Divertissement

di Il Cavaliere Nero
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Blu di mare in tempesta ***
Capitolo 3: *** Nero di tenebra ***
Capitolo 4: *** Malaugurante viola teatro ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

Non esitai più neppure un istante: mi sporsi verso di lei velocemente, perché non potesse scansarsi, puntando alla bocca. I due bicchieri di Gin scolati sino all’ultima goccia a causa di quella sciocca scommessa probabilmente avevano contribuito in buona parte a cancellare quel poco che rimaneva dei miei già ben deboli freni inibitori.
La desideravo, l’avrei avuta: fu questo il mio pensiero quando cercai di baciarla, stranamente incerto. Fortunatamente ogni mio dubbio venne fuorviato, perché rispose al bacio con il mio stesso impeto. Le nostre labbra si scontrarono con foga, e non si tennero serrate neppure per un istante: la mia bocca era già aperta, e così la sua.
Le portai inconsciamente una mano dietro alla testa, tra i capelli castani, per tenerla legata al mio volto e mi piacque, e molto; perciò mi alzai leggermente dallo sgabello in pelle nera per sovrastarla ed approfondire quel contatto, molto più eccitante di quanto avessi immaginato quando le scrutavo le labbra leggermente socchiuse, mentre suonava il pianoforte.
Iniziò a mancarmi il fiato, eppure non volli separarmi da lei: respirai rumorosamente con il naso, continuando ad esplorarle la bocca.
Poi, percepii chiaramente la sua mano aperta sul mio petto: con un gesto repentino le afferrai il polso, rimuovendo ogni ostacolo si frapponesse tra il mio corpo e suo; l’attimo successivo ebbi infatti una piena e forte percezione del suo seno sul mio torace ed un brivido d’adrenalina mi attraversò la schiena.
-Meglio di quanto credessi…- mi ritrovai a pensare quando feci scorrere la mia mano dal suo capo alla sua schiena, per stringerla stretta a me.
Anche lei respirò rumorosamente, sebbene non avesse perso il ritmo del mio bacio neppure per un momento; abbandonai la sua bocca per assaporarle il collo. Respirai a pieni polmoni l’odore d’albicocca della sua pelle e la strinsi ancora più forte a me. Inaspettatamente, lei liberò il suo polso dalla mia presa, andando poi a scompigliarmi i capelli biondi con entrambe le mani: il suo tocco era lieve, eppure maledettamente sensuale.
La volevo: non mi era più possibile contenere quel bruciante e doloroso desiderio che nutrivo di lei e del suo corpo.
Le morsi il collo probabilmente con troppa foga, quasi violenza, incapace di frenare la lussuria che mi aveva fatto prigioniero.
La desideravo.
Eppure lei non emise neppure un gemito: quasi impassibile, si limitò a perseguire nelle carezze tra i miei capelli spettinati.
‘Caparbia…forte.’ decretai, mentre lasciavo numerosi morsi sul suo collo.
Mi resi conto d’essere più aggressivo del solito, più violento di quanto non fossi con le mie amanti, ma non riuscii a controllarmi, ardente d’una passione incandescente che mi divampava nell’anima.
Come se non bastasse, mentre spostavo con le labbra la spallina dell’abito per giungere alla sua spalla, lei insinuò una mano sotto la mia camicia blu notte, percorrendo lo spazio tra la mia pancia ed il petto. Si bloccò quando giunse alla mia spalla, per ripetere i gesti appena compiuti con l’altra mano: i suoi movimenti erano decisi, non titubava. Tuttavia rimase così, con entrambe le mani sulle mie spalle, senza tentare di slacciarmi i bottoni della camicia, o di rimuoverla.
Sorrisi ironico, risalendo il suo corpo con la bocca aperta sino a giungere al suo orecchio:
“Chiunque erri, commettendo il male, è pur sempre Spirito*”
Pensai di udire una risatina in risposta alla mia affermazione, o quanto meno di sentirla rabbrividire al mio sussurro: invece, sopraggiunse un’altra frase:
“Certo. Ma il male è la non scelta.*”
Fui io a ridere.
“Ridicolo. Chi era il grande dittatore della cultura tedesca?!*”
Quindi afferrai la sua camicia chiara, e con un solo colpo accompagnato da un rumore eccitante, feci saltare tutti i bottoni in un attimo.
Non pronunciò una parola, ma prese a sbottonare la mia camicia lentamente. Troppo lentamente, era estenuante.
Sentii le sue unghie sfiorarmi la carne, e rabbrividii: non avrei resistito ancora per molto lì immobile; il problema fu che lei se ne accorse, perché il suo volto s’illuminò d’un sorriso di scherno e i suoi gesti rallentarono ulteriormente.
“Mhm…” me ne compiacqui, forse eccitato da quel gioco che stava intraprendendo, forse divertito dall’assurdo tentativo di lei:
“Davvero credi di tenermi testa?” le sputai contro, afferrandola per un braccio e trascinandola nuovamente contro il mio addome.
“Dirigo io la partita.” Sentenziai poco prima di spostare le mani sui suoi fianchi e da lì scendere sino ai glutei, che palpai con foga. Quindi mi diressi verso le cosce, e sollevandole la presi in braccio in modo tale che mi circondasse il bacino con le gambe; lei non oppose resistenza, tutt’altro: come un’abile ballerina, si lasciava condurre con grazia dal suo cavaliere ed in ogni suo movimento albergava l’ essenza della sensualità. Accompagnava sinuosa i movimenti che io le imponevo.
Strinse le sue gambe attorno a me, aumentando il contatto tra il suo seno ed il mio petto: affondai le mani nei suoi capelli, strappando via il laccio che li teneva legati in una coda di cavallo; una pioggia castana le ricadde sulle spalle, mescolandosi alle sua pelle candida.
“Ti voglio.” Non fu una rivelazione, ma un ordine: io la volevo, lei doveva essere mia. Almeno per quella notte.
Non mi rispose, ma non cercò neppure di fuggire la mia presa.
Credetti dunque di poter interpretare il suo silenzio come un consenso, perciò le aggredii nuovamente la bocca, trascinandola in un bacio ardimentoso.
Nel frattempo, con lei ben salda ai miei fianchi, percorsi con fatica l’intero corridoio fino a giungere in camera da letto, dove la gettai con veemenza sul materasso per poi ergermi sopra di lei.

Mi svegliai allo squillo del cellulare; prima d’aprire gli occhi cercai il telefonino sul comodino accanto al letto, ma non lo trovai. Quindi spostai la mano al mio fianco, scoprendo il posto vuoto e le lenzuola sgualcite.
Se n’era andata!
Me ne sorpresi, di solito ero io ad abbandonare il letto ancora caldo di passione appena consumata, oppure le pregavo d’andarsene utilizzando una scusa, o adducendo qualche pretesto sciocco. Solitamente, comunque, ci cascavano.
‘Meglio’ decisi, infine, tra gli squilli del telefono ‘Almeno m’ha evitato di cacciarla via.’
Mi misi a sedere sospirando rumorosamente; raccolsi i jeans scuri da terra, frugando nella tasca posteriore.
“Rob!” salutai il mio amico, letto il nome sul display “Cos’accidenti vuoi a quest’ora del mattino?”
“Credi sia tanto presto, Patrizio? Sono le dieci e un quarto.” Replicò, sarcastico.
“Oh, beh, ho fatto le ore piccole. Sai…” iniziai, ma lui m’interruppe brusco:
“Possiamo evitare i dettagli, per favore? Ho appena fatto colazione.”
Scoppiai a ridere: “Il solito puritano, vero, Bobbo?”
“Non chiamarmi Bob…”
“Cosa vuoi?” incalzai.
“Voglio che non mi chiami Bobbo.” Insistette, ed io sbuffai:
“Guarda che riaggancio.” Lo minacciai.
“La tua letteratura non deve averti soccorso nell’arte amatoria stavolta, se sei di così cattivo umore” cantilenò, giulivo.
Non ci pensai due volte e posi fine alla conversazione, gettando il telefono sul letto, accanto al copriletto arrotolato su se stesso.
Guardai l’orologio: erano davvero le dieci e un quarto.
“Meno male che stamattina non ho lezione…” bofonchiai, alzandomi in piedi per infilarmi sotto la doccia. Prima, però, lessi l’sms che Roberto mi aveva inviato non appena gli avevo attaccato in telefono in faccia:

“Maledetto donnaiolo, che intenzioni hai? Le prove cominciano a mezzogiorno, vedi di non mancare! Per sicurezza, vediamoci mezz’ora prima al solito bar!”

Ah, giusto. Quando avevo pausa dall’università, interveniva il teatro ad occupare il mio tempo.
Sospirai, passandomi una mano sul viso: era stata una notte movimentata. Eppure non ero stanco, anzi: un’energia vitale, fiera mi scorreva nelle vene, animando il cuore.
Quella notte di sesso m’aveva fatto rinascere!
Era solo questo, il motivo per cui c’ero andato a letto: lei era indubbiamente una ragazza molto bella, m’aveva attratto ed io m’ero voluto distrarre.
Mi presi del gioco di quel termine: ‘Distrarre, dal latino devertere, cioè allontanare, deviare.’
Che cosa mi suggeriva la mia mente? Che avevo voluto allontanare la riflessione? Deviare l’attenzione da ciò che mi preoccupava?
Sciocchezze, avevo solamente voluto divertirmi un po’.
‘Già, divertirmi.’ Mi consolai, eppure non potei non ricordare che, nell’opinione di Pascal, il divertissement era, letteralmente, l’atto del devertere: la volontà inconscia d’allontanarsi dalla paura, di distrarsi dal mondo, estraniarsi dai problemi.
Mi scappò un sorriso e prima che me ne fossi reso conto avevo, per l’ennesima volta, aperto quel volume alla pagina indicata dal ciondolo color argento a mò di segnalibro di metallo:

Hai paura della morte? Eppure hai una donna, fai l’amore con lei. Nel momento in cui fai l’amore con lei dimentichi per un attimo la morte? Se questo non capita, non è la giusta femmina. La giusta donna è colei con cui fai l’amore ogni volta che la morte ti terrorizza.*

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Precisazioni:

*1. “Chiunque erri, commettendo il male, è pur sempre Spirito”: Citazione di Hegel, dall’ Enciclopledia delle scienze filosofiche in compendio.
* 2. “Il male è la non scelta”: Citazione dall' Aut Aut, Kirkegaard.
Come verrà precisato più avanti, il personaggio di Patrizio ama affascinare le donne dimostrando la sua conoscenza in ambito filosofico e letterario.
*3. Hegel era il principale riferimento culturale dell'Idealismo.
*4. E’ una citazione di Hemingway, sebbene sia tradotta in modo assolutamente libero. In realtà, ho riportato più il concetto che la frase. E’ stato ripresa anche nel film Midnight In Paris di Woody Allen.

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Note dell’autrice: Eccomi approdata a questa sezione. Sono un po’ emozionata, in quanto solitamente scrivo e posto per la categoria Anime e manga, è la primissima volta che mi cimento in un originale.
La storia è ovviamente, all’inizio.
I personaggi sin ora citati sono due:
Roberto, nome di origine germanica. Letteralmente: “Colui che colpisce”.
Patrizio, nome di origine latina. Letteralmente: “Di illustre origine.”
Abbiate pazienza, sono fissata per queste cose XD
Nel prossimo capitolo arriverà la protagonista femminile!
In realtà il protagonista maschile è Roberto e non Patrizio, che vediamo agire in questo capitolo: tuttavia descrivere il suo modo di fare attraverso il discorso indiretto libero sarebbe stato un po’ difficile, quindi ho deciso di farglielo descrivere in prima persona, così ho risolto il problema XD A partire dal primo capitolo, la storia sarà esposta da un narratore esterno in terza persona. Patrizio è, come lo apostrofa Rob, un donnaiolo: numerosi amanti, nessuna intenzione seria. Spero d’avervi incuriosito almeno un po’ e che il prologo sia stato di vostro gradimento. Infine, sono dovute due ulteriori precisazioni: innanzitutto ci tengo a sottolineare che l'introduzione a questa storia è una citazione da L'ultima riga delle favole, di Massimo Gramellini (un libro che ho adorato!). In secondo luogo, debbo un GRAZIE! enorme alla mia Neechan, che è stata di aiuto essenziale nella stesura del progetto. Spero ricaverà piacere dal leggere per intero questo prologo, le cue prime righe aveva già pregustato (speriamo fossero di gusto dolce! XD)
A presto con il primo capitolo! Grazie in anticipo a chi deciderà di recensire!
Un grande bacio
Cavy

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Capitolo 2
*** Blu di mare in tempesta ***


Blu di mare in tempesta


Piccola nota prima di iniziare la lettura: il paragrafo in grassetto e corsivo indica un flashback.


“Nel week-end il ripasso potrebbe essere possibile…” ipotizzò Clarissa, rimuginando sugli argomenti che sarebbero stati oggetto d’esame.
La lezione era appena terminata, e tutti gli studenti universitari s’apprestavano ad uscire dall’aula: tuttavia la giovane dai capelli ricci raccolti in una sportiva coda di cavallo rimaneva seduta, cercando di riordinare gli appunti appena presi.
“Io devo riuscirci in un solo giorno! Domenica pomeriggio ho le prove di teatro…” rispose Pamela, prima ad essersi alzata in piedi ma ancora ferma al fianco dell’amica.
“Io non capisco ancora perché tu voglia seguire questo corso…” le lanciò un’occhiata mentre inseriva tutti i fogli in un raccoglitore viola. “Non ha nulla a che vedere con i tuoi interessi…”
“Ma tra i Maestri del Sospetto* è annoverato anche Freud! Lo sai che mi piace!” esclamò Pamela, infiammandosi subito: quello era il loro punto debole sin dai tempi del liceo.
Le due ragazze erano state di compagne di scuola e, sebbene molto diverse sia caratterialmente che fisicamente, avevano stretto subito amicizia: scelta la stessa università, avevano cercato di mantenere vivo il rapporto, uscendo insieme quando potevano; i loro interessi però spesso divergevano e nella filosofia non erano mai d’accordo.
“Tu hai reminiscenze del liceo…Freud …” iniziò Clarissa, ma fu interrotta subito dalla giovane dai capelli castani:
“Lo so che a te non piace, e da anni. Però la sua analisi dell’inconscio…non è affascinante?”
“Freud riduce tutto al sesso. E quel poco che dice di interessante, l’ha ripreso dai filosofi greci…” provò a sostenere, incerta se proseguire o no con la sua argomentazione: temeva che Pamela si offendesse.
“Mah…a te piace Platone, quindi è naturale che lo rivedi un po’ dappertutto…” aveva la lingua lunga, Pamela “…ma secondo me lui l’ha revisionato. E poi secondo me ha ragione a credere che il sesso sia importante…insomma, quando vedi un uomo cos’è la prima cosa a cui pensi? Io mi chiedo come sia…in una relazione…”
Clarissa scoppiò a ridere: “Lo so, tu non sei cambiata affatto da allora.”
Ed ignorò la replica dell’amica: “Anche gli uomini, sono certa che pensino a quello quando vedono una donna per la prima volta…” per scherzare:
“ E scommetto…” Aveva finalmente finito di sistemare gli appunti, quindi li depositò in una larga borsa verde scuro e se la mise su una spalla. Dopo aver raggiunto la stessa altezza dell’amica, la punzecchiò: “…che quando pensi a Freud, pensi al teatro…”
“Certo. Freud ha analizzato interessanti meccanismi dell’inconscio, che sono poi stati studiati e riproposti in molti spettacoli…” ma sulle sue labbra spuntava un sorriso malizioso.
“Mi correggo: intendevo dire che pensi agli attori di teatro…” insinuò Clarissa, consapevole che l’amica aveva un debole per le chiacchiere futili e disinteressate. Dopo un po’, parlare di filosofia, o di letteratura, la annoiava, nonostante fosse perfettamente capace di sostenere –ma pochi minuti, e per citazioni- una discussione di quel genere.
Pamela sospirò: “Perché mi ci fai pensare? Lo sai che mi piace tantissimo…L’altro giorno sono arrivata in ritardo, lui stava già provando alcune scene. Nel frattempo, i ragazzi delle quinte provavano le luci…lui era lì, sotto il riflettore…era bellissimo, Clarissa, credimi!!”
“E’ per questo che non ci pensi nemmeno a saltare per una volta le prove, e studiare in vista dell’esame, domenica…”
“Oh, se lo possono scordare! Io devo anche vivere! No, le prove non le salto…io adoro il teatro!”
Era vero, dopotutto. Pamela aveva sempre avuto quella passione, anche al liceo aveva frequentato un corso e se la cavava discretamente.
Al contrario a Clarissa non piaceva più di tanto, o meglio: non le piaceva recitare, in quanto provava disagio soltanto all’idea di affrontare un lungo monologo, sotto una luce fortissima, di fronte a una platea. Ma i concetti e le idee degli autori, quelli sì che li trovava interessanti: per questa ragione, e poiché nutriva forti sentimenti per Pamela, non era mai stata assente alle sue prime.
Non era mai stata assente a nessun suo spettacolo, in realtà.
Continuando a chiacchierare, erano giunte al bar dell’università, come di consueto: anche quando non frequentavano lo stesso corso d’esame, si incontravano lì ad ogni pausa o momento vuoto e spesso facevano colazione insieme. Presero posto al loro solito tavolo, accanto all’enorme porta a vetri che dava sull’esterno.
“Non c’è nessun altro di carino che abbia attirato la tua attenzione?” le domandò Clarissa, dopo aver fatto cenno al ragazzo dietro al bancone che entrambe prendevano il solito.
Pamela sbuffò: “Lo so che ti sta antipatico. Ma è in assoluto il più sexy lì dentro! Se lo vedessi…anche se, probabilmente, non saresti oggettiva.”
Aveva ragione, in effetti; sia da lei che altre ragazze aveva sentito parlare di questo fantomatico attore, ed il giudizio era univoco: occhi profondi del mare in tempesta, capelli d’oro fulgido, fisico scolpito nel marmo e attitudine dell’ape in cerca del polline. Qualunque fiore gli andava bene: quel tipo, per quanto bello, era un dongiovanni da strapazzo che con le donne voleva solo divertirsi, una storia seria non gli interessava, anzi lo ripugnava.
Una ragazza particolarmente pettegola, Giulia, le aveva rivelato un giorno che raramente quell’adone usciva due volte con la stessa donna: una volta ottenuto quello che voleva, continuava in altri ambienti la sua indagine di mercato.
La risposta di Pamela, quando Clarissa gliel’aveva riferito, era stata: “Beh, perché cambiare l’olio ad una macchina a noleggio?” e poi era scoppiata a ridere “Cerca di capirmi, lui mi piace, non è una cosa razionale…ho sentito dire anche io, e da diverse ragazze, che è un tipo piuttosto libertino…ma l’attrazione non si controlla, no?”
Poteva darsi; ma Clarissa riteneva necessario mantenere in qualunque situazione un pizzico di ragione. Le sbandate, in amore o nel lavoro, erano pericolose: perché volersi cacciare nei guai con le proprie mani?
Comunque, non si preoccupava più di tanto: Pamela non si era mai innamorata, le sue erano sempre cotte passeggere, dettate più dall’aspetto fisico che dal carattere. Forse, uscire soltanto una volta con lui e ricevere il trattamento completo per poi dirgli addio, non le sarebbe neppure dispiaciuto. Ma visto che già da alcune settimane i due si erano conosciuti e lui non aveva provato mai ad avvicinarsi, Clarissa sospettava che non fosse il suo ideale di preda: Pamela era una ragazza normale, come lei del resto. Occhi chiari, capelli castani corti –li avevi sempre invidiati! Non le piacevano le sue ribelli ciocche rosse-, solo un paio di chili di troppo che potevano essere nascosti facilmente da una camicia un po’ larga, che infatti indossava spesso.
Il cameriere portò loro le ordinazioni, poi dovette affrettarsi a rispondere al cenno di altri clienti:
“Un succo d’albicocca e un caffè, arrivano!” sentenziò, sgusciando via dopo aver poggiato lo scontrino sul tavolo.
“Lo dovresti vedere…” proseguì lei “Perché non vieni alle prove…?”
“Questa domenica debbo studiare. E poi non ci tengo a vederlo…” bevve un sorso di succo di frutta “Al limite, se ci tieni, verrò a vedere te!” sentenziò, ma la ragazza non rispose.
“Dai, non ti offendere! Prometto che martedì vengo, sei contenta?”
Tanto avrebbe dato l’esame lunedì mattina.
“Non credo sarà più necessario…” le confidò, un sorriso che le illuminava il volto “Senza farti notare, voltati. Lì: davanti al bancone, vicino al ragazzo con il pizzetto…è lui, è Patrizio!!”

§§§

“Sei in ritardo, come al solito!” sbuffò Roberto, andando incontro al suo amico. “Non dirmi che hai perso tempo a…”
Ma Patrizio lo interruppe: “Oh, finiscila! Tanto le prove sono state rimandate a domenica, cosa ci incontriamo a fare?”
“Beh, visto che ci siamo prendiamoci un caffè. Ti pare?”
Patrizio e Roberto erano buoni amici: il primo si occupava delle musiche e delle luci dietro le quinte, il secondo recitava invece sopra il palcoscenico. Si erano conosciuti in quell’ambiente da pochi mesi, ma avevano legato subito: uscivano insieme a caccia di ragazze, con la differenza che Patrizio voleva solo divertirsi per un paio d’ore, mentre Roberto non si sarebbe tirato indietro di fronte all’opportunità di una storia seria, se avesse incontrato la ragazze giusta; certo, tuttavia, non avrebbe disprezzato neppure qualche ora di diletto, se fosse capitata l’occasione. Solitamente, tuttavia, si limitava ad aiutare il suo amico a far conquiste: Patrizio amava definirlo come la sua spalla.
“Ed io dovrei andare in giro con te? Perché non ti tagli quella ridicola barba? Sembri un poveraccio.” Lo canzonò, iniziando però a incamminarsi verso il bar dell’università.
“E’ un pizzetto, e mi piace.” Sentenziò Roberto, sbuffando: una ciocca di capelli neri gli ricadde sopra l’occhio destro.
“Quando la smetterai di…” ma, per la seconda volta, il biondo non lo fece finire: “Ci credo che non trovi una donna.”
Sentenziò, varcando la soglia del locale per poi raggiungere il bancone ed appoggiarvi un braccio. Si guardò intorno, facendo cenno al cameriere: “Un succo d’albicocca e un caffè, per favore!”
“Piantala. Sei tu che ne trovi troppe! Guarda là, ad esempio: la ragazza alle tue spalle già ti fissa…”
“Ah, sì?” Patrizio non si voltò neppure, ma un sorriso sicuro si dipinse sul suo volto “Descrivimela.”
“E’ carina…ha i capelli rossi, legati in una coda di cavallo alta…e, mh…mi sembra abbia un bel fisico…”
Patrizio s’abbandonò ad una risatina: “Sembrerebbe più il tuo tipo, Bobbo…”
Si passò una mano fra i capelli scrutando fugacemente il suo stesso volto riflesso sul bancone, poi si voltò repentino, incrociando lo sguardo di quella ragazza.
-Occhi nocciola…- notò, compiacendosi del sussulto che la giovane aveva avuto quando era stata colta a fissarlo.
“Patrizio, ciao!” si sentì chiamare ad alta voce, quindi rivolse l’attenzione alla ragazza che era seduta accanto a lei.
“Oh, Pamela.” La riconobbe, ricambiando con un occhietto il suo cenno di saluto.
“Hai visto?” sussurrò la ragazza a Clarissa, senza farsi sentire dai due amici: “Si ricorda come mi chiamo!” squittì.
“Evviva…” le rispose lei, con tono piatto ed ironico.
In un batter d’occhio s’era accostato alle due giovani e Roberto l’aveva seguito. Salutò anche lui la giovane sedicente attrice con gentilezza, riservando poi un sorriso alla rossa.
“Lei è Clarissa, una mia amica. Clarissa, ti presento Patrizio e Roberto.”
“Ciao, Clarissa!” la salutò Roberto, stringendole la mano “E’ un piacere.”
“Il piacere è mio!” rispose lei cordiale. Pamela non gliene aveva mai parlato, ma sembrava simpatico: gli occhi scuri comunicavano gioia, ed il sorriso gentile senso d’equilibrio.
“Patrizio.” Le sorrise l’altro, imitando i gesti dell’amico, ma lanciando un’occhiata alle sue gambe ed al suo seno.
“Clarissa.” Replicò, scrutandolo.
-Il famoso Patrizio…-pensò, esaminandolo da capo a piedi mentre ancora tratteneva la sua mano: pantaloni eleganti e neri, camicia scura leggermente sbottonata, capelli biondi volutamente scompigliati tra le cui ciocche era possibile scorgere di tanto in tanto qualche riflesso castano chiaro.
Indubbiamente, un bel tipo.
Clarissa lanciò uno sguardo a Pamela che, esaltata, domandava:
“Vi fermate un po’ con noi?”


§§§


-Ma guarda che mi tocca fare…- si lamentò mentalmente, aggiustandosi i capelli attraverso il riflesso nello specchietto retrovisore della sua automobile.
Patrizio aveva insistito per offrire loro la colazione dopo aver chiacchierato insieme per circa una mezz’ora, prevalentemente del teatro.
“Per ringraziarvi della compagnia!” si era giustificato.
L’aveva rivisto il martedì seguente, quando era andata, come promesso, ad assistere alle prove: lì aveva trovato anche Roberto. Le aveva spiegato come mixare una canzone e quali angolazioni fossero le migliori per riflettere la luce in modo da esaltare il personaggio sulla scena e lei aveva appreso subito i trucchi, curiosa e brillante d’attenzione.
L’esame era andato, come di consueto, bene: il professore non aveva esitato a segnare trenta sul suo libretto, complimentandosi con lei per il percorso sino ad allora svolto; Pamela non poteva dirsi altrettanto meritevole, il suo voto era stato venticinque. Ma i giorni seguenti era stata sempre impegnata in teatro, a causa di alcuni problemi di scenografia, e quindi era comunque soddisfatta: Freud l’aveva studiato ed ogni giorno vedeva Patrizio. Erano stati però quegli stessi problemi di scenografia a condurre Clarissa lì, una settimana dopo.
Scese dalla macchina, correndo verso l’entrata del teatro con una borsetta a farle da un ombrello sotto la pioggia scrosciante di quel giorno: immediatamente venne investita da un odore forte di colori a tempera, e un caldo che le fece rimpiangere d’aver indossato un montgomery tanto pesante.
“Cla!” la salutò Giulia, andandole incontro “Grazie per essere venuta!” sorrise, prendendola per mano e conducendola tra i primi posti della platea.
Era una giovane simpatica, anche se non troppo riservata: l’aveva conosciuta durante una festa a casa di Pamela. Era lei, solitamente, a rivelarle i pettegoli più scottanti sul biondo.
“Figurati, il prossimo esame è ancora lontano, e con questa pioggia sarei rimasta in casa a poltrire…” le assicurò, sorridendole. “Pamela?”
“Sta provando l’ultima scena!” le indicò la castana sul palco, la maglia bianca larga che le lasciava nuda una spalla eburnea.
“E’ una fortuna che tu abbia deciso d’aiutarci. Siamo pochissimi, è un periodaccio: tutti a casa a recuperare pagine e pagine di libri mai aperti, per ridare esami che hanno fallito in pieno. E con questa scusa, della scenografia non si occupa nessuno.” Le confidò la castana attraente, guardandosi intorno.
Clarissa non tardò a capire che cercava Patrizio: era andata a letto con lui, una volta, glielo aveva confidato lei stessa. E le aveva anche detto che non se la cavava affatto male, che era straordinariamente passionale.
“Però io non credo d’essere in grado di assistervi i in questo. L’avevo già detto anche a Pamela, io posso aiutarvi a mettere in ordine o cercare e riunire tutti i pezzi, poi ad assemblare è meglio che ci pensiate voi. Non vorrei vi crollasse addosso tutto ancor prima di cominciare a recitare!” ammiccò, quando una voce alle sue spalle la raggiunse:
“La scenografia non è solo questo. Puoi anche aiutarci con le musiche da scegliere, le posizioni da segnare, i momenti in cui porre le pause…siamo praticamente a zero, Clarissa.”
Si voltò per ritrovarsi faccia a faccia con Roberto: attraverso il pizzetto, scorse che le sorrideva felice.
“E non potremmo mai ringraziarti abbastanza per essere venuta fin qui ad aiutarci, senza essere neppure parte del gruppo.” Lei sorrise di rimando, ma lui si incupì: “Non…non…” s’affrettò ad aggiungere “…Che tu non sia parte del nostro gruppo, tu sei la benvenuta, non sei un’estranea! Nel senso che…non sei iscritta, non reciti…”
La rossa ridacchiò, avvicinandosi a lui:
“Quel che è detto, è detto!” Si finse offesa un momento, per poi scoppiare a ridere: “Figurati! Ho capito cosa intendevi!”
“Peccato…” aggiunse lui, incrociando le braccia “Volevo offrirti una birra per scusarmi della gaffe…”
“Cla!” le posò una mano sulla spalla Pamela, interrompendo quel colloquio “Eccoti!”
Non le diede neppure il tempo di contraccambiare il saluto, che l’afferrò per il polso, tirandola verso le quinte “ Mi servi un attimo!”
“E-ehy!” si dimenò lei, ma senza risultato; in un breve frangente si ritrovò in bagno, con l’amica che le chiedeva di riagganciarle il gancetto del reggiseno.
“Si è slacciato mentre provavo! Pensa se Patrizio se ne fosse accorto, che vergogna!”
“Ti sembra il modo?” ignorò l’affermazione, accettando comunque di fare quel favore alla giovane. “Vengo qui ad aiutarti, a sgobbare…! E quasi non mi saluti.”
“Non dire sciocchezze!” la rimbeccò lei, passando una mano tra i capelli corti “Vuoi davvero farmi credere d’essere venuta qui per me?”
“E per chi altri?” domandò lei, ma la voce era stranamente acuta.
“Per Roberto. Ho visto che hai dei suoi sms in memoria…vi siete sentiti da quel giorno che sei venuta qui a vedermi, eh, furbetta!” le diede di gomito, improvvisandosi detective. “E lui ti ha invitato a uscire…”
“Ma che dici?” negò lei, poggiando la mano sulla chiave per aprire la serratura. “Ci siamo soltanto scambiati i numeri di cellulare.”
“Oh, andiamo! Vuole offrirti una birra…” cantilenò, dandole un pizzicotto sul braccio “E poi, una birra tira un limoncello…un limoncello tira un Gin! A Roberto piace il Gin! Ed ecco là che sei a casa sua…”
“Non dire sciocchezze!” rise Clarissa, aprendo la porta del bagno. “Roberto non è Patrizio!”
“Questo è poco ma sicuro.” Convenne il biondo, comparso improvvisamente alle loro spalle: indossava un paio di jeans strappati ed una camicia bianca, il volto era illuminato da un sorrisetto sfacciato.
“Vi chiedete chi sia il vero uomo?” schernì, gli occhi che guizzavano vivaci “La risposta è presto detta. Ma non so quanto possa interessarvi, visto ciò che fate…In due al bagno, con quale gioco vi divertivate?”
“Mi stava soltanto tenendo la porta, pervertito!” rise Pamela, dandogli una lieve spinta sul petto.
“Mhm…” mugugnò, ma in volto mostrava ancora quel sorriso a mezza bocca, quell’espressione di superiorità.
“Se sai che era un gioco, devi esserne esperto…” si lasciò sfuggire Clarissa, portando le mani in tasca. Ma chi si credeva di essere?
Patrizio strabuzzò gli occhi, e il suo sguardo fu attraversato per un istante da una strana luce.
Poi tornò a sorridere; aprì la bocca per replicare, ma alle loro spalle comparve Roberto.
“Andiamo? Hai mostrato a Clarissa i dintorni?”
Il seduttore si morse un labbro, riducendosi al silenzio; rivolse gli occhi al pavimento, poi li sollevò nuovamente verso la giovane donna.
“No.” Replicò, il blu degli occhi che brillava “Ma rimedio subito, vieni…”
“Non è necessario, non preoccuparti.” S’affrettò a dire, frugando nella borsa poiché il suo cellulare squillava “Non perdiamo tempo, se avrò bisogno chiederò.”
E mentre tutti tornavano in sala, lesse l’sms che Pamela le aveva appena spedito di nascosto; era una vecchia abitudine di Clarissa quella di mandare messaggi anche a persone vicine per comunicare pensieri improvvisi, ma talvolta anche la sua amica ne rimaneva contagiata.

‘ Roberto non è Patrizio, hai detto! Quindi già difendi, già conosci Roberto! Interessante…’



Lavorarono sino a tarda sera, quando finalmente la pioggia cessò. La maggior parte degli attori presenti, allora, addusse la scusa di voler approfittare di quella sosta per tornare a casa, poiché ricorrevano ai mezzi pubblici ed erano sprovvisti di veicoli propri; naturalmente nessuno poté replicare, ed in sala rimasero solo le due amiche, Giulia e i ragazzi.
Ognuno aveva mansioni diverse, ma tutti si trovavano nella stessa sala, perciò chiacchierarono molto: inaspettatamente, stavano bene insieme.
-Se le cose procedono così bene, potremmo organizzare un’uscita a quattro!- fu il pensiero di Pamela, al settimo cielo, mentre arrotolava un cartellone con l’aiuto di Giulia. Roberto, invece, riponeva un sassofono lucido nella custodia.
“Suoni il sax?” domandò, incuriosita, la rossa: quando era piccola si era interessata al pianoforte, ma presto aveva interrotto a causa dei vari impegni scolastici, e poi non aveva mai preso effettive lezioni.
“E’ mio.” S’intromise Patrizio, emergendo dalle quinte con degli scatoloni tra le braccia: erano colmi di oggetti e fogli, eppure li sorreggeva come fossero piume.
“Oh…” Clarissa ammutolì, sorpresa: non credeva che a un ragazzo del genere piacesse la musica. Forse la usava solamente per conquistare le sue amanti…
“Allora, forse sarebbe meglio anche per noi andare…” tentennò Giulia, rivolgendosi a Roberto e Pamela “Neppure noi abbiamo l’automobile…”
“Io sto in moto…” asserì Roberto, storcendo la bocca “Posso dare uno strappo a una di voi, ma se ricomincia a piovere, vi avviso, è come stare a piedi.”
“Sbrighiamoci, allora!” accettò al volo la castana, ricordandosi poi di Pamela “Non ti spiace, vero, se…?”
“Fate pure. Non dispiacerà certo a me se vai con Roberto…” insinuò, lanciando un’occhiata maliziosa a Clarissa, che tentò di fingersi ignara.
“Però anche io torno in autobus…non è che potresti finire tu di spazzare, e poi chiudere il cancello? Ti lasciamo le chiavi…”
Clarissa sospirò.
“E va bene…ma solo perché mi sento in colpa ad andarmene via da sola in macchina!” acconsentì. Avrebbe dato loro un passaggio volentieri, ma i suoi genitori erano fuori e lei avrebbe rincasato da sua sorella e da suo cognato. La ringraziarono di buon grado, afferrando i cappotti:
“Il prossimo biglietto del cinema lo pago io!” ammiccò Pamela, schioccandole un bacio sulla guancia.
-Figuriamoci…-
Non era mai successo.
“Tu hai la macchina, Patrizio? O ti porto in moto?” si rivolse all’amico, estraendo le chiavi dalla tasca dei pantaloni.
“Cosa, e io?” esclamò Giulia, pronta a battersi per quel posto in sella.
“Sono in macchina.” Rispose, tuttavia aggiunse “Ma resto anche io. Devo finire di impacchettare questi…” indicò gli scatoloni reperiti in magazzino “Altrimenti quando li trasporteremo da una parte all’altra, ci daranno guai.” Gli ammiccò.
“Oh, d’accordo.” Rispose Roberto, eppure non sembrava troppo convinto. Gli riservò un’occhiata piuttosto strana, poi si rivolse alle giovani: “Su andiamo, ragazze…”
In pochi istanti Patrizio e Clarissa rimasero soli.
La ragazza non ne gioì troppo: l’idea che nutriva di lui non era delle migliori, e conoscerlo le aveva soltanto fornito ulteriori argomentazioni a supporto della sua tesi negativa. Tuttavia, tutto sembrò filare liscio; i due continuarono a parlare in generale, fin quando lui non esordì con una domanda piuttosto personale:
“Mi sembra d’aver capito che studi filosofia, vero?”
Lei annuì: “Ho fatto anche qualche esame di letteratura. E tu?”
Lui scrollò le spalle.
-Oh, giusto! Il seduttore non ama parlare di sé…- Lo schernì mentalmente, ironica.
Pensò che la conversazione fosse conclusa, ma si sbagliava. Presto sopraggiunse un’altra richiesta:
“Vuoi che ti suoni qualcosa?”
“Prego?” battè le palpebre: ma che intenzioni aveva?
Sorrise: “Con il sax.”
“Non ti disturbare.” Replicò, riponendo la scopa contro la parete e dirigendosi verso la poltrona
su cui aveva poggiato il cappotto. Non le piaceva affatto la piega che stava prendendo la discussione: i toni erano palesemente cambiati, l’atmosfera mutata.
Meglio andare via.
“Non ti piace la musica? Suono bene, sai...”
“Non sarei capace di giudicare.” S’infilò il soprabito, desiderosa di raggiungere il prima possibile la sua macchina: una strana ansia l’aveva sorpresa, causandole una fastidiosa sensazione allo stomaco.
Meglio andare via.
“Ti insegno io…” il tono di voce era suadente, caldo.
Meglio andare via.
Afferrò la borsa e fece per salutarlo, quando due mani si posarono sulle sue spalle:
“Ti insegno quello che vuoi…” e fece per avvicinarsi alla sua bocca.

§§§

La vibrazione della sveglia gli fece aprire gli occhi; si distese per staccarla ed il lenzuolo gli scoprì il torace nudo. Quindi si riaccasciò senza grazia sul materasso, volgendosi alla sua amante, ancora addormentata: il seno era ancora coperto, ma le bellissime gambe abbronzate erano alla mercé dei suoi occhi.
Le sei e un quarto.
Si mise a sedere lentamente, recuperando la camicia scura ed indossandola, pur lasciandola aperta; controllando ancora una volta che la giovane donna non si fosse destata, si chiuse in bagno.
Poggiò i pantaloni sul lavabo, aprendo il getto dell’acqua per farsi una doccia; ma prima contemplò il suo riflesso nello specchio: si passò una mano sul torace, fiero.
Lanciò dunque un sorriso all’uomo biondo che gli sorrideva dal vetro, poi s’insinuò sotto il getto d’acqua.
Notò sulla piccola bacheca in marmo alcuni flaconi di bagnoschiuma e ne cercò uno che potesse garbargli: la sua scelta ricadde infine su una fragranza al muschio.
E mentre la schiuma gli scorreva sul corpo d’atleta, i pensieri volarono alla sera precedente:
-Che strana ragazza…- pensò, oscillando la testa.
L’aveva rifiutato. E questo non capitava troppo spesso.
Ripercorse con la mente il suo corpo, ben impresso nella mente: aveva decisamente un bel fisico, nonché un bel caratterino! S’era divertito a punzecchiarla, lei non aveva taciuto mai; le donne, solitamente, rispondevano alle sue frecciate i primi minuti, ma quando la situazione si scaldava divenivano improvvisamente silenziose, permettendo che alle parole si sostituissero sorrisi lascivi e arrendevoli al suo fascino. In questo modo, si sentiva a suo perfetto agio con loro, era lui a detenere le redini della situazione.
Lei invece non aveva ceduto neppure per un attimo e, anche se per breve tempo, s’era percepito destabilizzato, privo d’equilibrio, al suo fianco.
La sua bocca s’allargò in un sorriso divertito, allorché due mani gli circondarono il petto e una voce gli sussurrò all’orecchio:
“Non mi hai svegliata…”
Il rifiuto di Clarissa non l’aveva depresso, tutt’altro: aveva innescato nel suo ego un tale sentimento di rivalsa da recarsi in un locale che sapeva essere frequentato dalla bionda: era consapevole di piacerle. E quella notte non l’aveva rifiutata.
“Volevo lasciarti dormire, Charlene.” Le rispose senza neppure voltarsi; il corpo era oramai pulito e l’acqua aveva spazzato via ogni traccia di sapone.
“Ma io volevo augurarti il buongiorno, tesoro…” gli baciò il collo, massaggiandogli la pancia.
Patrizio rimase immobile, riflettendo un po’: erano le sei e un quarto, una mezz’oretta gli rimaneva…
Repentino come un cacciatore tra le fronde che solleva il fucile e colpisce, in un solo istante, la gazzella, così il giovane attore prese la ragazza per i fianchi, trascinandola su di lui.
“Buongiorno, Charlene…” le soffiò sulle labbra prima di rubarle un bacio.
L’acqua continuò a scorrere, bollente, sue corpi nudi dei due amanti.

§§§

“Ma che fai??” si voltò Clarissa, aumentando la distanza tra loro.
Patrizio allargò le braccia, sollevando le sopracciglia: “Cosa fai tu!” la rimbeccò.
“Non era un segnale? Un messaggio?”
“Di cosa parli?” domandò, stringendosi i lembi del cappotto attorno al corpo: quando aveva percepito il contatto delle sue mani le era preso un colpo!
“Sei voluta rimanere qui con me da sola! Tra voi ragazze questo non significa…non vuoi venire a letto con me?!”
Clarissa strabuzzò gli occhi: parlava sul serio o era solo la tattica più insulsa e patetica mai attuata per rimorchiare una donna? E quello doveva essere il grande tombeur de femmes?
Lo fissò negli occhi, cercando di leggere nel blu oceano una scintilla di menzogna, ma niente: il suo sguardo ardeva di sincerità.
“Che caduta di stile!” sentenziò ad alta voce, corrugando la fronte. Tutti i suoi muscoli si rilassarono nel momento in cui comprese d’avere davanti un cretino.
“Cosa?” reagì lui.
No, non un cretino; soltanto uno sbruffone, abituato ad essere al centro delle attenzioni del mondo femminile, incapace di concepire che un esemplare della suddetta categoria non provasse attrazione sessuale nei suoi confronti. Beh, forse fino ad allora non gli era mai capitato: ma era giunto il momento capisse che non poteva possedere tutte le donne. E lei era una di queste, forse la prima. Bene, meglio!
“Sei stato tu a voler rimanere solo con me! Io ho solo accettato di fare un favore a Pamela!” gli spiegò, scrollando violentemente le spalle. “Sono qui per spazzare.”
“Sei rimasta per spazzare? Non per…” ma, fortunatamente, lo interruppe prima che quell’assonanza di parole divenisse pericolosa:
“Non fare giochi di parole stupidi.” Lo ammonì.
Lui sorrise di rimando, grattandosi la testa: “Mi piace la tua lingua. Anche prima, mi hai tenuto testa.”
“Non ho intenzione di cogliere il doppio senso della tua frase.” Lo avvisò, sospirando.
Sospirò anche lui: “Quindi…non vuoi fare sesso con me?”
“No!” s’affrettò a rispondere, corrucciata. “NO!”
Lui sembrò titubare:
“Ah.” Replicò dopo un lungo silenzio, mordendosi un labbro.
“La cosa ti stupisce così tanto?” lo prese in giro.
Lui assottigliò gli occhi, come se stesse riflettendo; poi un lampo di consapevolezza gli attraversò la mente: “Oh!!” realizzò.
“ Oh…cosa?” gli chiese.
-Quale altra sciocchezza partorirà ora la sua mente malata?-
“Roberto non è Patrizio!” ripeté le parole udite quel pomeriggio, come rappresentassero la password di qualche importante sistema segreto. “E poi, Pamela…Non dispiacerà certo a me se Giulia va con Roberto…”
“Ma cosa…?”
“Ti piace Roberto!” l’additò, come un investigatore che incastra il colpevole.
“Ma cosa vai blaterando?” mosse concitatamente le mani e il viso.
“Ti piace Roberto!” disse per la seconda volta, ridendo.
“No che non mi piace!” negò, poggiando il bacino ad una poltrona.
Lui continuò a scrutarla, un sorrisetto divertito sulla faccia mentre annuiva da solo.
“Quel giorno al bar fissavi lui, non me…” borbottò tra sé e sé. Quindi le diede le spalle, facendo per allontanarsi da lei.
“Glielo…glielo dirai?” la voce di Clarissa gli giunse lontana, quasi l’avesse sussurrato.
Si voltò, rivelando un’espressione stupita. Lei lo guardò negli occhi, seria.
Si fissarono per un lungo istante.
“Nah…” le sorrise malizioso “A patto che tu non gli dica che io c’ho provato con te. Ho una nomina di zero fallimenti da difendere!”
La rossa scosse la testa.
“Bene.” Sentenziò Patrizio, afferrando la scopa che lei aveva poggiato pochi minuti prima contro il muro.
“E ora che fai?” chiese, seccata. Quel ragazzo era davvero strano!
“Spazzo.”
“E perché mai?”
“Abbiamo detto a quei tre che saremmo rimasti per spazzare e impacchettare la roba. Gli scatoloni li ho chiusi tutti, ma il pavimento è sporco…dobbiamo fare questo favore a Pamela o no? Tu te ne stai andando, qualcuno deve pur finire il lavoro.” Indicò con un cenno del capo il montgomery che aveva indossato.
-Si…si comporta come non fosse successo niente!-constatò, osservandolo come fosse matto –Incredibile, non fa una piega!-
Ciononostante, si sentì in colpa al pensiero di andar via e lasciare tutto il lavoro a lui.
Si sfilò il cappotto, poggiandolo nuovamente su una poltrona.
“Prendo lo straccio…” gli comunicò, avviandosi verso il magazzino “Ma tu sei un pazzo!” ci tenne ad aggiungere.

§§§

Il suono del cellulare gli giunse alle orecchie nonostante il rumore scrosciante dell’acqua.
“Scusa, amore.” si staccò da lei, uscendo gocciolante dalla doccia per rispondere alla chiamata.
“Bobbo!” esclamò, tenendo il cellulare in punta di dita mentre con l’altra mano tentava d’afferrare un asciugamano.
Charlene chiuse il getto dell’acqua, facendogli segno che si sarebbe vestita mentre usciva dal bagno.
“Allora?” domandò l’amico dall’altro capo del telefono.
“Allora cosa?” gli fece eco lui, tirando un lieve calcio contro la porta perché si chiudesse.
“Fai il finto tonto? Com’è andata la nottata?”
“Eri anche tu a quell’assurdo locale, ieri sera?” dedusse Patrizio, riferendosi al pub in cui aveva incontrato Charlene.
“…quale locale? Sei andato con due donne, stanotte? Io sto parlando di Clarissa!” gli ricordò Roberto.
“Non sei rimasto da solo con lei perché…?”
“Oh, Clarissa.” S’infilò i pantaloni, tenendo il cellulare tra la spalla e la guancia. “No, non è successo niente tra noi.” Gli rivelò
Dal ricevitore giunse una voce interrogativa e perplessa: “Perché mai?”
Patrizio sorrise, malizioso, ripensando al dialogo avuto con la rossa.
“Vuoi davvero saperlo?”


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Precisazioni:
*1. I maestri del sospetto: E’ un saggio del 1965 di Ricoeur, di cui non ricordo esattamente il titolo. Dovrebbe essere all’incirca “Interpretazione. Saggio su Freud”, ma in realtà tra quelli che Ricoeur definisce Maestri del Sospetto sono presenti anche Marx e Nietzsche.


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Note dell’autrice: Bene, ecco il primo capitolo! E’ più dialogico di quanto avessi previsto, in realtà XD Però purtroppo era necessario per stabilire bene i ruoli di ciascun personaggio: diciamo che questo è più un esordio, un iniziale equilibrio che si spezza e da inizio alla narrazione, come il più tradizionale degli schemi romanzeschi XD Spero non sia risultato troppo noioso, o prolisso…e che qualcuno sia riuscito a giungere sino alla fine! :D
Sarò ben lieta di rispondere a qualunque interrogativo circa la storia.
Ringrazio tanto coloro che hanno letto questi due aggiornamenti e ancora di più un GRAZIE SPECIALE va a coloro che hanno recensito. Ricevere un commento è sempre fonte di grande gioia per me!
Quindi grazie a Dear Juliet, Roxina, e Rob.
Al secondo capitolo!
Cavy










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Capitolo 3
*** Nero di tenebra ***


Capitolo Secondo
Nero di tenebra


  Note dell’autrice: Rieccoci qui! Perdonate la lunga assenza, ma ho trascorso le vacanze estive senza connessione e quindi non potevo postare nulla! E poi ho approfittato di questa pausa per rinfrancare un po’ i bollenti spiriti e ritrovare un’ ispirazione adeguata. Ammetto di essere rimasta un po’ delusa dai primi due aggiornamenti, perché speravo di ottenere un maggior numero di recensioni: mi sono quindi abbandonata al dubbio che questo tentativo da parte mia di un’originale fosse troppo azzardato e non facesse per me, quindi sulle prime avevo deciso di abbandonare questa storia. Poi però ci ho riflettuto e alla fine ho pensato che, comunque vadano le cose, almeno pubblicherò un altro paio d’aggiornamenti –se non altro varranno da curriculum, ahah!-  Quindi posticipo un po’ la scelta di portare o no a termine questo racconto, starò a vedere. Nel frattempo, spero che questo capitolo potrà essere di vostro gradimento e che la storia vi stia piacendo! Ho trascritto con piacere alcune riflessioni, e provengono dalla mia esperienza personale: non dirò però quali eheh (nulla di scabroso, comunque).
I pensieri di Clarissa e Roberto iniziano a farsi più chiari, mentre la cornice spero sia ben resa con l’ausilio di Pamela e Patrizio…spero di riuscire a sorprendervi almeno un pochino.
  Detto questo, passo a ringraziare i gentilissimi recensori: Rob, Roxina, e la Neech.

 
Un GRAZIE gigantesco a tutti coloro che hanno commentato, e un grazie anche a chi ha soltanto letto. A presto!

 
Quella mattina varcò la soglia dell’università con lo stomaco sottosopra.
La sera precedente era giunta a casa di sua sorella con la consapevolezza che Patrizio non avrebbe conservato quella storia per sé; avrebbe rivelato a Roberto della sua cotta e lei sarebbe diventata lo zimbello del gruppo teatrale. Poi, grazie alle voci che corrono più d’un dardo scoccato da un arco*, di bocca in bocca, quella diceria avrebbe raggiunto ogni angolo dell’università.
Il problema era che quel pomeriggio Roberto aveva rivelato ai suoi amici d’essere interessato ad una ragazza conosciuta in palestra, che frequentava da qualche settimana.
Come avrebbe potuto avere un debole per Clarissa, allora?
Sbuffò, scrutando in cima ai gradoni all’ingresso: Pamela e delle sue amiche erano lì, a chiacchierare.
Le si gelò il sangue non appena captò la loro reazione al suo arrivo: la castana si scurì in viso, mentre le altre presero a ridere tra di loro, scambiandosi parole a tutta velocità.
-Ecco, come prevedevo…- rimuginò, emettendo un secondo sospiro, ancor più rumoroso del primo.
-Mi crederebbero se sostenessi che Patrizio si è sbagliato e a me Roberto non piace?- si chiese, incominciando a salire la scalinata.
Quando si trovò a un metro di distanza dalla ragazze, una di loro, esordì:
“Clarissa, ciao! Hai saputo?”
Lei scosse la testa.
-Roberto si è fidanzato?- ipotizzò tra sé e sé, spostando lo sguardo sul piccolo gruppo: gli occhi volarono sul volto di ciascuna di loro e le parve di aver visto, almeno una volta, tutte. Dunque nelle vicinanze non si celava la neo ragazza dello scenografo, grazie al cielo!
“Charlene e Patrizio hanno passato la notte insieme!”  squittì, ammiccando.
Pamela sbuffò.
“C-come?” balbettò lei, in risposta.
“Incredibile, vero, Cla? Eppure ce lo ha detto poco fa Charlene in persona!” s’inserì nella discussione un’altra giovane, alzandosi in piedi.
Clarissa battè ripetutamente le palpebre.
“E…?” domandò. Quelle erano tanto pettegole da preferire una notizia di gossip piccante ad una di mera infatuazione! Però sicuramente ne avrebbero comunque parlato, in seguito.
“E… cosa? Lo sai com’è Patrizio, no?” le rispose la sua amica, estraendo una sigaretta dal pacchetto “Si sono svegliati, e lui se n’è andato.”
In quel gruppo solamente Clarissa sapeva della cotta di Pamela per il biondo, quindi solamente lei –lo avrebbe comunque colto, era un’ottima osservatrice-  notò un tono polemico trasparire dalla sua voce.
“Oh…” Possibile che non avesse raccontato nulla di quella sera a teatro?
Forse era presto perché la voce circolasse, forse non lo avevano ancora incontrato.
“Ma lui è già arrivato?  Ha confermato che…?” s’informò, per nulla interessata a quella vicenda ma desiderosa di scoprire le sorti del suo segreto.
“Sì sì, è al bar, ora.” La informò Pamela, sbuffando fumo “E’ con Roberto.”
-Ahi ahi!- capì al volo lei –Mi aspettano ancora le forche caudine…-
“Eccoli: silenzio!” le avvisò la bionda, portando una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Quindi iniziò a parlare di cosmetici, come se non avessero discusso che di quello sino ad allora:
“Fidatevi, quella marca è la migliore! Il rossetto si fissa bene e non va via neanche se bevi champagne!”
“E se invece baci, va via?” s’intromise Patrizio, un’espressione di scherno dipinta sulla faccia.
I suoi occhi, repentini, analizzarono in un secondo tutte le ragazze, soffermandosi poi anche su Clarissa: non sembrava essere risentito per il suo rifiuto, era allegro.
-O forse soddisfatto della vendetta…- tremò la rossa, temendo di spostare lo sguardo su Roberto, che era  al suo fianco.
“Quello non lo so, non l’ho ancora provato…” replicò lei, facendogli la linguaccia.
“Beh, se volete, vi aiuto io a capirlo… Il trucco che ti resta sulla pelle quando tocchi una donna è fastidioso. Il vero rossetto è quello che non va via neanche dopo …!” sottintese, malizioso.
“Contieniti, siamo in presenza di signore!” lo interruppe Roberto, ridendo. Quindi si rivolse alle ragazze:
“Ciao, Pamela…ciao, Clarissa!”
La giovane alzò finalmente lo sguardo su di lui: sembrava…normale. Nulla di strano nel suo sguardo, sul suo volto non vi era alcun segno di malizia o viceversa, di imbarazzo.
“Ciao…” ricambiò, incerta.
Lui le sorrise,  non staccandole gli occhi di dosso.
“Andiamo! Altrimenti accusi me, se arrivi in ritardo!” lo richiamò Patrizio, riservandogli una gomitata tra le costole.
“Quando ti fermi a sistemare gli appunti per mezz’ora dopo il termine delle lezioni, il ritardo è colpa tua.” Precisò in un sussurro, tagliente.
Ad ogni modo, i due amici si affrettarono per i gradini, salutando il simpatico gruppo di studentesse; ma sulla via della salita, gli sguardi di Clarissa e Patrizio s’incrociarono: lei  gli rivolse un’occhiata interrogativa, lui le fece l’occhietto.
-Non ha spifferato niente per davvero…- realizzò, scrutando oramai le sue spalle.
“Ho deciso!” Pamela la distolse dai suoi pensieri, prendendola a braccetto per allontanarla dalle altre: evidentemente, non voleva sentissero. E questo poteva significare una sola cosa: stava progettando uno dei suoi strabilianti piani, conclusione? Guai in vista.
“Alla festa di sabato lo ammalierò, te lo posso assicurare!” sentenziò, il fuoco ardente negli occhi di chi vuole vincere.
“Quale festa?” cadde dalle nuvole lei. Con tutti gli impegni e le preoccupazioni che le affollavano la giornata e la testa, non dedicava troppo spazio nelle sua memoria per questo genere di eventi.
Pamela sbuffò:  “Questa sera, alle sei in punto davanti a casa mia, ok? Andiamo a fare shopping…verrai anche tu e dovrai far colpo su Roberto!”
 
§§§
 
Poggiò il piede a terra, per richiudersi alle spalle lo sportello dell’autovettura dopo che anche le sue due compagne ne fossero scese.
Ma come aveva potuto lasciarsi convincere? Clarissa odiava quel genere di feste: musica a tutto volume che istigava ogni essere dotato di due gambe a muoversi come se preda di violente scariche elettriche.
Lei sapeva ballare, ed assistere a quelle manifestazioni d’incompetenza motoria celebrata come abilità da professionista non solo l’annoiava, ma la irritava. Sfortunatamente non poteva dirsi lo stesso per Pamela, che anzi adorava le discoteche: non appena scendeva in pista, il suo corpo prendeva a muoversi frenetico senza alcun ritmo, gli occhi inchiodati a chi sceglieva tra gli invitati a suo dire ‘più promettenti’.
In quelle occasioni le due amiche non uscivano mai insieme: la mattina seguente, tuttavia, la castana raccontava con gli occhi luminosi le avventure vissute, gli sguardi eccitanti, i gesti lasciati in sospeso, il ragazzo più bello della festa che le aveva lanciato un sorriso.
Questo era il carattere di Pamela: e in cuor suo Clarissa sapeva che anche il bel Patrizio rientrava nella cerchia degli “invitati più carini”: non era innamorata di lui, quando fosse riuscita a trascorrere una notte in sua compagnia, probabilmente l’avrebbe dimenticato. Era un capriccio.
Certo non l’avrebbe affascinato ballando: i suoi movimenti, sebbene sprezzanti, erano goffi, esagerati; lo stesso non poteva dirsi per descrivere i gesti della ragazza al loro fianco quella sera, Carolina. Lei sì che era brava! Clarissa l’aveva vista una sola volta ballare, eppure ne era rimasta subito colpita; nonostante quel tipo di danza non le andasse per nulla a genio, doveva ammettere che quei movimenti sembravano quasi aggraziati quando era lei a compierli.
Era una loro amica del liceo, aveva fatto parte del loro gruppo per breve tempo, prima di cambiare scuola. Pamela però aveva mantenuto i rapporto con lei, poiché le era particolarmente simpatica -Clarissa non ne capiva il motivo: Carolina non aveva doti particolari, e forse poteva anche apparire antipatica, quando si rinchiudeva nel suo mutismo incondizionato. La castana definiva con ironico affetto quel suo silenzio come quello proprio di una prima donna, la rossa invece era solito identificarlo come caratteristico d’una ragazza abbastanza furba da tacere perché non trapelasse la sua sciocca semplicità-.
In compenso era molto bella: i capelli lunghi e neri le ricadevano sulla schiena, incorniciando la pelle scurissima incastonata in un fisico mozzafiato.
Non frequentava l’università, ma era iscritta, e alla facoltà di giurisprudenza; come sarebbe divenuta un’avvocato, Clarissa se lo chiedeva spesso.
Quella sera lei stessa aveva contattato Pamela, chiedendole indicazioni per la festa: sapute le coordinate, aveva espresso il desiderio d’andare, manifestando però il problema della distanza.
“Come arrivo fin là?” si era lamentata al telefono.
“Guarda, io sono a casa mia con Clarissa, ci stiamo preparando. Mi da uno strappo lei…perché non vieni con noi?” si era offerta Pamela, ignorando il sospiro rumoroso della giovane chiamata in causa.
La studentessa di filosofia ripose con cura le chiavi della macchina nella borsa nera, seguendo poi le sue accompagnatrici in direzione del palazzo: il luogo stabilito per l’evento era un enorme appartamento all’ultimo piano, dotato di una terrazza gigantesca che, attraverso una scalinata, portava direttamente sul tetto.
“Ti sei fidanzata, Pam?” le chiese Carolina in ascensore, ritoccandosi con un dito il mascara sull’occhio destro. Alla sua negazione, non esitò a domandarle se però le interessasse qualcuno.
La sedicente attrice allora lasciò trapelare un sorriso sornione: “Potrebbe essere…” rispose, ammiccando: “Se stasera lo intravedo, te lo mostro! Ti mostrerò anche chi piace a Clarissa!”
Si voltò così in direzione della giovane, che presto s’affrettò a negare.
Le porte dell’ascensore s’aprirono proprio in quel momento, rivelando una ragazza con un top nero ed una minigonna di pelle che le attendeva davanti la porta spalancata dell’attico.
Non appena ebbe varcato la soglia, Clarissa dovette strizzare le palpebre per guadarsi intorno: solo poche luci soffuse illuminavano la sala gremita di ragazzi che, come aveva immaginato, erano occupati in movimenti convulsi.
Carolina invitò immediatamente le due amiche a ballare, cercando di sovrastare la musica con un grido che fu recepito come un sussurro. Pamela annuì, rivolgendosi all’amica:
“Tu va’ pure, io vi raggiungo tra un po’!” la tranquillizzò Clarissa, sorridendole.
Lanciò un’occhiata alla gigantesca cassa stereo collocata affianco la porta-finestra aperta, decidendo di trovare un posto a sedere abbastanza lontano da quel marchingegno tanto rumoroso.
Per prima cosa cercò il proprietario di casa, un vecchio amico che talvolta frequentava qualche lezione insieme a lei: l’unico motivo per cui s’era recata a quella festa era il desiderio di non offenderlo, visto che era stato sempre molto gentile nei suoi confronti. Inoltre, sperava che magari quella volta si sarebbe imbattuta in un festeggiamento diverso dal solito: si sbagliava di grosso.
Sospirò, adocchiando una serie di sgabelli alti di fronte ad un tavolo adibito a bancone degli alcolici: l’unico posto abbastanza illuminato della stanza, affinché le etichette sulle bottiglie fossero ben leggibili. Fece per andarsi a sedere quando notò un ragazzo seduto sul divanetto ad angolo: il petto lasciato scoperto dai primi bottoni aperti della camicia bianca risaltava con l’aiuto dei flash di luce a intermittenza.
Era Patrizio.
“Figurati se poteva mancare…” sussurrò tra sé e sé, facendosi largo tra la folla.
Avvicinandosi vide nella sua mano un bicchiere mezzo vuoto e lo sguardo che vagava da un punto all’altro della sala: era in cerca di donne.
S’accorse troppo tardi che apriva e chiudeva la bocca, chiacchierando con qualcuno seduto lì vicino che però era rimasto coperto alla sua vista. Il suo interlocutore infatti fece capolino oltre la spalla del biondo, vedendola: le sorrise, richiamandola con una mano.
Allora anche lui si voltò, salutandola poi con un cenno del capo.
-Caspita, ma sono inseparabili!- constatò nella mente: ad ogni modo, non potendo fare altrimenti, li raggiunse sedendosi al loro fianco.
“Ciao!” gridò Roberto, avvicinandosi al suo viso perché potesse udirlo: “Sei qui da sola?”
Lei scosse il capo, citando il nome di Pamela.
Chiacchierarono per un po’ con difficoltà, mentre Patrizio continuava a guardarsi intorno bevendo di tanto in tanto un sorso di quel che lei credeva essere birra. Il suo comportamento disinvolto le fece capire che il dongiovanni non gli aveva rivelato nulla di quella conversazione avuta a teatro.
“Con questa musica non si sente nulla!” le disse a un certo punto lui, porgendole una mano “E’ meglio ballare, che dici?”
Lei avvampò: “Non sono troppo brava…” si scusò, portandosi con nervosismo una ciocca dietro l’orecchio.
“Che ti importa? Si fa per divertimento!” l’afferrò per una mano, ma un giovane dai capelli lunghi gli posò una mano sulla spalla distogliendo la sua attenzione: si rivelò essere un vecchio amico che non vedeva da molto e a cui presto volle offrire da bere. Fece cenno alla giovane di scusarlo e s’avviò verso il bancone.
Lei rimase seduta su quel divanetto, indecisa se parlare o meno.
“Delusa?” prese parola Patrizio, togliendola da ogni dubbio.
“E da cosa?” gli gridò in risposta, poggiando la schiena ai cuscini in pelle.
“Da Bobbo che ti lascia qui per andarsene con un suo amico!” spiegò pungente, lanciandole un mezzo sorriso di scherno.
Neppure lei potè fare a meno di sorridere: “Non gli hai detto nulla!” constatò ad alta voce, proprio mentre le note d’una nuova canzone si diffondevano per l’aria.
Lui scosse la testa, volendole dire di non aver capito.
“Non gli hai detto nulla!” ripetè inutilmente, avvicinandosi leggermente a lui: il volume di quel pezzo era ancora più alto dei precedenti.
“Non ti sento!” le mimò, prima di poggiare le  labbra sopra il suo orecchio: “Andiamo fuori!”
Raggiunsero il balcone con un percorso a zig zag tra i vari ballerini: sul pavimento chiaro si riflettevano le stelle ben visibili, anche se la luna era coperta da una nube nera. La musica giungeva ovattata, accompagnata dalle voci dei ragazzi lì fuori per fumare o chiacchierare con più tranquillità.
Mentre seguiva Patrizio, Clarissa lanciò uno sguardo alla piccola scalinata che sapeva condurre sul tetto: quando realizzò di trovarsi da sola con lui un brivido le passò lungo la schiena…e se avesse di nuovo provato a sedurla?
“Allora?” le domandò facendola sussultare. Alzò gli occhi per incontrare i suoi, resi ancora più blu dalla luce riflessa del cielo stellato. La sua voce questa volta giunse nitida, sicura, ferma.
“Cosa mi dicevi?” domandò, continuando a camminare con passo lento.
“Che non hai detto nulla a Roberto…” gli rispose, seguendolo.
Lui sorrise, appoggiando la schiena e un piede al muretto che segnava la fine della terrazza:
“Te l’avevo promesso, no?” le ricordò, portando il bicchiere alla labbra. Però non bevve:
“Perché? Tu gli hai detto che io ci ho provato con te?”
La ragazza scosse la testa, affrettandosi a rispondere.
“Bene.” Decretò lui, finalmente sorseggiando.
Rimasero in silenzio per un po’, a debita distanza l’uno dall’altra, osservando gli altri ospiti.
“L’aveva lasciata.” Decretò Patrizio a un certo punto, gli occhi fissi di fronte a sé.
“Prego?” Clarissa pensò si riferisse alla misteriosa ragazza della palestra citata da Roberto qualche giorno prima.
“L’aveva lasciata. Vedi? Lei si atteggia forte, distaccata. Ma i suoi occhi brillano perché è tornato a cercarla. E lui lo sa.” Le indicò con un cenno del capo la giovane coppia poco distante da loro, seduta nei pressi d’un tavolo nero in stile rococò.
Lei ridacchiò: “Non l’aveva lasciata. L’aveva tradita.” Precisò, guadagnandosi un’occhiata di sfida:
“Ah, sì?”
“Certo: si sottrae alle sue attenzioni…” gli spiegò, mentre la giovane osservata dai due si ritraeva dalla presa dell’uomo “…perché è ferita.”
“Però non si alza.” Il tono di Patrizio era strafottente. Mandò giù un altro sorso prima di aggiungere: “Non capisco perché la tiri tanto per le lunghe. Le piace, è evidente. Ed è evidente che lo vuole. Perché non s’arrende?”
“Perché ha paura di soffrire.” Rispose Clarissa, incrociando le braccia.
“E allora perché non se ne va?” la rimbeccò, sbuffando.
“Perché non ne ha il coraggio. Sa che proverà dolore a causa sua, ma gli piace, lo hai detto tu. E non sa se seguire la strada del cuore, o la via indicata dalla ragione.” Ipotizzò, perdendosi nell’atteggiamento di quella ragazza che, palesemente, rivelava un combattimento interiore.
“Cosa credi vincerà?” gli domandò Patrizio, passandosi una mano tra i capelli.
“La ragione.” Decretò lei assottigliando gli occhi, poco prima che la bionda colpisse la guancia del corteggiatore con un sonoro schiaffo.
Patrizio fischiò due volte, seguendo con gli occhi il povero malmenato filarsela con la coda tra le gambe.
“Tendenzialmente, nelle donne più ragionevoli, è sempre il buon senso a vincere.” Gli confidò, voltandosi a guardarlo. Lui ricambiò con un sorriso sarcastico: “E’ un vero peccato. Questo significa che non riuscirò a conquistare quella bellezza che ho adocchiato prima.”
“Chi?” gli domandò lasciandosi sfuggire una risata.
“Quella!” gliela indicò con un cenno del capo, fissando gli occhi sulla sagoma d’una ragazza che ballava all’interno della sala.
“Pamela?!” si stupì, rimanendo a bocca aperta: avrebbe scommesso che la sua amica non fosse il tipo di donna a godere delle grazie dell’attore.
Ed in effetti aveva ragione: “Ma sei matta? No!” rise, aggrottando la fronte “Quella accanto a lei.”
Carolina.
Clarissa si morse un labbro, maledicendo il caso:
“Perché sono matta?” indagò “Non ti piace Pamela?”
“Piaccio a Pamela?” comprese subito, atteggiando le labbra in un’espressione compiaciuta.
“No!” si affrettò a replicare, colta in fallo.
“Ah, no? E perché ti interessa se mi piace Pamela, se non vuoi venire a letto con me?” cantilenò lui, dipinto sul volto il sorriso spavaldo che aveva ammaliato tante ragazze.
“Per curiosità.” Mentì, poggiando anche lei la schiena contro il muretto freddo “E’ una mia amica.”
Lui mugugnò, poco convinto.
“Pamela non è il mio tipo.” rispose comunque, divorando però con gli occhi Carolina.
“Non c’è possibilità di ripensamento?” insistette, causando una risata divertita:
“Sei sicura, eh, che non piaccio a Pamela?”
“Sto solo cercando di capire se debbo metterla in guardia circa un tuo arrembaggio. A me avrebbe fatto piacere se qualcuno m’avesse avvisato.” Aggiunse repentina, mordendosi la lingua: la sua congenita ironia quella sera le si sarebbe ritorta contro, se Patrizio si fosse offeso e avesse deciso di rompere il patto e parlare con Roberto.
Si sorprese quando la risposta del ragazzo fu una sorriso divertito.
Finì la sua birra prima di confidarle che non vi sarebbe mai stata la possibilità d’un ripensamento:
“Prima di provarci con Pamela, m’innamorerò di un uomo.” Rispose, copiando la sua ironia.
-Ecco fatto!- pensò Clarissa, vagliando mentalmente le varie possibilità a sua disposizione: avrebbe potuto parlargli un po’ di lei, cercando di fare leva su quegli elementi che reputava potessero piacergli, ma allo stesso tempo aveva capito che Patrizio fosse più sveglio di quanto avesse immaginato e non poteva di certo rischiare che si prendesse gioco di Pamela mettendolo spudoratamente a conoscenza della sua cotta per lui. Forse avrebbe potuto domandargli quali caratteristiche di lei non l’attirassero: ma il rischio di esporre la sua amica era comunque troppo alto.
E se avesse provato a chiedergli cosa invece lo inducesse a interessarsi a una donna? Opzione da scartare immediatamente, avrebbe potuto pensare di interessare a lei, e ci mancava soltanto che per la seconda volta tentasse d’irretirla.
Non sapeva che decisione prendere, per soccorrere la castana; improvvisamente però ebbe un’idea! Doveva puntare su un cavallo sicuro, qualcosa che era certa d’aver compreso di lui senza alcun errore.
Il suo animo orgoglioso.
“Dixit volpes non tangens uvam*…” insinuò, sfoggiando un perfetto latino in una delle citazioni che naturalmente le sgorgavano dalle labbra come acqua pura.
“Questo potresti dirlo per te.” La rimbeccò, riservandole un’occhiata maliziosa.
Lei arrossì: “Io non ho mai parlato male di Roberto!”
“Non intendevo certo questo!” ridacchiò, mentre però i suoi occhi si fissavano ancora più ingordi sulla figura di Carolina, che s’avvicinava alla porta-finestra.
“Volevo solo dire che nel mio caso, uva quam adpeto sed non tango es.*”
Carolina varcò la soglia del balcone sotto il suo vigile controllo.
“Ma non mi sognerei mai di parlare male di te.”
Carolina alzò gli occhi verso di loro.
“Non ho alcuna remora ad ammettere che a fermarmi è la consapevolezza che tutta la tua attenzione è rivolta a qualcun altro.”
Carolina s’incamminò nella loro direzione.
“E non esiterei certo a dire che ti trovo attraente.”
Carolina si fermò a pochi passi dai due giovani. Aprì la bocca per parlare, e Patrizio fu sicuro d’aver vinto per l’ennesima volta la partita; rimase molto sorpreso quando scoprì che la bella mora si rivolgeva a Clarissa:
“Dove tenevi nascosto questo bel tenebroso, Cla? E’ lui il ragazzo che ti piace?”
Lui strabuzzò gli occhi, voltandosi verso di lei. Quando i loro occhi s’incrociarono, un’ombra di preoccupazione oscurò le pupille irridenti dell’attore: evidentemente temeva avrebbe rivelato allapreda
le sue intenzioni.
Sospirò prima di rivolgere gli occhi oltre il muretto e concentrarsi sul meraviglioso panorama della città illuminata, poggiando un mano sulla superficie di pietra levigata.
Clarissa sorrise, consapevole che Pamela non avrebbe mai avuto speranze con un tipo tanto testardo e tenace.
Dopo qualche secondo di silenzio, giunse ad una decisione e prese parola:
“Affatto. Ci siamo incontrati per caso, è solo un amico. Carolina, posso presentarti Patrizio?” le sorrise, per poi ammiccare al giovane che allargò gli occhi, allibito.
“Certo, piacere.” Rispose laconica, tendendogli la mano.
Lui esitò per un istante, serrando le labbra per poi riaprirle:
“Il piacere è mio, Carolina. Godevo della compagnia di Clarissa perché non conosco nessuno a questa festa, le stavo per chiedere di ballare…”
“…ma sa bene che io non sono troppo brava. Mi togli da quest’impaccio?” finì per lui Clarissa, sicura di quale sarebbe stata la riposta della bruna: un assenso senza esitazioni.
D’altronde, Patrizio era davvero un bel ragazzo e Carolina non era poi troppo diversa da Pamela, in questo campo.
E mentre i due si allontanavano insieme, il biondo lanciò uno sguardo di ringraziamento, seppur ancora stupito, alla giovane rossa che gli mimò con le labbra: “Non perderti in chiacchiere, non le piace parlare!”
-Forse non ne è neanche capace…- non risparmiò una pungente frecciata alla ragazza scura, nei suoi pensieri.
 
§§§
 
Roberto ed il suo amico, Gabriele, avevano perso la cognizione del tempo ricordando i tempi passati, l’uno riportando alla luce episodi che l’altro aveva dimenticato. Erano ancora seduti di fronte al bancone con due bottiglie di birra in mano, quando sopraggiunse la domanda:
“Quella ragazza è la tua fidanzata?”
A Roberto andò di traverso l’alcolico che stava deglutendo, e tossì un paio di volte.
“Risposta soddisfacente!” lo canzonò l’amico, battendogli una pacca sulla spalla.
“Ah, non prendermi in giro!” si difese, guardandosi intorno per assicurarsi che nessuno stesse ascoltando la loro conversazione – o forse per assicurarsi che la rossa non fosse nei paraggi.
“Si chiama Clarissa, è un’amica…” ridacchiò, rinunciando a finire la sua birra per il momento.
L’espressione che ebbe in risposta gli comunicò di non aver parlato con tono convincente, quindi proseguì:
“Da un paio di settimane ho conosciuto una ragazza, in palestra…mi piace, l’ho invitata ad uscire e ci stiamo frequentando. Clarissa è arrivata dopo, ci siamo incontrati da pochi giorni…”
Quel discorso suonò più come un ragionamento esposto ad alta voce per convincere se stesso, che una spiegazione esposta al suo amico, il quale, per giunta, quella sera vestiva i panni del grillo parlante.
“Però ti piace!”
Roberto scosse la testa: “…non so bene cosa sia, ma c’è qualcosa in lei che mi attrae particolarmente.”
Non poteva immaginare che la prima impressione che Patrizio aveva avuto di lei coincidesse perfettamente con la sua: anche lui era stato immediatamente affascinato dal suo comportamento, e per questo non aveva esitato a farsi avanti. Neppure dopo il rifiuto però aveva cercato di indagare su quella strana sensazione, e scoprire quale fosse l’elemento in lei  che tanto l’aveva colpito; al contrario invece Roberto continuava a rifletterci senza però giungere a un risultato convincente.
La simpatia? Aveva sempre la battuta pronta, lei.
Oppure la gentilezza? Era una ragazza davvero a modo.
Il comportamento? Nonostante fosse molto pacata, il suo atteggiamento tradiva una sicurezza che di finzione aveva ben poco: parlando con lei, aveva scoperto che i suoi obiettivi erano nitidi ed i suoi progetti, sebbene a lungo termine, possedevano una chiarezza invidiabile. Lei sapeva quello che voleva e voleva quello che sapeva.
Oppure semplicemente era stato il suo corpo a destare l’attenzione del ragazzo? Copriva attentamente il fisico non sfoggiando mai –almeno per quanto aveva avuto modo di vedere, anche quella sera- vestiti particolarmente audaci o sgargianti, eppure era evidente che non avesse alcuna imperfezione da celare.
Quando l’aveva scorta avvicinarsi a loro pochi minuti prima, le aveva riservato una lunga occhiata: i pantaloni neri erano abbastanza attillati da fasciarle le gambe come fossero calze, rivelando una forma perfetta, mentre la maglia grigia lunga fin sopra il ginocchio mostrava una pancia piatta e un seno prosperoso e lasciava scoperta una spalla eburnea, dove non era visibile la spallina del reggiseno.
Aveva subito pensato che era dotata di vero buon gusto.
Che si trattasse di quello? Come poteva capire se fosse solamente attratto fisicamente da lei o se invece il suo interesse celasse un sentimento diverso dall’emozione scatenata dalle pulsioni?
Aveva bisogno di un consiglio, e dapprima aveva individuato un possibile consigliere in Patrizio; ma poteva prevedere il suo suggerimento: “Innanzitutto dai libero sfogo ai tuoi bisogni da uomo. Poi si vedrà”.
No: se si fosse fortuitamente trattato di un interesse più profondo del mero desiderio fisico, avrebbe rischiato di rovinare tutto per soddisfare un capriccio del corpo.
Forse Gabriele era la soluzione al suo problema: l’aveva appena vista, e dunque la conosceva poco per non esporre un giudizio obiettivo, ma abbastanza per avere un quadro della situazione.
“Tu che dici? Dovrei…” esitò, mordendosi la lingua.
“Indubbiamente non dovresti lasciarla aspettare così tanto, per prima cosa.” Poggiò la bottiglia di birra vuota sul tavolino, alzandosi dallo sgabello: “Non è buona educazione abbandonare una signora!” E dopo una vigorosa pacca sulla spalla, Gabriele s’allontanò da Roberto:
“Ricorda che il mio numero ce l’hai!” gli ammiccò.
 
§§§
 
Carolina procedette a passo spedito verso il bancone, e stava per sedersi quando Patrizio le afferrò un braccio: “Non balliamo?”
Lei gli fece cenno con una mano d’aver sete, ma lui fece scorrere la presa sul suo polso, tirandola verso il centro della pista: “E dai, beviamo dopo!”
La ragazza non si fece pregare troppo: prese a muovere sinuosamente i fianchi, ma non si liberò dalla morsa dell’attore.
Lui la osservò lentamente da capo a piedi, puntando su di lei il suo sguardo indagatore: il tubino senza spalline argentato creava un meraviglioso contrasto con la sua carnagione scura, e progressivamente si alzava in armonia con i suoi movimenti lasciando scoperte le gambe modellate. Risalì con gli occhi sino al suo volto, cercando di guardarla negli occhi, ma lei evitò il suo sguardo iniziando a muovere il capo a ritmo di musica.
Allora lui l’attrasse a sé, mentre lei gli dava le spalle: i capelli corvini gli colpivano il petto, solleticandolo.
Poggiò le mani sui suoi fianchi, stringendola:
“Balli bene, Carolina…” le sussurrò all’orecchio, percependola chiaramente rabbrividire a quel contatto.
“Ce l’hai un ragazzo, Carolina?” decise di andare subito al sodo, seguendo il suggerimento di Clarissa.
La bruna scosse la testa.
Lui aumentò il contatto tra i loro corpi, che si muovevano frenetici scontrandosi con violenza sensuale ad ogni gesto. Con un movimento brusco la fece voltare, afferrandola per le spalle cosicché il suo seno incontrasse il suo torace.
Rifletté per un istante, vagliando nella mente una frase che gli permettesse di congiungere le loro labbra, ma non fu necessario sprecare altro tempo, né fatica; fu lei a baciarlo, gettandogli le braccia attorno al collo e stringendolo forte.
 
§§§
 
“Ha intenzione di passare tutta la serata qui?” la voce di Pamela giunse alle sue orecchie distogliendo dalla contemplazione di quel cielo stellato che sempre le ispirava l’infinito: solo allora comprendeva cosa provassero i grandi pensatori quando si definivano un nulla rispetto al tutto e tutto rispetto al nulla, come formiche al cospetto di un enorme quercia minacciosa ma splendida.
Quando Patrizio e Carolina erano tornati nella sala, lei aveva preso posto vicino quel tavolo dove, poco prima, aveva scorto la giovane coppia litigare e, alzati gli occhi al cielo, s’era persa nell’osservazione delle volta celeste ringraziando per un cielo privo di troppe nuvole.
“Chissà se quello è il Carro…” ignorò la sua domanda, non staccando gli occhi dal sublime.
“Non ci ho mai capito molto di stelle!” Pamela si sedette accanto a lei, prestando attenzione ai corpi celesti solo per un secondo “Ma mi è sempre piaciuto passare la notte a osservarle, dal balcone di casa mia…si vedono abbastanza bene.”
Clarissa  non rispose, decidendosi a rivolgerle gli occhi.
“Non trovo più Carolina!”
La rossa sorrise senza farsi vedere.
“In compenso però ho incontrato un ragazzo che frequenta teatro con me…non l’avevo mai notato prima, ma è sempre stato molto dolce con me! Il suo corso però non è avanzato come il mio…non recitiamo mai nello stesso spettacolo!” Come volevasi dimostrare, Patrizio era già un bel ricordo per lei: i suoi sentimenti non erano tanti profondi da legarla all’attore tanto da porlo al centro dei suoi pensieri per più di una settimana.
“E Patrizio?” le domandò Clarissa, pentendosene l’istante dopo: forse non avrebbe dovuto nominarlo. Tuttavia l’atteggiamento tanto superficiale della sua amica era una caratteristica che dai tempi del liceo la irritava: a parole era profonda, saggia, matura; ma quando si passava ai fatti non si differenziava da ragazze che Clarissa, solitamente, evitava.
Quella sua duplicità di voleri da una parte l’affascinava, poiché la portava a proporsi di scoprire quale fosse il suo vero io, se l’anima da giovane attrice consapevole o il cuore palpitante di una adolescente che si lascia vivere con la leggerezza d’una bambina; d’altra parte però la infastidiva, perché nei momenti in cui un oscuro pessimismo la rapiva, si convinceva di essere stata ingannata dall’affetto nutrito per anni nei confronti d’una ragazza che sulle prime le era parsa d’animo forte, testardo, pronta a inseguire ad ogni costo i suoi sogni, proprio come faceva lei, ed era convinta d’essersi illusa di scorgere in lei tracce di una profondità che invece non c’era, bensì solo ostentata grazie ad una buona retorica ed una media e superficiale conoscenza del circostante.
Altre volte, credeva che Pamela fosse cambiata: dall’adolescente così affine a lei per idee e certezze, si era tramutata in una ragazza che condivideva ben poco con la Clarissa filosofa, seria, impegnata; la loro armonia d’intenti e comportamenti persisteva unicamente nelle facezie, quando si parlava di ragazzi, vestiti e gossip, ma svaniva come rugiada sotto il sole quando il discorso diveniva più complicato, lo sguardo più ampio. E dell’amicizia forte su cui avrebbe messo la mano sul fuoco a sedici anni, non rimaneva che un rapporto parziale, talvolta deludente, dal quale non aveva il coraggio di prendere le distanze per affetto nei confronti di Pamela o forse di se stessa,  in quanto quel legame rappresentava un ponte al periodo forse più sicuro e stabile della sua vita, un’importante parte di lei alla quale rinunciare sarebbe significato mettere fine alla sua adolescenza.
Talvolta riteneva quella separazione impossibile, e si sforzava di prestare attenzione ai dettagli, anche più piccoli, che potessero darle la speranza di un futuro insieme; qualche volta però percepiva più chiaramente del solito la preferenza che Pamela di tanto in tanto riservava ad alcune compagne, come Carolina stessa: più di una volta aveva rinunciato a un pomeriggio insieme per uscire con le compagne attrici in discoteca, alla ricerca matta di un’avventura da raccontare. E in quelle occasioni, l’umore di Clarissa raggiungeva le profondità più scavate, poiché capiva che la loro amicizia non sarebbe durata  per sempre: e un sentimento simile alla malinconia nostalgica la pervadeva. Nutriva un affetto incommensurabile nei suoi confronti, e sapere che di minuto in minuto le loro strade divergevano sempre di più così da divenire presto parallele le corrodeva il cuore.
Quella sera al senso di tristezza per il passato sfuggito tra le dita, s’aggiunse una violenta intolleranza contro l’impotenza di cui si percepiva  vittima.
Improvvisamente si spazientì, lasciando trapelare dalla voce la sua impazienza:
“Ti riporta questo tizio a casa? Non vorrei aspettarti fino all’alba per poi scoprire che preferisci sia lui ad accompagnarti.”
Quest’eventualità s’era verificata più di una volta.
“Beh, ci stavo pensando…” rispose sinceramente, scrollando le spalle “Lui non possiede una macchina, ma guida un motorino. E sai…” ridacchiò “…lo conosci Vacanze Romane?”
Le regalò un sorriso finto, alzandosi e sgranchendosi le gambe: “In questo caso, io vado. Ci vediamo dopodomani a lezione!”
Pamela scosse il capo: “Domani sera ho un impegno molto importante…Non esiste che ci rinunci per assistere a una lezione tanto mattiniera!”
-Appunto…- un ennesimo indizio a dimostrarle la loro oramai evidente diversità: avrebbe potuto recarsi all’università lo stesso, seguire quel corso di un’ora, tornare a casa e dormire, come capitava talvolta a lei. Ma si guardò bene dal suggerirle questa possibilità.
“Ti telefono io, d’accordo?” le sorrise, estraendo una sigaretta dal pacchetto mezzo vuoto.
Clarissa si pentì d’aver assunto un’aria tanto severa, ed immediatamente tornò disponibile come di consueto:
“Certo, ci sentiamo presto! Devi farmi sapere di questa sera!”
 
Quando, uscita da quel condominio, Clarissa inserì la chiave dell’auto nel quadro capì che il suo cattivo umore era riconducibile anche all’atteggiamento del ragazzo.
-Quello stupido!- l’apostrofò, dirigendosi verso casa mentre la luna iniziava a fare capolino oltre l’ombra scura della nuvola –E ancora più stupida io che m’interesso a lui…-
 
§§§
 
Quel bacio aveva il gusto di cioccolato, come l’odore della sua pelle. Non gli piacque: troppo forte, troppo dolce!
Si staccò con veemenza da lei, prendendola per le spalle. Rivolse allora attenzione ai suoi occhi: neri come   tenebra eppure per niente belli, perché non gli comunicavano nulla. Nessun guizzo di curiosità, nessun segno di dolore, nessuno sprizzo di vitalità: apatici tanto da divenire trasparenti, privi di tonalità come fossero cocci di bottiglia nonostante il colore nero di tenebra.
Carolina non riuscì a reggere lo sguardo di lui, era troppo profondo: sebbene non capisse in che misura, percepì che stava cercando di indagarle l’anima, ma ignorava l’avesse trovata tanto vuota, priva d’essenza.
“Vuoi solo guardare?” lo istigò, facendo scorrere le mani dal petto sino all’ombelico.
Sulle sue labbra aleggiò un sorriso spavaldo: non le rispose, ma la condusse rapidamente all’interno di quella che aveva da inizio serata adocchiato come una buona camera da letto.
 
§§§
 
Terminato il suo incontro con Gabriele, Roberto s’era aggirato per un po’ nella sala interna, cercando con gli occhi Clarissa o Patrizio; quindi  aveva perquisito attentamente la terrazza, con gli stessi scarsi risultati. Stava per demordere quando avvistò Pamela, seduta a fissare il pavimento con sguardo assente mentre sbuffava dalla bocca il fumo della sigaretta che reggeva tra le dita.
I vari convenevoli portarono poi alla domanda che più gli premeva, e gli dispiacque sapere che la rossa aveva abbandonato la festa: aveva pensato di trascorrere con lei un po’ di tempo, nel tentativo di mettere a fuoco la sua attrazione e ricondurla ad un motivo sensato; frequentarla era l’unico modo per capire davvero cosa provava.
“E per caso hai visto Patrizio?” sotto gli occhi poco attenti di Roberto, la sigaretta di Pamela vacillò.
“Patrizio è qui?”
“Siamo venuti insieme! Ma l’ho perso di vista, mi sembra strano se ne sia andato anche lui…” poi un lampo gli attraversò la mente. Possibile che…?
“Clarissa se n’è andata da sola, o…?”
“Solissima, l’ho vista io stessa.” Lo rassicurò: era pronto a scommettere che l’assenza del biondo fosse da attribuire ad un incontro muliebre, ma la certezza che la donna in questione non fosse Clarissa lo tranquillizzò.
Pamela cercò d’attaccare bottone, ma lui volle imitare la rossa: si raccomandò di riferire a Patrizio, se l’avesse incontrato, che era un po’ stanco e aveva preferito tornarsene a casa.
 
§§§
 
Rispose con una risata divertita quando lui si tuffò sul suo collo, mordendolo.
Quel suono però gli trapassò le orecchie con fastidio.
“Sei focoso…” lo stuzzicò, tirandogli la cravatta per scioglierla.
Sorrise; poi, senza proferire parola, la gettò sul letto, ponendosi a cavalcioni su di lei; prese a slacciarle il vestito. Lentamente, gestiva la sua eccitazione: le dita, esperte, s’avventuravano a toccarla sempre più arditamente, fin quando il tessuto leggero si ritrovò ai piedi del materasso.
Si sfilò rapidamente cravatta e camicia, mentre lei lo contemplava:
“Sei bello quanto mi avevano detto…” gli rivelò, suadente.
“Ah, sì?” replicò, spavaldo “E chi te lo ha detto?” s’informò, curioso.
Il petto nudo non tradiva neppure un leggero fiatone: lui dominava, lei subiva.
“Questo è un segreto…” ridacchiò, slacciandogli la cinta. Lui la lasciò fare, ritrovandosi presto in boxer.
Tuttavia, per i suoi gusti, la conversazione era terminata­: le massaggiò il seno, provvedendo a liberarlo prontamente dalla biancheria che glielo celava; presto però sostituì alle mani le labbra, udendo i suoi gemiti. La stava deliziando con una lenta tortura, ergendosi sopra di lei come un leone sovrasta un cervo nell’atto di divorarla.
Non tardò infatti ad arrivare la richiesta che s’aspettava:
“Voglio essere tua…” sospirò, contorcendosi sotto di lui.
Non si fece pregare.
“Patrizio!” lo chiamò quando aveva adempito alla sua profferta, mentre la possedeva: desiderava guardarlo, ma aperti gli occhi trovò quelli di lui serrati.
 
^***^                                                  ^***^                                                 ^***^                                                  ^***^
Precisazioni:
*1. (…) dardo: Citazione parafrasata e presa in prestito da Fabrizio De Andrè.
*2. Dixit vulpes non tangens uvam: Disse la volpe che non arrivava all’uva…
*3. Uva quam adpeto sed non tango es: Sei tu l’uva a cui tendo senza riuscire ad arrivare.
 
 
 
 

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Capitolo 4
*** Malaugurante viola teatro ***


Capitolo Terzo
Malaugurante Viola-teatro


“Oggi abbiamo qui dei manichini!” tuonò il vecchio professore di recitazione, un omone la cui scarsa altezza era compensata da un’abbondante peso. Le parole di rimprovero giungevano poco chiare a causa del pizzetto bianco non curato, e la camicia azzurra sul pancione si alzava e riabbassava con velocità rivelando un respiro affannato che sempre accompagnava le sue grida. Mentre passava con flemma una mano tra i capelli bianchi, spettinandoli dalla già precaria forma in cui l’aveva acconciati forse qualche settimana prima, Clarissa pensò che i jeans larghi sarebbero caduti a terra quando avesse tentato di risalire i tre gradoni per raggiungere i suoi allievi sul palcoscenico.
“Se questo sarà il tenore delle prove per tutto il giorno, sarà meglio che ve ne torniate a casa…anzi, in classe: dovete studiare per gli esami, no? Ebbene, studiate! E lasciate perdere il teatro!” la sua voce grezza risuonò forte e dura per le mura del piccolo edificio adiacente l’università, zittendo ogni bisbiglio sommesso.
Storia di secoli: quel vecchio professore provava una sincera rivalità con qualunque cosa riguardasse l’università, che al contrario accettava di buon grado d’accogliere gli spettacoli da lui inscenati nelle aule migliori e più spaziose, e i volantini che pubblicizzavano il suo corso nelle bacheche d’ogni facoltà; ed infatti più della metà dei suoi allievi erano studenti universitari.
“I vostri movimenti sono goffi, e questo mi manda ai pazzi!” proseguì, afferrando dalle mani dei teatranti i fogli del copione per poi tornare sui suoi passi, caracollando da un gradone all’altro nell’ardua discesa.
“Inoltre non capisco l’utilità di questo pubblico e la cosa non mi piace affatto!” precisò, senza neppure rivolgere uno sguardo alle due persone colpite dalle sue parole: superò quei poveretti, seduti nelle poltrone all’angolo per disturbare il meno possibile le prove, e con un’aria di cupa superiorità abbandonò il salone.
Roberto e Clarissa, seduti l’uno al fianco dell’altra, si scambiarono un’occhiata di disagio, mentre i provetti attori riportavano in auge il tono delle loro voci.
“Neppure si ricorda che faccio parte del gruppo di regia…” borbottò Roberto alla rossa, sprofondando nella poltrona.
“Se lo ricorda eccome…” lo corresse Pamela, mentre procedeva a lunghi passi verso di loro “Solo che non sopporta nessuno, eccezion fatta per noi, durante le prove: gli attori rischiano di perdere la concentrazione.”
Clarissa a stento si trattenne dallo sbuffare rumorosamente: quel vecchietto era un altro motivo di discussione per le due amiche. Pamela lo definiva un grande artista, forse un po’ lunatico a volte, ma abile nel suo mestiere e grande conoscitore di arte, filosofia e teatro; Clarissa invece lo riteneva un professore che non meritava affatto il suo ruolo, un uomo tronfio e maleducato che molto spesso straparlava e basta. Non aveva mai avuto occasione di vederlo recitare, ma avrebbe scommesso fosse un pessimo attore!
“Leviamo il disturbo?”  il tono di Roberto suonò ironico, ma la castana non volle capirlo:
“Troppo tardi, pare.”
Quando si trovava a teatro e provava le battute di scene, Pamela diveniva assolutamente insopportabile: il guizzo che Clarissa sperava rappresentasse solo una piccola parte della sua anima esplodeva con forza, rendendola simile più a un’estranea che ad un’amica secolare. E neppure lei sopportava Pamela quando si atteggiava in quella maniera.
Al loro fianco, in silenzio, comparve Patrizio: ascoltò senza proferire parole il battibecco tra i due contendenti, ficcando le mani nelle tasche dei jeans schiariti sulle cosce.
 Il biondo puntò gli occhi su quelli che erano stati apostrofati come ‘pubblico’: le loro guance erano imporporate d’un rossore che non esitò ad imputare piuttosto all’interruzione del loro discorso sussurrato nelle orecchie tra una battuta e l’altra degli attori che all’ironia del docente.
I quattro giovani, dalla sera della festa in quel ricco attico, avevano preso a frequentarsi: molto spesso si fermavano a prendere un caffè e chiacchierare al bar dell’università, e da qualche giorno Roberto e Clarissa assistevano insieme alle prove del tombeur des femmes e di Pamela, seduti in un angolo buio della sala per non dare nell’occhio. L’unico a non rispettare fedelmente questa sorta di strana abitudine che pian piano si stava creando era Patrizio; talvolta dava buca agli altri tre con un sorriso sornione che faceva capire loro il motivo della sua assenza: una donna.
Roberto lo sfotteva con affetto, Pamela taceva e Clarissa scuoteva la testa divertita: era rimasta piacevolmente colpita dal fatto che avesse effettivamente mantenuto la promessa, ma dalla sera in cui l’aveva buttato tra le braccia di Carolina l’aveva visto poche volte, e di sfuggita.
“Vabbeh…” tagliò il discorso Roberto, scambiando un’occhiata di comprensione con Clarissa “Visto che qui abbiamo finito prima del previsto, mangiamo qualcosa? C’è un pub carino qui!”
Sul volto di Patrizio s’allargò un ghigno:
“Spererei di concludere la serata con qualcosa di meglio…” ammiccò, indicando con gli occhi una bella ragazza che in quel momento varcava la soglia dello stabile: il viso era celato da un casco da motocicletta, ma il fisico era davvero mozzafiato.
Patrizio e Clarissa strabuzzarono gli occhi quando ricondussero quella faccia a Carolina.

§§§

“Oh, aspetta!” la fermò, accelerando il passo per precederla e aprirle la porta del locale.
Lo ringraziò spiritosamente, dando un’occhiata in giro: un pub davvero informale, con i tavoli in legno disposti a semicerchio lungo la sala e una luce scura tutt’intorno.
“Vengo spesso qui, mi piace molto.” Confidò Roberto a Clarissa, facendole strada fino a condurla al suo solito tavolo.
“Ceni fuori da solo?” gli domandò mentre si accomodava seduta di fronte a lui.
Lui scosse la testa, imitandola nei movimenti: “Con Patrizio, di solito. Gli faccio da spalla!”
Le ammiccò: tutti quei pomeriggi trascorsi insieme avevano reso la ragazza consapevole, di fronte agli occhi di Roberto, del vizio dell’attore biondo.
L’arrivo di Carolina aveva portato un po’ di scompiglio nel piccolo gruppo: la ragazza aveva lanciato uno sguardo eloquente a Patrizio, riuscendo miracolosamente a nasconderlo a Pamela. Quindi aveva affermato d’essere venuta incontro alla sua amica, visto che non aveva trovato nessuno per andare a vedere un certo film al cinema, sperando di poter ottenere finalmente compagnia. La giovane attrice aveva accettato e, che fosse per sua volontà o per desiderio della nera, anche Patrizio era stato invitato. Clarissa non era riuscita ad udire la sua risposta poiché Roberto le aveva sussurrato all’orecchio: “Che ne dici se a quel pub ci andiamo noi?”
Dopo aver lanciato un’occhiata furtiva ai tre, aveva accettato: ed eccoli lì, in quel locale, l’uno di fronte all’altro, a chiacchierare. Era la prima volta che si trovavano da soli: tutti i loro incontri, seppur frequenti, si erano svolti con la compagnia degli altri due, o quanto meno di Pamela.
Roberto la convinse a prendere una birra, e quando i due boccali furono serviti lui alzò il suo in aria:
“Che quel vecchio professore possa non vederci la prossima volta!” scherzò, facendola ridere.
Lei sollevò il bicchiere di vetro, sorridendo forzatamente: la consapevolezza d’essere completamente da sola con lui la imbarazzava, mettendola a disagio.
“Di solito quando si brinda, ci si guarda negli occhi…” azzardò Roberto all’improvviso, cambiando tono della voce: le parve più profondo, un sussurro. Obbedì, fissando lo sguardo nel suo e lo percepì diverso da solito: meno ilare, più serio.
Perché quel cambiamento repentino? Certo non poteva immaginare che Roberto aveva esposto il suo dubbio a Patrizio.
“Sei l’unica persona con cui non dovrei confidarmi…” aveva esordito “Ma ho bisogno di un consiglio.”
“Clarissa.” L’aveva interrotto lui, scrollando le spalle alla sua espressione interrogativa.
“Come l’hai capito?”
“Qual è il problema?” lo aveva incalzato.
E dopo aver ascoltato attentamente la sua indecisione tra reale interesse o pura attrazione fisica, aveva offerto il suo responso all’amico:
“Di sentimenti, cosa vuoi che ne capisca io? Innamorato per davvero, forse non lo sono mai stato.”
Nella mente di Roberto era apparsa una bella ragazza castana di circa diciotto anni: Arianna. Ma si era ben guardato dal ricordagli quel nome, e in silenzio aveva continuato ad ascoltarlo senza alcuna interruzione:
“Ma se vuoi chiarirti le idee, forse dovresti toglierti il capriccio. Vacci a letto, e poi vedi.”
L’espressione dell’addetto alla scenografia probabilmente doveva aver lasciato trasparire il suo pensiero: -Ero certo sarebbe stato questo il suo consiglio…-
“Ehi, amico, non fare quella faccia!” gli aveva letto negli occhi e nella testa, come al solito “Quale altra soluzione vuoi trovare?”
“Il sesso per te è la soluzione a tutto.” L’aveva sminuito.
“Allora sai cosa ti dico? Dichiarati! Dille che la ami, e poi quando dopo un paio di settimane avrai fatto chiarezza sui tuoi sentimenti, se ti sta bene tienitela, altrimenti lasciala. Ti pare un buon consiglio? Altrimenti, puoi sempre essere sincero e dirle che non sei ancora ben sicuro se vuoi fartela tua fidanzata o solo fartela.”
Rude e irruento, come suo solito, tuttavia chiaro: non poteva imbarcarsi in una storia seria con lei, non prima di aver capito esattamente cosa provasse; inoltre, non poteva neppure essere sicuro che lei corrispondesse i suoi sentimenti. Ma non era possibile neppure dirle la verità. Effettivamente, doveva chiarirsi le idee: a quel punto, la possibilità suggerita da Patrizio non appariva più così banale.
Esisteva un altro mezzo per discernere l’anima dal corpo?
Osservò le guance imporporate di lei mentre sorseggiava la sua birra: banale o no, il consiglio di Patrizio rappresentava l’unica via percorribile.

§§§

Ignorava come Pamela fosse venuta a conoscenza del loro incontro: lei non l’aveva detto a nessuno!
Da quando l’aveva saputo non aveva fatto che tormentarla con quella storia; ma sinteticamente il discorso poteva essere così riportato: “Tu e Roberto state per quagliare!”
“Accompagnami al cinema con Carolina, dai, così puoi raccontarmi meglio!” recitava l’sms che le aveva inviato mentre lei era a casa, gambe incrociate sul letto, a studiare. La sessione era appena terminata e ricominciare così duramente lo studio, proseguirlo fino a sera inoltrata, non era indispensabile: eppure aveva preso quell’abitudine frequentando il liceo, e da allora non l’aveva più cambiata.
Il tempo invecchia in fretta*, e lo scorrere degli anni talvolta s’avvolge su stesso, celandosi; ma quando si libera ed esplode nella consapevolezza d’una persona oramai persa di vista o un posto non più frequentato, causa terribile malinconia: rimanere legata a qualche usanza del passato le mitigava un pò quella nostalgia che, spesso negli ultimi tempi, la catturava. Raccontare aneddoti singolari, rievocare situazioni tanto care alla sua memoria le avrebbe giovato, ma le sue labbra non parevano d’accordo: parlare di quei momenti avrebbe significato coinvolgimento, e pertanto l’avrebbe portata a esporsi con il suo interlocutore; ma a lei esporsi così tanto non piaceva affatto, non lo aveva mai fatto.
Telefonò a Pamela:
“Non eravate andate al cinema l’altra sera?” non fu neppure necessario salutarla.
“No, Cla! Si era sbagliata, non proiettavano più a quell’ora! Vieni con noi, ci sarà anche Anastasia!”
Non aveva avuto altra scelta che accettare l’invito e andare a casa sua, dove ben presto, oltre a Carolina,  anche Anastasia, loro vecchia compagna, aveva fatto il suo ingresso: sin dai tempi del liceo lei amava truccare e costringeva le amiche a sottoporsi alle sue premure da maker e ai suoi consigli sull’abbigliamento.
Quel pomeriggio si era intestardita su un abito color pesca e una matita per occhi piuttosto scura: per quieto vivere Clarissa aveva accettato, pensando che non fosse necessario preoccuparsi tanto per un appuntamento tra amiche di lunga data.
“Ecco qui, facciamo un bellissimo chignon con questi capelli! Sono un po’ troppo ricci, Cla, la prossima volta con più tempo ti faccio la piastra!!”
Tra un consiglio e l’altro fortunatamente la tortura era cessata, o meglio aveva deviato su qualcun altro: Pamela, seduta sul tappeto in salotto, aveva chiuso gli occhi per accogliere la pioggia d’ombretto senza alcun danno.
Clarissa sospirò, fissando il suo riflesso nello specchio: afferrò una ciocca rossa, scrutandola.
-Forse sono davvero un po’ troppo ricci, sembrano una criniera!-
“Da quanto conosci quel tipo?”
Sussultò, guardando Carolina attraverso lo specchio.
“Che tipo?” balbettò, girandosi verso di lei.
“Aristei.”
Tentennò: oh, no no! Non quel discorso, no!
“Patrizio?” domandò, fingendosi ignara, ma la nera annuì.
“Sai per caso se è fidanzato?”
Clarissa lottò con se stessa perché un sorriso ironico non si dipingesse sulla sua bocca:
“Non lo è.” Rispose, semplicemente “Perché?”
Scosse la testa, volgendole le spalle e tornando dalle altre due ragazze: Clarissa la seguì con lo sguardo, incredula. Possibile che lui…?

§§§

“ Quando si brinda ci si guarda negli occhi? Ma sei impazzito?!”
Dal momento che l’idea apparteneva a lui, lui doveva monitorare lo svolgimento del piano: perciò la mattina dopo, all’università, Roberto gli aveva raccontato la serata trascorsa con la rossa.
“Credi di essere in una serie televisiva?” si passò melodrammaticamente una mano sul viso “Dio, non ci sai fare per niente!”
L’altro sbuffò: si rimproverò mentalmente d’aver deciso d’avvisarlo.
“Ha accettato di venire a correre con me martedì mattina, sai?! Facciamo jogging insieme.”
“Oh, Bobbo, è già nel tuo letto.” Gli rispose ironicamente lui, muovendo a veloci passi verso il bar: un terribile mal di testa non gli dava tregua da quando si era svegliato; seguire l’ultima lezione del giorno e poi recitare rendevano necessario un ginseng.
Forse due.
“Quando stai male sei insopportabile.” Decretò, scortandolo sino al bancone. Ignorò il grugnito che gli tornò indietro come risposta e soltanto quando il biondo ebbe la sua tazzina tra le mani lo salutò: era già in ritardo per la sua esercitazione in palestra.
Le parole gli rimbombavano nel cervello  come onde che s’infrangono violente contro gli scogli; anche nel momento in cui lo circondava il silenzio, l’eco dei suoni appena percepiti si propagava nella testa, martellandogli il cervello. Chiuse gli occhi,  stringendo tra indice e pollice il manico della tazzina: il vociare di tutta quelle gente ai tavoli e in piedi, accanto a lui, s’insinuò nelle orecchie per risalire fin sulla fronte, procurandogli una fitta lancinante.
Imprecò, raggiungendo con tre falcate concitate la portafinestra e varcandone la soglia: quella mattina di marzo era troppo fredda perché qualcuno s’intrattenesse fuori, vicino alle fontane che zampillavano acqua per di più. Si sedette su un muretto nelle vicinanze, il bicchierino tra le mani.
Conosceva l’origine del suo mal di testa, anche se cercava di ingannare se stesso trovando mille altre motivazioni mediche: quel puntino fisso, quella maledetta idea che non lo lasciava in pace un attimo, e da giorni! Spesso la notte, svegliandosi improvvisamente di soprassalto, non era riuscito a prendere sonno e si era ritrovato ingabbiato in quel pensiero, le mani incrociate sotto la testa e gli occhi fissi sul soffitto.
Stare con una donna lo acquietava per un po’, ma non appena indossava nuovamente i pantaloni quel dannatissimo chiodo fisso tornava a battere veemente, la forza invasiva d’un vulcano in eruzione.
Non riusciva a distrarsi un minuto!

§§§

“Il prossimo week-end è in programma un viaggio, perché non vieni?” Se ne uscì tutt’un tratto Roberto, sorridendo cordiale a Clarissa.
Arrivata in teatro, il giovane l’aveva chiamata in sala regia, dietro le quinte: attraverso un monitor osservavano gli attori recitare senza però che questi potessero vederli e, soprattutto, che il professore potesse cacciarli. Certo, la visuale era ridotta rispetto alle poltrone in prima fila, ma era meglio di niente!
E poi, in quella stanzetta un po’ buia e piena di cavi elettrici, erano da soli.
-Poco romantico…- aveva subito pensato la ragazza, con il sarcasmo proprio del suo carattere sin da tenera età.
“Viaggio? Che viaggio?”
La perfomance teatrale passò in secondo piano.
“Beh, solitamente prima dello spettacolo il gruppo degli attori si riuniva per una specie di ritiro a casa di qualcuno, fuori città. Il professore diceva che questo aiutava a rilassare i muscoli e liberare la mente.”
-Ancora quel vecchio?!- ridacchiò tra sé e sè, rinnovando il suo sarcasmo.
“Ma da qualche tempo ha cambiato idea, perché con Internet e telefonini, a suo dire, la solitudine non è più possibile. Però alcuni continuano da soli a seguire la tradizione e tutti gli anni trascorrono un giorno e una notte fuori città…” seguitò lui, avvicinando la sedia alla sua.
La ragazza ricordò d’aver sentito Pamela parlare di quella storia.
“…con la differenza che, ora, possono aggiungersi anche degli esterni, tipo me, che sul palcoscenico non c’ho mai messo piede!” fece una piccola pausa, prima di rinnovare l’offerta:
“Perché non vieni anche tu?”
Senza aspettare la sua risposta, le mostrò il foglio delle presenze per la prenotazione delle camere: in ordine alfabetico, il suo nome compariva a chiare lettere.
La studentessa strabuzzò gli occhi, prima di udire il risolino del ragazzo.
Sospirò: “E se ti dicessi di no?” lo stuzzicò, trattenendo a stento un sorriso.
“Non credo mi dirai di no…” le rispose a tono, arrotolando di nuovo quel foglio a mo’ di pergamena.
“Non so neppure dove…” cercò di replicare, tornando seria, ma le risultò impossibile proseguire:
“Di cosa ti preoccupi? Non ti basto io per sentirti più sicura?” insinuò, avvicinandosi al suo viso senza abbassare lo sguardo.
“Semmai il contrario!” replicò, distanziandosi un po’ mentre il volto avvampava: Roberto stava provando a baciarla?
Il trillo del telefono pose fine a quel flirt, ma il ragazzo non parve accorgersene: continuò a fissarla, la bocca piegata in un sorriso divertito.
“Non rispondi?” domandò, aspettando che il suo battito cardiaco riprendesse i normali battiti.
“No, non ti rispondo.” Decretò lui, poggiando una mano sul ginocchio.
“Intendevo il telefono…” additò l’apparecchio.
“Mhm…” finalmente le staccò gli occhi di dosso, sollevando la cornetta. Pronunciò poche parole prima che Pamela e Patrizio comparissero alle loro spalle, imbronciati:
“I microfoni sul palco rimandano l’eco, Bobbo.” Gli comunicò l’attore, una maglia bianca e aderente che metteva in risalto il fisico scolpito.
“E’ fastidioso!” rincarò la dose la ragazza, puntando le mani sui fianchi.
Il ragazzo annuì: “Me l’hanno appena comunicato, vengo a vedere.” Proferì, riagganciando la cornetta.
Rivolse una parola di scusa a Clarissa, chiedendole di aspettarlo lì; lei annuì, arrossendo al commento dell’amica: “Oh, speriamo di non avervi disturbati…”
Lanciò un’occhiata divertita a Patrizio, che dopo aver ricambiato lo sguardo battè forte una pacca sulla spalla del compagno.
-Meglio del jogging…- pensò l’attore, guardandosi attorno.
“Quando vi state divertendo, dovete mettere un segnale fuori dalla porta.” Aggiunse, dopo aver atteso che lui e la rossa fossero da soli “Io per esempio usavo un calzino sul pomello, Dalila.”
“Non stavamo facendo nulla.” Si difese, incrociando le braccia al petto. Lo guardò con la coda degli occhi occupare il posto su cui prima sedeva Roberto: “…e poi, io mi chiamo Clarissa. Non confonderti con le tue amanti.”
“Me lo ricordo, ma Dalila ti si addice di più…” decretò, evitando di dare una spiegazione. Afferrò il microfono della regia, parlando come fosse la voce fuori campo:
“Su, Bobbo, forza! Usa quel cacciavite!” la sua voce rimbombò per tutto il teatro.
Clarissa rise, gli occhi puntati sul monitor che mostravano il ragazzo inginocchiato a terra per aggiustare il problema fonico e Pamela al suo fianco, il piede che tamburellava a terra.
“Nonostante tutto, sei simpatico.” Gli confidò, guadagnandosi una smorfia:
“Nonostante tutto?”
Calò il silenzio per un po’.
“Mi togli una curiosità…?” gli chiese improvvisamente, attirando la sua attenzione.
“Se tu mi aiuti con una tipa…” gli occhi s’illuminarono di malizia.
Clarissa rise di nuovo: “Chi sarebbe?”
“Quella.” Toccò con l’indice il piccolo schermo, mostrandole una ragazza piuttosto alta, dai capelli castani corti; il top che le lasciava scoperto l’ombelico e i pantaloncini neri attillatissimi la descrivevano magrissima.
“So di piacerle, posso leggerlo nei suoi gesti. Ma non riesco a convincerla ad uscire con me, adduce sempre qualche scusa.” Rivelò schiettamente.
La ragazza riflettè: “Tu sei gentile con lei?”
Lui annuì.
“Fai quelle tue battute stupide che…” fece per ammonirlo, ma lui scosse la testa:
“Assolutamente no. L’ho capito da me che non è tipo da abboccare a questo.”
“Allora…perché non provi a corteggiarla?” Si stupì di se stessa: stava davvero aiutando Patrizio?
La sua vicinanza la rendeva più disinibita, in un certo senso: stare con lui era come stare con un ragazzino un po’ immaturo, ma divertente. Provava la stessa sensazione quando trascorreva del tempo con Pamela: persone capaci di distrarla dalle preoccupazioni ma, temeva, incapaci di un discorso serio o di un pensiero un po’ più elevato, attento.
In loro compagnia perdeva i freni anche lei, e tornava quasi bambina: non sentiva il bisogno di appellarsi alla responsabilità, ai doveri. Spensieratezza, e basta. E con Patrizio questa percezione s’acuiva maggiormente che con Pamela: pensò che a trascinarla fosse la sua iperattività, più ferma di quella dell’amica, più decisa.
“Già fatto, le ho regalato dei fiori.” Rivelò, incrociando le braccia all’altezza del petto.
“Forza, olio di gomito!” canzonò poi l’amico al microfono. Tutti gli attori risero.
“Beh, un solo gesto…” tentò di ipotizzare, ma non servì a nulla:
“Per cinque giorni di seguito.” Precisò, spostando gli occhi su di lei.
“Oh.” Si sorprese, abbassando lo sguardo.
“Le mostri di trattarla diversamente dalle altre?” fu certa d’aver colto nel segno, ma evidentemente sbagliava:
“Sì.”
“Le hai detto chiaramente che ti interessa?” domandò a bruciapelo e lui a bruciapelo annuì:
“Hai…?” provò ancora, ma la interruppe ancora:
“Sì.” Rispose, soddisfatto, fissandola negli occhi.
“Allora…” esitò, un’esitazione che sarebbe sfuggita a chiunque: ma non a Patrizio.
Se ne compiacque: alla fine era riuscito ad aver l’ultima parola con lei! L’aveva inquadrata, anche se con un po’ di ritardo rispetto alla velocità che contraddistingueva le sue analisi delle donne: Clarissa era caparbia…forte.
“…insisti. Raramente il ponte levatoio s’abbatte…”
“…con un solo colpo d’ariete.” Finì per lei quel famoso motto di guerra dei cavalieri d’altri tempi, per poi alzare un sopracciglio:
“Giusto. Ma tu cosa volevi sapere?”
Forse non aveva davvero sentito l’esigenza di un consiglio; forse aveva semplicemente voluto vincere contro di lei almeno per una volta.
“L’altra sera tu non sei stato di nuovo con Carolina, vero?” diede voce alla sua supposizione, nata qualche giorno prima in casa dell’amica.
Il biondo fece segno di no e rise quando la rossa gliene chiese il motivo.
“E’ venuta a lamentarsi da te?” evitò la domanda, sarcastico.
“Rispondimi.” Aggrottò le sopracciglia, perentoria.
“Perché io non vado mai con la stessa donna.” Sbandierò scrollando le spalle, come fosse l’argomentazione più ovvia del mondo “Così come non permetto mai a nessuna di impugnare le redini del gioco. Dirigo io la partita.” Ammiccò, alzandosi in piedi appena in tempo per accogliere nuovamente Roberto nella stanzetta poco illuminata: il suo udito sopraffino aveva percepito oltre la soglia passi veloci, concitati.
Non dovette spremersi a lungo le meningi per capire la ragione di quella fretta: gelosia.
Lo superò a testa bassa, celando un sorriso divertito.

§§§

Una meravigliosa villa nel cuore del nulla.
Ecco dove Clarissa aveva accettato di trascorrere il fine settimana: la residenza apparteneva all’attore che Pamela aveva rivalutato durante la festa dell’attico, e si ergeva a circa cinque chilometri da un paesetto umbro di piccole dimensioni. Praticamente era una casa nel bel mezzo della campagna inabitata, al confine con un ruscello quasi asciutto.
Indubbiamente era molto spaziosa: i due piani contavano in totale quattro camere da letto e due bagni, una gigantesca cucina, camera da pranzo e salone, più un giardino abbastanza curato.
Il ragazzo, Gianfranco, aveva suggerito di assegnare due camere ai ragazzi e le restanti due alle ragazze, considerando che per persone dello stesso sesso condividere una stanza non avrebbe costituito un problema; Clarissa non aveva ben capito come si svolgessero solitamente le cose, trascinata dall’irruenza vivace di Pamela e dalla gentile cortesia di Roberto, pertanto si era ritrovata inspiegabilmente nella stessa camera della sua amica e della ragazza che Patrizio le aveva rivelato d’aver puntato, Federica.
L’altra camera era stata concessa a tre ragazze del gruppo, che la rossa conosceva solamente di vista: non dubitava che qualcuna di loro avesse conosciuto piuttosto approfonditamente l’attore gentiluomo, considerati i discorsi che aveva avuto modo d’udire nel viaggio d’andata; tra di loro soprattutto una giovane attrice, Giulia, da tempo sospettava fosse stata una sua fiamma.*
In realtà Clarissa non era troppo entusiasta di trovarsi lì; ma, saputo che Roberto l’aveva invitata, Pamela aveva insistito perché andasse con loro.
Da sempre voleva invitarla, aveva sostenuto, ma non le pareva il caso visto che non frequentava quel gruppo; ma dal momento che da qualche tempo conosceva anche i due ragazzi e che proprio uno di loro le aveva proposto il soggiorno, sarebbe stato sciocco non accettare.
“E poi…tu non hai mai ammesso chiaramente di avere un debole per Roberto, ma io l’ho capito, sai?” l’aveva punzecchiata “E solitamente in queste occasioni…sai com’è: una birra di troppo, la consapevolezza di dormire in una stanza poco distante da un’altra, ed ecco che succede quel che deve succedere!”
Le sei ragazze presero possesso dei letti e degli armadi, nell’attesa che anche l’automobile del sesso maschile giungesse alla villa: i programmi per la serata non erano ancora stabiliti del tutto.
Erano tutte riunite nel salone –un elegante sala con due divani ad angolo ed un pianoforte -quando il cellulare di Federica trillò: Patrizio.
Clarissa alzò gli occhi al cielo.
La telefonata fu però breve: il ragazzo la avvisò solamente del loro ritardo, giacché erano bloccati nel traffico.
“Così imparate a fermarvi ad ogni stazione di servizio!” gli aveva fatto una pernacchia attraverso il telefonino per poi interrompere la comunicazione.
I pettegolezzi non tardarono ad assalirla:
“Come mai ha telefonato a te?”
“No, la domanda giusta è: perché ha il tuo numero?”
“C’è qualcosa tra voi?”
Finse per pochi istanti di voler tacere la faccenda, quindi raccontò che il biondo dimostrava nei suoi confronti delle premure che la lusingavano.
Clarissa e Pamela si scambiarono uno sguardo, ma la più consapevole era sicuramente la prima:
-Dopo aver ottenuto quello che vuole, non si ricorderà più neppure il  tuo nome…- la compianse con il pensiero.
“Sta’ attenta.” Prese la parola Giulia, dando voce ai ragionamenti della studentessa filosofica.
“Aristei è furbo, gli interessa una cosa sola…”
Clarissa assottigliò gli occhi: sin dal loro primo incontro, aveva capito che tra di loro c’era stato qualcosa. Nonostante tutto, le sue sensazioni raramente si rivelavano scorrette.
“Magari!” rise Giulia “Almeno sarà divertente, no?”
Non potè fare a meno di pensare che quel tipo di donne meritava di finire tra le braccia di un dongiovanni come Patrizio: in fin dei conti, sentite le voci che circolavano su di lui, intestardirsi ed illudersi di rappresentare il grande colpo di fulmine che l’avrebbe cambiato, era patetico; se invece il sesso era il loro ultime fine, l’avrebbero avuto: accettavano di passare la notte nel letto d’un uomo che era risaputamente un playboy, quindi il giorno dopo non avevano il diritto di lamentarsi.
Lanciò un’occhiata all’amica, apparentemente tranquilla e sperò che la cotta per l’attore fosse sbiadita; ne ebbe la conferma poche ore dopo, quando oramai anche i ragazzi avevano sistemato le loro cose nelle camere:  il padrone di casa, Gianfranco, propose infatti con successo un falò nel giardino al suono di una chitarra, che l’attore in questione immediatamente impugnò; la musica era l’arma di seduzione migliore.  
Riuniti tutti intorno al fuoco, Federica presto s’inginocchiò accanto a lui, dimostrando di stare per cedere; subito allora Clarissa cercò di rivolgersi a Pamela, trovandola però su di giri con uno specchietto in mano, attenta a controllare ogni dettaglio del suo trucco vistoso.
“Gianfranco mi ha invitato a fare una passeggiata fino al ruscello!” le confidò, speranzosa che la serata stesse prendendo una buona piega.
L’amica le sorrise, mostrandole il pollice: “Vai!”
Quindi si era voltata, sollevata, verso Patrizio: si erano guardati per un istante, e la giovane ebbe l’impressione che lui la stesse ringraziando per i suggerimenti dati nella stanza della regia, pochi giorni prima. Ad ogni modo i loro sguardi rimasero incatenati per poco tempo, perché Federica si sporse a sussurrargli qualche parole in un orecchio e lui, repentino, lasciò cadere la chitarra sull’erba e s’alzò, dirigendosi con lei all’interno della villa.
Clarissa sospirò, tornando seduta a gambe incrociate vicino a quel fuoco ardente: intrappolata in una festa che non le piaceva, lontana da chiunque conoscesse.
Non fece in tempo a pensarlo, che una mano si poggiò sulla sua spalla:
“Sorreggimi, sii gentile.” Le chiese Roberto, gli occhi un po’ lucidi “Ho perso una scommessa con Patrizio e ho dovuto scolare uno Sherry e due Martini. Per fortuna, alla fine sono riuscito almeno a fargli bere due gin.”
“In cosa consisteva la scommessa?” domandò, curiosa; ma il ragazzo scosse la testa.
“Una sciocchezza.” Liquidò la faccenda, sorridendole; l’alito effettivamente tradiva l’alcol ingurgitato.
“Piuttosto, comincio a stancarmi di stare qui fuori. Rientriamo?” le propose, scoppiando a ridere di gusto alla sua reazione titubante.
“Tranquilla, volevo solo chiederti di suonarmi un pezzo al pianoforte. Se non ricordo male, mi avevi detto di aver preso lezioni da bambina, e della buona musica allevierebbe un po’ la bevuta.”
“Non suono da molto…” cercò di rifiutarsi, però lui l’afferrò per un polso trascinandola dentro la casa, fino al salone: il pianoforte si trovava contro la parete, a fianco ad una scala di legno a chiocciola che portava al secondo piano, dove c’erano le camere da letto.
Roberto si accomodò su uno sgabello piuttosto alto, in pelle nera: poi la invitò a intonare qualche melodia.
“Sei matto?” rise, abbastanza rincuorata: pochi istanti prima aveva temuto di dover trascorrere tutta la serata ad osservare il fuoco ardere. “Non sono troppo intonata.”
“Le musiciste sono sempre intonate.” La rimbeccò, indicandole con un cenno della mano un altro sgabello nero, posto davanti allo strumento.
Si sedette anche lei: “Ma io non sono una musicista.”
Roberto le regalò un sorriso: “Suona qualcosa, avanti. Per la mia povera testa!” aggiunse, battendo con due dita la fronte.
Sollevò la tastiera del piano, abbassando lo sguardo per contare mentalmente i tasti e cercare di ricordare le posizioni delle note.
“Proviamo questa.”
Decise, pigiando il do con il pollice: il Notturno d’amore di Polcaro.

Tremula, qui nel mio seno,
la speranza del nostro amor.
Là, sotto il cielo sereno,
è bello vivere,
unir nell'estasi cuore a cuor.

Mentre suonava, le parole dell’amica le rimbombarono nella testa come un avvertimento:
“Sai com’è: una birra di troppo, la consapevolezza di dormire in una stanza poco distante da un’altra, ed ecco che succede quel che deve succedere!”

E' questa l'ora d'amar,
ogni amante la desidera.
La bocca vuole baciar,
e tremante
bacia e mormora.

Aveva ragione, quella notte sarebbe successo quel che doveva succedere. Ma Clarissa non lo aveva ancora capito: cercando di non pensare alla predizione di Pamela, chiuse gli occhi perdendosi tra le onde di quella melodia, preludio al suo notturno d’amore rosso.

 

 


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Precisazioni:
*Il tempo invecchia in fretta: ho rubato la citazione al grande Antonio Tabucchi.
*Aristei: dal greco: migliore, di nobile stirpe. Una specie di pleonasmo che ben si adatta al suo nome, Patrizio.
*Giulia: Presentata nel capitolo primo.

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Note Dell’autrice: è passato un po’ di tempo dall’ultimo aggiornamento. Bene, dal prossimo capitolo velocizziamo un po’ le cose e facciamo un salto avanti nella storia…non aggiungo nient’altro, solo che spero di sorprendervi poiché ciò che presenterò sarà esattamente il nucleo della storia, l’idea originaria attorno a cui ho strutturato il resto. Spero di sorprendervi un po’ e di risultarvi gradita.
Alla prossima,
Il Cavaliere Nero.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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