Brighter than the Sun

di MoonLilith
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I - Here I am ***
Capitolo 2: *** Capitolo II - Whatername ***
Capitolo 3: *** Capitolo III - Slipping Away ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV - Good Riddance (Time of your Life) ***
Capitolo 5: *** Capitolo V - Easy Target ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI - Tightrope ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII - Disorder ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII - Everytime I look for you ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX - Punk Rock Princess ***
Capitolo 10: *** Capitolo X - Close to me ***



Capitolo 1
*** Capitolo I - Here I am ***




Capitolo I - Here I am

Questa casa non mi piace.

Più la guardo e meno mi piace.

Più la guardo e più sento ancora, nelle mie povere orecchie, le urla di mia madre.

Lily, alzati! Devi andare a lavoro!

Lily, per piacere! Cerca di essere presentabile!

Mi raccomando, sii educata, e non fare una delle tue solite sparate!

Lily, ma non potresti vestirti decentemente per una volta?! E tingerti i capelli di un colore umano?!

Lily, Lily, Lily...

 

Sbuffo.

Io che non vorrei essere qui, io non che non dovrei neanche essere qui, mi ritrovo davanti a questo cancello enorme, di questa villa enorme. Davanti a me, un sentiero acciottolato enorme, che è costeggiato da alberi, piscina, auto... tutto troppo enorme. Suono il citofono. Suppongo ci sia una videocamera, vedo una specie di occhio nero, dall'aspetto inquietante, che sembra fissarmi. E io ricambio lo sguardo, aggrottando appena la fronte e socchiudendo le palpebre sugli occhi verdognoli. Una faccia intelligentissima.

« Chi è? » una voce metallica fuoriesce dal citofono.

« Ehm... » mi schiarisco la voce, che risulta sin troppo tremante. La mia mano si stringe convulsamente attorno alla mia cartelletta. Mia mamma mi ha messo su troppa ansia. « Sono Lily O'Neil, la figlia di Hannah. Sono qui per Makena. »

Makena, che razza di bel nome. Inspiro a fondo, schiudo le labbra e lascio fuoriuscire il respiro, e con lui un po' d'ansia. Nessuno risponde, ma il cancello inizia ad aprirsi pochi istanti dopo, solo tramite una porticina più piccola sulla destra, a misura d'uomo.

Mi dirigo verso di essa, sorpassandola in fretta e immettendomi nel sentierino, che man mano sembra allungarsi sempre più, ad ogni mio passo.

Intanto una miriade di domande frulla nella mia testa, vorticosamente.

Che tipa sarà Makena?

I miei occhi si sollevano, verso la facciata anteriore della villa.

Sarà una bambina viziata?

Col le labbra sbuffo verso l'alto, per spostare una ciocca di capelli color fragola, sfuggita alla treccia.

Si faranno problemi per me? Per come sono?

Arriccio appena il naso, gli occhiali enormi sono scesi troppo in basso, e mi iniziano a dar fastidio. Con un veloce movimento dell'indice vado a risollevarli.

Riuscirò ad essere una brava insegnante di ripetizioni?

Oggi fa caldo. Fa davvero tanto caldo. Luglio è ormai alle porte, e il sole picchia forte, nonostante non sia tardissimo.

Riuscirò a gestire un'adolescente in piena esplosione ormonale?

Sospiro. Chino appena lo sguardo, prima che l'agitarsi di una figurina vada a farmelo risollevare.

Sulla porta d'ingresso della grande casa vedo una donna con un grande e gradevole sorriso, che muove a destra e a sinistra la mano destra, allegramente, in segno di saluto. Per ricambiare, io accenno un sorrisino imbarazzato, accennando una sottospecie d'inchino.

Io gliel'avevo detto a mia mamma che non ero portata per le relazioni umane.

« Oddio, Lily! Non ci posso credere! » esclama allegramente la donna, annullando la distanza degli ultimi passi che ci separano, avvicinandosi lei per prima. « Ti ho vista l'ultima volta che eri alta così » continua, andando a simulare con la mano l'altezza media di un nano. Si sarà accorta che non sono poi così tanto alta rispetto ad allora?

« Salve, signora. » riesco a dire, incespicante. Accenno un altro orrido inchino. Realizzo che forse è meglio evitare, giusto per non sembrare una cretina assoluta.

« Oh, ti prego, non chiamarmi signora. » esclama lei di rimando. Io intanto l'osservo. È una donna energica, un po' più alta di me, con dei lunghi capelli sul castano ramato, spumosi e soffici. È vestita in modo sportivo, probabilmente si stava allenando, o è semplicemente in tenuta comoda casalinga. Fatto sta che quell'aspetto così piacevole e fresco cozza un po' con la maestosità della villa. « Chiamami pure Deborah, o Deb. Ti prego, non sentirti a disagio. » continua a dirmi, mentre mi abbraccia per un attimo, in modo tuttavia spontaneamente affettuoso, prima di farmi strada verso l'ingresso. Io intanto sono già paonazza, dello stesso colore dei miei capelli.

La seguo in silenzio, ora la cartelletta è stretta sotto entrambe le braccia. La borsa a tracolla, ormai deformata dal troppo utilizzo e cosparsa di spille varie, rimbalza allegra ad ogni mio passo.

Appena varcata la soglia d'ingresso, trattengo il respiro e mi guardo attorno, mentre le labbra vanno ad aprirsi in automatico, e il mio volto assume un'aria stupita e rapita. L'ingresso è ampio, lussuoso, ma moderno. Mi aspettavo forse una casa dalle forme più classiche, e invece è tutto molto minimal, squadrato, ricco di design. Al colore bianco che regna sovrano nell'ambiente, fanno contrasto dei soprammobili e delle decorazioni parietali veramente singolari: statuette in legno, maschere dalla forma allungata e straformata, strani gingilli dalle piume colorate.

I miei occhi si spalancano, ad osservare tutte quelle cose, e sbatto più volte le palpebre, velocemente, come a volerli mettere meglio a fuoco.

« Chiamo subito Makena. Aspetta pure qui. » mi dice Deborah, alla quale mi limito ad annuire.

Sale la rampa di scale di marmo nero di fronte a noi, costeggiate da una ringhiera in metallo cromato e le barriere in vetro trasparente, lievemente grigiastro. Intanto inizia a chiamare la ragazza.

« Makie! Scendi! » esclama la donna, arrivata a metà rampa.

« E' arrivato Tay?! » sento una voce provenire dal piano superiore. Aggrotto un attimo lo sguardo.

Di chi starà parlando?

« No, non ancora. È Lily! Scendi, ti sta aspettando! »

« Falla salire! »

Deborah si volta verso di me, sorridendomi pazientemente, e stringendosi nelle spalle con fare eloquente. Di rimando io le sorrido appena, avvicinandomi e iniziando a salire le scale.

Mi aspetta in cima alle scale, e quando la raggiungo indica il lungo corridoio verso di me.

« Arrivata in fondo va' a sinistra, è la seconda porta. Buon lavoro. » mi dice cordialmente, posandomi una mano sulla spalla a mo' d'incoraggiamento, prima di lasciarmi sulla soglia delle scale e scendere per andare chissà dove.

La guardo un attimo, prima di voltarmi e proseguire verso la strada che mi è stata indicata.

Cammino tranquilla, percorrendo il corridoio bianco con la moquette scura, quasi nera. Svolto l'angolo a sinistra, e tra le porte ne scorgo una aperta. È quando sono in prossimità di essa che una foto appesa alla parete attira la mia attenzione.

È un bambino, coi capelli corti e neri, il sorriso ampio, gli occhi dal taglio leggermente a mandorla, scuri ed intensi, brillanti. Resto un attimo a guardarlo. Mi sembra estremamente familiare. Ma non ho visto bambini in giro per la casa. Con una scrollatina di spalle mi costringo a scostare lo sguardo dal sorriso del bambino in foto, e arrivare fino alla porta della camera aperta.

Proprio quando sono quasi sulla soglia, vedo improvvisamente sbucare il viso di una ragazzina, dai lunghi capelli biondo scuro, la pelle ambrata, il taglio degli occhi uguale a quello del bambino in foto. Dev'essere il suo fratellino.

« Ciao! » esclama, festiva, allargando l'espressione in un sorriso ampio. Sì, ora ne ho la conferma, lui dev'essere decisamente suo fratello più piccolo. Eppure mamma non me ne ha mai parlato, chissà perchè.

Accenno un sorriso. « Ciao. » dico in risposta, cercando di essere il più sciolta possibile.

« Io sono Makena, molto piacere! » esclama lei, allegramente, porgendomi la mano. Io le sorrido, e vado a stringergliela.

« Lily, il piacere è mio. » rispondo di rimando.

« Entra pure! Spero davvero riuscirai a risolvere il mio problema! » esclama lei, che mi da le spalle ritornando in camera. Mi fa cenno di seguirla. Indossa un paio di shorts bianchi e una canotta rosa, su un corpo magro, ma formoso. I capelli sono vaporosi come quelli della mamma, e terminano in leggeri boccoli naturali.

La guardo e arriccio appena le labbra.

I miei New Rock e la mia t-shirt dei Joy Division, i miei occhiali da geek e i miei capelli rosso fragola, le mie unghie smaltate di nero e i miei bracciali dalle pietre protettive sembrano decisamente stonare col resto dell'ambiente e con lei, che comunque non sembra turbata dalla nostra differenza.

Si avvicina alla scrivania, bianca, illuminata dalla luce della tarda mattinata che penetra dalla grande finestra. Sono appena entrata in uno spaventoso mondo adolescenziale rosa shocking, e questo mi fa rabbrividire.

« Vieni pure! Staremo qui se per te va bene. » aggiunge, sorridendo ancora. Va a sedersi, e io mi avvicino a lei. Prendo posto sulla sedia girevole – rosa – accanto alla sua, posando la cartelletta sulla scrivania e la borsa accanto ai miei piedi. Mi schiarisco la voce, e mi volto un attimo a guardarla.

« Allora, dimmi, qual è il tuo problema più grave? Quale materia? » le chiedo, accennando un imbarazzato sorrisino d'incoraggiamento. Lei mi sorride a sua volta, ma con fare colpevole.

« Ehm... tutto? » risponde, con tono interrogativo. Sgrano gli occhi prima di inspirare, e andare a guardare la mia cartellina.

« Oook. » inizio a dire, aprendo la cartella ed estraendo alcuni fogli che avevo già preparato, con su una piccola lista degli argomenti da affrontare. « Quand'è che hai il test di recupero? » le chiedo, aggrottando appena la fronte, preoccupata.

« Il primo Settembre. »

« Bene. Sarà una lunga estate, preparati! » esclamo io, cercando di fare dell'ironia. Triste ironia.

Lei annuisce energicamente, e io inizio a mostrarle i moduli che ho preparato, partendo sicuramente dall'algebra. Iniziamo a svolgere gli esercizi, e man mano inizio a rendermi conto di quanto sia davvero indietro col programma.

Torno ad argomenti molto più semplici rispetto a quelli da cui contavo di iniziare, ma cerco di non perdermi d'animo subito. Intanto la guardo, la osservo. Hanno proprio gli stessi occhi. Ma chissà dov'è quel bambino? Mi ritrovo a pensarci spesso, e ognitanto mi volto verso l'ingresso della camera, sia mai che lo becchi a trottare in giro per il corridoio.

 

Intanto il tempo passa, e l'ora di pranzo s'avvicina. Sono tentata dal chiederle del ragazzino in foto, ma preferisco tacere alla fine.

Ad un certo punto Makena si stiracchia, lasciando fuoriuscire un lamentevole cenno di stanchezza. « Credo che tra poco sia pronto il pranzo. » borbotta lei, stropicciandosi un po' il viso.

« Oh, allora io torno a casa. Magari ci vediamo più tardi. » le rispondo, sollevandomi per iniziare a mettere via tutto quanto.

Subito la sua mano si posa sul mio braccio.

« Chee? Non ci pensare! » esclama lei, scuotendo il capo. « Resti qui a pranzo da noi, ovviamente! » aggiunge, convinta, con un tono che sembra non accettare repliche. Poi mi sorride, di un sorriso incoraggiante che non capisco. Io la guardo un attimo, poi mi schiarisco la voce e annuisco. Non con la sua stessa convinzione.

« Allora vado un attimo in bagno. » aggiungo a mezza voce.

Lei annuisce, e insieme ci avviciniamo alla porta della camera, dove mi indica il bagno alla fine del corridoio.

« Ti aspetto sotto, okay? » mi dice allegra, prima di sparire dietro l'angolo del corridoio.

Io annuisco, la guardo andar via, prima di sospirare a fondo e dirigermi verso il bagno, scuotendo appena il capo rosso. Sono appena a metà del primo giorno e sono già esausta.

Rimanere rigida, composta, paziente... per me è difficile, tremendamente difficile. Altrochè algebra. Mi sento in piena apnea, in questa casa che sembra uscita da un mondo che non è il mio, non lo è stato e mai lo sarà.

Trattengo una risata. Già il fatto di dover percorrere un corridoio intero per poter raggiungere il bagno mi fa ridere. Io che con mia madre abbiamo sempre diviso un bilocale. Sospiro, mentre un sorrisino permane sul mio viso. Sapevo che sarebbe stata dura, ma è evidente che mia mamma non mi aveva preparata abbastanza. Mi aveva parlato dello sfarzo e del lusso, ma non pensavo mi sarei trovata in un mondo totalmente l'opposto del mio.

Intanto sento un forte vociferare nel pian terreno, poco dopo l'arrestarsi di un'auto, probabilmente, vicino all'ingresso della villa.

Una porta, l'ultima prima del bagno, attira la mia attenzione. È completamente decorata da immagini, stampini e ritagli vari, più una fascia giallo evidenziatore con la scritta “Do not pass” che mi fa sorridere. Sarà la camera del bambino? O c'è qualche altro figlio di cui mia mamma non mi ha voluto parlare?

Entro in bagno, che è davvero tanto grande, con il pavimento in resina scura, e i sanitari bianchi. Mi avvicino ad uno dei tre lavabi, guardandomi poi nella piccola porzione dello specchio grande quanto la parete che mi riflette. Che brutta faccia che hai, Lily. Inumidisco le mani sotto il getto dell'acqua, vado a picchiettarle appena sul viso per rinfrescarmi, senza neanche togliere gli occhiali, poi vado a lavare per bene le mani. Le scuoto appena per rimuovere l'acqua in eccesso, e poi sbuffo. Mi guardo i piedi, o meglio, i piedi celati dagli anfibi, prima di portare di nuovo lo sguardo verso lo specchio.

Mi sento veramente inadeguata. Mi sento fuoriposto. Questo posto, questa casa, queste persone... non hanno niente a che fare con me.

Mogiamente, con lo sguardo basso, mi volto e vado a dirigermi verso l'uscita del bagno.

Immersa nei miei pensieri, non sento i passi, oltretutto attutiti dalla moquette, della persona che si sta avvicinando, e contro cui vado a sbattere improvvisamente, lasciando fuoriuscire un mezzo urlo. Indietreggio appena e porto istintivamente le mani avanti.

« Scu-scu-scu... » inizio a dire, e nel mentre vado a sollevare lo sguardo.

I miei occhi verdi si spalancano, e le parole mi muoiono in gola.

Davanti a me, c'è un ragazzo. Un ragazzo con la pelle ambrata, proprio come Makena. Ha i capelli scuri, corti e scompigliati. È un bel po' più alto di me, e i lineamenti sono squadrati, eppure non riescono ad essere duri, aggressivi. Le labbra sono grandi, carnose. Gli occhi hanno un taglio a mandorla, anch'essi sono scuri e profondamente, terribilmente penetranti.

Mi sta guardando, e mi sento sotto inquisizione.

Io resto ormai a boccheggiare in silenzio, non so che dire.

Temo di aver fatto un errore. Forse Makena non ha un fratellino, ma un fratellone. Un fratellone che mi è decisamente familiare. E mi basta fare due più due: sapevo che il cognome di Makena fosse Lautner... Ma io non avrei mai pensato a quella famiglia Lautner. Mia mamma lo sapeva.
Mia mamma la pagherà.

È la prima volta che il mio sguardo incrocia il suo, e se ho avuto fatica a scostarlo dalla sua foto da bambino, mi è totalmente impossibile farlo ora, che ce l'ho a meno di un metro di distanza.

Ed è proprio la voce della ragazza che rompe il silenzio.

« Taylor! » esclama, avvicinandosi, con un sorriso luminoso.

Lui si volta verso di lei, e le sorride, apertamente. Ed io resto lì, in silenzio, a guardare quel sorriso che mi ha già spiazzata.

« Makie » inizia a dire lui, facendo vibrare le corde vocali. Mi mordo il labbro inferiore. Sono in alto mare. Lui mi indica col pollice, accennando una risatina. « Ma chi è sta scema? » le chiede lui, con fare allegro e spontaneo. Io spalanco gli occhi, e la bocca in seguito.

Makena non fa in tempo a riprendere il fratello, che subito io sbotto ad alta voce.

« Prego?! » esclamo, protendendomi appena verso di lui. « Chi sarebbe la scema, scusa?! » aggiungo, allungandomi verso di lui.

Taylor di rimando mi guarda un attimo, poi mi sorride, divertito. Ah, si sta divertendo.

« Che razza di faccia di... » inizio a dire io, poi mi blocco. Lo sorpasso, scalpitando con gli anfibi sulla moquette. Makena inizia a seguirmi, da parte di lui mi pare solo di sentire una risata divertita, il che mi fa innervosire ancora di più. Entro in camera, raccolgo la borsa, ritorno verso il corridoio. Non do retta alla ragazzina che cerca di fermarmi.

« Che poi, a me Twilight fa pure cagare! » sbraito in direzione della fine del corridoio, dove il ragazzo non c'è più, lasciando spazio alla porta aperta della camera che prima aveva attirato la mia attenzione. Volto le spalle alla direzione verso la quale ho appena urlato senza remore, dirigendomi velocemente verso le scale, e l'uscita della villa.

Ecco.

Io gliel'avevo detto a mia mamma che tutto questo non era una buona idea.




*-*-*




Salve! Spero vi possa interessare questa nuova Fan Fiction, nata dopo un sogno delirante d'inizio estate.
Fatemi sapere!

Un bacione.

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Capitolo 2
*** Capitolo II - Whatername ***


Capitolo II - Whatsername

Un frastuono improvviso.

La porta d'ingresso del bilocale che dividiamo io e mia madre sbatte violentemente, e spero vivamente che le abbia fatto prendere un colpo, visto che sono stata io a spingerla con forza dopo essere entrata in casa.

« HANNAH! » ringhio dirigendomi velocemente verso la cucina. La chiamo per nome quando sono incazzata. Nessuno mi risponde. Ma c'è, io lo so che c'è. « HANNAAAH! » urlo ancora, sorpassando la soglia della stanza.

Improvvisamente, lei sbuca davanti a me, con le mani sollevate a mezz'aria in segno di resa. « A mia discolpa posso dire che... » ma la interrompo subito, avvicinandomi con aria minacciosa.

« Perchè? Perchè vuoi vedermi sempre incazzata come una iena? Eh? Perchè?! » le chiedo, retoricamente. Lei indietreggia, sgranando appena gli occhi, e sospira.

« Lily, non pensavo che Taylor sarebbe tornato per l'estate. Ero sicura che non l'avresti mai incontrato, quindi ho pensato non fosse necessario... »

« Non fosse necessario farmelo presente?! » sbotto, sfilando la borsa e lasciandola cadere a terra. « Ovvio che non l'hai ritenuto necessario, sapevi che non ci sarei mai andata se me l'avessi detto! » aggiungo, allargando le braccia davanti all'ovvietà.

Lei si siede sul divano, accavallando le gambe.

« Oh, smettila! Prima o poi dovrai pure sbloccarti! Siamo qui a Grand Rapids da quasi un anno ormai, e non hai fatto amicizia con nessuno! » inizia a piagnucolare, e io odio quando lei piagnucola.

Sbuffo sonoramente, andando a sedermi accanto a lei sul divano. Poggio i gomiti sulle ginocchia, chinandomi in avanti, e il viso tra i palmi delle mani aperti.

« Mamma, questi sono affari miei! » esclamo in risposta, scontrosa. « Ma non potevo trovarmi un posto notturno in un qualche... qualche Blockbuster?! » esclamo, agitando le mani. « E sono anche falliti miseramente, i Blockbuster! » aggiungo poco dopo, lasciandomi cadere contro lo schienale del divano.

Restiamo in silenzio qualche istante, entrambe. Quindi inspiro profondamente, scuotendo appena il capo. « Lo sai che già non ero molto convinta di questo lavoro. » inizio a dire a mezzavoce, andando a sciogliere la treccia e sfilare via gli occhiali, massaggiando il ponte del naso. « E sai quanto io odio... quel genere di persone. »

« Sono delle brave persone. Deborah è una mia cara amica e... »

« Non m'importa. » rispondo veloce. « Sono materialisti. Sono ricchi, belli e splendenti. Non hanno problemi, e io li odio. » aggiungo, andando poi ad alzarmi in piedi.

« E poi lui, quel Taylor. » borbotto, mentre mi si stringe la bocca dello stomaco. Attendo un attimo, mi mordicchio il labbro inferiore. Inspiro, e poi scuoto il capo. « E' davvero odioso. » aggiungo infine, proprio mentre sento il telefono squillare.

« Ah, perchè tu sei l'emblema della dolcezza. » borbotta mia mamma, prima di andare a rispondere, cambiando totalmente tono vocale.

Io le faccio una linguaccia, prima di chiudermi in camera, sbattendo la porta con poca attenzione. Neanche quella barriera però mi salva dal sentire mia mamma ciarlare al telefono, e dal tono estremamente cortese inizia a venirmi un brutto presentimento. Ora che ci penso, lei come faceva a sapere quello che è successo dai Lautner?

« Sì, sì, è appena rientrata! Te la passo! » sento esclamare giulivamente.

Sbatto il palmo della mano sulla mia faccia, e sospiro con espressione rassegnata.

Il tempo di voltarmi verso la porta che questa si spalanca, e mia mamma entra porgendomi la cornetta.

« E' Makena. » mi dice allegramente, e con un'aria molto meno allegra mi sibila tra i denti stretti “Sii gentile”.

Socchiudo le palpebre e inarco le sopracciglia, mentre le strappo la cornetta dalla mano. Sempre guardandola, rispondo al telefono.

« Sì? »

« Lily! Mi dispiace moltissimo per quel che è successo! » sento esclamare dall'altro lato del telefono.

« Ma... Ma non ti preoccupare. » borbotto, visibilmente imbarazzata. Forse non mi aspettavo delle scuse così sincere. Anche perchè non è successo niente di che, è che io vado su tutte le furie facilmente.

« No, davvero, mi dispiace! È che Tay a volte ci scherza su pesante, e non si rende conto che... zitto! » la sento interrompersi per zittire un borbottio di sottofondo, che probabilmente è proprio Taylor che protesta. « Ti prego, dimmi che tornerai a darmi ripetizioni! » aggiunge, un po' lagnante.

Ci rifletto su qualche istante, poi guardo mia mamma e il suo sorriso è più minaccioso che mai.

« Ma sì, certo che torno. » dico a Makena, arrendevole.

« Evviva! Ci vediamo domani allora! » esclama lei, improvvisamente giuliva.

« A domani. » rispondo, cercando di sembrare il più cortese possibile, prima di mettere giù. « Contenta? » chiedo a mia mamma, lanciandole piano il cordless.

« Io? Dovresti esserlo tu. Nonostante il tuo caratteraccio questa ragazza ha chiamato ben due volte per scusarsi con te! » esclama lei, accennando un sorrisino di soddisfazione.

« Infatti, credimi, lo faccio per lei. » rispondo, prima di cacciarla con uno “sciò sciò” della mano e chiudermi la porta alle spalle.

Vado a buttarmi pesantemente sul letto, a riflettere un po'. Le immagini di oggi mi ritornano alla mente, soprattutto il viso di Taylor. Che porta con sé un senso di irritazione pazzesco. Non riesco a togliermi dalla mente i suoi occhi, e il suo sorriso.

Mi schiaccio il cuscino sul volto, nella speranza di soffocare i miei pensieri su di lui.

Su quel ragazzo bello, famoso, ricco. Una creatura splendente.

« Io odio le creature splendenti. » borbotto, affranta, con la voce soffocata dalle soffici piume del cuscino.


*


La mattina dopo sono di nuovo per strada, dirigendomi verso la villa dei Lautner.

Ho solo la borsa con me, visto che ho dimenticato la cartella da loro, ieri, nella furia di mandare a quel paese Taylor.

Al pensiero di rischiare d'incontrarlo di nuovo oggi, mi affliggo e sospiro profondamente.

I capelli sono sciolti, e visto che fa caldo li ho lasciati asciugare naturalmente, lievemente mossi. Scendono lunghi fin oltre le spalle, in contrasto col candore della mia pelle – anche d'estate, visto che non mi piace abbronzarmi, e poi semmai mi scotto – e il colore nero della mia canotta, con la parte anteriore decorata da una croce grigio-violastro, in stile gotico. Gli shorts oggi sono d'obbligo, fa caldissimo. Ma non riesco a rinunciare almeno ai biker boots, quando esco di casa e so che devo camminare parecchio. La borsa è come sempre appesa alla mia spalla, lunga fino a metà coscia. Che poi non dev'essere neanche tanto lunga una borsa per arrivarmi a metà coscia.

Sollevo la mano destra a scuotere appena i capelli, mentre sbuffo per il caldo, scostandoli dal viso, prima di aggiustare gli occhiali sul naso. Quando risollevo lo sguardo, ormai verso il portone della Villa, noto qualcosa di strano. C'è un insolito affollamento davanti al cancello.

Un sacco di gente è appostata lì davanti, e avvicinandomi inizio a scorgere videocamere e microfoni. Inspiro a fondo, e inizia a venirmi l'ansia.

Cerco di darmi un po' d'aria convinta mentre m'avvicino, forse un po' macchinosamente, dritta e risoluta verso il citofono.

Ce la posso fare. Farò tipo ariete d'assedio, li travolgo tutti, sìsì.

Ma non faccio molti passi prima che il primo giornalista d'assalto, o paparazzo che sia, si accorga di me e della mia “direzione risoluta”. Con un fischio chiama gli altri, e io mi blocco, sgranando gli occhi.

Improvvisamente mi ritrovo un'orda di gente che mi si avvicina con fare eccitato e curioso.

Un flebile lamento fuoriesce dalle mie labbra schiuse, prima che i paparazzi vadano ad investirmi totalmente.

Una cascata di domande piomba su di me, veloce, frenetica, quasi paranoica. Intorno a me mi ritrovo decine di volti dagli occhi spiritati, che quasi vanno fuori dalle orbite, ed è un nome che riecheggia in ognuna di queste domande, vorticosamente.

Taylor, Taylor, Taylor.

Io apro le labbra, vorrei urlargli di smetterla, ma non fuoriesce nulla da esse. Ho perso improvvisamente la voce, non ricordo come si usano le corde vocali. Sono paralizzata dall'ansia.

L'unica cosa che riesco a fare è gettare uno sguardo verso il citofono della villa, e tentare il più possibile di spostarmi verso di esso, per quanto il mare di gambe e scarpe intorno a me me lo possa permettere.

Quando, lentamente, mi vedo avvicinarmi al citofono, tendo la mano nella speranza di riuscire a premere un tasto, cercando di svincolare almeno il mio braccio da quella baraonda umana.

In realtà non riesco a raggiungere il citofono, ma qualcosa accade nel tempo di pochi attimi.

Sento una mano stringersi attorno al mio polso, afferrandolo saldamente con facilità, essendo molto più grande. E poi vengo strattonata, in modo inaspettato, repentino, ma non violento. La confusione della gente e la velocità di quel gesto mi provoca una confusione tale che non riesco a comprendere sin da subito cosa stia realmente succedendo. Fatto sta che mi vedo atterrare contro un torace, vigoroso e tonico, e circondare da due braccia che mi sembrano immense.

La mano che mi aveva afferrato il polso va a lasciarlo, e cingermi il collo tanto da arrivare a coprirmi il viso – probabilmente dai flash scatenati dei fotografi – mentre l'altra mi tiene saldamente per la schiena.

Io intanto ho gli occhi completamente chiusi, stretti. Non dico nulla, mentre sento una miriade di voci ancora rivolgere una serie infinita di domande, e un cuore che batte lievemente più velocemente del normale.

« Smettetela, per favore. Grazie. » queste sono le parole calme, posate e sicure che sento fuoriuscire dalla persona che mi tiene stretta a sé, e che ora mi trascina via dalla folla di paparazzi. Una voce ben familiare. Fin troppo familiare. Calda, avvolgente. Esattamente come il suo abbraccio ora.

Mi rendo conto che il mio cuore batte all'impazzata.

Ma è sicuramente solo per la tensione appena provata... ovvio.

Con un calcio anche fin troppo aggressivo, lui chiude sbattendo il cancelletto in ferro battuto in faccia ai giornalisti, forse come un monito silenzioso e ben più eloquente delle parole.

Quindi riprende a camminare, dando loro le spalle, senza sciogliere l'abbraccio e continuando a tenere la mano a coprirmi il viso.

Lo seguo incespicante, visto che non vedo dove sto andando e il suo passo è anche piuttosto veloce, convinta che mi lascerà di lì a poco. E invece no. Continua a camminare, e il mio cuore batte ancora, però sto anche per soffocare. Ma quando sono grandi questi bicipiti?!

Inizio a protestare, cercando di divincolarmi. Ma la presa è più salda di quel che pensavo, e intanto lui continua a camminare.

« Ehi... lasciami. » gli dico, con la voce soffocata dalle sue braccia. « Lasciami! » esclamo protestando, e cercando di allontanarmi.

« Aspetta, e sta' buona. » mi intima lui, a mezza voce, tuttavia assolutamente ferma.

Ma io non gli do retta. Appena trovo il minimo spazio per poter muovere il mio viso, lo sollevo appena e apro la bocca, andando ad addentare il primo lembo della sua pelle che mi capita sotto mano. E penso di aver beccato proprio il bicipite.

« Ahia! » esclama improvvisamente lui, allontanandosi da me con un balzo.

Io finalmente respiro a pieni polmoni, portando una mano sul torace, che si alza e si abbassa affannosamente, per recuperare l'ossigeno mancante.

Infine, guardo finalmente in faccia Taylor, che si sta massaggiando il braccio, prima di ricambiare il mio sguardo. « Ma sei scema?! » esclama, protestando, e mostrandomi il bel segno dell'orologio che gli ho lasciato, deturpando la sua pelle color caramello.

« Ancora?! » rispondo sbottando io, con fare minaccioso.

« Guarda che stavo solo cercando di salvarti da quel branco di pazzi! » mi fa notare, dandosi ragione.

« Ah beh allora grazie, mio eroe! » rispondo io con fare sarcastico, inarcando un sopracciglio, e incrociando le braccia al petto.

« Cammina, dai. » mi dice lui, frettolosamente, portando la mano sulla mia spalla per spingermi verso un sentierino più piccolo, accostato da due file di alte siepi, sulla destra del giardino, che ieri non avevo notando percorrendo quello principale.

« Perchè andiamo di qua? » chiedo, ingenuamente.

« Perchè così evito di farti fotografare il fondoschiena per tutto il tratto che porta dal cancello fino alla porta d'ingresso. Sempre che la tua massima ambizione non sia proprio quella di vedere il tuo sedere sulla prossima rivista per ragazzine in uscita in edicola. » mi risponde lui, voltandosi un attimo a guardarmi, arricciando le labbra in un sorrisino divertito, e portando le mani in tasca mentre mi cammina di fianco.

Io, di rimando, lo guardo in cagnesco.

« No, grazie. » borbotto a denti stretti.

Lui scoppia improvvisamente a ridere, sollevando la destra a scompigliarsi i capelli neri.

« Sai, mi sarei aspettato che mi svenissi tra le braccia, non che mi lasciassi un segno del genere sul braccio! » esclama, con la stessa odiosissima e spontanea convinzione del giorno prima.

Svenirgli tra le braccia?! Io?!

Lo guardo un attimo, assottigliando le palpebre, prima di avanzare velocemente di qualche passo, girandomi e ritrovandomi esattamente di fronte a lui.

Sollevo il braccio, indicandolo con l'indice.

« Ascoltami bene, signor Taylor Daniel Lautner. » gli dico, con fare convinto. Ovviamente il suo secondo nome l'ho scoperto ieri sera in una ricerca random su Wikipedia, non me n'ero mai interessata troppo prima d'ora. « Tu non piaci a me e io non piaccio a te. » affermo, con voce sicura. Lui mi guarda con un'espressione indecifrabile, forse un po' stupita. « Non mi piacciono le persone come te. Non voglio avere niente a che fare col tuo mondo. Sono qui per tua sorella, sono una persona anonima, e amo il mio anonimato. Così deve rimanere tutto quanto. » continuo a dire, andando poi ad abbassare il braccio. Lui spalanca appena gli occhi, continuando a guardarmi fisso, con le mani nelle tasche dei pantaloncini blu scuro che gli arrivano al ginocchio. La t-shirt bianca si posa morbidamente sulle forme del suo corpo allenato. « Non coinvolgermi nel tuo mondo scintillante da persona splendente, e non pensare neanche un attimo che tutto questo possa attirarmi o interessarmi, esattamente come non m'interessi tu. » concludo, però con la voce tremante. Il suo sguardo è troppo fisso, troppo penetrante. Mi mette a disagio, e non riesco a ricambiarlo per troppo tempo senza iniziare a sentir mancarmi l'aria. Sono davvero così debole?

Lui aggrotta appena la fronte, continuando a guardarmi in silenzio.

Lo prendo come una presa coscienza di ciò che gli ho detto, quindi mi volto e continuo a camminare percorrendo il sentiero. Ma le sue parole mi fatto subito bloccare di nuovo.

« Pensi che io mi diverta? » mi chiede soltanto.

Io mi volto a guardarlo, assottigliando le palpebre.

« Non spacciarmi la tua vita pe una brutta vita. » gli rispondo, semplicemente.

« Non lo è. » ammette lui, avvicinandosi a me di qualche passo. « Ma posso assicurarti che è stressante. E frustrante, a volte. » aggiunge, continuando a guardarmi fisso. « Non essere superficiale. » sibila dopo un attimo, andando a bloccare la mia risposta pronta. Quelle parole mi colpiscono, tant'è che spalanco appena gli occhi, aggrottando la fronte. Anche lui ora assottiglia le palpebre sulle sue iridi color cioccolato. « Non pensare che la mia vita sia facile. Sai che non esiste giorno, in qualsiasi posto io mi trovi, che non debba affrontare un gruppo di quelle persone che ti hanno accolta... calorosamente, poco fa? Sai che c'è gente che sa cose su di me che a stenti neanche io conosco? Sai che io non ricordavo l'ultima volta in cui ho parlato con una ragazza qualunque così, come stiamo facendo noi due? » mi chiede, retoricamente, avvicinandosi d'un paio di altri passi. Solleva improvvisamente la mano, andando a sfiorarmi la guancia. Io istintivamente sussulto, spalanco ancora appena gli occhi, stringo appena le labbra. L'istinto è subito quello di arretrare, ma resto immobile perchè lo voglio “fronteggiare”, psicologicamente parlando. Comunque inizio ad allarmarmi. « Sai che io non posso fare questo... » continua a dire, a voce più bassa, mentre col pollice inizia a muoversi avanti e indietro, lentamente, ad accarezzarmi la mia guancia. « … a nessuno, senza che quella persona mi cada ai piedi svenuta? » aggiunge terminando l'ennesima domanda retorica, prima di chinarsi appena, e avvicinarsi pericolosamente a me. Io trattengo il respiro. Ho le punta delle dita fredde, e il cuore temo squarcerà il mio torace da un momento all'altro. Ma non mi faccio certo mettere sotto da lui. Quindi resto a fissarlo, nonostante suppongo si legga comunque il mio disagio sul viso, mentre vorticosi si sovrappongono nella mia mente una serie di pensieri. È troppo vicino.

Allontanati. Sento il profumo della tua pelle. Ed è decisamente piacevole. Socchiudo gli occhi, inspiro a fondo. È un olio, un olio particolare. Mi ricorda il mare, mi ricorda l'estate, la spaggia, le notti stellate e infinite. Ritorno a guardarlo. Non pensavo che solo un profumo potesse farmi venire in mente tutto questo. Allontanati. Ti prego.

Resta qualche istante a fissarmi, così, fermo, con la mano che ancora sfiora la mia guancia, e io non so cosa aspettarmi.

Quindi riduce gli occhi a due fessure, come se volesse scrutare la mia reazione.

« Davvero pensi che sia divertente? » sbotta infine, più scontroso, e in un attimo si allontana, sorpassandomi.

Resto immobile. Dopo solo alcuni istanti mi ricordo di ricominciare a respirare, portando le mani sulle guance quasi a volerle raffreddare, mentre mi volto verso di lui. È già lontano da me di parecchi passi, e a grandi falcate continua a percorrere il vialetto tra le siepi, diretto verso la porta sul retro, probabilmente.

Deglutisco. Non riesco a riflettere.

Cos'era quello? Cos'era quell'atteggiamento? Cos'era quella reazione del mio corpo, della mia mente?

Mi ha fatto paura. Tutto quanto. Lui e me stessa.

Lentamente anch'io riprendo a camminare, con le gambe appena tremanti, sovrapponendo i miei passi ai suoi.


*


Ora di pranzo. Siamo tutti allegramente riuniti attorno alla tavola apparecchiata. Taylor è seduto di fronte a me, e mi ignora bellamente, mentre continua a parlare, e parlare, e parlare con i suoi genitori. E a me sta benissimo così.

Afferro poco della sua conversazione, più che altro perchè mi sforzo di non interessarmene. Ognitanto, sottecchi, lo osservo. Il suo sorriso è ampio e radioso, parla velocemente, con entusiasmo, del suo lavoro e del suo ultimo film, degli incassi, delle nuove proposte, dei suoi amici attori famosi come lui. E i suoi e sua sorella lo ascoltano con interesse, sinceramente felici anche loro per lui. È bellissimo. Lui e l'aura che riesce ad emanare, sono luminosi e bellissimi.

Mi sembra di guardare una TV. Socchiudo le palpebre, e inizio a scorgere una barriera, trasparente eppure dall'aria robusta, proprio al centro tra me e lui. Siamo due mondi diversi. Mentre lui parla e la sua voce è coinvolgente e giuliva, io picchietto lentamente con la forchetta nella mia porzione di insalata. Non mi accorgo certo delle occhiate che mi lancia.

Il tempo di terminare il suo pasto che subito si defila in camera, a leggere un paio di copioni che gli sono stati inviati via mail questa mattina.

Io non spiccico una parola per il resto del pranzo.


*


« Ho visto che prima hai parlato con Tay. » dice improvvisamente Makena, sollevando la testa dal quaderno dopo un pomeriggio buono di esercitazioni ininterrotte.

La guardo, e annuisco in silenzio.

Lei sembra temporeggiare un attimo, come se non fosse sicura di parlare o meno.

« Tu sei un po' strana. » ammette infine, con sincerità cristallina.

Io abbozzo un sorriso divertito, e annuisco ancora. « Lo so. » rispondo, forse con un tono un po' rassegnato.

« No, no » continua subito lei, sollevando le mani a mezz'aria e iniziando ad agitarle. « Non voglio dire nel senso... più superficiale, ecco. » dice lei, guardandomi dritta negli occhi. « Tu non sei come... le altre. Quando tu hai visto Tay, non sei esplosa in gridolini acuti, non hai assunto la solita aria da pazza sclerata, come tutte quelle che lo seguono in giro ovunque lui vada. » aggiunge, aggrottando appena la fronte. « Tu l'hai praticamente mandato a quel paese. È stato... strano. » conclude, lasciandosi sfuggire una risatina, in un misto tra divertito e stupito.

Io le sorrido, divertita a mia volta.

« L'hai detto, sono un po' strana. » le rispondo, con una scrollatina di spalle.

« In realtà... sono contenta. Avevo paura che vedendo Taylor avresti pensato solo a tutti i modi possibili per stalkerarlo o che ne so, andarlo a spiare sotto la doccia. » ammette, chinando appena lo sguardo, con imbarazzo.

Io sbotto in una risata, allegra e divertita, scuotendo poi il capo color fragola.

« Non hai di che temere! Non mi interessa per niente! » esclamo, agitando la mano destra con aria noncurante.

« Cos'è che non ti interessa per niente? » sento una voce ben familiare alle mie spalle.

Sia io che Makena ci voltiamo veloci dietro di noi, per vedere Taylor appoggiato allo stipite della porta, le mani in tasca e le gambe appena intrecciate in una posa comoda. Dalla tasca sento arrivare un musicale tintinnio, sembrerebbero delle chiavi.

Socchiudo le palpebre, quindi mi rivolto sugli appunti di Storia dell'Arte.

« Taylor, stai uscendo? » chiede Makena, sorridendogli apertamente.

Io lo ignoro.

« Mamma mi ha chiesto di riaccompagnare la tua insegnante a casa, visto il casino di stamattina. » spiega lui, e improvvisamente sento un formicolio percorrermi la schiena, neanche mi stesse inchiodando con gli occhi. « Com'è che ti chiami, ranocchia? » chiede lasciando fluire una risatina accennata, divertita. Non le dice propriamente con cattiveria. Ma odio il fatto che lo fa con un'ingenua convinzione che nessuno gli dirà nulla. Troppo abituato che la gente prenda come oro colato tutto quel che dice.

Io stringo le labbra e la penna tra le mani. Lentamente inizio a riporre tutto nella borsa, accuratamente. Makena mi osserva, quasi curiosa di sapere in che modo ce lo manderò stavolta.

Mi alzo in piedi, mi volto verso di lei e le sorrido. « A domani. » le dico semplicemente, prima di iniziare a camminare verso la porta. Quando di fronte a lui e abbastanza vicina, vado a sollevare gli occhiali sul naso, prima di alzare lo sguardo risoluto nei suoi confronti.

Lui mi sta guardando, con un sorrisetto enigmatico sul viso, che lo rende oggettivamente di una bellezza da togliere il fiato, ma che in questo momento mi fa solo incacchiare ancora di più. Le chiavi tintinnano nella sua tasca.

« Io mi chiamo Lily. Liliene. » gli dico, con voce sicura. Al sentire il mio nome il suo sorriso sembra congelarsi. È un movimento quasi impercettibile, e non ne voglio neanche sapere il motivo, anzi suppongo sia perchè finalmente gli sto facendo un po' di paura. « E grazie, ma piuttosto che andare a casa con te, preferisco andarci a piedi in mezzo a decine di orde di giornalisti. » sbotto poi, prima di sorpassarlo velocemente oltre la porta, e iniziare a percorrere il corridoio verso l'uscita.

Lui non accenna il minimo movimento, sento solo borbottare qualcosa insieme a Makena. Non mi interessa.

Proseguo veloce verso l'uscita, mi faccio aprire il cancelletto da una delle cameriere, esco di casa e percorro lo stesso sentierino che ho scoperto proprio questa mattina.

Le sue parole non mi hanno minimamente intaccata. Non m'importa se lui sta male o meno, se lui si stressa oppure no. Io so cosa significa non avere i soldi per arrivare a mangiare a fine mese, so cosa significa crescere senza un padre.

Tutto questo mondo perfetto e scintillante in cui vive lui mi mette solo tantissima ansia, e mi fa incazzare.

Arrivata di fronte al cancelletto, vedo alcuni giornalisti ancora appostati là fuori. Non sono nello stesso numero di stamattina, e mi sembrano anche abbastanza provati dalla giornata di attesa.

Li guardo, assottiglio le palpebre. Prendo la rincorsa e mi getto con furia verso il cancelletto, con l'intenzione di travolgerli tutti, con un urlo alla Highlander. Arrivata su di loro l'effetto ottenuto non era quello sperato, nel senso che non li ho buttati a terra come birilli, però quantomeno dopo un paio di spinte a destra e a sinistra riesco a prendere aria e a uscire dalla folla.

Non mi do pace e mi rimetto a correre velocemente, il più possibile, e alla prima traversa svolto e inizio a percorrerle random, per confonderli e non farmi più trovare.

Quando la situazione mi sembra calma, mi tranquillizzo anch'io. Sospiro sonoramente, rallentando il passo, e iniziando a camminare placida verso la stazione metro più vicina.

Odio profondamente tutto questo. Io volevo solo guadagnare qualcosa continuando a vivere nella calma della mia vita solitaria e anonima. Così ho sempre vissuto, e così voglio continuare a vivere. Non avrei mai detto che un giorno sarei arrivata a dover seminare dei paparazzi. Io, Lily.

Mentre rifletto, sento una strana sensazione lungo la schiena.

Mi sento osservata.

Mi volto di scatto, ma non c'è nessuno. Il tramonto di Giugno a Grand Rapids ha sempre dei colori favolosi, ma getta delle ombre lunghe e inquietanti su qualsiasi oggetto. Resto un attimo a guardarmi intorno, con questo strano sospetto. Avanzo, e per un paio di volte mi giro di nuovo, sicura di avere qualcuno alle mie spalle. Eppure, quando mi giro non c'è anima viva. Alla fine mi costringo a non farci caso, tornando a percorrere il tragitto verso casa, mentre il rosso intenso del tramonto sembra mettere a fuoco la mia figura.

*-*-*

 

Eccomi qui col secondo capitolo! Ho finito di scriverlo non appena terminata la sessione estiva degli esami (evvaiii *_*), e spero di entrare il più possibile nel vivo della vicenda!

Fatemi sapere cosa ne pensate, e grazie per le recensioni che mi lasciate/avete lasciato! *_* A presto col prossimo capitolooo!

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Capitolo 3
*** Capitolo III - Slipping Away ***


Capitolo III - Slipping Away

In camera di Makena oggi il caldo è asfissiante.

È primo pomeriggio, la finestra è aperta, le cicale cantano allegramente... e il climatizzatore è rotto.

Quindi stiamo boccheggiando facendoci vento con i miei appunti del liceo di Storia.

« Sono disidratata... » mormora lamentosamente Makena, constatando che la bottiglia d'acqua volge ormai alla sua triste fine.

Annuisco in silenzio.

Odio, odio, odio il caldo!

Decidiamo di prendere una pausa dalla nascita della Costituzione americana per andare a cercare qualcosa di rinfrescante giù in cucina.

Entrambe a piedi scalzi, lei con un vestitino in cotone bianco e io con un top nero senza bretelle e gli shorts in jeans, ci avviamo verso il piano di sotto come degli zombie.

In salotto, Deborah si allena sul tapis-roulant. Dan è fuori a lavorare.

Io e la ragazzina ci avviamo verso il freezer, e becchiamo una bella coppa di gelato alla vaniglia formato famiglia.

Visto che a stenti abbiamo voglia di respirare, io da una parte e lei dall'altra del tavolo, armate di cucchiaio, ci mettiamo a mangiare il gelato direttamente dalla coppetta.

Semidistesa sul piano praticamente, mentre mangio mi faccio aria con la mano sinistra.

Ad un tratto vedo il viso di Makena illuminarsi, guardando alle mie spalle, verso la porta che da sul retro.

« Taylor! » esclama allegramente, sorridendo a trentadue denti. È pazzesco come il viso di questa ragazzina vada ad illuminarsi ogni volta che vede il fratello. È proporzionale alla mia voglia di perdermi quando lui è nei dintorni, insomma.

« Buongiorno! » esclama, andando ad aprire il frigo per prendere una bottiglietta di succo di frutta fresco. Nessuno l'ha visto finora, probabilmente era fuori per lavoro.

Si siede sul tavolo con un balzo con poca premura, vicino a noi. Quindi nota la vaschetta di gelato alla mercè dei nostri cucchiai, e si mette a ridere divertito, rischiando di sputare il succo. « Vedo che vi siete proprio trovate, voi due! » esclama allegro.

Io lo guardo sottecchi, con un'espressione scocciata. Poi mi volto verso la biondina.

« E' tuo fratello. Puoi prenderti le tue responsabilità e cacciarlo via, per favore? » chiedo a Makena, agitando il cucchiaio verso Taylor.

« Ma dai, è bello quando due persone d'alta levatura sociale e comportamentale si ritrovano! » esclama ancora, ironico.

« Ha parlato mister galateo! » sbotto io, indicando la sua posizione sul tavolo agitando il cucchiaio prima di affondarlo per riempirlo di gelato, e portarlo alla bocca nervosamente.

« Ma state sempre a rimbeccarvi, voi due! » esclama Makena, esasperata.

« E' lui! Cosa devo fare?! » le dico io, sollevando le mani a mezz'aria.

« Io?! Io sono bello, gentile ed educato. Sei tu che sei antipatica come un pugno nello stomaco! » risponde lui, pur tuttavia ridacchiando. Che faccia da schiaffi. Lo prenderei a schiaffi, lo giuro. Ma chi cavolo si crede di essere, sto qui?!

Sbotto un'esclamazione annoiata, e inizio a ignorarlo e a mangiare il gelato. Lui fa altrettanto, m'ignora e si rivolge a Makena.

« Papà mi ha detto che volevi andare allo zoo da un po' di tempo, ma arrivarci coi mezzi pubblici è lontano. » dice verso la ragazzina. Lei annuisce, gustando del gelato.

Taylor spalanca la bocca con un sorriso splendente.

« Eccomi qui! Ti ci porto io allo zoo! » esclama, entusiasta.

« Sul serio?! E quando?! » risponde veloce Makena, esaltata.

« Ora! » aggiunge lui, gongolante per aver reso felice la sorellina.

« Waaa! Fantastico! » esclama lei, balzando in piedi. « Vado a prepararmi allora! »

Io sollevo il cucchiaio, per chiederle di aspettare. Deglutisco.

« Vengo con te, così mi preparo e vado via. » le dico, mentre chiudo la vaschetta e la ripongo in freezer.

« No, tu vieni con noi. » sbotta Taylor, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

Io mi volto di scatto verso di lui, sgranando gli occhi terrorizzata.

« Cos'è che vuoi, te?! » gli chiedo, allibita.

« Ho detto che tu vieni con noi. »

« Ma anche no! »

« E invece sì! Così ne approfitti e farai qualche bella ripetizione di Scienze Naturali a mia sorella! »

« No! Preferisco farle studiare le cose dai libri, piuttosto che sotto quaranta gradi all'ombra! »

« Tanto ho deciso cosììì! Tu vieni con noiii! » continua a dire, cantilendando. Fastidiosissimo.

« Ma fa caldo! » protesto io, lagnante.

« Non m'importa, vai a prendere la borsa e sali in macchina! »

Lo guardo, in silenzio. Mentre cerco qualche oggetto contundente da tirargli addosso, sento la voce di Makena alle mie spalle.

« Dai Lily, vieni con noi! Sarà divertente, e magari la smettete di litigare, voi due! » esclama la ragazzina, aggrappandosi al mio braccio.

« Dai, Lily! » sento fare eco da lui con una vocetta di un'ottava più alta, che china appena di lato il capo, sorridendo ironico. Giuro che lo accoppo. Guardo la ragazzina, quindi sospiro, arresa.

« Okay Makie, ma levati ti prego, fa troppo caldo. » sbotto a mezza voce, prima di dirigermi insieme a lei a prendere la borsa.

Quando arriviamo alla macchina – io ho provveduto a tirar su i capelli in una coda, perchè davvero non li sopporto – vedo un tipo accanto allo sportello del guidatore.

Indossa un cappellino con visiera nero, ha i capelli lunghi fino alle spalle, biondicci, e degli enormi occhiali da sole.

« Ma quello chi è? Il vostro autista? » chiedo a Makie, arricciando le labbra poco convinta dall'aspetto dell'uomo. Anche se dalla t-shirt bianca e i pantaloncini fin sotto al ginocchio grigi, sembra avere davvero un bel fisico.

« Ma no, è Taylor! » esclama lei, indicandolo un attimo e stringendosi nelle spalle, come se fosse ovvio.

Alterno lo sguardo tra lei e il ragazzo, qualche istante. Poi non ce la faccio più.

Scoppio in una fragorosa risata, di quelle così forti che ti tolgono il fiato.

Continuo a ridere con le mani sullo stomaco, e le lacrime agli occhi.

Taylor rimane impassibile, quindi si volta verso Makena. « Se me la piazzi in traiettoria, la metto sotto con la macchina. » le suggerisce, acido.

Sollevo la mano a mezz'aria, agitandola.

« Scusa, scusa! Adesso la smetto! » esclamo tra le risate, mentre entriamo tutti in macchina.

Mi piazzo dietro il sedile di Taylor, per non farmi vedere né vederlo, altrimenti rischio di scoppiare a ridere ogni cinque secondi. Makena si siede davanti, accanto a lui.

« Sai, lui non si veste mica sempre così, quando usciamo. » spiega la ragazzina, guardandomi attraverso lo specchietto retrovisore. « Quando andiamo a fare shopping, per esempio, esce normalmente. È quando non vuole assolutamente essere disturbato che arriva a conciarsi così. Vero fratellino? » chiede poi a lui, andando ad accarezzargli il braccio.

« Cosa non si fa per amore di una sorella... » borbotta lui.

« E per il divertimento della sua insegnante di ripetizioni! » esclamo io, ironica.

Mi cerca sullo specchietto, attraverso gli occhiali, ma non mi vede e torna a guardare alla strada.

« Spero che le tigri oggi siano affamate. » si limita a commentare lui.


*


Arrivati allo zoo, ci mettiamo in coda per fare i biglietti. Nonostante non ci sia tanta gente e quindi non facciamo una fila lunghissima, nel momento in cui passiamo oltre l'entrata io sono già mezza morente.

« Prenderò un'insolazione. » commento, scocciata.

« O un pugno da me, in alternativa. » risponde acidamente lui, con un sorrisetto tirato.

Non ce la posso fare. Non resisterò fino alla fine della giornata con questo soggetto.

È solo per Makena che non mi volto e vado via, e iniziamo a passeggiare per il parco in cui è situato lo zoo. A me neanche piacciono, gli zoo. Mi mettono tristezza.

Arriviamo alle prime gabbie. In realtà non sono delle gabbie tradizionali. Sono piccoli angoli che riproducono perfettamente l'habitat naturale dell'animale che vi vive dentro, protetto da delle lastre di vetro spesso.

Arriviamo per primi alle gabbie di un tipo di scimpanzè.

Placidi camminano su e giù, senza avere una vera meta dove andare.

Socchiudo le palpebre, li osservo.

Non mi piace guardarli, ma mi sforzo di essere allegra con Makena, per non rovinare l'entusiasmo quantomeno a lei. A volte mi pare di avere lo sguardo di Taylor addosso, anche se non ne sono sicura a causa degli occhiali. Anche lui osserva le gabbie in silenzio, se non per rispondere quando gli parla la sorella.

Ci spostiamo, vediamo altre gabbie di altre specie di scimmie, alcune davvero molto buffe, ma nessuna particolarmente sveglia.

Passiamo ai rettili e anfibi, quindi ai serpenti, e se Makena vuole correre avanti per non vederli, io e Taylor stampiamo nello stesso momento il naso contro il vetro del Boa Constrictor.

Quando ce ne rendiamo conto, ci guardiamo, quasi stupiti che possa piacerci la stessa cosa, nello stesso modo.

Ma Makena ci trascina via alla velocità della luce.

Sorpassando la zona degli anfibi in generale, arriviamo davanti ad un'enorme gabbia, con un allestimento che ricorda un bosco.

Con curiosità osservo all'interno, per cercare il suo o i suoi abitanti.

Lentamente, da dietro uno degli alberi, vedo uscire un lupo, poi un altro.

Camminano mogiamente, vanno a sedersi vicino a una specie di laghetto. Ci guardano con aria stanca.

Mi avvicino, poggio le mani sul vetro.

Li osservo e sento un dolore lancinante alla bocca dello stomaco. Stringo le labbra, inspirando a fondo.

« Sembri davvero triste. » sento mormorare alle mie spalle.

Mi volto, e il tipo col cappellino e la parrucca bionda per il quale ho riso fino ad un'oretta fa, mi fa sobbalzare.

« Sì? » mormoro, tornando a guardare i lupi.

« Non ti rendi conto dell'espressione che assumi quando guardi gli animali in gabbia. » constata lui, parlando lentamente. Makena è lontana, a guardare le iene.

« Tu non pensi sia triste? » chiedo io, mentre i miei polpastrelli restano fissi sul vetro, e il mio respiro va a creare una lieve ombra di condensa. « Vivere ogni giorno della propria vita chiusi in una gabbia che ne emula soltanto l'aspetto... osservati da tutti, ammirati e lodati, ma pur sempre con una pesante lastra trasparente che ci separa da loro. È triste. » mormoro io, guardando i lupi. Poi sollevo lo sguardo, e vedo il riflesso di Taylor sul vetro. Lo sento sospirare. Si è abbassato gli occhiali da sole, quel tanto che i nostri occhi si possano incontrare.

« Sì, lo è. » commenta soltanto, in un soffio.

Improvvisamente, si sentono delle vocette isteriche poco distanti. Lui si volta di scatto, reinforcando gli occhiali, verso la direzione di un gruppetto di ragazze agitatissime che parlotta voce non troppo bassa, guardando verso di noi.

È bastato che abbassasse gli occhiali da sole?!

« Merda... corri. » mormora lui, afferrandomi per il braccio e trascinandomi via, rapido.

Ci mettiamo a correre tra la poca folla nello zoo, ed è nel momento in cui spicchiamo la corsa che le ragazze hanno la conferma dei loro sospetti.

« E' lui! E' Tay-tay! » esclamano in coro, giulive, ad alta voce.

Mentre corriamo, io non posso trattenere una risatina.

« Scusa, com'è che ti chiamano?! » chiedo ansimante a causa della corsa.

« Oh, lascia perdere! » sbotta lui, imbarazzato e scocciato.

Usciamo dalla zona dei canidi, e in realtà non so bene dove mi stia trascinando. Sento le ragazzine urlanti dietro di noi.

Ad un certo punto, lui svolta improvvisamente a destra, dietro un chiosco in legno. Poi di nuovo a sinistra. C'è una fila di piccole cabine che fungono da bagno pubblico, in legno per richiamare il design del chiosco alle loro spalle.

Appena ne trova una aperta, la apre e mi trascina dentro.

« No! » protesto io.

« Muoviti! » sbotta lui, che in questo momento, probabilmente, utilizza solo per un attimo tutta la sua forza.

E io non riesco ad oppormi, mi trascina dentro con facilità, con uno strattone improvviso.

Richiude la porta alle mie spalle, e ci ritroviamo appiccicati l'uno contro l'altro come due sardine, in un cubicolo di un metro per uno, ad ansimare per la corsa – più io che lui, in realtà.

« Ti sembra ancora divertente? » mormora lui, a mezza voce, annoiato. In riferimento al discorso fatto qualche giorno prima. Non gli rispondo. Non saprei cosa dirgli. Resto a guardare il suo torace che si alza e si abbassa veloce, come il mio.

Dopo qualche secondo realizzo che la sua mano è sulla mia schiena, e mi tiene stretta a lui.

« Guarda che non me ne vado. » commento, con una punta di acidità. Dovuta probabilmente all'agitazione che mi sta provocando questa situazione.

Lui scosta la mano, ma poi poggia l'indice sulle proprie labbra, intimandomi di star zitta.

Infatti dopo pochi secondi sentiamo gli urletti delle ragazze in questione.

« Ma dov'è? »

« Non lo so! »

« Però ho visto che girava di qua! »

« Ma chi era quella tipa strana con lui? »

Io sgrano gli occhi, poi scuoto la testa e mi abbandono in un sospiro silenzioso.

Lui distende le labbra, e le arriccia nell'ovvio tentativo di non ridere.

Mi volto a guardarlo.

« Sei un rompi. » mormoro in un soffio.

« Lo so. »

« Tua sorella ti starà cercando, sciagurato. »

« Lo so. »

« Ognuna di quelle ragazze pagherebbe un rene pur di stare qui dentro con te al mio posto. »

« Lo so. » risponde ancora, a bassissima voce, mentre il sorriso si allarga, divertito. « A te da proprio così tanta noia? » chiede poi, mentre il sorriso si fa enigmatico.

Lo guardo inarcando le sopracciglia, le labbra increspate in una smorfietta contrariata.

Sollevo le mani, lentamente.

Vado a togliergli il cappellino, poi la parrucca bionda, rivelando i suoi capelli nerissimi, tutti scompigliati.

Quindi gli tolgo anche gli occhiali, sfilandoglieli lentamente. Rivelare il suo sguardo, a questi pochi centimetri di distanza, mi toglie il fiato. Il suo profumo mi pervade.

Annuisco appena.

« Adesso va meglio. Devo guardarti negli occhi, altrimenti non riesco a prenderti per il culo come vorrei. » mormoro lentamente, ironicamente.

Lui ricambia lo sguardo, ma poi lento il sorriso va ad attenuarsi. Il suo tocco improvviso eppur cauto sui miei fianchi mi fa sobbalzare.

Cosa sta succedendo?

Le mani vanno lentamente a salire verso la parte finale della schiena. Mi sento piccola tra queste braccia. Minuscola.

È il caldo.

È il caldo, sono svenuta e sto sognando tutto.

Il suo viso è, lentamente, sempre più vicino. È un'impressione?

Non riesco a muovermi. Socchiudo gli occhi e resto ferma, poggiando le mani occupate sulle sue spalle. Il mio respiro è veloce e irregolare.

È decisamente il caldo. Se non sono svenuta, mi ha fottuto il cervello.

È nel momento in cui le nostre labbra sono pericolosamente vicine che sentiamo di nuovo le voci delle ragazzine, che stanno passando in rassegna le cabine a controllare se siano occupate, e da chi.

Sussulto quando sento il bussare veloce alla porta della nostra cabina.

Spalanco gli occhi, guardo Taylor e lui guarda me. Entrambi sembriamo ripiombare alla realtà.

Lui scosta velocemente le mani e io mi volto a dargli le spalle.

« Sì? » chiedo, rendendomi conto che ho la voce tremante.

« Ah... nulla, mi scusi! » sento dire dall'altra parte della porticina. Il sentire una voce femminile le ha subito fatte arrendere, e passare più avanti.

Intanto il cellulare di Taylor inizia a suonare. Lui lo estrae veloce dalla tasca e lo passa a me.

Rispondo a Makena velocemente.

« Makie. »

« ...Lily? Che ci fai col cellulare di Tay? » chiede la ragazza, dall'altra parte del telefono.

« Storia lunga. » taglio corto io. Intanto lui mi indica di spiare fuori che se ne siano andate, prendendo dalla mia mano gli oggetti del travestimento e ripiazzandoseli addosso. Trattengo di nuovo le risate. « Ci troviamo al chiosco di legno proprio fuori dalla zona dei lupi, okay? » le dico io, affacciandomi fuori dalla cabina. Non c'è nessuno, a quanto pare.

Mi rivolgo a Taylor e gli faccio un segno di “ok” col pollice, e usciamo.

« Va bene, a tra poco! » esclama Makena, e rimetto giù.

Fuori dalla cabina, prendo un lungo sorso d'aria.

Ho ancora il cuore che batte ad una velocità oscena.

Guardo Taylor sottecchi. Cosa stava per succedere lì dentro?

Stava davvero per succedere qualcosa?

Non ci voglio pensare. Se ci penso, mi gira la testa. Mi sento confusa. È il caldo, assolutamente.

« Eccovi! » sento esclamare da Makena, appena ci vede e ci raggiunge in fretta. Quindi mi guarda, si china un po' avvicinando il volto verso di me, spalancando appena gli occhi, stupita. « Lily, hai addosso il profumo di mio fratello. » osserva semplicemente la ragazza. Io sgrano gli occhi, e spalanco la bocca come per dire qualcosa, ma non mi viene in mente nulla.

« L'ho tenuta ferma mentre vomitava tutto il gelato che vi siete fatte fuori prima di uscire. » commenta lui noncurante.

Lo guardo, con un'espressione contrariata. Ah, ma complimenti, bella fantasia che abbiamo!

Purtroppo mi rendo anche conto che non sarebbe il caso di replicare, quindi sto zitta.


*


L'automobile di Taylor si ferma proprio sotto il portone di casa mia.

E che culo, mia mamma è fuori al balcone a parlare al telefono.

Appena ci vede arrivare, e io scendere dall'auto, la sua espressione esplode di gioia.

Io vorrei scavare una buca e sotterrarmici dentro.

Con estremo gaudio mia mamma invita Makena e Taylor – che ha pensato bene di togliersi gli affari vari dalla faccia – su casa nostra.

No ma, ti prego mamma, mostra pure la topaia in cui viviamo a due che si asciugano il sudore con dei bigliettoni da cento dollari.

Eppure entrambi, quando entrano in casa, non sembrano particolarmente a disagio.

« Taylor, sono così contenta di rivederti! L'ultima volta che ti ho visto avrai avuto tre o quattro anni! » esclama mia mamma, facendoli accomodare sul divano.

Io faccio per andarmene in camera mia, alzando gli occhi al cielo.

« Tu e Lily giocavate insieme, da piccoli. Io e tua mamma siamo sempre state ottime amiche. Solo che, quando giocavate, spesso uno dei due finiva in lacrime! Però ci è dispiaciuto separarvi, quando noi ci siamo trasferite a San Francisco. » racconta allegramente.

Io mi volto di scatto sgranando gli occhi, stupita dalla cosa.

Anche lui pare non ne sapesse nulla, vista la faccia scioccata con cui si volta a guardarmi.

« Mamma, se ho qualche fratello o sorella nascosti, per favore, dimmelo adesso. » sbotto eloquentemente verso di lei, lanciandole uno sguardo gelido, prima di andare in camera a lasciare la borsa.

Chiaramente né Makena né Taylor possono capire a cosa mi stia riferendo. Non sanno che io non sapevo nulla di lui finchè non ci sono andata a sbattere contro in casa sua.

Il tempo di posare la borsa in un angolo e tutti e due sbucano nella mia camera.

« Oooh, Lily! Ma che stanza assurda hai! » esclama Makena, guardandola curiosa e divertita.

Mi siedo pesantemente sul letto, guardandomi intorno.

Si riferirà alle pareti viola scuro? All'armadio nero? Ai teschi e le statuette dei draghi sulla libreria? Ai mille libri sull'esoterismo, sui vampiri e robette carine simili? Ai vari poster fantasy o di gruppi musicali punk e new wave appesi in giro?

Sbuffo.

Sollevo lo sguardo verso Taylor, che è rimasto sulla porta.

No ma sono contenta che veda il posto in cui vivo, davvero. Davverissimo.

Ricambia l'occhiata, e trattiene una risatina.

« Sei proprio strana. » commenta, divertito.

Io arriccio le labbra, assolutamente compiaciuta da quell'ennesimo complimento. Sì sì.

 

*-*-*

 

Eccomi qui col terzo capitolo! Devo dire che mi diverte davvero molto scriverlo, adesso che ho finito gli esami della sessione estiva sto provando tanto piacere a rilassarmi scrivendo questa storiella.

Spero davvero che anche a voi possa divertire leggerla! :3

Un bacio!

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Capitolo 4
*** Capitolo IV - Good Riddance (Time of your Life) ***


« Sia data una funzione f di x sta a R, definita su un sottinsieme x della retta reale R ed un punto di accumulazione x zero di x... » la mia voce è l'unica a rompere il silenzio nella stanza di Makena.

La fine di Giugno di avvicina, e il caldo è sempre più fastidioso. Per fortuna il climatizzatore è stato riparato, quindi quantomeno si può studiare in pace nella sua camera. Sollevo lo sguardo verso di lei, e noto che i suoi occhi si stanno chiudendo lentamente. Arriccio le labbra, sollevando il braccio carico di bracciali di vario genere e colore, e le picchietto piano sulla testa con la mano stretta in un pugno. « Makenaaa, non dormire. Entro l'ora di pranzo dobbiamo fare qualche esercizio sui limiti. » la rimbecco io, cercando di tenerla sveglia.

Un po' mi dispiace, perchè sta lavorando davvero duro. Ma devo starle appresso in continuazione, visto che ho notato si perde facilmente tra i suoi pensieri.

È una cosa che in realtà capita anche a me, da qualche giorno a questa parte.

La ragazzina sobbalza sotto il mio tocco, si volta a guardarmi con un'aria confusa, sgranando appena gli occhi. Ha proprio la faccia da “chi sono e perchè mi trovo qui?”. Io la guardo e sospiro, accennando un sorrisino.

« Non ce la fai, Makie? » le chiedo, pazientemente.

Lei mi guarda, stringendo le labbra, e inizia a scuotere il capino in segno negativo.

Annuisco, guardando fuori dalla finestra.

« Mi basta solo fare un giro in giardino, devo solo distrarre un attimo il cervello dalla matematica! » spiega lei, sospirando.

« Va bene, andiamo a fare un giro allora. » le dico, intraprendente.

Nonostante io e Makie siamo due persone completamente diverse, e io sia più grande di lei di circa cinque anni, non mi ci trovo tanto male. Per essere una ragazzina benestante con una strana mania per il rosa shocking, è abbastanza tranquilla, e discreta.

Infilo i biker boots ai piedi – ci piace star scalze in camera sua – e ci dirigiamo fuori dalla camera. In cucina vediamo Deborah, la saluto con un cenno della mano e un sorrisino, non avendola ancora incrociata questa mattina.

« Oh, Lily! Volevo parlare proprio con te! » esclama lei, quando mi vede.

« Dimmi. » la sprono, gentilmente, mentre Makena mi aspetta sulla soglia della porta sul retro.

« Ti andrebbe di venire a cena con tua mamma, una sera di queste? Mi farebbe molto piacere! Ci sentiamo spesso, ma è da tanto che non riesco a vederla! » esclama, sorridendo.

Resto qualche istante a guardarla, poi mi trovo ad annuire spontaneamente.

Mentre intanto nella mia mente compare la spaventosa scena di tutti noi riuniti intorno al tavolo del salotto per la cena.

Io che da questa casa vorrei starci il più lontana possibile.

« Fantastico! » esclama lei, allegramente. « Allora ti faccio sapere per una di queste sere, va bene? » aggiunge, giuliva. Mi ricorda un sacco Makena, con la sua solare spontaneità. E un po' anche Taylor, perchè no. Solo che le due fanciulle di casa non hanno la faccia da schiaffi di lui.

Annuisco, accenno un sorriso imbarazzato, quindi usciamo fuori con Makena.

Passiamo ovviamente dalla porta sul retro, perchè nonostante il caldo qualche giornalista impavido è sempre lì che gironzola di fronte al cancello principale.

Sul retro della villa vi è un altro grande spiazzo, dove solitamente vengono parcheggiate le auto, e poi inizia un giardino ben tenuto, con un piccolo sentiero che passa attraverso degli alberi da frutta, mi pare degli albicocchi.

Appena usciamo fuori, una marea di goccioline ci arriva addosso.

All'inizio chiudo gli occhi, sollevando istintivamente le mani, poi quando vado a riaprirli mi rendo conto da dove arriva questa allegra pioggerella.

Giuro che questo è l'ultimo giorno che non mi chiudo in camera di Makena.

Vedo la bionda avvicinarsi saltellando a Taylor, che è impegnato a lavare la sua automobile poco distante da noi.

Lo guardo. Sospiro, amareggiata.

È a torso nudo.

Osservo per qualche istante le forme del suo corpo, i muscoli tesi a sollevare il tubo dell'acqua, i bicipiti e i pettorali turgidi, allenati, perfetti.

Mi ritrovo a pensare che è perfetto.

I miei occhi gli stanno lentamente, istintivamente accarezzando il corpo.

E quando realizzo la cosa, sgrano gli occhi e mi vorrei picchiare da sola.

Resto comunque a debita distanza dai due.

Lui vede Makena avvicinarsi, e le sorride. Osservo da lontano il suo sorriso. Non staccherei lo sguardo da quel volto neanche con una cannonata, adesso. Taylor ha un sorriso bellissimo. Lui... quando sorride, sembra risplendere. È una creatura splendente.

È per questo che lo odio, perchè è totalmente l'opposto di me.

Lo guardo, le palpebre lievemente abbassate sugli occhi verdi, le labbra schiuse appena. Poi, all'improvviso, lui solleva lo sguardo verso di me. E come un pugnale affilato, sento una fitta alla bocca dello stomaco.

Basta Lily, basta!

Mi volto per non guardarlo, e sollevo le mani a schiaffeggiarmi leggermente il viso.

Basta basta basta!

« Ma che le prende? » sento chiedere lui verso Makena. Lo sento anche ridere, e con la coda dell'occhio mi volto ad osservarlo.

Neanche il tempo di voltarmi, e mi vedo arrivare addosso il getto d'acqua diretto.

L'acqua mi colpisce, fredda, mi coglie di sorpresa e io arrivo quasi a terra, travolta dalla pressione del getto.

Lancio un urlo acutissimo, seguito da un « Ma che cazz-- » esclamato a denti stretti. Quando riprendo possesso del mio corpo, mi scosto dal getto, chinando appena la testa.

Sono completamente fradicia.

« TAYLOR! » urlo furibonda, sollevando la mano a portare i capelli fradici all'indietro, a scoprire il viso. È la prima volta che lo chiamo per nome, probabilmente.

E sono incazzata nera.

Ottimo inizio.

Tolgo gli occhiali, inutilizzabili al momento. Schiudo appena gli occhi, togliendo l'eccesso di acqua col dorso della mano, e vado a cercarlo con lo sguardo. « Sei un cretino! » urlo ancora, nervosissima, mentre veloce mi dirigo verso il frutteto.

« Dai, non te la prendere così! Ti ho solo rinfrescata! » esclama lui, sollevando le spalle, con innocente noncuranza. Glielo si legge stampato in faccia che si è divertito un mondo.

Io lo fulmino con lo sguardo, gli passo di fianco e continuo a camminare veloce verso il giardino. Mentre mi allontano, sento urlare anche Makena. Le avrà riservato lo stesso trattamento.

« Odioso, dispettoso, lunatico, insopportabile stronzo! » mormoro io a denti stretti, andando a rifugiarmi proprio sotto ad uno di questi alberi d'albicocco, dalla parte illuminata dal sole, per potermi asciugare. Continuo a borbottare imprecazioni e insulti nei suoi confronti, mentre mi siedo a terra, piegando le ginocchia verso il torace, e lasciando gli occhiali di fianco a me.

Poggio la testa contro il tronco dell'albero, lasciandomi accarezzare dai raggi del sole, che ora sono anche piacevoli, visto che stanno andando ad asciugare tutta l'acqua con cui mi ha bagnata quel cretino.

Lentamente, pian piano, credo di addormentarmi. Le gambe si stendono da sole a terra, senza forza, così come le braccia ricadono morbide su di esse. Cado in un sogno senza sogni all'inizio, neanche eccessivamente profondo. Sento ancora gli uccellini cinguettare tra gli alberi. Sento i raggi del sole accarezzarmi, l'erba farmi lievemente il solletico sulle gambe. Sento un dolce profumo nell'aria, profumo di frutta, devono essere le albicocche. Lentamente però questo profumo va trasformandosi. La mia mente abbandona l'immagine del giardino pervaso dai raggi solari del tardo mattino, che pian piano va trasformandosi in una spiaggia assolata. Deserta, solitaria, infinita e meravigliosa, percorsa da una lieve brezza calda e accogliente. Le onde s'infrangono placide sulla sabbia. Il colore del mare è azzurro, ma ha i riflessi dorati, di un pomeriggio inoltrato che volge alla morte infuocata del sole, nel bel mezzo dell'Estate. Sento quest'odore di cocco, di mare, d'Estate appunto. Avverto un respiro discreto accarezzarmi la pelle, confondersi col mio. È una sensazione piacevole, calorosa. Qualcosa, delicatamente, mi sfiora le labbra. È la brezza estiva che viene dal mare. È l'ultimo raggio di sole che brilla prima che arrivi la sera, e lasci spuntare la luna e le stelle sull'acqua placida. È una sensazione morbida, da sicurezza, sembra quasi un tocco che voglia proteggermi, che voglia scaldarmi, mentre leggermente preme più a fondo, soffice. Lo avverto per pochi istanti, sulle mie labbra. È una carezza bollente, che sparisce dopo un attimo. Ne avrei voluto di più. Sentirla lentamente allontanarsi dalle mie labbra, lascia quasi un vuoto, eppure una strana sensazione nostalgica, e il corpo in fiamme.

Questo è un bel sogno.


*


Inizio ad aprire lentamente gli occhi. Il sole si è spostato, e ora sono all'ombra. Ho davvero dormito? Mi guardo intorno, con l'espressione crucciata, ancora assonnata. Dov'è Makena? Mi volto a destra, a sinistra, e poi di scatto di nuovo a destra, sussultando.

Taylor è accanto a me, seduto sotto lo stesso albero: il torso ancora nudo, i pantaloncini neri, le mani incrociate all'altezza della pancia, le gambe completamente distese, e gli occhi chiusi.

Sgrano gli occhi, lo osservo in silenzio. Mi metto seduta accanto a lui, le gambe semidistese lateralmente. Percorro il profilo del suo viso. Gli occhi, il naso, la bocca. Mi soffermo sulla bocca. Ne osservo la forma, il taglio delle labbra. Sembrano così morbide. In un gesto automatico, vado a passare i denti superiori sul labbro inferiore. Sento un profumo particolare, un profumo nostalgico. È quello del sogno? È il suo profumo?

Mi chino appena, avvicinandomi per osservarlo meglio, curiosa.

Il colore della sua pelle mi piace moltissimo. È ambrato, è caldo. Sembra una spiaggia assolata. Questi paragoni mi fanno venire in mente qualcosa che ho sognato, ma non riesco a ricordare cosa.

Mi rendo conto che il mio cuore batte a mille. Osservo il suo torace sollevarsi e abbassarsi placidamente.

Stringo le labbra, confusa, mentre penso che vorrei accoccolarmi qui, accanto a lui. Dal primo abbraccio davanti ai giornalisti mi ha dato un senso di sicurezza. Eppure riesce a farmi incazzare con niente! Ma ora sembra un angelo.

Non mi piacciono questi pensieri, non mi piace pensare a queste cose. Mi sento stupida.

Continuo a guardarlo, e inizio a chiedermi quanto sia morbida la sua pelle. Curiosa, vado a sollevare l'indice. Parto dalla fronte, dalle sopracciglia. Lo sfioro in un tocco leggerissimo. Scendo lenta, a calcare la linea degli zigomi, affondando appena il dito sulla guancia. Proseguo sulla mascella, ne delineo mentalmente la forma, e risalgo sulle labbra.

Faccio fatica a sfiorarle subito. Quasi avessi paura fossero ardenti. Allontano di qualche centimetro il dito, prima di riavvicinarlo per toccarle. Mi stupisco, quando riesco ad avvertire quanto siano morbide. Il dito scende da solo, sul mento, poi verso il collo. Sto percorrendo tutto il suo corpo, quasi volessi imprigionarlo nella mia mente.

« Sono sveglio. » sbotta Taylor improvvisamente, spalancando gli occhi color cioccolato a guardarmi. Le labbra si arricciano in un sorrisino divertito, mentre io sobbalzo indietro trattenendo il fiato. Dio, m'è venuto un colpo. Un colpo davvero assurdo. Mi ritrovo ad ansimare appena.

« Sei scemo?! Vuoi farmi prendere un infarto?! » esclamo, portando la mano all'altezza del cuore.

« Che stavi facendo? » chiede lui, sollevandosi un attimo mettendosi seduto in modo più eretto, e guardandomi con un sorrisetto sornione.

Mi guardo intorno, disorientata.

Bella domanda.

Che cavolo stavo facendo?

Assottiglio le palpebre, pronunciando appena le labbra, schiarendomi la voce per temporeggiare.

« Cercavo il tuo punto debole per farti la mossa del Pinch. Quella di Xena, hai presente? » gli dico io, con fare sapiente.

Lui continua a guardarmi in silenzio, sorridendomi ironico, e inarcando palesemente un sopracciglio. Vedo ad un certo punto il suo torace scuotersi, a causa di una risatina trattenuta. Un'espressione abbastanza eloquente, diciamo.

Io lo guardo con fare da saccente, quindi volgo lo sguardo altrove, tornando a poggiarmi contro il tronco.

« Lo sai che pratico Karate? » mi chiede lui, con una vena palesemente divertita nella voce.

Io avvicino le gambe al torace, tenendole ferme con le braccia, quindi mi volto verso di lui, guardandolo dall'alto, essendo più steso di me.

« E la cosa dovrebbe interessarmi perchèèè...? » gli chiedo io, lasciando la frase sarcastica in sospeso.

Con una velocità disarmante, si tira su e si avvicina pericolosamente a me. Me lo ritrovo a poca distanza dal mio viso.

« Se vuoi t'insegno davvero come funziona la mossa del Pinch. Occhio a non farmi arrabbiare. » mi mormora lui, compiaciuto e divertito.

« Ma smettila, per favore. » sbotto io, le palpebre assottigliate, affrettandomi ad allontanarlo. Non starmi così vicino, dannazione! « Ma chi ti credi di essere? »

Lui scoppia in una risata divertita, tornando a rilassarsi contro il tronco dell'albero.

« Sei troppo divertente. Mi fai morire dal ridere! » esclama, tra le risate.

Lo guardo qualche istante, arriccio le labbra poco convinta.

« Vabbè, ciao. » borbotto alla fine, facendo per alzarmi e andar via.

« Ehi! » esclama lui, tendendosi in avanti e afferrandomi il braccio, per trattenermi. Mi volto a guardarlo, sgranando gli occhi e inarcando un sopracciglio. « Smettila di scappare ogni volta che parliamo! » esclama, con un sorriso solare, divertito. Sbuffo, e mi lascio tirare giù, risiedendomi.

« Se scappo è perchè evidentemente sei insopportabile! » commento io, senza guardarlo.

« Ehi, ma quanta cattiveria gratuita oggi! » osserva, sempre e comunque con un tono divertito. Quello che gli dico non sembra scalfirlo più di tanto.

« Guarda che se prendo un'influenza nel bel mezzo di Giugno sarà solo per colpa tua! » rispondo velocemente, puntandogli contro l'indice minaccioso, giusto per ricordargli il motivo per cui sono particolarmente acida, oggi.

« Oh, ma dai. Per due gocce d'acqua...! » esclama, con fare noncurante. « Se invece di metterti a dormire sotto un albero fossi andata ad asciugarti, adesso non ci sarebbero problemi. » conclude, guardandomi eloquente.

Di rimando, io mi limito a sbuffare, guardandolo qualche istante, e poi rivolgendo lo sguardo altrove.

« Da quant'è che fai Arti Marziali? » chiedo io, dopo qualche secondo, guardandomi fissa la punta delle scarpe.

« Ho iniziato a sei anni. » risponde, semplicemente.

Cavolo, è davvero un sacco di tempo.

« E tu? » mi chiede poi, voltandosi verso di me. O almeno, sento il suo sguardo su di me.

« Io che? » gli chiedo, volgendo lo sguardo a mia volta su di lui, interrogativa.

« Fai qualcosa nella vita oltre a strani riti magici e a rompere le scatole a me? » chiede, con una punta – ma proprio una punta, eh – di ironia. Lo guardo qualche secondo in cagnesco, ma evito di soffermarmi sulle sue parole. Poi mi ritrovo a riflettere qualche secondo su quello che mi ha chiesto.

Bella domanda.

Aggrotto un attimo la fronte, pensandoci un po' su. Cosa faccio a parte studiare? Ascoltare la musica? Leggere? Giocare ai giochi di ruolo fantasy online?

« Ehm... ora non molto, in realtà. Fino a qualche anno fa suonavo il violino, e cantavo. » spiego, voltandomi ora a guardare gli alberi di fronte a me. « Poi però, da quando mio padre non c'è più... »

« Oh, mi dispiace. » dice subito lui, rammaricato.

Io mi volto, stupita. Quindi mi affretto a sollevare le mani, agitandole a mezz'aria.

« No, no, non in quel senso! » esclamo, veloce. « Scusa, mi son spiegata male. Volevo dire che non c'è più con me e mia mamma, perchè si son separati. Lui è sempre in giro a esibirsi, e lei non ha retto la lontananza. » gli spiego, guardandolo. Inizio a ondeggiare appena, avanti e indietro. Parlare di papà m'innervosisce sempre un po'.

« Si esibisce? » chiede lui, curioso.

Annuisco.

« Sì, è il leader in un gruppo di musica folkloristica irlandese. Niente di che, eh. Non sono così famosi, se non nel loro ambito ovviamente. » inizio a spiegare, poi sospiro. « Anche se la loro musica non è certo commerciale, è sempre molto richiesta in giro per il mondo. Lui è spesso in Australia, o Europa. Per questo a casa non c'era mai. Certo, all'inizio non era così, lui era molto più presente. Ci siamo trasferiti a San Francisco proprio per lui. E sin da piccola mi ha insegnato a suonare il violino, e cantavamo insieme. » continuo a raccontare, senza che lui ora mi chieda nulla. « Poi il suo gruppo ha iniziato a diventare famoso nel giro, e lui a viaggiare su e giù per il mondo. Io ero piccola, mia mamma impegnata col lavoro, quindi l'abbiamo seguito pochissime volte. Dopo qualche anno, le volte in cui tornava a casa si iniziavano a contare sulla punta delle dita. E così mia mamma si è stancata... » concludo, stringendomi appena nelle spalle.

Lui resta qualche istante in silenzio, annuendo appena.

« E ora? Da quant'è che non lo vedi? » mi chiede, all'improvviso.

« Neanche da tanto, è questo che mi scoccia. Dopo tutti questi anni passati ad ignorarci, circa un annetto fa lui ha iniziato a farsi sentire più assiduamente, con me. Mi vuole vedere più spesso. Credo si sia reso conto del tempo perso negli ultimi anni, e vuole recuperare. » spiego, con aria seccata. « Non ha capito che gli anni persi, così come tante situazioni, belle o brutte che siano, non tornano indietro. Non le si può recuperare. Sono passate, e stop. » concludo, secca.

Taylor non dice nulla. Resta in silenzio per lunghi istanti. Forse colgo un sospiro, lasciato fuoriuscire inavvertitamente.

« Quello che tu dici non mi è così indifferente. » mormora lui, dopo qualche attimo di silenzio. Mi volto a guardarlo, interrogativa. « Ti ho detto che pratico Karate e Arti Marziali da parecchi anni. Mi chiedo a volte cosa sarebbe successo se avessi deciso di continuare a fare solo quello, lasciando perdere la carriera d'attore. » mormora lui, guardando in un punto imprecisato davanti a sé.

« Non ti piace recitare? » gli chiedo.

« Oh, sì sì. Mi piace moltissimo! Ma è una vita così frenetica, e a volte come avrai intuito non la trovo piacevole. » mi spiega, scrollando le spalle. Lo guardo qualche istante, prima di inspirare a fondo e voltarmi anch'io a guardare altrove.

« Io credo che tu dovresti prenderti le tue responsabilità. » asserisco, sicura. « Tu hai scelto questa vita, hai scelto tu questa strada. Sapevi che avresti dovuto rinunciare a qualcosa, no? Se ti da soddisfazioni, è giusto che tu continui a percorrerla. Anche se a volte fa male. Qualsiasi decisione, a volte, fa male. » continuo a dire, guardandolo infine. Attendo qualche istante, prima di riprendere a parlare. « Poi tu hai alle spalle una famiglia che ti adora nonostante tutto, e si vede benissimo. Non dovresti preoccuparti, loro vogliono solo che tu stia bene. » aggiungo, a mezza voce.

Lui mi guarda, in silenzio. Sembra riflettere su qualcosa, mentre i suoi occhi sono puntati su di me. Io reggo lo sguardo, e sento il cuore iniziare a battere forte, fortissimo.

« Non è quella la cosa che mi preoccupa di più. » mormora lui, dopo qualche istante. Poi sospira, chinando lo sguardo. « Sento questi anni, questi momenti, scivolarmi dalle mani. A volte mi sembra di non essere io il padrone della mia vita, sembra che gli eventi mi trascinino e io non riesca a farci nulla. E ci sono un sacco di cose... » quindi torna a guardarmi, e io avverto una fitta nello stomaco. « … ci sono un sacco di cose che mi freno dal fare, per paura di combinare danni, per paura di far del male agli altri. A volte vorrei essere un ragazzo come tanti, e farmi meno problemi su qualsiasi cosa. » mi spiega, sincero.

È la prima volta che parliamo così.

Questo mi fa sentire strana... è una sensazione strana, sì, ma piacevole. Non pensavo che lui potesse fare questo genere di discorsi. Sul serio io pensavo che fosse un tipo tutto muscoli e niente cervello.

Forse mi sbagliavo.

Forse mi sbagliavo davvero tanto.

Lo guardo, senza dire nulla. Sospiro, quindi chino lo sguardo.

Le mie labbra, dopo qualche istante, si schiudono. Inspiro appena, e poi la mia voce fuoriesce, scandendo delle parole avvolte in una melodia.

« Another turning point, a fork stuck in the road,

Time grabs you by the wrist, directs where to go,

so make the best of this test, and don't ask why,

it's not a question, but a lesson learned in time... »

Poi sollevo lo sguardo, verso di lui. Prendo gli occhiali da terra.

« It's something unpredictable, but in the end it's right,

I hope you had the time of your life. »

Lo guardo ancora qualche istante. Lui ricambia lo sguardo, forse stupito.

Mi alzo in piedi, senza dirgli una parola. Lui resta fermo, seduto lì, sembra seguirmi con lo sguardo. Io compio qualche passo, in direzione di casa, ma poi mi arresto improvvisamente.

« Ah... » inizio a dire, mentre inforco gli occhiali, voltandomi verso di lui. « Chiunque si ritrovi a che fare con te, dovrebbe essere consapevole che tu non sei un ragazzo come gli altri. Tu sei una creatura splendente. » inizio a dire, mentre lo guardo dall'alto. Sono convintissima di quello che dico, e non mi vergogno di usare quei termini, che per me sono i più azzeccati per le persone come lui. « Se qualcuno che decide di starti accanto consapevole della tua vita e del tuo lavoro ti farà pesare tutto quello che sei... il problema sarà suo, non tuo. » concludo.

Lui sgrana appena gli occhi, ma non dice nulla.

Io accenno un saluto militare, quindi gli volto le spalle e mi allontano.

Uscita dal giardino, mi sembra di ripiombare violentemente alla realtà. Mi sento fiacca. Forse un po' triste.

Stando con lui, là sotto quegli alberi, mi era quasi parso di essere altrove, e mi sono dimenticata del resto.

Sospiro, mentre passo dopo passo mi allontano da lui, ritornando alla mia vita anonima da creatura non splendente.ù

 

*-*-*

 

Saaaaaalve! *_* Eccomi qui con un altro capitolo... in cui non succede veramente molto, ma è sicuramente utile per iniziare a conoscere meglio i personaggi (e a farli conoscere meglio tra di loro, anche!).

Spero che comunque vi sia piaciuto! Ho già pronti i prossimi capitoli, che saranno un pelino più "movimentati"!

Fatemi sapere cosa ne pensate e... Stay tuned! :3

ps: la canzoncina che Lily canta a Taylor è "Good Riddance (Time of your Life)" dei Greenday, che è poi la canzone che da il titolo al capitolo (come avrete notato ogni capitolo ha il titolo di una canzone!).


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Capitolo 5
*** Capitolo V - Easy Target ***




Capitolo V - Easy Target

La stanza è completamente buia.

Solo un filo di luce riesce a far breccia attraverso le tende di pesante velluto. Questi fievoli raggi riescono ad illuminare qualche elemento caratteristico della stanza: un grande lampadario in stile vittoriano, un camino in marmo nero, le alte colonnine del letto a baldacchino su cui sono semidistesa.

Mi guardo intorno, sembra non esserci nessuno. Le mani scorrono lungo il mio corpo, e mi rendo conto d'indossare solo una camicetta da notte, in seta, e degli slip dello stesso tessuto, entrambi bianchi candidi, con delle rifiniture in pizzo.

Mi chiedo perchè indosso un intimo simile, lasciando che la stoffa soffice scorra tra le mie dita. Poi sussulto, sollevo veloce lo sguardo in avanti, verso i piedi del letto. I capelli sono arricciati in morbidi boccoli, e ondeggiano soffici ad ogni mio movimento. Ho sentito un rumore, un fievole rumore.

Stringo le labbra, aggrotto la fronte, spaventata.

Con un balzo i piedi nudi vanno a posarsi sulla moquette, anch'essa nera da quel poco che scorgo, e pian piano iniziano ad avanzare verso la fonte da cui ho appena avvertito il rumore.

Io non ne produco. E ora che ci penso, la stanza sembra non avere colori. Sembra tutto bianco e nero, pervaso da una strana aura, una sfocatura strana. Che mi affascina e mi mette agitazione.

Mentre osservo gli oggetti, un altro fruscio cattura la mia attenzione. Di nuovo mi volto verso la stessa direzione di prima.

Il mio cuore inizia a battere forte, veloce, ma poi il respiro si arresta.

Trattengo il fiato, e sgrano gli occhi, la bocca dischiusa.

Dall'ombra, inizia a comparire una figura. Lentamente, l'unico filo di luce va ad illuminare il suo corpo: il suo torso è nudo, ed è perfetto. Atletico, allenato, asciutto, ben delineato, e comunque estremamente armonico. I muscoli guizzano ad ogni movimento. Mentre la figura di avvicina, l'angolo del raggio sale, andando ad illuminare i pettorali, le clavicole, la mascella squadrata.

Un ultimo sussulto tremante, e poi resto immobile, quando inizio a riconoscere il suo volto.

La luce mette in risalto i suoi lineamenti ben squadrati, le labbra carnose, e gli occhi.

Resto a fissarli, senza possibilità di fuga. Non posso staccare il mio sguardo da lui, e lui sembra fare altrettanto. Sono due onici dalle sfumature ambrate. Ed è in questo momento che mi accorgo che tutto ciò che era in bianco e nero inizia ad assumere un determinato colore.

Le lenzuola su cui ero distesa diventano blu notte. I miei capelli diventano color fragola. La sua pelle diventa color caramello.

Intanto lui si avvicina ancora, lento, verso di me. Lo guardo e non dico nulla.

Poi, all'improvviso, quand'è abbastanza vicino, le mie mani vanno da sole, ed avviene tutto velocemente.

Mi avvicino d'un passo soltanto, mentre queste si sollevano verso il suo viso. Lui posa una mano sulla mia guancia, mentre l'altra va a posarsi nella parte finale della schiena, e mi tira verso di sé, senza strattonarmi, ma con vigore.

Mi accarezza, e poi la mano raggiunge l'altra, sulla mia schiena. Affonda i polpastrelli nella pelle, sollevando la stoffa morbida che indosso.

I nostri corpi aderiscono perfettamente, e quel contatto sembra ardente. Mi fa eccitare.

Mentre le mie mani si posano sulle sue guance prima, e vanno salendo verso i suoi capelli neri e lucidi poi, i nostri sguardi s'incontrano, languidi. Chiniamo appena il capo entrambi, socchiudendo gli occhi e schiudendo le labbra. Mi sollevo appena sulla punta dei piedi, mentre i nostri volti si fanno pericolosamente sempre più vicini.

L'ultima sensazione che provo è pura bramosia.


Poi suona la sveglia.


Mi sollevo di colpo a sedere sul mio lettino sfigatello nel miniappartamento che divido con mia madre. Eh no, niente letti a baldacchino.

Mi alzo a sedere inspirando a fondo, trattenendo il fiato e sgranando gli occhi.

Il ricordo del sogno appena fatto riecheggia nella mia mente, le tempie pulsano violentemente.

Resto qualche secondo immobile, la bocca spalancata, incredula.

Poi porto una mano in faccia, e una risatina isterica prorompe all'improvviso.

« Ahahah... No no no no! » esclamo, ad alta voce, continuando a ridacchiare. E intanto alterno la risata con vari “no” ripetuti velocemente.

« Lily, sei impazzita al punto del non ritorno? » chiede mia mamma, socchiudendo la porta della mia camera per spiarci dentro, tazza di caffèlatte in mano.

« Esci! » sbotto io immediatamente, afferrando la prima t-shirt che mi capita sottomano e lanciandogliela contro. Manco gli animali.

No no no no.

Non si può.

Non va bene così.

Non va bene per niente!

NO!


*


« Lily, oggi sei strana. Hai anche le occhiaie. » la voce di Makena mi fa sobbalzare, distraendomi dal mio intenso osservare il salice fuori dalla sua finestra.

« Ah, sì? » borbotto io, voltandomi verso di lei.

La ragazzina aggrotta la fronte, annuendo lentamente, sospettosa.

« Ho mangiato pesante, ieri sera. » sono le prime cose che mi vengono in mente da dire. Le accompagno da una scrollata di spalle noncurante.

« Ah, e di cosa si nutrono i metallari... punk... insomma, quelli come te? » sento improvvisamente prorompere nella stanza una voce ben familiare.

Mi volto e Taylor entra senza neanche salutare, diretto verso il comodino della sorella, a cercare qualcosa probabilmente. Sono sobbalzata sulla sedia più del solito. Eppure ormai dovrei essermi abituata alla sua -fastidiosa- presenza in giro.

L'osservo qualche istante, deve aver appena terminato di allenarsi, perchè indossa dei pantaloni di tuta grigi con delle sottili strisce blu sui lati, abbastanza larghi e comodi, scarpe da ginnastica e una t-shirt anch'essa grigia, chiara, molto aderente. Troppo aderente. I capelli sono bagnati, anche la maglietta in alcuni punti, non solo di sudore. Si sarà rinfrescato con dell'acqua. La sua pelle è lucida sopra i muscoli tesi. Mi viene in mente come un pugno in faccia il sogno di stamattina. E mi rendo conto di averlo osservato veramente a fondo, dal torace al sedere, in pochi secondi. Mi sforzo di scostare lo sguardo, mentre sento l'agitazione farsi strada.

Calmati.

Relax.

Senza né “buongiorno”, né “come stai”, incrocio le braccia al petto e accavallo le gambe, lasciandomi cadere sullo schienale della sedia.

« Ovviamente di topi morti e occhi di rospo. » sbotto in risposta, senza guardarlo, acidamente.

Con la coda dell'occhio lo vedo fermarsi, voltarsi verso di me a guardarmi qualche secondo, e poi accennare una risatina, scuotendo appena il capo.

« Sei disgustosa! » esclama, con ironia.

« Grazie. » rispondo di colpo io, sempre acidamente, concentrandomi a guardare fuori dalla finestra.

Lo sento avvicinarsi verso di noi. Stringo le labbra quando sento il suo profumo.

« Makie, hai di nuovo preso il mio bracciale? » chiede lui, rivolto alla sorella, con fare annoiato.

Lei si schiarisce la voce, scostando lo sguardo da lui. « Non può succedere sempre la stessa storia ogni volta che torno a casa. Lo sai che quel bracciale è importante. »

« È così importante che quando sei in casa non lo indossi mai! Dallo a me se non ti piace! » esclama lei, piagnucolando.

« Sorellina, so quanto ti piace e lo sai che te lo darei volentieri, ma quando esco devo averlo al polso. E ora sto uscendo per un incontro di lavoro, quindi mi serve. » spiega lui con fare diplomatico.

Lei di rimando fa schioccare la lingua sul palato, voltandosi di scatto a dargli le spalle.

Taylor sospira, va lentamente a massaggiare il ponte del naso in mezzo agli occhi, e intanto con noncuranza posa una mano sulla spalliera della mia sedia, sfiorandomi accidentalmente la spalla con le sue dita.

« Vado in bagno! » urlo non appena avverto quel contatto fisico, che mi provoca letteralmente una scarica elettrica lungo la schiena, scattando in piedi sulla sedia.

Mi fiondo fuori dalla stanza.

No, ma non sono tesa.

Ho bisogno di rinfrescarmi il viso, o sento che potrei evaporare da un momento all'altro.

Dio, Lily, non va affatto bene. Tu non puoi essere così debole. A te non piacciono i ragazzi tutto muscoli e niente cervello, come lui. Non ti sono mai piaciuti.

Perchè questo è lui, giusto?

Tutto muscoli, niente cervello.

A prescindere dai discorsi che fa.

Sì sì sì. Bisogna convincersene.

Oltretutto tu odi lui e odi il suo mondo. Smettila di andare a fuoco non appena ti si avvicina!

Questo ripeto mentre mi guardo allo specchio, nella mia mente, mentre l'acqua scorre placida fino al mento, prima di creare le goccioline che vanno a finire nel lavabo.

Mentre socchiudo gli occhi, e sembra che riesca a calmarmi lentamente, alla porta del bagno bussa qualcuno.

« Posso entrare? Sono di fretta! » sento esclamare aldilà della porta.

Sgrano gli occhi, disperata. Il cuore è ritornato a battere forte, sentendo solo la sua voce attutita dalla porta del bagno.

« Entra! » esclamo, rassegnata.

Taylor spalanca velocemente la porta, reggendo il suo cambio per la doccia.

Nell'altra mano quello che probabilmente è il bracciale recuperato da Makena.

Entra lesto, sorpassandomi senza dire una parola, dirigendosi nella stanza attigua dove vi è la cabina della doccia. Lo sento trafficare un po', e borbottare qualcosa.

« Ahh... accidenti. » biascica mentre rientra nell'anticamera, dove io sono rimasta immobile.

E non me ne sono andata.

Ma sono cretina?!

« Me lo legheresti? » mi dice, tendendomi il braccio sinistro, mentre tra il polpastrello e l'indice della destra tiene ferme le due estremità del bracciale, attorno al polso.

Annuisco, e mi avvicino prendendo dalle due dita il bracciale.

È una catena dorata, in alcuni punti impreziosita da delle pietre blu. Zaffiri autentici forse? Dall'aspetto costoso e lussuoso del bracciale, non farei fatica a crederci. Vi è inoltre una targhetta, sempre dorata, su cui c'è inciso qualcosa. Ma non riesco a leggere, non riesco a mettere bene a fuoco.

Lui sembra notare solo ora, dal mio aggrottare le sopracciglia, che non ci vedo bene.

« Sai che stai decisamente meglio senza occhiali? » mi dice, spontaneo come al solito.

Io avvampo, semplicemente, senza dire nulla. « Con i capelli di questo colore sembri una vampirella! » aggiunge poi, giulivo.

Io sollevo gli occhi verdognoli verso di lui, fulminandolo con lo sguardo.

« Non dovresti neanche nominarli te, i vampiri. » borbotto, tornando a guardare il bracciale.

Non riesco a incastrare i due occhielli. Ho le mani che tremano visibilmente.

« E perchè? » mi chiede lui, divertito. Poi sembra notare il tremore, e improvvisamente avverto il tocco della sua mano destra sul mio polso, delicato ma fermo, caldissimo, come a volermi tranquillizzare. « Stai tremando. » mormora lui, constatando la cosa a mezza voce. Che è lievemente roca, terribilmente calda.

Lo guardo un attimo, e il realizzare di averlo così vicino che mi guarda a sua volta con un accenno di sorriso, o quello mi sembra di vedere sul suo viso, mi fa trattenere il fiato, che mi permette anche di essere appena più ferma e riuscire a legare il bracciale.

Lascio fuoriuscire un sospiro di sollievo, allontanando velocemente le mani. Sento uno strano calore alla pancia. Quindi ritorno a guardarlo con sufficienza, a celare, come al solito.

« Me li chiami vampiri tu dei... cosi, delle robe che brillano al sole invece di morire tra le peggiori pene per autocombustione? » gli chiedo, ritornando al discorso di poco fa, mentre mi volto a prendere gli occhiali e pulirli con l'orlo della t-shirt.

« Ah, non saprei » inizia a dire lui, che è entrato nell'altra stanza. Mi volto in quella direzione e inforco gli occhiali, inarcando un sopracciglio. « Io non m'intendo molto di vampiri, preferisco i lupi. » aggiunge, ironicamente, affacciandosi un attimo con un largo sorriso. E il torso nudo. « Yo! » esclama poi, in segno di saluto accennando una sottospecie di gesto militare con la mano, prima di chiudersi nella stanza della doccia.

Soltanto quando mi volto a guardarmi allo specchio mi rendo conto di aver perso il controllo della mascella, che è caduta spalancando la bocca.


*


« Non ci siamo davvero. No. » continuo a ripetermi, borbottando e scuotendo il capo rosso, durante il mio ritorno a casa. Di nuovo le sfumature tra il rosa, l'arancio e il rosso intenso dipingono il cielo di Grand Rapids di scie infuocate del tramonto di Giugno.

È abbastanza tardi oggi, e per strada non c'è nessuno. Almeno, è il pensiero di cui cerco di convincermi.

Eppure è già qualche giorno che mi sento osservata, mentre torno a casa la sera. È solo una sensazione, niente mi da da sospettare nulla, però è abbastanza scocciante essere sempre in ansia per questo. Svolto l'angolo a sinistra, alle mie spalle intanto sento passare un'auto, o forse è una moto, l'unica nei dintorni a quanto pare.

È nel momento in cui mi volto così, per curiosità, a guardarmi alle spalle che mi abbaglia un'immagine. Qualcuno, non riesco a capire chi, è dietro di me.

Non faccio in tempo a mettere a fuoco la figura che sento un dolore lancinante in testa, la mia vista si offusca, e diventa tutto nero.


*


Fa caldo. Fa tremendamente caldo.

Nel momento in cui riprendo i sensi, questa è l'unica cosa a cui penso. Sento la mia pelle madida di sudore, e nel momento in cui pian piano riprendo coscienza del mio corpo, realizzo che non riesco a respirare bene, per il troppo caldo e la mancanza di ossigeno.

A fatica, lentamente, inizio a schiudere le palpebre, che bruciano un po', probabilmente perchè sono svenuta e ho dormito per un po' col trucco intorno agli occhi.

Ma come sono svenuta?

Inspiro a fondo, apro del tutto gli occhi improvvisamente. Vado a sollevare il capo di scatto, e un dolore lancinante sulla parte sinistra, vicino alla tempia, mi travolge e mi fa lamentare dal dolore, digrignando i denti.

Chino di nuovo il capo, tant'è che i capelli mi vanno a coprire il volto, e intanto sento dei passi che si allontanano lentamente da me. C'era qualcuno qui di fianco.

Mi rendo conto che ho le mani e i piedi legati. Sollevo lentamente lo sguardo, per cercare di identificare questo posto. Sono in un angolo di quello che sembra un capannone dismesso da tempo, senza più il tetto né le pareti, dove è rimasta solo la struttura in acciaio imprigionata ormai dalle erbacce. Siamo fuori città, non vedo nulla attorno a noi.

Sono seduta a terra, con la schiena poggiata proprio contro uno dei possenti pilastri in acciaio.

Tutto sembra inondato dal fuoco. Sono gli ultimi raggi del tramonto.

Sento un vociferare poco distante, ma il canto delle cicale mi impedisce di cogliere tutte le parole. Riesco sicuramente a sentire “s'è svegliata”.

Mentre ancora cerco di capire dove mi trovo, e soprattutto il perchè mi trovo qui, un'altra fitta alla testa mi fa di nuovo chinare il capo di botto, e mugugnare un lamento sommesso.

Sento dei passi che si avvicinano. Non ho la forza di alzare la testa, oltretutto la luce è troppo forte, e il sole è proprio di fronte a me, mentre tramonta.

« Eccoti qui. » sento una voce. Una voce femminile.

« Eccomi... qui. » ripeto, sarcasticamente, accennando un sorrisino che sembra più una smorfia di dolore.

« Lo sai perchè sei in questo posto? » mi chiede la ragazza, di cui per ora vedo solo i piedi.

Quei piedi pian piano si moltiplicano. Sono una, due, tre... sono quattro.

« Ho calpestato qualche aiuola? » rispondo io, sarcastica, sforzandomi di mantenere la voce il più salda possibile. Difficile, davvero difficile. Mi fanno male le spalle a stare in questa posizione, e anche le gambe.

Improvvisamente mi sento afferrare per i capelli, e strattonare la testa verso l'alto. Lancio un grido di dolore, prima di aprire gli occhi e guardare in faccia la ragazza in questione.

È accovacciata di fronte a me, e ha un'espressione indecifrabile. È bella, bellissima. Ha i capelli biondi e luminosi, lunghi e lievemente arricciati in morbidi boccoli, sulla parte finale. Ha delle gambe lunghissime, e indossa dei tacchi vertiginosi, oltre ad un vestitino in cotone leggero, verde pastello.

Questa bellissima ragazza, oltre a farmi un male della Madonna tenendomi la testa e tirandomi i capelli in quella posizione scomodissima, solleva anche una rivista, e me la piazza proprio di fronte agli occhi.

Dal fatto che non riesco a mettere a fuoco perfettamente l'immagine, realizzo che non ho più gli occhiali da vista. Ma comunque riesco perfettamente a capire che cosa ritrae la foto che mi sta mostrando questa ragazza. Assottiglio lo sguardo. Osservo la pagina della rivista, ricca di scritte colorate e allegre per qualche istante, alcune che azzardano ipotesi assurde, poi sposto gli occhi su di lei.

« Quindi? » chiedo io, a mezza voce. « Ti rode il culo vedermi tra le braccia di Taylor Lautner? » sbotto, con poca gentilezza.

La sua non-espressione sembra prima vacillare, poi si frantuma del tutto. Si incattivisce, mentre lancia via la rivista, e tende la mano libera verso una delle sue compagne. Quello che le mette in mano all'inizio non lo vedo, ma poi lo sento bene sotto il mio mento. Un coltellino svizzero, che sembra anche affilato. Deglutisco, ma non scosto lo sguardo.

« Non so cosa tu abbia architettato per riuscire a ottenere qualcosa del genere... » inizia a dire la ragazza, spostando il coltellino dal mento fino alla mia guancia sinistra. « … Ma Taylor non si filerebbe mai una puttanella come te. Sei brutta, e sei strana. » mormora la ragazza, con voce tagliente.

« Adesso dovrei piangere? » sbotto io, inarcando le sopracciglia.

« Io sono la sua fan numero uno. Lo seguo da sempre, sempre. Sono innamorata di lui da sempre. » inizia a spiegarmi, sovrastando le mie parole.

« Almeno ci hai mai parlato? » chiedo io, sprezzante.

« ZITTA! » urla lei, incattivendosi ancora di più. Sento il coltellino affondare nella mia pelle, pericolosamente, senza tuttavia ancora squarciarla. Sto zitta, e continuo a guardarla.

« Nessuna, tra noi fans, avrebbe mai fatto nulla del genere. È l'accordo tacito che c'è tra di noi. Lui non sarà mai di nessuna di noi. » continua a dire la ragazza. Sollevo un attimo gli occhi al cielo, intanto la testa inizia a farmi male ininterrottamente.

« Voi siete tutte sceme. E io non sono sua fa-- » inizio a specificare, velocemente. Ma non finisco in tempo la frase, che un dolore acutissimo mi blocca il respiro. Con un rapido gesto, ha trascinato il coltellino sulla mia guancia. Sento il primo rivolo di sangue iniziare a uscire.

Inizio ad avere paura.

« Vediamo se adesso chiudi la fogna. » sibila lei, vicina al mio viso, tirando di più i miei capelli. « Come potremmo punirla? » chiede a voce più alta la bionda, rivolta alle sue compagne.

« Potremmo tagliarle i capelli. »

« O strapparglieli. »

« O lasciarle una firma col coltellino sulle tette. »

Le guardo. Vorrei ringraziarle una a una personalmente, davvero, ma decisamente è meglio se sto zitta. Inspiro profondamente, il mio torace di alza e si abbassa, veloce. Sento una goccia di sangue o sudore cadere sulla t-shirt grigia. Le narici si allargano, cercando di assorbire la maggior quantità di ossigeno possibile, e cerco di non pensare al dolore.

La bionda ascolta le sue compagne, quindi annuisce ritornando su di me. Sorride appena, un sorriso abbastanza inquietante.

« Mi è venuta un'idea. Slegatele i piedi. » dice infine, lasciandomi di botto i capelli e alzandosi in piedi, allontanandosi.

Resto in silenzio.

Devo inventarmi qualcosa.

Devo pensare a qualcosa al più presto.

 

*-*-*

 

Nuovo capitolo! Le cose iniziano a farsi un po' complicate ehm :P

Volevo darvi una piccola informazione che mi ero dimenticata di scrivere in queste noticine a fine capitolo: il profumo che Lily sente spesso quando Taylor è nei dintorni, che le ricorda l'estate, per l'esattezza è quello dell'Olio di Monoj-Thaiti.

Se vi capita di trovare qualche prodotto a base di questa profumazione dateci una "sniffata"! :3

Per il resto continuo a ringraziarvi per i vostri commenti, naturalmente le critiche sono sempre ben accette, quindi accomodatevi pure! Fatemi sempre sapere cosa ne pensate, a me non può far altro che piacere!

Grazie per aver letto fin qui. A presto!

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Capitolo 6
*** Capitolo VI - Tightrope ***



Capitolo VI - Tightrope

Il sole è infuocato davanti a me. È rosso, intenso, brillante. Non riesco a guardarlo, è troppo, troppo luminoso.

È come guardare in volto Taylor, insomma. È ipnotico, bellissimo, ma ogni volta mi costringo a distogliere lo sguardo.

Mi fa male guardarlo.

Perchè mi fa così male?

Perchè vive una vita totalmente diversa dalla mia? Perchè la sua vita, la sua esistenza, è splendente? Forse lo invidio? O lo odio per questo?

Davvero lo odio?

Sollevo gli occhi, mentre due tizie mi trascinano lentamente verso la ragazza bionda, che ormai ho capito essere il capo della combriccola.

La ferita sulla guancia mi da un fastidio pazzesco. Brucia da morire. E la testa pulsa. Stringo le labbra tanto che diventano livide, mentre avanzo lentamente.

Quando sono vicina a lei, la ragazza si volta, e mi sorride. Con un cenno dice alle altre di avvicinarmi ancora a lei. È quando sono praticamente al suo fianco che mi rendo conto di dove ci troviamo. Il cuore mi arriva in gola.

Siamo sull'orlo di un'enorme buca, scavata artificialmente nella roccia, probabilmente nel periodo in cui la fabbrica era attiva, per qualche estrazione minerale.

Trattengo il fiato, guardo giù.

Non è estremamente profonda, ma non essendo un'erosione naturale le sue pareti sono completamente lisce. Se dovessi cadere lì dentro, per me sarebbe praticamente impossibile riuscire a risalire. E nessuno mi sentirebbe qui, in questo posto abbandonato fuori dalla città.

Benissimo, direi che le prospettive sono tutte a mio favore.

Resto immobile, impassibile, a guardare l'orlo del precipizio distante pochi centimetri dai miei piedi. Poi torno a guardare la ragazza, nel momento in cui mi riafferra di nuovo i capelli e mi costringe a inginocchiarmi proprio sull'orlo, con una mia conseguente smorfia di dolore. Osservo dei ciottoli cadere giù lungo le pareti del burrone.

« Questo succede a prendersi troppe libertà con persone come Taylor. Cosa speravi di ottenere? Speravi di entrare nel suo mondo? Di diventare famosa? Speravi di farlo diventare il tuo principe? Lui è nostro! È di tutte noi! » dice la ragazza, con un'esaltazione che sfiora la psicosi.

Io resto ancora in silenzio. Rifletto sulle sue parole.

Entrare nel suo mondo?

Diventare famosa?

Il mio corpo inizia a essere percorso da piccoli spasmi, provocati dalla risata che a stenti riesco a trattenere.

« Cosa cazzo ti ridi, rospo?! » urla la ragazza, che mi spinge la testa verso il burrone. Osservo il vuoto sotto di me. Alcune ciocche di capelli ciondolano placide sul nulla. « Urla adesso che non ti avvicinerai mai più a Taylor. Urla che non ti piace, che lo odi, che ti fa schifo. Ora. » mi intima la ragazza, strattonandomi ad ogni frase.

La guardo, assottiglio le palpebre.

« No. » rispondo semplicemente, lentamente. Lo urlerei più che volentieri che non lo sopporto, ma non ora, non per dare soddisfazione a lei.

« FALLO! » sbraita ancora, con la voce di un'ottava più alta del normale.

Intanto io mi guardo intorno. Potrei spintonarla giù, visto che man mano si sta accovacciando sempre più vicino a me. Ma mi tiene ferma per i capelli, quindi rischierei di venire trascinata giù con lei.

« Non dirò mai quelle parole per te! » sbotto io, improvvisamente.

« Allora ti piace, lo stai ammettendo! AMMETTILO! » urla vicino a me, e io la guardo qualche istante in silenzio. È pazza. È completamente fuori. Si contraddice da sola, e sta perdendo il controllo. Se non fosse che ce ne sono altre tre, avrei una possibilità di distrarla, confonderla e scappare.

Inizio a respirare più affannosamente. Mi sta facendo perdere la pazienza, con questi giochetti di parole.

« E anche se fosse...? » mormoro a mezza voce. « E anche se fosse?! » ripeto, urlandole improvvisa in faccia. « Se anche Taylor mi piacesse?! Cosa vorresti fare? Cosa vorresti dimostrare? Che il tuo modo di amare è migliore e più giusto del mio?! » inizio a dire, sgolandomi letteralmente. « E' così che vorresti dimostrargli che sei innamorata di lui?! È questo il tuo modo per esprimere amore?! Far del male a qualcun altro?! Cosa c'è di male se invece io voglio semplicemente stargli accanto?! » continuo a dire, in un fiume di parole. Atte solo a farla riflettere, s'intende. Non le penso mica, quelle cose. No no no. « Dici di amarlo da sempre, alla follia, eppure non hai mai avuto le palle di provare a parlarci! Chissà in quante occasioni l'avrai visto e non sei stata in grado neanche di salutarlo! È così che funziona, poi? Sfoghi la tua rabbia repressa su di me o su qualche povera disgraziata che ti capita a tiro?! Dovresti impegnarti più sul fare del bene a te stessa che fare del male agli altri! »

« Tu non capisci, non capisci nulla! Sentirsi inadeguata, in un mondo a parte, vederlo con la consapevolezza che non lo raggiungerai mai! » esclama lei, la voce tremante.

« Lo capisco eccome invece! » le urlo io di rimando, mentre sento i miei occhi iniziare a pizzicare. No, le lacrime no. Non adesso. « Fai la tua scelta, ma falla ora. Se devi dimostrare qualcosa a te stessa o alle tue amichette qui buttandomi da quassù, fallo ora e alla svelta! Sono sicura che questo gesto ti aiuterà tantissimo ad entrare nel cuore di Taylor! E ricordati che sono le persone come te a rendergli la vita un inferno! » aggiungo ancora, sprezzante. Lei mi guarda, sgranando gli occhi, e mi afferra con ancora più violenza.

« Ti ammazzo! » riesce a dire solamente, completamente fuori di testa, in uno stridio acutissimo, mentre continua a spingermi verso il burrone.

Chiudo gli occhi, stringo i denti, e mi preparo.

« Adesso basta. » sento dire, solamente. Senza alzare il tono, senza dimostrare nessun tipo di emozione, quella voce ferma e sicura basta da sola per farmi sbarrare gli occhi.

Mi volto immediatamente verso dietro, non bado al mal di testa ora. C'è una figura, i raggi del sole morente dietro di lui mi accecano e m'impediscono di osservarlo, di vederlo.

Ma lo riconosco. Riconosco la sua sagoma, la forma delle sue braccia, del suo viso.

Il mio cuore inizia a battere in modo quasi violento.

Dio, quanto vorrei vedere il suo volto adesso.

« Tay... » mormoro io, senza avere la forza di terminare il suo nome, visto che il respiro mi muore in gola.

Si avvicina, lentamente.

Le ragazze sono agitatissime, non si aspettavano nulla del genere. La bionda boccheggia qualche istante, senza evidentemente sapere cosa dire.

Lui continua ad avvicinarsi a lei.

« Come... Cosa diavolo ti è venuto in mente? » sibila lui, a denti stretti. « Tu sei Barbara, vero? »

Lei sembra illuminarsi. Sembra non notare il tono sprezzante di Taylor. Io resto in ginocchio, la testa bassa, guardandoli sottecchi.

« Sì, sì, sono io! Non... non pensavo mi conoscessi! » esclama lei, sorridendo apertamente.

« Certo che ti conosco » risponde lui, avvicinandosi ancora a lei. Improvvisamente vedo i suoi piedi davanti a me. Si sta frapponendo fra me e questa Barbara. « Internet lo so usare anch'io. Tu sei una pazza. Spesso leggo le cose che scrivi, o le foto che pubblichi. Mi fai paura! » sbotta lui, senza troppa gentilezza.

Lei sgrana gli occhi, che veloci iniziano a diventare lucidi.

« Cosa le stavate facendo?! » aggiunge ancora lui, a voce più alta, più prorompente.

Lei sussulta, le altre si stanno già allontanando.

« N-noi... stavamo solo cercando di farle capire una cosa importante! » esclama lei, cercando di darsi ragione.

« Una cosa importante? Sono queste le cose importanti per te?! E ti sembra questo il modo di farlo capire alla gente?! Lily ha ragione... sono le persone come te che mi rendono la vita un inferno! » sbotta lui, violento. Quindi si china di fronte a me, solleva la mano e scosta qualche ciuffo rosso dal viso.

Sollevo il capo, alzo gli occhi verso di lui.

Ci guardiamo.

Resto in silenzio, lo guardo, e il dolore, la sofferenza, sembrano attenuarsi. Improvvisamente, magicamente. I nostri occhi vanno a incontrarsi, e a miscelarsi.

Quello sguardo silenzioso sembra durare un'infinità.

Dio, sei mai stato così bello?

Mi tremano le labbra.

No no no no. Non devi piangere.

Lui guarda prima me, poi scostando i capelli nota il taglio sul viso.

Sgrana gli occhi, le narici si dilatano e i muscoli della mascella si contraggono, il suo respiro si fa più veloce.

Stringe le labbra, lividamente.

Torna a guardarmi, col viso contratto dalla rabbia.

Eppure è dolcissimo mentre posa le mani sulle mie braccia, e mi aiuta a rialzarmi. Tremante, mi rimetto in piedi. Tengo lo sguardo basso, per mero orgoglio: ho gli occhi lucidi, sto per scoppiare a piangere. E di questo mi vergogno.

Lui intanto ritorna a volgersi verso Barbara.

« Vai via, adesso. » le ordina in un sibilo. Poi le si avvicina, veloce e minaccioso. « Io sono buono e gentile. Sempre. Ma le mie doti cavalleresche fanno a farsi fottere quando vedo una donna che si comporta come un animale. » aggiunge, veloce, aggressivo. Lei resta immobile, pietrificata. « VATTENE! » tuona lui, urlandole in faccia. Lei si spaventa, lancia un urlo, inizia a piangere.

Quindi si volta e scappa via, veloce. Neanche uno sguardo tra me e lei.

Taylor resta fermo a guardarla allontanarsi, per qualche istante.

Quindi mi si avvicina piano. Mi fa allontanare di qualche passo dall'orlo del burrone, quindi mi slega le mani dalla corda ruvida.

Io non dico nulla, resto in silenzio, perchè se parlassi scoppierei a piangere.

« Mi dispiace. » mormora lui in un soffio, togliendo la corda dai miei polsi e gettandola a terra.

Muovo le braccia doloranti, vado a massaggiarmi i polsi, scosto i capelli dal viso.

Alzo lo sguardo ed è di fronte a me. Il cielo ormai sta volgendo all'indaco.

Mi guarda, con un'espressione sofferente, imbarazzata, infastidita.

Mi sforzo di accennare un sorrisino.

« E' a me che dispiace. Adesso hai fatto vedere a quella ragazza quanto sei veramente antipatico, la cosa potrebbe compromettere il tuo successo. » commento, ironicamente, tuttavia con la voce tremante, cercando di alleggerire la situazione.

Lui resta in silenzio qualche istante, sembra non cogliere il divertimento. E io che m'impegno.

« Stupida. » dice soltanto, con voce flebile.

E, in un attimo, mi sento strattonare verso di lui. Mi cinge veloce con le braccia, stringendo forte, fortissimo. Ci metto qualche secondo per realizzare la cosa.

Il suo corpo è caldo. Fa caldo. Se fosse un'altra situazione, inizierei a urlare e lo spingerei via. Mi sta soffocando. E io, di rimando, scoppio a piangere.

Non riesco a trattenermi, e la forza delle mie gambe viene meno. Per fortuna lui, abbracciandomi, m'impedisce di cadere a terra.

Ho avuto paura.

Le lacrime iniziano ad uscire copiose, mi nascondo nella sua camicia, perchè sì, solo ora mi accorgo che indossa una camicia bianca.

Mi rendo conto che il mio trucco potrebbe andare a sporcargliela, quindi cerco di allontanarmi.

« Taylor... la camicia... il trucco... » borbotto io, ma lui in risposta mi stringe ancora più forte. Il vigore delle sue braccia, il suo calore, il battito del suo cuore, mi fanno rilassare, abbandonare.

Un'altra ondata di lacrime m'investe, sollevo le braccia e vado ad aggrapparmi alla sua camicia, stringendone due lembi all'altezza delle scapole, la schiena inarcata su di me.

Mi accarezza lentamente i capelli. I nostri corpi sono completamente aderenti, i cuori battono forti e veloci, insieme.

Non lo so quanto tempo restiamo così.

Probabilmente finchè i miei singhiozzi non si attenuano, lui non accenna a muoversi.

« Ehi... calmati adesso. » mormora, mentre mi accarezza ancora i capelli. Io non rispondo, cerco di reprimere i singhiozzi. « Stai bene? Vuoi che ti porti in Ospedale? » aggiunge, premuroso.

Io scuoto il capo in segno di diniego.

Quando inizia a staccarsi lentamente, quello che mi lascia è un totale senso di confusione. Mi sento drogata. Ho il suo profumo addosso, quel profumo d'estate e di mare. Ogni volta che inspiro e sento quel profumo avverto una strana sensazione allo stomaco.

Sollevo lo sguardo verso di lui, che continua a guardarmi con una strana espressione sofferente. E lo capisco che cos'ha. Si sente in colpa.

Inspiro a fondo, cerco di darmi una calmata.

« Come hai fatto a trovarmi? E ad intervenire proprio in quel momento? » chiedo, a mezza voce. Lui intanto s'incammina, e io lo seguo.

« Ti ho vista per strada, mentre tornavo a casa dall'appuntamento di lavoro. » inizia a spiegare lui. « Ti ho vista svoltare un angolo, ho pensato di tornare indietro per darti un passaggio. Il tempo di fare inversione di marcia e svoltare nella stessa strada, che ho visto questo gruppetto trascinarti via svenuta. Le ho seguite. » spiega semplicemente, scrollando le spalle. « Sono rimasto ad osservare la scena in silenzio. Insomma, ho aspettato che tu finissi quel bel discorso prima d'intervenire, ci tenevo a sentirlo fino in fondo. » aggiunge, con un sorrisino ironico.

Sussulto, e mi volto veloce verso di lui. Mi lamento un attimo per il dolore lancinante alla testa, ma parto a parlare spedita.

« Ehi ehi ehi, non fraintendiamo eh?! » inizio a dire io, andando ad asciugare le lacrime. No, ma non mi sto mica parando le mani avanti. « Quello era solo un discorso per quella ragazza, per cercare di farle capire la cazzata che stava facendo! Era per smuoverle la coscienza! » esclamo, annuendo alle mie stesse parole.

« Smuoverle la coscienza, ma certo. » ripete lui, con una nota ironica sin troppo evidente.

« Non montarti la testa, Taylor Lautner! » esclamo, agitando l'indice verso di lui con fare minaccioso, rimbeccandolo.

Lui si volta semplicemente, e mi sorride divertito. Ma il sorriso dura poco. Va scomparendo velocemente, lasciando solo un'espressione pensierosa sul viso.

« Che c'è? » chiedo velocemente. Intanto usciamo dalla struttura in acciaio, e vedo una moto parcheggiata a qualche centinaio di metri da noi. Non vorrà farmi salire lì sopra?!

« Pensavo... penso che adesso mi odierai davvero. È successo esattamente quello che tu temevi, sei stata coinvolta in qualcosa che non ti piace e non ti riguarda. » dice con una scrollatina di spalle.

Spalanco gli occhi e sbatto le palpebre veloci, un paio di volte.

« Odiarti? Oh, no. Anzi, oggi sei stato un figo. Sei venuto a salvarmi, con un tempismo perfetto, proprio come nei film. » rispondo, accennando un sorrisetto. « Quindi oggi proprio non ti odio. Ricomincerò da domani. » concludo, annuendo vigorosamente.

Lui si volta, mi guarda e mi sorride. E io, spontaneamente, mi ritrovo a ricambiare.

« E' la prima volta che mi sorridi. » mi fa notare lui, a mezza voce. Intanto arriviamo alla moto.

Io avvampo.

« Non ti ci abituare! » esclamo, minacciosamente, facendogli poi vedere la punta della lingua in una smorfietta antipatica. « Ma adesso io dovrei salire qui sopra? » chiedo poi, con un'espressione poco convinta.

Lui mi guarda, poi si guarda intorno.

« Temo non ci siano alternative. » mi risponde, ironicamente.

« Ma... ma... io ho paura! » esclamo, lagnosamente.

Lui scoppia a ridere, tendendomi il casco.

« Ma smettila! » esclama, tra le risate.

« Ma ho paura davvero! » continuo a dire, pur tuttavia prendendo il casco tra le mani.

« Cioè fammi capire, hai continuato a dirne di tutti i colori ad una tizia che stava per buttarti giù da un burrone, e non ti fidi a salire in moto con me?! » esclama, inarcando un sopracciglio, con un sorrisetto tra l'ironico e lo stupito, che solleva solo la parte destra delle sue labbra.

Sospiro. Credo di non avere davvero altra scelta.

« Aiutami però. » protesto, guardandolo male.

Lui di nuovo mi guarda divertito, accennando una risatina, quindi appende il casco sul manubrio della moto, fa il giro e mi arriva di fronte.

Neanche il tempo di capire cosa stia succedendo che lui mi afferra per la vita, e con una naturalezza e una facilità disarmanti mi solleva, neanche fossi una bambola, e mi fa sedere sul sellino dorsale della moto. Io resto praticamente pietrificata.

« Va bene così? » mi chiede, rivolgendomi un sorrisino malizioso.

Io stringo le labbra, e indosso velocemente il casco.

« Odio quella tua espressione da “I'm sexy and I know it”! » esclamo, la voce soffocata dal casco.

Taylor fa per indossare una giacca in pelle nera, appesa anche questa al manubrio, poi mi guarda qualche secondo, e la sfila via. Me la porge.

« Sulla moto fa freddo. » spiega, tendendola verso di me.

« E tu? » chiedo, mentre la prendo tra le mani.

« Io non ne ho poi così tanto bisogno. Dopotutto sono un figo, no? » commenta, arricciando le labbra in una smorfietta divertita, prima d'indossare il casco a sua volta.

« Insopportabile. » borbotto io, mentre indosso la giacca, che mi va decisamente grande.

« Tieniti stretta. » mi raccomanda lui, mentre sento partire il rombo del motore.

Ad ogni movimento della sua mano sull'acceleratore, questo romba più forte.

Senza neanche che lui mi avverta, io mi fiondo a cingerlo con le braccia, stringendo forte.

Soprattutto quando poi la moto parte, io lancio un mugugno di terrore e affondo ancora di più i polpastrelli nella sua pelle, protetta dalla camicia bianca.

Posso sentire i suoi muscoli, sto toccando il suo corpo. È la prima volta, e m'impongo di non pensarci troppo.

Solo al pensiero di essergli avvinghiata contro mi sento galoppare il cuore, e non è il caso che ciò avvenga quando si corre a circa cento chilometri orari.

Il vento freddo della sera mi sferza il viso, o la piccola porzione che fuoriesce dal casco. Ad ogni curva che lui compie io sussulto, nervosa.

A parte il rombo del motore, piomba il silenzio. Sollevo con cautela la mano a toccarmi il taglio sul viso, non mi sembra troppo grave. Gli occhiali sono persi, perfetto. Mi toccherà andar senza finchè non riceverò il compenso per le ripetizioni a Makena.

« Stanotte dormi da noi, okay? » urla lui improvvisamente, sovrastando il rombo della moto.

« E perchè? » esclamo, ad alta voce.

« E' meglio così. Mi sento più sicuro. » urla in risposta, con una scrollata di spalle.

« Se è solo per oggi. » rispondo infine, sempre sgolandomi, e per ora basta parlare, o potrei star male.

Per strada ci fermiamo ad un fast food, ovviamente scendo io a prendere la roba.

Lui resta sulla moto col casco addosso. Non può toglierlo, non sarebbe proprio il caso. Non sembra una bella cosa.

Quando ritorno con la cena, Taylor ha cambiato espressione, sembra eccitato. Almeno dalla sua voce.

« Mi è venuta un'idea, ti porto in un posto. » mi dice allegramente mentre mi aiuta a risalire e poi mette in moto. Io lo guardo inarcando un sopracciglio.

« Non portarmi in posti strani. » commento semplicemente.


*


Guidando un tantino più veloce di prima, Taylor si districa con abilità per le strade di Grand Rapids, illuminate ormai solo dai lampioni, dalle luci delle macchine e dalle insegne a neon dei locali. Si dirige lesto verso la periferia della città, uscendo poi completamente fuori.

Non dico una parola – non ne sarei in grado, visto il terrore –, piuttosto guardo incuriosita quelle strade che non conosco, e che lui percorre con tanta sicurezza.

È strano, ma mi sento a mio agio. Tralasciando la paura per la moto, ovviamente. Ho sempre una sensazione allo stomaco che in alcuni momenti mi toglie il fiato, ma... è quasi piacevole. Il calore del suo corpo, al quale mi sto stringendo, è piacevole.

Intanto sale su una collina, tra una curva e l'altra, sale sempre di più. È buio, abbiamo lasciato dietro di noi le luci della città. Inizio a vedere le stelle.

Arrivati in cima a questa collina, lui spegne la moto. Intorno è davvero tutto buio.

Mi sporgo verso di lui, sgranando gli occhi. E ora?

« Non avrai mica intenzione di stuprarmi? » chiedo io, liberandolo dall'abbraccio e indietreggiando appena col sedere.

« Ma smettila, cretina! » esclama lui, scoppiando a ridere. « Prendi la roba da mangiare e scendi. » mi dice poi, assicurando la moto e balzando giù con agilità.

« Ah ma come siamo cavallereschi! Proprio dei signori! » esclamo, urlandogli da sopra al sellino, e poi guardandomi intorno, non sapendo da dove iniziare per scendere. Inizia a camminare facendomi solo un gesto noncurante con la mano. « Ahh! » sbotto, spazientita. Prendo la busta con i panini e dopo varie peripezie riesco ad arrivare incolume a terra. Lo vedo a stenti, è lontano.

Qui sopra l'aria è più fresca. Inspiro a pieni polmoni, cullata dal venticello fresco della sera. Dopo aver goduto di quest'atmosfera per qualche istante, tolgo la giacca e mi sbrigo a raggiungere Taylor, che diventa sempre più piccolo e lontano.

« Ehi! » lo chiamo a gran voce, ma non sembra sentirmi. O mi ignora, molto probabilmente.

Corro sull'ultima porzione della piccola salita verso la cima della collina, vedo un albero e lui sedercisi alla base. « Ma insomma, si può sapere cosa... » inizio a dire col fiatone mentre gli arrivo vicina, e poi... mi blocco. Spalanco gli occhi, trattengo il fiato.

Davanti a me, all'improvviso, esplodono le luci di Grand Rapids. È veramente un tripudio di luci e colori, che noi ora vediamo dall'alto, e la città sembra così piccola, così luminosa. Sembra una miriade di stelle.

I miei occhi spalancati osservano la scena, incantati, rapiti.

Mi vado a sedere lentamente di fianco a lui, poggio a terra la busta dei panini.

« E' fighissimo! » esclamo, voltandomi poi a guardarlo. « Ma come lo conosci tu questo posto?! » gli chiedo, con enfasi. Lui accenna una risata.

« L'ho scoperto una mattina, volevo fare jogging in queste zone. Chiaramente di mattina non è così affascinante, e c'è anche un po' di gente che gironzola da queste parti ad allenarsi. » spiega, andando a poggiare le mani sull'erba, dietro di lui, facendo perno su esse per restare seduto. « Poi sono venuto qui di sera. Ero curioso di vedere lo spettacolo notturno, ed effettivamente ne sono rimasto incantato. Da allora vengo sempre qui, quando torno a casa e ho bisogno di rilassarmi un po'. » spiega, voltandosi a guardare le luci della città che risplendono.

« Perchè mi ci hai portata? Questo è il tuo posto, non dovresti portarci nessuno. » gli dico io, aggrottando appena la fronte.

« Perchè stasera volevo vedere le luci con te. » risponde lui, con una spontaneità disarmante.

Sento il mio cuore battere all'impazzata. Non mi viene in mente sulla di scemo da rispondere in questo momento, quindi rimango zitta.

Prendo la busta e gli passo il suo panino. Mangiamo in silenzio.

Stiamo condividendo qualcosa, adesso. Qualcosa di importante. Lui ha voluto condividerla proprio con me. Questi pensieri, questa consapevolezza, mi fanno avvampare. Non finisco neanche il panino, perchè mi si chiude lo stomaco.

« Grazie. » sento le parole fuoriuscire da sole, improvvise dalle mie labbra.

Lui si volta a guardarmi, forse stupito.

« Per cosa? » mi chiede innocentemente.

« Per oggi... per tutto. » gli rispondo a mezza voce, tremante. Quindi mi volto a guardarlo, e le mie labbra, spontanee, si arricciano in un sorrisino.

Lui resta a guardarmi qualche istante, ancora più stupito.

« E' la seconda volta che oggi mi sorridi. E' strano. Forse stiamo facendo qualche passo avanti, eh? »

« Ti ho detto già prima di non montarti la testa. » gli ricordo.

« Ah, giusto. » commenta, prima di lasciarsi andare in una risatina divertita.

Eppure ha qualcosa di strano. È malinconico.

Lo è la sua espressione, lo è questo posto. Cosa penserà quando è qui da solo? È la prima volta che ci porta qualcuno?

Non è triste cercare un disperato rifugio dalla realtà dove poter avere qualche minuto di pace?


*


Finita la cena, torniamo a casa.

Di nuovo lo abbraccio, e posso sentire il suo profumo.

Mi da serenità.

Apre il cancello elettronico tramite il suo telecomando, lentamente entriamo nel vialetto della villa.

Quando entriamo in casa dormono tutti. Non so neanche che ora è. Quanto tempo siamo stati fuori?

Mi accompagna in silenzio verso la camera degli ospiti. Le chiavi tintinnano piano appese al suo indice della mano destra. Mi ritrovo a fissare quella mano e quel braccio, la sua schiena e – inutile nasconderlo – anche il suo fondoschiena, ricordando il tocco del suo abbraccio.

Inspiro, tremo appena. Smettila, Lily.

Apre la porta della camera, e si appoggia sullo stipite della porta, per farmi entrare.

« E' abbastanza fresca, non dovresti avere problemi per il caldo. » inizia a dire lui, scostandosi dallo stipite quando io passo per entrare in camera.

« Va bene, va bene. » commento, sospirando. Butto la borsa a terra, mi siedo sul letto qualche istante, poi mi lascio cadere stendendomi completamente sul materasso. La mia schiena è a pezzi.

« Ah, non ci sono neanche mostri sotto al materasso, che io sappia. » dice poi, ironicamente.

« Grazie per l'interesse. Comunque sono una bad-ass, non ho paura dei mostri. »

« Come fai a leggere o vedere tutte quelle robe sui vampiri e mostri vari e a non averne paura, la notte? »

Scoppio in una risata divertita, seppur sommessa. « I vampiri? Mi fanno un baffo i vampiri! Soprattutto quelli che conosci te. » esclamo, ironica, inarcando un sopracciglio con un sorrisino saccente, andando a far perno sui gomiti e sollevandomi appena, per poterlo guardare. È poggiato al cassettone accanto alla porta, le mani in tasca, e mi guarda.

« Ah, sì? »

« Sì. »

« Quindi non hai paura dei vampiri? »

« No. »

Assottiglia le palpebre, mi guarda qualche istante.

E succede tutto veloce, troppo velocemente.

Con uno scatto, si avvicina al letto. Nel tempo di un battito di ciglia, con un sobbalzo del materasso, me lo ritrovo vicino, troppo vicino. Le gambe poggiate sul materasso, a carponi, le braccia che chiudono il mio corpo, ingabbiandolo, il suo viso a pochi centimetri dal mio. Mi sovrasta. La camicia aperta, penzolante verso il basso, mi permette di intravedere i muscoli contratti dei pettorali e degli addominali. Il suo profumo mi sta drogando.

Posso osservare le sue labbra. I suoi occhi che mi squadrano, che scavano dentro di me, penetranti.

« E dei lupi? » mormora in un soffio, leggermente roco, socchiudendo le palpebre.

Trattengo il fiato, sgrano gli occhi. Le mie labbra si muovono appena, schiuse, per replicare, ma non riesco a parlare. Mi ha pietrificata.

Io non pensavo che Taylor potesse essere così... così sensuale.

Lo sento chinarsi su di me. Con la punta del naso mi sfiora il collo, fino a giungere all'incavo tra questo e la spalla. Sento le sue labbra spalancarsi sulla mia pelle, come se volesse mordermi. Al contatto tra loro, il tocco per me è ardente. Il mio respiro è corto, e irregolare. Mentre chiude lentamente le labbra, queste e i suoi denti vanno a lasciare una scia lungo tutto il tragitto, affondando nell'epidermide, ma senza farmi male.

Sembra un lupo, un lupo che sta assaporando la sua prossima vittima.

Intanto, sento la sua mano sinistra staccarsi dal materasso e posarsi sul mio fianco, insinuandosi appena al di sotto della t-shirt, a contatto diretto col mio corpo. Quel tocco mi fa trasalire, letteralmente.

Sfiorandomi la pelle con le labbra e con la lingua, risale il profilo del mio collo, fino alla mascella. È una scia ardente. Mi sento ustionata.

Un gran calore, improvvisamente, esplode nel mio stomaco e nel mio basso ventre.

Devo essere paonazza.

Forse può sentire il mio respiro accelerato, irregolare.

Lentamente scosta le labbra dalla mia pelle, e in quel punto mi sembra quasi di andare a fuoco.

Si solleva, quel che basta perchè i nostri sguardi si possano incrociare. Sembrerebbe quasi... affamato.

Dopo pochi secondi, in cui io resto a guardarlo senza fiato, allibita, col viso ardente, lui sembra rendersi conto di quello che ha appena fatto.

Stringe le labbra, corrugando la fronte.

« Scusa. Buonanotte. » borbotta, scostandosi improvvisamente, e dileguandosi dalla camera in pochi secondi, chiudendosi la porta alle spalle.

Mi metto a sedere sul letto, lentamente. Sto tremando visibilmente.

Ascolto i suoi passi attutiti dalla moquette, e il suono della porta della sua camera chiudersi alla fine del corridoio.

Ci metto ancora qualche istante per rendermi conto che sono completamente paonazza, ansimante, e che il cuore batte ad una velocità incredibile.

Non riesco a respirare.

Porto una mano a coprirmi le labbra, che poi scende ripercorrendo il tratto dove lui ha assaporato la mia pelle, con gli occhi sgranati continuo a fissare un punto imprecisato del pavimento.

L'unica cosa a cui riesco a pensare ora, è il suo corpo vicino al mio. Alle sue labbra su di me. Al calore, all'eccitazione che sento e mi rende tesa come una corda di violino. E realizzo, in un misto tra stupore, terrore e batticuore che non avrei voluto che si allontanasse più.

 

*-*-*

Salve!

Ecco qui il sesto capitolo! Spero davvero che fin qui vi sia piaciuto.

Non vedo davvero l'ora di postare i prossimi!

Vi ringrazio sempre di cuore per tutti i commenti che mi lasciate.

Tramite consiglio della carinissima postergirl84 (di cui vi consiglio di leggere le fan fictions, io sto adorando la sua Benzina sul Fuoco!)

ho creato un account Facebook dedicato a EFP. Vi lascio il link, se vi va aggiungetemi pure, mi farebbe un sacco piacere! MoonLilith Efp

Fatemi sapere se questo capitolo vi è piaciuto! A presto, un bacione!

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Capitolo 7
*** Capitolo VII - Disorder ***


Capitolo VII - Disorder

Suona la sveglia del mio cellulare.

Apro di botto gli occhi.

Non ho dormito.

Questa notte non ho dormito.

Mi alzo a sedere lentamente, ho un terribile mal di testa, e i muscoli indolenziti. Porto la mano al viso, a massaggiarlo appena. Sento la ferita incrostata. Che schifo.

Ho dormito vestita, con la faccia sporca di sangue.

Dopo che Taylor è andato via, sono rimasta a rimuginare e poi mi sono addormentata.

Taylor.

Appena ci penso, una fitta fortissima alla bocca dello stomaco mi toglie quasi il fiato. Porto istintivamente la mano a massaggiarmi, illudendomi che sia un dolore superficiale, mentre mi alzo dal letto.

Ho bisogno di una doccia. Makena sarà sveglia? Sa che sono qui? E mi andranno i suoi vestiti? Perchè devo per forza farmi prestare un cambio.

Lentamente mi avvio verso la porta, cercando di dare un senso ai miei capelli, completamente scompigliati.

Apro la porta, uscendo in corridoio. La luce mi fa male alla testa, infatti vado a chiudere gli occhi, infastidita.

Mi volto per andare in bagno, e almeno rinfrescarmi il viso, per ora.

« Lily! » sento esclamare alle mie spalle.

Sobbalzo improvvisamente, e mi volto. Makena è appena uscita dalla sua camera, ancora in pigiama, e probabilmente si stava dirigendo anche lei in bagno. Non sembra stupita di vedermi, Taylor l'avrà avvisata.

Di nuovo una fitta allo stomaco. Basta.

Le sorrido debolmente.

« Buongiorno Makie. Avresti per caso... » inizio a dire, ma lei prontamente mi interrompe.

« Hai bisogno di un cambio, vero? Tu intanto va pure in bagno a far la doccia, entro tra poco a lasciarti gli asciugamani e dei vestiti! Tanto non credo avremo problemi con le taglie. » dice lei, allegramente. Effettivamente, per essere una quattordicenne, Makie è già alta quanto me. Non so se sono io la tappa o è lei che cresce troppo in fretta.

Il mio sorriso si allarga, le annuisco a mo' di ringraziamento, quindi mi dirigo in bagno.

Inevitabilmente, passo davanti la porta di Taylor. È chiusa, probabilmente starà ancora dormendo.

Velocemente mi fiondo nel bagno, quindi nella cabina della doccia, lasciando i miei vestiti su un pouf lì accanto.

Il getto d'acqua rilassa immediatamente i muscoli del mio corpo. Lascio fuoriuscire libero un sospiro di sollievo, mentre sento le gocce d'acqua sciogliere la tensione.

Porto le mani sul viso, a massaggiarlo piano. Anche il mal di testa sembra attenuarsi, ma ancora non va via. Il colpo di ieri è stato più forte di quello che pensassi.

Sento qualcuno entrare in bagno, nell'altra stanza, e aprire il rubinetto del lavandino.

« Makie, mi hai portato il cambio? Lascialo pure qui vicino! » le dico, alzando la voce da dentro la doccia.

Sento il rubinetto chiudersi, qualche attimo di silenzio e poi dei passi veloci allontanarsi.

Aggrotto le sopracciglia.

« Makie? » chiamo, aprendo un attimo la cabina per spiare fuori. Non c'è nessuno nè nulla, né asciugamani né vestiti.

Ritorno a chiudermi nella doccia, insaponando di nuovo il corpo, distrattamente.

« Lily! » sento esclamare, all'improvviso, dalla porta del bagno.

Spalanco appena gli occhi, riconosco la voce di Makena. Entra senza problemi nella stanza della doccia, vedo la sua figura sfocata da dietro il vetro della cabina.

« Ti ho portato tutto, eh! Ho cercato tra i miei vestiti qualcosa che ti mettesse il più possibile a tuo agio e fosse anche abbastanza fresco, spero vada bene! » esclama, trottando in giro per poggiare le cose.

« Grazie! » replico, mentre risciacquo i capelli.

« Ah, ci sono anche delle infradito, che vederti sempre con quegli stivalacci con sto caldo mi fa venire l'angoscia! » aggiunge poi la biondina, con una risatina fanciullesca, ora ferma sullo stipite della porta.

Non posso fare a meno di trattenere una risata a mia volta.

« Grazie per la premura, Makie. » le dico, sinceramente. Poi di nuovo aggrotto un attimo la fronte. « Ma prima sei entrata tu in bagno? » le chiedo, curiosa.

« Prima d'adesso per portarti le cose, intendi? No. » risponde candidamente.

« Ah, poteva essere qualcuno dei tuoi allora? Avrei dovuto chiudere a chiave... » borbotto, mentre finisco di risciacquarmi, chiudendo il getto, e aprendo appena la cabina per cercare l'accappatoio.

Makie mi tende prontamente un asciugamano ampio per il corpo.

« No, no, i miei hanno un bagno nella loro camera. Credo proprio fosse Taylor, oltretutto la sua camera è aperta e lui non c'è. Quindi mi sa che si è alzato. » mi dice lei, mentre avvolgo il mio corpo nel telo bianco e apro completamente la cabina.

Un brivido mi percuote il corpo. Sarà il freddo dell'impatto con l'aria uscendo dalla doccia.

« Ah. » commento soltanto, anche perchè in questo momento non potrebbero uscirmi dalla bocca altre parole.

Era qui in bagno, strano che non mi abbia fatto qualche dispetto.

« Eh, lo so, lo so, è una scocciatura. » commenta lei, sospirando.

Io la guardo interrogativa, mentre prendo anche l'altro telo e lo avvolgo attorno ai capelli.

« E' vero che quando Tay non c'è questo bagno è praticamente solo mio, ma adesso? Ci sarai anche tu, e so che sarà fastidioso dover dividere un bagno in tre. Ah, tranquilla, puoi vestirti, ho chiuso la porta a chiave. » spiega, stringendosi nelle spalle, affranta.

Io aggrotto le sopracciglia, mentre la guardo, prendendo gli slip bianchi tra le mani.

« In che senso ci sarò anch'io? » chiedo, mentre li infilo.

Lei spalanca gli occhi, stupita.

« Ma come perchè? Taylor ha detto che resterai a dormire qui per un po' di tempo! » esclama, sincera.

Io sto per perdere l'equilibrio, mentre infilo il secondo piede nello slip.

« Che cosa?! » sbotto, sgranando gli occhi.

Makena mi guarda con ancora più stupore. « Ma scusa, non lo sapevi? Taylor ne avrà parlato con te, no? » chiede, confusa.

« Ah, ma penso che si sia spiegato male. » rispondo io, velocemente. « Si è spiegato proprio malissimo. » aggiungo, con un cenno di tono minaccioso, mentre infilo di corsa il reggiseno e il vestitino che mi ha portato Makie: in maglina di cotone, bianco, a giromanica e con un ampio scollo rotondo, che scende abbastanza aderente fino alla vita, dove poi si apre in una morbida gonna appena svasata, lunga fin sopra il ginocchio.

Evidentemente non aveva nulla da darmi su altri colori. Nero, per esempio.

Mi accontento.

Infilo subito le infradito rosa, senza badare più di tanto al colore, asciugo velocemente i capelli nell'asciugamano togliendo quantomeno l'eccesso di acqua e mi dirigo verso la porta del bagno.

« Ci vediamo dopo. » le dico veloce, uscendo sul corridoio.

La porta della camera di Taylor è aperta, e la camera è vuota. Non mi soffermo a curiosare, nonostante in un'altra occasione ne avrei approfittato ben volentieri.

Piuttosto inizio a percorrere il corridoio in direzione delle scale che portano al piano terra.

Ma, ad un tratto, mi blocco.

Eccolo.

Vedo Taylor spuntare proprio dalla sommità delle scale, svoltando l'angolo.

« Sì... sì, va bene. » gli sento dire a bassa voce, al telefono. La voce è roca, gentile.

La mano sinistra nella tasca dei jeans neri, la destra regge il suo cellulare accanto all'orecchio.

« Tra cinque minuti. » continua a mormorare, avanzando lentamente, lo sguardo basso, preso dalla conversazione. La t-shirt grigia a maniche corte si muove morbida sui suoi muscoli ad ogni passo, con lo scollo rotondo su cui si apre un piccolo spacco che lascia intravedere un ulteriore lembo di pelle ambrata, a causa dei due bottoncini sbottonati. Il braccialetto dorato risplende al suo polso sinistro. I jeans sono bassi, avvolgono i suoi fianchi, e le gambe allenate.

Ad un certo punto, lui solleva lo sguardo, incontrando inevitabilmente il mio.

Trattengo improvvisamente il fiato, e mi rendo conto di essere rimasta immobile ad osservarlo per tutto il tempo, mentre mi si avvicinava.

Resta a fissarmi qualche secondo, le labbra schiuse, gli occhi su di me. Sembra anche lui fare un'attenta analisi del mio aspetto. Del mio corpo. Mi sento penetrare dai suoi occhi scuri. È come se mi stesse toccando ovunque, solo con lo sguardo. Deglutisco appena. Il suo passo rallenta, ma poi la persona al telefono chiama a gran voce il suo nome – tanto che la sento anch'io – e lui sembra riprendersi dal sovrappensiero.

« Sì, scusami. Va benissimo, a più tardi allora. » gli sento dire velocemente al telefono.

Nel mentre, mi supera senza neanche una parola.

Chiude la chiamata, piomba il silenzio, e lo sento continuare a camminare verso la sua camera.

« Ehi! » sbotto, voltandomi verso di lui. Il mio cuore sta già galoppando, probabilmente per il nervoso riguardo questa nuova storia del mio restare lì. O forse anche per altro. Per il ricordo di ieri sera, per esempio.

Lo vedo fermare il passo, chinare appena il capo, e poi voltarsi verso di me, solo di novanta gradi, restando col corpo di profilo. Come se non veda l'ora di voltarmi le spalle e andarsene.

Mi guarda, serio. Serio come non lo è mai stato.

Vedo i muscoli della mascella tesi.

Non dice nulla. Allora decido di parlare io.

« Cos'è questa storia? Pensavo di dover stare qui solo una notte, non di trasferirmi a tempo indeterminato! » esclamo, aprendo appena le braccia.

Resta qualche istante in silenzio, a riflettere. Mette il cellulare in tasca, e anche la mano libera.

« Preferisco così. Non posso rischiare che ogni volta che vai o vieni da qua qualcuno possa farti del male. Devi aiutare mia sorella. » mi dice, sollevando lo sguardo verso di me.

Dovrei sentirmi compiaciuta della cosa? Il suo tono infastidito mi provoca tutt'altro tipo di sensazione. Mi fa sentire un peso.

« Che cosa?! E io dovrei rimanere chiusa in questa casa finchè tu non decidi che posso andare via?! » chiedo, avvicinandomi di qualche passo.

Lui sembra infastidirsi. Arresto l'avanzare, sgranando gli occhi, stringendo le labbra.

Che diavolo gli prende?!

« Ovviamente no. Se avrai bisogno di uscire mia mamma provvederà ad accompagnarti dove vorrai. » risponde lui, con una scrollatina di spalle. Quindi fa per girarsi, per darmi le spalle.

« Taylor! » lo chiamo io, stringendo i pugni. « Cosa diavolo ti è venuto in mente? E cos'è questo atteggiamento? Sei hai le tue cose non prendertela con me! » sbotto io, con una nota sarcastica, ovviamente. Magari può spezzare la tensione in questa situazione.

O magari no.

Lui si volta di nuovo, prima con sguardo basso, poi lo solleva verso di me, sospirando appena.

Quegli occhi, che mi guardano così gelidi, sono come una pugnalata nello stomaco.

« Lily... preferisco che da oggi io e te non parliamo più. » mormora, con voce ferma.

Io resto a guardarlo, pietrificata.

Boom.

L'ho sentita solo io? Quest'esplosione, un'esplosione fredda e dolorosa, lancinante, all'incirca all'altezza del mio stomaco, subito dopo che Taylor ha detto...

Cos'ha detto? Cos'ha appena detto?!

Socchiudo le palpebre, mentre sento il mio respiro farsi irregolare, e più veloce.

Stringo forte le mani in due pugni, schiudendo le labbra.

« Non sei affatto simpatico! » inizio a dire, a mezza voce, a denti stretti. « Affatto! Cretino! » sbraito poi all'improvviso contro di lui, prima di voltarmi anch'io a dargli le spalle e a dirigermi al piano terra per la colazione, a grandi falcate nervose.

Quell'idiota.

Quello stupido.

Quel lunatico del cazzo.

Mentre inizio a percorrere le scale, sento uscire Makena dal bagno, e chiedergli qualcosa.

La biondina mi raggiunge poco dopo in cucina, ma non osa chiedermi nulla. Probabilmente riesco a trasmettere tutto il mio nervoso solo tramite il mio corpo, e i miei gesti veloci, isterici.

Facciamo colazione praticamente in silenzio, e io mangio a stenti un'albicocca, prima di bere qualche sorso di caffèlatte e costringere Makena a salire su per iniziare a studiare.

Che diavolo avrà avuto stamattina Taylor?

Perchè dovermi dire quelle cose?

Avrà avuto le palle girate per il lavoro. Avrà avuto i suoi cazzi nella mente, e gli son capitata io a tiro.

Se era uno scherzo, era davvero di pessimo gusto. Pessimo. Stavolta ha esagerato.


*


Seduta accanto a Makena, con le braccia conserte e le gambe accavallate, non riesco a non pensare a questa mattina. Se ripenso alla sua espressione, al modo in cui mi guardava, l'unica cosa che vorrei ora è averlo qui, vicino a me.

Per prenderlo a pugni.

Mi prudono le mani.

« Lily, ho finito l'esercizio 2 di grammatica. » mi dice lei, con tono basso.

« Fa' vedere. » rispondo di botto io, tendendo il braccio. Lei mi porge il quaderno, e controllo l'esercizio che ha fatto. Annuisco leggermente, avvicinandomi alla ragazza. « E' quasi tutto giusto. Hai sbagliato solo qui, il verbo dev'essere al participio passato, non all'imperfetto. » le spiego, velocemente.

Lei mi guarda, in silenzio. Io sollevo lo sguardo verso il suo. Negli occhi di Makena vedo quelli di Taylor. Fa un po' male, e non capisco perchè.

« Che c'è, Makie? » le mormoro, aggrottando appena la fronte.

« Non vuoi stare qui con noi, Lily? » mi chiede lei. Spontanea e cristallina, come sempre. Il suo sguardo triste mi fa sentire in colpa.

Avrà pensato che sono così nervosa per quello. Beh, anche un po' sì.

Ma è l'immagine di Taylor che mi guarda e mi parla con quell'aria scocciata, quasi nauseata, che mi fa venire i nervi a fior di pelle. Ma questo è meglio non dirlo a Makena.

« Assolutamente no, Makie. Io sto molto bene con te. » le dico, accennando un sorrisino. « Però capisci che anch'io ho una casa, e una mamma? Non posso lasciarla da sola. » le spiego, cercando di essere il più dolce possibile. Mi sto davvero impegnando, con questa ragazzina.

« Ma tua mamma ci ha detto che le andava benissimo! » esclama lei, protestando.

Resto qualche istante in silenzio, il sorriso congelato.

Anche Hannah subirà la sua punizione divina, appena tornerò a casa.

Inspiro a fondo, chinando appena lo sguardo.

« Non sarà perchè non sopporti Taylor? » chiede ancora lei, all'improvviso.

Al sentire il suo nome, subito i miei occhi guizzano sulla ragazza.

« Ovvio che no! » esclamo, velocemente. « Non sono qui per Taylor, Makie. Sono qui per te. Che lui ci sia o meno a me non fa nessuna differenza. » le rispondo, andando poi a sorriderle rassicurante. Intanto una vocina, fastidiosa e petulante, nella mia testa continua a ripetere una sola parola, cantilenando: bugiarda. « Resto qui, finchè sarà necessario. » aggiungo infine, scacciando mentalmente quella noiosa presenza mentale.

« Sul serio?! Fantastico! » esclama lei, con un sorriso di pura felicità sul suo viso.

La guardo, e sorrido apertamente anch'io. La felicità di Makena è sempre contagiosa.

« Andiamo a cenare? Propongo di ordinare una pizza. Stasera saremo solo io e te. » dice lei, alzandosi in piedi.

« Come mai? » chiedo io, aggrottando la fronte.

« Mamma e papà sono a cena da amici. Sapevano che c'eri tu e mi hanno lasciata a casa, meno male! » esclama, con un sospiro di sollievo.

« E... e Taylor? » chiedo io, mentre a mia volta mi alzo in piedi, per seguirla di sotto.

Lei si ferma, e si volta a guardarmi, stupita.

« Non te l'ha detto questa mattina? È partito. »

Ahahah.

Partito?

Ahahah.

Divertente, davvero.

Ok, non mi sento più lo stomaco.

« Partito? » ripeto, semplicemente, in un soffio.

« Eh sì. Per lavoro. » annuisce lei, con un'aria leggermente affranta.

« Per quanto tempo? » mi affretto a chiedere io. Forse troppo in fretta.

Lei si stringe nelle spalle, ritornando poi a camminare verso il piano terra.

« Chi lo sa? Tre giorni, una settimana, un mese... Di Taylor si sa quando va via, mai quando ritorna. » commenta lei, lasciandosi poi sfuggire un sospiro.

Mi gira la testa.

Mi viene da vomitare.

Se n'è andato? È andato via? E l'ultima cosa che mi ha detto è stata di non parlargli più?

Ah, difficile parlarti, Taylor. Difficile davvero, se te ne vai.

Sento montarmi la rabbia in petto, il cuore batte fortissimo, la testa pulsa.

Inizia a farsi strada nella mia mente l'idea che forse non stesse scherzando.

Cerco di pensare a qualsiasi assurdo motivo per cui lui possa aver preso una simile decisione. In realtà, me ne viene in mente solo uno, forte e prepotente. È ovvio.

Si sarà scocciato di venire in mio aiuto ieri, con quelle pazze folli. Penserà di certo che gli manca solo una palla al piede come me da salvare, o da tirare fuori dai guai.

Ma nessuno gliel'ha chiesto.

Nessuno gli ha chiesto né di salvarmi, né di portarmi su quella collina, né tanto meno di parlarmi.

Dio, se lo odio.

Devo trattenermi, davanti a Makena non posso farmi prendere dall'agitazione.

Passerà.

Continuo a ripetermi che passerà.

Tanto, che m'importa di lui? Niente. Non me ne frega niente.

Perchè sto così male? Non me ne frega niente!

« Che gusto vuoi? »

« Eh?! » sbotto sollevando improvvisamente lo sguardo verso Makena, distogliendomi dalla guerra che sta avvenendo cruenta nella mia mente.

Lei mi guarda qualche istante, aggrotta la fronte.

« Lily, ti senti bene? Stai sudando. Hai caldo? » mi chiede la ragazza, avvicinandosi con fare materno. « Non avrai la febbre? » mi chiede ancora, arricciando le labbra, preoccupata. « Poi mi dovrai dire come ti sei fatta quel brutto taglio in faccia. » aggiunge, agitando appena la cornetta nella mia direzione. Inspiro a fondo, cercando di darmi una calmata.

Sono tesa come una corda di violino.

E non capisco perchè.

Il che mi rende ancora più tesa.

È un loop continuo, un ciclo senza fine.

Ed è fastidioso, un sacco fastidioso.

« Che gusto vuoi, allora? » mi chiede subito dopo, sorvolando sul fatto che io non abbia risposto neanche a mezza domanda, ritornando a rimuginare tra me e me.

« Ehm... boh, margherita. » borbotto, agitando appena la mano a mezz'aria.

Lei annuisce, e poi si mette al telefono ad ordinare la pizza.

Il tempo della cena passa in un modo strano. Makena mi racconta di tante cose, della scuola e della pallavolo, lo sport che pratica da quand'è piccola, e io ci provo davvero, ad ascoltarla.

Ma il pensiero involontariamente torna sempre lì.

Mi sto stancando. Mi sto stancando di me stessa, e del non riuscire a controllare i miei pensieri.

« Ti va di vedere un DVD? » mi chiede Makena, mentre addenta l'ultimo spicchio di pizza.

« Quale? » le chiedo io, in realtà poco interessata.

Lei mi sorride, sorniona.

« Twilight. »

La guardo in silenzio. Sbatto le ciglia più volte, quasi disorientata.

« Makena, tu forse hai dimenticato cosa ho detto a tuo fratello la prima volta che l'ho visto. » le dico, accennando un sorrisino divertito, e inarcando un sopracciglio.

« Oh no, lo ricordo bene. » risponde lei, accennando una risata. « Però pensavo che magari ti andasse ti vederlo. Io li guardo tutti, ogni volta che Taylor parte. È un po' un modo per esorcizzare la mancanza che sento quando va via. » mi spiega, con un sorrisino. La guardo, in silenzio. Mi sembra triste. « Ho pensato che magari anche tu... volessi distrarti. » aggiunge, con una scrollatina di spalle. « E poi, Taylor con quei capelli osceni è esilarante nel primo film. » conclude, cercando di spronarmi.

Le sorrido, e annuisco appena.

« Va bene, Makie. » le dico, inspirando.

Chi lo sa, magari può servire anche a me.


*


In camera di Makena regna il buio più totale. I nostri volti sono illuminati solo dalla luce fredda dello schermo, che proietta appunto il DVD del primo film della saga di Twilight. Non l'ho mai visto, né quello né gli altri, nonostante abbia letto i libri.

Per puro sentimento di anticonformismo.

Devo dire che non mi piace in ogni caso, ma non mi fa proprio vomitare come avevo sospettato. Non rientra nel mio genere di film, ma si può fare.

E poi... Makena aveva ragione.

Appena ho visto Taylor sbucare con quei capelli non ho potuto trattenere una risata scomposta. Mi sono buttata di schiena sul letto di Makie a ridere apertamente, con una risata quasi liberatoria.

« Te l'avevo detto io che faceva ridere! » esclama lei, probabilmente divertita dalla mia stessa risata.

Dio, se solo lui non avesse deciso di non parlarmi più e io non volessi prenderlo a pugni userei queste scene per prenderlo per il culo a vita.

Già, lui mi ha detto che non mi vuole più parlare.

La risata scema da sola, e io mi rialzo a sedere per vedere il film.

Inizio a focalizzare la mia attenzione sul suo volto. Sulle sue espressioni, sui suoi sorrisi, sui suoi sguardi. Mi rendo conto che sul mio, di volto, non c'è più traccia di sorriso.

Sono agitata, mentre lo vedo recitare accanto all'attrice di Bella. Non so neanche come si chiama, non me lo ricordo. Kristen qualcosa?

Ho un formicolio allo stomaco. Non è piacevole. Non mi piace.

E se riesco a controllarlo durante la visione di Twilight, è con New Moon che già inizio a stare peggio.

Quando vedo Taylor con i capelli corti, esattamente così come l'ho conosciuto, toccare e abbracciare e guardare con quegli occhi un'altra persona.

Stringo le labbra, convulsamente, tanto da farle diventare livide.

Continuo a ripetermi che sta solo recitando. È solo un film. Eppure non riesco a tranquillizzarmi.

Quel formicolio che sentivo prima, ora mi blocca il respiro.

È qualcosa che risale dallo stomaco, fino ad arrivare al cuore. Come un filo spinato che vuole attanagliare i miei polmoni, il mio cuore.

Sento uno strano groppo in gola, gli occhi che mi bruciano.

Mi sforzo a reprimere tutto, ad apparire normale, tranquilla. Sto solo guardando un film, dannazione. Uno stupidissimo film.

Perchè mi bruciano gli occhi? C'è qualcosa nell'aria che mi da allergia, sicuramente.

Lo stomaco mi farà male per la pizza. Era troppo pesante.

È ovvio.

Allora perchè nella mia mente continuo a ripetermi che voglio che guardi con quegli occhi soltanto me?!

Non ce la faccio.

Non riesco a gestirlo.

Mi volto verso Makena, e grazie al cielo si è addormentata.

Ne approfitto, e corro nella mia camera. Appena mi chiudo la porta alle spalle, devo portare una mano a coprire la bocca, mentre inspiro a fondo, tremando.. Le mie labbra tremano anche loro.

Cammino per la stanza veloce, iraconda, come un animale in gabbia.

Non sono mai stata così. Mai.

Non ho mai sentito tutto questo malessere.

Sento gli occhi velarsi dalle lacrime.

« Smettila, smettila, smettila! » mormoro a denti stretti, buttandomi sul letto e coprendomi il viso con le mani.

Lo dico a me stessa, perchè non capisco cosa mi prende, e al suo viso che continua a comparire prepotente ogni volta che chiudo gli occhi.

Il suo viso, il suo corpo, il suo profumo. Le sue mani e le sue labbra su di me.

Mi ritrovo a desiderarle in un modo insano, e intanto continuo a ripetermi di smetterla.

Io lo odio.

Io lo odio da morire.

No?

Inspiro profondamente, sto tremando come una foglia.

Qualsiasi cosa ci sia stata, qualsiasi cosa ci siamo detti, qualsiasi cosa abbiamo potuto condividere... devo dimenticarmi di lui.

Calmati. Metti a freno tutto quello che senti.

Odio, rabbia, desiderio, calore, dolore.

Se n'è andato.

Non mi vuole parlare.

Lui... è una creatura splendente.

Devo dimenticarlo.

 

*-*-*

 

Nuovo capitolo!

La decisione improvvisa di Taylor piomba come un macigno. E forse inizia a far aprire un attimo gli occhi a Lily, anche se ancora non riesce ad identificare il turbinio di emozioni contrastanti che prova... è troppo ottusa e ostinata per riuscire ancora a comprenderli.

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto!

Ho deciso, da oggi, di aggiornare la storia a cadenza settimanale (quindi ogni Martedì). Mi sembra un modo più ordinato di pubblicare la storia.

Vi ringrazio sempre tantissimo per le recensioni che mi lasciate, ma anche per le lettrici silenziose che stanno seguendo questa storia.

Mi piace sempre sapere cosa ne pensate, e se avete critiche o suggerimenti da muovermi accomodatemi, io non aspetto altro!

Ho deciso di cambiare - di nuovo - il banner della storia perchè l'altro non mi soddisfaceva per niente. Qui trovate anche un piccolissimo spoiler dei prossimi capitoli! :P

Se siete amanti di Taylor e della coppia Jacob/Bella vi consiglio un paio di Fan Fiction che non potete perdere:

Benzina sul Fuoco di postergirl84

Rebirth Dawn di She is Strange

Vi ricordo anche il mio profilo Facebook per Efp: MoonLilith Efp

Un bacione, a presto!

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Capitolo 8
*** Capitolo VIII - Everytime I look for you ***


Capitolo VIII - Everytime I look for you

« Quindi, arrivate a questo punto, devi semplicemente sommare le due funzioni, e poi calcolarne la derivata. Adesso ti spiego come si fa. » Makena e io siamo sedute nella sua stanza, nel pomeriggio, come ormai da più di un mese a questa parte.

Ha fatto degli ottimi passi avanti nello studio, e io ho la possibilità di spiegare in modo molto più veloce, soprattutto ora che ha iniziato di nuovo ad allenarsi con la pallavolo. In realtà è già da un po' che ha ricominciato ad andare agli allenamenti, ma lo studio procede bene: si distrae di meno ed è molto più abile nel memorizzare.

Tra me e lei si è instaurata una sorta di amicizia, suppongo. Mi trovo bene con Makena, è una brava ragazza, molto matura per la sua età. Non mi fa pesare la differenza abissale che c'è tra me e lei, in qualsiasi cosa, dal modo di vestire a quello di pensare.

Di tanto in tanto mi ha esternato i suoi sentimenti verso suo fratello: la sensazione di solitudine che prova quando lui se ne va, quanto le manca.

Ho difficoltà a parlarne, anche se devo dire che il malessere provato i primi due giorni, dopo che Taylor è andato via, si è decisamente attenuato.

Un malessere inspiegabile che mi confondeva le idee.

Non mi piaceva.

Mi sentivo debole.

Ma non vederlo, sentirne parlare giusto qualche minuto da Makena o a tavola con Deborah e Dan, ha fatto in modo che la mia sofferenza iniziale andasse a placarsi, anche se questa casa... beh, questa casa sa di lui.

Le pareti, le foto, la porta della sua camera, il profumo in casa e tra gli alberi di albicocche.

Tutta questa casa sa terribilmente di Taylor.

E infatti, questo non significa che non ci stia male.

Nei momenti di solitudine lo penso continuamente. Ho sempre il suo viso davanti agli occhi. La sua voce nella mente.

E ho l'angoscia.

È un senso d'angoscia strano in realtà: penso che l'errore di sottovalutare le sue parole, le sue ultime parole, nel momento in cui me le ha rivolte abbia provocato una degenerazione colossale.

Un disgregarsi disumano di quei pochi, piccoli mattoncini che con difficoltà avevamo messo in bilico l'uno sull'altro.

Sono crollati, in modo molto rumoroso, fastidioso. Forse doloroso.

Ho un conto in sospeso con lui.

Se avessi preso seriamente quello che mi ha detto quel giorno, prima di partire, l'avrei preso a pugni subito insomma. E magari avrei chiarito la questione.

I mattoncini sarebbero ancora lì, con la paura di cadere ad ogni soffio di vento. Ma sarebbero in piedi.

Ma lui se n'è andato, lui non voleva chiarire.

Probabilmente lui era contento così, sì, avrà tirato un sospiro di sollievo quando mi ha vista andarmene senza rompergli ulteriormente le palle.

Il pensiero che probabilmente non tornerà prima che io finisca con le ripetizioni di Makena, mi ha fatta sprofondare in una sorta di accomodante senso di rassegnazione.

È finita così.

Non è mai iniziata in nessun modo, in realtà.

Mi sta bene.

Non pretendo niente.

Ad un tratto squilla il mio cellulare, che mi fa togliere velocemente lo sguardo dall'esercizio di Makie.

È mamma.

« Dimmi. » le dico semplicemente, rispondendo al telefono.

« Lily, dovresti venire. » mi dice lei.

La voce di mia mamma è strana. Non mi sembra preoccupata né allarmata, solo... stupita. Forse imbarazzata? Non riesco a decifrarla per bene, e questo mi preoccupa non poco.

« E perchè? » chiedo io, corrugando la fronte.

« Ehm... » temporeggia lei, accennando una risatina di circostanza. Odio quando fa così. Non capisco bene cosa succede. « Diciamo che hai visite. » conclude, velocemente. « Ti aspetto, a dopo! » si affretta poi ad aggiungere, prima di chiudere la chiamata.

Osservo il cellulare pochi istanti, prima di alzarmi pesantemente dalla sedia e andare verso i miei New Rock.

« Makie, per oggi finiamo qui. Devo tornare a casa, mia mamma mi vuole, e penso che prima che io torni si farà sera. » le dico, stringendomi appena nelle spalle.

Lei mi segue con lo sguardo, preoccupata.

« Lily, sei sicura di voler andare da sola? Non c'è nessuno che possa accompagnarti, e Taylor mi aveva accennato, prima di partire, che hai avuto problemi con delle sue fans... » commenta lei, impensierita. E così gliel'ha detto. Probabilmente non sarà entrato nei dettagli, ma a questo punto ne deduco che tutti qui, in questa casa, sapranno più o meno quello che è successo. Mi sento veramente una cretina.

« Ah, Taylor accenna spesso ad un mucchio di stronzate. » mormoro io, mentre lego stretti i lacci degli anfibi neri, con forse troppa foga.

« Eh? » chiede Makena, che non deve aver colto alla perfezione quello che ho detto.

« Nulla, nulla. » borbotto io, alzandomi in piedi, tirando giù la minigonna di jeans e la maglia nera con le maniche strappate, prima di prendere la borsa a tracolla dalla sedia. « Non ti preoccupare, Makie. Chi vuoi che mi si avvicini? » le chiedo, facendo dell'ironia. « Torno presto, non stare in pensiero. » le dico poi, posandole una mano sulla spalla, in un gesto di affetto e rassicurazione.

Inforco gli occhiali da sole e velocemente mi dirigo fuori dalla villa, mentre tiro su i capelli in una coda disordinata, vista la camminata sotto il sole del pomeriggio che mi aspetta.

Ma poi, sul serio, di cosa dovrei preoccuparmi? Taylor non c'è, quindi non ci sono né giornalisti né fans agguerrite dietro gli angoli delle strade.

Quando lui non c'è, qui è tutto calmo.

O piatto.

Monotono.

Noioso.

E' lui il tornado. E' lui che arriva e scombussola la vita della gente.

L'ha fatto anche con la mia.

Lui arriva, ti tramortisce col suo sorriso, ti punzecchia e ti fa ridere con le sue battute.

È un raggio di sole. Fastidioso, accecante, ma caldo e piacevole se ci si abitua.

Inspiro a fondo, scuoto appena il capo.

Basta.

La mia vita è tornata alla sua calma piatta.

Ed è proprio quello che volevo.


*


Arrivata davanti casa, aggrotto un attimo lo sguardo.

Durante il tragitto ho continuato a pensare e a fare supposizioni su chi potrebbe esserci a casa mia, ma a parte mio padre – il che mi sembrerebbe veramente molto strano – non mi è venuto in mente nessuno.

Oh beh, in realtà, dentro di me, un'assurda speranza si è accesa, come una fiammella flebile, ed è perdurata durante tutto il tempo che ho impiegato per fare da casa Lautner alla mia.

Quell'assurda speranza, spontanea e involontaria, mi fa solo innervosire.

Per quale assurdo motivo Taylor dovrebbe essere a casa mia?

Nessuno.

Assolutamente nessuno.

E se ci fosse?

E se fosse lui che mi sta aspettando?

Mentre sento i battiti del mio cuore accelerare, vado a far scattare la serratura della porta di casa, facendo fare mezzo giro alle mie chiavi.

Tengo lo sguardo basso, qualche istante.

« Eccomi, sono a ca... » inizio a dire, mentre abbasso gli occhiali da sole, ma le parole mi muoiono in gola.

Mi aspettavo, ci speravo, d'incrociare un paio di occhi caldi e penetranti color cioccolato, che vogliono scavarti nell'anima.

In realtà, il primo sguardo che vedo è azzurro. Tremendamente azzurro. Di quell'azzurro liquido e cristallino, che sembra l'acqua increspata del mare in una giornata di pieno sole.

La mia espressione allibita è palese, mentre la persona davanti a me, la persona dagli occhi azzurri e gentili, si alza in piedi dal divano e mi si avvicina, cautamente.

« … Nate. » mormoro, lasciando richiudersi la porta alle mie spalle.

Nate.

No, Nate no.

« Lily. » mormora lui, in piedi davanti a me, ondeggiando appena con le mani in tasca, in evidente disagio.

L'aspetto di Nate è sempre stato un continuo contrasto di stile e di sensazioni trasmesse.

Il suo viso è dolce, fanciullesco, reso più adulto solo da un accenno di barba, che lui lascia crescere principalmente sul mento. I suoi occhi azzurri, come ho già detto, trasmettono gentilezza e dolcezza. Sono grandi, luminosi, dal taglio incurvato lievemente verso il basso. Il che gli dona davvero l'aspetto di un cucciolo innocente.

E' alto, molto alto, dal fisico slanciato e longilineo. Ha i capelli corti in una cresta, biondini, scompigliati.

Ma appunto c'è sempre stato qualcosa che va a cozzare col suo aspetto acqua e sapone.

Probabilmente il braccio destro completamente tatuato con la rappresentazione di un polipo e di un koi, una carpa giapponese, arricchito da onde e fiori di loto. O quell'altro tatuaggio, il timone di una nave, che prende buona parte dei suoi pettorali. O saranno i dilatatori neri ad entrambi i lobi delle orecchie, o il piercing tra le due narici, che però ora mi pare di non vedere. O quello alla lingua, che non si vede mai, ma che ho avuto modo di conoscere fin troppo bene.

Accenna un sorriso, imbarazzato e dolcissimo, azzardando un paio di passi verso di me.

Questo ragazzo dall'aria così innocente è il più grande pezzo di merda che io abbia mai conosciuto.

« Cosa ci fai qui? » mormoro io, indietreggiando involontariamente di mezzo passo.

Lui nota il mio gesto, e mi guarda sgranando appena gli occhi, tristemente stupito dalla mia reazione.

No, non m'inganni. Per niente.

« Sono venuto perchè sentivo che tra me e te c'era qualcosa rimasto in sospeso. » inizia a dire lui, chinando appena lo sguardo e sospirando.

« Io non credo. » rispondo seccamente, guardandomi intorno. « Dov'è la mamma? » chiedo, con fare spicciolo.

« E' andata al supermarket qui vicino a comprare del caffè. L'aveva finito. » spiega lui, con le mani nelle tasche dei jeans. Su questi, una semplice t-shirt azzurro intenso, con delle strane stampe colorate in stile pop-art. Vari braccialetti tintinnano ai suoi polsi, le solite scarpe di tela nere sbiadite dall'usura ai piedi.

« Okay. Io devo tornare dai Lautner. Tu prendi pure un caffè con mia mamma e poi torna da dove sei venuto. » dico velocemente, scrollando le spalle e dirigendomi lesta verso la porta.

L'apro e faccio per fiondarmi nel corridoio, quando mi sento trattenere per il braccio.

Mi volto di scatto, spalancando gli occhi, quasi spaventata, a guardare Nate che mi ha bloccata.

« Lasciami. » gli intimo, nervosamente.

« Lily, ti prego. Fammi almeno spiegare. Fatti accompagnare fino a casa di questi Lautner. » mi chiede lui, accoratamente.

Lo guardo qualche istante, strattono il mio braccio per farglielo lasciare.

Chino lo sguardo, sospiro, annuisco appena per accogliere la sua richiesta.

Richiudo la porta di casa alle mie spalle, lui dietro di me.

Sento il suo profumo.

Sandalo, credo. È speziato, pungente.

Mi piaceva il suo profumo.

Ora mi da la nausea.

Restiamo in silenzio, i primi lunghi minuti. Io cammino tranquilla e sicura davanti a lui, che mi segue pur restando un passo indietro.

« Era un anno che non ci vedevamo. » mi inizia a dire lui, sottolineando un fatto ben ovvio, mentre ci immettiamo per strada.

« E quindi? » chiedo io, senza voltarmi a guardarlo. Il sole inizia a volgere al tramonto. Evito di mettere gli occhiali da sole, e sollevo gli occhi sui colori infuocati del cielo.

Quelle strisce di colore così intenso, quella luce calda e abbagliante... Mi ricordano Taylor.

Tutto in questo cielo, in questa città, in questi passi... Mi ricordano lui.

Nate è tremendamente fuori luogo in tutto questo. Tremendamente.

« Mi aspettavo un'accoglienza migliore. » ammette lui, affiancandosi ora a me. Io aumento la velocità del passo.

« Dimmi che stai scherzando. » gli ringhio contro, a denti stretti.

Lui sospira, affranto.

« Lily, ti prego. Ti prego. Mi sono fatto più di duemila chilometri per parlarti di persona, possibile che questo non ti faccia un attimo credere nelle mie buone intenzioni? » mi chiede, aprendo appena le braccia.

« No. La persona di merda che sei mi ha fatto smettere di credere nelle tue buone intenzioni già un po' di tempo fa. » commento, gelida.

« Come posso convincerti che quello che è successo con Bea è stato solo uno sbaglio? Un tremendo, terribile sbaglio. Me ne rendo conto. Ma è successo una volta. Solo una. » continua a dirmi lui, sollevando l'indice a mezz'aria.

« Non doveva succedere neanche mezza! » sbotto io, voltandomi a guardarlo qualche secondo. « Bea è sempre stata brava a fare la parte della vittima del mondo, sull'orlo del suicidio. E tu sei sempre stato bravo ad approfittartene quando ce n'era l'occasione. » aggiungo, velocemente.

Lo guardo qualche istante, quindi riprendo a camminare.

Vedo la villa dei Lautner in lontananza, e ora mi appare come un rifugio sicuro da lui, dal mio passato che oggi ha deciso di piombare a rovinarmi la giornata.

« Sono stato ingenuo. Lei mi ha fatto credere di stare davvero per suicidarsi. Sono solo andato da lei per consolarla. La mia intenzione era solo quella. » continua ad insistere lui, tenendo il passo svelto che è diventato il mio.

I miei occhi sono puntati sul cancelletto della villa.

Sembra tremendamente lontano.

« Le tue intenzioni sono sempre così nobili, vero Nate?! Anche portartela a letto, era solo una nobile intenzione, giusto? » sbotto io, mentre sento gli occhi pizzicare.

No, no. Non adesso, non con lui.

« Cosa volevi, consolarla anche in quel caso?! Sei venuto fin qui a dirmi questo? » continuo a chiedergli, ormai procedendo a grandi falcate verso il cancello. Il tramonto di Grand Rapids ci illumina di riflessi dorati. « Perchè proprio ora, poi? Cos'è scattato? » chiedo ancora, lanciandogli un'occhiata.

« Ti ho vista. Sulla rivista. » sbotta lui, con un tono improvvisamente seccato.

Mi blocco.

« Cosa? » chiedo in un soffio, sgranando gli occhi, volgendoli verso di lui.

« Ti ho vista, mia cugina Susy leggeva questa rivista e ti ha riconosciuta lei per prima. Il tuo colore di capelli e la tua borsa sono inconfondibili. » commenta, accennando un sorrisino.

Io stringo le labbra, gli occhi spalancati, quindi di nuovo mi volto per raggiungere il cancello, che ormai è a pochi passi.

« E quindi? » chiedo nervosamente, tremante.

« Quindi io pensavo che tra noi fosse tutto finito. Poi ti ho vista tra le braccia di quel tizio... quel Taylor. E non ho resistito, sono dovuto partire, per parlarti, per vederti. » mi dice, cristallino. Arrivo ormai di fronte al portone. « Quello scimmione. » borbotta subito dopo, a denti stretti.

Io mi sento improvvisamente avvampare dalla rabbia.

E' una sensazione assurda, travolgente, delirante.

« EHI! »

Mi volto di scatto verso di lui, avvicinandomi di quel paio di passi che ci separano, e ponendogli contro l'indice, minacciosamente.

« Non – ti – permettere! » gli urlo contro, mentre sento il nervoso farmi pulsare le tempie. « Non devi permetterti a nominare Taylor in questi toni! Lui non c'entra niente con noi, chiaro?! Né con me né tantomeno con te! Quindi cuciti quella fogna e non nominarlo più! » esclamo ancora, paonazza per il nervoso. Intanto il sole va ad illuminare di riflessi ardenti un Taxi che si ferma lì vicino.

Non ci bado, voglio solo entrare in casa.

Non so neanche perchè ho reagito così.

Dio mio, cosa m'importa di quello che Nate dice a Taylor?

A me non importa nulla, di entrambi.

No?

Mi volto verso il cancello, e faccio per tendere la mano al citofono, quando di nuovo mi sento bloccare per il braccio.

« Nate, lascia-- » inizio a sbraitare, mentre mi costringe a voltarmi verso di lui.

Ma poi le parole restano lì, congelate in gola.

Mentre mi fa voltare tirandomi il braccio, poggia l'altra mano sulla mia nuca, tirando il mio viso verso di sé.

In un battito di ciglia, ritrovo le sue labbra sulle mie.

Trattengo il fiato, per qualche istante il mio cuore sembra non voler battere.

Le sue labbra vanno ad accarezzare le mie, che istintivamente all'inizio, per un paio di secondi, ricambiano il bacio. L'ho baciato tante di quelle volte.

È un gesto automatico. Un'alienazione.

Poi però spalanco gli occhi, spingendolo di botto per allontanarlo.

Sento una strana sensazione alla bocca dello stomaco. Non è la stessa che ho sentito con Taylor, quando mi ha morso.

Quella era ardente, eccitante. Mi faceva tremare il respiro, me ne faceva desiderare di più.

Questa è una sensazione di tristezza. Di amarezza. Non voglio.

Sollevo lo sguardo verso di lui, completamente perso.

Lui mi guarda, serio dapprima, poi sorride appena, incoraggiante.

« L'hai detto, tu non c'entri niente con questa gente. Lily, torna a San Francisco con me. » mi dice a mezza voce, e il suo viso è ancora troppo vicino al mio.

Io sgrano gli occhi, schiudendo le labbra, non sapevo cosa dire.

Il sole del tramonto è più infuocato che mai.

« Scusate. » sento improvvisamente una voce interrompere quel momento, di fianco a me.

Una voce sin troppo familiare.

Una parte di me non vorrebbe voltarsi.

Sento il mio cuore sprofondare, il respiro irregolare.

Mi volto, veloce, ed è inevitabile.

Boom.

Un'altra esplosione.

Stavolta s'è sentita, vero?

Era troppo, troppo devastante e dolorosa per non sentirla.

I miei occhi verdi incontrano quelli color cioccolato dell'unica persona che avrei voluto vedere oggi, e dell'ultima che avrebbe dovuto vedere tutto questo adesso.

Taylor è fermo davanti a noi, la mano sinistra nella tasca dei jeans, l'altra che regge un borsone appoggiato per le maniglie di stoffa sulla spalla. La maglia nera, aderente, ad evidenziare le sue forme perfette. Il bracciale dorato che brilla al sole.

Il suo sguardo indecifrabile, coi muscoli della mascella tesi, mi sta trafiggendo l'anima.

Voglio sparire.

Adesso.

Puf.

Non guardarmi così, ti prego.

« Perdonate l'interruzione, » inizia a dire lui, lentamente, scostando lo sguardo da entrambi, e tirando fuori dalla tasca le chiavi del cancello. « Vorrei entrare in casa mia. »

Resto in silenzio, il mio sguardo è basso. Le mie labbra sono livide, così come le mie mani strette in due pugni. Il volto è paonazzo.

« Taylor Lautner, giusto? » dice improvvisamente Nate, sorridendo gioviale e affabile, tendendoli la mano. « E' un piacere conoscerti. »

Sollevo lo sguardo, quando vedo Taylor iniziare ad incedere verso il cancello.

Lo vedo rivolgere solo uno sguardo a Nate, mentre gli passa davanti ignorando completamente la mano.

Sgrano appena gli occhi.

Non avevo mai visto quell'espressione sul viso di Taylor.

Lo guarda assottigliando le palpebre, i muscoli del volto contratti. E' gelido.

Non c'è un solo accenno di sorriso, né di cortesia.

Avanza sorpassandolo in silenzio, avvicinandosi al cancelletto, mentre Nate solleva le mani a mezz'aria, stringendosi nelle spalle.

Quindi si rivolge a me.

« Lily... »

« Vattene. » mormoro io, senza guardarlo.

« Va bene. Sappi che nei primi giorni starò a casa tua, visto che tu non ci sei Hannah mi ha dato il permesso di dormire da te finchè non trovo una sistemazione. »

Sento la serratura del cancelletto scattare, in modo fin troppo violento. Mi fa trasalire.

« Vattene Nate, per favore! » esclamo, a voce più alta, palesemente tremante, senza guardarlo.

Lui annuisce, mi accarezza veloce il capo e poi mi volta le spalle, allontanandosi.

Resto in silenzio.

Sollevo lo sguardo, verso la schiena di Taylor.

Mi mordo il labbro inferiore, inspiro a fondo cercando di rilassarmi.

Lui avanza verso il sentiero, quello nascosto, lasciando il cancello aperto per me.

Velocemente lo attraverso e me lo chiudo alle spalle, iniziando a seguirlo.

Non dice nulla. Non mi ha detto una parola.

Il mio torace si alza e si abbassa, veloce, ansante.

« Taylor. » improvviso il suo nome fuoriesce dalle mie labbra, senza neanche accorgermene. La mia voce trema, terribilmente.

Lui si ferma, ma non si volta.

Tra i vorticosi pensieri e le cose da dire che girano confusi nella mia mente, decido di optare, come al solito, per la più stupida.

Tipico di me, d'altronde.

« Quelle cavolate che mi hai detto prima di andartene, sappi che non sono state per nulla divertenti. Sto pensando alla punizione divina che ti dovrò infliggere da quando sei andato via. » gli dico, cercando di darmi un tono noncurante.

Sono tesa.

Sono tesissima.

Sento che potrei spezzarmi.

Resta immobile qualche istante, poi riprende a camminare.

Sgrano gli occhi, e lo seguo.

« Ehi! » sbotto, avvicinandomi. « Sto parlando con te! » esclamo, con fare minaccioso.

« Lily. » incalza lui, con voce ferma, voltandosi improvvisamente a guardarmi. « Te lo leggo in faccia che lo sai bene anche tu. Non stavo scherzando. » mi dice, a mezza voce.

Mi blocco. Lo guardo.

Chi è questa persona che ho davanti? Non è lo stesso ragazzo del pomeriggio sotto l'albero di albicocco. Non è lo stesso che ha voluto vedere le luci di Grand Rapids con me.

« Te l'ho già detto, io e te non abbiamo niente a che fare. Niente di cui parlare. Soprattutto se capitasse di incontrarci fuori casa... Io farò finta di non conoscerti. Ti prego di fare lo stesso anche tu. » mi dice, senza che un minimo accenno della sua voce possa farmi capire che scherza, o che non è convinto di quello che dice.

D'altronde sei un attore, giusto?

Puoi celare i tuoi sentimenti come ti pare e piace.

Resto in silenzio, chinando lo sguardo.

D'istinto vorrei prenderlo a calci.

Lo odio.

Lo odio lo odio lo odio.

« E poi a quanto vedo hai di meglio da fare ora, dovresti focalizzarti su quello. » mormora a denti stretti, voltandomi di nuovo le spalle e riprendendo a camminare verso l'entrata di casa.

Sgrano gli occhi, e li riporto velocemente su di lui.

« Che cosa?! » esclamo all'improvviso, aggrottando la fronte e sbrigandomi a seguirlo. Non mi da retta, continua a camminare.

« Tay-- »

« Taylor! » l'esclamazione di Makena che esce e corre tra le braccia del fratello blocca il mio gridare il suo nome.

Resto indietro, lo vedo abbracciare Makena, di schiena.

Sì, rimango immobile a guardarlo di schiena.

E' così che è sempre stato, no?

E' così che dev'essere, no?

Oh, il sole è andato via.

S'è fatta sera.

 

*-*-*

Saaaaalve!

Eccomi qui col nuovo capitolo, in ritardissimo sulla tabella di marcia.

Vi avevo detto che avrei postato il martedì, in realtà preferisco farlo il mercoledì perchè il martedì posta la sua storia la mia cara amica postergirl84 (Benzina sul Fuoco), che vi consiglio sempre di leggere.

Ho avuto un sacco da fare oggi e mi sono ritrovata a postare a quest'ora, perdonatemi!

In questo capitolo conosciamo Nate, un nuovo personaggio che vedremo spesso nella storia.

Lui è un tipo un po' particolare... Che conosceremo meglio in futuro!

Fatemi sapere cosa ne pensate... E ci rivediamo mercoledì prossimo!

Un bacione!

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Capitolo 9
*** Capitolo IX - Punk Rock Princess ***


Capitolo IX - Punk Rock Princess

Ho fatto un sogno.

Un sogno fastidioso e tormentoso.

Vedo il volto di Taylor in mezzo ad una nebbia densa, violacea, fredda.

L'umidità della nebbia mi entra in gola, appena schiudo le labbra per chiamarlo.

La mia pelle è imperlata di bruma gelida.

La mia voce non viene fuori, la condensa pizzica le mie corde vocali e io riesco solo a tossire, infastidita.

Tossisco e tossisco.

Sento il viso che mi diventa rosso per lo sforzo, non riesco a respirare.

Lui mi guarda, con uno sguardo triste.

Uno sguardo che sembra urlare “Non posso”. Sembra proprio che mi stia dicendo che non può.

Non che non vuole, non che non ci riesce, ma che non può.

E io non capisco a cosa possa mai riferirsi. Ci provo ancora, a parlarci.

Una, due, tre volte.

Ma quella nebbia con le sue particelle di vapore acqueo orticanti e pungenti mi impedisce totalmente di parlare, di emettere qualsiasi tipo di suono.

Ho i polmoni pieni di questa roba schifosa.

In pochi istanti, velocemente, le mie palpebre infastidite si chiudono sugli occhi velati da lacrime d'impotenza.

E quando li riapro, pochi istanti dopo, mentre la tosse pare calmarsi, al posto di Taylor vedo un'altra figura.

Ha i capelli biondini, gli occhi azzurri, liquidi, brillanti.

Uno sguardo dolce, leggermente virato all'ingiù.

Improvvisamente la nebbia si dissolve, al suo posto scorgo un cielo azzurro che va tingendosi dei colori rosati e dorati del tramonto di Grand Rapids. O è quello di San Francisco?

Sento montarmi la rabbia in petto.

Nate mi sorride amorevolmente, ma io conosco quel sorriso.

È lo stesso sorriso che mi rivolgeva il giorno in cui mi ha rivelato di avermi tradita.

Dov'è Taylor?

Dov'è andato?

Cosa ne hai fatto?

« VATTENE! » tuono io, improvvisamente, ricolma di rabbia velenosa.

E di ansia. Di paura.

Mi guardo intorno, e Taylor non c'è.

Perchè non sono riuscita a parlargli?

Perchè sono riuscita a gridare, urlare con tutta me stessa e con tutta la mia rabbia verso Nate, ma non ce l'ho fatta a dire mezza parola a Taylor?

Nate mi si avvicina sempre di più, tendendomi le braccia, per stringermi a sé.

L'ultima cosa che faccio è chiudere gli occhi, stretti, e urlare quel nome, quel nome che ormai sembra essere inciso nella mia mente, ma che dovrei solo dimenticare con tutta me stessa.


Inciso.


E' la parola giusta.

È come se un taglierino affilato avesse scritto quel nome nella mia mente, dolorosamente, affondando la lama nella mia carne e nella mia anima.

E ora non va più via.

È inciso a fondo.

Non riesco a togliermelo dalla mente, non lo posso cancellare, non posso non pensarci.

L'incisione non si rimarginerà. E se lo farà, resterà la cicatrice.

I miei occhi verdi fissano il soffitto della stanza in cui dormo da ormai un bel po' di giorni. Ho perso il conto. Mentre cerco il coraggio di alzarmi, dopo un sogno del genere, passo la mano sul viso continuando a ripetermi che io sono qui per Makena. Solo per Makena. Il resto non mi interessa.

Mi alzo lentamente, guardandomi un attimo allo specchio per cercare di mettere in ordine i capelli, prima di dirigermi verso il bagno e lavarmi.

Da quand'è tornato, non mi ha davvero parlato più.

Ogni sguardo fugace che per un motivo o per un altro proprio non riesce ad evitare o a controllare mi schiaccia come un macigno.

In questi giorni mi sembra di aver dimenticato cosa significa respirare umanamente.

È come se il mio cuore fosse avvolto da un sacchetto di plastica, chiuso ermeticamente, e man mano l'ossigeno va a consumarsi. Ad ogni respiro. Lento ed inesorabile. La plastica si gonfia d'ossigeno, poi appassisce, sempre più flebilmente.

Quella che era diventata quasi una bella sensazione, stare in questa casa, ora mi sembra una tortura, una prigione.

Non è la casa. Non è il mio letto. Non è Makena.

È dover distogliere lo sguardo quando gli passo di fianco, per non rischiare che quella busta che avvolge il mio cuore vada a stringersi, soffocandolo.

È dover sentire il suo profumo, quel diavolo di meraviglioso profumo, rubandolo fino all'ultima, piccola scia, come una ladra, quando mi passa accanto.

È vedere esplodere il suo sorriso, a tavola, ma che non è mai rivolto a me.

Vorrei che quel sorriso fosse mio.

Mi riscopro egoista, infantile, capricciosa.

Guardami.

Sorridimi.

Parlami.

Urla rabbiose, nervose, deliranti.

Silenziose.

Interne.

Niente di tutto questo.

Io e Taylor non parliamo più.

Non scherziamo più.

Makena l'ha notato, lui non entra nella sua stanza quando ci sono io.

Quando siamo tutti insieme a pranzo o a cena sento lo sguardo della ragazza su di me, studia il nuovo non-rapporto tra me e Taylor.

Oltre al divertentissimo non-rapporto poi, quello che m'innervosisce più di tutto in questi giorni è sicuramente la fastidiosa e petulante presenza di Nate.

Che miscelata al nervoso e al dolore provocato dalle imminenti mestruazioni, crea un cocktail altamente pericoloso. Basta una scintilla, e tutto esplode. Sudo, ho sbalzi d'umore incredibili, oggi ho un mal di testa allucinante.

È per questo che quando sento, durante la cena, che Taylor domattina sul presto partirà di nuovo, per il Comicon di San Diego, mi sento quasi sollevata.

Sono confusa, la mia mente è una matassa aggrovigliata, di pensieri che sono fili di lana colorati. Un ammasso allucinante, che io provo di tanto in tanto a sbrogliare. Ma se cerco di liberare un filo, dall'altra parte la matassa si comprime ancora di più, e tutto diventa più stretto, più confuso, e mi fa male la pancia, e la testa, e mi...

« Lily? »

Sussulto.

Makena è in piedi, china su di me, coi capelli biondi che scendono morbidi oltre le spalle, gli occhi cioccolato sgranati a fissarmi, lievemente preoccupati parrebbe.

« Sì? » chiedo io, a bassa voce.

« Hai finito la cena? Hai fissato il tuo piatto tutto il tempo... » borbotta lei, la fronte corrugata.

« Ah, sì sì. » mormoro, allontanando il piatto, mentre mi alzo. Il mio sguardo si solleva, e improvvisamente mi accorgo della presenza di Taylor, poggiato col bacino contro il bancone della cucina a mangiare una pesca, le gambe incrociate e il braccio sinistro piegato sul torace, il destro a portare il frutto alle labbra. Istintivamente lui nota il mio sguardo, e i suoi occhi guizzano verso di me. Trasalisco, sgranando appena i miei e scostandoli velocemente.

È così. È sempre così.

È un continuo guardarci, trattenere il fiato, costringerci a distogliere lo sguardo.

Dio, è stressante.

« Non ho più fame, Makie. Vado a letto. » le dico, accennando un sorrisino, e quasi non finisco la frase prima di girarmi verso la porta della cucina.

« Lily, aspetta! Non ti andrebbe di vedere un film con noi? » mi chiede Makena, in uno slancio di entusiasmo.

Mi volto a guardarla, e mi pare di scorgere un impercettibile movimento del capino, mentre mi guarda a labbra strette. Cosa sta cercando di fare?

Che si sia accorta che c'è qualcosa che non va è ovvio.

Se ne saranno accorti tutti.

Tra me e lui era un punzecchiarsi continuo, e ora a stenti ci guardiamo.

Sta cercando forse di riavvicinarci? Di fare qualcosa per risolvere la situazione?

La guardo, guardo il suo visino in cui rivedo gli occhi di Taylor.

Almeno i suoi occhi posso guardarli senza dover fuggire, come se fosse proibito.

Sospiro, scrollando le spalle, quindi mi trascino verso il divano.

Non so con quale coraggio Makena abbia voglia di stare con due soggetti che si lanciano saette di tensione ogni momento.

« Cosa vediamo? » chiedo, andando a sedermi sul divano, accanto al bracciolo.

« Che ne pensate di Kill Bill? » chiede Makie, voltandosi prima verso di me e poi verso Taylor, che anche lui sembra trascinarsi controvoglia verso di noi.

« Bello! » esclamiamo all'improvviso in coro, nello stesso istante, io e Taylor.

Inevitabilmente i nostri sguardi s'incontrano un attimo, prima che ognuno di noi vada a cercare disperatamente una qualsiasi minima distrazione, che possa attirare tutto il nostro interesse.

Basta, Lily.

Adesso non lo guardi più.

Altrimenti stasera su sto divano ci rimani secca.

Makena sorride beffarda, con un'espressione troppo eloquente per i miei gusti, prima di andare a inserire il DVD nel lettore della grande TV fissa al muro, a pochi passi dal divano bianco.

Io resto rintanata nell'angolino vicino al bracciolo, e così sembra avere intenzione di fare anche Taylor dalla parte opposta, visto che Makena va a sedersi tra di noi comodamente, dopo aver spento le luci del salotto e aver riempito una coppa di popcorn.

Dan e Deborah sono già saliti su a dormire.

Restiamo in silenzio mentre la famosa colonna sonora di Kill Bill riempie la stanza, e la TV illumina i nostri volti immersi nella sua contemplazione.

Con questo schermo così grande, la casa buia e il silenzio totale al di fuori del film, praticamente mi dimentico di essere in compagnia, in sua compagnia, e inizio lentamente a rilassarmi.

Sprofondo nel divano tanto che ormai sembro una macchia nera – dovuta al vestito che indosso – spiaccicata sull'angolo, una macchiolina fastidiosa e ostinata.

Il film va avanti tranquillo, mentre Makie di tanto in tanto si lancia insieme a Taylor in qualche commento su questa o quella scena, o sulla recitazione dei protagonisti.

Io me ne resto buona in silenzio, anche perchè sono completamente all'oscuro delle tecniche recitative che sembrano conoscere i due, non saprei cosa dire o come intervenire.

Ad un certo punto però i commenti di Makena cessano lentamente. Mi volto a guardarla, e mi accorgo che è sprofondata in un placido sonnellino sul divano.

Questa ragazza non regge una serata film, non me la immagino in una discoteca.

Sospiro, cautamente, e senza neanche guardare se Taylor sia sveglio o meno mi alzo per allontanarmi verso la cucina e il frigo, alla ricerca di qualcosina da buttar giù nello stomaco prima di defilarmi e andare a dormire.

Con i piedi scalzi cammino quatta quatta verso il frigorifero, cercando di non fare eccessivamente rumore col rischio di risvegliare la biondina ed essere costretta a rimanere seduta sul divano fino alla fine del film, nonostante ammetto che mi stesse anche piacendo.

Ma il pericolo di venire a stretto contatto con Taylor è fin troppo alto, e al solo pensiero io mi innervosisco, quindi è il caso che mi eclissi.

Afferro una pesca da dentro una coppa colorata in frigo, lanciandola leggermente in aria un paio di volte. Quindi lo chiudo e l'avvicino alle labbra, per addentarla, mentre mi volto per potermi allontanare.

Ma un sussulto improvviso mi scuote.

La pesca cade a terra, a causa dell'eccessivo tremore delle mie mani.

Taylor è poggiato contro il bancone, come al suo solito quando passa dalla cucina per mangiare qualcosa.

Ma questa volta non addenta nulla.

È fermo, le braccia incrociate al petto. E mi guarda.

Anch'io lo guardo.

Con gli occhi fatti enormi dallo stupore e la paura, le labbra schiuse, il cuore che galoppa.

La t-shirt nera è aderente sui suoi pantaloni neri, da tuta, che usa per dormire. Sono a vita bassa, e io mi ritrovo ad osservare come scendono a posarsi sui suoi muscoli color caramello, esattamente come il cotone della maglia mentre va tendendosi sui pettorali e sui bicipiti.

Ritorno con lo sguardo su di lui, restando in silenzio.

« Te ne stavi andando? » mi chiede, schiudendo appena le labbra per parlare. Quelle labbra carnose che non troppo tempo fa hanno avuto il coraggio di suggellare un lembo della mia pelle, bramose, prima di ritrarsi e diventarmi proibite.

« Che t'importa? » sibilo io, socchiudendo le palpebre, infastidita.

Sì, sono molto infastidita.

Perchè mi rivolge la parola in questo momento, per chiedermi una cosa così stupida.

Perchè mi guarda e mi emoziono.

Perchè vorrei fuggire da qui eppure i miei piedi non riescono a staccarsi da questa dannata mattonella.

« M'importa perchè aspetto che ti levi dal frigo, anch'io ho fame. » risponde, biascicando le parole a bassa voce, distogliendo poi lo sguardo altrove.

Io sgrano di più gli occhi, corrugando le sopracciglia, amareggiata e stupita.

« Dobbiamo parlare. » incalzo allora io « E visto che sei qui di tua spontanea volontà, mi sembra il momento ideale per... »

« Ho capito, me ne vado. Buona notte. » risponde subito lui, sollevando il sedere dal bancone e voltandomi le spalle per andare via.

« Taylor, asp-- » inizio a dire io, compiendo velocemente, tremante, due passi verso di lui.

Col mio già instabile equilibrio vado a mettere i piedi proprio sulla pesca che mi è caduta poco prima, perdo il controllo dei piedi che cerco di controllare all'inizio, ma che contribuisco solo a intrecciare ancora di più. Trattengo il fiato con un sussulto rumoroso, andando a cadere in avanti.

Chiudo gli occhi, e subito dopo sento un brutto tonfo a terra.

Ma non è il mio corpo.

Apro gli occhi, e realizzo che Taylor si è voltato nell'ultimo momento in cui gli stavo arrivando addosso, e pensando ad afferrarmi per non farmi cadere non ha controllato neanche i suoi, di piedi, capitolando a terra.

Lo guardo, in silenzio, mentre lui digrigna i denti infastidito dalla caduta, portando la mano destra a massaggiare la testa... e io non faccio che diventare sempre più terribilmente paonazza.

Quando anche lui si rende conto della posizione in cui ci troviamo spalanca gli occhi, che vanno lesti a cercare i miei.

Resto ferma, a cavalcioni su di lui, le mani poggiate sul suo petto. Le gambe aperte sui suoi fianchi.

Lui fa per alzarsi a sedere, ma resta mezzo sollevato, impuntandosi sui gomiti.

Ho il corpo in fiamme.

Ho il cuore che sta esplodendo.

Mi mordicchio nervosamente il labbro inferiore, mentre il mio torace si alza e si abbassa, veloce.

Il livello di calore che sta raggiungendo la mia pelle è così alto che mi sembra di avvertire come milioni di minuscole punture di spillo nella zona delle guance.

Il suo sguardo, da attonito che era all'inizio, sembra diventare assorto, con una nota di sofferenza, mentre mi guarda.

Lo interpreto come un'esternazione di disagio, quindi abbasso gli occhi e faccio per scostarmi da lui.

Ma è la presa salda e improvvisa e terribilmente calda della sua mano sul mio braccio che mi impedisce di allontanarmi. Sgrano gli occhi, torno a guardarlo.

Il fiato è corto, il cuore mi muore in gola.

Guardo alla mia destra, verso il salotto, ma la penisola della cucina oscura completamente le nostre figure. Dovrebbero fare il giro per avvicinarsi al frigo, per vederci.

Intanto la sua mano sale, lungo il mio braccio, verso il collo.

Dio, fa che quest'attimo duri il più possibile.

Cosa sto pensando?

Cosa diavolo sto pensando?!

« Tornerai a San Francisco? » mormora lui, all'improvviso, con una voce flebile, discreta, roca.

Mentre la sua mano va a sfiorarmi il viso, prima di intrecciare una ciocca di capelli rossi tra le dita, e portarla dietro l'orecchio, lentamente.

« No. » mormoro piano, guardandolo. Stranamente la mia voce è ferma.

Non sono mai stata così poco loquace.

E io non sono già una che parla tanto, di certo.

Resta in silenzio, a giocare qualche istante coi miei capelli, prima che la mano torni a sollevarsi, e poggiarsi sulla mia nuca.

Sento una pressione leggera, che m'invoglia ad avvicinarmi a lui.

« Ti piace quel tipo? » mi chiede ancora, mentre io osservo un paio di labbra invitanti e carnose che si fanno sempre più vicine, lente.

Scuoto semplicemente il capo, chinando poi lo sguardo, in segno di risposta negativa.

Ovviamente lui non sa chi sia Nate per me.

Non ne ha idea.

Ed effettivamente non gli ho detto una balla, Nate non mi piace.

Ma l'ho amato con tutta me stessa, fino a non troppo tempo fa.

Le mie mani si aprono sui suoi pettorali, accarezzandoli appena.

Quando lui è ormai vicinissimo, queste vanno a stringere lievi due lembi di stoffa nera.

Intanto si mette completamente a sedere, e io indietreggio appena per permettergli di star seduto comodamente, mentre l'altro braccio con cui faceva perno a terra si solleva. Dopo poco sento il tocco della sua mano sulla mia coscia, scoperta a causa del vestito che in quella posizione è andato inevitabilmente a sollevarsi.

Sento i suoi polpastrelli affondare appena nella mia pelle, mentre lenti ne percorrono la lunghezza, infiltrandosi al di sotto della stoffa in cotone nero e risalendo, puntando ai fianchi.

Non respiro più.

Non mi ricordo cosa significa respirare.

Morirò qui, adesso, di apnea.

O di troppo batticuore.

Perchè le sue dita mi sembrano roventi, e il mio cuore reagisce impazzendo ad ogni tocco, che sembra procurarmi come tante piccole scariche elettriche, mentre lo guardo e mi perdo drogata da quegli occhi.

Schiudo le labbra, in un gesto naturale e involontario, nonostante lui nel momento in cui è più vicino vada a deviare il suo percorso, chinando appena lateralmente il capo e sfiorandomi la pelle con la punta del naso.

Quando questo arriva a toccarmi i capelli, vicino al collo, lui ispira a fondo, e io sento i suoi polmoni gonfiarsi del profumo della mia pelle e dei miei ciuffi color fragola, e le sue ciglia sfiorarmi la pelle come la carezza di ali di una farfalla.

« Ti prego Lily, allontanati. » mormora in un soffio, quasi strozzato, e il suo fiato è caldo e piacevole sul mio collo, come se avesse anche paura di pronunciare quelle parole, come se gli costassero un sacrificio immane.

Come se io potessi allontanarmi.

Non voglio.

Non posso.

Mi tiene stretta, non posso muovermi.

Quelle parole mi colpiscono come una saetta.

Mi colpiscono e mi confondono perchè quel tono di voce, quella che è una richiesta più che un ordine, mi fanno sobbalzare il cuore, già di per sé agitato vista la vicinanza dei nostri corpi.

Il suo sguardo sembrava quello di un cucciolo. Per un attimo, mentre lo guardavo, la sua espressione sofferente mi è sembrata solo terribilmente indifesa. Come quella di un ragazzino spaesato e confuso da una situazione del genere.

Spalanco appena gli occhi, sollevando la destra a poggiarla sul suo viso, reso ispido da un filo di barba incolta.

È la prima volta che gli tocco il volto.

La sua pelle è più morbida di quanto pensassi, a parte la barba.

« Taylor, io... » inizio a dire, in un soffio tremante, cercando di ritrovare il suo viso di fronte al mio.

Lui si volta verso di me, sgranando appena gli occhi, come se avesse paura di sentire quello che ho da dirgli. Come se avesse paura che la situazione possa sfuggirgli di mano.

« Ragazzi? Siete qui? Va tutto bene? Ho sentito un tonfo... » la voce di Makena va a spezzare il silenzio nella stanza, e la mia frase, con aria strascicata e arrochita dal sonno.

Con un sobbalzo improvviso entrambi ci allontaniamo l'uno dall'altro, velocemente, guardandoci stralunati, come se fino ad un attimo prima fossimo drogati.

Mi sento il viso bruciare.

Sento che sto per evaporare.

Taylor si alza in piedi, schiarendosi prima la voce e poi andando a sospirare.

« Ah, Makie, ti abbiamo svegliata? Scusaci, ci era caduta una pesca sotto il mobile e... » inizia a dire lui, farfugliando nel modo più convincente possibile – e grazie al cielo gli riesce anche bene – la prima cosa che gli viene in mente.

Quindi io afferro la pesca, la pesca galeotta a terra, andando a rialzarmi lentamente.

« Ah, eccola, l'ho trovata. Scusa se ti ho rotto le scatole per cercarla. » aggiungo io, ma in modo abbastanza macchinoso e nervoso. Mi volto immediatamente a raggiungere il lavandino e lavarla, per impedire a Makena di guardarmi negli occhi, con una probabilità certa di comprendere il mio stato d'animo attuale.

La ragazzina va a posarsi sulla penisola, la stessa penisola che per qualche istante ci ha celati e isolati dal mondo.

Mentre lavo la pesca, scuoto impercettibilmente il capo.

Cos'era quello?

Cos'era quello sguardo?

Cos'erano quelle parole?

Perchè mi ha toccata?

Perchè mi ha detto delle cose del genere, perchè mi ha fatto quelle domande?

Si diverte a prendermi in giro?

Forse si diverte davvero a mettermi in difficoltà?!

Le mie mani continuano a strofinare velocemente la buccia liscia della pesca, che ormai è perfettamente lavata.

Ma lo scorrere dell'acqua sulle mie mani se non altro sembra calmare i bollori provocati dal tocco di Taylor.

Dio, lo odio.

Si diverte.

Ci prova un malsano divertimento a farmi stare così male.

« Tay, a che ora è la partenza domani? » sento chiedergli Makie. Lui è ritornato a posarsi sul bancone vicino alla cucina.

« Presto, verso le otto devo essere già per strada verso l'aeroporto. » risponde lui, con voce sommessa.

« Oh, allora è il caso che ci salutiamo ora? » chiede lei, con una palese incrinazione triste nella voce.

Lo sento sorridere, e trattenere poi una risatina.

« Ovviamente no, verrò a disturbarti nel sonno! » esclama lui, allegramente.

Io stringo le labbra, livide.

Domani se ne va di nuovo.

Ovviamente non verrà a svegliare me per salutarmi, come invece farà con sua sorella.

Sento gli occhi pizzicare, infastiditi, e un groppo in gola.

Cazzo, no.

Che rabbia.

« Beh, è ora che io vada a dormire. Buona notte. » dice lui, in un modo un po' generico, sia verso di me che verso sua sorella, scostandosi dal bancone.

Non ho intenzione di aspettare che lui torni nella sua camera, per salire nella mia.

Non ho intenzione di guardargli la schiena e vederlo allontanarsi di nuovo.

E non ho intenzione di restare qui alla mercè della curiosità di Makena.

Voglio stare da sola.

Chiudo con uno scatto furente il lavandino, scrollo l'acqua in eccesso dalla pesca, e velocemente mi volto, accennando un “'Notte” e passo davanti ad entrambi, con un passo così svelto che sfiora la corsa, diretta in camera mia.

Passo accanto a Taylor, sento il suo profumo.

O le mie narici e la mia mente sono rimaste impregnate di lui sin da prima?

So solo che fa male.

Questi sbalzi umorali, fanno male.

Lui viene, va via. Mi tratta male, mi dice che non vuole parlarmi, mi guarda con uno sguardo gelido.

Poi mi accarezza, e i suoi occhi sembrano quelli indifesi di un bambino, e mi prega di allontanarmi da lui con una voce così terribilmente dolce che...

« Basta! » grugno a me stessa a denti stretti, chiudendomi la porta della mia camera alle mie spalle.

Cerco di bloccare quel flusso incessante di pensieri.

Non posso continuare così.

Non posso.


*


Taylor è ovviamente partito senza salutarmi.

Io non l'ho neanche visto.

È sgattaiolato via in silenzio, passando proprio davanti alla mia porta, proprio ad un'ora in cui, dopo una notte insonne, io devo essere piombata in un sonno infastidito.

Mi sono imposta di non andare a cercare nulla su di lui su internet, anche se la voglia inizia a farsi così forte da essere incontrollabile.

Le mie mani vorrebbero digitare il suo nome e saziare la traboccante curiosità che a volte mi fa sentire davvero un idiota.

Cosa mi sta succedendo? Non sono mai stata così.

Non voglio diventare una stalker.

Non voglio diventare come Barbara.

È per questo che finora avevo deciso di non dire nulla a Taylor, di lasciare le cose com'erano. Per non passare per la pazza scatenata che s'era illusa di poter costruire un minimo rapporto con un tipo come lui. Con una creatura splendente.

Se fossi più petulante nei suoi confronti, io lo so, lo spaventerei.

Avrebbe paura di avere una pazza isterica come quelle che lo seguono ovunque proprio in casa sua, a due camere di distanza.

Perciò non ho parlato, e ho pensato mi stesse bene.

Ho pensato che mi sarei abituata alla cosa.

Non mi sono abituata.

Va sempre peggio.

« Vieni, Lily! Sta per iniziare! » esclama giuliva Makena, mentre dal tavolo in cucina mi trascina per il braccio verso il salotto. Deborah è seduta sul divano, davanti alla TV, dove va a sedersi anche Makena. Io preferisco restare poggiata sul mobile dietro al divano, alle loro spalle, per sgattaiolare al primo momento utile.

So bene che giorno è oggi.

Makena non ha fatto che parlarmene da quando Taylor è andato via.

Conosco il Comic-con di San Diego da anni, e ci sono anche stata, viste le mie grandi passioni da nerd come i giochi di ruolo online e i fumetti.

Ma quest'anno è diverso, perchè avrò l'onore di osservare l'evento dal punto di vista della mammina e della sorellina di Jacob Black, il licantropo sfigato di Twilight, visto che ci sarà la presentazione di Breaking Dawn – Parte 2. E che culo!

Assottiglio le palpebre, pronunciando appena le labbra in avanti, mentre in TV iniziano ad essere trasmesse le prime immagini in diretta dell'evento.

Come se m'importasse.

Onestamente, cosa me ne frega?

Resto poggiata coi gomiti sul mobile, mentre Makie e Deb iniziano a lasciarsi andare in commenti divertiti sulle fan in calore che aspettano come tante pazze Taylor, agitando convulsamente striscioni, cartelli, bandiere, cellulari, tette.

Magari qualcuno pensa di poter fare colpo su di lui con le tette.

Poggio il capo sul palmo della mano destra, annoiata.

Intanto i tre arrivano, e inizia la serie di immagini della folla in visibilio, gente che urla, che si strappa i capelli, che piange, che cerca di afferrarli.

Poi dicono che io sono strana perchè leggo Edgar Allan Poe.

Il mio sguardo si posa su Taylor, sul suo sorriso smagliante, sulla camicia che – Dio, avrebbe potuto comprarla di una taglia più grande!

Porto un attimo la mano destra a coprire gli occhi, sospirando in silenzio.

« Guarda che bello che è Tay! » esclama Deb, ridacchiando.

« Perchè, Rob ti sembra brutto?! » mormora Makena, in palese contemplazione di Robert.

« Makie, lo sai che Robert e Kristen stanno insieme, non fare la furbetta, lei è una così brava ragazza! » esclama Deborah con fare perentorio.

Io le guardo, da dietro le loro spalle, con le sopracciglia inarcate.

Parlano di attori di fama mondiale come io potrei parlare del mio vicino di casa camionista.

Tutto ciò ha un non so che di tragicomico.

« Ahh! Ecco l'intervista di MTV! » esclama Makie, alzando il volume.

Sollevo di nuovo lo sguardo verso la TV, dove ci sono i tre protagonisti seduti, a destra dello schermo rispetto all'intervistatore.

Ascolto con poca attenzione le domande che vengono poste ai tre, anche perchè del film me ne importa meno di niente, ma piuttosto concentro il mio sguardo su Taylor.

Resto in silenzio, ascolto le domande dell'intervistatore.

Oh, adesso muove il piede destro su e giù. È in ansia.

Si sta mordicchiando appena il labbro inferiore. Sta pensando a cosa dire.

Adesso inizierà anche a tormentare le pellicine alle unghie, perchè lo fa sempre quand'è nervoso o quand'è costretto a rimanere fermo, senza la possibilità di alzarsi e occupare le mani e il tempo in qualcosa.

Assottiglio le palpebre.

Vedo i suoi indici iniziare a tormentare la matrice delle unghie dei pollici, distrattamente.

Eccolo lì.

Le mie labbra s'arricciano in un sorrisino enigmatico, soddisfatto.

Mi fa ridere riuscire a identificare ogni suo gesto, ogni sua espressione. Addirittura prevederle.

E io lo vedo, quel sorriso.

Quello non è il suo vero sorriso.

Quelle labbra che larghe scoprono i suoi denti bianchi, solari e allegre, sono solo una minima parte dell'espressione che è in grado di regalare Taylor, quand'è realmente genuina.

Io l'ho visto, il suo vero sorriso.

Ed è così forte che sembra un raggio di sole che vuole squarciarti il torace, e rubarti il cuore, e farlo suo, facendolo diventare dorato e scintillante.

Chino lo sguardo; il mio, di sorriso, è sparito.

Lentamente, silenziosamente, mi stacco dal bancone, avviandomi verso le scale che portano al primo piano.

Credo di non essermi mai sentita così lontana da lui.


*


« Una cena?! » esclamo, sgranando gli occhi, verso Makena.

Siamo nella sua camera, intente a studiare i movimenti e i cambiamenti della crosta terreste, con conseguenti modifiche al globo.

Lei, ad un tratto, se ne vien fuori con sta storia della cena.

Sono passati due giorni dalle interviste al Comic-con di San Diego, e ancora non so come non ho ceduto ad andare a cercare info su Taylor tramite Google.

Non voglio diventare così idiota.

E poi, perchè dovrei cercarle?

A me non me ne importa un fico secco di lui!

« Sì! Questa sera. Taylor torna a casa, e mia mamma ha organizzato una cena per festeggiare l'uscita del primo sneak-peek di Breaking Dawn. Mia mamma organizza davvero delle belle feste! » mi spiega la ragazzina, passando distrattamente le dita tra i lunghi ciuffi di capelli morbidi. « Ci sarà gente importante, amici di papà e di Taylor! » aggiunge poi con fare emozionato.

Io inarco un sopracciglio.

« Beh, allora io torno a casa mia per stanotte. » sbotto con una scrollata di spalle noncurante.

« Ma che dici, Lily?! Ne devi approfittare! È la tua occasione! » esclama lei, alzandosi entusiasta e saltellando verso l'armadio. « Ti farò diventare un sacco glamour... e vedrai Taylor come resterà di stucco! » esclama ancora, maliziosa, aprendo due delle quattro grandi ante e iniziando a rovistare all'interno.

Io la guardo annoiata.

« Glamour? E che vuol dire? » borbotto, sospirando.

Poi spalanco improvvisamente gli occhi, realizzando la sua battutina su Taylor.

« COSA?! » sbotto, alzandomi nervosamente in piedi. « No no no no no, Makena, no! Non se ne parla! E che c'entra Taylor? Qualsiasi cosa c'entri con Taylor non va bene! » esclamo, scuotendo il capo rosso. « Preparo la roba per andarmene! » aggiungo subito, voltandomi verso la porta.

Makena mi corre dietro, e mi afferra per un braccio.

Mi volto verso di lei, che mi piazza davanti agli occhi un vestito.

« Lily, fidati di me, e ti farò diventare una principessa! Rimarranno tutti estasiati... soprattutto mio fratello! E magari riuscirai a parlarci! » esclama Makie, con tono convincente.

Io la guardo, alternando lo sguardo tra lei e il vestito, con aria affranta.

Non voglio deludere Makena.

Ma non me la sento.

E poi quel vestito è... è...

« Ma Makie, questo vestito è verde! » esclamo, lagnosamente.

« Esatto, è verde petrolio, un colore che si sposa alla perfezione con te e i tuoi capelli! A me non sta tanto bene e non lo metto mai, ma tu sarai bellissima! Ti prego, Lily! » continua a dire lei, accennando un saltello impaziente.

Dopo averla guardata ancora, insicura, alla fine annuisco.

Lei lancia un urletto di gioia, e mi abbraccia.

Credo che sia entusiasta soprattutto del fatto che sarò totalmente alla sua mercè nelle prossime ore, fino a stasera, e si divertirà a conciarmi come vuole.

Tanto peggio di così come potrebbe andare?

« Vado a fare la doccia, allora. » borbotto, voltandomi e uscendo dalla stanza, verso il bagno.

Cammino lenta, come se volessi perdere tempo.

Mi soffermo particolarmente sulla porta della camera di Taylor.

Sospiro, mi avvicino a leggere gli stickers. Alcuni sono così vecchi che sono scoloriti, in parte strappati, coi colori alterati.

Chissà come sarà, la sua camera?

Sarà un tipo disordinato? O magari un perfezionista?

Piuttosto che cercarlo su Google, preferisco scoprirlo da me.

Sollevo la mano destra, a sfiorare gli stickers che chissà quando avrà incollato su quella porta.

Poggiando la mano, però, mi rendo conto che questa si muove sotto al mio tocco. Osservo la serratura, e realizzo che la porta è aperta.

Trattengo il fiato, sgranando appena gli occhi.

È un segno del destino?

Taylor potrebbe tornare da un momento all'altro, ma quello spiraglio misterioso è troppo, troppo invitante perchè io lo ignori.

È come se emanasse una luce particolare.

Sono fuori, lo so.

Con la mano sulla maniglia, vado a spingere la porta, lentamente, ed entro non appena il mio corpo è in grado di passare.

Mi guardo intorno, nella sua camera, con curiosità.

Mi sento una ladra.

Un'invadente.

Una molestatrice di camere da letto.

La moquette è blu scuro, le pareti sono beige, illuminate dalla luce solare che penetra dalla finestra.

Mi avvicino subito ad una libreria, con due ripiani completamente dedicati a coppe e trofei di ogni tipo. Le osservo bene, ne leggo le targhe, tutte riconducenti a tornei di Karate, Arti Marziali mai sentite, o gare sportive del Liceo.

Vedo anche degli awards ricevuti dopo l'uscita dei film della saga di Twilight. Lentamente avanzo, con la libreria alla mia sinistra, verso il letto.

Sul comodino vi è poggiato un orologio, l'abat-jour blu e un libro di Chuck Palahniuk. Non posso fare a meno di commentare la cosa tra me e me, in silenzio, con una smorfietta compiaciuta.

Sulla destra della stanza, vicino alla finestra, vedo la scrivania, piena di libri, quaderni e CD sparsi, con il portatile di Taylor chiuso, spento.

Cammino accanto alle sue cose, al suo Kimono appeso, e lo sfioro con la punta delle dita. Alla scrivania, delle foto in vari portafoto diversi colpiscono la mia attenzione.

In una è piccolino, con Makena, e dietro di loro un albero di Natale. In un'altra è insieme a Kristen Stewart e Robert Pattinson, sul set di Twilight.

In un'altra ancora...

Chi è questa ragazza?

Prendo tra le mani la foto, l'osservo bene.

Lei ha un viso minuto, lo sguardo chiaro, vispo, le sopracciglia forte e ben delineate, dei capelli lunghissimi, lievemente mossi naturalmente, più chiari sulle punte. Sembrano morbidissimi.

Il vestito aderente le fascia il corpo snello e allenato, mettendo in evidenza le sue curve, che non sono comunque eccessive.

Lui è vestito in giacca e cravatta, la guarda e sorride.

Credo si stiano tenendo per mano, ma non riesco a capirlo, essendo le mani celate dietro al corpo di lei.

È bellissima.

È così... Makena ha detto “glamour”, se non sbaglio.

Non so cosa voglia dire esattamente nel loro mondo da creature splendenti, ma mi sembra si addica perfettamente a lei.

A loro.

Mi mordicchio il labbro inferiore, tormentandolo coi canini, continuamente.

Stringo la foto tra le mani qualche istante, osservo ancora la ragazza, nella sua splendida disinvoltura in quell'abitino striminzito.

Io non so neanche andare sui tacchi.

Ma dove voglio arrivare?

Cosa sto cercando di fare?

« Fai pure con comodo. » sento improvvisamente spezzare il silenzio da una voce ben familiare.

Grazie al cielo riesco a posare la foto sulla scrivania, tremante, senza farla cadere rovinosamente a terra.

Mi volto verso la porta alle mie spalle, e Taylor è poggiato contro lo stipite, le braccia incrociate al petto, che mi guarda irritato.

Deglutisco, mi schiarisco la voce.

« Scusami. » mi limito a dire, senza riuscire a guardarlo.

Sento il mio viso diventare paonazzo.

« Questa sera tornerai a casa, vero? » mi chiede lui, accennando qualche passo in camera, come a voler controllare che sia tutto in ordine.

Mi sta invitando gentilmente ad abbandonare la sua dimora?

Dio, lo odio.

Lo odio lo odio lo odio!

« No. » sbotto acidamente, sollevando lo sguardo verso di lui, furente. Improvvisamente ho un sacco di voglia di andare a questa cena del cazzo. « Mi dispiace deluderti, ma dovrai sorbirti la mia presenza anche questa sera. Evidentemente in questa casa c'è qualcuno che trova piacevole la mia compagnia. » aggiungo, velocemente, puntandogli contro l'indice della mano destra, minaccioso. « E ricordati, Taylor Lautner, che qui, con me, non siamo nel tuo mondo. Tu non detti le regole, e tu non decidi cosa io debba fare o meno. Se io ho deciso di assecondare i tuoi capricci e non ti parlo più, è solo perchè io stessa ho deciso che era meglio così. Visto che oltretutto mi sei antipatico. » aggiungo, forse esagerando anche un po'. Ma ho bisogno di dare coraggio e sicurezza a me stessa, e l'unico modo per farlo è convincermi che lui mi sia profondamente antipatico. È vomitare un sacco di parole a caso. A volte sono tremendamente infantile, me ne rendo conto. « Spero di essermi spiegata » concludo, dirigendomi verso la porta.

« Tu non hai proprio capito niente di tutto questo, vero? » mormora lui, restando fermo, in piedi, al centro della sua stanza, e voltandosi a guardarmi.

« No, non lo capisco. » rispondo io, immediatamente, mentre la mano va a posarsi sulla maniglia della porta. « Un ragazzo che da un giorno all'altro decide di evitarmi in ogni modo possibile e poi non è in grado di restare coerente verso se stesso... no, proprio non lo capisco! » esclamo irata infine, a voce più alta, più dura, guardandolo dritto negli occhi.

Prima di sbattere la porta della sua camera alle mie spalle, e dirigermi verso la mia camera prima, per prendere il cambio, e verso il bagno poi.

Che mi assicuro di chiudere per bene a chiave.

Perchè stavolta non voglio irruzioni clandestine nel bagno, mentre faccio la doccia.

Perchè stavolta voglio lavarmi in piace.

Sbattere il bagnoschiuma sulla mensolina in pace.

Frizionare con poca cura i capelli in pace.

Trattenere le lacrime in pace.


*


« Makena, ti ci vorrà ancora tanto? » borbotto con le braccia conserte e le gambe accavallate, seduta in camera sua, mentre lei dietro di me armeggia coi miei capelli e un ferro per arricciarli di un diametro inquietante.

« Lily, sta' buona, dai. » risponde la ragazza, visibilmente divertita dalla mia impazienza.

« Ma ti ci vuole sul serio così tanto per prepararti ogni volta? È pazzesco! » sbotto facendo ondeggiare la gamba accavallata sull'altra, col piede ancora ostinatamente scalzo.

Lancio uno sguardo al vestito sul letto e ai tacchi vertiginosi ai suoi piedi che aspettano solo me e mi sento cascare il cuore nello stomaco.

Non ce la farò mai.

« Se tu facessi la manicure e la pulizia del viso almeno una volta ogni due settimane ci vorrebbe molto meno tempo. » risponde agitando il ferro ardente vicino al mio orecchio.

« Tu sei pazza. E occhio a quel ferro! » esclamo, sgranando gli occhi e allontanandomi istintivamente.

Non mi sono neanche guardata allo specchio, non so cosa mi abbia fatto Makena tra kajal e lucidalabbra, ma già ho paura. Già mi sento ridicola.

Non sono abituata a tutto questo. Mi sento davvero un pesce fuor d'acqua.

E tutto perchè?

Per Taylor?

Per attirare la sua attenzione?

Ma stiamo scherzando?!

Mi sono bruciata i neuroni, e non so neanche come.

Quando finisce di arricciarmi leggermente i capelli rossi sulle punte, Makena mi fa mettere in piedi e prende tra le mani il vestito verde, agitandolo allegramente verso di me.

Arriccio le labbra in una smorfia poco convinta.

« Makie, stai affidando un vestito che costerà una fortuna tra le mani di un'imbranata cronica che non ha mai indossato niente del genere e potrebbe versarci sopra del vino nell'arco di cinque minuti. » l'avverto, ci provo, per l'ultima volta.

« Ma va' Lily, questo vestito non costerà più di cento dollari. » mi confessa lei, con noncuranza.

Come se fosse poco.

Io che con cento dollari ci compro almeno venti libri.

Ma è meno di quello che mi aspettavo, lo ammetto.

« Ah, quindi posso indossare tutto a cuor leggero. » commento, ironicamente, mentre prendo il vestito a cui Makena ha abbassato la cerniera, dietro la schiena, e ci infilo le gambe pallide, andando a tirarlo poi su.

« Beh, le scarpe son di Valentino, fai un po' te. » aggiunge, con una scrollata di spalle.

Io mi volto di scatto a guardarla mentre quel briciolo di sicurezza che avevo appena guadagnato va a farsi benedire insieme al mio fiato, nel momento in cui lei solleva la cerniera a chiudere il vestitino.

Io di moda non ne capisco un fico secco, ma Valentino è Valentino ovunque. Anche nel mondo delle creature non splendenti.

Il dramma arriva, appunto, al momento d'indossare le scarpe.

Makena s'inginocchia di fronte a me, tacchi alle mani.

E parte la lotta.

Tra i consigli di Makie su come stendere il piede senza farmi venire il crampo del secolo mentre lo afferra con poca gentilezza e le mie preoccupazioni riguardo il numero dei décolleté, iniziamo a punzecchiarci e a fare un bel po' di baccano.

Ad un certo punto, il bussare alla porta ci zittisce di colpo.

« Ma si può sapere che diavolo state facendo?! » la voce di Taylor giunge ovattata aldilà della porta.

Conoscendolo, avrebbe aperto senza troppi preamboli.

E invece resta fuori.

« Gli ospiti sono arrivati già da un po'. Sbrigatevi a scendere. » aggiunge, accennando una risatina.

Ed è come se lo vedessi, aldilà della porta, appoggiato contro lo stipite a sollevare l'angolo destro delle sue labbra, scoprendo appena i denti bianchi in un ghigno divertito.

Non aspetta la nostra risposta, che si allontana lasciandoci solo con l'eco dei suoi passi ovattati sulla moquette.

Cinque minuti e varie imprecazioni dopo, riesco finalmente ad erigermi in quel meraviglioso, precario equilibrio sui trampoli delle Valentino di Makena.

Vado a guardarmi allo specchio, camminando lentamente, visto che acquistare velocità farebbe spiccare le possibilità di capitombolare al mille percento.

Mi guardo, e non so chi vedo.

È una ragazza coi capelli color fragola, lunghi fin sotto al seno, arricciati in morbidi e ampi boccoli lucenti.

È una ragazza con gli occhi verdi, messi in risalto e resi ancor più brillanti da un trucco scuro, che richiama in alcune sfumature quello stesso verde e anche quello del vestito. Il rossetto rosa pesca l'aiuta a valorizzare le labbra, il blush dello stesso colore le da un colorito lievemente più sano.

Vedo una ragazza in un abitino striminzito, verde petrolio brillante, senza maniche né spalline, a lasciare bene in vista la pelle bianca, diafana, e il tattoo sulla scapola, a mettere in risalto la vita stretta e il seno davvero poco prosperoso, impreziosito da ricami dello stesso colore e una fascia in pizzo nero, a circondare la vita, con un fiocco anch'esso nero, sulla destra, in netto contrasto col colore brillante dell'abito. Questo arriva poco al di sopra delle ginocchia.

Questa ragazza indossa anche delle scarpe assurde, dal valore imbarazzante, in cui i suoi piedi solitamente spanciati negli anfibi si sentono stretti e scomodi.

Sono di base beige, ma completamente ricoperte da del pizzo nero in trasparenza, che col suo fiocco sul davanti richiama i dettagli del vestito. Il tacco è lungo, sfilato, slanciato. Tutto quello che io non sono mai stata.

Ma lo è adesso la ragazza allo specchio.

Che indossa un bel bracciale con delle pietre verdi, e un grande anello uguale, splendidi ma tuttavia con una forte personalità, e una pochette anch'essa in pizzo nero, con dei teschi.

« Lily, sei una principessa! » esclama Makena, saltellando con in mano la piastra con cui sta stirando i propri capelli.

Mi volto a guardarla, le sorrido appena.

Lily?

Dov'è Lily?

Quella nello specchio non è Lily.

In un attimo, un'angoscia tremenda piomba su di me come un macigno.

Che diavolo sto facendo?

Mi sembra di vendere la mia personalità.

Mi sembra di essere un'ipocrita, e tutto per cosa?

Per poter attirare l'attenzione di Taylor?

Che di gente così ne vede a milioni ogni giorno della sua vita?

Sei triste, Lily.

Sei diventata triste.

« Dai, andiamo! » esclama Makena, eccitatissima, mentre mi prende per mano – anche per aiutarmi a non cadere coi primi passi – e mi trascina verso il corridoio e le scale.

La festa si svolge nell'ampio salotto della casa ma anche e soprattutto in giardino, sul grande spiazzo con la pavimentazione in porfido grigio, che conduce direttamente al frutteto, completamente illuminato e agghindato di tavolini e sedie in ferro battuto dipinte di bianco, dove già siedono e chiacchierano gli invitati.

Che sono più di quanto m'aspettassi mai.

Gli alberi sono illuminati da tante luci dall'aura gialla, che sembra magica.

Sembrano lucciole.

Inspiro a fondo, guardo un attimo in tralice Makena, che mi sorride rassicurante prima di allontanarsi a salutare degli amici di famiglia.

Eccomi qui.

Impuntata sulla grande porta ad arco che dal salotto conduce all'esterno, ferma come una deficiente.

Rigiro tra le mani la pochette che mi ha dato Makena, che a stenti è in grado di contenere il mio cellulare.

Sul serio bisogna fare tutto questo per essere “glam”?

Allora io non voglio essere “glam”.

Allora io odio essere “glam”.

Sollevo le dita della mano sinistra, laccate di nero – nero Chanel, ci ha tenuto a precisare Makena – a giocare distrattamente con uno dei lunghi boccoli color fragola.

Che diavolo mi è venuto in mente?

Gliel'ho detto a Taylor, l'ho sempre ripetuto a me stessa: questo non è il mio mondo.

Sospiro, affranta, poi sollevo lo sguardo, distrattamente.

E lo vedo.

Insieme a due uomini sulla cinquantina, uno stempiato coi capelli brizzolati, l'altro più bassino, con ancora una barba scura lievemente striata d'argento.

Tutti e tre coi bicchieri di prosecco in mano.

Ride, sorride, ed è raggiante.

Indossa una camicia nera, che va a finire in dei jeans scuri, che comodi scendono sulle sue gambe, e ai piedi dei mocassini eleganti, anch'essi neri. Le maniche della camicia arrotolate fino ai gomiti.

È semplice, è vestito in modo fottutamente semplice. Perchè allora deve catturare la mia attenzione in questo modo allucinante?!

Anche lui, ad un tratto, solleva lo sguardo.

E incontra il mio.

Ecco, lo sento, proprio all'altezza della bocca dello stomaco.

Un BOOM, poi un altro, e un altro ancora. Forti e veloci. Sembrano fuochi d'artificio.

Il sorriso cordiale sul volto di lui scompare per qualche istante, come se stesse cercando di mettermi a fuoco, come se non mi stesse riconoscendo.

Lo reggo, quello sguardo di cioccolato.

Lo guardo ed è come se il mio cuore fosse avvolto da cioccolato puro, fluido e avvolgente, zuccheroso ma con una nota amara. Caldo.

Stringo convulsamente la pochette, resto immobile con le gambe lievemente incrociate, trattenendo il respiro, quasi avessi paura di muovermi e perdere l'equilibrio.

Per quegli attimi vedo sul suo viso di nuovo quell'espressione da bimbo sperduto.

Ecco come potrei chiamarti, Taylor.

Bimbo sperduto, in un mondo meraviglioso che ti affascina e ti spaventa, e non ti assicura neanche d'esistere davvero.

Lo guardo, le labbra schiuse, gli occhi appena sgranati. Poi inizio a tormentarle coi denti, le labbra.

E lui guarda me, con la stessa stramaledettissima espressione.

Sento il mio cuore galoppare all'improvviso, vorrebbe squarciarmi il torace e piombare arrendevole dritto tra le sue mani.

Dio, se sei bello.

E quanto ti vorrei per un attimo esattamente com'eri neanche un mese fa.

Sorridimi.

Solo un attimo.

Ti prego.

« Lily! » sento esclamare all'improvviso, mentre sento una mano posarsi amichevolmente sulla mia spalla.

Inutile dire che balzo come una faina, trattenendo il fiato con un'esclamazione di paura.

Mi volto e Deborah è accanto a me, che scoppia a ridere divertita dalla mia reazione.

No, davvero Deb, sono contenta di farti divertire.

Ma non farmi mai più una stronzata del genere, okay? Eh, Deb?

« Lily, sei splendida questa sera. Makena ha fatto un ottimo lavoro. » dice lei, accarezzandomi la spalla.

Smettetela di fare i complimenti a Lily.

Questa ragazza in questo vestito verde non è Lily!

« Però, tesoro, devi conversare con qualcuno. Lo so che per una ragazza discreta come te è difficile, ma ti assicuro che son tutti qui per attaccare bottone e passare un po' di tempo davanti ad un bicchiere di prosecco o champagne » mi spiega, sottovoce, mentre mi trascina verso il frutteto, prendendo al volo da un cameriere un bicchierino con del liquido color beige chiaro, ricco di allegre bollicine, e porgendomelo. « E magari concludere qualche affare importante, ovviamente. » aggiunge, accennando una risatina. « Ma ti assicuro, in queste occasioni è davvero facilissimo fare amicizia. Per esempio... » borbotta infine, guardandosi attorno.

Io mi limito ad annuire in silenzio, con sguardo confuso.

Tanto mica le do retta.

Io non sono in grado di stabilire dei rapporti umani, fine della storia!

Butto giù mezzo bicchiere di Prosecco in un colpo, mentre lei solleva la mano verso un uomo poco distante.

« Chris! » esclama gioviale, attirando l'attenzione dell'uomo. Quindi lui ricambia il saluto con un ampio sorriso, poi s'avvicina a noi due, principalmente a Deb, alla quale dona due baci cordiali sulle guance.

« Chris, lei è Lily. » dice Deborah verso di lui, indicandomi con un cenno della mano. « Lily, lui è Chris Stevens, un produttore televisivo. » mi dice Deborah, con un impercettibile segno del capo verso di lui, come a volermi dar coraggio per parlargli.

Lui è alto, molto bello, sui trentacinque anni. Ha la pelle abbronzata, i capelli biondi scoloriti dal sole, una barbetta incolta sul viso di circa due giorni.

Vestito in un completo grigio scuro, con una camicia bianca senza cravatta, sbottonata appena sul torace.

Lo guardo stralunata, non sapendo cosa dire.

Dio, non so neanche da dove s'inizia una conversazione. Sono una frana.

Accenno uno dei miei soliti inchini da ritardata mentale.

« Salve. » sbotto, ricordandomi poi di porgergli la mano destra, e trovando in fretta e furia un metodo per reggere pochette e bicchiere mezzo colmo in una sola mano.

Lui sorride, allegramente, e va subito a ricambiare la mia stretta.

Inutile dirlo, è un tipo davvero affascinante.

« Molto piacere, Lily. Sei molto carina, sai? » mi dice subito, con una noncuranza che sfiora l'innocenza. Io avvampo, diventando improvvisamente dello stesso colore dei miei capelli. Quindi si volta verso Deborah, annuendo appena col capo. « Non pensi sia carina, Deb? Sembra una ragazza discreta e posata. Ormai sono davvero rare, soprattutto nel nostro campo. »

« Sono d'accordo, Chris. » risponde Deb, riportando una mano sulle mie spalle. « Oltre ad essere discreta e riservata, è anche intelligentissima. Non per nulla frequenta Yale. Sta aiutando tantissimo Makena con il recupero dei debiti scolastici, è la nostra salvezza! » esclama la donna, che mi vanta neanche fossi sua figlia.

Io chino lo sguardo, completamente paonazza.

Non so che dire.

Sul serio, cosa dovrei dire?!

« Ma sul serio, Deb? » chiede Chris, andando poi a cercare il mio sguardo col suo sorriso mozzafiato. « Lily, ti piacerebbe partecipare ad una serie TV? Potrebbe essere il tuo trampolino di lancio! » mi chiede, così, all'improvviso.

A bruciapelo.

Ma è pazzo, sto qui?!

Io boccheggio, guardandolo per qualche istante, allucinata.

« Ah, io, non... »

« Lei non è interessata a queste cose, Chris. » sento sbottare alle mie spalle.

Una voce profonda che conosco sin troppo bene.

Il mio stomaco si accartoccia, come se fosse un foglio scarabocchiato da buttare via.

Mi volto, mentre sento il corpo di Taylor vicino al mio.

Sorride affabile a Chris, senza tuttavia guardarmi neanche un attimo.

« Oltretutto non ha nessuna base di recitazione. Non è davvero il caso. » aggiunge, cordialmente.

Io lo guardo, allibita.

Scioccata.

Sconcertata.

Ma che cavolo vuole adesso?!

Idiota, ti odio!

« Ma Tay, come se la dote recitativa fosse così indispensabile, all'inizio. » sbotta lui, accennando una risata.

È una frecciatina?

Non lo è, vero?

Vedo Taylor assottigliare le palpebre.

« Potrei darle una parte minore, all'inizio. Stiamo giusto pensando ad una serie giovanile universitaria e-- »

« Credimi » sbotta Taylor interrompendolo, con il sorriso ancora lì, persistente, ma stranamente tirato, con un tono troppo fermo per essere gioviale. « Non ne è in grado. Non sa recitare, non le piace farlo, non apprenderebbe. Non è il caso di pensare a lei per i tuoi progetti futuri. » aggiunge, forse scandendo le parole in modo lievemente più lento.

Sorride a Chris con la peggiore faccia da schiaffi che possa esserci.

Mi ha demolita.

Se fossi fatta di ceramica, adesso delle crepe nere come la pece si diramerebbero lungo tutto il mio corpo, fino a farmi frantumare e arrivare a terra in mille, lucenti pezzi.

Vorrei essere di ceramica.

Vorrei cadere a pezzi a terra ed essere spazzata via, dimenticata da tutti.

« Taylor! » esclama perentoria Deborah, con aria da rimprovero. « Ma che linguaggio è questo?! » aggiunge la donna, improvvisamente seria come non l'avevo mai vista.

« Scusatemi. » riesco solo a mormorare io, tremante.

Indietreggio di un passo, poso il bicchiere dove capita, e mi allontano.

Mi chiama, Deborah, ma non le do retta.

Ho gli occhi appannati.

Mi gira la testa.

Mi fa male la pancia.

Mi fa male il cuore.

Mi allontano più veloce che posso su quei maledetti trampoli da millemila dollari, mi allontano e corro via, istintivamente, verso l'uscita della villa.

In realtà il viale principale è completamente pieno di automobili lussuose, e io prendo il sentierino più defilato, portando la mano sulle labbra, come a volerne arrestare il tremore.

All'improvviso, uno dei tacchi va a capitare nella trama composta dalle pietre del viale dalle forme geometriche e simmetriche, e io in un attimo volo a terra con un bel tonfo delle mie ginocchia.

« Fanculo! » sbotto nervosamente, la voce strozzata e tremante, andando a sfilare via quelle scarpe di merda, che mi hanno gonfiato e arrossato i piedi, ora lamentosi di dolore.

Arriccio le labbra, massaggiandoli un attimo, prima di constatare l'ammontare dei danni ottenuto con quella bella caduta serale.

Per fortuna le mie ginocchia sono solo sporche, forse la destra leggermente sbucciata.

Mi rialzo in piedi, e continuo a camminare imperterrita, coi piedi scalzi, verso la panchina più vicina al cancelletto.

Lì mi lascio andare seduta, sollevando i piedi gonfi a mezz'aria, lasciandoli riposare all'aria fresca della sera.

Come fanno certe persone a portarli dalla mattina alla sera?

Sarò durata un'oretta in tutto io, su quei cosi malefici, e già so che non li indosserò mai più.

Mi guardo i piedi.

Le gambe sbucciate.

Il vestito stropicciato dalla caduta.

I miei occhi vanno a velarsi di nuovo, mentre le parole di Taylor sembrano volermi accoltellare ancora e ancora, all'altezza del cuore e dei polmoni, dolorose e lancinanti.

La prima lacrima sgorga dai miei occhi, ma è solo colei che apre la strada a tutte le altre.

Misceliamo lo sbalzo ormonale dovuto alle mestruazioni, lo stress da preparazione ad una cena importante, tutto per un Taylor che sembra un Dio sceso in terra e che non solo non mi parla, ma mi denigra anche davanti a sua madre e a uno sconosciuto... cosa ne viene fuori?

Un'esplosione, ovvio.

Un'esplosione di lacrime.

Che vengon fuori prepotenti e minacciose, una dietro l'altra, come le onde trascinate da un vento di bufera.

Inizia a mancarmi il fiato, a essere irregolare.

Tiro su col naso, cerco di ristabilire una respirazione normale, ma proprio non ce la faccio.

I singhiozzi sgorgano copiosi, lamentosi.

Mesti.

Devo andare via da qui.

Devo allontanarmi da tutto questo.

Devo dimenticarmi di Taylor, togliermi dalla mente il suo viso, la sua voce, la sua risata, le sue mani su di me, il calore delle sue labbra, la sicurezza del suo abbraccio, la dolcezza delle sue carezze.

« Dio! » sbotto esausta, tra le lacrime, andando a posare i gomiti sulle ginocchia, e il viso tra i palmi aperti.

Non posso dimentiarlo.

Non posso.

Non posso perchè io...

« Lily? » sento sussurrare nelle mie vicinanze.

Sobbalzo, mi guardo intorno, andando subito ad asciugare le lacrime.

« Ehi, fiorellino, cos'hai? » sento chiedere, e finalmente riesco ad individuare la fonte di quelle parole.

Un paio di occhi incredibilmente blu mi guardano aldilà delle sbarre verdi del portoncino di casa Lautner.

« Nate...? » mormoro, stanca, stravolta.

E stupita.

Sono stupita perchè vedere il viso di quello stronzo, ora, in questo momento, mi sta regalando un profondo senso di sollievo.

Come se lui fosse piombato per ricordarmi che io fuori da qui ho una vita intera che mi aspetta.

Che non c'entra con loro, con i Lautner, con Taylor, ma c'entra sicuramente con me.

Mi alzo in piedi, mi avvicino a lui di qualche passo.

Devo avere un'espressione terribile.

Il trucco degli occhi e il mascara nero devono essere colati lungo tutto il viso.

Ho le ginocchia sbucciate e sporche.

Ho gli occhi tristi, e gonfi, e rossi.

« Come sei bella, Lily. Sai cosa? Sembri proprio una principessa punk rock. » mi dice lui, con quella che sembra la sua sincerità più estrema.

Mi sorride apertamente.

Io spalanco appena gli occhi, il viso umido di lacrime recenti.

Quindi accenno un sorrisino, istintivo, spontaneo.

Una principessa punk rock, eh?

« Non l'avevo messa sotto quest'aspetto. » mormoro io, ironica, lasciando i tacchi sulla panchina e avvicinandomi al cancello, andando ad aprirlo da dentro.

« Lo sai che hai bisogno di Nate per vedere le cose più belle di te e della tua vita, e per sorridere. » esclama lui, ponendosi di fronte a me, con le mani nelle tasche dei pantaloncini verde militare.

Il mio sorriso va amplificandosi, mentre inarco un sopracciglio.

« Tu mi fai vedere solo quanto sei cretino, Nate, ecco perchè sorrido. » mormoro a mezza voce, divertita, guardandolo.

Lui dapprima mi guarda con la sua solita espressione sorniona, poi solleva la mano, mentre improvvisamente il suo volto lascia spazio ad un'espressione seria, preoccupata.

« Non importa il motivo per cui ridi, l'importante è che non piangi. » sussurra lui, mentre la sua mano si posa sulla mia guancia, e il pollice va ad asciugare e pulire uno dei profondi solchi lasciato dalle lacrime cariche di pigmento nero.

Io non mi ritraggo.

Mi lascio accarezzare.

Chiudo gli occhi, e lo lascio fare.

E lo so, sono un pezzo di merda.

Sono una stronza, un'egoista, una bambina infantile.

Ma immagino che quella mano sia di un'altra persona.

« Lily! Accidenti a te! » sento esclamare alle mie spalle.

Mi volto, sussultando, e spalanco gli occhi quando vedo Taylor arrivare in fretta e furia, con un'espressione davvero poco cordiale.

« Dove cavolo eri?! Il tempo di scollarci di dosso Chris che io e mia mamma ti abbiamo persa. Diavolo, non farmi spaventare! » esclama, avvicinandosi.

Che sta dicendo?

« Spaventarti? » sbotto io, improvvisamente. No, occhietti miei, no. State buoni, niente lacrime. « E di cosa? Della mia assenza?! Ma se a stenti ti accorgi se ci sono o meno! » inizio a sbraitare contro di lui.

« Ma che stronzate vai dicendo?! » mi chiede lui, a voce alta, scontrosa.

Tanto alta e tanto scontrosa. Tuttavia stupito.

Si avvicina, e all'improvviso tende la mano verso la mia, afferrandola.

La stringe, forte, fortissimo. E io resto immobile a guardarlo, gli occhi verdi spalancati, spauriti.

Lui mi guarda qualche istante, i muscoli della mascella tesi, le labbra strette. Noterà lo stato in cui mi trovo. Quindi solleva lo sguardo verso Nate.

« E tu cosa ci fai qui? Siamo nel bel mezzo di una cena, e tu non c'entri niente. Vattene. » sbotta acidamente. « Andiamo, Lily. » aggiunge, voltandosi e facendo per trascinarmi via.

« NO! » urlo io, liberandomi dalla sua presa con uno strattone improvviso. Lui si volta a guardarmi, sorpreso. Come se stesse cadendo dalle nuvole. Come se tutto si aspettasse, tranne che quella reazione.

Inspiro a fondo, cercando di placare il mio battito cardiaco.

« Neanche io. » aggiungo, a mezza voce. « Neanche io c'entro niente con tutto quello che sta avvenendo da quella parte. E la devi smettere di pensare che io sia ai tuoi comandi. » spiego subito dopo, con l'intenzione di mantenere la voce il più ferma possibile.

Lui sgrana gli occhi.

Eccolo lì. Il bimbo sperduto.

Maledetto, maledetto splendido ragazzo.

Non guardarmi così, altrimenti la mia determinazione di sgretola come sabbia al sole.

Se non ti odiassi... ti amerei.

Resta in silenzio qualche istante, quindi china lo sguardo.

Annuisce in silenzio, un ultimo sguardo verso Nate, poi verso di me.

Che arriva dritto dritto come una sprangata al cuore.

Annuisce, semplicemente. Quindi si volta e inizia ad allontanarsi, le mani nelle tasche dei jeans.

D'istinto accenno un passo in sua direzione, ma Nate mi blocca per il braccio.

« Lily, lascia perdere. Lascialo andare. Aspetta ed entra dal portone d'avanti, non ci sarà nessuno nell'ingresso, se la cena è all'esterno. E vattene in camera. Ed esci da questa casa il prima possibile, e torna nel tuo mondo, nella tua città insieme a me. » mi dice, serio.

Mi volto a guardarlo, quindi scuoto energicamente il capino rosso, i boccoli che iniziano a scendere placidamente.

« Non posso. » mormoro tremante.

« Non puoi? O non vuoi? » mi chiede assottigliando le palpebre in due fessure azzurro lucente. « Dammi almeno una possibilità. Ti chiedo solo un appuntamento. Lasciami spiegare, stiamo insieme per un po'. Magari ti renderai conto, come me ne sono reso io, che io e te siamo nati per restare uniti. » aggiunge, accoratamente.

Mi mordo il labbro inferiore, in seria difficoltà.

È uno stronzo.

Ha fatto lo stronzo.

Mi ha tradita.

Ma ora è qui. È qui per me.

Non posso dirgli di no.

Annuisco, lentamente.

Lui sorride, e si avvicina per darmi un bacio sulla fronte.

« Vai, fiorellino. Non farti vedere da nessuno, vai a fare una bella dormita. Buona notte. » mi dice, mentre io rimango impalata a guardarlo.

Da solo si chiude dietro il cancelletto, salutandomi con la mano e un sorriso prima di voltarsi e iniziare a passeggiare distrattamente verso casa mia.

Non mi fido di lui, per niente.

Il suo sorriso, per me, ormai è una maschera.

Non so cosa cela dietro.

Ma sono una bambina egoista, e ora mi posso aggrappare solo a quello.

E io non perdo tempo.

Mi volto, corro a prendere i tacchi abbandonati sulla panchina, quindi di corsa verso l'entrata di casa, poi la mia camera.

Voglio chiudermi nella mia stanza, e pensare.

E riflettere.

Vorrei non aver mai rivolto la parola a Taylor.

Ora non sentirei il mio cuore impazzire ogni giorno, tutto il giorno.

Ora Nate non sarebbe qui a confondermi le idee con quella gentilezza che a volte anche per me è difficile comprendere.

Voglio dormire.

Dormire e non pensarci.

Vorrei dormire e non vedere il suo viso.

Ormai non ci riesco più.

 

*-*-*

Buooongiorno!

Spero che questo capitolo bello lunghetto non vi abbia annoiate.

Ho deciso di implementare in un solo capitolo quelli che sarebbero stati invece due, ma molto più corti. In realtà non vedo l'ora di postare il prossimo, perchè finalmente si arriverà ad una svolta completa!

Quindi spero che questo vi sia piaciuto e attenderete la pubblicazione del prossimo!

Che dire, Lily è sempre più confusa, e si avvicina sempre più al punto dell'esplosione.

Taylor è strano, lunatico, e Nate è una presenza costante che di certo non l'aiuta a ragionare lucidamente.

Vi lascio anche l'outfit di Lily per la cena, creato con Polyvore, per farvi anche capire meglio com'era vestita (per poco, ahah!)

Ci tenevo anche a ringraziarvi per tutte le recensioni che mi lasciate.

Siete veramente splendide!

Al prossimo mercoledì, tesori!

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Capitolo 10
*** Capitolo X - Close to me ***


Capitolo X - Close to me

I've waited hours for this,
I've made myself so sick.
I wish I'd stayed asleep today,
I never thought this day would end.
I never thought tonight could ever be
This close to me.

Just try to see in the dark,
Just try to make it work,
To feel the fear before you're here.
I make the shapes come much too close,
I pull my eyes out,
Hold my breath,
And wait until I shake.


{ The Cure - Close to me }

 

« Nate. » rispondo al telefono. La voce strascicata, arrochita dal sonno da cui il trillo del telefono mi ha svegliata, come uno scossone poco cortese. « Che diavolo vuoi. » aggiungo, e non è una domanda. E' una minaccia.

« Ben svegliato, fiorellino! » esclama lui, allegro, dall'altra parte.

In risposta, io ringhio.

Ho dormito male, ho pensato tanto.

A Taylor, a Nate, ma soprattutto alle parole di Taylor.

Al suo comportamento, al cambiamento d'umore, d'espressione.

Alle domande dolci, alle carezze, e alle coltellate davanti alla gente.

Alla presenza di Nate, il suo giocare con questa situazione, e la mia impossibilità di allontanarlo con decisione.

E sono giunta ad una conclusione.

Una conclusione a cui sarei dovuta arrivare già un po' di tempo fa, suppongo.

Mi sono rotta i coglioni.

E sono incazzata.

Se Taylor pensa di mettermi a cuccia così, si è sbagliato di grosso.

Se pensa che io accetti quello che lui mi dice senza protestare e senza ribellarmi, allora non ha capito un cazzo di me.

È ora di svegliarsi, di smetterla di rimuginare come una emo depressa.

« Ti fa di fare una passeggiata in riva al fiume oggi? » mi chiede entusiasta.

« Nate, io ci lavoro in questa casa. » gli ricordo, a mezza voce, mentre passo una mano sul viso. Non sto mica qua a pettinar le bambole.

« Ma oggi è domenica! Non mi dire che ti fanno lavorare anche di domenica pomeriggio, è sfruttamento! » esclama, protestando.

Dio, è domenica? Sono davvero fuori dal mondo ormai.

Temo di non avere scelta.

Alla fine s'è fatto più di duemila chilometri per venire qui.

E devo sbrigarmi a convincerlo a farseli di nuovo per tornare da dov'è venuto, finchè ancora ho un po' di forza mentale per respingerlo.

Non posso cedere al suo sorriso, e alle sue piccole, dolci attenzioni.

Io lo conosco.

È un bastardo e sa recitare bene, io lo so.

« Facciamo dopo pranzo? » mi sforzo di chiedere io, come una ragazza normale. Senza ringhiare.

Devo parlare con Taylor.

Penso solo a quello, è un tormento.

Devo parlare con Taylor.

« Ma no, dai, pranziamo insieme fuori! » propone, intraprendente.

« E poi? Vuoi anche un polmone? » borbotto io a denti stretti, mentre vado ad alzarmi dal letto.

Devo assolutamente fare un discorso con Taylor. Assolutamente.

Devo chiedergli il perchè di tutto questo.

E dirgli in faccia quanto lo odio.

Sopratutto.

« Cos'hai detto? » chiede lui, che purtroppo si è fatto sfuggire questa mia uscita di spiccata ironia.

« Niente. Allora fra un'ora, un'ora e mezza giù al portone della villa. Ti va bene? » gli dico, spicciola.

« Va bene. A dopo, fiorellino! » esclama lui, cinguettando.

Gli chiudo il telefono in faccia, con una smorfia.

Mi vesto in fretta, semplici shorts di jeans che lasciano libere le gambe, calze a rete dalla trama larga, nere, i soliti New Rock e una canotta a bretelle, rosso fragola, come i miei capelli. Che oggi lascio sciolti, ribelli. Con la canotta così scollata, si vede fuoriuscire una porzione del mio tattoo che arriva fino alla spalla, prendendo tutta la scapola: dei rami di ciliegio in fiore. Il resto, la parte più importante di quel tattoo per me, non è visibile, quasi a nessuno. Infilo vari bracciali tintinnanti ai polsi, una collanina con un ciondolo a forma di orologio, nero, in stile vittoriano.

Questa è Lily.

Mi fiondo in bagno, non trovando nessuno nel corridoio.

La porta di Taylor è ancora chiusa.

Ho quasi l'istinto di bussare, ma preferisco evitare. Già ha deciso di non parlarmi più, e quando lo fa provoca solo danni, figurarsi andare a rompergli le scatole mentre dorme. Anche se son le undici. Nella distrazione però, mentre svolto l'angolo per il bagno davanti alla sua porta, vado a beccare con una spallata lo spigolo del muro.

« Ouch! Cacchio! » sbotto ad alta voce, prima di trattenere subito il respiro e portare una mano sulla bocca.

Okay, se l'ho svegliato adesso avrò tutto il suo odio per sempre.

Corro in bagno, dileguandomi velocemente.

Sospiro, mi avvicino al lavandino, inizio a lavare lentamente il viso, dopo aver legato i capelli in un uno chignon scomposto.

Chiudo gli occhi, l'acqua va a rinfrescarmi il viso, lo insapono e lo risciacquo. All'improvviso sento un brivido lungo la spina dorsale.

Apro gli occhi, e al lavandino di fianco a me c'è chinato Taylor, che nel mentre dev'essere arrivato in bagno e che anche lui si sta lavando.

Se si è svegliato per colpa mia, sarà la mia fine.

Resto ferma a guardarlo, inspirando a fondo, le mani che mi coprono la bocca, mentre i suoi addominali vanno contraendosi mentre si abbassa. Perchè sì, è a torso nudo.

Dalla sera della cena non ci siamo più detti mezza parola.

Mi ignora deliberatamente, mentre anche lui va ad avvicinare i palmi per riempirli d'acqua da portare sul viso. Indossa solo dei pantaloni da tuta grigio scuro, a vita bassissima, tanto che riesco ad intravedere l'intimo nero.

Mi ritrovo ad osservare alcune gocce d'acqua che lentamente vanno a percorrere la linea del suo collo, delineandolo e scendendo placide verso le clavicole.

Osservo i suoi muscoli, gli addominali che si contraggono mentre si china, i bicipiti che si gonfiano quando piega le braccia.

Ah, perfetto.

Sono diventata una guardona.

No, no, va benissimo.

Tanto io mica ce li ho gli ormoni in esplosione!

Mi costringo con tutta la buona volontà che riesco ad accumulare di voltarmi e prendere distrattamente un asciugamano, che porto a coprire tutto il viso, più che altro per non cedere alla tentazione di guardarlo ancora.

« Ehi. » sento mormorare, da parte sua. Con un tono roco, anche lui per il sonno recente. Sarà la prima parola che dice questa mattina.

Io abbasso l'asciugamano, lasciando uscire solo gli occhi, per guardarlo. Leggermente chinato sul lavabo, il viso gocciolante d'acqua, si volta un attimo a guardarmi.

« Mi passi il mio asciugamano? » mi chiede, piatto.

Io annuisco, prendo l'asciugamano avorio – perchè non penso che il suo sia il rosa shocking – e glielo porgo.

Ho la mano che trema, mi fa male il petto.

Eppure mi accontenterei di stargli affianco così, sentire questo strano e piacevole fastidio nello stomaco. Guardarlo, senza dire nulla.

« Grazie. » mi dice, a mezza voce, mentre prende l'asciugamano dalla mia mano.

Si solleva dritto accanto a me, i muscoli della schiena si tendono, il nostro sguardo s'incrocia un attimo sul riflesso dello specchio.

Per solo un attimo, per la prima volta, il mio istinto è quello di abbracciarlo e baciarlo.

Baciarlo.

Sì.

Come una cascata di acqua gelida, come una devastante consapevolezza, uno schiaffo deciso alla mia ottusaggine, mi rendo conto che tutto quello che vorrei ora è poterlo baciare.

E che in realtà è quello che voglio da parecchio, parecchio tempo.

Poggio l'asciugamano, e mi afferro stringendo forte il bordo del lavabo.

Inspiro a fondo, e in uno slancio di coraggio apro la bocca per parlare.

Ma questa non emette suono, perchè prorompe in bagno Makena.

« Shoppiiiing! » esclama allegra, trotterellando verso il lavandino, spintonando appena Taylor. « Fratellino, oggi mi porti a fare shopping, vero? » chiede lei, sorridendogli amorevolmente.

Anche lui accenna un sorriso, quindi annuisce. Era da un po' che non lo vedevo sorridere.

« Tu vieni con noi, vero, Lily? » mi chiede Makena, voltandosi verso di me.

Io guardo Taylor un istante, giusto per vedere scomparire il suo sorriso, prima di voltarsi a prendere lo spazzolino per lavare i denti. Quindi chino lo sguardo, con un mezzo sospiro, prendendo dal mio piccolo beauty case la matita nera. Mi sporgo verso lo specchio, guardando ora dritto davanti a me, e iniziando a tracciare sicura una linea nella rima interna dell'occhio.

« No Makie, mi dispiace. » commento, a labbra strette, per essere precisa col trucco. « Ho un appuntamento. » mi limito a dire, con una scrollata di spalle.

Improvvisamente Taylor scoppia a tossire, affogandosi probabilmente col dentifricio, facendomi sobbalzare e trattenere il fiato. Lo guardo sgranando gli occhi, insieme a Makena. Lui va ad afferrare subito l'asciugamano e a coprirsi la bocca, per soffocare i colpi di tosse, voltandoci le spalle.

Makena aggrotta la fronte, prima di tornare a parlare con me. « Un appuntamento?! E chi è? » mi chiede curiosa la ragazzina.

Il mio sguardo si sposta veloce su Taylor, prima che io risponda.

Non sono mica scema.

Ottusa sì, ma scema no.

Assottiglio appena le palpebre, quindi di nuovo con noncuranza rispondo a Makie.

« Ah, è il mio ex ragazzo. E' venuto qui da San Francisco per convincermi a tornare con lui. » le spiego, aggiungendo vari dettagli non richiesti, cosa che solitamente non faccio mai.

« Makena, ti aspetto sotto. » sento sbottare improvvisamente.

Taylor butta l'asciugamano con poca cortesia sul lavabo, il viso arrossato e gli occhi lucidi per lo sforzo della tosse, uscendo velocemente dal bagno. Dopo pochi istanti, sento la porta della sua camera sbattere.

Faccio finta di nulla.

Eppure queste sue reazioni mi fanno pensare.

Che mi stia solo autosuggestionando?

« Ma che gli prende a quell'altro? » sbotta la ragazza, prendendo a sua volta lo spazzolino, scuotendo il capino scompigliato. « E' nervosissimo da quand'è tornato! » esclama, iniziando poi a lavare i denti.

Mi limito a fare altrettanto, con una scrollata di spalle.

Devo parlare con Taylor.

Devo trovare il modo di parlargli da sola.


*


Quando io e Makie scendiamo per fare colazione, Taylor sta finendo di bere il suo caffè.

Appena ci vede arrivare, si rivolge alla sorella.

« Vado a mettere in moto la macchina, ti aspetto. » le dice semplicemente, senza degnarmi di uno sguardo. Si volta e va via, uscendo sul retro. E mentre si allontana posso osservarlo. I jeans che abbracciano senza avvolgere eccessivamente le forme del suo corpo. Il suo sedere. La t-shirt di un blu spento, con ampio scollo tondeggiante, che spicca incredibilmente in contrasto con la sua carnagione scura, e le cui pieghe si muovono morbidamente seguendo i muscoli del suo corpo.

Per l'ennesima volta, mi ritrovo a poterlo osservare liberamente solo mentre è di schiena.

Questo mi fa innervosire, da morire.

« Vado anch'io, Makie. A stasera. » le dico, accennando un sorriso. Lei ricambia il saluto mentre mangia un po' di frutta, agitando la mano a mezz'aria. Quindi mi volto e mi dirigo velocemente verso l'entrata principale.

Percorro il viale più grande, tanto oggi non credo di aver nulla da temere.

Arrivata nei pressi del cancello, vedo questo iniziare ad aprirsi da solo. Mi volto indietro e la Chevrolet nera di Taylor è a poca distanza da me, e avanza anch'essa verso l'uscita della villa. È mentre io attraverso il portone aperto che la macchina mi raggiunge, passando lentamente accanto a me.

Vedo Nate poggiato sul muretto qui di fianco, e lo saluto accennando un sorrisino poco convinto e sollevando la mano a mezz'aria.

« Fiorellino! » esclama lui, allegramente, sorridendo apertamente, avvicinandosi veloce e abbracciandomi.

« Nate! » sibilo a denti stretti, minacciosa.

« Buon appuntamento, ragazzi! » sento cinguettare alle mie spalle.

Restando nelle braccia di Nate, che nonostante le spinte non ne vuole sapere di allontanarsi, mi volto indietro col capo e mi ritrovo a pochissima distanza il finestrino dell'auto di Taylor.

Per forza di cose i nostri sguardi vanno ad incontrarsi, e il suo è terribile. Mi guarda con le sopracciglia corrugate, le palpebre mezze chiuse, i muscoli contratti. Lo vedo anche dalla sua mano, che stringe convulsamente il volante. Alterna per pochi istanti lo sguardo tra me e Nate, che gli sorride affabile, mentre mi accarezza distrattamente la schiena.

Nate, odioso figlio di puttana.

Come se non lo conoscessi bene.

Non faccio in tempo a rispondere a Makena che Taylor accelera velocemente e sgomma via.

Osservo la macchina allontanarsi, prima di voltarmi di scatto verso Nate.

Lui molla subito la presa dell'abbraccio, appena vede il mio sguardo incandescente.

« L'hai fatto apposta. » asserisco, acidamente.

« E anche se fosse? » chiede lui, mettendosi le mani in tasca, mentre iniziamo a camminare. « Quel ragazzo è antipatico. »

« Taylor non è antipatico. » mi sbrigo a sibilare io.

Lui mi guarda qualche istante, camminando.

Tira fuori il pacchetto di Lucky Strike dalla tasca, lo avvicina alla bocca, prendendone una tra le labbra, quindi va ad accenderla, inspirando subito una boccata di nicotina.

« Sei patetica, lo sai? » mi chiede retoricamente, rimettendo il tutto nei jeans sgualciti. Sopra indossa una camicia a maniche corte, con fantasia scozzese sul rosso, sopra ad una canotta bianca che s'intravede appena.

Mi volto a guardarlo, strabuzzando gli occhi.

« Cosa? » chiedo, allibita.

« Sei terribilmente patetica. » ripete lui, senza guardarmi.

Signori e signore, ecco il vero Nate.

Nate il testa di cazzo.

« Hai visto come ti tratta? L'altra sera non ti ha neanche salutato, quando è andato via, e ti voleva tirare dentro casa neanche fossi il suo animale domestico. Ti guarda male. Sembra un mastino. Perchè tu continui a difenderlo? »

Stringo le labbra qualche istante.

« Nate, tu non sai nulla di questa faccenda. Non sai nulla del perchè siamo arrivati a questo punto. Tieniti le tue considerazioni del cazzo per te, per piacere. » sbotto io, terribilmente sulla difensiva.

Lui resta in silenzio. Continuiamo a camminare, arrivando alla fermata del bus. Fuma taciturno, sento solo i sospiri che emette per cacciar fuori le quantità di nicotina aspirate.

Neanche io dico più nulla.

L'avrò zittito, grazie al cielo.

« Come hai fatto ad innamorarti di un tipo così? » mi chiede improvvisamente, con la sua voce solita, strascicata. Noncurante.

Io sento come se mi avessero tirato addosso una secchiata di acqua gelida.

Il cuore che sprofonda nei meandri del mio stomaco.

« I-io non sono innamorata di lui. » affermo, con un lieve tremore della voce, guardando Nate con gli occhi spalancati.

Sto avvampando.

Mi fa male lo stomaco.

Cos'ha detto?

Innamorata?

Io? Di Taylor?!

Non scherziamo.

« Lily, ti prego... possibile che devi essere sempre così testarda? Perchè devi negare l'evidenza? » chiede ancora lui, sedendosi intanto sulla panchina sotto la tettoia della fermata del bus. « Si vede. E' palese. Si vede da come lo guardi. » continua lui, sospirando. Solleva il viso verso di me, quello sguardo azzurro, cristallino. Mi sorride appena. « Io lo so bene come guardi una persona quando sei innamorata. » aggiunge, con un velo di tristezza nella voce.

Lo guardo, il mio respiro è lievemente più veloce. Mi limito a scuotere il capo.

Sono confusa.

Le parole che ha usato Nate piombano su di me come un macigno, su cui vi è scalpita a grandi lettere una sola parola: consapevolezza.

Devo parlare con Taylor.

Devo parlare con Taylor.

Al più presto.


*


L'appuntamento, o quello che è, va abbastanza tranquillo.

O meglio, più che tranquillo, dovrei dire piatto.

Dopo un po' riesco a parlare con Nate quasi come una persona normale. Mi aggiorna su quello che succede a San Francisco, sulla nostra cerchia di amici.

Mangiamo tranquilli un panino al Bridge Park della sesta strada, affacciati sul fiume.

Sporta proprio a poca distanza dal Grand River, ascolto i racconti di Nate in silenzio. A volte mi fa quasi ridere.

Nate sapeva come farmi ridere.

Oh, sì, io e lui ci divertivamo un mondo.

Prima che andasse a letto con una delle mie più care amiche, s'intende.

Rifletto su quanto fosse diventata monotona la mia vita, prima di conoscere Taylor.

Su quanto lo fosse sempre stata, in realtà, a parte quel periodo con Nate, che ora considero sono un mucchio di belle bugie, un ricordo sfocato di una vita che mi è scivolata tra le mani in un modo troppo veloce e troppo doloroso.

Taylor è stato davvero un uragano.

Da quando lo conosco, queste farfalle non ne vogliono sapere di andare via dallo stomaco.

Dio, Nate ha ragione, sono davvero patetica.

Sospiro, silenziosa, mentre lancio le briciole restanti del panino ai piccioni vicino alla nostra panchina.

La giornata passa così, tranquilla. A chiacchierare in riva al fiume. Mi sento distesa, ma non riesco a scansare del tutto i mille pensieri che mi frullano in testa.

E' verso le sei del pomeriggio che decidiamo di andarcene.

In realtà Nate mi porta ancora in giro per la città, che dai colori aranciati del tramonto volge alla sera.

Continuiamo a parlare del più e del meno.

Quando vedi il tuo ex ragazzo dopo un anno e mezzo, quel “più e meno” basta e avanza per riempire una giornata, un pranzo e una cena.

« Perchè l'hai fatto, Nate? » gli chiedo ad un certo punto, calma, davanti ad una pizza in un piccolo ristorante in centro.

Lui solleva lo sguardo su di me, per qualche istante, quindi va a lasciarsi cadere contro lo schienale della sedia, sospirando.

« Non lo so. Quella sera... Non sono andato lì per quello. Te lo giuro. » mi dice lui, ripetendomi parole già dette. Milioni di volte.

« Ti ho chiesto perchè l'hai fatto. » ripeto io, lenta, sollevando gli occhi verdi su di lui. « L'hai trovato eccitante? Hai pensato che sarebbe stato figo farlo con lei? Ti è sempre piaciuta tanto da arrivare ad andarci a letto? Pensavi che non l'avrei scoperto? O meglio... pensavi che lei non ne avrebbe approfittato per sbandierarlo a tutti, me in primis? » continuo a chiedergli, inarcando appena un sopracciglio.

« No, no, no... niente del genere! » esclama lui, scuotendo il capo, portando poi la mano tra i capelli, a scompigliarli appena. « Avevamo fumato, le ho portato un po' d'erba per farla calmare. E' stata solo una serie di gesti, e di parole. Volevo solo consolarla, una carezza ha tirato l'altra e... insomma, è stato un errore, ma è successo solo quella sera. Pensavo davvero che volesse ammazzarsi. Te lo giuro. »

« Smettila di giurare. » gli dico, io, a mezza voce. « Non serve. »

« Lily » incalza lui, poggiando veloce la sua mano sulla mia. « Io ti amo davvero. »

Lo guardo.

Dio.

Dio.

Sto impazzendo.

No, sono già impazzita!

Perchè la mia mente si sta sforzando di sostituire il suo viso con quello di Taylor?!

DIO!

Scosto velocemente lo sguardo, inspirando a fondo, e ritraendo la mano.

Ma lui l'afferra, tenendola stretta.

« Lily, lo so che è tardi. Che è passato tanto tempo. Che dopo quell'episodio tu non hai più voluto vedermi. Ma credimi » mi dice, con enfasi « non sarei mai venuto qui se non avessi ancora avuto il forte, fortissimo desiderio di stare con te. »

« Così forte che ti è servito vedermi abbracciata ad un altro ragazzo per ricordarti di me. » commento, annoiata.

« No, non è vero. Quando ho visto quella foto io mi sono solo preoccupato. Mi son chiesto “che diavolo ci fa Lily, la mia Lily su una rivista di adolescenti tra le braccia di uno scimmione di quelli che tanto odia”? » la sua Lily. Accenno un sorrisino divertito. Sentire quella possessività da parte sua... Non mi fa nessun effetto. Nessuno. « Quello non è il tuo mondo. La vita che fa quel ragazzo ti stancherebbe, ti stremerebbe. Quello non è il mondo in cui sei cresciuta, e non ti ha mai interessata. Lascialo perdere. » continua a dire.

Apro la bocca per replicare, ma non me lo lascia fare.

« Lascia perdere quel ragazzo. Ti fa stare male. Ti farà stare sempre male. Torna con me a San Francisco. » aggiunge infine.

Io lo guardo, poi chino lo sguardo verso la pizza, che si fredda.

Quello di Taylor non è il mio mondo, è vero.

Non lo sarà mai.

Ed è vero anche che starò male, sempre.

Devo togliermelo la mente, prima che quello che provo possa inevitabilmente peggiorare.

Adesso che ancora non è nulla.

Perchè non è ancora nulla, vero?

« Devo parlarci. Devo chiarire le cose. » mi limito a sussurrare.

Non gli ho detto di sì. Ma non gli ho detto neanche di no.

Questo sembra bastargli, tant'è che mi sorride fiducioso, e poi riprende a mangiare la sua pizza.

Terminiamo la cena ritornando su discorsi inutili, senza senso.

Per me ora non ce l'hanno.

Ritorno pensierosa, e lui sembra capirlo.

Mi riaccompagna alla villa dei Lautner senza fare ulteriori riferimenti a Taylor, almeno finchè non arriviamo al cancello.

Mando un messaggio a Makie, per chiederle di aprirmi senza dover suonare il campanello. E' quasi mezzanotte.

Intanto, d'un tratto, mi ritrovo la mano di Nate sulla guancia, che l'accarezza lentamente, solo col pollice.

Sollevo lo sguardo verso di lui.

« Non vorrei mai vederti soffrire, Lily. Ma se è necessario per farti aprire gli occhi e farti tornare alla realtà, spero che parli presto con quel tipo e ti metti il cuore in pace su di lui. Ti parlerà male, ti scaricherà, e al solo pensiero io m'incazzo, te lo giuro. Ma devi farlo. Per te... per noi. Parlaci, e fammi sapere. » mi dice, prima di avvicinarsi e darmi un bacio sulla fronte.

Il suo dolce bacio della buonanotte.

Dovrei essere contenta?

Dovrei sentire qualcosa?

Gratitudine, magari, per queste belle parole?

No, davvero, grazie tante.

Lo saluto con la mano, in silenzio, e poi attraverso il cancelletto che Makie ha aperto per me.

L'erba è fresca, gli idranti sono in funzione, e ogni tanto mi arrivano degli schizzi d'acqua a rinfrescarmi le gambe.

Entro in casa dal retro, salgo velocemente nella mia camera.

In giro non c'è nessuno. Saranno tutti a letto, o comunque nelle loro stanze.

Entrata nella mia, mi butto sul letto, con tutta la borsa addosso.

Porto a coprirmi gli occhi con il braccio.

Sento una morsa alla bocca dello stomaco.

Non posso andare a parlarci ora. E' tardi.

Ma quando? Non riesco mai a beccarlo da solo.

Devo parlargli.

Voglio almeno vederlo.

Dio, se voglio vederlo.

« Non sono innamorata. Non sono innamorata. » mormoro, schiudendo appena le labbra in un mormorio sommesso, mentre l'altra mano, adagiata sul letto, va a stringere le coperte. « Io non sono innamorata di Taylor Lautner. » continuo a dirmi.

Come se fosse un mantra, cerco di scolpire nella mia mente quelle parole.

Ma non funziona, non funziona per niente.

Al nominare il suo nome, il mio stesso sussurro trema appena.

Mi basta pensarlo per provocare un'ondata di emozioni che neanche il bacio che mi ha dato Nate è stato in grado di fare.

E' assurdo.

Io lo odio.

Lui incarna tutto quello che io odio.

Mi sollevo a sedere, lentamente, togliendo la borsa dalla spalla e poggiandola a terra.

In questo momento il mio sguardo cade sul comodino accanto al letto.

Resto immobile, spalancando appena gli occhi. Mi avvicino.

Sulla superficie di legno chiaro del comodino vi è adagiato un Lilium.

Ha i petali grandi, rigogliosi. Bianchi, con l'interno rosa, screziati da macchioline più scure.

Lo prendo delicatamente tra le mani, lo porto vicino al naso, mi riempio le narici del suo profumo, socchiudendo gli occhi.

Lo rigiro tra le dita, osservando le antere di un colore giallo intenso.

Ad un tratto, il bussare alla mia porta mi fa trasalire.

Chi è a quest'ora?

Lascio il fiore sul comodino, mi avvicino e apro la porta.

Makena è aldilà di essa, già in camicia da notte.

« Makie, dimmi. » mormoro io, per non far rumore. « Grazie mille per il fiore, è davvero bellissimo. » aggiungo subito, accennando un sorrisino.

Lei mi guarda qualche istante, aggrottando appena la fronte, prima di far schioccare la lingua contro il palato, e inspirare. E' stranamente seria.

« Lily, io lo so che spesso do l'idea della ragazzina un po' svampita, e oltretutto il fatto che io sia più piccola di te e Tay non vi permette di prendermi sul serio quando devo dire qualcosa d'importante » inizia a dire lei, a bassa voce. Io la guardo, interrogativa, le sopracciglia appena corrugate. « Ma, Lily, volevo solo dirti che... Si vede. E' palese. Smettetela di prendervi in giro. » continua a dire lei. Io chiudo le labbra, strette. Deglutisco.

« A... a cosa ti riferisci? » chiedo io, titubante.

Lei mi guarda qualche istante, poi sbuffa, scuotendo appena il capo.

« Taylor è nella sua stanza. E' sicuramente sveglio. » mi dice, semplicemente, prima di iniziare a voltarsi verso la sua camera. Poi si ferma, di nuovo torna a guardarmi. « Ah... » inizia a dire, e mi pare di vedere un accenno di sorriso sul suo volto. O forse la sua espressione è solo dannatamente eloquente. « Il Lilium non te l'ho lasciato io, in camera. » aggiunge, e io ci metto solo qualche secondo prima di realizzare cosa voglia dire. Sgrano gli occhi, mentre lei mi fa “ciao ciao” con la manina.

Non aspetto neanche che si chiuda in camera.

Esco, lasciando anche la porta aperta della mia, dirigendomi velocemente verso la fine del corridoio.

Basta.

Makie ha ragione.

Bisogna smetterla di prendersi in giro.

Devo parlare con Taylor.

Devo parlare con Taylor.

Devo parlare con...

Arrivo davanti alla sua porta chiusa.

Resto ferma, immobile, ad osservarla. Mi sento una cretina.

Poi scuoto il capo, velocemente, e vado a bussare prima che qualsiasi altro stupido fattore possa impedirmi di farlo.

Ho bussato. Timidamente, ma l'ho fatto.

Il mio cuore sta per esplodere.

Sento delle voci sommesse, i suoi passi che si avvicinano. Sto già avvampando.

Apre la porta, di pochi centimetri.

Vedo il suo viso vicino al mio, come non lo era ormai da tempo.

Lo guardo, lui mi guarda. Sembra stupito di vedermi. Ha un'espressione sofferta. Sembra quasi... Trattenersi.

Non dice nulla.

« Dobbiamo parlare. » mormoro, cercando di mantenere la mia voce il più ferma possibile.

« E' tardi, vai a dormire. » risponde lui, in un soffio.

E chiude la porta.

Resto immobile, lo sguardo allucinato.

Sbatto le palpebre più volte, confusa, frastornata.

Ha davvero chiuso la porta?

Mi ha davvero chiuso la porta in faccia?!

Inizio a respirare in modo veloce, e irregolare.

Calmati Lily, calmati.

Stringo le labbra, e le mani in due pugni, spasmodicamente.

Calmati Lily. Vuoi solo ucciderlo.

Calmati.

Conta fino a dieci.

Uno, due, tre... fanculo!

Altrochè emozione. Altrochè batticuore.

Questo ragazzo mi fa girare i coglioni a trecentosessanta gradi!

Busso di nuovo, tre volte secche, più forte.

Sto tremando per il nervoso.

Lo sento avvicinarsi di nuovo alla porta.

« Ho detto che devi andare a-- » inizia a dire lui, mentre la apre. Ma non gliene do modo.

Nel momento in cui la sta aprendo, mi fiondo sulla porta con tutto il mio peso, buttandomici all'interno.

« E io ho detto che dobbiamo parlare! » esclamo, aggressiva, ad alta voce.

A questo punto possono svegliarsi tutti. Non me ne frega niente.

Gli arrivo praticamente addosso.

Indietreggiando, lui inciampa sulla sua valigia, e cade all'indietro.

E io con lui.

Lancio un urlo, mentre perdiamo l'equilibrio, proteggendomi contro di lui, involontariamente.

Con un tonfo ci ritroviamo sul suo letto. Taylor è steso sotto di me, t-shirt nera semplicissima e i soliti pantaloni da tuta con cui dorme, e mi guarda con gli occhi sgranati. Io prendo fiato, e solo dopo poco mi rendo conto di essere mezza a cavalcioni su di lui.

Apro gli occhi, i nostri sguardi s'incrociano. Sento il suo calore.

Sento il suo respiro.

Di nuovo.

Tutto questo mi agita, terribilmente. Mi fa diventare paonazza.

Ma dall'altro lato mi piace, mi piace da morire.

Mi piace guardarlo da vicino, osservare le sue labbra, la fossetta sul mento, l'espressione di puro sconcerto che ha ora stampata in faccia.

I suoi avambracci restano sollevati in verticale, le mani aperte, per non rischiare di toccarmi suppongo.

Resto immobile così. Cosa devo fare? Come posso iniziare? Dovrei cambiare posizione, no? Non possiamo parlare così, no?! Non riesco a muovermi!

« Ehi... Tay-Tay, ma che succede? Che furia! » sento una voce rompere il silenzio.

Mi volto, e sulla sua scrivania vedo il portatile aperto, e il viso di una ragazza che ci osserva con fare interessato. E divertito.

Mi scosto di botto da lui, crollando seduta di fianco.

La conosco.

Il suo viso mi è familiarissimo.

« Niente, Kris, chiudi la chiamata. » dice lui, in difficoltà.

« Rob! Vieni qua! » sento dire dalla ragazza, a qualcuno che è con lei, con un tono palesemente divertito, prima di voltarsi di nuovo verso di noi. « Ma sei fighissima! Ma che colore di capelli hai?! Sono magenta?! Wow! » chiede sorridendo con entusiasmo.

Coi capelli castani sciolti morbidamente sulle spalle, l'incarnato chiarissimo, penetranti occhi verdi.

Ah, l'attrice di Bella - com'è che si chiama? Kristen qualcosa? - mi ha appena fatto i complimenti per i miei capelli. Mi sembra così assurdo che mi dimentico di ringraziarla.

Mi dimentico proprio di parlare.

Dopo poco, sbuca dal lato della camera anche un altro ragazzo, accanto a Kristen. Anche lui, lo riconosco all'istante. Alto, slanciato, capelli castano chiaro scompigliati verso l'alto, pelle chiara, sorrisetto ironico, la barba rossiccia vecchia già di qualche giorno. Edward. Cioè, Robert.

Sgrano gli occhi.

« Ehi ehi ehi, ma chi è quella bella figliola? » chiede lui, arricciando le labbra in un sorrisino, mentre porge una tazza a Kristen e va a sorseggiare dalla sua.

« ROB! » sbottano in coro Taylor e la ragazza. Lui ridacchia, divertito. Ha uno sguardo furbo, sornione. Io resto immobile ad alternare lo sguardo tra i tre. Sono terrorizzata. Vedere tre volti del genere insieme in una situazione così normale, così... mortale, è troppo alienante per me.

Lei resta qualche istante ad osservarmi, riflettendo. Poi improvvisamente sgrana gli occhi. « Ehi Tay, non dirmi che lei è la ragazza che ti-- »

« OKAY » urla lui, alzandosi velocemente dal letto. « Basta così, ci sentiamo dopo eh?! » aggiunge, velocemente, e senza dare il tempo ai due di ribattere chiude il portatile con poca cura.

Resta immobile qualche istante, senza guardarmi. Vedo il suo torace che si alza e si abbassa, velocemente. Contrae i muscoli della mascella. È teso. Forse quasi quanto me.

Siamo soli. Chiusi in camera, soli.

Senza interruzioni.

Senza altra gente.

Io e lui.

« Lily, cosa sei venuta a fare qui? » sbotta improvvisamente, guardandomi, restando però in piedi vicino alla sua scrivania.

Come se avesse paura di avvicinarsi.

« Sono venuta a parlati. » rispondo prontamente io.

« Non c'è nulla da dire. »

« E invece sì, tante cose. »

« No, vattene. »

« No, devi parlarmi, devi dirmi-- »

« Vattene. »

« NO! » la mia ultima risposta prorompe aggressiva, prepotente.

Mi alzo in piedi, e mi avvicino di qualche passo.

« Perchè? Dimmelo! Perchè da un momento all'altro hai deciso che io e te non dovevamo più dividere nulla, neanche quel briciolo di quotidianità?! » chiedo, stringendo le mani in due pugni. « Cos'è scattato nella tua mente?! Cos'è cambiato? Perchè sei diventato scontroso e aggressivo?! » continuo, avvicinandomi. « Ti sei rotto? Hai capito che avere una comune mortale che ti gironzola intorno è solo una palla al piede?! » chiedo, sarcasticamente.

Lui si volta a guardarmi, spalancando appena gli occhi, colpito.

« Assolutamente no! » esclama in risposta.

« Allora cosa? Cosa, Taylor?! Lo so che non c'entriamo nulla, io e te. L'ho sempre saputo. » gli dico, chinando appena lo sguardo. « Sapevo che io e te non saremmo potuti essere neanche amici, ne ero consapevole, ma... addirittura non parlarmi?! Ignorarmi?! Dirmi tutte quelle cose cattive?! Andartene via per due settimane senza neanche salutarmi?! » continuo a chiedergli, a inondarlo di domande.

Devo essere paonazza.

Resta qualche istante in silenzio, respirando veloce, gli occhi socchiusi verso il basso, prima di ritornare a rispondermi.

« Questa è la mia vita, Lily. Posso dover partire anche da qui a cinque minuti. E' tutto inaspettato, è tutto inevitabile. Lo vedi? Non lo capisci! » esclama in risposta, esasperato, avvicinandosi anche lui di un passo. « La persona che tu hai conosciuto, il ragazzo con cui hai parlato, è una parte di me che non può esistere più. Non ne ho il tempo, non ne ho la possibilità. Non posso illuderti. Non voglio che pensi che puoi avere un rapporto normale con me. Hai visto cosa ti è successo a stare accanto a me, no? »

Porta la mano tra i capelli corvini, a massaggiarsi la testa, in difficoltà.

« Non te l'ho mai chiesto! » rispondo io, inspirando a fondo. « E non è vero. Non è vero! Il ragazzo che mi ha portato a vedere le luci, quello con cui mi sono confidata... Quello sei tu! E' una parte che tu hai deciso di accantonare. Sei tu che la vuoi soffocare! E non riesco a capirne il motivo! »

« No, no, no. Io e te non possiamo avere un rapporto normale. Smettila, devi convincertene. »

« Cos'è un rapporto normale, per te? Non so cosa intendi. Non capisco cosa vuoi dire! Quello che abbiamo avuto finora era un rapporto anormale?! Era qualcosa di strano?! A me stava benissimo così, qualsiasi cosa fosse. » rispondo, confusa. Non lo capisco.

« E' un rapporto che non può andare avanti. L'hai detto tu stessa, tante volte. Io e te facciamo parte di mondi diversi. Tu, a tue spese, hai assaporato cosa significa vivere nel mio. Sei stata male, stai male. E so che non è quello che tu vuoi. Non è quello che voglio neanche io. Io... volevo solo allontanarti, per proteggerti. Da me e dal mio mondo. » risponde, serio, confessando quelle parole con uno sforzo incredibile, e con un'espressione sofferente.

Esattamente come la mia.

Inspiro. Una, due, tre volte.

Non mi vuole nel suo mondo.

Non mi vuole.

Lui ha deciso che io potrei star male, accanto a lui.

Lui ha deciso di allontanarmi, per proteggermi dalla sua vita.

Ha fatto tutto da solo.

Come se io non fossi in grado di decidere cosa fare, con chi stare, chi volere di fianco a me.

I miei occhi si velano di lacrime di rabbia, di tristezza, di dolorosa consapevolezza.

Una consapevolezza che ho tenuto dentro per troppo tempo.

« Sai qual è la novità, Taylor? Che tu sei un egoista di merda. » dico improvvisamente io. La mia voce è completamente incrinata dalle lacrime che sto cercando di trattenere. Sollevo lo sguardo, verso di lui.

Ad incrociare i suoi occhi tremendamente belli.

Fa male guardarti.

Sei così bello che fa male guardarti.

« Tu... Tu con le tue parole, i tuoi gesti, la tua gentilezza... » continuo a dire, in un modo forse un po' sconclusionato. « Io un po' mi sentivo già parte del tuo mondo. E' questa la verità. » mormoro, tremante. « Tu mi hai fatta entrare nella tua vita... E poi mi hai cacciata via. Dici che volevi proteggermi... Proteggermi da qualcosa che tu hai iniziato a farmi piacere. Hai deciso da solo tutto quanto. Per questo sei egoista, e crudele. » concludo, sempre guardandolo.

Lui stringe le labbra, sgrana gli occhi. E' in difficoltà.

Inizio ad arretrare verso la porta, lo sguardo basso. Ricaccio indietro le lacrime.

« E sai ora qual è il problema? » aggiungo, posando la mano sulla maniglia. Torno a guardarlo. Voglio quantomeno andarmene senza piangere. « Che adesso per me è praticamente impossibile immaginarmi in un mondo in cui non ci sei tu. » concludo.

Con una voce che non pensavo di poter mantenere così tranquilla.

Eppure dentro di me sta avvenendo il finimondo.

Sì, è la fine del mondo.

Nel momento in cui pronuncio quelle parole, la realtà che mi ostinavo a nascondere esplode come una bomba nucleare dentro di me.

Lui trattiene il fiato, o almeno è quello che sembra. Sgrana ancora di più gli occhi. Schiude le labbra, forse per parlare, ma non dice nulla infine.

Lo guardo pochi istanti, prima di mormorare un “buona notte”, che alle mie orecchie sa tanto di “addio”.

Mentre me ne vado, non voglio che veda il mio viso stravolto dalle lacrime, o dalla tristezza.

Voglio che veda la ragazza fiera che è venuta ad ammettere di essere totalmente caduta vittima di quel sogno che la spaventava così tanto, e che l'ha puntualmente delusa come c'era da aspettarsi. Ma che rimane sicura di quello che pensa. Delle sue scelte, delle sue parole.

Non so se sono riuscita nell'intento, però.

Lui resta immobile. Mi richiudo la porta della sua camera alle spalle.

Lentamente inizio a percorrere il corridoio, buio e silenzioso, verso la mia camera.

Sento solo i miei stessi passi lenti sulla moquette.

E' tutto annebbiato. La mia vista, la mia mente.

Come se il mio corpo stesse tornando nella mia camera da solo, e io, la mia anima e la mia coscienza lo stessimo guardando dall'esterno.

Sospiro.

Fanculo i soldi. Fanculo il lavoro.

Devo andarmene.

Devo andarmene domani, altrimenti questa... questa malattia, non guarirà più.

Il silenzio però dura il tempo di percorrere qualche passo.

Sento la sua porta aprirsi di nuovo.

Il tempo di sollevare lo sguardo, e voltarmi indietro, che mi ritrovo improvvisamente sbattuta contro il muro.

Trattengo un'esclamazione di sofferenza poco simpatica, come al mio solito, quindi apro gli occhi.

La prima cosa che vedo, e anche l'unica, è il volto di Taylor a poca, pochissima distanza dal mio.

Le sue mani tengono ferme le mie, inchiodate contro il muro.

Mi sta sovrastando col suo corpo.

È serio, mentre mi guarda.

Il suo profumo mi sta fottendo la testa. Perfetto.

« Dimmelo chiaro, Lily. » mormora lui, in un soffio carezzevole sulla mia pelle.

Ho i brividi.

« Cosa? » gli chiedo, a bassa voce.

Dio, siamo nel corridoio.

« Dillo chiaro che sei irrimediabilmente attratta da me. » mormora ancora, arricciando le labbra in un sorrisino divertito, che rende i suoi occhi due mezzelune lucenti, ironiche. Non lo vedevo sorridere in un modo così sfrontato da un po'.

Mi tremano le gambe.

Mi basta quel sorriso.

Quel sorriso è tutto, è abbastanza.

Sento di nuovo il mio cuore leggero, scivolare fuori dal sacchetto di plastica, pompare forte e vigoroso.

La tossica nuvola dell'angoscia si sta dissipando, velocemente.

Sta uscendo di nuovo il sole.

È bastato un sorriso.

E io mi sto sciogliendo, come un cubetto di ghiaccio sotto la luce potente dei raggi solari.

« Sei uno stronzo. » rispondo io, in un flebile mormorio, tremante.

Lo guardo. Il respiro è corto, irregolare.

Il cuore galoppa.

E io faccio una cosa che non avrei mai pensato di poter fare.

Socchiudo gli occhi, allungo il viso quel che basta per annullare totalmente la distanza tra noi. Poggio le mie labbra sulle sue, assaporandole, e carezzandole con la lingua, in un gesto veloce, ma che mi fa avvampare.

Sento il suo respiro arrestarsi, prima di farsi più veloce.

Mentre il sapore di quelle labbra mi ricorda qualcosa, come se mi fosse già familiare.

Sanno di buono, qualcosa di terribilmente buono.

Riapro gli occhi, lo guardo. Adesso sono io che accenno un sorrisetto compiaciuto.

« Te l'ho sempre detto di non montarti la testa, Taylor Lautner. » mormoro languida, a una distanza pericolosissima dalle sue labbra, che sembrano attrarmi come una calamita.

Le guardo, mordicchiandomi il labbro inferiore, stuzzicandolo col canino.

Sono buone. Sono troppo buone.

Resisti.

Non posso. Le voglio.

Aspetta.

« Ah, c'è una domanda in sospeso, alla quale devo ancora rispondere. » continuo a mormorare, chinando appena il capino rosso di lato. Assottiglio le palpebre, lo guardo, con aria da sfida, sorridendo appena. « No, non ho paura neanche dei lupi. »

Neanche il tempo di finire la frase, che lui si avventa su di me, facendo sussultare il mio cuore.

È vorace.

Le mie labbra incontrano le sue, per pochi, ardenti istanti. Anche lui usa la lingua, abilmente, giocando per stuzzicarmi. Inspiro forte, osservo per quei momenti i suoi occhi chiudersi su di me, sento esplodere un piacevole seppur sofferente calore nella zona del basso ventre.

Si allontana, a fatica sembrerebbe.

Stiamo tremando.

I nostri toraci si muovono veloci, ansanti, contemporaneamente. Sento il suo fiato sulla mia pelle.

« Sei davvero una stupida. » mormora lui, in un soffio che solo io, a quella distanza, potrei udire. E che mi fa tremare, come una carezza carica di desiderio.

Di nuovo sembro essere attirata da quelle labbra, su cui mi fiondo in un attimo. Io sono una piccola ape svolazzante, e quelle labbra sono il succulento miele che voglio assaporare. Suggello il suo labbro inferiore. Sono morbide, sono tremendamente invitanti, queste labbra. Le sue mani intanto allentano la stretta sulle mie, il necessario perchè io possa andarle ad aprire, ed intrecciarle con le sue. Le nostre dita vanno ad avvilupparsi, strette. Ma mi tiene ancora contro il muro, bloccata. Mi allontano, con una fatica immane.

Stiamo giocando.

Abbiamo giocato fin dal primo momento.

Solo che questo gioco si è fatto bollente.

« Ti odio. » rispondo dopo essermi allontanata. Di poco stavolta, pochissimo.

Tanto che le nostre labbra si sfiorano.

Sto ansimando.

Di tanto in tanto mi ricordo che sono bloccata tra lui e il muro del corridoio, dove chiunque potrebbe arrivare all'improvviso e beccarci in pieno.

« Dicono che l'odio sia il sentimento più vicino all'amore. » mormora lui, posando la fronte contro la mia, e accennando un sorrisino divertito, scoprendo appena la fila di denti bianchi e perfetti, prima di avvicinarsi ancora ad assaporare le mie labbra.

E ancora.

E ancora.

« Ti piacerebbe. Stronzate. » mormoro, praticamente accarezzando la sua bocca mentre muovo la mia. Non riesco a staccarmi più.

Voglio ancora le sue labbra.

Voglio ancora la sua lingua.

È una droga.

Una dolce, ardente droga.

Le sue mani lasciano la presa che teneva fisse le mie al muro, e vanno a posarsi sulla mia vita.

Veloci, bramose, scendono e accarezzano ogni parte del mio corpo che trovano, con movimenti esperti. I fianchi, il sedere, le cosce. Il suo tocco mi fa trasalire.

È bravo, e sa quello che fa.

Si scosta appena, per parlare. Mi guarda.

« Non dovevi farlo, Lily. Non dovevi avvicinarti così. » mormora lui, mentre lento ora scende ancora. « Adesso non riesco più a trattenermi. » conclude, veloce.

E altrettanto veloce, con uno strattone, mi solleva dalle gambe, con una facilità assurda, costringendomi a divaricarle e facendo in modo che vadano ad agganciarsi ai suoi fianchi.

Ecco perchè non mi toccava.

Ecco perchè si teneva a distanza.

Le mani sollevate a mezz'aria, la sua espressione sofferente quando mi avvicinavo, le sue richieste d'allontanarmi da lui.

Mi tiene ancora ferma al muro, ora con tutto il suo corpo.

Sento il suo bacino spingere contro il mio.

Non ho possibilità di fuga.

Non ho la minima intenzione di fuggire.

Le mie mani s'insinuano tra i suoi capelli, mentre ci abbandoniamo completamente.

La mia bocca si apre, affamata, insieme alla sua, mentre entrambi chiniamo appena il capo di lato, per incontrarci.

Le nostre lingue si trovano, finalmente, iniziano a scontrarsi, e poi a danzare. Il mio cuore, il mio corpo, il mio cervello, impazziscono.

Cantano vittoria.

Le narici si dilatano, spinte da un respiro ansante. Le mie labbra vanno a congiungersi con le sue, voluttuose.

Ancora, e ancora.

Nel corridoio si sentono solo i nostri respiri sconnessi, il fruscio dei nostri corpi che si cercano e si scontrano dolcemente, il rumore del nostro bacio, delle nostre labbra umide che fanno l'amore.

Dio, Dio, Dio... siamo nel corridoio.

Potrebbe sbucare sua mamma, sua sorella, chiunque.

E non m'importerebbe nulla, perchè adesso la mia mente è totalmente focalizzata su questo bacio.

La vocina fastidiosa che mi dava della bugiarda quando mi ostinavo a non pensare a lui, a non dargli importanza, ora sembra urlare alla vittoria.

I suoi bicipiti sono gonfi, tesi, sodi, mentre mi tengono su, imprigionata contro la parete fredda. Le sue dita affondano nella pelle morbida delle mie cosce, con bramosia. Sembrerebbero quasi artigli, che vogliono dilaniarmi la carne.

Ed effettivamente ad un tratto, sotto la tensione provocata dalle sue dita, sento uno strappo secco.

Mi allontano un attimo, prendo fiato, lo guardo scocciata.

« Mi hai appena strappato le calze. » gli faccio constatare, la voce arrochita, una punta d'ironia, le mie mani sulle sue guance, il pollice destro che gli accarezza le labbra arrossate.

Lui ricambia lo sguardo. La sua pelle è lievemente imperlata di sudore.

« Chi se ne frega. » risponde con voce bassa e vibrante, con uno sguardo di puro, istintivo desiderio verso la mia bocca, prima di avventarsi di nuovo su di me.

Ancora ci baciamo, in modo quasi famelico, prima che lui sposti le sue labbra ardenti sul mio collo.

Mi aggrappo alla sua maglia all'altezza delle scapole, tendo la stoffa nera tra le dita, mordendomi il labbro inferiore per non lasciarmi sfuggire qualche gemito.

Sento la sua eccitazione contro di me, visto che i pantaloni di cotone della tuta celano ben poco.

Sono così calda da sentirmi febbricitante.

Di nuovo spalanca la bocca sull'incavo tra il collo e la spalla, ghermendo un lembo di pelle. Ma non si discosta, questa volta. No, insiste, su quel punto. Ci passa la lingua, i denti, succhia con le labbra.

La barbetta incolta mi fa il solletico.

Ho la pelle d'oca.

Mi sento avvampare.

Reclino la testa indietro, andando a poggiarla contro il muro, mentre sono percorsa da milioni di brividi lungo il corpo.

E sono seriamente, dannosamente eccitata.

D'un tratto lui mi scosta dal muro, improvvisamente. Tenendomi in braccio, e tornando a baciarmi, inizia a camminare lentamente.

Non lo so dove mi porta.

Non lo capisco.

Non capisco niente.

Mi tiene tra le sue braccia come fossi una bambolina.

D'un tratto mi molla a terra, facendomi compiere un piccolo balzo.

Di nuovo si china sul mio collo, dove poco prima ha lasciato quel morso ardente, lasciandoci un altro bacio. Intanto le sue mani percorrono la schiena, dal basso verso l'alto, sollevando la stoffa della mia canotta.

« Questo è per quel cretino che spera di portarti via. » mormora appena, sollevando il capo, le labbra lievemente gonfie e arrossate, come le mie. Lo sguardo è languido. « E altrochè principesse. Io ti preferisco con gli anfibi. » ammette, lentamente.

Mi guarda, serio, e sembra un animale desideroso della sua preda.

Un animale che sta trattenendo i suoi istinti, per non travolgermi.

Mi fa eccitare solo guardarlo con quell'espressione.

« E tu... per favore... Chiuditi in camera per questa sera, okay? » mi dice ancora, in un soffio, accennando poi una risatina. Sommessa e calda. Sono completamente fottuta. « Potrei davvero non rispondere più delle mie azioni. »

Annuisco, più volte, velocemente.

« Buona notte. » mormoro, confusa. Sembro drogata. Sembro su un altro pianeta.

« 'Notte. » risponde lui, prima di chinarsi veloce di nuovo, a suggellare le mie labbra tra le sue, inspirando a fondo.

Sollevo appena le mani, a carezzarlo veloce, quasi in un istinto di volerlo trattenere.

Ma poi lui si allontana, mi sorride apertamente, e si chiude dietro la porta della mia camera, lasciandomi sola qui dentro.

Mi guardo qualche istante intorno.

E' successo davvero?

Sì, vero?

Vero?!

Mi avvicino allo specchio, accendendo la luce.

Tremo come una foglia.

Con gli occhi cerco il punto in cui lui s'è soffermato più a lungo, poco fa.

Un vivido marchio rosso è impresso sulla mia pelle.

Il suo marchio.

E' successo davvero.

 

*-*-*

Dai che oggi mi amate! x°

Buongiornooo! :D

Allora, vi è piaciuto questo capitolo? Lo so, lo so... "era ora"! Ehh!

Questo è solo l'inizio, in realtà. In tanti sensi. Taylor ha detto quello che pensa a Lily, ma forse non proprio tutto.

E Lily sarà ancora più confusa di prima, se possibile.

Ma vi avverto, da questo capitolo in poi le scene più spinte saranno molto più frequenti. Spero che le mie descrizioni non scendano mai nel volgare, ma se non siete amanti del genere vi consiglio di star attente per questi pezzetti qui, appunto.

Ringrazio ancora tutte le splendide fanciulle che mi sostengono ad ogni capitolo, in particolar modo PennyRose che è davvero un tesoro.

Vi lascio giusto qualche link interessante:

La fanfiction su Taylor della mia amica postergirl84, Benzina sul Fuoco (preparate ventagli, climatizzatori, ventilatori e chi più ne ha, più ne metta!)

La fanfiction di She's Strange, Rebirth Dawn (cioè come sarebbe davvero dovuta andare a finire la storia tra Jacob e Bella. Questa ragazza è... semplicemente perfetta. Date una sbirciata alla sua storia, non ve ne pentirete!)

Il mio profilo Facebook, dedicato a EFP, nel caso abbiate voglia di aggiungermi, dove posto immagini varie su Brighter Than The Sun :3

Grazie mille a chi è arrivato a leggere fin qui.

Vi adoro!

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