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Lista capitoli: Capitolo 1: *** Per Skyrim! *** Capitolo 2: *** Principi Daedrici: Hircine - La Caccia *** Capitolo 3: *** Ci chiamano pazzi *** Capitolo 4: *** Diario di un Bardo - 21 Primo Seme *** Capitolo 5: *** Principi Daedrici: Sheogorath - La Follia *** Capitolo 6: *** Diario di un Bardo - 26 Primo Seme *** Capitolo 7: *** Diario di un Bardo - 27 Primo Seme *** Capitolo 8: *** Diario di un Bardo - 31 Primo Seme *** Capitolo 9: *** Diario di un Bardo - 4 Mano della Pioggia *** Capitolo 10: *** Diario di un Bardo - 5 Mano della Pioggia ***
Era il ruggito di quella terra che esplodeva
dalle loro gole all'unisono mentre caricavano indomiti contro il nemico.
Non le fiamme di quella città, abitata dai loro
stessi fratelli, ma il baluginio dell'aurora che innumerevoli volte avevano
ammirato nei suoi cieli si rifletteva adesso nei loro occhi.
Il suono della tromba che i profani sentivano
urlare "morte!", per loro era la voce delle loro madri che raccontava
ancora una volta le storie, i miti e le leggende che impregnavano la loro
patria, e adesso i protagonisti di quelle storie, gli eroi tanto amati, come
evocati da essa, guidavano le loro spade e sostenevano i loro scudi.
I loro fendenti erano come i lampi delle loro
nubi selvagge, i boati del ferro contro il ferro, il tuono che ne seguiva, il sangue
che si posava sui loro volti era come neve: caldo sì, ma freddo in confronto
all'ardore delle loro anime.
Come aveva fatto una terra così fredda e
inospitale a crescere gente così forte e bollente nei suoi ideali e nel suo
onore, nemmeno loro lo sapevano. Erano solo coscienti del fatto che non era per
loro che brandivano le armi nella notte buia al chiarore delle fiamme, ma per
tutta la gente che, come loro, amava quelle lande sconfinate e quei monti
innevati, che rendeva ricca una terra povera.
E morivano col
sorriso sul volto, i veri Nord, consci di essersi meritati i cancelli di
Sovngarde, e mentre cadevano al suolo i loro occhi videro per l'ultima volta e
le loro orecchie sentirono per l'ultima volta, e quello che videro fu il loro
amato cielo notturno illuminato da migliaia di stelle, ad un tratto squarciato
da un ombra che veloce lo passava da parte a parte spalancando le possenti ali
e sputando le fiamme che a tutti loro ardevano dentro.
E l'ultima cosa che sentirono fu: «Per Skyrim!»
Capitolo 2 *** Principi Daedrici: Hircine - La Caccia ***
La CacciaLa luna. Grande, lucente,
bellissima. Diffondeva
dolcemente su quelle terre la sua luce argentea, dell'intensità perfetta per
nascondere i propri figli e illuminare al contempo le loro prede. A lei cantava il
suo amore con versi bestiali, forse senza un motivo, forse per propiziarsi i
suoi favori. Poi, ad un tratto,
quella diventava rossa, come se un manto di sangue l'avesse improvvisamente
avvolta, ed era come se, sogghignando,stesse invogliando la sua prole ad entrare in azione: era l'ora della
caccia.
Stupida luna! Se solo ci fosse un
po' più di luce sarebbe già riuscito a trovare la strada per uscire da quel
bosco. E invece vagava per
quella selva senza vita da un tempo che gli sembrava l'eternità, e non
ricordava nemmeno come ci fosse entrato. Sapeva solo che
doveva uscirne, ma ad ogni falcata tra rovi e grovigli di fogliame la sua carne
si faceva più pesante. Sapeva solo che
doveva scappare, ma le gambe diventavano sempre più deboli e dolenti e il
freddo vento che spirava tra le fronde sembrava attraversarlo da parte a parte. Sapeva solo che
doveva mettersi in salvo. Da cosa? Qualcosa dentro di sé lo sapeva, ma aveva
paura a confessarglielo. - un ululato - Come faceva a
saperlo? Sentiva il suo respiro.
Respirare, sempre più forte,
sempre più avidamente, mentre correva fra gli alberi; foglie e ramoscelli gli
sbattevano addosso senza scalfirlo, ma anzi sembravano trasmettergli la forza
di raggiungere al più presto il suo obiettivo. Poi finalmente gli
alberi finirono e sbucò in una radura. Lì il vento
accarezzava la terra muovendo armoniosamente l'erba proprio come faceva col suo
pelo. E lì, imponente,
troneggiava sopra il prato sanguigno, alla luce della sua luna rossa, il suo
principe e padrone, Hircine.
Rosso! Tutto era diventato
ad un tratto rosso! Come in un incubo
il cielo e la luna sembravano grondare sangue. Il che non faceva altro che
alimentare ancora di più il suo terrore. Prese allora a correre, per quanto
concessogli dall'ambiente, verso una direzione qualsiasi, agitando le braccia
per liberarsi della vegetazione, mentre sentiva il suo affannoso respiro
montargli nelle orecchie e confondersi con quell'altro. Finché finalmente
ne fu fuori. Giusto il tempo di riprendere il fiato che avvistò la figura che si
stagliava dall'altra parte della radura: la sua più grande paura, il principe
daedrico della caccia, suo torturatore e boia, Hircine.
Preda avvistata! Basta un gesto del
braccio e la muta di lupi obbedisce al cacciatore e parte all'inseguimento
della preda. Già pregustava il
suo sangue caldo zampillargli sul collo e impregnare la sua pelliccia. Assaggiava l'aria e
avvertiva paura: il suo gusto preferito. L'aria attraverso
il pelo, l'erba tra gli artigli, il rombo del cavallo del suo padrone che gli
correva accanto e l'impeto dei suoi fratelli che lo circondavano... non sapeva
chi fosse la preda, né cosa avesse fatto per meritarsi quel supplizio, ma non
gli importava, perché quella era l'unica vera ebbrezza che avesse mai provato
nella sua vita, anzi, l'unica prova che fosse vivo.
Era la fine. La prima cosa che
pensò, quando vide gli uomini-lupo e il loro padrone caricarlo attraverso la
radura. Era inutile anche
solo provare a scappare, ma mentre pensava ciò l'istinto di sopravvivenza aveva
già mosso le sue gambe, anche se lui se ne accorse solo dopo aver visto
scorrere davanti a sé la sua intera vita. Di nuovo nel bosco,
ora non si accorgeva quasi degli ostacoli che prima lo avevano provato tanto.
Ciò non significava che non lo provassero ancora, anzi, forse anche più di
prima, ma nella sua testa era ormai tutto un vortice di rosso, latrati e tonfi
di zoccoli. E poi quel respiro, sempre più vicino.
Ci siamo quasi. Tronchi e cespugli
gli sfrecciavano accanto, ma tutti i suoi sensi erano focalizzati sulla preda:
ormai non aveva più alcuna speranza, la foresta l'avrebbe sfiancato o
disorientato e lui poi avrebbe finito il lavoro. Ci siamo quasi.
Una massa di peli
salta fuori da un cespuglio e lo atterra all'istante.
Ora può vedere la
paura nei suoi occhi e specchiarvisi dentro.
L'ultima immagine che
vide fu il suo volto, e orripilato, vi riconobbe la verità.
Svegliarsi di soprassalto, con un urlo e tutto sudato,
freddo e pallido, di certo non si addiceva alla sua posizione di saggio e
guerriero. Per fortuna nessuno se ne avvide.
Dalla finestra, tirò una rapida occhiata alla luna, e per
fortuna constatò che effettivamente era ancora argentata... era stupido, lo
sapeva, ma lo faceva ogni volta.
E ogni volta si alzava dal letto e lentamente camminava fino
alla finestra, alzando spaventato lo sguardo verso il vetro fino ad incrociare
quello del suo riflesso, e sperava ogni volta di vedere una faccia diversa, ma
quella che vi trovava era sempre la stessa: quella del lupo mannaro.
Odio la sigla "NdA", quindi da adesso questo spazio si chiamerà "Il Cantuccio" (cit?) XD
Che si nasconda questo dietro la scritta "Il tuo sangue di bestia non ti fa riposare bene" ogni volta che vi svegliate? Beh, se è così, ogni volta che fate dormire il vostro pg lo costringete a questa tortura... siete davvero delle brutte persone... XD
Comunque questa probabilmente sarà la prima di una "raccolta nella raccolta", una serie di one-shot dedicate ai principi daedrici, anche se purtroppo per Hircine volevo parlare di più dell'aspetto riguardante la questione del Sovngarde (se avete completato la quest-line dei lupimannari avrete sicuramete capito di cosa sto parlando) e del dualismo uomo/lupo, ma mi stava piacendo il ritmo che andava assumendo questa storia, e frenarlo con una lunga riflessione filosofico-religiosa alla fine mi sembrava uno spreco, quindi penso che gli dedicherò un'altra storia... così sarà una "raccolta nella raccolta nella raccolta" su Hircine XD no, vabbè, al massimo ne scriverei solo un'altra... forse...
Ah, e spero che abbiate riconosciuto e gradito il font originale dei libri di Skyrim ;) penso che lo userò anche per le altre storie.
I Pazzi del ReachCi
chiamano pazzi. Loro
si proclamano salvatori e liberatori di una terra che hanno strappato ai suoi
figli e, fingendo ignoranza, rivendicano il titolo di eroi, uomini giusti e
nobili, quando hanno le mani sporche del sangue di un popolo innocente,
costretto alla diaspora e alla clandestinità del suo orgoglio. E
poi saremmo noi i pazzi!?
Ma
vedranno... Vedranno di cosa sono capaci questi pazzi!
Ci
tacciano di follia? E allora saremo folli!
E
come folli metteremo a fuoco i loro raccolti, figli di uno stupro, e con la
follia negli occhi e nelle urla puniremo l'aratro che l'ha commesso e faremo in
modo che mai più l'adultero vomere deflori la nostra bella terra!
E
come folli irromperemo nelle città che la loro superbia ha edificato su un
terreno di cui, profani, ignorano l'ancestrale sacralità o la loro presunzione
ha reclamato come proprie, mettendo a tacere le antiche voci che, dapprima di
noi stessi, le abitano e le percorrono, esalate dalle viscere della terra come
sussurri di terribili fantasmi!
E
la forza della follia guiderà le nostre lame nelle carni degli ipocriti,
oppressi e oppressori insieme, che mentre ululano alla libertà schiacciano quella
della nostra gente e, per rassicurare loro stessi e chi ignora la storia di
queste terre, ci accusa di essere criminali e pazzi!
Ma
noi conosciamo la nostra patria e sappiamo dove essa può accoglierci e cingerci
con le sue braccia come madre affettuosa, nascondendoci dalla vista del nemico;
sbucheremo da ogni anfratto al giusto tempo cosicché parrà proprio quella a
volerli scacciare dai suoi campi verdi e altopiani spazzati da venti indomiti
quanto i suoi legittimi abitanti.
Al
nostro grido di battaglia il loro sangue si raggelerà; il nostro grido di
battaglia rimbomberà nelle loro menti ad ogni ora del giorno; il nostro grido
di battaglia sarà tabù per le loro strade; il nostro grido di battaglia sarà il
nostro motto, il nostro dovere, la nostra vita, il nostro giuramento! Il
nostro grido di battaglia sarà:
PER
IL REACH!
Il Cantuccio: scusate il tono un
po' "nazionalista" XD (sì, va letto con molta enfasi, come fosse
il discorso di un capo dei Rinnegati ai suoi uomini)
Eccomi qui nuovamente a demolire le idee dei dovahkiin-lettori: quanti
hanno infatti aderito alla causa dei Nord credendo di fare la cosa
più comunistoide e quindi figa (come me)? Però io ancora
non conoscevo la storia dei "Pazzi del Reach" e le ingiustizie che
questi avevano subito da parte dei Nord e passavo il tempo ad
ammucchiarne i cadaveri in giro per la contea di Markarth, e quando
l'ho scoperto mi sono sentito una merdaccia che manco il ragionier
Fantocci :(
Quindi, se non è già successo anche a voi (male!
significa che non avete capito un tubo di Skyrim!) il mio ruolo
è proprio quello di far sentire delle merdacce anche voi! :D
Grazie per la lettura e spero che vi sia piaciuto e vi abbia fatto
capire un po' di più (come vedo io) la storia del
fantastico mondo di TES ;)
E no! Mi ha di nuovo tolto il font! L'ultima volta non l'aveva fatto! qualcuno mi dice che cavolo gli prende? D:
Capitolo 4 *** Diario di un Bardo - 21 Primo Seme ***
Diario di un Bardo - 21 Primo Seme
Turdas, 21
Primo Seme, 4E 205
Basta, ho deciso: parto!
Lascio l'accademia e vado in cerca di vere avventure! Cosa ne capiscono quei
vecchi bacucchi!? Glielo farò vedere io chi è il vero incapace! Un vero bardo non ha
bisogno di una scuola, libri, spartiti, solfeggi e cose del genere: un vero
Bardo, con la B maiuscola, crea da sé la sua musica! Anzi no, gliela dettano il
vento impetuoso fra le montagne innevate, il ruggito dei tuoni nelle valli buie
e gli spiriti arditi dei grandi eroi del passato dalle porte del Sovngarde...
mm, questa è buona, me la devo scrivere... E poi mi stavo annoiando:
oltre ad essere un bardo io sono anche un vero Nord! E noi Nord abbiamo
l'azione nelle vene, non siamo fatti per stare ricurvi ore su uno scrittoio a
ricopiare frasi dell'Edda poetica. Ebbene è deciso, partirò
stanotte stesso, col favore delle tenebre; sgattaiolerò fuori dalla mia stanza
e chi s'è visto s'è visto. Certo, non posso dire di
non essere spaventato, in fondo non so niente del mondo là fuori, ma va bene
così, sarà più eccitante scoprirlo... credo... Se avessi qualcuno fuori
di qui gli scriverei una lettera, piena di versi poetici e figure retoriche,
raccontandogli le mie nobili intenzioni e il drammatico e nobile dolore che mi
attanaglia l'animo all'idea di dover lasciare i miei cari; ma non è così, non
ho nessuno al mondo, conosco solo questi vecchi torturatori e sono sicuro che a
Viarmo non fregherà niente della mia fuga, anzi, ne sarà sollevato.
Il Cantuccio: riprendo questa mia
"collezione" stravolgendone un po' gli schemi: questa sarà una
specie di piccola serie, all'interno della collezione.
Continuerò comunque a scrivere altre storie "random", quindi
spesso le "puntate" non saranno consecutive. Spero vi piaccia
questo "format" :)
Capitolo 5 *** Principi Daedrici: Sheogorath - La Follia ***
Sheogorath«Secondo
te quale mi sta meglio, Pelly?» «Ma
quello non è un cappello, è una marmitta!» rispose a stento e con la voce
corta. «Parli
ancora da solo, Pelagius, anche sul tuo letto di morte?» commentò la moglie con
una punta di disprezzo nella voce. «Eh
già, povero Pelly... mi dispiace che non potrai esserci al tuo funerale, perché
questo cappello mi starà proprio alla grande sul completo nero a lutto...»
disse ammirando il suo copricapo "originale" riflesso nello specchio,
mentre poco più sotto i suoi occhi completamente bianchi gli restituivano lo
sguardo. «Funerale?
Perché, sto per morire?» chiese l'imperatore agitandosi d'un tratto, cercando
di sollevarsi dal letto. «Beh,
la debolezza, i tremori, il sudore freddo, la faccia sconsolata dei dottori,
quella soddisfatta di tua moglie e il mio cappello da funerale avrebbero dovuto
farti scattare un qualche campanello in quella testa bacata» rispose con un
tono atto a sottolineare l'ovvietà della cosa. «Ma
io non voglio morire! Non posso!» «Non
preoccuparti, mio Re, sono sicura che le porte di Sovngarde ti attendono» cercò
di consolarlo la moglie con aria superficiale e per niente convinta, comunque
ignara del dialogo fra il marito e quella strana entità che sembra esserle
invisibile. «Ahahahahahahaha!
Sovngarde!! Questa è bella! - esplose il figuro - Tua moglie è più pazza di te e
me messi insieme! Ahahahahahaha! Ho in mente altri piani per te! Tu sei troppo
divertente per lasciarti andare solo perché smetti di respirare, ti farò
compagnia nella tua testa per sempre, anche nell'aldilà» «No!
No! Non posso morire! Io sono l'Imperatore di Tamriel! Sono troppo potente per
morire!» «Ah!
Voi mortali e le vostre stupide cariche. Pensate di avere il potere? Urlare
ordini a destra e a manca senza sentire l'ebbrezza della forza che vi scorre
dentro... quello non è potere! Tua zia, Potema! Lei sì che aveva potere! Che
donna! Eravamo in ottimi rapporti, dato che non ha tentato di uccidermi...
certo non avrebbe potuto... in fondo sono un Principe Daedrico io! Immortale!
Immortale e senza paura... lo giuro... ma che splendide tende aveva! Viola! Il
mio colore preferito! O era il giallo canarino? Non ricordo... Sai, i millenni
passano e la mia memoria non è più come quella di una volta... Ma sto
divagando... di cosa parlavamo? Oh, già, tua zia! Ci sono anche andato a
letto... ma non era questo il filo del discorso, comunque ci tengo a precisare
che ero io quello che stava sopra, ovviamente... giuro anche questo! Voi
mortali dovete per forza racchiudere tutto in schemi, gerarchie, un imperatore
decide quante tasse devo pagare, l'esercito mi protegge dai cattivi, questa
marmitta non è un cappello, bla bla bla. In realtà tu non puoi niente contro il
caos di questo mondo! Non puoi fermare un fulmine, nè mettere a tacere le urla
dell'Oblivion! Potrai chiedere ai tuoi più valorosi uomini di farlo quanto
vuoi, ma non ci riusciranno, e se mai anche dovessero riuscirci la gloria e il
merito sarebbero tutti loro. Lo dimostra il fatto che stai per morire, tu,
Imperatore, come un qualsiasi contadino tuo suddito, come uno Skiver nelle
fogne della città» «No,
non è vero! Io posso! Posso fare qualcosa!» «Ah
sì? E cosa? Forza, andiamo! Le tue uniche armi sono carta e penna, editti e dichiarazioni,
scribi e urlatori! Cosa vuoi fare? Emanare una legge? Che ti impedisca di
morire?» «Si!
Certo!» urlò l'Imperatore. La
moglie, ormai abituata a questi soliloqui, aveva fissato il marito per tutto il
tempo, seguendo sul suo volto le reazioni alle parole dell'entità. «Ahaha!
Vedi il bello? Puoi farlo! Ma non perché tu sia Imperatore di Tamriel, oh no,
un imperatore normale non sortirebbe alcun effetto: puoi farlo in virtù del tuo
titolo di Imperatore Pazzo! E' la pazzia, il tuo potere, così come per tua zia:
certo, i suoi terribili poteri magici le diedero man forte, ma fu la sua pazzia
a portarla dove arrivò, a consegnarla alla storia, a farla ricordare per sempre
come la Regina Lupo! Così tu sarai Pelagius il Pazzo! E sopravvivrai alla
morte! Perché la morte, come tutto nella vita dei mortali, è solo un altro
schema, un'altra gabbia! Non esiste niente del genere! Esiste l'Oblivion, con
le sue orripilanti meraviglie. E tu tra poco ne diventerai parte, anzi già ne
sei parte! Perché noi, io e te, Pelly, che riusciamo a vedere oltre le gabbie,
siamo aldilà di questa stessa vita mortale grigia e noiosa! Tu, come tua zia
prima di te, mi avete aiutato a darle un po' di colore, rosso, prevalentemente! Quindi
getta le tue ultime riserve, mio giovane Septim, e abbraccia il vuoto,
l'Oblivion, urla al Mundus la tua follia! Diventa immortale! Diventa
Sheogorath, Dio della Pazzia! Diventa come me, diventa me!!» Con
uno sguardo stralunato l'Imperatore aveva seguito il Dio avvicinarsi al suo
letto e arrivare ad urlargli ad un palmo dal naso, mentre lui stesso, come
attratto da quel discorso si era tutto teso verso di lui. «IO
- urlò - PELAGIUS III DELLA DINASTIA SEPTIM, QUI E ORA, DICHIARO ILLEGALE LA
MORTE!» La
moglie si gettò una mano sulla faccia. Sheogorath
esplose in una risata tronfia, seguita dopo un po' da quella dell'Imperatore
Pazzo.
Capitolo 6 *** Diario di un Bardo - 26 Primo Seme ***
Tirdas, 26 Primo Seme
Tirdas, 26
Primo Seme
Per le vie di
Skyrim incontrai un Gigante,
la gamba
possente e per occhio un diamante,
mi voleva
all'istante freddar con la clava,
ma lo feci
per sempre restar dove stava.
E subito
poi... oh ma che senso ha...
Che senso ha prendermi in
giro da solo? Non ho mai incontrato alcun gigante, nemmeno loro mettono piede
in questo schifo... Tanto vale dire la verità, almeno a questo pezzo di
carta... se non altro mi darà la parvenza di parlare con qualcuno dato che non
incontro anima viva da quando sono partito e ho l'impressione che questa puzza stia
accelerando il mio impazzimento... esiste questa parola? Visto! Con chi sto
parlando?! Sono pazzo. Pensavo ci volessero più di 4 giorni. Insomma, sono partito come
avevo stabilito nella precedente nota, ma, al momento di scegliere la strada da
seguire mi sono detto "potrei andare verso ovest, seguire la strada verso
Ponte del Drago... mh, strade: troppo noiose" Che io sia maledetto! E
maledetto quel momento in cui concepì questa massima! Così ho optato per
affittare una barchetta di fortuna giù al porto, giusto per passare lo stretto
lembo d'acqua che separa l'Haafingar dall'Hjaalmarch e avventurarmi nelle sue
famigerate paludi zeppe di creature mostruose. Ebbene sì, persino a
quell'ora tarda di notte c'era qualcuno al porto pronto ad affittarmi una barca
di fortuna, e è stato più difficile strappargliela ad un prezzo ragionevole che
sgattaiolare via dall'Accademia dei Bardi (secondo me hanno fatto finta di
nulla per sbarazzarsi di me). Insomma, per 15 Septim (ne
avevo 200 appena partito), con la promessa di riportargliela all'alba, ho
convinto il figuro a darmi un pezzo di legno che egli, molto ingloriosamente
per il genere delle barche, ebbe il coraggio di chiamare, appunto,
"barca". Io non ho alcuna
esperienza di navigatore: pur abitando in una città principalmente portuale
come Solitude, sono sempre stato con i piedi per terra e, per me, il fenomeno
del "mal di mare" era completamente ignoto. Sarà stata la corrente
impetuosa (non me ne intendo, non posso dire con certezza che lo fosse) o
(opzione più accreditata) la poca stabilità della zattera stessa, fatto sta che
per coprire una traversata così relativamente breve, ho dato di stomaco minimo
due volte. Alla fine mi sono gettato
sulla terraferma. Ripreso un po' di fiato, con le lune ancora alte nel cielo,
mi avventurai nell'entroterra per la mia personale anabasi, abbandonando lì
quel pezzo di legno marciscente: se già sapevo che non gliel'avrei riportato,
dopo la mia breve ma intensa esperienza marinara, avrei preferito rifarmi il gelido
fiume Carth a nuoto per tornare dal buon barcaiolo e farmi direttamente
accoltellare, piuttosto che rimettermi tra insicure e ondeggianti braccia di
legno di quella bagnarola. Quindi, era iniziato,
questo mio viaggio, ero pronto a eccitantissime avventure, da vivere e poi
cantare, per tramandarle alla storia, alla leggenda... e invece niente. Tra
quei grovigli viscidi di mangrovie e altre piante, non penetrava alcuna luce
lunare, i miei scarponi affondavano nel fango putrido e rumori incomprensibili,
come trilli, tintinnii, ronzii, si aggiravano tutt'intorno, ma senza che
riuscissi a vedere chi li cacciava. Arrivò l'alba, e l'unico
cambiamento fu l'insorgere impetuoso della più molesta puzza che io abbia mai
sentito, se ci fosse il cadavere di un mammut in putrefazione semidisciolto
nelle "acque" di questo inferno, sono sicuro che sortirebbe lo stesso
effetto di una candela profumata. Quei rumori, in compenso,
scomparsi. O meglio, sostituiti, dal gorgogliare della fanghiglia tra le mie
gambe. Tutto il giorno passò, senza
incontrare niente e nessuno. Al calare di Magnus, mi accampai (cioè mi stesi
per terra usando lo zaino come cuscino) nella parte più asciutta che trovai. Il giorno dopo, al mio
risveglio, successe il fatto più eccitante successo fin ora: mi avevano rubato
lo zaino. Da sotto la testa! Chiunque sia stato il ladro, devo fargli i miei
complimenti: non me ne sono neanche accorto! E pure non è che abbia il sonno
particolarmente profondo... Insomma, così se ne sono
andati il resto dei miei restanti Septim, le provviste e le pozioni di
guarigione... un bottino piuttosto magro, soprattutto per uno che si sia dovuto
avventurare di notte nella palude. La mia spada di ferro invece è ancora alla
mia vita. Sono andato avanti per
altri tre giorni, non mangio da Solitude, bevo acqua putrescente solo il
necessario per non morire, e di mostri neanche l'ombra. Solo oggi ho notato
finalmente qualcosa: dei piccoli ragnetti, sono ore che mi girano intorno
pensando di non essere visti. L'ucciderli non mi
porterebbe alcuna gloria, e poi, fondamentalmente, i ragni mi fanno schifo.
Capitolo 7 *** Diario di un Bardo - 27 Primo Seme ***
Diario di un Bardo - 27, Primo Seme
Middas, 27
Primo Seme
Sono indignato! Devo la
vita ad un'Argoniana! Chi le ha chiesto di
salvarmi! Avrei preferito rimanere lì a farmi succhiare le interiora da quegli
stupidi ragni! .... ok, forse no... ma è comunque un'onta che non posso
sopportare! Andiamo per ordine: a
quanto pare quei "ragnetti" che mi giravano intorno ieri sera non
erano così innocui come pensavo... stamattina infatti mi sono risvegliato col
soffitto sopra la testa, appeso a testa in giù in un'orribile grotta tappezzata
di ragnatele e avvolto io stesso in una di queste... mi sembra ancora di
sentire il viscidume sulla pelle, che schifo! Allora, cosa già poco
onorevole per un Nord, mi sono messo a urlare, chiedendo aiuto, approfittando
anche del fatto che momentaneamente non vedevo ragnoni in giro. Fortunatamente, le mie
virili urla sono arrivate alle orecchie di qualcuno, ma sfortunatamente quel
qualcuno era proprio la lucertolona in questione. Con un misero coltellino ha
tagliato il filo che mi teneva incollato a mezz'aria al soffitto, facendomi
cadere per terra e procurandomi anche un bel bernoccolo. Ha detto di chiamarsi
Kintra...Kindra...Kintira... non ho capito! quelle mascelle rettiliane non sono
in grado di parlare bene la nostra lingua. Comunque ha detto anche di essere
una donna e quando le ho fatto notare che non riuscivo a cogliere le differenze
con un lucertolone maschio si è offesa molto. Pure il coraggio di offendersi! Non le ho detto che mi
sentivo in debito con lei, e che questo debito mi infastidiva e mi infastidisce
enormemente, per non far sembrare che m'importi nulla: le salverò la vita come
lei ha fatto con me, cioè in maniera disinteressata, non voglio fare la figura
del debitore e non voglio che lei passi per mia creditrice, un Argoniana(/o) per Talos! Perciò l'ho seguita fuori
dalla caverna, non prima di aver recuperato il mio zaino: erano stati quei
sudici otto-piedi a rubarmelo! Tutto quello che ci ho ritrovato dentro è stato
soltanto il resto del mio denaro e il mio tamburo: tutte le riserve di cibo,
scomparse! Se le sono pappate tutte! Ritornando alla vicenda
del mio infausto debito: ho seguito l'Argoniana che con insolente diffidenza e fastidio
ignorava la maggior parte delle mie domande. Però, con la mia non
trascurabile abilità oratoria, sono riuscito a strapparle qualche informazione,
oltre al nome e al (presunto) sesso: lavora a Morthal, al negozio di
ingredienti alchemici, ed era lì che ci stavamo dirigendo. Una volta arrivati in
città, dopo essermi beccato un ulteriore insulto da parte di quella per non
essere riuscito ad arrivarci prima da solo, data la sua relativa vicinanza al
punto dove ero sbarcato (infatti per ottenere le informazioni di cui sopra ho
dovuto darne qualcuna anch'io e ora sapeva del mio viaggio) la bestia squamata
mi ha portato dalla sua padrona, Lami. Se è vero che un bardo,
oltre alle eroiche imprese con spada e scudo, deve cantare anche gli amori e le
bellezze che incontra nei suoi viaggi, allora il mio è iniziato davvero male:
le prime due donne che incontro sono una sedicente Argoniana e una Nord non più
nel fiore degli anni, per altro già sposata con il bestione che gestisce la
segheria. Questa mi ha offerto una
cena a base di zuppa calda e, seduti a tavola insieme al marito, mi hanno
raccontato la storia dell'Argoniana: a quanto pare è apparsa a Morthal 4 anni
fa; nessuno sapeva da dove venisse, ma si presentò al negozio dicendo di avere
una grande conoscenza di piante palustri, sviluppata nel suo passato a Black
Marsh, e di poterla mettere al servizio dell'alchimista per trovare qualunque
ingrediente in giro per la palude. Sebbene, per natura, si muovesse bene tra
gli acquitrini, non era un gran che in campo di botanica e, alla fine, sembrava
quasi non avesse mai visto una palude; ma Lami la tenne lo stesso perché, a
causa dei suoi esperimenti con intrugli vari da lei inventati e mai prima
sperimentati, aveva bisogno di qualcuno su cui testarli e, data l'immunità
degli Argoniani a praticamente ogni tipo di veleno, poteva farlo su di lei
senza rischiare effetti collaterali. Così aveva continuato a
tenerla in negozio, dandole ancora l'illusione di usarla solo come
raccoglitrice di erbacce in giro per la palude. Nient'altro sapevano dirmi
sulle sue origini (che, a questo punto, mi stavano intrigando non poco) se non
qualche loro ipotesi - che provenisse da Windhelm, dove c'è una grande comunità
di Argoniani che lavora al porto - ma comunque sulle cause della sua fuga dalla
capitale il vuoto più totale. Unico altro aneddoto che
mi hanno raccontato è stato riguardo un episodio occorso qualche mese dopo il suo arrivo
al negozio: si era ammalata. Non sarebbe una cosa strana, se non fosse per il
fatto che gli Argoniani non si ammalano! Aveva avuto una febbre alta, e
farfugliava cose incomprensibili, probabilmente nella sua bestiale lingua
nativa. Le sue condizioni peggiorarono, persino con le cure dell'alchimista, ma
infine si ristabilì, da sola, col trascorre del tempo, i tremori si
indebolirono, la febbre scese e il sudore freddo scomparve. Finita la cena, i due
consorti mi hanno congedato gentilmente e io sono uscito di casa, non prima di
gettare un occhio mentre scendevo le scale alla stanza dell'Argoniana
dall'altra parte del bancone. Ora scrivo dalla Locanda
Moorside dove ho affittato una camera per 10 Septim a notte e dove uno stupido
mercenario nella stanza accanto si lamenta ogni 2 minuti per il rumore della
mia penna su questa carta! Farò i comodi di sua eccellenza e smetterò di
scrivere, domani salverò la vita a quell'insolente.
Capitolo 8 *** Diario di un Bardo - 31 Primo Seme ***
Sundas 31 Primo SemeSundas, 31
Primo Seme
Noia. Ecco cos'è questo
posto, una noia. Non so come faccia la
gente a viverci una vita intera, io ci sono da soli 3 giorni e sto quasi per
impazzire! Non succede mai nulla, puzza e il colore degli acquitrini
m'intristisce. Aggiungiamoci poi anche
quella Redguard, Jonna, che ogni sera stende il braccio avidamente, pretendendo
i suoi maledetti dieci Septim, e con stasera siamo già a 40. Kintra, l'Argoniana. Già,
è ancora lei il mio chiodo fisso. Se ne sta tutto il giorno
al sicuro tra le mura di legno del Capanno del Taumaturgo... al sicuro...
insomma, date le piccole esplosioni che ogni tanto arrivano dal laboratorio di
Lami (sarà qualcuno dei suoi intrugli, quelli che poi farà assaggiare alla sua "impiegata"). Comunque, sicuro o no, non
posso nemmeno stare lì a ronzarle tutto il giorno attorno, sperando, che ne so,
che gli arrivi addosso un acido o che cada dalle scale, darei nell'occhio in
uno spazio così angusto, e non vorrei che la gente si facesse strane idee. Per fortuna ogni tanto la
mandano in cerca di qualche ingrediente tra le pozze d'acqua putrescente, lì
posso seguirla e sarà anche più esposta a pericoli come quello in cui mi sono
cacciato io. O almeno questo era quello che pensavo il primo giorno. Poi non solo ho notato che
non le succedeva niente di pericoloso, ma che ero anche goffo come spia, e,
inoltre, se mi fossi fatto scoprire lì, da solo appresso a quella, mi sarebbe
stato ancora più difficile argomentare. Eppure qualcosa mi dice
che, in verità, lei mi ha già scoperto, sa che la seguo nella palude, scommetto
che riesce ad assaggiare il mio odore nell'aria con la sua viscida lingua da
rettile come i serpenti. Questo era quello che
supponevo fino a ieri, da oggi invece non ho più ragione di supporlo: mi sono
palesato a lei... involontariamente. Mentre la stavo spiando da
dietro un cespuglio sono scivolato nel fango uscendo dal fogliame e
ritrovandomi praticamente ai suoi piedi. Quella subito è scattata,
dicendosi indignata e alzando la sua orribile, gracchiante voce. Ha detto di essere stufa
del mio strano comportamento e che mi avrebbe presto denunciato alle guardie
(quindi sapeva che non era la prima volta che la seguivo). Al che io le ho dovuto
rivelare la verità, che cioè stavo attendendo il momento per salvarle la vita. «Quindi mi segui nella speranza che mi capiti un qualche incidente?»
ha osservato quella, con aria di superiorità e di stizza. In effetti è così. Non potendo fare nient'altro, le ho ronzato attorno per tutta la
durata del suo compito, seguendola mentre raccoglieva piante e catturava
insetti. Allora, così, per trascorre il tempo, le ho chiesto da dove veniva. Quella, sulle prime, si è mostrata indisposta ad accontentare la mia
curiosità, per un istante di silenzio, poi, come affrettandosi invece a
rispondermi, biascicò alla meno peggio qualche parola insicura, insicurezza che
io imputavo alla sua origine straniera. Veniva veramente da Windhelm, proprio dal porto. E senza nemmeno il
bisogno che le chiedessi perché poi decise di trasferirsi a Morthal «Freddo, Nord e Dunmer» ha argomentato. Le temperature, ha spiegato, erano troppo basse per un essere a sangue
freddo come lei (al che mi sono chiesto, come ha fatto ella stessa, che ci
andassero a fare tutti quegli Argoniani) e quindi pensava che una palude,
ambiente congeniale alla sua razza, facesse a caso suo, ma si sbagliò, dato che
le temperature sono comunque molto basse, tanto che la maggior parte delle
pozzanghere sono completamente congelate. «Almeno non manca il cibo» ha
aggiunto cacciando velocemente la lingua ad acciuffare al volo uno della
miriade di insetti che appestano l'aria di questi posti. Poi, aggiungeva sempre come se dovesse giustificare qualcosa, non le
piacevano i suoi "concittadini": sia i Nord che, soprattutto gli Elfi
Scuri, trattano gli Argoniani con superiorità, costringendoli ai lavori che essi
non vogliono fare e, mentre i Dunmer hanno un "ghetto", comunque un
intero quartiere a loro dedicato, gli Argoniani devono invece dormire in una
singola camera comune, in pessime condizioni igieniche. Infine non la soddisfaceva il lavoro; come tutti i suoi simili
lavorava al porto e aveva emigrato verso Windhelm attratta dalla possibilità di
poter entrare, anche fortuitamente, a
far parte di qualche ciurma e salpare verso il mare aperto: era questo il suo
sogno, era questo che faceva a Black Marsh, ma questa possibilità le fu negata
a Windhelm e fu relegata solo ai lavori sulla terra ferma... ad un tratto si è
come ridestata, quasi quest'ultima informazione le fosse sfuggita per errore.
Si è affrettata subito a fare qualche paralipomena: una flotta mercantile, a Black
Marsh lavorava su una flotta mercantile, un semplice mozzo su una nave
mercantile. Istante di silenzio, pupille verticali perse nel vuoto, poi ha ripreso a
camminare, ignorandomi e mai più proferendo parola... avrà detto qualcosa che
realmente non doveva dire, chi lo sa... Insomma, anche oggi non sono venuto a capo di niente, ma se non altro
il gorilla che mi minacciava l'altra volta affinché la smettessi di scrivere se
n'è andato. Morthal è troppo poco pericolosa, devo farmi venire un'idea per
chiudere questa questione.
Capitolo 9 *** Diario di un Bardo - 4 Mano della Pioggia ***
Diario di un Bardo - 4 Mano della PioggiaTurdas, 4 Mano della Pioggia
In
che guaio mi sono cacciato! Avevo
detto che avrei trovato un modo per salvarle la vita, e l'ho fatto! Ma
le cose non sono andate come previsto... Ieri
sera mi si è presentata l'occasione giusta: di ritorno da una delle escursioni
dell'Argoniana, ormai da me tranquillamente "accompagnata" alla luce
del sole, Lami ha fatto una richiesta particolare alla sua serva: recuperare una
pianta speciale (di cui non ripeterò il nome poiché quella l'ha pronunciato in
botanichese) che ha scoperto poter crescere nella terra dell'Hjaalmarch, anche
se in posti appartati o comunque poco illuminati. L'idea
mi è venuta in mente così, di soprassalto, ché le parole per la sua messa in
atto volevano uscire a tutti i costi dalla mia bocca e ho dovuto forzare me
stesso per tenerla chiusa finché l'alchimista non ci ha mostrato un'immagine
della suddetta pianta: «Oh, ma io l'ho già vista!» ho esclamato poi sfoggiando le mie abilità
recitative. Certo, l'avevo vista mentre ero appeso a testa in giù nella tana di
quei ragnacci! Ma l'Argoniana subito ha diffidato delle mie parole, dicendo che
lei non aveva visto niente. Ma sì, ovvio che non ha visto niente: s'è n'è
andata in fretta e furia senza controllare bene! Probabilmente non ho convinto totalmente la lucertola, ma la sua
padrona sì, tanto che ha ordinato subito che venisse reperita il prima
possibile; io ovviamente mi sono proposto di accompagnarla per fornire
protezione da quei mostri (con arrogante sprezzo di quella che non ha perso
l'occasione per far notare come la prima volta era stata lei a proteggere me). Il giorno seguente quindi, cioè stamattina, armati entrambi di torcia,
più io della mia fedele spada e lei di quel suo coltellino, siamo partiti dal
Capanno, sotto lo sguardo di Lami e di suo marito, quello di quest'ultimo,
Jorgen, con una malcelata vena di maliziosità: un giorno, mentre bazzicavo
intorno alla bottega della moglie, mi si è avvicinato e mi ha chiesto sottovoce
se stessi corteggiando l'Argoniana.. Io! Un fiero Nord! Un bardo di alto rango
e cultura! Fare delle avances ad una brutta sguattera ricoperta di squame viscide
che per mestiere raccoglie piante dal suolo marcio di questa palude congelata e
poi le assaggia, come una cavia, che probabilmente ha ingerito chissà quali e
quanti fattori tossici e nocivi, senza che la sua natura le concedesse di
saperlo! Nonostante la mia brusca e decisa risposta, ha continuato a guardarmi
con quello sguardo... non lo sopporto! Comunque... siamo giunti in poco tempo in questa grotta e mi sono
subito accorto che l'Argoniana si comportava stranamente, sembrava più agitata
del solito, sempre di più man mano che penetravamo le viscere della terra. E poi, eccoli lì: enormi e orripilanti ragni del gelo! 'Stavolta mi sono fatto trovare pronto, ho impugnato saldamente la mia
spada e ho iniziato a menare fendenti a destra e a manca, tranciando parecchie
zampe pelose. Sì, forse la mia tecnica non è eccelsa, lo ammetto, ma è stata
efficace... almeno finché con uno di quei cechi fendenti non ho reciso una
colonna di ragnatela che, a quanto pare, era importante per la salute di tutta
la struttura: poco dopo, infatti, tutto ha iniziato a scricchiolare, con un
rumore basso e cupo, e poi hanno iniziato a precipitare pezzi della volta in
pietra. I cedimenti ci hanno spinti ancora di più dentro la caverna, fino a
sbarrarci la strada alle spalle, intrappolandoci. A quel punto è successo qualcosa che non mi sarei mai aspettato:
l'Argoniana mi ha improvvisamente puntato il pugnale alla gola. «Non fare una mossa: mi basta un piccolo taglio, la lama è avvelenata.
Ho imparato qualcosa sull'alchimia in tutti questi anni a fare la serva» ha
subito avuto la premura di informarmi. Ero in scacco, così le ho chiesto il perché di quel gesto. Mi ha
risposto che ormai era stufa delle mie bugie, che ormai era palese che avessi
qualche secondo fine. «Non so come abbia fatto un Nord come te a finire al soldo di un
Argoniano, ma ormai ho capito: tu sei un sicario di Venex! L'ho immaginato fin
da subito, lo immagino con tutti, ma con te era fin troppo evidente, non so
quanto ti abbia pagato ma è comunque tanto: non ho mai visto un sicario così
stupido! E ora, finalmente, ti sei deciso a fare la tua mossa, mi hai portato
qui e mi ha imprigionata qui dentro cosicché tu possa eliminarmi!» Ovviamente non ha parlato in questo modo, ma in uno molto più barbaro
è sgrammaticato, io ho traslitterato e omesso qualcosa di cui non ho capito il
senso, ma il succo è questo. Io mi sono subito discolpato, dicendo che fosse una pazzia e che non
sono al soldo di nessuno. Lei non mi credeva... così alla fine ho dovuto rivelarle le mie
intenzioni. Si è messa a ridere! «Voi Nord siete davvero stupidi! Voi è il vostro stupido onore! Vuoi
salvarmi la vita? Bene... » e si è lasciata cadere lentamente all'indietro; io
d'istinto le ho afferrato un braccio fermando la caduta e lei, guardandomi
beffardamente ha aggiunto: «Ora siamo pari» Abbiamo continuato poi a inoltrarci nel sistema di cunicoli, dato che
non potevamo fare altro, ma quella ha deciso di ignorare ogni mia richiesta di
delucidazioni su chi fosse questo Venex e perché dovrebbe voler assoldare un
sicario. Alla fine abbiamo deciso di accamparci qui e di dormire una alla volta
mentre l'altro fa la guardia, non ci sono ragni in giro (forse spaventati dal
crollo) ma siamo pur sempre nella loro tana. Non mi fido di lei, ma non posso far altro...
Capitolo 10 *** Diario di un Bardo - 5 Mano della Pioggia ***
5 Mano della PioggiaFredas,
5 Mano della Pioggia
Non
ricordo notte più lunga. Forse
perché non sapevamo se fosse ancora notte o meno. Ho
dormito malissimo, e penso che lo stesso valga per la mia compagna di
cattività. Almeno
ora so che non vuole più ammazzarmi, perché avrebbe potuto farlo
tranquillamente durante il suo turno di guardia. E la stessa cosa deve pensare
anche lei di me, anche se credo che non abbia dormito affatto per tenermi
sempre d'occhio. Alla
fine del mio turno abbiamo decretato che fosse giorno, anche perché le nostre
torce iniziavano ad ansimare e la loro luce si affievoliva sempre di più,
riducendosi a propagare nell'aria buia e pesante,pregna di terra, della caverna, soltanto una
lugubre aura blu. Sebbene
abbia superato mentalmente indenne quelle ore di silenzio con lo sguardo perso
nel buio oltre la cortina luminosa delle torce, è stato sicuramente più
frustrante, straniante e solitario il silenzio che è calato quando abbiamo
ripreso la nostra cieca spedizione. Già,
non voleva ancora parlarmi dopo il "malinteso" dello suo pugnale
contro la mia gola... Ma c'era qualcosa di più: quella notte, mentre temevamo
per le nostre vite, circondati dalla morsa dell'oscurità, costretti a dover
scegliere di chi avere paura di più, se dell'altro o delle bestie che si
nascondevano dietro l'oscuro mantello di tenebra, ci siamo forse entrambi
sorpresi a riconoscere la presenza dell'altro, oltre che come ostile, anche
come essere a se stante, che non conoscevamo per niente, e che quindi non
potevamo nemmeno concederci di odiare. E tutto questo abbiamo potuto farlo nel
silenzio di uno, mentre l'altra vigilava su di lui, o viceversa, contando su
questo tacito patto di riflessione. Ora
però, quando il patto è giunto al suo legittimo termine, nel "giorno"
di quella buia marcia, al sole delle nostre coscienze, risorgevano come dettagli
in lontananza di un paesaggio notturno all'alba (dal luccichio di una sorgente
a intere foreste, l'uno spentosi con Magnus, l'altre ch'erano andate perdendo forma e definizione
man mano ch'entravano nel reame di Azura fino a diventare solo scuri spettri
fruscianti) tutte le idee preconcette, le immagini che l'uno aveva dell'altra e
l'altra dell'uno prima di questo sfortunato accidente, basate solo ed
esclusivamente su pregiudizi ereditati da tradizioni morte e stupidi orgogli. A
questa nuova luce, lì, nell'oscurità sempre più buia man mano che le torce
morivano, un passo dietro l'altro mentre seguivo la sua coda danzante nella
penombra davanti a me, questi pregiudizi si fecero cocenti imbarazzi, ironica
controparte del freddo glaciale tra di noi. Ad
un tratto volevo informarmi di più sull'essere, non sulla sua immagine, volevo
veramente sapere perché rischiava la vita, da chi scappava. Così
ho rotto il silenzio, e quasi sono riuscito a udire i suoi cocci di cristallo
cadere e infrangersi tutt'intorno. Ma
lei niente, non mi degnava di nuovo di risposta. Intanto,
mentre procedevamo, ancora non si vedevano ragni, nè altra anima viva, così
abbiamo iniziato a pensare entrambi (senza dirlo ad alta voce) che non fosse il
crollo, che c'era un'altra motivazione se nemmeno i ragni del gelo si spingono
così in profondità. Poi,
hanno iniziato ad affiorare, lungo le pareti, tra la terra sotto i nostri
piedi: rune, monoliti, vasi e urne... Ho
sentito parlare di spaventose rovine Nord, infestate dai peggiori scarti
dell'Oblivion, sigillate da secoli per custodire antichi e pericolosi
misteri... quindi si può capire con che prepotenza il cuore mi è schizzato in
gola non appena ho realizzato cosa stava per pararcisi davanti. Il
corridoio della grotta finisce, si apre nel vuoto, buio. Kintra
trova qualcosa sulla parete adiacente, vi avvicina la torcia e una lingua di
fuoco si sveglia, come avesse dormito in quel luogo da tempo immemore, e inizia
a correre lungo la nuova parete (nuova perché prima che si materializzasse ai
nostri occhi, al suo posto ci sembrava fosse il vuoto). E
poi compare, all'improvviso, beffarda, fregandosene della sua immobilità
piantata nelle radici della terra, come mai invece cosa mobile è potuta comparire
alla mia vista: un'enorme sala, in tipico e riconoscibilissimo stile Nord,
schietto, massiccio, con mura enormi fatte di monoliti di cui non si vede la
fine e grosse travi di legno sull'alto soffitto. Ma
quello che più ha attirato la mia attenzione, sono stati i cadaveri, lungo
tutte le pareti. La
luce balugina un attimo sui loro volti pallidi di morte, prima che questi
vengano strappati bruscamente al loro riposo. Quasi
all'unisono, decine di draugr si levano dai loro loculi verticali, come se per
tutto questo tempo non stessero aspettando che noi. Le
gambe mi hanno abbandonato, per un istante, poi l'istinto di sopravvivenza mi
ha suggerito che, se un comune giovane, con una lama mediocre, con una capacità
d'usarla ancora più mediocre, davanti ad un esercito di non morti assetati di
sangue è spacciato, lo è di più lo stesso ragazzo che combatte per difendersi
strisciando per terra senza l'uso delle gambe. Questo
non significa che, come speravo, sono diventato l'eroe delle leggende,
Ysgramor, Talos o chi altri, risvegliando le mie "abilità sopite" nel
momento del bisogno, sono rimasto sempre il solito bardo incapace scappato
dall'accademia per capriccio, ma in più molto più sudato e tremante. Forse
era solo una mia impressione, ma lì per lì mi sembrava di riuscire a sentire,
tra la grancassa del mio cuore e il tamburello dei non-morti che facevano
tintinnare le armature, sempre più vicini, il tamburo del cuore dell'Argoniana,
battere ferocemente alle mie spalle, sebbene quella non tradisse alcun
sentimento. Quello
mi ha dato il coraggio che mi serviva; non quello che volevo, quello che mi
avrebbe alleggerito lo stomaco, ma il necessario, quello che mi diede la forza
di sconfiggere i miei nemici: fendenti incauti, schivate improvvisate, calci e
pugni seminati alla rinfusa. Grazie
a Talos quei vecchi cadaveri ammuffiti erano lenti come le lune nel cielo,
altrimenti non me la sarei cavata solo con qualche ferita di poco conto alle
braccia. Quando
avevo finito con il mio da fare mi sono voltato e l'Argoniana aveva appena
concluso il suo. Per la prima volta, forse, credo di aver visto abbozzato un
sorriso tra le squame che formano la sua faccia, se possibile, ma non mi è
stato dato il tempo di accertarmene: prima uno strano suono, otturato, quasi un
sibilo, poi un boato, un esplosione. Alle
spalle dell'Argoniana spunta un'enorme lastra di pietra, come dal nulla. Io
urlo, quella si gira, la vede, fa per spostarsi, ma è troppo tardi, magari a
Black Marsh, nelle sue terre d'origine, il calore nel suo corpo l'avrebbe fatta
muovere più velocemente, ma qui, in questa terra gelida e impetuosa, nelle
profondità della roccia, non era abbastanza, quel calore. Il
lastrone di pietra le atterra addosso, fortunatamente prendendole solo la gamba
destra. Urla
di dolore, è bloccata sotto quel peso, la gamba in frantumi. Io
alzo lo sguardo verso il punto da cui doveva esser venuto quell'inusuale proiettile:
un po' più lontano, da un sarcofago di roccia che spunta dal pavimento, sta
uscendo un altro draugr, più grosso, armato e spaventoso degli altri, lentamente,
come non avesse bisogno di curarsi dei suoi nemici. Non
so cosa mi è preso, so solo che un impeto mi ha mosso l'animo a scagliarmi
contro quella figura che, mentre mi fissava lo sguardo ceruleo e vacuo negli
occhi, continuava lentamente il suo
risveglio millenario. Urlando come un pazzo correvo come mai prima, contro
quello, impugnando la spada con entrambe le mani quasi a suggellare quello che
stavo per fare: un unico affondo, alla fine di quella corsa; la lama trapassata
nella carne putrida, insensibile; l'inquietante luce nei suoi bulbi scompare... Tutto
trafelato torno da Kintra, con sforzo immane alzo il masso il tanto che basta
per farle togliere l'arto ferito. L'ho
aiutata a rimettersi in piedi, mettendomi un suo braccio intorno al collo. Dietro
a quel sarcofago e allo strano muro inciso alle sue spalle si celava l'uscita. Per
crudele ironia o per grazia divina non so, ma la risalita verso la luce fu
molto più breve della discesa nelle tenebre. Giunti
di nuovo all'aria aperta entrambi gettammo un sospiro di sollievo, insieme ad
uno sguardo grato verso le lune, alte e luminose, chiare, nel cielo di Nirn. Abbiamo
dovuto accamparci, non poteva viaggiare in quelle condizioni, di notte. Così
l'ho stesa per terra e ho fatto per dirigermi al mio posto di guardia quando «Aspetta - mi ha fermato - Aspetta... voglio dirti la verità... la
verità su chi sono» annaspava. «Il mio vero nome non è Kintra, e non è nemmeno il mio primo falso
nome... sono nata a Black Marsh, è vero, ma ho sempre odiato le paludi, sono
posti tristi e puzzolenti... così lasciai ben presto Black Marsh e iniziai la
mia vita per mare... come una piratessa. E' questo quello che facevo prima di
Windhelm, navigavo completamente libera per gli oceani di Tamriel. La ciurma di
cui facevo parte, però, era mal vista dagli Argoniani della palude, come tutti
i pirati, ma come dar loro torto? In fondo non abbiamo sempre fatto cose molto
virtuose, ci siamo macchiati di qualche crimine... ma mai niente di grave! Non
ho mai ucciso nessuno, per esempio! Ma comunque la nostra ciurma venne sconfitta da una flotta di navi
dell'Impero Argoniano e chi non venne ucciso o catturato si disperse... come
me. Fuggì verso est, nord-est. Avevo sentito di una comunità di Saxhleel a
Windhelm, Skyrim. Lì diedi il nome di Seela e diventai una dei tanti schiavi
Argoniani senza nome che lavoravano al porto, dove realmente io mi ero recata
con la speranza di potermi imbracare e salpare nuovamente... speranza che
rimase appunto tale, solo un sogno, mentre ero costretta giorno dopo giorno
agli stessi lavori, che mi sembravano sempre più inutili e noiosi. Così, per
evitare la depressione o la follia ricorsi all'espediente più usato in quella
comunità: la skooma. Venex, un Saxhleel anche lui, era il mio spacciatore. La
skooma cancellava via le preoccupazioni e per qualche minuto ti faceva provare
una felicità assoluta. Ma poi tutto tornava peggio di prima, e ne rivolevi
altra, più spesso, più forte. Alla fine mi indebitai fino al collo con Venex, ma sottostetti alle
sue prepotenze, alle violenze, finché un giorno se ne venne dicendo che se non
l'avessi pagato avrebbe rivelato alle autorità la mia vera identità di
piratessa fuorilegge... Così fui costretta alla fuga, verso Morthal, una
palude, io che le odio tanto... Il mio vero nome, comunque, quello con cui ero
conosciuta a bordo della mia nave, è Accarezza-le-Onde» Ora sono io che bado a lei, solo io, che scruto fra gli alberi, la
nebbia e i timidi lumini delle lucciole; nel frattempo scrivo, non solo questo
diario, scrivo una canzone, la prima vera canzone da quando sono scappato... ma
che dico? La prima vera canzone che io abbia mai scritto! E parla di un Argoniana...
strano eh? Chissà come la prenderebbero i miei maestri all'Accademia: non è la
solita canzone che parla del solito eroe senza paura, nessuno la reciterebbe a
gran voce durante pompose cerimonie o balli popolari... ma per me è bellissima.