di andare a prendere qualcosa di caldo. Le due si allontanarono e Tsumugi si sedette accanto a Mio, senza una parola.
Il chirurgo, che aveva finito di parlare con la madre di Ritsu si avvicinò nuovamente a loro.
«Duro colpo?» disse, indicando con lo sguardo la Akiyama. 
«Sono migliori amiche.. hanno passato la vita insieme, può capire. Ma mi dica, com'è andata?»
Lui si tolse il camice e si sedette accanto a Mio, dalla parte opposta a quella occupata da Tsumugi. Passò la mano tra i lucenti capelli corvini della bassista, con gentilezza, poi avvicinò il suo volto a quello della ragazza. «Puoi stare tranquilla» la rassicurò, «quella ragazza ha la pelle dura, ci vuole ben altro per farla cadere.»
Mio finalmente tirò su la testa e con gli occhi gonfi e rossi guardò il medico negli occhi. «Dov'è Ritsu?» chiese per la terza volta. L'uomo le asciugò le lacrime e le disse che ancora non poteva vederla.
«Quando potrò?»
«Fra un paio di giorni al massimo. L'intervento è andato per il meglio, quindi dovrebbe ristabilizzarsi in poco tempo. Adesso possono entrare solo i familiari, mi dispiace.»
La Akiyama sospirò e si sedette compostamente. Poi guardò le due chitarriste che si avvicinavano con dei caffè caldi. Ne porsero una lattina a ciascuna, poi Mugi ringraziò il chirurgo per essere stato così gentile con l'amica.
Quando se ne fu andato, Yui prese la parola. Non era la solita Hirasawa, quella che ride sempre e fa la scema. Non poteva fare così in quel momento. Doveva dimostrare la sua età.
«Ragazze, è inutile stare qui» disse, con tono serio, così serio da sorprendere la Nakano.
«Ritsu deve riposare e in ogni caso non possiamo fare nulla qui, andiamo a casa e riposiamo anche noi. Sono cinque ore che siamo qui dentro, andiamo a respirare un po' d'aria.»
Sia Azusa che Mugi approvarono, mentre Mio rimase nello stato catatonico in cui era da cinque ore e mezza. Tsumugi la aiutò ad alzarsi e insieme uscirono dall'ospedale, salutando la famiglia Tainaka e i dottori che si erano presi cura di loro e di Ritsu.
 
Dopo qualche minuto di cammino Azusa fermò la chitarrista più grande. «Yui-senpai» disse preoccupata guardandosi intorno. L'amica la guardò con aria interrogativa. «Dove sono Mio-senpai e Mugi-senpai???»
Dopo un attimo di panico, finalmente le videro in fondo alla strada, appena fuori dall'ospedale. Entrambe corsero dalle amiche.
«Mugi-chan! Che è successo?» urlò Yui, con il fiatone.
«Mio ha ricominciato a piangere e non si reggeva più in piedi.. ci siamo dovute fermare»
«Perché non ci avete avvisate?» chiese la più piccola.
«Scusate, non sono riuscita a gestire la situazione... è scoppiata a piangere così all'improvviso.» disse, guardando la bassista piangere rumorosamente in ginocchio. 
Yui si alterò alla vista di una Mio così debole. Non era più lei. Si avvicinò e con sorpresa di tutti le tirò uno schiaffo. Fu un colpo così potente da far risuonare il ciaff per un ampio perimetro.
Mio la guardò sorpresa, tenendosi la guancia con la mano destra.
«Sei impazzita?» urlò Azusa, mettendosi in mezzo tra le due. 
«Mio-chan!» urlò Yui, «che stai facendo? Non hai il diritto di piangere così, è lei quella in barella! E in ogni caso è andato tutto bene piantala di fare la piagnucolona! Dobbiamo essere forti per Ritsu!»
La Akiyama scoppiò nuovamente a piangere, silenziosamente però.
«Ritsu ora sta bene! Sta bene e scommetto che non vede l'ora di vedere il tuo sorriso, non le tue lacrime!»
«Ma» mugolò la bassista, «io non ci riesco..»
«Perchè? Cos'hai da piangere ora? Sta bene!»
«Ma la stavo per perdere.. non riesco a sopportare l'idea..»
«Non l'hai persa!»
«Lo so!» urlò Mio di rimando, riprendendo finalmente le forze e alzandosi. «Lo so che non l'ho persa! Ma se così fosse stato? Se lei fosse morta io che avrei fatto? Cosa sarei stata io? Io non sono nessuno senza Ritsu. Nessuno...»
Le amiche rimasero in silenzio. Tutte e tre. 
«Me ne vado a casa..» concluse la mora, abbassando il tono e girando sui tacchi.
Le tre altre componenti delle Hokago Tea Time rimasero in piedi imbambolate a guardare la schiena di una Mio che mai si era comportata a quel modo.
 
A casa, Mio non fece che ripensare a ciò che aveva detto. 
"Non sono nessuno senza Ritsu..."
Le parve strano aver detto quelle parole, eppure da una parte ne fu sollevata. Non le aveva certo dette solo per la situazione venutasi a creare, non erano dettate dall'angoscia bensì dal cuore. Era vero, senza Ritsu la Akiyama non avrebbe saputo più come fare. La sua intera vita era basata sulla relazione con l'altra, con cui passava ogni istante. Con lei si sentiva piena.
Si ricordò quando ancora erano alle medie e Ritsu era partita per due mesi. Erano stati i più duri della sua vita. Non potevano sentirsi troppo perché la Tainaka era all'estero e i suoi genitori non le permettevano di spendere così tanti soldi, per cui Mio era caduta in depressione. Si ricordò del dolore che aveva provato durante quel periodo in cui era stata sola. Aveva altre amiche, sì, ma non erano Ritsu.
«Perché hai cercato di lasciarmi, Ritsu?» domandò alla foto che teneva sulla scrivania. Una foto di loro due alle elementari. Mio si era sempre vergognata di quello scatto, in cui la batterista le tirava le guancie, ma questa volta la trovò bellissima. Un prezioso ricordo di una giornata insieme alla sua migliore amica. Si chiese ancora una volta cosa sarebbe successo alla sua vita senza Ritsu.
Con chi avrebbe riso così tanto? Yui? Mugi? Azusa? 
Sì, certo, voleva davvero  molto bene alle tre compagne, ma nessuna avrebbe  potuto colmare l'assenza di Ritsu.
Chiuse gli occhi e sentì la sua risata. «Oggi ho visto un uomo venir schiacciato da un auto. Il sangue è schizzato dappertutto!»
Si accorse di star piangendo e strinse forte il cuscino. «Ritsu.. non farlo mai più..»
Ad un tratto dal suo telefono partì la voce di John Entwistle, bassista e voce dei The Who, il suo gruppo preferito.
Guardò il numero sul display e per una attimo lesse il nome di Ritsu. Ovviamente non era lei, fu solo un riflesso condizionato.
«Mio?» disse una voce preoccupata dall'altra parte del telefono. 
«Mugi...» rispose la Akiyama, tirando su con il naso. «Come mai mi chiami a quest'ora?»
«Volevo sapere come stai. Avrei voluto mandarti una mail, ma preferisco sentire la tua voce.»
«Ah.. be', come vuoi che stia.. è Ritsu quella su un letto di ospedale.»
«Ti va di vederci?» propose la bionda, con una punta di preoccupazione.
«Adesso?»
«Sì. Possiamo vederci dal parco di fronte a casa tua, se ti va..»
«Va bene.. ti aspetto giù allora»
Mio terminò la telefonata e lanciò il telefono sul letto, mentre si alzava per guardarsi allo specchio; aveva gli occhi rossi dal pianto ed era pallida, ma non se ne preoccupò, doveva uscire con Tsumugi, lei avrebbe capito.
Restò con ciò che aveva addosso ed uscì, salutando sua madre. «Mio, esci?» chiese la donna, mentre si accingeva a preparare la cena. «Sì mamma» aveva risposto lei, senza fermarsi, «non so a che ora torno»
Sua madre non aveva obiettato probabilmente perché sapeva ciò che era accaduto a Ritsu e immaginava che la figlia avrebbe avuto bisogno di svagarsi un po'. «Va bene, divertiti.»
La bassista prese le chiavi di casa e si chiuse la porta alle spalle. Attraversò la strada e si ritrovò nel parco dove avrebbe incontrato l'amica. Camminò un po', seguendo la luce dei lampioni, senza guardarsi intorno. Guardò le ombre allungarsi sempre di più sotto i suoi piedi e sorrise malinconicamente. Si ricordò di quando lei e Ritsu avevano provato, da piccole, a seminare la propria ombra. Che stupide.
Tirò su il cappuccio della felpa lilla che indossava e mise le mani in tasca. Sembrava uscita da un film. Continuò a camminare sino ad arrivare presso una statua di un uomo di cui non conosceva il nome. Non era tanto importante, evidentemente. Girò intorno ad essa e si sedette sul bordo del piedistallo, noncurante delle coppie che la guardavano male per via del suo aspetto trascurato. Sospirò, stringendosi nelle spalle, cercando di ricacciare indietro le lacrime che cercavano di aprirsi una strada sulle sue gote. Tirò su con il naso e guardò in alto, verso il cielo che tante volte aveva visto con la sua migliore amica. 
Quante volte avevano visto le stelle cadenti assieme? Si erano sempre divertite un mondo...
«Perché allora, Ritsu, hai fatto questo? Non vado bene? Ho sbagliato qualcosa? Perché non me ne hai parlato, invece di...»
Presto scoprì quanto vano fu il suo tentativo di non piangere e si ritrovò ad asciugare lacrime che scendevano copiose e inarrestabili. Urlò, raggomitolandosi sulla dura pietra fredda che sosteneva quell'uomo che a cavallo brandiva una spada con sguardo fiero. 
Finalmente, poi, sentì due braccia calde che la stringevano dolcemente in un abbraccio affetuoso. Senza accertarsi che quelle braccia appartenessero a Mugi, si strinse in quel contatto che tanto desiderava e si lasciò cullare dalla sua amica, che piangeva assieme a lei, in silenzio. Rimasero in quella posizione parecchi minuti, senza dire nulla. Piansero insieme, chiedendosi entrambe cosa avesse portato Ritsu al tentato suicidio.
«Mugi..» mugolò la bassista, staccandosi delicatamente dall'abbraccio e guardando i grandi occhi azzurri della Kotobuki. «Secondo te..»
«Non lo so» la anticipò la tastierista, scuotendo la testa. «Ce lo stiamo chiedendo tutti..»
La bionda salì sul piedistallo e appoggiò la schiena ai piedi del cavallo, permettendo all'Akiyama di appoggiarsi a lei. «Se non lo capisci tu che sei la sua migliore amica, Mio, allora non sappiamo come fare..» commentò Tsumugi, accarezzando dolcemente i capelli corvini dell'amica.
«Io non lo so..» pigolò l'altra, cercando tra i singhiozzi sommessi e le lacrime. «Sembrava andare tutto bene. A casa non ha problemi, a scuola va come al solito, stiamo suonando bene.. non capisco..»
Tsumugi guardò il cielo e chiuse gli occhi, prendendo un respiro profondo. «E se fosse per amore?» azzardò. Sentì Mio irrigidirsi sotto il suo tocco gentile e la guardò. Notò che le lacrime si erano arrestate e che l'amica stava trattenendo il respiro, guardandola con gli occhi sgranati.
«Amore?» ripeté, con voce roca. «Un ragazzo?»
«Non lo so, era un'opzione Mio» rispose la bionda, preoccupandosi della reazione della bassista delle Hokago Tea Time. «Ma non l'ho mai sentita parlare di nulla di ciò»
«Neanche io!» esclamò la nera, alzandosi di scatto e torturandosi le mani. L'ansia che provava era palpabile e Tsumugi ne fu sopraffatta. «Mio» disse, cercando di darsi un contegno, «stai calma, fai come se non avessi detto niente»
«Ma Mugi!» gridò l'altra, senza preoccuparsi degli sguardi dei passanti che si era nuovamente attirata addosso. «Se Ritsu stesse male per un ragazzo?»
«Be', io suppongo che tu lo sapresti. O no?»
«Eh? Be'.. sì.. cioè, credo..» rispose la bassista, calmandosi un poco e sedendosi di nuovo.
«Domani torneremo all'ospedale e chiederemo di farcela vedere, se diranno che va bene, tu entrerai e porterai i nostri saluti» propose la tastierista, prendendo le mani dell'amica.
«E voi?»
Tsumugi le fece l'occhiolino. «Noi possiamo aspettare, tranquilla. Da quanto ho capito avete bisogno di parlare tra di voi»
Mio abbracciò l'amica e pianse ancora. «Grazie, Mugi»
 
 
 
 
 
 
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Questa si presuppone che diverrà una serie, non so quanto lunga, però non finisce certo qui! Enjoy ;)
 
 
 
 
 

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Capitolo 2
*** Risveglio ***


Dal parco Mio si trascinò in casa a fatica, cercando di fermare le lacrime inutilmente  aveva aperto la porta di casa e si era sorbita una ramanzina dal padre. "Non puoi tornare a quest'ora durante il periodo scolastico! Come farai a svegliarti domattina? E non hai neanche cenato! Ora chi ha voglia di preparare qualcosa per te? Vai a letto senza cena!" aveva iniziato a urlare, senza rendersi conto dello stato in cui si trovava la figlia. Era dovuta intervenire sua madre, a spiegare gli ultimi fatti avvenuti all'uomo, che era all'oscuro di tutto. Mentre i due parlottavano, la ragazza sgattaiolò in camera sua, cercando di non farsi notare dai due genitori impegnati in un'accesa discussione. Si chiuse la porta alle spalle e si buttò letteralmente sul letto, sprofondando il viso nel cuscino. Cercò di non piangere respirando più volte a fondo e con sua piacevole sorpresa riuscì a trattenersi. Si strinse ancora di più nel cuscino per qualche secondo e poi si tirò su di scatto, prendendo quasi una testata contro la parete. Appoggiò la schiena al muro e tirò fuori da sotto il materasso un quaderno viola con su scritto "K-ON!". Prese una penna e iniziò a scrivere su una pagina bianca. Scrisse di getto una canzone, una canzone per Ritsu, una canzone che parlava di tutto ciò che avevano passato insieme, un passato che non poteva cancellare, che non poteva frantumare attraverso un gesto simile.
La rilesse più volte e alla fine decise di strapparla. La accartocciò e la gettò nel cestino già colmo di cartaccia. Riguardò la fotografia che teneva sulla scrivania e con un gesto violento la abbassò, nascondendo i sorrisi delle due.
Si stese e rivolse lo sguardò al muro. Chiuse gli occhi e sospirò. «Baka Ritsu»
Quella notte sognò, un incubo tremendo, che la fece sudare e urlare più volte. Sognò Ritsu, che ridendo come una forsennata si tagliava con un cutter le vene dei polsi. La vide sghignazzare mentre il sangue le bagnava i vestiti e schizzava su quelli delle compagne che si unirono a lei in quella risata convulsa. Mio cercava disperatamente di toccare l'amica, ma non riusciva più a muoversi. Era inorridita e spaventata dal sangue che colava copioso sul pavimento, disegnando merletti dall'aspetto inquietante. Ma Ritsu non sembrava soffrire, continuava a perdere litri di liquido rosso senza risentirne. L'unica che pareva starne male era proprio Mio, che ora urlava e si dimenava invano cercando di aiutare la sua migliore amica. «Ritsu» esclamava, ma la sua voce non sembrava raggiungerla. Un muro invisibile separava le due.
«RITSU!» gridò di nuovo, alzandosi di scatto dal letto, coperta di sudore. La porta della sua stanza si aprì e una donna alta dai capelli castani entrò, con il respiro affannato. «Mio?» domandò, preoccupata «stai bene? Hai fatto un brutto sogno?»
La ragazza guardò la madre in pigiama e scosse la testa, cercando di stabilizzare il proprio respiro. «Vado a farmi una doccia»
Entrò nella vasca da bagno, aprì il getto dell'acqua fredda e lasciò che essa scivolasse sul suo viso come a portare via ogni traccia di timore. Si lasciò coccolare dall'acqua per parecchio tempo, finché una voce profonda non chiamò il suo nome. Cercò ad occhi chiusi l'asciugamano rosa e quando lo trovò lo passò sul viso, poi se lo avvolse attorno al corpo nudo. Uscì piano dal bagno, cercando di non gocciolare per terra e si affacciò sulla tromba delle scale. «Cosa c'è, papà?» chiese, con voce rauca.
«Sono le sette e mezza, non vieni a fare colazione?» 
Mio ci pensò su e si accorse di avere lo stomaco chiuso in una morsa d'acciaio «No» rispose, allontanandosi e dirigendosi verso la sua stanza.
In pochi minuti fu pronta, prese la borsa e guardò il basso. «Elizabeth» sussurrò, accarezzando dolcemente la custodia dello strumento. Lo prese e se lo caricò in spalla.
«Io esco!» urlò, mentre si chiudeva la porta alle spalle e correva verso il punto in cui si sarebbe dovuta incontrare con Ritsu. Mentre si avvicinava all'incrocio si ricordò che non sarebbe mai arrivata e rallentò. Si fermò nel punto esatto in cui, in un altro giorno, Ritsu sarebbe arrivata correndo e le sarebbe saltata addosso. Si guardò attorno e con tristezza riprese a camminare verso la scuola. «Non verrai oggi, nè, Ritsu? E neanche domani e dopo...»
Le lacrime si fecero nuovamente strada tra le guancie rosate della bassista. Si asciugò con la manica della giacca blu facente parte della divisa scolastica e continuò a camminare, con passo sempre più deciso. Arrivò a scuola in perfetto orario e si sedette al suo posto. Guardò dietro di sé e vide il banco della sua migliore amica vuoto. Sospirò e si rivolse a Tsumugi. «Mugi, pomeriggio non sarebbe meglio prepararsi per il festival scolastico invece che andare all'ospedale?»
«Ma Mio.. Ritsu..» obiettò la bionda, con aria preoccupata.
«Se Ritsu ha fatto quel che ha fatto avrà i suoi motivi e se non ha voluto parlarne vuol dire che non le interessa. Non vedo perché dovrebbe importare a noi. Abbiamo un live da fare e lo faremo, a costo di trovare una nuova batterista.» concluse la bassista, con tono severo.
Tsumugi la guardò torva e sbatté un pugno sul banco. «Mio-chan, non puoi parlare così. Lei ha rischiato la vita!»
«Lo ha deciso lei!» sbottò la mora, alzando leggermente la voce. 
«Non posso credere che tu stia dicendo questo. Fino a ieri la pensavi diversamente»
«Be', adesso non più. Se ci voleva lasciare che ci lasci»
Entrambe non capirono bene cosa e come successe. Mio sentì un bruciore lancinante alla guancia destra, mentre Tsumugi si accorse dopo un po' di avere il braccio alzato.
Si guardarono negli occhi e rimasero in silenzio, mentre l'attenzione del resto della classe si era concentrata sulle due. «Mio..» balbettò la bionda, avvicinandosi all'amica, ma questa indietreggiò senza dire nulla e uscì dall'aula. Si diresse a passo spedito verso l'aula del club di musica leggera e aprì la porta con violenza. Dentro, vi trovò Sawako, intenta a leggere un fascicolo blu. «Buongiorno» disse la donna, affabile, facendo cenno alla studentessa di sedersi accanto a lei. «'Giorno» rispose la bassista, tirando indietro la sedia in modo da potercisi accomodare. «Come stai?» chiese la professoressa, posando il quaderno e concentrandosi sulla ragazza. Mio guardò le mani di Sawako, incrociate davanti a lei, poi la fissò negli occhi castani. «Male.»
«Per Ritsu?»
«Sì.»
«Vuoi parlarne?»
«Non saprei cosa dirle.. Ritsu ha fatto ciò che ha fatto e basta, non sono qui per giudicarla.. lei voleva...»
«Ma tu non riesci a capirlo»
«Ovviamente no. Andava tutto bene.»
Sawako guardò la porta dell'aula e notò che era semiaperta. Vide i volti delle altre ragazze e fece loro segno di lasciarle sole, senza farsi notare dalla bassista.
«Evidentemente per lei non era così»
«Evidentemente...»
Sawako sorseggiò il tè nero che aveva preparato precedentemente e ne versò una tazza anche alla studentessa, poi riportò la propria attenzione al fascicolo.
«Questo è di Ritsu. Lo vuoi vedere?» 
La mora scosse la testa. «Non sono affari miei...»
«Io ho letto di cosa tratta questo diario, ma non mi sono inoltrata ancora in questa storia. Magari qui spiega come mai ha..»
«Non sono affari miei.» ripetè Akiyama, scandendo bene le parole, quasi fosse convinta che l'altra non avesse capito.
«Magari ci riproverà»
«Non mi sembra comunque corretto. Quando uscirà dall'ospedale, se vorrà, sarà lei a spiegarci tutto.» rispose gelida la ragazza dai capelli corvini.
«E se non volesse?» domandò l'insegnante, versando un altro po' di tè nella tazza di porcellana dipinta a mano che Mugi aveva preso dal locale del suo conoscente in cui una volta avevano lavorato le ragazze del gruppo.
«Affari suoi. Ora, se non le dispiace, vorrei provare.»
 
 
 
 
 
Quando aprì gli occhi, Ritsu non capì bene dove si trovava. Le piastrelle bianche della stanza subito la fecero pensare al paradiso, cosa alquanto improbabile. Con lo sguardo catturò una finestra e osservò il paesaggio circostante. Alti palazzi grigi dall'aspetto triste sovrastavano piccole botteghe artigianali che prima o poi avrebbero fallito. Una visuale piuttosto tetra.
Passò a squadrare il proprio corpo ora seduto e notò malvolentieri gli aghi che le avevano conficcato nelle vene del braccio. Seguì i tubicini e notò due grosse sacche piene di sangue. Rabbrividì.
A Mio avrebbero fatto molta paura.
«Mio..» sibilò, cercando l'amica. 
All'improvviso la porta si aprì ed entrò una donna giovane, dai lunghi capelli rossicci.
«Ritsu!» urlò, buttandole le braccia al collo e piangendo. Le calde lacrime sfiorarono il viso della paziente che rispose all'abbraccio. «Mamma..» sussurrò, stringendo forte a quel cardigan rosso che aveva sempre odiato.
«Piccola mia, come stai?»
Ritsu sciolse il contatto con la madre e la fissò nei grandi occhi nocciola. «Mi gira leggermente la testa.. dove sono papà e Satoshi?»
«Sono andati a casa a riposare un po', ma ora li chiamo! Oh, amore mio, sono così felice! Ho avuto paura di perderti»
Ritsu sorrise e baciò la madre in pena, poi abbassò lo sguardò sulle coperte fredde e pungenti che la coprivano. «E Mio?»
«Mio-chan è rimasta qui durante tutta l'operazione, ma i medici hanno detto che potrai incontrarla tra qualche giorno..»
La piccola Tainaka posò di nuovo gli occhi sulla finestra e si chiese se Mio l'avrebbe mai perdonata. In fondo, forse aveva fatto una cazzata. Perché aveva cercato di perderla per sempre?
Cosa ne sarebbe stato dei loro sogni... di loro. Le due ragazze erano fatte per stare insieme, era inutile cercar di pensare il contrario, era un dato di fatto. Ritsu pensò che senza Mio non sarebbe stata nessuno. Non poteva vivere senza di lei ed era convinta che lo stesso valesse per Akiyama. Aveva sbagliato, aveva agito d'impulso senza pensare alle conseguenze. Doveva parlare con Mio e spiegarle tutto, sperando di ottenere il suo perdono.
«Mamma..» disse, con un filo di voce, «vorrei riposare un po', puoi lasciarmi sola?»
La giovane donna sorrise alla figlia e si accomiatò, lasciando poi Ritsu da sola con i propri pensieri.
Quando la madre chiuse la porta dietro di sé, la batterista iniziò a piangere. A lungo aveva trattenuto le lacrime, non ce la faceva più. In quel momento l'unica persona che avrebbe desiderato avere al suo fianco era la sua migliore amica, ma lei non c'era. Dov'era, perché l'aveva abbandonata?
«Mio...» disse, tra i singhiozzi.
«Ritsu! Baka!» udì poi, dopo un secco rumore di legno che sbatte.
Gli occhi nocciola incontrarono splendidi, grandi occhi neri, colmi di lacrime.
 
 
 
 
 
 
 
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Scusate l'assenza infinita, purtroppo son una grande ritardataria! Spero apprezziate questo secondo capitoletto! :) 

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