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Ringrazio EverLights per
lo splendido banner e per l'enorme pazienza.
I pensieri sono un qualcosa di incalcolabile, migliai di parole messe
una dopo l'altra, destinate a far scoppiare la testa.
In ogni millesimo di secondo della propria vita, l'uomo si imbatte in
pensieri, anche inconsapevolmente.
E, a sua volta, anche i sogni sono pensieri; pensieri, desideri e paure
di cui una persona non è esattamente cosciente.
I pensieri, però, si possono anche trasformare in
confusione, in migliai di domande che fanno piangere, in questo caso.
Piangere o sorridere, questo è ciò che procurano
i pensieri.
Pensieri... quei miliardi di parole che scorrono in un piccolo spazio
chiamato testa, come se migliai di treni avessero deciso di
intraprendere la stessa strada, lo stesso binario.
E poi ci sono quei pensieri in grado di farti sorridere e piangere
nello stesso momento, mettendo in contrasto il cuore e la mente.
La mente che sorride.
Il cuore che piange. Confusione.
E tutto ciò.. all'improvviso. Era
questo che stava accadendo a Charlotte, mentre se ne stava distesa sul
letto con la testa a penzoloni e le gambe lungo il muro; a occhi
aperti, mentre osservava il tetto bianco della sua camera, come se da
un momento all'altro tutte le risposte di cui aveva bisogno sarebbero
potute spuntare da lì.
Eppure la sua testa si trovava tutt'altra parte, in quel momento. Si
trovava nel luogo dei ricordi, mentre sorrideva, rammentandoli.
Ricordi misti a immaginazione e sogni.
Pensare, pensare, pensare.
Ricordare e immaginare. Immaginare e ricordare.
Anche se,
questa volta, non c'erano molte diferenze tra i ricordi e
l'immaginazione. Tutto quel che voleva c'era già stato; solo
che adesso non c'era più. I suoi abbracci, le
sue carezze, le sue braccia calde che la stringevano durante le crisi,
le sue dita che le asciugavano le lacrime ogni qual volta piangeva, le
parole sussurrate che la consolavano e la facevano sentire la persona
più fortunata del mondo. E adesso tutto questo
non c'era più. Adesso lui
non c'era più.
E lui...
lui era sempre stato tutto.
Il sole intorno a cui girava, inconsapevolmente.
L'ossigeno che la faceva respirare.
La luce che le illuminava la strada buia su cui si trovava.
Il suo porto sicuro.
Ma allora... ma allora era vero? Allora poteva, davvero,
rivolgere quelle due parole a lui? E,
allora, perchè adesso sentiva l'odio nascere dentro di
sè?
Come potevano due sentimenti opposti affiancarsi così
pacificamente? Come potevano collaborare all'interno di un solo cuore?
All'interno di una sola mente? Come potevano concentrarsi insieme in
ogni singola lacrima?
Perchè il cuore ama e piange.
Mentre la mente odia e sorride.
Era davvero possibile?
Poteva amare ogni singolo istante passato con lui, ma al tempo stesso
odiarlo?
Poteva amare i suoi occhi chiari e odiarli al tempo stesso?
Poteva buttare tutto al vento, come se niente fosse stato? Come se non
avesse mai condiviso i momenti più belli della sua vita con lui? Ma allora perchè sprecava tempo e non veniva a
bussare quel maledetto citofono, pregandola di scendere e confessandole
quelle due parole che lei tanto desiderava ascoltare?
Perchè sprecava tempo?
Tutta
questione di attimi, di tempo che passa.
Perchè il tempo passa e non torna indietro.
Il tempo passa e quello sprecato non tornerà mai indietro
Il tempo passa, indifferentemente dai propri desideri.
Il tempo passa e lui
non era con lei.
Non stavolta.
Lui non c'era più e lei...
E lei aveva bisogno di lui.
*******************************
Ommioddio, sto per
avere un infarto.
Ho il cuore che batte
a mille per quanto sono agitata.
Questa è la
mia prima originale, nonostante io abbia
già scritto, ma cose totalmente diverse.
Non so che dire,
quindi mi limito a "parlare" di questo
prologo.
Lo so, sembra un
pò complesso e si capisce poco e nulla, ma
la storia non sarà così. Questo pezzo
è solo una... tappa importante che i nostri protagonisti
affronteranno e... chissà se la supereranno oppure no.
Sarà tutto
da vedere e spero che voi lo facciate insieme a
me.
Spero che, anche se
complesso, vi sia piaciuto e che vi abbia giusto un
pò incuriosite.
Amo questi personaggi
come se fossero figli miei e spero-di nuovo- che
li amerete anche voi.
Il primo capitolo
arriva la settimana prossima e, beh, non vedo l'ora.
Grazie a tutte per
avermi prestato la vostra attenzione.
Ah, e vorrei
ringraziare e dedicare questo prologo a quella
rompiscatole della mia migliore amica che è nervosa e mi ha
fatto una scenata affinchè trovassi il coraggio di postare.
Se vi farà schifo, date la colpa a lei lol
Poi ringrazio
Giustina, che ha letto il prologo e i primi capitoli in
anteprima e mi ha dato consigli.
Spero di risentirci la
prossima
settimana. O,
casomai, anche sul mio GRUPPO
FACEBOOK o PROFILO
TWITTER
Un bacione,
Mary xx
Osservava il treno
correre sui binari, mentre si avvicinava al portico di pietra. Come al
solito non c'era nessuno in quella strada e aveva il solito terrore di
scendere quegli scalini.
Era arrivata dinanzi al sottopassaggio e il treno stava per smettere la
sua corsa, lasciando il silenzio assoluto. Sentì il
campanello del passaggio per le auto suonare e sospirò un
pò più rilassata. Purtroppo, ogni giorno, era
costretta ad attraversare quel sottopassaggio. Nessuno lo utilizzava
più, apparte lei e qualche anima sventurata che si trovava
nella sua stessa situazione, o al massimo, qualche ubriacone che
cercava di non farsi vedere dalla polizia.
Iniziò a scendere le scale, sistemandosi lo zaino dietro
alle spalle. Quel giorno pesava più del solito; o meglio, il
martedì pesava più del solito. Sette materie in
sei ore, era il massimo, davvero.
Purtroppo era questo il liceo e lei lo aveva scelto, nonostante tutto.
Era una scuola enorme e antichissima, purtroppo situata tra il centro
della città e la periferia. La fermata dell'autobus si
trovava in periferia, oltre il sottopassaggio dietro alla scuola;
l'altro, invece, si trovava trecendo metri più in
là, verso il centro. Non era questione di essere pigra o
meno, ma se avesse voluto percorrere quei trecento metri per stare
più al sicuro, avrebbe perso l'autobus e poi costretta a
farsi dieci chilometri a piedi. Beh, meglio rischiare per due minuti di
sottopassaggio.
Finite le scale, si guardò di fronte e sorrise notando di
essere sola. Venti metri in solitudine, era la miglior cosa.
Alzò il volume dell'ipod e iniziò a canticchiare
la canzone distrattamente nella testa, combattendo contro i dolori alla
schiena.
Si guardò intorno, come faceva ogni mattina e ogni
pomeriggio da quando frequentava quella scuola. I muri erano scritti
fino al tetto con bombolette e pennarelli. C'erano frasi d'amore, nomi
affiancati, allusioni volgari, disegni e poster di feste avvenute,
minimo, due mesi fa. C'era ancora il volantino della festa di
Halloween, mentre quel giorno era il 12 marzo.
Era quasi arrivata dall'altra parte del sottopassaggio, tanto che
riusciva a vedere la metà delle rampe di scale che avrebbe
dovuto salire, quando sentì un rumore dietro di
sè. Abbassò subito il volume dell'ipad, per
controllare con l'udito se fosse qualche effetto musicale, sua fantasia
o realtà. Purtroppo, tolta la canzone, c'era ancora quel
rumore. Sentiva dei piedi avvicinarsi e provvide ad accellerare il
passo. Sistemò meglio lo zaino dietro le spalle e la sciarpa
intorno al collo. Quel giorno il freddo era tornato e buttava un vento
da far paura. Bisognava tenere i piedi ben puntati a terra o si
rischiava di cadere.
La ragazza accellerò il passo, iniziando a salire le scale.
Aveva quasi il fiatone e sperò che fosse solo qualche
passante di fretta. Forse aveva la sua stessa fretta e paura di perdere
il pullman.
Eppure, qualcosa le diceva che il suo cuore aveva mille ragioni per cui
battere velocissimo.
Alzò il piede per salire il terzo scalino, ma una mano la
bloccò. L'afferrò per il braccio e la fece
ruotare su se stessa. Strinse gli occhi e lanciò un urlo,
andando a finire contro il petto di chiunque esso fosse.
Sentì una mano dello sconosciuto posarsi dietro la sue
schiena e una tenerla per le spalle. La ragazza prese aria ai polmoni e
si concentrò, affinchè l'urlo che da
lì a poco avrebbe emesso avesse svegliato tutte le palazzine
circostranti.
Uscì una sola A
dalla sua bocca, prima che lo sconosciuto le tappasse la bocca con le
mani. Aprì gli occhi di scatto e per poco non ebbe un vero
proprio infarto. Il ragazzo che si presentò dinanzi a lei
avevava circa due anni in più di lei, era alto circa trenta
centrimentri in più, aveva i capelli neri e corti e un paio
di occhi verdi da far invidia. Vide le sue labbra inarcarsi, per poi
scoppiare a ridere. Le lasciò la bocca e si piegò
su se stesso.
- Ma vaffanculo!- sbottò la ragazza innervosita, portandosi
una mano sul cuore. Quest'ultimo batteva veloce, come se volesse uscire
dal petto. Per un secondo le era parso di sentire una canzoncina
triller in sottofondo, mentre invece era solo quel deficente cretino
ignorante e stronzo del suo migliore amico!
- Dai Char!!- il ragazzo continuava a ridere come un demente, mentre
lei lo guardava a braccia conserte.
- Sei un cretino, Peter!- sbraitò, sfogandosi.
Sobbalzò quando il treno passò su di loro e i
muri iniziarono a tremare intorno a loro. Aveva sempre avuto il terrore
dei treni e il loro rumore la faceva sempre scattare. Il ragazzo le fu
subito affianco a l'abbracciò stretta al suo petto.
Potè perfettamente sentire il cuore di lei battere furioso
contro il suo petto.
- Ehi, scricciolo. Scusami, non volevo spaventarti così-
confessò lui, improvvisamente in colpa. La ragazza smise di
tremare tra le sue braccia non appena il treno fu lontano.
Respirò a fondo e sciolse l'abbraccio, sorridendo. - Stai
bene?- le chiese, preoccupato.
- Sì, tranquillo- lo rassicurò.
- Scusami, sono stato un immaturo-
- Ma tu lo sei sempre- attaccò lei, risistemandosi la borsa
dietro alle spalle.
- Devo sentirmi offeso?-
- Assolutamente- la ragazza riprese a salire le scale, senza
preoccuparsi di lui che la seguiva. Peter afferrò la borsa
di lei, sfilandogliela dalle spalle. - Ma che fai?- brontolò
la ragazza, sbuffando.
- Ti tolgo un peso da dosso. Lo dico io che questi zaini compromettono
la salute di voi, giovani studenti- Charlotte sollevò un
sopracciglio.
- Ti ricordo, mio caro uomo vissuto, che tu solo due anni fa hai
lasciato il liceo, eh?-
- Ne sono perfettamente consapevole-
- Presumo che a te, il peso della borsa, abbia compromesso il cervello-
acida? Forse un pò.
- Oh, questa mi ha punto, ragazza. Hai bevuto caffè senza
zucchero, stamani, mia dolce pulzella?- ricominciarono a camminare. La
borsa di lei sulle spalle di lui. Uno fianco l'altro, sfiorandosi con
le braccia.
- No, ho semplicemente una fame da lupi. E sono consapevole che, appena
arriverò a casa, dovrò anche farmi da mangiare.
Quindi, Pet, non rompere, eh?- arrivarono alla fermata dell'autobus,
mentre le nuvole chiudevano completamente il cielo. Charlotte
alzò gli occhi al cielo, sbuffando mentre notava le nuvole
grige unirsi. Una nuova tempesta in arrivo.
- Vieni da me. Dovrei avere qualche fetta di pizza rimasta a pranzo- le
propose Peter.
- Pranzo di quanti anni fa?-
- Mh, cinque o sei anni fa- scherzò lui.
- Bleah!-
- Stupida, scherzo. Pizza di due ore fa. Penso che adesso sia anche
più buona di quando l'ho mangiata io. Ti va anche bene,
stronza-
- Grazie, stronzo-
Scossero entrambi la testa, mentre Charlotte alzò il dito
per chiamare l'autobus.
La pioggià iniziò a cadere e la ragazza
benedì l'autobus in arrivo. Beh, giusto in tempo.
Qualche volta la fortuna era anche dalla sua parte.
Beh, qualche volta.
Quando arrivarono a casa di Peter, ormai pioveva a dirotto.
Stupidamente, però, nessuno dei due aveva portato con se un
ombrello e si erano dovuti arrangiare, alzando i cappucci delle loro
felpe e correndo sotto la pioggia.
Mai sfidare Londra, così diceva sempre la vecchia nonna
Marie. E sì, aveva assolutamente ragione. Quella mattina la
giornata era iniziata con qualche raggio di sole in più e
molte nuvole in meno, così Charlotte, come forse tutto il
resto dei londinesi, non aveva portato con se il neutro ombrello grande
e beige. Aveva anche indossato un giubottino più leggero e
non il solito anonimo impermeabile. Charlotte era fatta
così: adorava la pioggia, ma appena vedeva qualche raggio di
sole spuntare andava in tilt e iniziava a comportarsi come se si
trovasse in California. Strana e unica. Caratteristiche che
affascinavano Peter. Erano amici dai tempi delle medie, da quando la
migliore amica di Charlotte si era fidanzata con lui. Avevano iniziato
a uscire nella stessa comitiva e così a legare, ma come
semplici amici. Quando la sua amica aveva tradito Peter, Charlotte era
rimasta sconvolta. E, ancora più sconvolta, era rimasta
quando costei le aveva chiesto di scegliere tra lei e Peter.
Beh, la scelta sembrava evidente mentre insieme a lui varcava la soglia
di casa.
Subito un ondata di calore lì investi, facendo rabbrividire
la ragazza. Erano bagnati dalla testa ai piedi, persino le scarpe erano
piene d'acqua. Non che avesse vestiti firmati da Versace, Luis Vuitton
o Armani, ma ci teneva comunque ai suoi vecchi e antimoda vestiti.
- Togliti quelle scarpe, prima che mi macchi tutto il pavimento!-
sbraitò il ragazzo un pò burbero, mentre
imprecava contro quella pioggia, a sua detta, di merda. La ragazza
avrebbe voluto opporsi, costatando che la pioggia era fatta d'acqua. Ma
decise di tacere. Sapeva quanto fosse irritabile Peter da nervoso.
Charlotte tolse le scarpe, posandole di fianco al tappeto all'entrata.
- Tanto poi, sempre io te lo lavo il pavimento- non riuscì a
non commentare, mentre toglieva anche i calzini fradici.
- Non ho bisogno della badante, tranquilla- rispose lui, acido. Quanto
lo odiava, quando faceva così.
- Se devi continuare ad essere acido, me ne vado eh!- lo
avvisò lei, continuando a stare sulla soglia di casa.
- Muoviti ed entra- scosse la testa e entrò, infreddolita.
Era tutta bagnata, cazzo. - Vado a cercare qualcosa da farti mettere
addosso- Peter scomparve dalla sua vista, lasciandola da sola nel
cucinino. La casa di Peter era discreta e arrangiata. Aveva solo una
piccola cucina, un bagno, una camera da letto e un piccolo salottino. I
mobili aveva utilizzato quelli che già c'erano, tranne per
qualche piccolo acquisto. Mentre, all'arredo ci aveva pensato Charlotte
con diversi regali nelle diverse festività. Purtroppo i
rapporti con i suoi genitori non erano dei migliori, così, a
diciotto anni, era andato via da casa, affittando questo monolocale e
cercandosi un lavoro. Infatti, passava circa mezza giornata
nell'officina di suo zio Kevin, con cui aveva fortunatamente buoni
rapporti.
La ragazza aprì la finestra, lasciando trapassare quel poco
di luce che fuoriusciva dalle nuvole. Accese la televisione,
sintonizzandosi su MTV e mettendo la musica a tutto volume.
Iniziò a canticchiare e a ballare su se stessa, chiudendo
gli occhi. Eseguì qualche piroetta, inciampando ogni tanto
nei suoi piedi umidi e nudi. Sentiva i vestiti pesare addosso e
unimidirle la pelle. Iniziava anche a sentire freddo e temette di
potersi prendere una bella influenza. Perfetto, proprio durante il
pieno del periodo scolastico.
Continuò a volteggiare su se stessa, sulla base di diverse
canzoni. Fino a quando le mani del suo migliore amico non le furono sui
fianchi e bloccarono la sua piroetta. Quando Charlotte aprì
gli occhi si trovava di fronte a lui e sorrise, specchiandosi nei suoi
occhi verdi. Si era sempre stupita come non riuscisse ad avere una
ragazza fissa, ma solo storielle momentanee. Era davvero un bel ragazzo
e anche tanto gentiluomo quando voleva. Chissà come si
comportava per farle scappare a gambe levate dopo solo una notte.
La ragazza scosse la testa, sogghignando.
- Che hai da ridere, pesciolino?- la prese in giro, beffandola.
- Sai che potrei anche prenderlo come un doppio senso?-
- Certo che sì, anima innocente. Tieni, ho trovato solo
questi di decente. Ci entrerai almeno tre volte dentro, ma meglio di
questi stracci zuppi-
- Sei un grassone, accidenti!- sorrise, mentre andava verso il bagno.
- Il mio fisico te lo sogni!- urlò lui, mentre lei si
chiudeva già la porta alle spalle.
Peter iniziò a mettere su della cioccolata calda.
Fortunatamente sapeva fare determinate cose e questo lo aiutavano a
vivere. Charlotte gli aveva imparato a fare le cose basilari, tra cui
la cioccolata calda. Lei impazziva per quella, soprattutto quando aveva
freddo o era giù di morale. Infatti, nella dispenza del
ragazzo, non mancava mai un cartoncino di cacao zuccherano e una
bottiglia di latte intero.
Mentre mescolava il latte con il cacao, sorrise immaginando la sua
migliore amica imprecare tanto le andavano larghi i vestiti. Sarebbe
stata così tanto buffa, da fargli venire i crampi allo
stomaco dalle tante risate. Si sarebbe di sicuro arrabbiata o, forse,
lo avrebbe stupito come faceva sempre. Si sarebbe comportata come se
nulla fosse.
Il ragazzo sospirò, spegnendo il fornellino e versando la
sostanza densa e marrone in due tazze. Il fumo aveva formato delle
goccioline d'acqua tutto intorno alla tazza di ceramica. Avvolse le
tazze con due tovagliolini di stoffa e li posò sulla tavola.
Aprì un pacco di biscotti al cioccolato e lo mise al centro
della tavola, sedendosi di fianco ad essa.
Erano passati cinque minuti da quando Charlotte era andata in bagno e
non era ancora tornata. Non che fosse caduta nel water?
Non finì nemmeno di formulare quel pensiero, che la ragazza
fece il suo ingresso. Peter si girò e la osservò,
cercando di trattenere un sorriso. Ma, non appena il suo sguardo si
abbassò, dovette trattenersi dallo spalancare la bocca.
Probabilmente, il pantalone le andava tropo largo, così la
ragazza aveva pensato di non indossarlo; infatti, la maglietta bianca
le arrivava quasi sopra al ginocchia, facendole da vestito. Attraverso
il tessuto bianco riusciva a vedere il reggiseno nero che indossava e,
per Peter, fu spontaneo sospirare.
- Un pantalone no, vero?- erano abituati a dirsi tutto. Ma, allo stesso
modo, erano anche abituati a una certa intimità. Certo,
l'aveva vista parecchie volte con vestitini corti o, anche, in costume;
ma, adesso, vedersela di fronte con una sua maglietta addosso era un
qualcosa di...
Beh, non poteva dire che la sua migliore amica fosse mal piazzata;
nonostante fosse alta solo 1,60, aveva dette gambe snelle, ventre
piatto e una terza abbondante di regiseno. I suoi capelli castani erano
lunghi e lisci e la pelle chiara come quella di un fantasma.
- Non mi dire che sei imbarazzato?- ammiccò lei, sedendosi
vicino alla tavola.
- Ehm... no- rispose lui, deglutendo. Si sedette al suo fianco e
iniziarono a bere, in silenzio, la loro cioccolata. I sensi di Peter
sembravano essersi svegliati all'improvviso. Gli sembrava di non aver
mai visto la sua migliore amica in queste condizioni, ma, soprattutto,
gli sembrava che all'improvviso la temperatura in casa fosse aumentata
di una decina di gradi.
Calma Peter, si ripetè, mentre Charlotte leccava la
cioccolata dal cucchiaino. Era, decisamente, in astinenza da troppo,
troppo, troppo tempo. Non stava con una ragazza in quel senso da circa
due mesi. Troppo impegno, troppo lavoro, troppe bollette da pagare e
troppa... e mai abbastanza Charlotte. Lei non bastava mai e non si
poteva mai affiancare il troppo accanto al suo nome. Con Charlotte,
Peter riusciva a dimenticare tutti i guai che aveva, riusciva a tornare
quell'adolescente spensierato che una volta era.
Forse, perchè Charlotte lo completava...
Forse, perchè la sua migliore amica lo capiva come
nessun'altro era in grado di fare...
O, semplicemente, perchè era lei. Era Charlotte, punto.
- Ehi, Peter? Che hai? Sei pallido- notò la ragazza,
toccandogli il viso. Gli carezzò una guancia e
portò il proprio palmo sulla fronte del ragazzo, costatando
se fosse caldo o meno.
- Sto bene, Char. Tranquilla- l'assicurò lui, sorridendole.
- Sicuro?-
- Sì, scimmia-
- Ti ho detto di non chiamarmi scimmia!!- sbraitò lei,
alzando le braccia al cielo.
- Ma se quando mi salti sulla schiena, la teoria di Darwin diventa
pratica- scherzò lui, piegandosi dalle risate.
- Brutto... brutto... brutto stronzo!! Me la paghi, maiale!-
- Oh, nella vecchia
fattoria..- canticchiò lui, ridendo di cuore.
- Arrrrgh!! Ti odio!-
- No, mi vuoi bene, invece- disse lui, alzando il mento e gonfiando il
petto.
- Hai ragione, purtroppo
ti voglio bene- si arrese lei, poggiando la schiena alla sedia e
sospirando.
- Comunque, io te ne voglio di più- disse Peter,
sorridendole. La ragazza scosse il capo e sorrise anch'ella.
- Impossibile, ritenta-
- Scema-
- Ti voglio bene, Peter- disse lei, seria. Il ragazzo
sospirò, sentendo il cuore più leggero.
- Ti adoro, Charlotte- e, nel momento in cui pronunciò
questa frase, un brivido trapassò entrambi e un
tuono eccheggiò nell'aria.
*************************
Ah, quanto mi manca la
pioggia; vorrei stare nei loro panni per qualche ora, per non dover
sopportare questo caldo infernale! Ops, scusate, non vi
ho nemmeno salutate. Saaaaaaaaaaaaaalve!
Come state? :3 Ecco finalmente il
PRIMO CAPITOLO di questa storia.
Che ve ne pare? *-*
Ebbene sì, loro sono, per sommi capi, Peter e Charlotte.
Li amo, li amo, li amo.
Sono i miei piccoli, i miei bambini :')
Che ne pensate? Vi piacicono? Come sono? kjesrsk.
Vorrei ringraziare tutte coloro che hanno deciso di inserirmi tra le
preferite, seguite, ricordate e che mi hanno recensita.
Le vostre recensioni mi hanno commossa, davvero, anche
perchè ero davvero in ansia per paura che non vi piacesse
quell'epilogo o il mio modo di scrivere o tutto il resto.
Bla, bla, bla.
Vi sto rompendo, lo so.
Okay, vi lascio in pace e me ne vado.
Spero, con tutto il cuore, che vi sia piaciuto e che mi lasciate una,
anche piccolissima, recensione *-*
PROSSIMO CAPITOLO: LUNEDI' :)
E, se volete, potremmo risentirci per qualche spoiler o anche solo per
conoscerci un pochino sul mio GRUPPO
FACEBOOK o sul mio profilo TWITTAH.
Un bacione enorme,
Mary xx
"Losing
my mind on a tiny error, I
nearly left the real
me on the shelf… No,
no, no,
no… "
Capitolo
2
-
Sono a casa!-
annunciò Charlotte, chiudendosi la porta
alle spalle. Posò le chiavi sul muretto e si
guardò intorno, tastando il muro con il palmo aperto.
Regnava il buio totale nell'appartamento e c'era un'incredibile puzza
di chiuso. Riuscì ad accendere la luce e corse ad aprire la
finestra della cucina, con tanto di ante. L'aria fredda e pulita la
investì subito. La ragazza respirò a pieni
polmoni, prima di tornare dentro. Lasciò la finestra aperta
e andò in camera sua, aprendo anche lì un
pò la finestrella. Fu istintivo portarsi le mani tra i
capelli, quando vide il disastro in quella camera. La camera di
Charlotte era grande e spaziosa. Al suo interno c'era un letto a una
piazza e mezza, una scrivania di legno chiaro, un comò su
cui aveva fotografie e portagioie, due comodini e una cabina armadio.
Il tutto decorato con uno strano color lilla che lei proprio non
sopportava. Non per il colore in sè, anzi le piaceva, ma non
sapeva nemmeno lei spiegarsi il perchè dell'odio nei
confronti di quel colore.
Con la punta dei piedi si sfilò le converse fradice e le
buttò sotto la finestra, tolse i pantaloni e li
buttò nella cesta dei panni sporchi. Rimase con solo la
maglietta di Peter addosso, che le copriva metà coscia.
Le piaceva un casino indossare i vestiti del suo migliore amico e
sentirne il profumo di uomo. Era una cosa che l'aveva sempre attratta.
Charlotte tornò in cucina, con i calzini ancora ai piedi.
Aprì il frigo e bevve un pò di succo dal cartone,
andando alla ricerca di qualche bigliettino sparso per casa. Certo, era
strano che la serratura di casa non fosse chiusa col doppio giro, ma
non c'era nessuno, regnava il silenzio totale.
Improvvisamente affamata, portò un grissino in bocca,
tornando in camera sua.
Inizialmente era indecisa se rifare il letto oppure no, ma alla fine si
decise che era meglio rifarlo o quella notte si sarebbe trovata senza
coperte addosso. E stare senza coperte addosso equivaleva a non
dormire. Perchè? Non perchè facesse freddo, ma
solo perchè la ragazza si sentiva protetta con le coperte
addosso, il torpore che emanavano la allontava dagl'incubi che spesso
la tormentavano.
Si legò i capelli in una coda disordinata, lasciando qualche
ciocca ondulata cadere sulle spalle.
- Okay, all'opera Charl- iniziò a rifare il letto, a
sistemare alcuni vestiti nell'armadio, mentre altri nella cesta dei
panni sporchi, i libri nello scaffale, i fili del pc nel primo cassetto
del comodino sotto alla scrivania, le scarpe nella cabina armadio, i cd
sulla seconda mensolina. Le sembrava che tutto stesse a posto e sorrise
soddisfatta dal suo lavoro. Ormai era abituata a fare pulizie, visto
che era l'unica a farle in casa. Ogni domenica doveva svegliarsi alle
nove, rinunciando a qualche ora di sonno in più, per pulire
casa. Aveva categoricamente rifiutato la richiesta del padre sul
prendere una domestica, quella era casa sua. Punto.
Charlotte sbadigliò e si lasciò cadere sul letto,
subito dopo aver chiuso la finestra. Si sentiva stanca e spossata e fu
automatico per lei chiudere gli occhi e rilassarsi. Sentì le
forze abbandonarla e, inconsciamente, si addormentò.
Le sembrava che fossero passati solo due minuti, quando
sentì delle voci disturbare il suo riposo. Aprì
gli occhi e la sveglia sul comodino le segnalò che erano
appena le sei e mezza. Beh, erano passati solo dieci minuti da quando
aveva chiuso gli occhi.
Charlotte sbadigliò e si stropicciò gli occhi,
portandosi a sedere. Sentì altre urla e decise di andare a
controllare. Aveva ancora i calzini ai piedi e la maglietta di Peter.
Prese al volo un paio di culotte e le indossò come
pantaloncini. Uscì dalla camera e andò verso la
cucina, da cui provenivano le urla. Le sembravano molto familiari. Fin
troppo.
Prima che avesse varcato la soglia, tornò indietro di un
passo nascondendosi dietro al pilastro grande del salone. Al centro
della camera c'erano sempre loro, pronti ad urlarsi le cose
più orribili del mondo. I suoi genitori, in teoria.
La signora, ormai ex, Butler viveva a circa due ore da quella casa.
Veniva ogni tanto a trovare sua figlia ma, ogni volta, si ritrovava a
discutere col suo ex marito dimenticando il motivo per cui era venuta.
Teoricamente si erano separati otto mesi fa, ma sua madre era andata
via di casa solo due mesi fa. Chalotte era rimasta con suo padre, ma
era come se vivesse da sola.
Si concentrò sulle parole dei suoi genitori, ascoltando una
delle loro ennesime discussioni.
- Voglio vedere mia figlia, posso?- chiese la donna, portando una
ciocca di capelli biondi dietro l'orecchio.
- Dove vuoi che sia? Vieni qui, fai le solite sparate del cazzo e poi,
quando te ne devi andare, passi a salutare tua figlia!-
sbraitò l'uomo, diventando rosso in viso.
- Beh, tu non sei nella miglior condizione per cui parlare, ti vorrei
ricordare-
- Io almeno non me ne sono andato di casa, strafregandomi della figlia
che abbandonavo-
- Charlotte sa che quando le servo io ci sono-
- A due ore da casa sua!?- l'uomo era infuriato e sembrava voler
scoppiare.
- Sì, esistono anche i telefoni!-
- Che razza di madre sei?! Eh? Ma non ti vergogni? Va, va a salutare
tua figlia, avvisandola che tornerai a trovarla tra... tra quanto? Due
mesi?-
- Saranno anche affari miei, non pensi Richard?-
- No, Caterine, non penso proprio. Quella è nostra figlia,
mia quanto tua. E vorrei che avesse una madre-
- Ma lei ce l'ha!-
- Peccato che è come se fosse morta!- la donna
sbiancò, mettendo in risaltò il rossetto rosso
sulla pelle pallida.
- Non permetterti, mi hai capito? Fosse stato per me, non l'avrei fatta
proprio una figlia! Avrei abortito nel momento in cui seppi di essere
incinta, ma eri tu quello ostinato! Beh, adesso tieniti le tue
responsabilità e la tua figlia, io faccio quel che mi va! E
già farmi due ore di viaggio per venire a vedere quanto
ancora sia dimagrita o quanti altri otto abbia preso a scuola, beh
è giò tanto!- Charlotte iniziò a
tremare, mentre ascoltava il tono deciso e sicura di quella donna. I
rapporti tra di loro non erano mai stati dei migliori, ma sentire cose
del genere...
Decise di non voler ascoltare una parola in più, facendo
dietro front. Si trascinò in camera sua, chiudendo la porta
a chiave. Si buttò sul letto, mentre calde lacrime
iniziarono a scorrerle lungo le guance. Abbracciò il cuscino
a sè, soffocando i singhiozzi sulla federa immacolata.
Sentì la porta d'ingresso sbattere e una macchina mettere in
moto e sgommare via. La madre era andata.
Dopo cinque minuti sentì di nuovo la porta e un altra auto.
E via anche suo padre.
Senza avvisare, o controllare, o salutare.
Senza nemmeno vedere se ci fossi, o se fossi viva.
Niente.
Come sempre.
Charlotte afferrò il telefono tra le mani, digitando quel
numero che ormai sapeva a memoria. Sentiva che un'altra crisi di panico
stava arrivando. I singhiozzi le scuotevano il petto e le lacrime non
erano decise a cessare. Iniziò a tremare per il freddo e
l'aria iniziava a mancarle nei polmoni.
Le succedeva sempre così quando aveva le crisi. Soprattutto
negl'ultimi due mesi. Soprattutto dopo che...
- Pronto? Charl?- la sua voce riuscì a mettere fine a quello
strano flusso di pensieri. Sentì di nuovo il cuore battere e
un pò d'aria raggiungere i polmoni. - Charl? Charlotte?- la
chiamò di nuovo, non udendo alcuna risposta.
- Sì...- sussurrò la ragazza, cercando di fermare
le lacrime con la mano.
- Charl? Stai piangendo? Che succede?- un altro singhiozzo le scosse il
petto e ricominciò a piangere violentemente.
- H... ho bisogno di... te-
- Arrivo immediatamente!- staccò la telefonata e Charlotte
continuò a piangere, cercando di prendere sempre respiri
profondi.
Tra poco passa Charlotte, tra poco passa.
Dire che era agitato, era un eufemismo.
Correva in strada, schivando le auto a destra e a sinistra. Casa di
Charlotte distava dalla sua circa venti minuti a piedi, mentre adesso
se li era fatti in meno di dieci minuti. Riusciva a vedere la terrazza
di casa sua da dove si trovava e si rincuorò un
pò.
Ormai la risorsa d'aria nei polmoni era esaurita e iniziava a sentire
un bruciore nel petto.
Ma doveva correre, perchè Charlotte stava male. Stava di nuovo male.
Stava avendo una delle sue crisi di panico ed era sola a casa,
probabilmente lontana dai suoi calmanti.
Mentre saliva le scale per raggungere la porta d'ingresso, Peter mise
le mani nelle tasche alla ricerca della chiave di riserva di casa di
Charlotte. Non c'era nessuna macchina nello spiazzale di fronte, quindi
suo padre non c'era... come sempre.
Infilò le chiavi della serratura e, rischiando di spezzare
il lungo pezzo di ferro, apri la porta. Le persiane erano tutte alzate
e la casa in ordine. Probabilmente Charlotte aveva fatto pulizie fino a
quando era successo qualcosa. Il ragazzo sentì un forte
odore di profumo femminile, che di certo Charlotte non usava. Lei era
una ragazza semplice, che si accontentava del profumo di un
bagnoschiuma o, al massimo, di muschio bianco. Semplice, proprio come
lei.
Peter subito capì a chi appartenesse quel profumo e cosa
fosse successo, per sommi capi.
Sua madre era stata lì.
Peter chiuse la porta, precipitandosi al piano di sopra. Ormai
conosceva a memoria quella casa, come se fosse stata la sua. Si
precipitò verso la terza porta del corridoio e la
trovò chiusa a chiave. Porca puttana, imprecò
subito lui.
- Charl? Charlotte? Sono Peter, apri per favore!- urlò lui,
bussando alla porta. Sapeva quanto la sconvolgessero certe crisi e
aveva paura, una tremenda paura. - Char, per favore, non voglio rompere
la porta!- Peter iniziò ad abbassare violentemente la
maniglia, tanto che avrebbe anche potuto strapparla da quell'inutile
pezzo di legno. Il ragazzo imprecò in tutte le lingue che
conosceva (certo, non molte), ma i suoi nervi sembravano voler
schizzare.
Solo quando sentì il rumore della chiave girare dall'altra
parte della porta, tornò a respirare. La porta si
aprì e si sentì straziato quando vide la sua
migliore amica sulla soglia della porta, con gli occhi gonfi e rossi e
il volto pallido.
Senza nemmeno dire una parola, si precipitò verso di lei,
stringendola al proprio petto. Portò un braccio dietro alla
sua schiena e un altro dietro alla sua testa, stringendola forte a
sè. Charlotte era immobile, le braccia lungo i fianchi
impassibile. Si muoveva solo il suo petto, rotto dai singhiozzi.
Peter la prese tra le braccia con facilità, tanto che pesava
poco. Ultimamente era dimagrita. Non era mai stata grassa, anzi,
tutt'altro; ma aveva avuto sempre un filo di carne sulle ossa, mentre
adesso erano rimaste solo quest'ultime. Da due mesi mangiava poco e
niente e si buttava solo sui libri, dimenticando i pasti e, a volte,
anche di andare a dormire.
Mise Charlotte sul letto, sdraiandosi al suo fianco.
L'abbracciò forte contro al suo petto.
Rimasero così per minuti interi, senza dire nemmeno una
parola.
Forse perchè Charlotte era distrutta?
Forse perchè Peter era a disagio?
No, semplicemente perchè per loro il silenzio valeva
più di mille parole.
Si sentiva più rilassata, adesso. Sentiva il respiro
regolarizzarsi, mentre la mano di Peter le accarezzava delicatamente la
schiena. Le lacrime si erano fermate e la crisi di panico completamente
sparita. Si sentiva di nuovo intera, di nuovo Charlotte. Certo, un
pò martoriata dentro, ma sapeva che al suo fianco aveva una
persona che non l'avrebbe delusa mai. Sentiva di essere al sicuro in
quel momento, di poter contare a pieno in lui, di potersi fidare.
- E' stata di nuovo lei, vero?- sussurrò Peter, spezzando il
silenzio che si era creato fino ad allora. Charlotte si
limitò ad annuire contro al suo petto, cercando di
controllare il suo respiro. La mano del suo milgiore amico
salì nei capelli e prese ad accarezzarglieli, come si fa ai
bambini. Sì, in quel momento si sentiva esattamente come una
bambina. Indifesa e piccola, tra le braccia della persona di cui si
fida. Tra le braccia di una persona che si prende cura di lei.
- Charl, tesoro, vuoi prendere un...- la ragazza scosse forte la testa.
- No, no. Non voglio prendere nulla, Peter... ti prego- le si
incrinò di nuovo la voce, tanto che il ragazzo la strinse
ancora di più a se.
- Okay, tranquilla. Ci sono io adesso- Charlotte annuì,
affondando la testa nel suo petto. - Ci sono io qui- ripetè,
per rassicurarla.
Le sembrava un pulcino spennacchiato che cercava la sua mamma, in mezzo
al deserto. Tremava e ogni tanto tornavano i singhiozzi. Non aveva una
crisi del genere da due mesi, cioè da quando sua madre era
andata via di casa. Dall'esterno tutti invidiavano Charlotte. La sua
famiglia era ricca, aveva una villa, genitori importanti, ottimi voti a
scuola ed era anche bella. Ma la sua vita era tutt'altro che perfetta.
Certo, era ricca, è vero. Suo padre era uno degli uomini
più importanti della città e avevano un enorme
casa, ma Charlotte si era categoricamente rifiutata di poter usufruire
di questa sua posizione. Faceva finta di vivere da sola, tanto ormai
era così. Suo padre era sempre fuori per lavoro e, a volte,
trascorreva anche la notte in ufficio o chissà dove. Sua
madre viveva a chilometri da qui e si faceva viva una volta ogni tanto,
troppo impegnata a leccare i piedi al suo quasi secondo marito. La casa
era grande e questo comportava un enorme fatica nelle pulizie;
Charlotte si era rifiutata di avere una cameriera o cose del genere,
odiava queste stupidaggini.
Ma ultimamente le cose stavano degenerando. Suo padre iniziava ad avere
anche problemi economici, soprattutto dopo il divorzio. E Charlotte si
sentiva in difficoltà, inutilmente. Lei non aveva mai pesato
economicamente, a parte l'abbonamento per il pullman che pagava
mensilmente. Eppure si riteneva sempre la colpevole di tutto. Insicura
di se stessa, si riteneva diversa e strana dalle sue coetanee. E forse
lo era davvero, lei era molto di più. Era matura e
responsabile, a differenza delle sue "compagne". Lei era già
adulta.
- Ehi, pulcino.. dormi?- le chiese, continuando a carezzarle i capelli.
Scosse la testa, sistemandola meglio sul suo petto.
- Me la dici una parolina?- Peter provò di nuovo a farla
parlare, ma fu del tutto inutile. - Charlotte...- la pregò,
inclinando la voce.
- Mi dispiace...- sussurrò.
- E di cosa?- chiese Peter, confuso.
- Di averti fatto venire qui per senza niente. Forse avevi altro da
fare, cose certamente più impor-
- Ehi, ehi- la interruppe, allontando il viso della ragazza dal suo
petto, così da poterla guardare negl'occhi. - Che stai
blaterando?-
- Ti disturbo sempre, mi dispiace...-
- Non ti permettere nemmeno di pensarlo, Charl. Tu non mi disturbi mai,
chiaro?-
- Ma...-
- Niente ma- la zittì, portando un dito a serrare le sue
labbra. - Sono qui perchè ci voglio essere, Charlotte. Non
perchè lo vuoi tu. Chiaro?- la ragazza annuì,
abbassando lo sguardo. Peter intuì subito che questa domanda
era dovuta a qualcosa accaduto prima che lui arrivasse. - Da cosa
è scaturita questa domanda?- Charlotte sospirò,
stringendosi di nuovo al petto del suo migliore amico.
- Oggi è venuta mia madre...-
- Lo immaginavo- commentò Peter, serrando gli occhi.
Charlotte sospirò, di nuovo.
- Stava discutendo con mio padre e ho... ho sentito per caso quel che
dicevano- la ragazza si bloccò.
- E?- la incoraggiò.
- Ha detto... ha confessato che se fosse stato per lei, quando
scoprì di essere incinta, avrebbe abortito. Ma era stata
solo colpa di mio padre, se ora sono qui e le creo problemi-
scoppiò di nuovo in lacrime, stringendosi al petto di Peter.
Quest'ultimo era rimasto a dir poco sbalordito da quella confessione.
Ormai aveva imparato a conoscere la madre di Charlotte e aveva capito
quanto fosse esuberante; era una donna che pensava di essere ancora
adolescente, quando in verità aveva già
più quarant'anni. Pretendeva sempre il meglio da tutti, ma
pensava che almeno con sua figlia potesse essere una buona persona. E
invece si sbagliava. Completamente.
- Shh, tesoro mio. Non piangere, shhh-la cullò, stringendola
a sè. Le accarezzava i capelli e la schiena, nella speranza
di rafforzarla e calmarla. - Vado a prenderti un bicchiere d'acqua,
aspetta- la ragazza si limitò ad annuire e lasciò
la presa sulla maglietta di Peter. Corse in cucina e riempì
il bicchiere di vetro con l'acqua del rubinetto. Era tentato ad aprire
il mobiletto accanto al frigo, prendere quelle gocce e versarne tre nel
bicchiere d'acqua. Quelle l'avrebbero calmata. Si sarebbe addormentata
in un sonno profondo per almeno due ore di fila. Ma glie lo aveva
promesso.
Facendosi forza e combattendo contro quell'istinto, tornò
nella camera di Charlotte e la trovò addormentata sul suo
letto. Era in posizione fetale, con le gambe strette al petto e il viso
affondato nel cuscino. I suoi occhi lacrimavano ancora e le labbra
erano gonfie. Peter si sedette sul suo letto, posando il bicchiere sul
comodino.
Rimase ad osservare il volto liscio e roseo di Charlotte, con
ammirazione e tenerezza. Dormiva come un angelo, senza nè
muoversi nè lamentarsi. Controllò svariate volte
il suo respiro, nella paura che si potesse sentire male. Peter non
riusciva a capacitarsi di quel che la madre di Charlotte aveva detto e
ogni volta rimaneva più stupito della volta precedente.
Doveva pur abituarsi, un giorno.
Fortunatamente non aveva mai avuto chissà quanti incontri
con sua madre, a parte qualche volta a cena l'anno precedente. Non era
chissà quanto socevole, anzi, sembrava una di quelle tipette
tutta capelli e unghie. L'opposto di Charlotte, assolutamente. Mentre
con suo padre, Richard, aveva avuto più incontri, diciamo
forse uno a settimana. Suo padre confidava in lui e si fidava
pienamente della sua maturità -certo, non è che
conosceva le serate da sbronza colossale di Peter-, ma quando c'era
Charlotte, Peter era la persona più responsabile del mondo.
E non si trattava di irrimediabili e presunti sensi di colpa che
avrebbero colpito Peter se fosse successo qualcosa alla sua migliore
amica, ma era un senso di protezione del tutto naturale che nasceva
dall'interno delle sue ossa.
Incontrarla era ritenuto un miracolo da Peter. La sua ancora, la sua
luce, la sua salvezza.
Erano sei anni che erano amici e a Peter sembrava solo ieri quando
Lindsey, all'epoca la sua ragazza, aveva deciso di presentargli la sua
migliore amica, Charlotte. Nel momento in cui la vide si chiese come
potesse una bambina così piccola e innocente essere amica
-migliore, tra l'altro- di Lindsley. All'epoca stava con quella ragazza
da un mese circa e aveva già capito che non era un tipo di
cui fidarsi; ma serviva per farsi carino e poter dire "sì,
anche io ho una ragazza". Mentalità da tredicenne di merda,
assolutamente. Ma Charlotte era così innocente mentre gli
stringeva la mano e arrossiva, così riservata quando dava
gomitate alla sua amica come per dire "andiamo via" e lei non capiva.
Già all'epoca capivo ogni suo minimo gesto come nemmeno la
sua secolare amica sapeva fare. Avevano iniziato ad uscire nella stessa
comitiva, formata dagli amici di Peter, ossia di secondo liceo, e da
Lindsley, Charlotte e un'altra tipetta di terza media. Per Peter era
un'innaturale responsabilità controllare ogni movimento di
Charlotte, fino a quando una sera un ragazzo, in discoteca, si
avvicinò al suo esile corpo iniziando a strusciarcici come
un maniaco in astinenza da anni. Beh, inutile dire che il ragazzo
finì col labbro spaccato, ma quella sera scattò
la scintilla nel momento in cui Charlotte si lasciò andare
piangendo contro il petto di Peter. Lui la portò fuori dal
locale, lontano dagl'occhi di tutti, e si assicurò che non
fosse successo altro. La strinse a sè per minuti interi,
fino a quando Charlotte si allontanò e Peter rise osservando
tutto il suo mascara colato.
"Perchè... ridi?" gli aveva chiesto, tirando su con il naso.
"Hai tutto il trucco... sbavato" Charlotte, per nulla interessata
all'apparenza, si era passata una mano sul viso, peggiorando la
situazione. E così, Peter, aveva preso il suo fazzoletto di
stoffa con le iniziali del suo nome e cognome ricamate sopra, e le
aveva pulito il volto.
"G... grazie" aveva sussurrato lei, tremando. Lui l'aveva coperta con
la sua giaccia e le aveva sorriso.
"Sei molto più bella senza trucco" aveva
abbozzatò un sorriso e poi aiutata a scendere dal muretto.
Da quella sera presero a salutarsi con un bacio sulla guancia ogni qual
volta si vedevano, ridevano per qualsiasi battuta dell'altro e facevano
poco caso ai comportamente esuberanti di Lindsley. Ma la ragazza non
sembrava dargli troppo peso, presa, probabilmente, da altro. Altro che
si presentò dopo un altro mese, in cui Peter aveva scoperto
la sua pseudo ragazza in compagnia di un altro, dietro ad un muretto.
L'aveva lasciata senza esitazione e anche senza starci male. Non
l'amava, nè le voleva bene, soprattutt dopo l'accaduto.
Charlotte era rimasta sconvolta dall'accaduto, ma ancora più
sconvolta quando Lindsley l'aveva messa alla scelta: la sua eterna
migliore amica o il suo nuovo amico?
Peter non dimenticherà mai l'ansia mentre Charlotte le
raccontava quel momento, sulla panchina di fronte alla scuola. Il viso
pieno di lacrime e la voce tremante. Temeva della scelta della sua
nuova amica e soffriva al solo pensiero che lei avesse scelto Lindsley.
Un dolore per un eventuale abbandono nemmeno paragonabile al dolore del
tradimento della sua -ex- ragazza. Ma, quando Charlotte gli
confessò la sua scelta, l'aveva presa e fatta girare su
sè stessa, urlando come un pazzo.
E da lì tutto era cesciuto, passo dopo passo.
Si vedevano tre volte a settimana durante l'estate, se non di
più. Ogni mattina davanti alla scuola, quando anche lei
aveva iniziato il liceo. Uscivano insieme, anche semplicemente per
andare a prendere un gelato. Parlavano a telefono, passavano il tempo a
messaggiare, nottate in bianco su msn, cena a casa di uno e pranzo a
casa di un altro. Tutti iniziavano a pensare che stessero insieme, ma
loro sapevano benissimo cosa stava succedendo. E glie lo suggeriva la
spontaneità con la quale si raccontavano ogni minima cosa,
la facilità con cui lei versava le lacrime quando stava
male, l'immediatezza quando uno aveva bisogno dell'altro, il bisogno di
raccontare subito all'altro una qualche novità. Ma,
soprattutto, la necessità di vedersi, passare del tempo
insieme e non cambiare mai.
Migliori amici, ecco cosa stavano diventando.
Un colpo di tosse fece sobbalzare Peter, troppo preso dai ricordi per
poter sentire dei passi avvicinarsi.
- Richard- salutò il ragazzo, sorridendo all'uomo sulla
soglia della porta. Aveva avuto il permesso di chiamarlo per nome e
dargli del tu qualche anno fa. Erano quasi come amici, ormai.
- Peter, ciao. Charlotte non sta bene?- si allarmò l'uomo,
facendo un passo avanti. Il ragazzo scosse velocemente la testa.
- No, solito...- si limitò a rispondere.
- Da quanto è a casa?-
- Penso da qualche oretta. Oggi l'ho passata a prendere a scuola e ha
pranzato da me-
- Ah, ma allora... oggi era a casa quando...- annuii, vedendo l'uomo
chinare la testa. - Come sta?- fece cenno con il capo, indicando
Charlotte.
- Ha avuto una delle sue... crisi, ma ora sta bene. Si è
addormentata da una mezz'oretta- disse Peter, osservando la
radiosveglia sul comodino al suo fianco.
- Mi dispiace...- l'uomo abbassò il tono di voce, realmente
dispiaciuto.
- Non è colpa tua, Richard-
- Lo so, ma vorrei che non soffrisse così- Peter
sospirò, abbassando le spalle.
- Nemmeno io, ma un giorno riuscirà ad affrontare tutto a
spalle larghe- il ragazzò cercò di rassicurare il
padre di Charlotte, ma forse stava cercando uno spiraglio di speranza
anche lui.
- Grazie di esserci, Peter. Senza di te, lei...-
- Non lo dire nemmeno. Ci sono e ci sarò sempre, per lei- l'uomo
abbozzò un sorriso.
- Ti creo disturbo se ti chiedo di dormire qui, con lei, stanotte?- il
ragazzò stabuzzò gli occhi, sorpreso da questa
richiesta.
- N... no- deglutì, girandosi ad osservare il corpo di
Charlotte coperto da un lenzuolo.
- Ho paura a lasciarla da sola. Io devo partire e sarò via
per due giorni- di nuovo,
pensò Peter.
- Va bene. Rimarrò qui fino al tuo ritorno, allora-
- Grazie, di nuovo-
- Di niente, di nuovo- l'uomo abbozzò un sorriso e si chiuse
la porta alle spalle, allontanandosi dalla camera. Si diresse in bagno,
dandosi una sciacquata al viso e alle braccia. Si tolse la maglietta e
la piegò accuratamente, posandola sullo sgabello di fianco
alla vasca. Fortunatamente aveva ancora i pantaloni della tuta,
così sarebbe stato più comodo dormire.
Uscì dal bagno e si avvicinò al letto, sedendosi.
Erano le otto e mezza di sera e qualche ora di sonno in più
avrebbe fatto bene a lui, quanto avrebbe fatto bene a Charlotte. Si
alzò dal letto e chiuse le fineste, assicurandosi che nella
camera risplendesse solo ila luce della radiosveglia. A Charlotte
piaceva dormire al buio totale e, anche se a lui dava un pò
fastidio, avrebbe resistito senza dir nulla. Peter si sdraiò
accanto alla ragazza che continuava ad agitarsi nel sonno.
Comprì col lenzuolo il corpo di entrambi, mente
sentì la porta di casa sbattere, sintomo che Richard era
andato via. Si chiese se aveva lasciato almeno un post-it a sua figlia,
ma aveva qualche dubbio. Si rilassò col capo sul cuscino e,
istintivamente, avvolse i fianchi di Charlotte con un braccio,
avvicinandola al suo corpo e assicurandosi che si riscaldasse bene. La
ragazza si calmò all'istante, rilassandosi contro di lui.
Peter ispirò il suo profumo e sorrise, chiudendo gli occhi e
lasciandosi andare ad un sonno tranquillo, affiancato dalla persona
più importante della sua vita.
******************** Salve
a tutte e buon
inizio settimana!
Sono convinta che la maggior parte di voi è in vacanza e
sì, tra due giorni parto anche io (Sicilia yeah).
Okay, questo è stato un parto di capitolo, lo ammetto.
Abbiamo iniziato a conoscere i nostri Peter e Charlotte nel primo
capitolo ma qui.. beh, qui si capisce davvero quanto siano uniti;
inoltre abbiamo conosciuto la situazione familiare di Charlotte e come
è iniziata la loro amicizia.
Capitolo sostanzioso, senza alcun dubbio lol
Aaadesso volevo avvisarvi che non so se riuscirò a postare
lunedì come di regola, probabilmente lo farò
martedì perchè, appunto, parto per le
vacanze.
Non vedo l'ora di farvi leggere il prossimo capitolo perchè
è tipo kajreknmflearfl. Comprì? uù
Vorrei ringraziare tutte le meravigliose 32 persone che mi seguono tra
preferite, seguite e ricordate e coloro che mi hanno recensita :')
Vi lascio al sole e al mare e, naturalmente, vi ricordo il mio GROPPO
FACEBOOK.
Fatemi sapere che ne pensate del capitolo, anche se fa schifo lol
Un bacione enorme,
Mary xx
Le sembrava
di avere
quattro o cinque piumoni addosso, nel bel mezzo del Sahara.
Aveva caldo, un terribile caldo. Ma, nello stesso momento, era
cosciente di trovarsi nel mondo dei sogni, ben lontana dalla
realtà. Charlotte vedeva la sua figura riflettere da ogni
parte; ovunque si girava c'era una lei, con la stessa espressione e con
lo stesso viso rosso e accaldato.
Come faceva a capire di star sognando? Beh, i colori erano troppo
vividi per trovarsi in una camera reale, e poi aveva quella sensazione.
La ragazza osservò il suo volto in fiamme sui vari specchi,
fino a quando vide una scintilla ta i suoi capelli. Millimetro dopo
millimetro stava andando in fiamma e prese ad agitarsi, nonostante
fosse sicura che si trattasse di un sogno. Non sentiva dolore, ma solo
caldo. Tanto caldo.
Aprì gl'occhi di scatto, trovandosi sudata e accaldata.
Aveva solo un lenzuolo addosso, ma il calore proveniva dal corpo al suo
fianco. Charlotte si girò su un fianco, trovandosi faccia a
faccia con Peter. Dormiva con una guancia schiacciata sulla federa
arancione e la bocca leggermente aperta, da cui fuoriusciva un filo
d'aria; il suo respiro era lieve e il suo corpo occupava
metà letto, rannicchiato per non buttarla giù.
Charlotte pensò che sicuramente era stato suo padre a
chiedergli di rimanere, dopo averlo trovato al suo fianco; e, molto
probabilmente, lui era partito per qualche giorno e temeva di lasciarla
da sola, dopo l'ennesima crisi.
La ragazza si sgranchì un pò le braccia e si
girò ad osservare la radio sveglia sul comodino, che segnava
le tre e mezzo del mattino. Era ancora molto presto, ma lei si sentiva
fin troppo riposata. Così si alzò e
andò in bagno, a sciacquarsi un pò il viso. Mente
lo asciugava, trovò piegata sullo sgabello la maglietta di
Peter. Quindi, pensò Charlotte, lui era a petto nudo. La
ragazza scosse frettolosamente la testa, pettinandosi poi i capelli con
le dita e tornando in camera, deglutendo più volte. Si stese
di nuovo al fianco di Peter, trovandosi ad un palmo dal suo viso.
Sorrise, intenerita dall'espressione rilassata del suo migliore amico.
Era il tipo di ragazzo che cercava sempre di mostrarsi forte e
insensibile, ma era tutto l'opposto: dolce e sensibile; ma si prendeva
cura di lei, anche se avesse dovuto stringere i pugni a sangue e patire
il più grande dei dolori.
Charlotte si trovò ad accarezzargli il volto con un dito,
sfiorando la pelle leggermente ruvida a causa del leggero filo di barba
che stava crescendo. Sfiorò le sopracciglia scure e, infine,
le labbra piene. Fu spontaneo, per lei, pensare a quante ragazze
avessero poggiato le loro labbra su quelle che ora lei stava sfiorando;
sapeva perfettamente che Peter aveva avuto molte ragazze, soprattuto di
non-fisse. Era consapevole -e di certo lui non le mentiva a riguardo-
che ogni tanto usciva in qualche bar e si divertiva con
qualche non-fissa. Lei le chiamava così, come un nome in
codice che, in un certo senso, la rassicurava; perchè
rimanevano comunque ragazze da una sera e basta, niente di
più e niente di meno. Certo, era da egoista pensare ad una
cosa del genere, ma Charlotte aveva una paura costante del momento in
cui il suo migliore amico avrebbe trovato la ragazza giusta e l'avrebbe
abbandonata per sempre. Ma, in effetti, non era un pensiero totalmente
egoista, perchè Charlotte temeva anche il momento in cui lei avrebbe
trovato il ragazzo giusto e si sarebbe allontanata, inconsapevolmente,
da Peter. Avrebbe voluto fermare il tempo e vivere in un mondo
parallelo, senza fidanzati nè nulla.
Charlotte aveva avuto solo un ragazzo nei suoi diciotto -quasi
diciannove- anni di vita. Ci era stata insieme sei mesi, un anno fa. Lo
aveva conosciuto una sera, ad un pub, in compagnia di Peter; era
proprio un suo amico, meglio conoscente, veramente. Un paio di sguardi
da parte sua, un numero di telefono su un pezzo di carta e, dopo tre
giorni, si erano ritrovati in gelateria a prendere una coppetta di
gelato alla vaniglia. Tutto normale, tranne per il fatto che Peter non
sapeva nulla. Aveva avuto paura della sua reazione. Charlotte si era
messa con Mark una settimana dopo l'uscita e Peter lo aveva scoperto
due settimane dopo. Inutile dire che lui era contrario a questa
pseudo-relazione, ma alla fine cedette. Solo per te, le
aveva detto il suo migliore amico, dopo averla abbracciata.
Eppure, Charlotte, non sapeva quanto avesse ragione Peter quando le
diceva che Mark non era il ragazzo adatto a lei. I primi due mesi era
stato un ragazzo perfetto, attento e paziente. Charlotte ci teneva a
queste cose, soprattutto alla sua prima volta. Sì, sapeva
benissimo che era un discorso da ragazzina innamorata e impaziente del
suo principe azzurro, ma ci teneva, punto. Ma Mark era stato paziente i
primi due mesi, i primi tre... ma poi aveva iniziato a scalpitare come
un toro in vista di un mantello rosso fuoco. Aveva iniziato a trattarla
male, a dirle cose brutte, a farla piangere ogni santissima sera e a
metterla in imbarazzo davanti ai suoi amici, beh, tranne che davanti a
Peter. E poi una sera, una maledetta sera, lei era uscita da scuola
alle cinque e aveva il sottopassaggio da attraversare da sola,
perchè Peter era uscito tre ore prima aveva da studiare per
l'esame. Niente di strano, di anormale o chissà cosa, fino a
quando si era trovata di fronte Mark, teoriacamente il suo ragazzo, con
una ragazza inginocchiata di fronte a lui. Le persone normali avrebbero
preso a schiaffi la rossa -perchè sì, era una
rossa- e a calci nel basso ventre il ragazzo, ma lei era scappata
approfittando del buio del sotto passaggio e corsa in lacrime a casa
sua. Aveva pianto tutta la notte, lasciando il telefono suonare, senza
rispondere nè a Mark nè a Peter. Non voleva
sentire nessuno, e non sapeva quanto fosse lontana dalla
realtà. Il giorno dopo non andò a scuola, presa
da un forte mal di testa post notte in bianco. Silenzio da parte sua,
mille messaggi da parte di Peter e due da parte di Mark. Quindi, il
pomeriggio, quando si presentò Peter a casa sua a urlare
come una bestia, non avrebbe dovuto reagire come aveva fatto
perchè era comprensibile; e, invece, era scoppiata in
lacrime. E così, prendendo coraggio, gli aveva raccontato
tutto, mentre Peter cercava di non tradire la ben minima emozione. E,
solo dopo il racconto, le aveva baciato la fronte, l'aveva abbracciata,
si era alzato e le aveva chiesto scusa
uscendo da casa. Era immaginabile dove fosse andato,
così Charlotte aveva ripreso a piangere ancora
più di prima. Solo dopo due ore, al ritorno di Peter, si era
calmata, sfogando la sua ira
repressa sul petto del suo migliore amico, prendendolo a
pugni. Da quel giorno Mark non si era fatto più vivo,
nè fatto sentire. Aveva ricevuto qualche pugno da Peter e
non uscivano più insieme. Era stato il suo primo vero ragazzo e
anche ultimo. Beh, una vita sentimentale da far invidia, senza dubbio.
A volte le veniva voglia di divertirsi come faceva Peter, ma per i
ragazzi era un tantino diverso.
Con Mark si era spinta solo a quacosina
-naturalmente mai accennata esplicitamente a Peter- ma non
erano mai andati oltre, fortunatamente; e non aveva nemmeno mai provato
quel piacere che
tutte menzionano. Probabilmente, si trovava tra le ragazze non
predisposte a quel tipo di piaceri. Rise, sorpresa di se stessa; non avrebbe mai immaginato
che si sarebbe trovata a fare certi
discorsi mentali.
Tornò a guardare Peter per un ultima volta e si stese,
chiudendo gli occhi e cercando di ritornare nel mondo dei sogni. Ma fu
tutto vano, perchè non riuscì a chiudere occhio
per oltre mezz'ora; continuava ad agitarsi nel letto, girandosi da un
lato ad un altro, ma senza trovare la giusta posizione.
Sbuffò scocciata e si lasciò andare con gli occhi
rivolti al soffitto e con una strana smania nelle vene. Altre volte
Peter aveva dormito accanto a lei ma, stavolta, si sentiva
più... frizzante. Fortunatamente il lenzuolo lo copriva e il
suo petto nudo era ancora un ignoto. Sì, lo aveva visto
già altre volte, ma stanotte non era nottata.
Peter, forse infastidito da tutto quel baccano silenzioso di
Charlotte, si mosse e rischiò di cadere dal letto,
aggrappandosi in tempo alla tastiera. Aprì gli occhi di
scatto, sbattendoli prima qualche volta. Con la mano, automaticamente,
accese la piccola luce a muro al suo fianco e fissò la
ragazza di fronte a sè come se non capisse ancora chi fosse
e dove si trovasse, per poi sospirare e buttarsi con la faccia contro
al cuscino. Charlotte rise leggermente, abbassandosi veso di lui.
- Buh!- il ragazzò alzò la testa verso Charlotte,
con un sopracciglio alzato.
- Che ci fai già sveglia?- sussurrò, sbadigliando.
- Non riesco più a dormire, scusa se ti ho svegliato- la
ragazza abbozzò un sorriso, scusandosi anche silenziosamente.
- Perchè non mi hai svegliato? Ti avrei fatto compagnia- gli
carezzò una guancia, mentre lei sembrava scottata da questo
contatto.
- Sei troppo dolce con me- si lasciò sfuggire lei,
arrossendo immediatamente.
- Sei la mia piccolina, sono sempre
dolce con te-
- Solo con
me?- Peter si accigliò, alzandosi e poggiando il peso del
suo busto su un avambraccio. Il lenzuolò scivolò,
lasciando metà del suo petto nudo esposto. Charlotte
trattenne il respiro per qualche secondo, poi distolse lo sguardo da
quel punto per tornare a guardare gli occhi verdi di Peter.
- Perchè me lo chiedi?- si insospettì lui, anche
se non c'era niente di cui essere sospettosi, in realtà.
- Perchè non mi rispondi?- rispose lei, ammiccando.
- Sai che non si risponde con un'altra domanda?-
- Sai che l hai fatto tu per primo?- concluse lei, con un ghigno
soddisfatto.
- Certo che sono... dolce
solo con te, Charlotte- la ragazza strinse le labbra e
sospirò, abbozzando un sorriso.
- Okay-
- Ora rispondi tu alla mia domanda: perchè?- lei si
sentì arrossire e in imbarazzo, visto che non sapeva nemmeno
lei la risposta. Beh, la risposta c'era ma era troppo imbarazzante per
emetterla ad alta voce. - E non pensare di mentirmi- avvertì
Peter, come se avesse letto i suoi pensieri.
- Ma no, sono stata sveglia un bel pò e ho pensato...-
- E cosa hai pensato?- si insospettì ancora di
più.
- No, solo...-
- Solo?-
- Al fatto che tu ti diverti
quanto vuoi e io no- Charlotte si sentì
arrossire come un peperoncino, mentre lo sguardo di Peter diventava
quasi omicida. Si ritrovò a pensare al detto Se gli sguardi potessero uccidere,
mentre osservava i suoi occhi.
- Beh, sai, c'è una lieve differenza. E poi, anche se fosse,
non ti lascerei mai divertirti
come faccio io- disse lui, con tono pungente.
- Beh, non è affatto giusto! Io come sfogo la mia ira repressa?-
Peter si lasciò sfuggire una risatina, mentre lei avrebbe
voluto sprofondare.
- Come fanno tutte le persone normali, no?-
- Tu sei un alieno, allora?- Charlotte alzò un sopracciglio.
- Io lo faccio ogni tanto-
- E da tanto- lui sbuffò, lasciandosi andare sul cuscino. -
Cioè, dai Pet, non mi sembra giusto! Ho avuto solo un
fottuto ragazzo in diciannove-
- Diciotto- corresse lui, ma lei non lo ascoltò.
- In diciannove anni di vita. A stento l'ho baciato e non ho nemmeno
mai provato un org-
- Ohhh, non voglio sentire quella parola associata al tuo stato, okay?-
quasi urlò lui.
- Che palle!- Charlotte si sedette sul letto, posando la schiena alla
tastiera.
- Dai, Charl. E' normale che tu non abbia mai provato un... beh,
quello. Non ci hai nemmeno mai provato- il ragazzò si
sedette al suo fianco mentre Charlotte si irrigidì,
trattenendo il fiato. Non rispose e Peter si allungo verso il suo viso.
- Perchè tu non ci ha mai provato, giusto?- cercò
di catturare il suo sgaurdo, ma lei lo deviò, nonostante le
mani di Peter che bloccavano la sua testa di fronte a lui.
- Charlotte?- la chiamò lui, mentre lei sbuffava.
- Sì?-
- Cosa non mi hai detto?-
- Niente...- Peter chiuse gli occhi e, finalmente, Charlotte si
degnò di guardarlo.
- Sei la mia migliore amica, Charl... devi dirmi tutto- aprì
gl'occhi si trovò quelli neri della ragazza nei suoi verdi.
- Mi... vergognavo-
- Di me?- mollò la presa sul suo viso.
- Sì, cioè no. E' che non sono cose... di cui si
parla tutti i giorni- lui sospirò, cercando di calmarsi.
- Sono sempre io, per qualsiasi argomento, Charl. Puoi dirmi sempre tutto- la ragazza
annì, stringendo le labbra.
- E'... successo con... Mark- deglutì, mentre Peter si
sentì incendiare dentro.
- Che ha fatto quel bastardo? Io lo ammazzo!- cercò subito
di alzarsi dal letto, ma Charlotte gli si buttò alla spalle,
tirandoselo sul letto. Peter finì semi disteso sul corpo di
Charlotte, con le lenzuola sparse a terra. Entrambi deglutirono,
contemporaneamente.
- Non ha fatto nulla, Peter. Calmati, davvero-
- E tu spiegati, allora- disse lui, nervoso. Se per la storia di Mark o
per la posizione che avevano assunto, questo non lo sapeva ancora.
- Avevamo i vestiti, cioè... non ci siamo spogliati
chissà quanto, a parte le magliette. E poi-
- Poi?-
- Dai, Pet, lo sai meglio di me che succede! Cose normali, solo che
avevamo i vestiti addosso- Charlotte si accorse immediatamente dei
pugni serrati di Peter, ai lati dei suoi fianchi.
- Ti ha mai... toccata?-
la ragazza tremò quando udì il tono freddo e
cauto del suo amico.
- Pet...-
- Rispondi- ordinò. Per un secondo Charlotte non sapeva se
mentire oppure no, ma se lo avesse fatto poi si sarebbe sentita in
colpa. Accidenti, si ritrovò a imprecare, era il suo
migliore amico e sapeva benissimo che un giorno sarebbe successo!
- Una sola volta, ma non è durato troppo...-
arrossì vistosamente, sentendo anche le orecchie bollire.
Inaspettatamente, Peter si avvicinò maggiormente al suo
volto, diventando ancora più serio.
- Dimmi la verità, Charlotte. Ti ha costretto a fare
qualcosa che non volevi?- la ragazza strabuzzò gli occhi e
scosse violentemente la testa, fin troppo velocemente... - Charl, ti
conosco meglio delle mie tasche-
- No, davvero, Pet. Una volta ci ha provato, ha provato a convincermi
ad andare... oltre, ma mi sono categoricamente rifiutata. Certo,
qualche volta ha voluto che ricambiassi,
anche se non c'era un bel nulla da ricambiare- la smorfia sul suo fiso
fece sorridere Peter, che si rilassò un pò.
- Avresti dovuto dirmelo, lo sai?- lei annuì, nonostante
stesse nel torto.
- Scusa, è che era così... imbarazzante- si morse
le labbra, sospirando.
- Okay, ti perdono, adesso. Ma tra ottanta anni, quando avrai la tua
prima volta, esigo saperlo- per poco Charlotte non si
strozzò.
- Ottant'anni? Hai intenzione di farmi morire vergine?- Peter
scoppiò a ridere, sistemandosi meglio sulle braccia e
facendo in modo che non pesasse al corpo esile di Charlotte.
- L'intenzione è quella- rispose, con non-chalance. La
ragazza scosse la testa, ridendo.
- Peter... com'è fare l'amore?-
se era possibile, Charlotte arrossì ancora di
più, ma osò
fare questa domanda. Il ragazzo era a dir poco stupito,
eppure, conosceva benissimo la risposta.
- Non lo so, Charlotte, non lo so. Io ho sempre fatto sesso, ma mai l'amore- le
spostò una ciocca di capelli dalla fronte, sorridendo
intenerito dalle sue guance rosse. La vide stringere le labbra e poi
mordersele, sintomo che stesse per fare una delle sue
domande-dalle-guance-rosse.
- Se... se lo facessi con me, cosa sarebbe, Peter?- il ragazzo si
bloccò e rimase a bocca aperta per qualche secondo, per poi
deglutire un paio di volte consecutivamente. Non si era mai posto
questa domanda, ma si limitava a pensare che quel che faceva con quelle
ragazze era solo per sfogare le sue ire represse, come
le chiamava Charlotte. Era un modo per distrarsi, sfogare i suoi nervi
e la sua astinenza. Solo sesso, niente affetto, amore o bene. Mentre
Charlotte... si era limitato sempre a vederla come la sua piccolina,
indifesa e preziosa migliore amica, che andava protetta; ma mai come
una ragazza con cui fare altro. Eppure,
amava Charlotte a modo suo, le voleva un bene dell'anima. Ogni volta
che sentiva quelle galline spennate delle ragazze del 2012 che si
gridavano ti amo come
se niente fosse, Peter si trovava a scuotere la testa allibito.
Perchè loro dicevano ti
amo a tutti e chiamavano amore tutti.
Certo, puoi voler bene a diverse persone, ma quelle che ami sono
davvero poche. E Peter voleva un bene dell'anima a Charlotte
perchè era la sua migliore amica, quindi, se avessero fatto qualcosa insieme,
ci sarebbero stati dei sentimenti a giocare con loro, oltre che a
tantissimi guai.
- Sarebbe amore, Charlotte. Io penso che sarebbe amore- rispose
sicuro, mentre la ragazza sorrideva. - Perchè tutte queste
domande da-guance-rosse stasera?- la prese in giro.
- Ah, niente. Penso solo di essere in astinenza- rispose lei, ridendo.
- Astinenza? Io sono in astinenza, mica tu?!-
- Ma non prendermi in giro che appena io non ti rompo vai a sfogare le
tue ire represse- disse
lei, continuando a ridere ma con una smorfia da finta -ma non tanto
finta- offesa.
- Veramente sono tre settimane che non-
- Oh mio Dio! Non ci credo ma, soprattutto, non voglio sapere delle tue
prestazioni sessuali, davvero- Peter scoppiò a ridere,
rilassandosi ancora di più sul corpo di Charlotte ma
mantenendosi sempre sulle braccia.
- Esistono sempre le mani, baby-
- Oddio, che schifo!! Non toccarmi, non toccarmi-
iniziò a urlare lei, mentre lui rideva con un assatananto.
- Non fare troppo la saputella, tu. Sono cose naturali. Se non si
trattasse di te, ti direi di sfruttare al meglio anche le tue, di mani-
- Ma... ma... ma dai!! E poi, se non si trattasse di me, non staresti
comodamente poggiato su di me senza avere nemmeno un minimo effetto-
Peter alzò un sopracciglio, sospirando profondamente. Porca
miseriaccia, si ritrovò a pensare, erano quasi le cinque del
mattino, si trovava a petto nudo, nello stesso letto e per giunta sopra
una ragazza con una misera maglietta addosso che a stento le copriva le
gambe, e non aveva un erezione?! Certo che ce l'aveva, ma Charlotte era
troppo ingenua per accorgersi dei suoi studiati movimenti,
affinchè lei non se ne accorgesse.
- Charl... cambiamo argomento?- propose, al limite.
- Perchè?- sempre pronta a risposta-effetto, naturalmente.
- Sono un uomo, nonostante tu sia la mia migliore amica, ricordalo-
- Non dirmi che..- Peter annuì, scoraggiato.
- Mh, mh-
- O.. oddio. Okay, spostati dai, fammi passare- cercò di
alzarsi ma andò, inconsapevolmente, a urtarci con una
gamba.
- Charl... vado un attimo in bagno, mh?- si alzò ma lei lo
tirò su di sè, ritrovandosi con i corpi
completamente spiaccicati.
- Peter?-
- Charlotte, ti prego, devo andare in bagno o-
- Mi baci?- Peter prese a tossire convulsamente, sentendo il cuore
pompare e il sangue fluire nelle vene come un fiume in piena.
- Eh?- strabuzzò gli occhi, mentre quelli di Charlotte
sembravano farsi lucidi. Era seria, cazzo.
- Non l'ho mai fatto davvero e... vorrei provare, sul
serio. Con Mark era così... tecnico, programmato, freddo. E
ci è stato solo lui..-
- Perchè io, Charl?-
- Perchè so che tu non mi deluderai mai e potrei davvero considerarlo
il mio primo bacio.
Non praticamente, certo; ma, teoricamente, vorrei che fossi tu, la
persona che non mi deluderà mai- Peter
sembrava quasi emozionato, mentre lei pronunciava queste parole con una
calma incredibile. Si sentiva stupida e in preda alle emozioni, ma non
se ne sarebbe pentita. Era Peter e... era lui, punto. Con Mark, ogni
bacio, sembrava un programma o un secondo fine per arrivare al letto
sani e salvi; non aveva mai provato quel brivido di cui le
sue preuso-amiche parlavano, quando lui la baciava. Era solo un gesto
da fidanzati, ma non era detto che dovessero essere fidanzati per
provare quel brivido
in un bacio.
Mentre Peter... beh, lui non sapeva come sentirsi. Fino a quel momento
non ci aveva mai pensato, ma adesso, ora che lei glie lo aveva chiesto,
si ritrovò voglioso
di compiere quel gesto.
Allungò una mano e catturò una sua ciocca di
capelli, attorcigliandola al dito e sciogliendola di nuovo, posandola
poi sul cuscino. Le sfiorò una guancia, che divenne calda e
rossa al solo contatto. I loro occhi si scontrarono e catturarono, in
un mix di colori perfetti. Sempre più vicini, fino a sentire
i loro odori mischiarsi, fino a sentire il dolce alito dell'altro
sfiorare le proprie papille gustative, fino a formare un'acquolina,
come se di fronte avessero la loro tazza di cioccolata calda ricoperta
da panna.
E così le loro labbra si sfiorarono, dando vita al loro primo bacio.
Al primo vero
bacio di Charlotte.
E, anche, al vero primo
bacio di Peter.
Ogni parte del loro corpo si modellò a quella dell'altro,
iniziando dalle labbra carnose e morbide, incastrate perfettamente. I
fianchi di Charlotte sempravano scolpiti alla perfezione per ospitare
le mani di Peter e i capelli di Peter sembravano avere quel tasso di
morbidezza adatto solo alle
mani di Charlotte.
Facile come respirare. Adesso. Non
sarebbe voluto andare oltre, ma Peter sembrava essere preso da una
strana smania, quando chiese accesso alla bocca di Charlotte. Lei non
rifiutò il suo invito e socchiuse le labbra, accogliendo a
pieno il sapore di Peter. Era dolce, con un retrogusto salato; proprio
come il suo odore, impresso in ogni poro dela sua pelle. Mentre quello
di Charlotte era un sapore che Peter non aveva mai sentito o provato o
gustato, beh, quel che era era, quello di Charlotte era un sapore
unico. Non che si fosse soffermato sul sapore dei baci delle ragazze
con cui passava del tempo, ma faceva attenzione a determinate cose.
E, cosa che stupì Peter, si trattava di un sapore di donna e
non di ragazzina. Perchè fino a quel momento, lui l'aveva
sempre vista come una bambina, nonostante i suoi quasi diciannove anni;
ma ora, che si ritrovava schiacciato sul suo corpo, labbra contro
labbra, si rendeva conto che la ragazza che lo affiancava, non era
più una ragazza, ma una donna.
Ogni qual volta uno dei due si allontava, l'altro lo prendeva o lo
riavvicinava. Come una droga, ormai.
Ma, alla fine, un tuono fece sobbalzare Charlotte, che si
staccò e voltò la testa verso la finestra, da cui
era impossibile vedere il fascio di luce che, sicuramente, cinque
minuti prima era apparso. Tornò a voltarsi verso Peter e lo
trovò con la bocca semiaperta e il fiatone, proprio come lei.
- Tutto... bene?- sussurrò lui, in imbarazzo. La ragazza
annuì, stringendo le labbra.
- Grazie per... per esserti sacificato-
disse lei, arrossendo ancora di più.
- Non è stato affatto un sacrificio, Charlotte- le
carezzò una guancia e le sorrise.
- Beh, grazie comunque- abbozzò lei.
- Prego?-
- Mi prometti che, dopo stanotte, non cambierà nulla tra di
noi?- la domanda di Charlotte lo prese in contro piedi e si
ritrovò a ripensarci sopra. Cosa sarebbe mai dovuto cambiare?
- Certo, Charl- la ragazza sorrise e si spostò, facendo
spazio a Peter al suo fianco.
- Dormiamo best
friend?- Peter scoppiò a ridere, buttandosi
sul letto.
- Oddio, adoro vedere quel tuo amico gay quando ti batte il cinque e ti
saluta col suo ciao
best friend- Charlotte scoppiò a ridere,
seguendo Peter.
- Intanto, mi chiama best friend- disse
lei, puntando le labbra.
- Non ci avevo mai pensato più di tanto ma, ora che me lo
fai notare, la prossima volta gli spezzo le gambe- disse lui,
accigliandosi e diventando improvvisamente serio.
- Oh, Peter che è geloso?-
- Io non sono geloso!- sì,
non sei geloso come non sei bambino, pensò
Charlotte.
- Ah, no? Okay, domani me ne vado dal mio migliore amico,
allora-
- Vieni a casa mia?- disse lui, accigliandosi. Uomini... con un
cervello più piccolo di una lenticchia.
- No, a casa del mio amico gay, no?- e scoppiò a ridere,
quando le mani di Peter presero a farle il solletivo sui fianchi.
E in quel momento erano entrambi sicuri di una cosa: nulla sarebbe cambiato, dopo
quella sera.
**************** Cioè, ditemi come
faccio a non amarli! Jkjnaekr.
Sono così pucciosi, awww *-*
Okay, la smetto di fangirlare sulla mia storia come una demente e passo
ai saluti lol
Come va? Vi state godendo gli utlimi giorni di vacanza? *depression
mode on*
Passando al capitolo, abbiamo scoperto qualcosa riguardo la vita
sentimentale di Charlotte e il
passatempo di Peter.
Confessate, non vi aspettavate un Peter del genere ahahah ma lui
è bravo, mette sempre le cose in chiaro uù deve
pur sfogare le sue ire
represse lol
E.. SI SONO BACIATI!
Omg, vabbè, diciamo che Charlotte ha usato Peter... o
viceversa?
Pensate sia così facile? Uh, dovrete conoscere ancora
taaanti personaggi di questa storia ^^"
Mh... oookay, la smetto e me ne vado, nella speranza che questo
capitolo vi piaccia :')
Grazie a tutte. Siete meravigliose kajngk.
Ah, prima volevo suggerirvi una romantica, è della mia migliore amica rompipalle lol
If
you want
è bella da star male, fidatevi çç
Basta, ora vi lascio seriamente in pace. Fatemi sapere che ne pensate
del capitolo ;)
Se volete, potete contattarmi sul mio GRUPPO
FACCIALIBRO o sul mio profilo TWITTER.
Un bacione enorme,
Mary xx
Good morning London. A
new day
is starting! - Spegni questa diavolo di cosa!- brontolò
Peter, affondando la testa nel cuscino. Charlotte aprì le
palpebre, sbattendole un paio di volte e cercando di ricordare almeno
come si chiamasse. Mugolò qualcosa di incomprensibile,
mentre si appoggiò al petto nudo di Peter per poter arrivare
al comodino. Diede un paio di botte all'autoradio e si
accasciò sulla spalla di Peter, chiudendo di nuovo gli occhi.
- Mhh- mugolò Charlotte, strofinando il volto contro il
collo ruvido del suo amico.
- Ehi, gattina- la voce dolce di Peter le giunse come una ninna nanna,
contribuendo al suo sonno. L'accarezzava sulla schiena, sfiorandola
appena. Un massaggio rilassante a cui non sapeva assolutamente
rinunciare; e nemmeno Peter sembrava dispiaciuto di questo dolce risveglio.
Di solito andavano sempre di fretta, chi all'università e
chi a scuola, riuscivano a stento a salutarsi come degli sconosciuti e
un accennato ciao. Mentre
adesso, stranamente, se la stavano prendendo con comoda. Forse fin
troppo.
- Cucciola, se non vuoi andare a scuola, okay. Ma se vuoi andarci,
forse devi alzarti- le sussurrò Peter, nonostante volesse
stare zitto e godersi quel massaggio passivamente.
- Ho sonno- mugognò Charlotte, stringendosi
ancora di più al colpo caldo del suo migliore amico.
- Vedo che il mio bacio di stanotte ti ha... stancata- il ragazzo
sogghignò, mentre Charlotte apriva gli occhi e gli lanciava
un occhiataccia.
- Sapessi allora quanto mi ha stancata Mark quan- Peter le
coprì la bocca con una mano, mettendola a tacere
all'istante.
- Taci o parlo io e ti zittisco in un secondo, baby-
- Sai di essere un grandissimo stronzo?-
- Oh yes- Charlotte
alzò gli occhi al cielo e si alzò a sedere sul
letto, portandosi una mano tra i capelli scompigliati. Si
alzò, tirandosi la maglia sulle gambe completamente
scoperte. Si girò e trovò Peter disteso con le
mani dietro alla testa, che la guardava con la bocca semiaperta.
- Le mosche, baby- rise
e scappò in bagno, prima che Peter potesse prenderla e farle
il solletivo. Si infilò sotto alla doccia pr una breve
doccia, mentre Peter, nell'altra camera, era ancora imbambolato su quel
letto.
Le gambe, le si erano viste le gambe. Ecco cosa stava pensando il
ragazzo, mentre gli occhi non volevano staccarsi dalla porta dietro cui
c'era Charlotte a fare la doccia. Si portò una mano tra i
capelli, tirandoli leggermente come a volersi dare una svegliata. Sì, era
decisamente in astinenza. Si
decise ad alzarsi e scese in cucina, azionando la macchinetta del
caffè. A Charlotte piaceva prenderne giusto un goccio, non
aqndava matta per quella sostanza nera; mentre Peter, beh, lui ne era
completamente assefuatto e dipendente. No caffè, no
Peter! Si
riempì la tazza e si sedette alla penisola, attendendo
Charlotte. Non passarono più di cinque minuti che le si
presentò davanti con un jeans chiaro e attillato e una
camicetta blu a maniche tre quarti. Stava ancora a piedi scalzi e Peter
si chiese, per l'ennesima volta, come facesse a sopportare il contatto
freddo con le mattonelle.
- Uh, un sorso, un sorso- iniziò a cantinellare Charlotte,
sedendosi su una gamba del suo amico. Sbattè più
volte gli occhi -dicesi occhi da cucciola- e per Peter fu inevitabile
sorridere. Le porse la tazza e lei gli stampò un bacio sulla
guancia, prima di avvicinare le labbra al bordo. Bevve qualche sorso e
gli restituì la tazza, sorridendo. Facevano sempre
così, condividevano di tutto e, naturalmente, non si
schifavano.
Beh, dopo il bacio di quella notte...
- Okay, vado a mettere le scarpe e a pettinare i capelli. Tu che hai
intenzione di fare?- Charlotte si alzò dalle sue gambe e si
diresse verso le scale, continuando a parlare.
- Ti accompagno a scuola, okay?- urlò lui, raggiungendo
camera sua.
- Okay. Se vuoi rimanere, non ci sono problemi Pet, eh- la vide
chinarsi ad infilare le converse asciutte e poi ridigersi al lungo
specchio per pettinarsi i capelli lisci.
- No, Charl. Ti accompagno e poi vado a casa a studiare. A giorni ho un
esame, quindi mi devo mettere sotto- si infilò la maglietta
e le scarpe, chiudendosi due minuti in bagno. Quando uscì
Charlotte era già pronta e stava prendendo lo zaino sulle
spalle, già carico a tiro.
- Pronto?- gli chiese, mordendosi le labbra.
- Certo, andiamo- uscirono di casa, dirigendosi alla fermata
dell'autobus. Tra quache minuto sarebbe passato, quindi accellerarono
il passo e non spiccicarono mezza parola per non perdere fiato.
Arrivarono giusto in tempo, che preseto l'autobus al volo.
Naturalmente, pensò Charlotte, non c'era nemmeno un posto
libero a sedere.
- Devo farmi dare la macchina da Paul- mugugnò Peter,
lamentandosi della scomoda postazione vicino al palo blu.
- Fartela dare da mio padre sarebbe più semplice-
commentò Charlotte, sorridendo.
- Sarebbe fin troppo facile-
entrambi risero, mentre il pullman si riempì sempre di più. Ogni
tanto passava qualcuno che accennava un sorriso a Charlotte o uno
scocciato ciao. Non
aveva chissà che vita sociale, la ragazza; ma era
inevitabile conoscere una delle ragazze dell'ultimo anno.
- Ehi, Butlar- un ragazzo dell'ultimo anno le si avvicinò.
Era alto un pò meno di Peter e aveva i capelli biondi e
corti. Era uno degli amici di Camille, una delle compagnia di classe di
Charlotte. Naturalmente lui conosceva lei, ma lei a stento si ricordava
le prime tre lettere del suo cognome.
- Sono Kevin, l'amico di Camille- precisò lui, poggiandosi
allo stesso palo di Charlotte.
- Ah, sì, mi ricordo di te- disse Charlotte, abbozzando un
sorriso.
- Perfetto, allora. Senti, tra poco c'è la festa di
primavera, lo sai, vero?- le chiese, ammiccando.
- Certo, che lo so- rispose acida la ragazza.
- Non so, ti piacerebbe venirci con me?- Peter, che stava assistendo
direttamente alla scenetta, sentì ribollire la rabbia
dentro, mentre osservava il viso contratto di Charlotte.
- Io, veramente... non so...- balbettò Charlotte, non
sapendo che scusa inventare per rifiutare e, al tempo stesso, non fare
la figura della sfigata. Non perchè posse un'antisociale, ma
quel genere di feste le detestava con tutta se stessa. Alcool e fumo,
ecco cosa c'era; anzi, a volte anche droga. La perfezione al completo,
sicuramente.
- Veramente, Charlotte viene già alla festa con me- Peter si
intromise nella conversazione, notando la difficoltà di
Charlotte. Anche s, provava un certo fastidio che lo aveva spinto a
mettersi in mezzo.
- E tu, saresti...?-
- Peter, piacere- si limitò a dire, appiccicandosi al fianco
di Charlotte.
- Vabbè, se cambi idea, tesoro,
sai dove trovarmi. Anche qualche oretta insieme, se
vuoi...- la lasciò lì, con la bocca spalancata e
una mano a stringere il braccio di Peter. Quest'ultimo fece un passo
verso Kevin, ma Charlotte subitò lo bloccò. Peter
si girò a fulminarla, ma lei fece altrettanto. Passarono i
dieci minuti rimanenti in silenzio, ognuno girato verso un finestrino
diverso. La mano di Charlotte stava andando a fuoco, stretta alla
maniglia in alto. Non era chissà quanto alta e, quindi, era
praticamente aggrappata alla maniglia.
Arrivati alla fermata, il pullman iniziò a svuotarsi.
Naturalmente, non tutti erano del liceo di Charlotte, quindi prendevano
tutt'altra strada. E, infine, rimanevano giusto in tre o quattro a
dover attraversare il sottopassaggio nel buio e nel silenzio totale.
Peter e Charlotte continuavano a camminare in silenzio, uno affianco
all'altro. La ragazza, però, era felice di averlo al suo
fianco, così non avrebbe temuto chissà cosa
nell'attraversare il sottopassaggio. Ma, al momento stesso, avrebbe
preferito che il suo migliore amico se ne fosse andato a fanculo, detto
esplicitamente.
Peter, invece, teneva il volto basso, chiedendosi cosa accidenti avesse
la sua amica da non rivolgergli la parola.
Che volesse, davvero,
andare alla festa con quel tizio? No, non era affatto il tipo per
Charlotte. Certo, nemmeno il suo ex gli sembrava il tipo adatto, ma lei
ci era stata insieme per qualche mese.
Stronzo.
Imbecille.
Demente.
Odiava i suoi silenzi. Avrebbe preferito le sue urla, ai silenzi. Ma,
la cosa che più lo infastidiva, era non sapere il perchè di
questo silenzio del cazzo. Charlotte continuava a camminare a passo spedito,
arrivando davanti all'istituto in un batter baleno. Stava per salire il
primo scalino del porticato, quando Peter si scosse dai suoi fottuti pensieri e
le afferrò un polso, attirandola a sè.
- Ora mi dici che cazzo hai, mh?- sentirono subito gli sguardi delle
ragazzine puntati su di loro, o meglio, puntati su di lui. Se lo
mangiavano praticamente con gli occhi. E a Charlotte, quegli sguardi,
savano fastidio.
No, non era gelosa. E nemmeno possessiva.
Ma le davano fastidio.
Punto.
- Non sono obbligarti a dirti niente. Ora lasciami o faccio tardi-
- Per un ritardo non abbasserai la tua media del nove- sputò
lui con acidità, quasi a volerle contestare anche i suoi voti
alti.
- Okay, allora te lo dico chiaro e tondo:
non.voglio.parlare.con.te.adesso. Okay?- scosse il braccio, facendo
scivolare la presa di Peter dal suo polso rosso.
- Perchè fai così, adesso? Veramente, non ti
capisco-
- Tu non capisci mai, Peter!-
- Cosa, Charlotte? Cosa devo capire?- il ragazzo si stava trattenendo
dall'urlare, mentre Charlotte si toccava i capelli lisci; segno che era
nervosa, troppo.
- Ho quasi diciannove fottuti
anni, Peter. Mh? Cosa credi che pensino di me, tutta
questa gente del cazzo? Una povera sfigata con tanti soldi ma nemmeno
uno straccio di ragazzo. Ah, e anche una sfigata che non si
è ancora fatta il suo migliore amico, dietro il quale ci
sbavano tutte! E tu, adesso, vai a dire a quel tizio che mi accompagni
tu al ballo, quando poi non è vero?! Dio!- Peter, sconvolto,
le afferrò il polso e la portò dietro al primo
muretto. Li stavano guardando tutti e sapeva che non era il caso.
- Ti calmi, okay?-
- No, non mi calmo affatto! Non ho una vita, Peter! Che cazzo me ne
faccio di una villa come casa e di soldi a volontà quando ho
una famiglia del cazzo e zero amici?- le lacrime spingevano per voler
uscire. Non voleva piangere, non di nuovo. Si sentiva
così... così bambina
quando lo faceva. E lei, ormai, non era più una
bambina, accidenti! - Hai
me, e lo sai- rispose Peter, sospirando.
- Non mi basta più, Peter. Non capisci? Quando io non ci
sono, tu esci. Quando tu non ci sei, io studio- Charlotte si
passò una mano tra i capelli, sbuffando. - Devo entrare, o
faccio tardi. Non posso permettermi ritardi o lezioni perse. Ci vediamo
dopo, okay?- si sistemò la borsa sulle spalle.
- Okay. Buona mattinata, Charlotte-
- Anche a te, Peter- si salutarono così, senza un abbraccio
o cosa.
Entrambi pensavano alla stessa cosa, inconsapevoli di farlo: la sera
prima si erano baciati,
ora non si salutavano nemmeno con un abbraccio. Fanculo.
**
La
mattinata
passò lentamente, sia per Peter che per Charlotte.
Quest'ultima seguiva svogliatamente le lezioni, scarabocchiando su un
foglio bianco con la matita o con la penna nera. Mentre Peter, invece,
si era chiuso in casa nel vano tentativo di imparare qualcosa per
l'esame che avrebbe tenuto da lì a poco. Ma entrambi non
riuscivano a capire quel che leggevano o sentivano, a parte le loro
parole spiccicate nella loro mente. Non mi basta
più, gli aveva detto Charlotte, disperata. Hai me e lo sai, le
aveva detto invece Peter.
Charlotte si sentì immediatamente in colpa per aver accusato
Peter di cose inesistenti; di problemi presenti solo nella sua testa
bacata. Mentre Peter continuava a porsi domande, come era accaduto la
notte precedente.
Era suonata la campanella della ricreazione, quando la professoressa di
letteratura chiuse il libro e salutò i ragazzi. Tutti si
alzarono per correre fuori al corridoio a respirare un pò di
aria sana e
pulita.
Charlotte sistemò le sue cose nelal borsa, mentre la
professoressa le si era avvicinata, senza che lei se ne accorgesse.
- Charlotte?- la chiamò con tono lieve, ma nonostante
ciò la ragazza sobbalzò.
- Sì, professoressa?- rispose lei, portandosi innocentemente
una mano sul petto.
- Volevo chiederti che intenzioni hai per l'università-
l'ansia si impossessò maggiormente della ragazza, fino ad
allora troppo distratta per pensarci seriamente.
- Io... io non saprei, sinceramente. Sarei indirizzata
per letteratura classica, ma non saprei...- rispose, titubante.
- Oh, ne sono felice. Volevo proprio consigliartela, perchè
hai molte possibilità di diventare una delle migliori. Ma so
che vai bene anche nelle altre materie, quindi avrai una scelta molto
ampia-
- Mh mh- a Charlotte l'atteggiamente dei suoi professori nei suoi
confronti dava sempre fastidio. Assumevano tutti un comportamento fin
troppo rispettoso, ma, al tempo stesso, confidenziale. Lei sapeva
qual'era il motivo, ma schifava solo a pensarlo.
- La ringrazione, professoressa- disse, gentile.
- Figurati, cara. Buona giornata-
- Anche a lei- quando la donna uscì dall'aula, Charlotte
sbuffò, chiudendo di scatto la cerniera della borsa. Ma
questa, maledettamente, si impigliò nella fodera della tasca
interna e si sentì uno strappo. Peccato che il rumore non
fosse dovuto alla fodera, ma alla cerniera.
- Porca miseriaccia!- sbraitò, mentre i libri cadevano a
terra. Avrebbe voluto urlare come un ossessa, contro quella giornata
decisamente di merda.
- Preso un brutto voto?- sobbalzò, udendo quella voce
sconosciuta alle sue spalle. Quando si girò un ragazzo
biondino era poggiato allo stipide della porta, accigliato.
- Ehm.. no. Si è rotta la cerniera della borsa- rispose,
diventando rossa come un peperoncino. Perchè Dio, o chiunque
egli fosse, l'aveva posta nella categoria delle persone che fanno
continue figure di merda?
- Posso vedere? Ho aggiustato dozzine di cerniere- il ragazzo le si
avvicinò e Charlotte gli porso la borsa, stando attenta a
non far cadere gli altri libri.
- Esperto di cerniere?- si lasciò sfuggire, ricevendo come
risposta una risolino del ragazzo.
- Mia sorella le distrugge. Ama le borse e i vestiti e, ogna santa
volta, le distrugge. Diciamo che è una sorta di corso di
sopravvivenza- Charlotte rise, sinceramente. Vide le mani del ragazzo
toccare la cerniera e cercare di alzarla, ma sembrava non avere
chissà quanti risultati.
- Okay, hai superato mia sorella. L'hai proprio rotta- posò
la borsa sul banco, sfregando le mani rosse tra di loro.
- Perfetto- commentò, ironica.
- Come torni a casa? Ti vengono a prendere?-
- No, pullman- rispose lei, leggermente in imbarazzo. Tutti sapevano a
che famiglia appartenesse e quanti soldi avesse, eppure nessuno
riusciva a spiegarsi perchè utilizzasse quel mezzo di
trasporto.
- Non puoi andare in pullman con tutti i libri in mano- disse il
ragazzo. Oh, grazie
geniaccio! avrebbe voluto rispondere Charlotte, nervosa.
- Accetteresti un passaggio con la macchina, se te l'offrissi?- la
ragazza rimase qualche secondo ferma e immobile, rimuginando su quella
richiesta. Sapeva di non dover entrare nelle auto degli sconosciuti,
anzi, non doveva entrare nell'auto di nessuno a parte quella di suo
padre e, con enormi eccezioni, quella sempre di suo padre ma guidata da
Peter.
- Veramente, io non saprei...-
- Non dirturbi, se è questo che ti chiedi- un sorriso nacque
spontaneo sul volto-peperoncino della ragazza e annuì.
- Okay, allora accetto- si stupì da sola di quella scelta,
mentre anche il ragazzo sorrideva.
- Oh, non mi sono nemmeno presentato, che deficente! Io sono Matthew-
porse la mano, che Charlotte prontamente afferrò.
- Io sono Charlotte- strinsero le loro mani ed entrambi,
inconsapevolmente, ricevettero una scossa. Staccarono le loro mani,
mentre Charlotte alzò lo sguardo e osservò bene
il ragazzo. Era biondo e i suoi occhi erano blu oceano, vispi e
attenti. Le sue labbra erano sottili, in perfetta armonia col suo volto
rosa pallido. Era alto quindici centimetri più di lei e
aveva le spalle larghe, ma anche un bel fisico. Indossava un paio di
jeans chiari, con una camicetta sbracciata.
- Ci vediamo dopo, fuori scuola, allora?- Charlotte annuì
automaticamente, deglutendo. Anche Matthew si era fermato ad
osservarla, nel suo abbigliamento elegante ma al tempo stesso comodo. I
suoi capelli lisci e i suoi occhi neri erano stupendi. Non aveva mai
trovato una persona con gli occhi scuri come i suoi; erano profondi ed
espressivi e non superficiali come un paio di occhi castani.
- A dopo- balbettò la ragazza, sorridendo. Sciollsero le
loro mani e Matthew uscì dalla classe, ancora intontito.
Charlotte non fece in tempo ad uscire, che la campanella
suonò di nuovo annunciando la fine della ricreazione. Le
lezioni continuarono, succedendosi l'un con l'altra. La fine della
sesta ora arrivò in fretta, così come l'ansia di
Charlotte. Non si era mai trovata in simili situazioni, mai accettato
un passaggio da nessuno; ma Matthew era stato così gentile e
cortese con lei, che non le era proprio saltato in mente di dirgli no.
L'aveva trattata come una persona normale, e non come la ragazza da
farsi amica per poter avere soldi o chissà cosa.
Appena uscì da scuola, si guardò intorno
controllando che Peter non fosse lì ad aspettarla. Era
meglio evitare di metterlo al corrente di questo passaggio da parte di
Matthew, un ragacco che ne lei e ne, soprattutto, lui conoscevano. Gli
avrebbe detto di aver preso il pullman, come al solito.
Sospirò, al solo pensiero di dovergli mentire. Non era
abituata a farlo, anzi, non lo aveva mai fatto; ma non
volevo che una loro banale
discussione di trasformasse in una gigante discussione.
Certo, Peter non avrebbe dovuto avere nulla da ridire,
ma si sarebbe appellato al "tu non lo conosci e non puoi salire in
macchina di uno sconosciuto". Ma il discorso, ormai, era sempre quello.
Charlotte aveva un'ardente voglia di vivere e ora anche
la sua amicizia con Peter non le bastava; non che fosse meno
importante, ma non usciva mai e non aveva altri amici al di fuori di
lui.
La ragazza, lentamente e con la borsa aperta tra le braccia, si
avvicinò al marciapiede e una cinquecento nuova color
azzurro le si avvicinò. Matthew abbassò il
finestrino, invitandola ad entrare e aprendole lo sportello. Lei,
sorridendo e ringraziando, entrò alquanto imbarazzata.
- Non finirò mai di ringraziarti, Matthew- posò
la borsa ai suoi piedi, mentre il ragazzo partiva.
- Primo, è un vero piacere e non c'è nulla da
ringraziare. Secondo, puoi anche chiamarmi Matt; Matthew è
lungo e complicato- le fece un occhiolino, tornando a guardare avanti.
- O... okay, Ma.. Matt- si corresse giusto in tempo la ragazza.
- Posso offrirti un gelato o chiedo troppo?- in difficoltà,
Charlotte fece spallucce, stringendo le labbra. Sarebbe stato alquanto
scortese rifiutare, pensò lei nel suo vortice continuo di
pensieri.
- Assolutamente- gli sorrise, facendogli intuire la risposta. Matthew
svoltò a sinistra, diretto al semicentro di Londra.
- Quanti anni hai, Charlotte?-
- Carli, chiamami Carli- suggerì lei, utilizzando il
nomignolo con cui tutte le sue pseudo amiche la chiamavano. Matt
sorrise, con gli occhi illuminati. - Ho diciotto anni, prossima ai
diciannove. Tu, invece?-
- Diciannove sabato-
- Oh, allora più prossimo di me-
- Tu quando li compi?-
- Ventisette Maggio, tra due mesi-
- Sembri più piccola, fisicamente. Non ti offendi, vero?-
Charlotte scosse la testa.
- Figurati, me lo dicono tutti- Matt sorrise di tutta risposta.
Parcheggiò al lato della strada.
- Eccoci arrivati- scese dall'auto e, prima che Charlotte potesse
aprire, lo fece lui, invitandola a scendere.
- Grazie- sussurrò lei, imbarazzata. Lui le sorrise. Si
diressero in gelateria rimanendo fianco a fianco, ma lasciando comunque
una discreta distanza. Matthew insistì per offrire lui la
coppetta alla fragola che la ragazza aveva scelto, e lei era stata
costretta ad accettare. Camminarono per due minuti, fino a quando
arrivarono nella piazzetta di fronte e scelsero una panchina su cui
accomodarsi; proprio sotto ad una palma ancora intatta, nonostante il
brutto tempo di Londra.
- Ci sei mai venuta qui?- Charlotte scosse la testa, ingoiando e
assaporando la sostanza fresca che scivolava lungo la sua gola.
- E' un bel posto-, commentò, sorridendogli.
- Già sai cosa portare all'esame? Io sono in alta marea- la
faccia disperata di Matt la fece sorridere.
- Pensavo all'eternità nella storia e nella letteratura. E'
un concentto che mi ha... sempre affascinato- si sentì
arrossire; Peter le ripeteva in continuazione quanto, ogni volta che
nominava la letteratura, i suoi occhi brillassero.
- Wow, deve essere bello e tu devi essere veramente brava- si
limitò a fare spallucce; non le piaceva parlare delle sue
medie scolastiche, la imbarazzavano.
- Dai, ci sarà qualcosa che ti ha sempre attirato. Non so,
qualche libro, sport?-
- Mh, mi piace suonare il piano- gli occhi di Charlotte si illuminarono
e scattò.
- Suoni il piano?- sibilò, scioccata.
- Sì, da quando ero piccolo. A mia madre piaceva, quindi mi
ha iscritto a lezioni di piano e da allora suono- Matt sorrise,
toccandosi i capelli dietro alla nuca.
- A me è sempre piaciuto, ma molto probabilmente non sono
portata. Mia madre ha tentato di farmi prendere lezioni, ma non
riuscivo a memorizzare più di tre tasti consecutivi-
scoppiò a ridere, seguita da Matt.
- Qualche volta, se vuoi, posso darti qualche lezione. Mi piacerebbe-
- Oh..- Charlotte non si aspettava un simile richiesta e beh,
sì, si sentiva abbastanza imbarazzata. - Piacerebbe anche a
me- mormorò infine.
Continuarono a chiacchierare del più e del meno, partendo
dalla scuola alle loro ambizioni future. Matthew era un vero patito per
il pianoforte e Charlotte gli aveva suggerito di basarsi su questa sua
passione per scrivere la tesina dell'esame. Scoprirono che entrambi
avrebbero frequentato l'università di Londra, anche se
probabilmente avrebbero scelto indirizzi diversi.
Charlotte si sentiva viva e sorrideva, per la prima volta,
perchè le andava di farlo e non perchè doveva farlo. Matt
la metteva a suo agio, chiacchierava di cose inutili o di cose serie,
ma con quel tono sempre ironico e allegro.
Proprio quello di cui lei aveva bisogno.
Ironia e allegria.
Sincerità.
Charlotte scattò dalla panchina quando vide il cielo
scurirsi, ormai tendente al blu. Si era fatto tardi e non si era
minimamente accorta del tempo che era passato. Matthew
l'accompagnò a casa, seguendo le istruzioni della ragazza;
alle otto e mezza erano davanti al vicoletto in cui si trovava la sua
villeta.
- Oh, allora le voci sono vere- bisbigliò il ragazzo,
sorpreso.
- Che voci?- il ragazzo indicò casa suà e
sorrise. - Oh.. beh, più o meno. Ma si sa, tutti tendono ad
esagerare-
- Effettivamente. Fino al secondo liceo, giravano le stesse voci su di
me. Poi ho iniziato a stringere amicizia con dei ragazzi e le voci sono
scomparse. Sai, quando vedono che indossi vestiti decenti e hai una
villa come casa, pensano che tu sia la solita lagna antipatica e
vanitosa. Ma invece si sbagliano, perchè io oggi ti ho
conosciuta e sei tutt'altro che una lagna antipatica e vanitosa- le
fece un occhiolino, continuando a sorridere.
- Ti ringrazio Matt, mai nessuno mi aveva detto cose del genere. E'
solo che io... con quelle
lì-, disse rivolta alle sue compagne, - non le
sopporto proprio- concluse, con una faccia alquanto disgustata. Matt
scoppiò a ridere, scuotendo la testa.
- Non posso darti torto, in effetti. Ma, girano voci, che siano
più che altro invidiose del tuo ragazzo-
Charlotte si accigliò, stringendo maggiormente a
sè lo zaino aperto.
- Il mio ragazzo?-
- Sì, il ragazzo con i capelli neri che ti accompagna ogni
tanto a scuola. Quello con cui ti vedo spesso- Oh...
- Peter? Ma Peter non è il mio ragazzo!- la
ragazza scoppiò a ridere, scuotendo la testa.
- Come no? Non dirmi che è tuo fratello?-
- Certo che no! E' semplicemente
il mio migliore amico, ma non il mio ragazzo. Ci
conosciamo da cinque anni e stiamo praticamente sempre insieme. Ormai
è uno di famiglia- Charlotte rideva ancora, scuotendo la
testa.
- Oh, meglio allora.
Molto meglio- le sopracciglia della ragazza si curvarono, riflettendo
su quella sua risposta. Ma decise di lasciare perdere, quando
notò i minuti sul cruscotto accellerare.
- Ora devo andare, si è fatto tardi. E, appunto, Peter si
starà preoccupando-
- D'accordo. Grazie dello splendido
pomeriggio insieme, Carli- le sistemò una
ciocca di capelli sulla spalla; era indeciso se carezzarle la guancia
oppure no, ma optò per l'ultima.
Troppo presto.
- Grazie, Matt. Sono stata davvero bene- aprì lo sportello e
scese dalla macchina, aggrappandosi allo zaino aperto e facendo
attenzione affinchè non cadessero i libr dall'interno.
- Ci vediamo domani- sussurrò lui, prima che lei chiudesse
lo sportello e gli sorridesse.
Matthew mise in moto e sfrecciò verso casa sua, dall'altra
parte della città. Era stato un pomeriggio strano e diverso,
ma stranamente piacevole.
E si augurò, profondamente, che si ripetesse al
più presto.
Mentre Charlotte, invece, proseguiva a passo spedito verso casa sua,
correndo quasi e terrorizzata a causa del buio che la circondava.
Il buio la terrorizzava, ancora...
Lanciò una rapida occhiata alla finestra di camera sua e
notò la luce accesa e un corpo fare avanti e indietro,
impaziente.
Ma, naturalmente, già sapeva di chi si trattava.
***
Chiuse per
l'ennesima volta
il cellulare, spaccando quasi quel maledetto tasto rosso.
Lanciò il telefono sul letto, facendolo rimbalzare e poi
cadere a terra.
- Fanculo!- urlò, fuori di sè.
Un'ora che provava a chiamare Charlotte e un'ora che il suo cazzo di telefono
era spento.
"Il telefono della persona chiaamta potrebbe essere spento o non
raggiungibile". Col cazzo, continuava
ad urlare, lasciando che la parte peggiore di Peter uscisse fuori.
Era stato a girovagare per Londra un'ora e mezza, nella speranza di
incrociarla; ma nulla. Nemmeno davanti alla scuola c'era ombra della
sua pseudo migliore amica; così, infine, aveva deciso di
chiudersi in casa ad attendere il suo ritorno.
Mille pensieri degni di incubi e di analisi freudiana lo avevano
tartassato per l'intera serata. Gli sembrava sua madre, ogni santissima
sera, preoccupata e piangente in cucina mentre attendeva il suo ritorno. Porca puttana! E
se avesse deciso di andare a casa di qualche sua amica, pur di non
vedermi?
O se qualcuno le avesse fatto del male?
O se si fosse sentita male a causa della crisi di ieri sera?
O se, semplicemente, non avesse più voluto vederlo?
Continuava a camminare avanti e indietro nella camera della sua
migliore amica, a passo spedito.
Avanti, e mille pensieri negativi.
Indietro, e altri mille pensieri negativi. Andiamo Peter, sta
calmo, continuava a ripetergli una vocina, ma non poteva
essere calmo. Perchè Charlotte non aveva mai fatto un
ritardo del genere, anzi, lei non aveva mai fatto ritardo; era sempre
stata puntuale, impaziente di tuffarsi sui libri appena finita la
scuola, pronta anche a saltare pasti e sonno.
Forse ave aun progetto da fare con qualche amica, certo.
Snetì il rumore della serratura scattare e, con essa,
scattò anche lui. Si precipitò al piano di sotto,
udendo la porta chiudersi. Scese gli scalini a tre a tre e quando
arrivò in salone, stava anche per inciampare.
- Charl!- urlò e gli si buttò praticamente
addosso. La ragazza, stupita, lascio cadere la borsa a terra e
posò le sue mani sui fianchi di Peter.
- Ehi- sussurrò lei, flebile. - Che succede?- il ragazzo si
allontanò e la guardo, con sguardo gelido. I suoi occhi
verdi, in quel momento, sembravano essere diventati neri come quelli di
Charlotte.
- Che succede? Succede che sto provando a chiamarti da sei ore,
Charlotte. Sei fottutissime ore in cui i pensieri peggiori mi sono
passati per la testa, in cui non ho avuto tue notizie, in cui ho girato
Londra senza trovarti! Sei ore a preoccuparmi e ora tu vieni a dirmi
che succede?!- sbraitò, diventando rosso in viso.
- Scusa Peter... io non.. non ci avevo pens-
- Quello che deve sempre pensarci, allora, sono io?!-
sbraitò, alzando ulteriormente la voce. - Posso sapere dove
sei stata?-
Ed eccola la domanda che Charlotte temeva più delle altre.
Dirglielo oppure no? Conosceva Peter come il palmo della sua mano e
sapeva anche quale sarebbe stata la tua reazione.
Quindi...
- A casa di una mia amica, un progetto di fisica da fare-
abbassò lo sguardo, sentendo le lacrime riempirle gli occhi.
Non gli aveva mai mentito, ma sentiva che stavolta doveva farlo o
avrebbero finito per litigare, di nuovo.
- Il tuo telefono?- Charlotte estrasse il telefono dalla borsa,
premendo il tasto centrale e notando lo schermo buio.
- Scarico-
- Potevi telefonarmi col telefono della tua amica, il numero lo sai a
memoria-
- Ero troppo impegnata, me ne sono dimenticata. Mi dispiace, okay?-
raccolse la borsa da terra e la gettò sul divano.
Andò in cucina e bevve un bicchiere d'acqua, notando la non
presenza di Peter. Alzò gli occhi al cielo, sbuffando.
Si sentiva così in colpa...
Tornò in salone e nemmeno lì lo trovò,
così salì in camera sua. Lo trovò di
spalle, piegato verso il pavimento.
- Che fai?- si alzò di scatto, udendo la voce di Charlotte.
- Prendevo il telefono che è caduto sotto al letto- lo
afferrò e lo mise in tasca. - Perfetto, vado a casa-
- Come?-
- Non ho nulla da fare qui e ho da studiare, devo dare un esame tra una
settimana- la sorpassò, senza nemmeno guardarla.
- Ci... vediamo domani?- sussurrò lei, flebilmente.
- Non lo so, devo studiare. Buonanotte Charlotte- sentì i
passi lungo la scala e, in seguito, la porta di casa chiudersi.
- Buonanotte Peter- soffiò lei, ormai sola.
************
Ehm.. ehm... sì, pace e amore. lol
Pensavate, sul serio, che fosse tutto pace e amore? Dalla serie
"bitches, please!", ahahaha.
Okay, la smetto di essere sadica, la smetto.
Carino Matthew, eh? Biondo, occhi azzurri.. un principe azzurro
perfetto, no? E' anche così gentile *www*
Mentre Peter... preoccupato per la sua Charlotte
çwç e lei gli mente, per la PRIMA volta in cinque
anni gli mente sul serio.
Odio le bugie, soprattutto quando sono causate da un/una ragazzo/a.
Chissà che succederà adesso. Bho, io non lo so.
Btw, me la lasciate una recensione così io mi sciolgo come
un pezzo di cioccolata al sole e la voglia di scrivere torna in me? :')
Vorrei ricordarvi il mio gruppofacebook
e il mio profilo twittah.
Sia per eventuali spoiler che per conoscerci un pochino mi trovate
lì ;)
Grazie a tutte.
Un bacione enorme,
Mary xx
Just
gonna stand there and watch me burn,
but
thats alright because I like the way it hurts. Just
gonna stand there and hear me cry,
but
thats alright because I love the way you lie. I
love the way you lie.
~
Un
ringraziamento speciale a tutte voi che mi seguite.
Vi adoro! Buona lettura :)
Peter tornò a casa proprio nel momento in cui la
radiosveglia annunciò le sette del mattino e la canzone dei
Coldplay riempì la camera da letto. Attento a non inciampare
tra le lattine vuote e a non andare a finire con la testa contro il
muro, arrivò in camera da letto e spense l'aggeggio con una
manata. Si lasciò cadere sul letto, ancora col cappotto
bagnato addosso. Se lo sbottonò e lo scacciò via,
insieme alle scarpe e ai pantaloni; rimase in cannottiera e boxer,
libero da qualsiasi intralcio. Si mise a fissare il soffitto illuminato
dalla luce rossa dei numeri della radiosveglia, visto che le finestre
erano ancora chiuse.
Era esausto e la sua testa pulsava maledettamente; proprio
ciò di cui aveva bisogno.
Lo aveva fatto di proposito, si era chiuso in un pub e aveva scolato
decine di lattine di birra, fino ad averne la nausea. Aveva bisogno di
un mal di testa che non lo facesse pensare, che gli facesse liberare la
testa dai pensieri, dai problemi e dalle preoccupazioni.
Afferrò le pasticche dal secondo cassetto e le
buttò giù, senza nemmeno preoccuparsi di berci
sopra. Chiuse gli occhi e si lasciò andare, lontano dalle
mille domande che, nonostante l'alcool, continuavano a vorticargli
nella testa.
***
Anche per Charlotte la nottata
fu lunga, e come successo a Peter, quando partì la canzone
dei Coldplay, lei stava uscendo dalla doccia e si affannò
per arrivare in camera e spegnere quell'odioso affare.
Oggi non era in vena di musica movimentata e piena di allegria, proprio
no.
Non aveva chiuso occhio per tutta la nottata, era rimasta sveglia a
guardare il soffito coi mille sensi di colpa annodati nello stomaco e
un blocco alla gola che le bloccava il respiro.
Cosa diavolo le era passato per la mente?
Mentire a Peter.
Peter. Peter. Perchè,
diavolo, lo aveva fatto?
Non riusciva ancora bene a capirlo; forse perchè aveva paura
di una sua reazione esagerata o, forse, per l'ennesimo senso di colpa
visto che lui si era preoccupato tutto il giorno e lei era stata fuori
a divertirsi con
un ragazzo che non era lui.
Si vestì in fretta, per poi uscire di corsa da quella casa
odiosamente silenziosa. Era rimasta tutta la notte da sola, visto che
suo padre era fuori due notti per lavoro, raccomandando Peter di non
abbandonarla e di tenerla sotto controllo.
Ma lui... lui l'aveva lasciata sola.
L'aveva davvero lasciata
sola.
Scosse la testa, infilandosi gli auricolari nelle orecchie e facendo
partire la playlist di canzoni depressive. Fanculo.
La mattina passò lenta e noiosa, ma fu anche
ristoratrice per Charlotte. Si ritrovò interessata ad ogni
singola lezione, ma probabilmente era solo alla ricerca disperata di
qualcosa che la facesse distrarre. Ormai stava arrivando Aprile, e si
rese conto di non aver ancora iniziato la sua tesina per l'esame.
Certo, rimanevano ancora tre mesi, ma a lei piaceva anticipare.
Così decise di iniziarci a lavorare quel pomeriggio,
abbozzando uno schema sul come procedere.
Durante la sesta ora, iniziò ad avere dei forti crampi alla
pancia e si ricordò del suo ciclo, sicuramete in
arrivò. Sbuffò. Ultimamente era un incubo, i
dolori al basso ventre iniziavano tre giorni prima, oltre ai forti mal
di testa. Peter conosceva qualsiasi cosa della piccola Charlotte, anche
questi problemi; e, come un mago, ogni volta che arrivava, sapeva cosa
fare: affittare un film e comprare due vaschette di gelato variegato
alla nutella.
Ma ora Peter non c'era, e sarebbe stato cinque volte peggio.
Al suono della campanella, si alzò pigramente e
riempì la borsa con i suoi pesanti libri, indossò
il giubotto e si preparò al freddo londinese. Quando
uscì da scuola si ritrovò a imprecare contro quei
deficente dei suoi compagni, che bloccavano l'entrata per poter aprire
gli ombrelli e per parlare con quelli delle altre classi. Lei si
limitò ad alzare il cappuccio dell'impermeabile e si diresse
sulla stradina dietro la scuola.
Le scale del sottopassaggio, con la pioggia, erano un tentato omicidio.
Non ci era mai caduta, grazie a Peter che la manteneva per un braccio
ogni santissima volta, ma forse oggi non era decisamente la sua
giornata.
- Cazzo!- si lasciò scappare ad alta voce, ritrovandosi col
sedere a terra e i jeans ormai fradici.
- Serve una mano?- il biondo le porse il braccio e lei, riconoscendolo,
l'afferrò e si sollevò.
- Grazie mille, queste scale saranno la mia morte- cercò di
asciugarsi le gambe con le mani ma, naturalmente, era stato un
tentativo vano.
- Vuoi un passaggio con la macchina? L'ho parcheggiata proprio qui
stamattina, non c'era posto- oh, davvero gentile, disse tra
sè e sè la ragazza. Abbozzò un
sorriso, mentre decideva cosa fare. Alzò lo sguardo,
combattendo contro la pioggia e lo osservò, mentre anch'egli
si inzuppava.
E ciò la convinse ad accettare.
Il torpore dell'auto era benestante per la pelle fredda di Charlotte.
Matthew aveva acceso subito i caloriferi e la differenza di temperatura
le facevano bruciare le mani. Sentiva il freddo penetrarle nelle ossa e
rabbrividì per l'ennesima volta da quando era salita in auto.
- Sicura di stare bene?- le chiese, seriamente preoccupato. Teneva le
mani ferme sul volante, guidando nel traffico Londinese e cercando di
andare più piano possibile, in modo da stare più
tempo con lei.
Furbo, ma anche lei non era stupida.
- Sì, sì- rispose lei, continuando a sfregare le
mani sul tessuto bagnato del jeans. Passarono altri cinque minuti in
silenzio, mentre la temperatura corporea di Charlotte sembrava
aumentare, anche se le ossa non ne volevano sapere di scaldarsi.
- Uh, che sbadato. Stavo dimenticando di chiederti una cosa..- era
impacciato e sapeva che lei si era accorta della bugia. Non se n'era
affatto dimenticato, anzi, ci aveva pensato tutta la notte; aveva
pensato al modo in cui proporlo, gentile, diretto, deciso, indeciso,
ridendo, ansiotico. Ma non era arrivato ad una conclusione, quindi
avrebbe colto la prima occasione per farlo.
Se avesse dovuto dire di sì, lo avrebbe fatto con qualsiasi
tono. Idem, se avesse voluto dire di no.
Certo, lui preferiva la prima.
- Dimmi tutto- - Beh,
per sabato ho organizzato una festa, e volevo chiederti se ti va di
venire...-
Stavolta, la temperatura nel corpo di Charlotte si era inalzato di
parecchio. Di troppo, forse.
- Matt...-
- Come amica, naturalmente. Ho invitato così tante persone
che non mi sembra giusto invitare te. Cioè, negli ultimi due
giorni ci siamo conosciuti e mi sembrava giusto invitarti, non che tu
sia obbligata ma...-
- Okay, verrò- decise di interrompere
quell'infinito flusso di parole. Ci avrebbe pensato su, in caso gli
avrebbe fatto sapere.
- D... davvero?- lei annuì, sorridendo.
Quando arrivarono a casa di Charlotte, lei si porse per baciargli la
guancia e lui si sentì mancare il respiro.
Oh, beh, forse si
stava prendendo una cotta per lei.
- Ci vediamo domani-
- Certo- disse lei, prima di chiudersi lo sportello alle spalle.
Matthew imboccò la strada e corse via, con un sorriso che
sostituiva i fari della macchina.
Charlotte si sentiva la testa scoppiare e gli occhi avevano preso a
bruciarle. Con ancora lo sguardo puntato verso la strada, estrasse le
chiavi dallo zaino e lo richiuse, mettendoselo bene in spalla. Bene,
adesso il suo scopo era quello di andare a casa e buttarsi sotto alle
coperte, per deprimersi e riscaldarsi.
Ma, quando si girò, andò a sbattere contro
qualcosa, o meglio, qualcuno. Sentì quel
profumo invaderla e per poco non scoppiò a
piangere. Quanto le era mancato? Un giorno e mezzo di distanza si
faceva sentire, soprattutto adesso che lo risentiva al suo fianco e
poteva respirare di nuovo il suo profumo. Oh, Peter...
- Mi sei mancato, Pet. Scusa, non lo facc-
bloccò le sue parole quando alzò lo sguardo e
trovò i suoi occhi verdi ben lontani dai suoi neri. -
Peter?- lo richiamò, ma lui si limitò a fare due
passi indietro e a scostarsi da lei. Scosse la testa per poi,
finalmente, alzare lo sguardo.
E, in quel momento, Charlotte avrebbe voluto che una voragine si
aprisse e la risucchiasse.
Tutto, pur di non vedere quegl'occhi verdi così... cupi.
- Davvero ti sono mancato, Charlotte? Non mi sembra, sai. Anzi, trovo
che tu ti sia consolata
molto bene- e poi ricordò da dove fosse scesa e
si maledisse di avergli mentito. Le bugie hanno le gambe
corte. Ecco,
in questo caso aveva le gambe di una formica, cazzo. - Peter, ti prego, non dire così...-
- Dove sei stata ieri, Charlotte?- Charlotte... -Peter...-
- DOVE SEI STATA IERI, CHARLOTTE?- disse con un tono che non aveva mai
usato con lei. Mai, mai, mai.
In quel momento la ragazza avrebbe voluto scoppiare a piangere, ma
sentiva gli occhi asciutti e il cuore piangere sangue.
Abbassò lo sguardo e si morse le labbra.
- Mi... mi dispiace- si limitò a dire, mentre un singhiozzo
la colpiva in pieno petto.
- Ti dispiace...- ripetè lui, con uno sbuffo ironico.
- Non volevo mentirti, ma-
- Ma lo hai fatto-
- Peter...-
- Non lo avevi mai fatto, Charlotte. Non mi avevi mai mentito su una
cosa del genere. Basta davvero così poco per farti
dimenticare di me?-
- No, non puoi pensare questo, no!- strillò lei,
afferrandogli un braccio. Lui scosse la testa e si
allontanò, di nuovo.
- Grazie Charlotte, grazie per la fiducia- e se ne andò,
girandole le spalle e lasciandola a sola, per la seconda volta in due
giorni.
***
Era
incazzato nero. Camminava
per le strade di Londra con passo deciso e con un'idea del dove andare
altrettanto precisa.
Era andato da lei per controllare che fosse tutto okay, visto che suo
padre era fuori città e sarebbe tornato tra due giorni. Era
andato lì con l'intento di chiarire e fare pace, ma, molto
probabilmente, lei non aveva bisogno di fare pace con lui. Si era
già consolata. Cazzo, cazzo, cazzo.
Fanculo! Aprì
la porta del pub con uno spintone e si sedette allo sgabbello occupato
anche la sera prima. C'era Amber dietro al bancone, quella sera; appena
lo vide, sorride come un oca e gli porse subito un bicchiere di 'sex on
the beach'. La ringraziò con un sorrisò e si
scolò l'alcolico come se fosse stato un semplice bicchiere
d'acqua.
E quello fu solo il primo di tanti altri bicchieri, mischiati ad altri
di 'Pina Colada' e di semplice
'Vodka'.
Due ore dopo, non ricordava nemmeno il motivo per cui era andato
lì, ma il suo incoscio ormai poteva ben capirlo. Era la
seconda sera di fila che si ubriacava per lei. Perchè? Si ritrovò nel letto
di Amber senza nemmeno accorgersene, in un passivo rapporto sostenuto
da lei e dall'enorme quantità di alcool che aveva in corpo.
L'unica cosa che ricordò, quando la mattina dopo si
svegliò nel suo letto, era che, appena finita quella nottata, si era
alzato e tornato a casa; ricordava vagamente la voce beata di Amber,
dopo l'orgasmo, che gli chiedeva di rimanere a dormire con lei; ma
Peter non avrebbe mai potuto fare una cosa del genere alla sua migliore
amica. Lei era
l'unica con cui aveva dormito e non poteva... tradirla in questo
modo.
Il suo inconscio scattò a questo pensiero e si
soffermò su questa parola. Tradirla. Ma...
tradire cosa?
***
Aveva
passato la
seconda notte di fila in bianco, ma stavolta non l'aveva sprecata a
pensare.
Aveva pianto per ore e ore, stremata tra le lenzuola e con gli occhi
che continuavano a produrre lacrime, mentre il suo cuore sembrava
essersi congelato e le procurava brividi per tutto il corpo.
Staccò la sveglia alle sette e si rimise con la testa sotto
al cuscino, intenzionata a saltare la scuola.
Charlotte che salta la scuola... Un miracolo, così
avrebbe detto Peter.
Riuscì ad addormentarsi solo dopo altre due ore, mentre
continuava a piangere inconsapevolmente e a tremare come una foglia. Le
facevano male le ossa, ma non ci fece chissà quanto caso.
Saltò tutti i pasti e lasciò il telefono muto sul comodino,
senza nemmeno controllare l'orario.
Tra le lacrime di quelle ventiquattro ore, aveva anche pensato
all'enorme cazzata fatta.
Perchè aveva mentito alla persona di cui si fidava
maggiormente?
Peter era sempre stato dannatamente sincero, senza mai nasconderle
nulla. E adesso lei, per una cazzo di bugia, si era ritrovata a non
sentirlo per tre giorn interi, a saltare la scuola con gli esami in
arrivo e con due occhi degni di far concorrenza a due palline da golf. Non ne fai una giusta,
Cà. Quando la sveglia il giorno dopo suonò, si rese
conto di essere rimasta a leggo più di ventiquattro ore.
Quando si costrinse ad
alzarsi, sentì la testa girare e le gambe cedere.
Si infilò sotto la doccia e si diede una sistemata,
continuando a sentire le orecchie fischiare. Non sapeva se prendere il
termometro oppure no, ma sapeva di non poter saltare un'altra lezione,
indipendentemente dal risultato. Quindi, lasciò perdere e
corse a prende l'autobus, infilando gli auricolari nelle orecchie ma
senza accendere l'ipod. La testa le scoppiava, ergo niente musica.
Naturalmente, nessuno si era accorto della sua assenza. Non le fecero
domande, apparte la professoressa di letteratura, chiedendole se stesse
bene e causando le risatine e i chiacchiericci dei suoi compagni di
classe.
Rimase per tutta la mattina in uno stato di trans-dormiveglia, ma si
sforzò comunque di seguire le lezioni e di appuntare tutto
ciò che c'era da appuntare.
Arrivato l'intervallo, si costrinse ad alzarsi per sgranchire le gambe
rimaste immbili più di ventiquattro ore nel letto,
così usci fuori dal corridoio e si poggiò al
porta finestra un pò più distante dalla sua aula.
Poggiò la fronte contro il vetro freddo e sentì
un sollievo alla testa, che le provocò ennesimi brividi.
- Carli- si sentì chiamare e, con le orecchie che
fischiavano, si girò e intravide Matthew.
- Ehi- salutò lei e si accorse di quanto la gola le
bruciasse. Merda.
- Stai bene? Ieri non sei venuta e hai una faccia...- la
ragazza annuì, cercando di tornare in se.
Ma proprio... ma proprio non ce la faceva. - Stasera vieni alla festa?-
si accigliò e, con un breve calcolò mentale,
capì che era già sabato.
- Io, oh, penso di... sì- un gemitò le
sfuggì, mentre la testa prese a pulsare più
violentemente.
- Charlotte, stai bene?- stava per annuire, quando la testa prese a
girare come una trottola e le gambe divennero gelatina. Buio totale.
***
-
Vaffanculo, questo
esame di merda!- si ritrovò a imprecare col suo amico Steve,
mentre chiudeva il libro in modo poco leggero.
- Io non penso che sia l'esame a essere difficile, amico mio-
commentò questo, per poi riavvicinare la sigaretta alle
labbra e prendere un profondo sospiro.
- Che vuoi dire? Sputa il rospo- si trovavano in sala mensa, seduti da
soli ad un tavolo sulla sinistra; Peter con la schiena poggiata al muro
e per poco non ci sbatteva la testa contro dai nervi, mentre Steve di
fronte a lui che si fumava bellamente una sigaretta.
- C'entra l'amichetta tua del cuore. Non vi vedo insieme da una
settimana e tu, di solito, la sera ti rifiuti di uscire con me.
Com'è che ieri sera mi hai chiamato per andarti a sbronzare?
E dai tuoi occhi, lo avei fatto anche la sera prima-
- Non rompete le palle, Steve, okay? E poi, l'amichetta mia, ha
un nome-
- Oh, calma, calma. Non te la tocco, anche se il pensierino ce lo
farei, eh. E' proprio un bel bocco.. oh, mi fai male!- la forchetta di
plastica gli arrivo giusto in fronte, sfortunatamente per
Peter, senza lasciare segno.
- Non ci pensare nemmeno,
Steve, o ti castro!- bene, lo stava facendo solo innervosire di
più.
- Oh, mamma mia, stai calmo. La lascio a te la tua ragazza-
- Non è la mia ragazza!- ribattè Peter, come
faceva ogni santissima volta che si parlava di lei.
- Sì, certo, è la tua migliore amica, bla bla
bla- fece un gesto con la mano come a volerlo liquidare. Migliori amici, puah!,
come no, pensò Steve, ispirando il fumo e
ricacciandolo qualche secondo dopo.
Peter martedì avrebbe tenuto l'esame e gli mancava ancora un
bel pò per finire di studiare.
Solo tre giorni per altre cento pagine.
Bene, benissimo, perfetto, fantastico, meraviglioso,
supercalifragilistiche...
Il telefono prese a squillare, interrompendo quei pensieri assurdi e da
perfetto deficente. Lo afferrò, sbuffando. Chi poteva
essere? Tutti sapevano che quando era all'università non
voleva essere disturbato, salvo urgenze.
- Pronto?- rispose sbuffando, senza nemmeno controllare chi fosse.
- Peter? Sono Richard, ti disturbo?- Richard? Quel Richard? Il
Richard padre di Charlotte, nonchè sua migliore amicha che
non sentiva da tre maledettissimi giorni e per cui si era sbronzato tre
sere di fila portandosi a letto chissà quante ragazze e
consumando chissà quanti preservativi?
Un attimo.
Richard non era qui in città.
Cosa cazzo era successo?
- Che succede, Richard?- si portò a sedere con le spalle
rigide, afferrando saldamente il telefono nella mano rigida.
- Mi dispiace disturbarti, ma ho ricevuto una chiamata dalla scuola e
non apevo chi chiamare-
- Dalla scuola? Che cazzo succede?- quasi urlò, alzandosi e
afferrando Steve dal braccio.
- Charlotte è svenuta, l'hanno portata in infermeria. Hanno
provato a chiamare sua madre, ma non ha risposto, così hanno
chiamato me ma, come ben sai, sono fuori città e...- Cazzo.
Merda.
Porca puttana.
- Vado io, merda! Ti richiamo- staccò il
telefono, mentre Richardo mormorava un 'grazie' preoccupato e agitato.
- Che succede, amico?-
- Mi serve la macchina, Steve. Charlotte è svenuta a scuola,
devo andare- afferrò le chiavi della macchina, col cuore in
gola.
- Certo, certo, Vai, e fammi sapere- annuì, prendendo a
correre. Merda, di
nuovo.
Dieci minuti dopo era a scuola, mentre saliva le scale di corsa. Lo
accompagnarono in infermeria e lo fecero entrare subito dopo aver dett
il suo nome, raccomandando da Richard.
- Ha la febbre molto alta, prima era sui 40 ma siamo riusciti ad
abbassarla ai 39. Si è svegliata cinque minuti fa, ma non ha
retto più di mezzo minuto. Pensi di potercela fare a
portarla a casa e prenderti cura di lei?- la professoressa parlava al
suo fianco, mentre lui era proiettato all'ultimo lettino della camera,
su cui c'era la sua Charlotte.
Appena arrivarono, notò subite le sue guance rosse nel volto
pallido e scavato e la bocca semichiusa da cui fuoriuscivano sospiri
pesanti.
- Prof, posso accompagnarla io a casa- si girò quando
sentì la voce di un ragazzo alle loro spalle e si accorse di
averlo già visto.
Ma certo, il ragazzo della macchina.
- Matthew, sei molto gentile, ma il padre della signorina ci ha
raccomandato questo ragazzo, quindi...-
- Ma non lo conoscete nemmeno- insistette lui. - Io sono un amico di
Charlotte, potete fidarvi- Peter, con i nervi già a fior di
pelle, si sentì scoppiare.
- Stammi a sentire, suo padre ha fatto il mio nome, quindi
ci deve essere un motivo, ti pare? Sono il suo migliore amico e
viviamo praticamente insieme. Quindi, adesso, non rompermi le...
scatole e tornatene in classe. Io porto la mia Charlotte a
casa- gli girò le spalle, mentre la prof era rimasta
sconcertata e Matthew infuriato come una vipera.
Con delicatezza, Peter posò il suo giubotto sulle spalle di
Charlotte e la prese tra le braccia, stupendendosi-come sempre,
d'altronde- quanto fosse leggera. Le scostò una ciocca di
capelli castani dalla fronte, intravedendo uno dei suoi riflessi rossi,
e le baciò la guancia.
Fortunatamente non pioveva, così potè portarla
tranquillamente in auto, cercando di ripararla col cappotto e col suo
corpo dal freddo umido di Londra. La poggiò sul sediolino e
abbassò lo schienale, per farla stare più comoda,
poi sfrecciò verso casa.
Quando la mise a letto, si rese conto di doverla cambiare. Indossava
ancora il jeans e il maglioncino, decisamente non comodo.
Cercò tra i cassetti una tuta o un pigiama, ma non
trovò nulla di coprente. Così aprì
l'anta dell'armadio in cui c'erano alcune sue tute, messe lì
per quando rimaneva a dormire da lei, e la mise sul letto.
Lentamente, le sbottonò i jeans e si stupì di
quanto fosse addormentata. Le sfilo piano i jeans, respirando
profondamente; sentivo il fiato mancargli e il cuore pulsare
violentemente. Cercò di non soffermarsi sulle mutandine nere
e semplici della sua amica e le mise il pantalone della tuta,
piegandolo sulle gambe per quanto era lungo.
- Ehi, piccola, reggiti a me che ti aiuto a togliere questo orribile
maglione, mh?- le sussurrò, sollevandola col busto e
poggiandola sul suo petto, con la testa sulla spalle. Le
sfilò la maglietta, sfiorando con le dita la sua schiena. Quella sensazione... Le mise la giacca della tute e glie la chiuse con la
cerniera, infilandola poi sotto alle coperte. L'aiutò a
ingerire una pasticca e a bere un bicchiere d'acqua tiepido, mentre
continuava a dormire inconscia di quel che lui stava facendo.
Le carezzò la fronte calda con un panno bagnato e le
scostò i capelli dal viso, aggiustandole più e
più volte le lenzuola, timoroso che prendesse freddo.
Passò le successive due ore a prendersi cura di lei,
scostandole i capelli, bagnandole la fronte, aggiustando le coperte e
controllare la sua temperatura corporea.
Poi, infinte, si distese al suo fianco, senza coprirsi con le lenzuola.
Si sentiva stremato, sia per le tre notti precedenti passate in diversi
pub a sbronzarsi, che per le sensazioni provate poco prima. Cosa gli stava
succedendo?, si chiese, scuotendo la testa.
Ma al momento non gli importava; al momento voleva solo che la persona
più importante della sua vita si riprendesse e si
svegliasse, mostrandogli il suo dolce sorriso che sapeva fargli battere
forte il cuore. Come sempre.
- Scusa se ci tengo troppo a te- mormorò,
baciandole la fronte e assaporando il suo profumo. Scusa..
********* Ehm... wow.
La situazione è sempre più tesa fra questi due
qui, ma Peter rimane sempre profondamente inn... fedele alla sua amica,
più o meno.
Non voglio che lo vediate, dopo questo capitolo, il solito ragazzo da
una notte e passa. Cioè sì, lo è, ma
mette subito in chiaro con quelle ragazze ciò che fa. Si
diverte, e anche loro si divertono.
Beh... per ora.
Matthew. Non pensavo vi innamoraste così follemente di lui
ahaha. Cioè sì, è dolce e carino e
tanti 'aww' per lui, ma mi siete quasi passate dalla sua parte,
"disprezzando" il mio povero Peter. Tanto che, mi avete fatto venire un
dubbio: team Peter o
team Matthew? Io mi sono già schierata, naturalmente, ma non
posso rivelarvelo. Sorry lol.
Btw. Spero che il capitolo vi sia piaciuto molto più
dell'inizio della scuola? Gioco sporco, lo so. Come vi è
andato il primo giorno? A me normale, solita rottura (scherzo... non
è vero) uù
Il primo capitolo ha raggiunto 10 recensioni -me ne sono accorta solo
adesso- e kaerjgnake. Grazie, nn ci speravo più, ormai **
Basta parlare. Vi auguro una buona serata, un buon fine studio(?) e una
buona settimana!
Potrete trovarmi, come sempre, sul mio gruppo
facebook o sul mio twitter.
Come sempre, è stato un piacere! A presto :)
Un bacione enorme,
Mary xx
Open you eyes now, open your
eyes now.
It's time to see, if you can reach me.
*
Vorrei ringraziare quella
cessa della mia migliore amica che non legge i capitoli in anteprima
che le invio e che, in questo momento, mi
sta facendo compagnia via web. E tutte voi che continuate a
seguirmi e che siete sempre più dolci.
Il cielo chiuso di
Londra, quella sera, era illuminato dalla luce fioca della luna piena
che sbucava tra una nuvola ed un'altra.
La sera era calata in fretta ed era già puio pesto per
essere solo le nove. Il silenzio che circondava casa Batler era quasi
spaventoso, ma anche calmente per l'ansia che circondava il corpo di
Peter. Si era addormentato da soli dieci minuti, ma non faceva che
ruotare la testa a destra e sinistra, ispirando profondamente e col
cuore a mille.
Charlotte, invece, aveva dormito profondamente e senza svegliarsi
nemmeno una volta per circa sei ore. Il suo migliore amico -o ex?-
l'aveva sorvegliata per tutto il tempo, misurandole la febbre ogni
mezz'ora e tamponandole la fronte con un fazzoletta di stoffa bagnato.
Solo quando la porta di casa si chiuse rumorosamente, Charlotte si
svegliò dal sonno profondo, mentre Peter sembrava essere
entrato veramente in coma. Finalmente, avrebbe
detto il suo inconscio.
La ragazza si guardò intorno, cercando di scrutare nel buio
che ore fossero e dove si trovasse; non ricordava praticamente nulla,
l'ultimo suo ricordo risaliva a Matthew che parlava e ai suoi giramente
di testa.
Poi, buio. Accese la lampada sul comodino e per poco non ebbe un
infarto, quando vide al suo fianco Peter a petto nudo. Si
portò una mano sul petto, come a voler fermare il cuore
impazzito. Cosa diavolo ci faceva
qui? Ma,
soprattutto, cosa
diavolo era successo? Abbassò lo sguardo sul suo corpo e non
riconobbe il suo pigiama nero e rosso che portava abitualmente; beh,
veramente, non somigliava nemmeno a quello bianco o a quello azzurro.
Ma era una tuta blu con le classiche righe bianche ai lati.
Ma, cosa più notevole, era gigante. Ci
sarebbero potuto andare tre di lei in quella felpa e, sicuramente, nei
pantaloni.
Si soffermò a guardare il viso corrucciato di Peter, poi
decise di alzarsi. Sentiva la testa pesante e pulsare nelle tempie, ma
cercò di non badarci molto mentre scendeva le scale di casa
a piedi nudi, cercando di non inciampare nel pantalone troppo lungo.
Ma certo, era una tuta di Peter. Alt, fermi un attimo.
Chi le aveva messo quella tuta? Lei, no di certo. Peter...
- Charlotte, tesoro!- sobbalzò per l'ennesima
volta, mentre un paio di braccia l'avvolgevano in una stretta.
- Papà, che ci fai qui? Non dovevi tornare.. domani?- scosse
la testa. Oggi era ancora sabato, vero?
- Non ricordi nulla? Ma sei da sola? Che ci fai all'inpiedi?- sciolse
l'abbrazzio e l'afferrò per le spalle, portandola a sedere
sul divano.
- Ehm, che è successo? Peter è di là
che dorme..-
- Mi hanno chiamato dalla scuola oggi a pranzo; oddio, che spavento. Mi
hanno detto che sei svenuta, ma io non potevo venire e tua madre non
era raggiungibile al cellulare- Oh, beh, questa non era
una novità. Affatto.
- Così ho chiamato Peter e appena ha saputo
della telefonata si è precipitato a scuola. Ti ha portato
lui a casa, tesoro. Non ricordi proprio nulla?- Charlotte scosse la
testa, con la bocca semiaperta.
Peter si era precipitato, preoccupato per lei, da lei? E dall'ora di pranzo erano passate otto ore e lui era
ancora lì, al suo fianco? L'aveva cambiata e fatto
chissà quant'altro, per
lei?
- Dovresti tornare a dormire, cara. O almeno metterti
sotto alle coperte, l'infermiera mi ha detto che avevi la febbre molto
alta- si portò una mano sulla fronte e la sentì
calda, a differenza di quanto la teneva sempre.
- Effettivamente mi gira un pò la testa- notò
lei, parlando ad alta voce.
- Okay, allora ti accompagno in camera tua. Sveglio Peter e lo mando
nella stanza degl'ospiti, così puoi riposarti
tranquillamente- lei scosse la testa furiosamente.
- No, no. Lascialo in camera mia, non mi da fastidio- suo padre, col
volto corrucciato, annui, gemendo un 'mh' poco convinto.
Tornò in camera sua, mentre le braccia di suo padre le
avvolgevano le spalle come timoroso che potesse cadere da un momento
all'altro. Lei si infilò sotto le coperte e coprì
col lenzuolo anche Peter, rannicchiato al suo fianco.
- Se hai bisogno, tesoro, chiama e arrivo. Io sono nel mio studio- lei
annuì, sorridendo.
Suo padre era tornato da un viaggio di lavoro per lei. Non era mai
successo, soprattutto negl'ultimi tempi; non era mai stato bravo con le
dimostrazioni d'affetto, ma, in fondo, Charlotte sapeva che le voleva
bene. Diciamo che glie lo dimostrava a modo suo.
Sua madre, invece, era un altro conto. Charlotte le voleva bene, ma non
era sicuro che potesse essere un bene ricambiato; il loro rapporto non
era mai stato dei migliori, soprattutto negl'ultimi due anni.
Più Charlotte cresceva, più i rapporti
diventavano impetuosi: litigavano per qualsiasi ragione e lei scoppiava
a piangere ad ogni minima discussione, troppo pressata dalle poche
attenzioni e dalle tante delusioni da parte di quella donna. Tante
volte aveva pensato di trasferirsi da Peter, ma non aveva mai trovato
il coraggio di farlo; in quella casa c'era anche suo padre e,
nonostante tutto, rimanevano la sua famiglia. Quando poi lei chiese il
divorzio, con già sicuramente un tradimento avvenuto da
parte sua nei confronti di suo, all'epoca, marito, Charlotte
capì che sua madre era una donna ben diversa dalla madre
perfetta che aveva visto quando era bambina. "Fosse stato per me, non l'avrei
fatta proprio una figlia! Avrei abortito nel momento in cui seppi di
essere incinta." In fondo, glie lo aveva ripetututo tre giorni prima. Fosse
stato per lei, Charlotte adesso non sarebbe qui, ma dimenticata in un
sacchetto della spazzatura quando non si era ancora formata.
Scosse la testa, portandosela sotto alle coperte e chiudendo gli occhi.
Non doveva piangere, non
doveva piangere.
- Ehi, scricciolo- un brividò le
ricoprì la pelle e le trapassò la spina dorsale.
Chiuse i pugni sull'orlo della coperta e affondo il volto in questa. -
Non sei un pochino cresciutella per giocare a nascondino?-
- Non sei spiritoso- mormorò lei, con la gola che ancora
bruciava.
- Io penso di sì, invece-
- Il solito Mr. Modestia- commentò lei, mentre lui
sogghignava. Presa alla sprovvista, Peter tirò le coperte e
le scoprì il viso, rivelando la pelle pallida e le guance
accaldate.
- Come ti senti?- le sistemò una ciocca di capelli dietro
l'orecchio e lei si sentì arrossire come forse non le era
mai successo, ovviamente, con Peter. Solo i primi tempi arrossiva a
qualche complimento o a qualche commento malizioso da parte del
semplice amico spiritoso, ma dopo tutte le esperienze vissute insieme,
arrossire era l'ultima cosa che Charlotte faceva in sua presenza.
- Meglio, a parte la testa e la gola- fece una smorfia col viso, mentre
lui sospirava, sollevato.
- Te la sei vista brutta, nanetta. A scuola avevi la febbre a 40, ma
quando sono arrivato io ti era scesa a 39. Ti ho dovuto fare impacchi
con acqua fredda per fartela scendere a un 'decente' 38- le
carezzò la fronte e sorrise.
- Mi.. mi dispiace di averti disturbato, non volevo-
- Non volevi svenire?- un sorriso spuntò sul volto della
ragazza, mentre lui la beffeggiava.
- Sul serio, non eri obbligato. Ma grazie- Peter accigliò le
sopracciglia e con un dito sfiorò la punta del naso della
sua amica.
- Non dire sciocchezze, okay? Sei
la mia migliore amica, Charlotte; potremmo anche litigare
mille volte, ma nel momento del bisogno ci sarò sempre-
abbozzò un sorriso e lei si tuffò tra le sue
braccia.
- Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace. Non volevo mentirti, ma sapevo
che avresti iniziato con le tue infinite raccomandazioni e con i tuoi
'non se ne parla' e avremmo finito per litigare. Volevo dirtelo, ma poi
mi ha 'scoperta' ed è successo tutto quel casino. Mi
dispiace, davvero. Non volevo mentirti, scusa- lui sorrise e le
carezzò i capelli, stringendola al suo petto.
- Dispiace anche a me, sono un pò troppo... protettivo. Ma
sei la mia piccolina e vederti soffrire già una volta per un
maledetto bastardo, mi ha fatto perdere le staffe. Odio vederti
piangere e vrrei tenerti sotto una palla di vetro, ma hai ragione, devi
crescere e affrontare le tue esperienze. Ma sappi che ti
terrò sempre d'occhio, su questo non posso fare promesse che
sono certo non manterrò- Charlotte era stupita dal passo in
avanti che Peter aveva fatto; non si era mai fatto problemi riguardo la
vita sociale di lei, ma adesso sembrava, finalmente, capire. - Grazie-
- Quando vuoi, scricciolo-
- Non c'è bisogno che torni qui, Peter, sul
serio. Rimani a casa tua o esci, non ho bisogno della balia-
- Oh, non se ne parla proprio! Vado a casa a prendere i libri e torno
da te, sono sicuro che domani tuo padre deve ripartire e lasciarti da
sola è l'ultima cosa che voglio fare- la ragazza
sbuffò e, esasperata, lo liquidò.
- Come ti pare, tanto io non mi muovo da qui- sbuffò, di
nuovo.
- Non fare quel broncio o prendo a farti il solletivo fino a quando non
mi chiedi perdono in ginocchio, okay?- gli alanciò
un'occhiata di fuoco, mentre lui sogghignava.
- Stronzo- Peter sorrise e si chinò per baciarle la fronte.
- A dopo, stellina- Charlotte impazziva per i nomignoli che il suo migliore
amico le dava. Di solito, se ne sceglieva uno standard e stop, ma loro
non erano così. Quando una volta Charlotte glie lo aveva
fatto notare, lui aveva risposto che utilizzare sempre lo stesso
soprannome era noioso e stantivo, e loro due erano tutt'altro che
noiosi e stantivi. Ah, lui e i suoi
pensieri contorti. Dopo dieci minuti che lui se ne fu andato, Charlotte
decise di alzarsi e di andare a darsi una ringrescata sotto la doccia.
Sentiva i muscoli delle gambe e della schiena contratti, la testa
barcollante e l'alito pesante; e, inoltre, quel freddo tipico di febbre
le stava squassando il corpo, di nuovo. Così si
infilò nella doccia, girando il dosatore dalla parte
dell'acqua calda e rimase con la schiena verso il getto per altri dieci
minuti. Adorava l'acqua calda dietro al collo, la faceva rilassare e
riscaldare in un attimo.
Finito, si avvolse nell'enorme asciugamano e si lavò i
denti, dopodichè si infilò un pigiama pulito,
gettando la tuta sudata nella cesta dei panni sporchi. Decise di
prendere un'altra pasticca e si infilò sotto le coperte,
afferrando il cellulare tra le mani. Quando lo accese, trovò
3 chiamate senza risposta e 2 messaggi. Aprì prima i
messaggi, incuriosita.
1) "So che forse non
dovrei essere preoccupato, ma nemmeno lo conosco quel tizio che
è venuto a prenderti. E' lui il tuo famoso "migliore amico"?
Sei sana e salva, vero? Matt xx"
2) "Spero che tu stia bene, anche se mi dispiace che non ci sarai alla
mia festa stasera. Mandami un mex appena stai meglio. Un bacio, Matt xx"
Charlotte
rimase a fissare il cellulare per un minuto eterno, prima di imprecare
come un cane. Merda, fottuta merda.
Cazzo, cazzo e ancora cazzo.
C a z z o. Oggi
era il compleanno di Matthew e lei, come una povera imbecille, se n'era
dimenticata in quei due secondi che lo aveva tenuto di fronte; anzi,
gli era anche svenuta tra le braccia.
Figura di merda 1, Charlotte 0. Bene. Premette
sul tasto verde immediatamente, avviando la chiamata. Bastarono solo
due squilli per farlo rispondere. - Charlotte! Stai bene?-
- Oddio, mi dispiace, Matt, sul serio. Mi ero completamente dimenticata
con quel mal di testa assurdo, scusa, scusa, scusa- si sentì
il suono di una risata e lei sembrò rilassarsi. - Tranquilla dai, stai
meglio? Dove sei?-
- Oh, la febbre è scesa un pò. Sto a letto, mi
dispiace ma non ce la faccio a venire- mormorò, seriamente
dispiaciuta. - Lo immaginavo,
tranquilla. Riposati e guarisci, okay?-
- Certo. Oh, che deficente! Buon compleanno- arrossì,
nonostante lui non potesse vederla. - Grazie, Carli. E non
preoccuparti, okay?-
- Okay.. Adesso vai, e divertiti. Ci vediamo lunedì- - Certo! Un bacio-
- Ciao- staccò la telefonata, giusto un secondo prima che
spuntasse Peter in camera. - Ehi, hai fatto in fretta- depose il
cellulare sul comodino, mentre lui si avvicinava al letto.
- Casa mia è a dieci minuti da qui, Charl. Non vivo
dall'altra parte dell'Inghilterra- sorrise e posò i libri
sulla scrivania.
- Molto spiritoso- commentò lei, acida.
- Chi era a telefono? Il tuo nuovo amichetto del cuore?- Charlotte
trattenne un sorriso, così come trattenne la voglia di
saltare addosso al suo migliore amico per abbracciarlo; era
così.. tenero da geloso.
- Sì, era il mio nuovo best
friend-
- Te la smetti con questo nomignolo orribile e
bimbominchioso?-
- Uh, qualcuno è acidello qui-
- Vaffanculo- disse lui, sedendosi di fianco a lei e poggiano la
schiena alla tastiera del letto.
- Sì, ti voglio bene anche io- si sollevò e gli
stampò un bacio sulla guancia, mentre Peter scuoteva la
testa esasperato.
- Okay, okay. Ora lasciami studiare che tra due giorni ho un fottuto
esame e non so niente, porca miseria- aprì il libro di colpo
e se lo poggiò sulle ginocchia, prendendo la matita tra le
mani e girandosela tra le dita.
- Ehi, stai tranquillo. Fai sempre così ma alla fine riesci
sempre a prendere ottimi voti, quindi.. ce la farai anche stavolta,
mh?- Charlotte gli passò una mano tra i capelli corti e gli
sorrise. Lui sospirò e annuì, sprofondando tra i
cuscini.
- Mi aiuti, vero?- la sua migliore amica scoppiò a ridere,
in attesa di quella domanda e degl'occhi dolci del ragazzo.. Sapeva che
da lì a poco lo avrebbe fatto, prevedibile.
- Mettiamoci all'opera, Mignolo. Conquisteremo il mondo!-
- Ben detto, Prof!- e si schiacciarono il cinque.
- ...in quanto si applica alla modellazione delle strutture portanti
delle costruzioni reali. Okay, penso di aver finito. Che ne pensi?- si
umidiì le labbra asciutte con la lingua e si girò
a guardare Charlotte, aspettando un suo parere. Un sorriso nacque
spontaneo sulle sue labbra, non appena vide il suo scricciolo dormire
sul suo petto.
Peter chiuse il libro e lo poggiò sul comodino, notando le
due ore passate a ripetere; non se n'era minimamente accorto,
tutt'altro. Eppure era stato due ore a ripetere e Charlotte lo aveva
aiutato a recepire i concetti più complicati con qualche
metodo di memoria e lo aveva interrogato fino a dieci minuti prima. Ma,
probabilmente, a causa della febbre, era crollata dal sonno. Con la
mano libera le spostò i capelli dal viso e le
carezzò una guancia, mentre con l'altra la strinse
maggiormente al suo corpo.
Chiuse gli occhi beando di quel contatto caldo e sorrise. Sarebbe tornato tutto
come prima.
Certo.
- Charlotte! Ciao!- una voce stridula le giunse alle
orecchie, mentre la detta interessata era impegnata a premere il
pulsante del distributore. Quel pomeriggio aveva deciso di fermarsi in
biblioteca per studiare; era consapevole che a casa si sarebbe
annoiata. Quel pomeriggio Peter avrebbe tenuto il suo tanto temutissimo
esame e lei lo avrebbe raggiunto solo alle sei, quando sarebbe uscito.
Aveva quattro ore per studiare, anzi, tre: l'altra le sarebbe servita
per prendere l'autobus e raggiungere l'università.
- Ciao, Samanta- un sorriso amaro spuntò sulle sue labbra,
mentre la bionda ossigenata si avvicinava a lei, mostrando i suoi denti
bianchi e perfetti.
- Come stai? Ho saputo che sei stata male, mi dispiace tanto. Ma tanto
passa, no? Senti, io e le ragazze stiamo andando a fare shopping per il
ballo di primavera di venerdì, vuoi unirti a noi? Non avrai
mica già comprato il vestino? No, vero? Su, dai- non le
lasciò nemmeno un secondo per accennare un 'No', che
l'afferrò per la mano e la portò verso il
gruppetto di bionde-rosse-castane che l'attendevano nell'atrio.
- Veramente... io dovevo studiare e alle sei sono.. impegnata-
cercò di giustificarsi lei, lasciando scivolare la sua mano
da quella di Samanta.
- Dai, andiamo in città! Per le cinque e mezza siamo di
ritorno. Dai, su- fece un respiro profondo e, con un sorriso davvero
poco sincero, si lasciò convincere.
Charlotte non era mai stata una ragazza amante dello shopping, della
manicure e dell'estetica facciale, ma non si era mai trascurata.
Ciò avveniva, soprattutto, a causa della sua lucente carta
di credito nera, che teneva nel portafoglio in caso di
necessità o di -come in questo caso- voglie.
Le cinque ragazze -lei compresa- camminavano a passo lungo e veloce per
Oxford Street, la famosa strada di Londra contenente più di
trecento negozi. La ragazza cercava di stare al passo, ma lo trovava
estremamente faticoso, mentre loro continuavano a indicare ogni negozio
accennando, ogni santissima volta, un 'no' scocciato. Fino a quando, si
fermarono davanti alla grande vetrata del Liberty e
notò gli occhi di tutte brillare.
- Qui!- strillò Samanta, afferrando le sue 'amiche' e
trascinandole all'interno del gigante negozio.
Charlotte si sentiva spaesata, non sapeva dove guardare. A destra tutto
rosa, a sinistra tutto verde, davanti tutto bianco e dietro tutto nero.
Sì, le girava la testa. Passò un buon quarto
d'ora a vagare tra i diversi tessuti, fino a quando Samanta
l'afferrò per il braccio e la portò ai camerini.
- Tieni, provati questi- le passò un mucchio di vestiti e le
chiuse la tende blu col marchio del negozio.
Iniziò a spogliarsi e si sentì terribilmente in
imbarazzo, al solo pensiero che le sue compagne avrebbero potuto
vederla in biancheria intima; certo, il suo fisico non aveva nulla di
sbagliato, ma era sempre stata una ragazza pudica. Fortunatamente,
però, non indossava mutandine imbarazzanti con qualche
fumetto stampato sopra, ma aveva un semplice slip nero con contorno di
pizzo, mentre il reggiseno, che conteneva la sua terza, era a
balconcino coordinato agli slip.
Provò diversi abiti ma nessuno le dava quel pizzico di
coraggio per farla uscire da quel dananto cameria e mostrarsi al resto
delle ragazze. Fino a quando, uno color corallo attirò la
sua attenzione e lo indossò. Era semplice, con cordoni sulle
spalle da cui partiva il soffice tessuto e scivolava fino a
metà coscia, in una cascata mordida e aperta; era un abito
morbido, che metteva in risalto il decoltè con un'ampia
scollatura a V e una fascia sotto al petto.
Era... bellissimo.
Si guardò allo specchio e si trovò sorridente,
così trovò il coraggio di uscire. Le sue
compagne, non appena la videro, cacciarono urletti osceni, appludendo
delicatamente le mani come se avessero avuto paura di rompere le unghia.
- Allora...?- cercò di fare un girò su se stessa,
senza mostrarsi intimidita, come realmente era.
- E' meraviglioso, Lot!- Come... l'aveva chiamata?
- Come, scusa?-
- Char...lotte. Lot. Mica ti offendi se ti chiamo così?- le
ragazze dietro di lei risero e lei, di tutta risposta, scosse la testa.
- Perfetto, adesso provati queste scarpe-, un trampolo le si
parò davanti, con tutte le sue decine di striscette che
portava sulla pianta del piede. Se le misurò e si
sentì immediatamente stupida, mentre barcollava su quelle
armi da suicidio.
- Perfetta! Adesso andiamo a pagare. Uh, Lot, ma tu con chi vieni al
ballo?- le ragazzine, non appena udirono la domanda di Samanta,
scoppiarono a ridere. Charlotte non riusciva a spiegarsi il motivo di
quelle risate e scrollò le spalle, indifferente.
Evitò la risposta che, a quanto pare, non interessava
realmente le sue false accompagnatrici.
Entrò nell'enorme camerino e si guardò di nuovo
allo specchio, con tanto di scarpe al piede. Afferrò i suoi
capelli scuri e se li portò su un solo lato, sistemandoli
sull'altro. Ma il movimento rallentò, pian piano che lei
iniziava a rimuginare su quella domanda.
Era andata a fare shopping con delle ragazze che aveva sempre odiato.
Era andata a fare shopping a Oxford Street.
Era andata a fare shopping per il ballo di primavera.
Il ballo di primavera, quella a cui era stata invitata da quel ragazzo
in pullman qualche settimana prima e quello a cui Peter aveva risposto
sgarbatamente, facendola passare per una cretina.
...di nuovo.
Ma quindi, adesso, sarebbe andata a quel ballo?
E, se fosse andata, per chi
avrebbe indossato quel meraviglioso vestito?
*********************
Hooooooooooooola.
Comment ça va?
Piaciuto il capitolo? Di più o di meno di quello precedente?
loool
A quanto pare ha avuto successo ahahah siete rimaste tutte entusiaste
del nostro Peter dolcioso dolcioso. Ma, soprattutto, avete apprezzato
lo scontro tra Peter e Matthew uhuh.
Btw, questo è un capitolo, più o meno, di
passaggio. I ragazzuoli qui sono sempre più convinti che non
cambierà mai nulla tra di loro, nonostante... nonostante
nulla.
Beh, probabilmente hanno ragione looool.
Okkkkay. Fatemi sapere che ne pensate, anche con una super minuscola
recensione, per me vuol dire sempre tanto :)
Ci sentiamo al prossimo capitolo -in fase di lavorazione- o sul mio
profilo twitter
o sul gruppo facebook
Un bacione enorme e in bocca al lupo per scuola e lavoro *faccia
disperata*
Bacione gigantesco,
Mary. xx
"To get a dream of life again, a little vision of the sight at
the end. But
all the choirs in my head say no."
*
Mi scuso per il ritardo,
avrei dovuto postare ieri ma sono stata impegnata.
Vi auguro una buona lettura, buon divertimento e sì,
abbassate i fucili.
xx
Era seduta sulla panchina bianca a gambe incrociate, mentre godeva dei
poveri raggi di sole che le colpivano il viso. Un venticello leggere le
scompigliava i capelli lunghi, rendendo il tempo simile a quello
primaverile. Certo, la primavera stava davvero arrivando, ma a
Londra... beh, il sole era raro.
Il giardino dell'Università le era sempre piaciuto, era
tranquillo e semplice, pieno di verde e di pianticelle messe qui e
lì; un posto tranquillo in cui poter prendere un libro e
studiare in santa pace.
Charlotte era arrivata di corsa al posto, temendo di aver fatto
ritardo, ma di certo non era lei quella poco puntuale. Aspettava Peter
da venti minuti, col totale di trentacinque minuti di ritardo.
Probabilmente il suo esame era stato rimandato di qualche minuto, o di
mezz'ora e non aveva avuto il tempo di avvisarla.
Pazienza, avrebbe goduto del sole qualche minuto in più; in
fondo, si era sempre lamentata di essere pallida, no?
Aveva abbandonato le sue amichette lungo la strada, prendendo al volo
il primo pullman che conduceva al college. Aveva continuato a sentire
gli occhi indiscrete di quelle vipere puntati su di lei, oltre ai
continui bisbiglii e alle risatine alle sue spalle. Le avevano porso
domande troppo strane per i suoi gusti, ma forse era solo impressione.
Mh.
- Nana- alzò lo sguardo sobbalzando appena, mentre la figura
snella e davvero poco appariscente
del suo migliore amico avanzava.
- Come è andata, come è andata, come è
andata?- si alzò di scatto e gli corse incontro, impaziente
di sapere il risultato del suo esame. Lo aveva visto davvero
preoccupato stavolta e aveva passato tre interi giorni a ripetere come
un matto; aveva seriamente paura di averlo contagiato.
- Mh, sarebbe potuto andare meglio...- storse le labbra e
sentì il morale caderle sotto ai piedi.
- Mi disp- non finì nemmeno di parlare che le braccia di
Peter l'avvolsero e presero a farla ruotare, lontana mezzo metro da
terra.
- Ventinove! Ventinove!- e scoppiò a ridere. Lo
seguì a ruota, allacciando le braccia al suo collo.
- Lo sapevo, accidenti! Sei un geniaccio!- gli stampà un
bacio sulla guancia e, tra le risa, la posò a terra.
I loro corpi si sfiorarono per qualche secondo, aderendo completamente.
Charlotte sentì una scossa oltrepassarle il petto, mentre le
sue braccia tremanti rimenavano intorno al collo del ragazzo;
incollarono i loro sguardi, presi da una sorta di magnetismo naturale.
- Chaaaaarlotte, finalmente!- la voce di Steve interruppe quel momento strano, slacciando
completamente quegl'occhi verdi dai neri. La ragazza sentì
le guance andare a fuoco, come se Londra si fosse avvicinata in un
batter d'occhio all'equatore. Terra chiama Charlotte.
Terra chiama Charlotte.
-Ho
interrotto qualcosa, amichetti del cuore?- con una risatina la ragazza
tornò sulla Terra, mentre Peter sbuffava al suo fianco.
- Ciao Steve, non ci vediamo da-
- Tre settimane e due giorni, baby. Dobbiamo assolutamente rimediare!-
Steve era sempre stato un ragazzo esuberante e sì, anche
invadente, ma in modo del tutto spontaneo e divertente. Era l'ironia
fatta in persona e bisognava sempre stare attenti alle parole che si
usavano in sua presenza. Qualsiasi cosa sarebbe stata soggetta ad una
sua presa in giro. Peter aveva sempre pensato che fosse un
pò ritardato, ma Charlotte aveva la strana convinzione che
fosse davvero intelligente.
- Porti anche il conto? Mi sento quasi emozionata- sussurrò
lei, sorridendo.
- Tesoro- le poggiò una mano sulla spalla. - Ogni momento
con te è atteso. Non è vero, Peteruccio?-
- Steve, sai cosa vuol dire la parola 'castrazione'?- Charlotte si
coprì la bocca con la mano, per non scoppiare a ridere come
una matta, mentre la faccia di Steve diventava bianca come un fantasma.
- Su, amico mio. Stavo scherzando, mh? Charlottina, ci vediamo in giro.
Divertitevi!- scappò letteralmente, lasciandomi soli a
ridere come dei matti.
- Allora, che programmi abbiamo per stasera, dolcezza?- Peter prese
sotto braccetto la sua amica e iniziarono a camminare; Charlotte
afferrò al volo borsa e shopper, prima di addentrarsi nei
meandri oscuri della sua mente, alla ricerca disperata di un programma
serale.
Scoppiò quasi a ridere, mentre si girava a guardare il suo
migliore amico ed entrambi, con gl'occhi, si diedero la risposta.
Pizza.
Seduti sul vecchio e comodo divano a casa di Peter, mangiavano la loro
pizza quasi a volerla divorare. Non avevano trovato un film decente da
affittare o vedere, così adesso si ritrovavano a fare
zapping tra un morso di pizza ed un altro.
- Eddai, Peter!-
- No. Enne no-
- Daaaaai- Charlotte sbattè forte gli occhi e
sollevò il labbro inferiore, nel tentativo di incantare il
suo migliore amico con una 'faccia da cucciolo'.
- Charl, l'avrai vista minimo trenta volte!-
- Arriviamo a trentuno, su su- rubò il telecomando nero
dalle sue mani e andò indietro di qualche canale,
soffermandosi sull'ennesima puntata di Streghe; era sempre stato il suo
telefilm preferito, lo guardava da quando aveva tre anni e, ogni volta
che ne avreva l'occasione, lo riguardava. Okay, sì, le
conosceva a memoria e avrebbe quasi potuto recitare al posto degli
attori tanto che le conosceva bene, ma le piaceva sempre. E poi, in
questo caso, era un modo per non continuare a fare zapping all'infinito.
- Ommioddio, ma è la penultima puntata!- esclamò,
saltellando sul divano come una bambina di tre anni.
Peter scosse la testa rassegnato e diede l'ennesimo morso alla sua
quattro stagioni, annaffiandola con la sua cara amica chiamata birra.
- Non capisco come faccia a piacerti questo... questo coso!-
- Taci! Tu sei un ragazzo, non puoi capire certe cose. Sh, sh-
- Un ragazzo, gne gne. Sei una femminista nata, oh-
- Sempre e comunque, tesoro mio. Ti ricordo che il 90% degli studenti
eccellenti sono di sesso femminile, oltre al fatto che esperimenti
scentifici hanno dimostrato che noi riusciamo a pensare a
più di una cosa contemporaneamente, mentre il vostro
cervello da criceto si ferma al numero uno- soddisfatta del suo
discorso, addentò la pizza e tornò a posare gli
occhi sul televisore.
- Mh, mh-
- Ti ho zittito, confessa-
- Taci e guardati questa schifezza-
- Chiamalo di nuovo schifezza e t'ammazzo-
- Schifezza. Schi-fez-za. Esse ci acc. Ahi!- il gomito della ragazza
era finito accidentalmente
nel fianco di Peter, che, naturalmente, non
sentì nulla. - Come hai osato!- urlò e in meno di
due secondi posò la pizza sul tavolino e si sporse verso la
sua amica.
- Chiedi scusa-
- Mai- Charlotte sogghignava e si tratteneva dallo scoppiare a ridere.
- Scusa. Chiedi scusa-
- MAI- probabilment ele urla di Charlotte arrivarono al centro di
Londra, nel momento in cui le mani di Peter presero a farle il
solletico lungo i fianchi; si dimenava sotto di lui, gemendo tra le
risate e le lacrime. Sentiva la pizza girare nello stomaco, ma non
riuscva a parlare dalle risate.
- B... basta. Ti prego- un'altra crisi di ridarella la colse e Peter fu
costretto ad abbandonare i suoi fianchi, temendo un attacco cardiaco
della ragazza. Rideva come un'ossessa, nonostante adesso non la
toccasse più.
- Chiedi scusa-
- Ahahaha okay, okay. S... scusa-
- Brava ragazza- le scompigliò i capelli morì,
mentre lei sbuffava.
- Stronzo- e lo spinse sul divano, invertendo le posizioni. Adesso, era
lei a trovarsi a cavalcioni sul corpo del suo migliore amico. Le risate
le si bloccarono, non appena i brividi la ricoprirono; il sorriso furbo
di Peter scemò, mentre le sue mani rimenavo artigliate ai
fianchi della ragazza, stringendo la presa.
Posizione equivoca e ad alto livello di rischio ormoni.
- C.. charlotte- deglutì, spostandola verso il basso.
Mossa sbagliata, ragazzo.
I loro corpi andarono ad aderire maggiormente, mentre l'eccitazione in
entrambi cresceva; soprattutto sotto ai pantaloni di Peter. Controllati, Peter. E'
la tua migliore amica secollare, controllati. Eppure non riusciva a staccare gli occhi da quelli neri
della ragazza di fronte a lui; quella ragazza che era così
terribilmente cambiata negl'ultimi tempi, abbandonando definitivamente
i tratti dolci e rotondi di adolescente, dando il benvenuto a quel
tratti spigolosi e lineari dell'età adulta. Era diventata
una donna, ormai, eppure lui non riusciva ad accettarlo, non riusciva
ad immaginarsela con un paio di tacchi al piede e con un ragazzo al suo
fianco, tantomento in atteggiamente intimi con qualcuno. Al solo
pensiero, i nervi gli saltavano e una voglia di spaccare qualcosa a
pugni lo invadeva inconsapevolmente.
Già, inconsapevolmente. - Forse.. forse è meglio se mi sposto- le
guance di Charlotte si imporporarono e la sua gola si seccò,
piena di imbarazzo e di... eccitazione.
Si scostò, ma Peter l'afferrò e la
portò su di lui, di nuovo. I loro volti si trovarono a
sfiorarsi, tanto da poter sentire uno il fiato dell'altro sulle proprie
labbra. Ispirarono profondamente, mentre le loro mani sembravano
attirate da una qualche calamita. Inconsapevolmente si
sfiorarono appena e si avvicinavano lentamente, fino a quando la
suoneria di un cellulare prese a squillare.
Charlotte scattò all'inpiedi, precipitanndosi verso la sua
borsa e afferrando il suo cellulare che continuava a cantare 'Next to
me'.
- Pronto?- senza nemmeno controlalre il numero, premette il tasto verde. "Charlotte, amore",
un conato cercò di salire, ma lo ricacciò
giù immediatamente.
- Ciao, mamma- Peter alzò gli occhi di scatto, fissando
quelli già diventati scuri e freddi della sua amica. "Non ti sento da un
pò di giorni. Perchè non mi telefoni
più, tesoro?"
- Forse perchè lo faccio sempre io?- il suo corpo si era
subito irrigidito e sentiva tremolii sovrastare quella sensazione di
tranquillità che aveva assunto fino a qualche secondo prima. "Ma lo sai che io sono
sempre impegnata. Come va, la scuola?", le parole dure di
sua madre, mentre dava per scontato ogni suo voto, le tornarono alla
mente.
- Come sempre, no?- rispose acida. "Sono così
orgogliosa di te" Charlotte la immaginava mentre si
guardava le unghie leccate di rosso, fingendo quella sua voce adorabile.
- Certo. Perchè mai mi hai chiamata?- non se la beveva,
c'era qualcosa che voleva se l'aveva chiamata; di certo non era quello
di interessarsi a sua figlia lo scopo di quella telefonata. "Ma niente, volevo
sapere se andavi al ballo di fine anno e sai, ti serve un vestito degno
del tuo nome, cara. E se vuoi ti ci accompagno io e ti aiuto anche a
cercarti un rag"
- Mamma, non ho bisogno del tuo aiuto- quasi urlò.
Sobbalcò quando due mani le strinsero i fianchi da dietro,
nella speranza di calmarla anche solo un pò. "Ah, quindi hai
già fatto tutto? Peccato, avrei voluto aiutarti"
- Non mi serve il tuo aiuto, chiaro? Ho già fatto da sola,
sì, come faccio tutte le altre cose nella mia vita visto che
mia madre è troppo occupata col suo nuovo maritino, con lo
smalto rosso troppo chiaro e, soprattutto, a pensare a quel giorno ogni
due mesi in cui deve andare
da sua figlia. Ho già fatto tutto da sola, non
preoccuparti- sentiva le lacrime riempirle gli occhi. "Perchè tutto
quest'astio, Charlotte?" un sorriso amaro e una risata
ironica.
- Dov'eri cinque giorni fa quando la scuola ti ha chiamata per dirti
che non stavo bene? Dove? Se mi fosse successo, tu dove diavolo eri,
mamma? Non ho voglia di discutere con te, sono troppo occupata a fare
da sola, tu continua pure con la tua vita, queste telefonate ormai sono
inutili. Ah, e non preoccuparti di non avere nipoti, se non trovo un
ragazzo decente da sposare, passo alla seminazione artificiale!- "Char"
- Ciao-
Staccò la telefonata, lanciando il cellulare sul diavo e
scoppiando contemporaneamente a piangere. Subito le braccia di Peter
l'avvolsero e la strinsero al suo caldo petto, baciandole i capelli e
sfiorandole la schiena.
- Sh, sh-
Strinse tra i pugni la maglietta di Peter e affogò i
singhiozzi nel tessuto ormai bagnato.
- La odio, la odio- continuava a ripetere come un'ossessa, mentre il
suo corpo continuava a tremare.
- Charlotte, ti prego, calmati- Peter conosceva bene quel tremolio e
quelle lacrime e pregò con tutto se stesso che fosse solo un
errore. Odiava vederla così, odiava partecipare a queste
conversazioni che, ogni volta, la distruggevano. Ma, soprattutto,
odiava quella donna.
- Scricciolo, ti prego..- ma Charlotte non riusciva a calmarsi, non
riusciva a frenare quei singhiozzi che le scuotevano il petto e quelle
lacrime infinite; sentiva come uno squarcio nel petto, mentre tutte le
conversazioni con sua madre le apparivano davanti agl'occhi. Tutte le
volte che le aveva detto di odiarla, che se avesse potuto tornare
indietro nel tempo avrebbe abortito, che continuava a deluderla, che
sarebbe rimasta da sola per tutta la vita, che un giorno anche Peter
l'avrebbe abbandonata, che mai nessun ragazzo si sarebbe interessato a
lei.
Un ennesimo singhiozzo le scosse il petto.
Perchè, nonostante tutte queste parole, lei voleva bene a
sua madre e avrebbe dato anche la vita per lei; era sua madre,
accidenti, ed era normale volerle bene, era una cosa naturale ed
istintiva. Ma allora, perchè sua madre non provava le stesse
cose? Perchè non riceveva un vero abbraccio da lei da quelli
che ormai erano mesi? Perchè sua madre non le si avvicinava
e le chiedeva cosa c'era che non andava?
Peter adagiò il corpo scosso della sua migliore amica sul
divano, abbandonando la stretta e lasciando che continuasse a piangere
sul cuscino. Il respiro le diventava sempre più pesante,
sempre più affannato; poteva vederla mentre cercava di
prendere profonde boccate d'aria, senza riuscirci.
Si catapultò in cucina, aprendo quel maledetto mobiletto
conenente medicinali. Afferrò quella boccetta che
più odiava tra tutte e fece scivolare dieci gocce nel
bicchiere mezzo pieno d'acqua.
Col cuore a pezzi tornò in salotto e aiutò
Charlotte a buttare giù quei pochi sorsi,
dopodichè l'avvolse tra le sue braccia e se la strinse al
petto.
- Riposa, amore mio. Ci
sono io qui- finalmente il suo corpo si rilassò e i suoi
occhi pieni di lacrime si chiusero, sotto l'effetto dei calmanti che
tempo fa il medico aveva segnato alla ragazza. Passerà, continuava
a ripetersi Peter, senza nemmeno esserne convinto lui stesso.
Il giorno dopo nessun dei due parlò
dell'accaduto, oltre ai convenevoli come 'tutto bene' o 'stai meglio'.
Peter sapeva benissimo quanto la sua amica fosse suscettibile riguardo
ai medicinali e quanto odiasse prendere quelle maledette gocce; per lei
significava cedere e, accidenti!, quanto avrebbe voluto essere
abbastanza forte da farcela da sola.
Presero l'autobus e si fermarono allo stesso posto, attraversando il
sottopassaggio in modo più tranquillo rispetto agli altri
giorni. Charlotte odiava farlo da sola, ma quando lo faceva con Peter
si sentiva così tranquilla..
Era il suo migliore amico ed era un ragazzo, era normale sentirsi al
sicuro in sua presenza, no?
- Ti vengo a prendere all'uscita, se hai bisogno chiama, okay?-
- Okay- si sporse a baciargli la guancia e scappò via, sotto
lo sguardo acido delle sue compagne.
Charlotte sapeva benissimo di essere odiata da quelle tizie, invidiose
della sua situazione economica e del ragazzo che si trovava come
migliore amico. Naturalmente, però, nessuno credeva a questa
storia ma pensavano tutti che fossero dei semplici scopamici. Non aveva mai ascoltato i chiacchiericci che giravano su
di lei, non le interessavano, o meglio: aveva imparato a non
interessarsene. Aveva capito benissimo che persone come quelle non
erano contente se non parlavano alle spalle di qualcuno, quindi, tanto
valeva non pensarle minimamente.
Certo, era anche consapevole del fatto che tutte sbavavano dietro
Peter; era un bellissimo ragazzo, quelli da categoria A, come li
chiamavano quelle tizie. Alto, capelli neri, occhi verdi, fisico
asciutto e spalle muscolose ma non troppo.
Il tipico ragazzo perfetto, ecco.
- Eddai, gente! Non pensate davvero che lui possa essere amico a lei?
Lui è.. diamine, è da orgasmo solo a guardarlo,
mentre quella non se l'è scopata nemmeno il più
sfigato della scuola!- uno, due, tre. Tre offese in una sola frase.
Charlotte scosse la testa, facendo finta di nulla e continuò
a camminare verso la sua classe.
Si fottessero, sì.
Le sei ore passarono abbastanza velocemente, tra lezioni impegnative,
interrogazioni e metodi strategici per evitare i chiacchiericci di
quella mattina.
Quando uscì, si tolse la camicia e rimase solo in canotta;
finalmente un pò di caldo anche qui, alleluia!
- Ehi, Lot- roteò gli occhi istintivamente e si
girò verso la voce fastidiosa di Samanta.
- Ciao, Samanta. Cosa vuoi?- quel giorno non era dell'umore per farsi
prendere altamente per culo.
- Ho visto che stamattina sei venuta col tuo ragazzo-
- Non è il mio ragazzo, Samanta- il suo tono duro e freddo
avrebbe potuto dimostrare il contrario, ma la sua amica sembrava troppo
ritardata per capirlo.
- Uh, allora non ti dispiace se ci provo, vero?-
Mentre parlavano avevano oltrepassato il portone e sceso quelle sette
scale all'ingresso della scuola; ora si trovavano nella piazzetta,
sotto al sole caldo di quel giorno.
- Cioè, quindi, mi stai chiedendo il permesso?- era nervosa
quel giorno, maledettamente nervosa col mondo intero a causa di quella
stronza di sua madre e di quelle gocce del cazzo, e adesso, questa poco
di buono veniva a prenderla per il culo? Ennò.
- Più che altro mi accertavo del vostro grado di... amicizia-
- E sentiamo, secondo te a che grado siamo arrivati?- alzò
un sopracciglio, improvvisamente ironica.
- Beh, il ragazzo... è un gran figo e tu... sei tu. Penso
che lui ti usi solo per accompagnarti qui e "prendere appuntamenti" per
le sue notti insonni. Non c'è altra spiegazione, scusami
tesoro- le prudevano le mani, le prudevano terribilmente.
- Cosa cazzo ne sai della mia vita, eh? Di quello che
faccio o non faccio con Peter, COSA? Non puoi sapere nulla,
nè di quel che faccio io, nè di quel che fa lui.
NULLA- due mani l'afferrarono per le braccia e la bloccarono. Si
girò di scattò, pronta ad urlare e imprecare
contro costei o costui, ma si ritrovò di fronte gli occhi
verdi del suo migliore amico.
- Che succede qui?- Peter era confuso, non aveva mai visto la sua amica
agitarsi e rispondere in questo modo alle sue tanto amate compagne.
- La tua amichetta qui si scalda solo perchè
volevo chiederti un appuntamente. Sicuri di essere solo amici?-
cercò di liberarsi dalle braccia di Peter, ma lui la tenne
ben ferma contro al suo petto.
- Saranno pure affari nostri, ti pare?- fu la risposta del ragazzo,
improvvisamente a disagio.
- Non ti scaldare, Lot. Di certo il tuo amichetto non ha bisogno del
tuo permesso per correre da... noi- Samanta scappò dalla sua
vista, prima che Charlotte potesse prenderla per i capelli.
Porca troia. Le aveva praticamente dato della vergine sfigata che non
approfittava di quel gran figo che si trovava come migliore amico e,
tra l'altro, aveva sottolineato più volte i rapporti poco
signorili che quello aveva con le ragazze.
Evvaffanculo!
Strafregandosene degl'occhi puntati su di loro, girò le
spalle e se ne andò, scendendo di corsa il sottopassaggio.
Subito Peter le fu dietro e l'afferrò per le braccia,
bloccandola contro al suo petto.
- Charl, ferma. Calmati, dai; non ha fatto nulla di che.. non
c'è bisogno di scaldarsi in questo modo- e questo la fece
irritare ancora di più.
- Stammi a sentire, Peter. Sei liberissimo di scoparti chi cazzo ti
pare ogni notte, ma non loro!
Scopati loro e puoi anche dimenticarti di me,
perchè io anche la figura della cogliona non la voglio fare,
chiaro?- urlò fuori di sè, lasciando Peter
interdetto contro al muro.
Charlotte corse via e fermò giusto in tempo l'autobus; si
gettò sui sedili posteriori e infilò gli
auricolari nelle orecchie.
Così non andava, assolutamente.
Fanculo!
****************** Giorno, bellezze! Come
procede? E' arrivato il freddo da voi? Io lo sto aspettando a braccia
aperte D:
Allora, parliamo di cose importanti e non del meteo, per quello
c'è già Giuliacci(?) lol.
Capitolo: vi è piaciuto? Che ve ne pare?
Personalmente, amo Steve ahahahahaha sul serio, mi faccio sempre un
casino di risate con lui e, ora che l'ho scoperto, non ho
più intenzione di lasciarlo andare uù
Peter è l'ammore mio, amo questo ragazzo, vi prego,
aiutatemi a trovarne uno così e vi regalo una statua della
Libertà in oro.
Per quanto riguarda la madre di Charlotte... lascio a voi le parole.
Per la fine del capitolo.... abbassate i fucili se volete leggere la
continuazione *approfitta della sua posizione* lol
Il prossimo capitolo è già in fase di stesura e
sarà molto... MOLTO interessante. Fidatevi, mi sto stupendo
di me stessa della piega che la storia sta prendendo. E
stupirò anche voi buahahah
Uh, ora dimenticavo di dire una cosa importante. Qualcuno
mi ha detto che la storia potrebbe sembrare scontata o che di come
queste ce ne sono molte. Sì, è vero, di storie
sui migliori amici, triangoli amorosi, amore, sesso e cose varie, ce ne
sono in quantità illimitate, ma sono convinta che ogni
storia sia diversa.
La mia storia è nata da... una sorta di malinconia. Questo
non vuol dire che questa sia una storia autobiografica eh,
assolutamente, ma ci sono andata molto vicino. Quindi,
qualche battuta,
qualche discorso o qualche scena sarà ispirata a
ciò che ho vissuto e visto io, quindi copiare è
la mia ultima prerogativa. So benissimo che rimane comunque un
argomento su cui ci ricamano diverse autrici, ma non posso farne a
meno, la storia mi chiama e io non posso non risponderle. Vi lascio, come sempre, i link del mio gruppo
facebook e del mio profilo twitter.
Grazie ancora, a tutte voi :')
Un bacione enorme,
Mary xx
Maria Felicia
Benevento Efp
At
first sight I left the energy of sun rays,
I saw the life inside your eyes.
So shine bright,
tonight, you and I,
we’re like beautiful
diamonds in the sky.
Eye to eye, so alive,
we're like beautiful
diamonds in the sky.
*
Scusate davvero tanto il
ritardo, spero di farmi perdonare.
Buona lettura!
Continuava a guardarsi
e riguardarsi allo specchio, trovando ad ogni occhiata un difetto.
Prima i capelli, poi un punto nero, la piega del vestito, la guancia
pallida. Fortunatamente non aveva ancora indossato quei trampoli che si
ritrovava come scarpe, o a fare avanti e indietro si sarebbe
già trovata con due caviglie gonfie da far concorrenza ad
una mongolfiera.
Era già in ritardo di venti minuti, ma tanto si sapeva che a
questo genere di cose mai tutti erano puntuali, tutt'altro. Quindi se
l'era presa con comodità mentre acconciava i capelli in
soffici boccoli e sfumava la matita nera brillantinata sugli occhi;
aveva messo appena un pò di fard sulle guance pallide e un
pò di rossetto rosso, tanto per darsi colore e richiamare il
color corallo del suo vestito corto.
Eppure... si piaceva.
Le piaceva come il vestito aderiva ai suoi fianchi e come le gambe
fossero lunghe e slanciate grazie ai tacchi, nonostante fosse un metro
e sessanta d'altezza; le piaceva come i capelli contornavano il suo
volto e come il nero dei suoi occhi fosse accentuato dal trucco
particolare.
Era... carina.
E sola.
Aveva deciso di andare a quella maledetta festa di primavera solo per
non dare soddisfazione a quelle galline delle sue amiche, che avrebbero
ricominciato a prenderla in giro a causa della sua assenza. Certo, non
che presentarsi da sola fosse una gran bella figura, ma almeno avrebbe
potuto sfoggiare quella Charlotte che nessuno era abituato a vedere.
E sapeva anche che al ballo ci sarebbe stato Matthew, e l'idea di
passare anche solo dieci minuti in sua compagnia non era male, in
effetti. Effettivamente, si era aspettata un invito ufficiale da parte
del ragazzo, ma poteva ben capirlo, soprattutto dopo quella scenata
sulla piazza del liceo a causa di Peter.
Peter...
Non lo sentiva dal giorno precedente, ossia dalla discussione, dopo che
lei aveva urlato ed era scappata nel pullman senza nemmeno dargli la
possibilità di fermarla. Era ancora arrabbiata, senza
saperne esattamente il motivo; era scoppiata di rabbia senza sapere il
perchè, mentre Samanta continuava a parlare di Peter come un
ragazzo che continuava a prenderla per culo mascherandosi dal
bell'amico.
E... sì, aveva provato un certo fastidio, mentre le ragazze
lo guardavano con la bava alla bocca e mentre lui se ne usciva con quel
'non c'è bisogno di alterarsi'.
Scosse la testa e si portò un boccolo dietro alla spalla.
Era ora di andare: afferrò la borsetta e spense la luce,
afferrando le chiavi dell'auto con cui sarebbe andata; si chiuse la
porta d'ingresso alle spalle, ma ad attenderla non c'era la sua
macchina da essere guidata, ma un'altra, sportiva, lucida, in moto.
Ma, soprattutto, c'era Matthew al posto guida.
Il sorriso ebete che spuntò sul suo volto fu spontaneo e il
suo cuore fu avvolto da un calore confortante e pieno di speranze. A
passo deciso si avvicinò all'auto e sobbalzò
quando vide lo smoking blu del suo pseudo-amico affiancarla e aprirle
la portiera.
"So di non averti invitata ufficialmente, ma pensavo ti servisse un
passaggio" era bellissimo; il blu gli stava d'incanto e si intonava
perfettamente con i suoi capelli biondi e gli occhi chiari.
"Stai molto bene, Matt" confessò Charlotte, mentre si
accomodava in auto. Il ragazzo si sentì arrossire e
balbettò un 'grazie' emozionato, senza rendersi conto di non
aver nemmeno ricambiato il complimento. Eppure continuava a guardarla,
a soffermarsi sulle sue gambe lunghe e pallide, ricoperte da una
leggera calza, sul suo viso così ben curato, sui suoi
capelli neri e sulle labbra rosse. Era bellissima... e lui si sentiva
un perfetto idiota.
Ma, soprattutto, si sentiva in colpa.
Decise di non soffermarsi troppo su quei pensieri negativi e umilianti,
ma di concentrarsi sulla serata e di godersela con quella ragazza che
cominciava a piacergli davvero.
Il parcheggio era pieno di auto sportive ed eleganti;
molto probabilmente tutti si erano fatti prestare l'auto per
quell'occasione da qualcuno, nella speranza di fare maggiormente bella
figura. Certo, si sapeva benissimo che gli alunni di quell'istituto
fossero ben combinati dal punto di vista economico, ma alcuni genitori
-i più intelligenti- non ci tenevano a dare le loro nuove e
lucide auto ai loro figli neo patentati, rischiando di trovarsele
ammaccate o graffiate il giorno dopo.
Charlotte si guardò intorno e sospirò di sollievo
mentre guardava i vestiti eleganti delle ragazze e delle sue compagne;
aveva temuto di essersi vestita troppo elegantemente, e invece aveva
fatto bene. C'erano vestiti di ogni genere, eppure tutti di uno stile
classico ed elegante.
Matthew le porse il braccio e lei lo sfferrò ben volentieri,
entrando in quel locale da cui provenivano luci di mille colori e
musica a tutto volume. Sentì immediatamente puzza di alcool
e fumo, mentre svariati corpi si muovevano sotto i riflettori a ritmo
di musica. Si sentivano grida, schiamazzi, risa, vocioni.
La solita serata da discoteca.
Non era mai stata a serate del genere; era sempre stata la solita
ragazza che preferiva rimanere a casa a leggere un buon libro. Solo
qualche festa di compleanno e, al massimo, qualcuna quando stava con
Mark e la trascinava a destra e a sinistra; più che altro,
in quel caso, aveva frequentato bar in cui il suo ex ragazzo ordinava
birre a morire.
Da lontano vide il gruppetto di ragazze che conosceva e, non appena la
notarono, si sbilanciarono per salutarla.
"Vieni con noi, Lot!", le urlò all'orecchio Samanta,
sorridendo e sfoggiando il suo vestito paiettato sotto le luci
colorate.
Si sentiva ancora timorosa e parecchio arrabbiata con quella ragazza
che era stata motivo di discussione per lei e Peter. Eppure, per lei,
sembrava una storia già vecchia; beh, da una come lei cosa
pretendeva?
"Salve ragazze", sorrise e salutò con la mano, non sicura di
essere udita a causa del frastuono che c'era nel locale. Si
girò, resasi conto di aver perso il braccio di Matthew nel
momento in cui Samanta l'aveva tirata. Fortunatamente era ancora
lì, a qualche metro di distanza, mentre parlava e rideva con
un gruppo di ragazzi.
"Sei uno... schianto! E noi che ti facevamo santarellina. Su, andiamo a
ballare"
"Ma veram.." cercò di rifiutare ma la tirarono per il
braccio e le sfilarono il cappotto, gettandolo sul divanetto accanto
all'attaccapanni.
"Ti ci vuole alcool, ragazza!"
"Non lo reggo!" urlò, ma probabilmente non la sentirono,
perchè le lasciarono tra le mani un bicchierone pieno di
liquido denso e trasparente.
Massì, una volta ogni tanto non fa male a nessuno!, penso
sorridendo.
Buttò giù e sentì subito la gola
bruciare e riscaldarsi; l'effetto benestante fu immediato, tanto che
iniziò a sentire la testa leggera così come le
gambe. Finì di scolare il bicchiere e lo poggiò
sul bancone, per poi buttarsi in pista insieme alle sue amiche.
Non le era mai successo di lasciarsi andare così, di mettere
in mostra quel che era la vera Charlotte, in realtà. Sempre
timida e impacciata, a differenza di quella che sera che si muoveva a
ritmo della musica e muoveva i fianchi sensualmente; e non stava
imitando le sue compagne che si sbattevano e strusciavano sul primo
ragazzo che passava, ma era un gesto istintivo e naturale. Come se la
Charlotte da notte si fosse improvvisamente risvegliata e si fosse
finalmente ritrovata.
Mentre, dall'altro lato del locale, Matthew la guardava incantato e
sì, anche leggermente stupito.
Chi se lo sarebbe mai aspettato dall'ingenua e dolce Charlotte?
Sorrideva, mentre la guardava; ma sentiva anche il cuore battere
all'impazzata mentre beveva a sorsi il suo Cosmopolitan e ripensava
alle parole dei suoi compagni, soddisfatti e divertiti quando lo
avevano visto arrivare con lei. Si erano congratulati, eppure non era
finita lì. Erano rimasti sorpresi della brevità
dei tempi, ma...
Decise di raggiungerla, gettando il bicchiere di plastica duro
nell'angolo e immergendosi in quella massa calda composta da tanti
corpi in movimento. Si spaziò tra le persone, evitando
ragazze che gli si buttavano addosso e cercavano di toccarlo, ormai
fatte e ubriache. E la raggiunse, poggiando docilmente le sue mani sui
suoi fianchi e girandola verso di lei.
Non appena lo vide le si arcarono le labbra; la ragazza
poggiò le braccia sulle spalle di Matthew e prese a ballare
in sincrono con lui.
Sembravano perfetti per stare insieme, la coppia perfetta e senza
pensieri, che si divertivano. Forse erano invidiati da coppie che si
erano divise e di cui i componenti erano chiusi in bagno con
qualcun'altro, consumando un tradimento, forse lei era invidiata dalle
ragazze a cui piaceva il biondo.
E, forse,
lui era odiato da qualcuno. Il bicchiere di quello strano liquido trasparente che
piaceva davvero tanto a Charlotte, fu solo il primo di tanti altri.
Matthew glie ne aveva offerto uno, le sue amiche che cercavano di farla
impazzire altri, ragazzi in cerca di conquiste altri ancora.
E rideva, mentre ballava con le altre ragazze.
Rideva, mentre cantava a squarcia gola una canzone che sapeva a memoria.
Rideva, mentre ballava con Matthew, mentre le sue mani erano dietro
alla sua nuca e sentiva quelle del ragazzo sui suoi fianchi. Occhi
negli occhi, mentre il loro fiato sembrava mescolarsi, mentre i loro
nasi si sfioravano, mentre stava per baciarla.
"Cosa diamine stai facendo?", il tono serio e arrabbiato
coprì il volume alto della musica nelle sue orecchie, mentre
le labbra di Matthew erano a pochi millimetri dalle sue.
Una mano le afferrò il polso e la fece girare, aumentando la
nausea che le tormentava il povero stomaco pieno di alcool.
Probabilmente era davvero ubriaca, forse stava solo sognando, forse
erano allucinazioni. Eppure il volto corrucciato e arrabbiato di Peter
sembrava essere troppo reale per poter essere il soggetto di un suo
sogno o di una sua allucinazione.
"Cosa..? SEI UBRIACA! SEI FORSE IMPAZZITA, CHARLOTTE?!" le urla
coprivano le parole di quella canzone che a lei tanto piaceva, eppure
Charlotte scoppiò a ridere.
Le sembrava così buffo mentre urlava arrabbiato, mentre il
suo volto nero diventava ancora più stordito a guardarla in
quelle condizioni, mentre le sue dita gli si chiudevano a pugno serrato.
"Ancora tu? Ma stai sempre in mezzo?!"
"Fatti gli affari tuoi, moccioso" Peter non guardava nemmeno Matthew,
ma teneva gli occhi puntati sul viso di Charlotte, in preda alle risa.
"Adesso tu vieni con me e ce ne andiamo" la tirò per un
braccio, ma Matthew fu più veloce e tirò il corpo
della ragazza verso di lui, stringendola forte al suo fianco.
Come a proteggerla, senza rendersi conto che quello da cui doveva
proteggerla era da lui stesso.
"Charlotte non va da nessuna parte"
"E tu chi saresti per decidere al suo posto?"
"Il ragazzo con cui è andata al ballo. Il suo
accompagnatore" il sorriso soddisfatto di Matthew lo irritò
maggiormente.
"Un accompagnatore che l'ha fatta bere. Sai che è astemia?
No, quindi lascia decidere me se sia il caso che torni a casa o no" il
biondo rimase zitto, senza riuscire a trovare le parole giuste per
risponderlo. Non si era affatto comportato da gentiluomo, aveva
lasciato che la sua ragazza bevesse senza controllo, senza nemmeno
chiederle se avesse retto o no; aveva solo pensato a divertirsi, come,
in realtà, era il piano..
"Mi fai male!" urlò, squittendo, Charlotte; scosse il
braccio e cercò di staccarsi dalla presa ferrea del suo
migliore amico. "E lasciami!", continuò a lamentarsi,
alzando gli occhi al cielo.
"Non urlare o ti tappo la bocca. STA ZITTA, CHARLOTTE. STA-ZITTA"
"Mi sono rotta di stare zitta! Devo sempre fare quel che mi dici tu,
quel che mi dicono le mie amiche, quel che mi dicono mio padre e mia
madre. LASCIATEMI VIVERE"
"Sei ubriaca, non sai quel che dici!" mentre discutevano, si erano
fermati sul lato ovest della discoteca, illuminato da un lampione mezzo
filminato in mezzo alla strada; non c'era anima viva per la strada, al
massimo qualche compagnia di ragazzi chiusi in macchina, ma ben lontani
da dove erano loro.
"Non sono ubriaca!"
"Sì, che lo sei"
"TI DICO DI NO, PUOI CREDERMI? So come mi chiamo, quando è
il mio compleanno e il tuo, che ci conosciamo da sei anni, che ti scopi
le mie amiche e che non mi ti sei fatto vivo da ieri!" il ragazzo
rimase zitto, mentre rimuginava sulle parole della sua amica. Il suo
orgoglio aveva peggiorato le parole infuocate del giorno precedente;
sapeva benissimo quanto la sua amica fosse fragile e sensibile,
eppure... eppure non aveva attivato il cervello mentre parlava, mentre
gli occhi neri della sua nana diventavano ancora più scuri e
sempre più piccoli, ma, soprattutto, più lucidi.
Solo dopo si era reso conto di averla ferita ma... l'orgoglio distrugge
tutto.
"Mi dispiace per ieri..." mormorò, abbassando lo sguardo.
"Dispiace più a me! Pensavo mi conoscessi e, invece, mi
sbagliavo!" gli si era avvicinato, puntandogli il dito contro al petto.
Le sue parole erano taglienti e il suo tono duro e deciso.
"Charlotte..."
"Sì, è questo il mio nome. Che bello!, lo ricordi
ancora. E sentiamo, te lo ricordi anche mentre ti scopi le mie
compagne?" ennesima pugnalata al petto, sempre più profonda,
con una lama sempre più affilata, intrisa di veleno nero e
di lacrime insanguinate. Sentiva la ferita al petto ardere, bruciare
talmente tanto da piangere.
"Lo sai che per me, tu e loro siete due cose completamente separate"
"E tu sai benissimo quanto io venga presa per il culo da quelle
lì! Che razza di amico sei? Da quanto tempo mi conosci per
non capire ancora quanto io soffra per loro e per tutto il resto?" il
pugno stretto della ragazza sembrava pesare quintali contro il petto di
Peter; era come se gli stesse trasmettendo tutto il dolore, con un solo
gesto, con un solo contatto. Come se gli stesse urlando tutto il dolore
che aveva dentro o come, forse, stava già facendo.
Allungò una mano, mentre il cuore cadeva in mille pezzi
insieme alle lacrime calde della sua migliore amica. Tentò
di sfiorarle il volto, ma uno schiaffo allontanò la sua
mano; e quel gesto gli fece ancora più male, gli
recò ancora più dolore, affondò
maggiormente la lama.
"E io, ogni volta, come la stupida, ci sto male. E poi ti perdono, ti
perdono e, ogni volta, mi affeziono sempre di più a te"
"Sai quanto io tenga a te... Sei la più importante, Charl,
lo sai. Loro non sono nulla, tu sei tutto"
"E allora perchè... perchè non basto? Mi dici
sempre che sono bella, ma non ti basta! Che sono tutto, ma non ti
basta!"
"Cosa stai dicendo Charl? Tu mi basti, sempre.."
"No! Tu non mi vuoi!" le afferrò le spalle e le strinse
nella sua presa ferrea, temendo per qualche secondo di poterla romperla.
"Ti voglio!"
"Dimostramelo allora!"
"Dimmi cosa fare e lo farò, ti dimostrerò che ti
voglio, che ci tengo a te"
le sue piccole mani si chiusero a calice sulle guance del ragazzo,
stringendo la presa e avvicinando i loro volti.
"Fa l'amore con me" e lo baciò.
****************************
Ehm... sono tornata *sorriso ingenuo e occhi dolci*
Scusate per questo ritardo.... spaventoso, ma l'ispirazione era rimasta
ancora in estate, a prendere il sole su un lettino in spiaggia.
Comprendetela, è stata dura anche per lei tornare alle
attività quotidiane e asfissianti lol. Certo, anche durante
Natale è rimasta a far festa, ma è tornata,
questo è l'importante ahahah.
La smetto di delirare, okay, okay.
...Non commento il capitolo perchè non voglio dare indizi e
voglio che SIATE VOI ad immaginare, a capire piano piano, ad
avvicinarvi.
Ma... questo me lo dovete dire: COSA SUCCEDERA' NEL PROSSIMO CAPITOLO?
Buahahahahahahah.
Non sono una santa, ma non sono neanche stronza.
Quindi... a voi le previsioni u.u
Ah, quasi dimenticavo! Vorrei dedicare questo capitolo alla mia dolce
comparella bella Sabrina, per tutti gli scleri notturni, per
preoccuparsi per me, per sgridarmi quando deve, per fidarsi di me; ma,
anche, perchè rileggendo questo capitolo ho pensato a lei
e... lei sa perchè. love you <3
Smetto di parlare, non prima però di aver pubblicizzato la
MIA NUOVA STORIA (soprattutto per chi ama leggere nel fandom Twilight).
Potete trovarla QUI.
Inoltre, se volete, possiamo fare due chiacchiere su TWITTER o
sul mio GRUPPO
facebook. E, se siete troppo timide per lasciare una
recensione qui, potete anche
farlo su ASK ,
tanto è anonimo u.u
Ci sentiamo
presto, promesso! Un bacione enorme, Mary xx
Leggete
le note in basso, mi raccomando.
Buona lettura <3
Il torpore caldo delle coperte l'accompagnò tutta la notte,
così come l'accompagnò al risveglio. Si
stiracchiò a occhi chiusi e sbadigliò un paio di
volte, mentre sorrideva nel sonno senza saperne il motivo. Sentiva le
tempie pulsare leggermente, ma nulla di insopportabile o frustante. Infilò
la testa sotto alle lenzuola per respirare l'aria calda che emanavano,
rabbrividendo per quella sensazione di pace estesa in tutto il corpo. Si
senitiva come in... extasy. Come
se fosse il giorno più felice della sua vita, come se dalla
finestra spiccassero numerosi raggi di sole, anzicchè essere
bagnati dalla pioggia incessante di quel tumultuoso temporale.
Sorrideva senza motivo, mentre allungava le mani al suo lato. Finchè...
finchè non trovò il vuoto. Sobbalzò
e cacciò la testa fuori dalle coperte, girandosi a destra e
a sinistra alla ricerca di lui. Le tende erano calate e la luce
offuscata che penetrava dalle nuvole di Londra era pochissima, tanto
che fu costretta ad allungare la mano e ad accendere la lampada sul suo
comodino. Si rese conto, guardando la radio sveglia, che non era presto
come lei immaginava; e sì, nemmeno tardi. Ma era tardissimo:
le tre del pomeriggio. Rimase a bocca aperta per qualche secondo,
incapace di come fosse potuta accadere una cosa del genere. Lei non
dormiva mai, solo in caso di malattia passava le intere giornate in
coma sotto alle coperte o, qualche domenica, che dichiarava la fine di
una settimana fin troppo pesante, si svegliava alle dieci del mattino.
Ma mai così tardi. Sollevò
le coperte, arrossendo mentre osservava le sue gambe nude; si morse il
labbro e sorrise, chiudendo per un attimo gli occhi e tornando alla
sera precedente.
Il
bacio prese vita inconsapevolmente, senza che nessuno dei due si
rendesse realmente conto di quel che stavano facendo. Erano troppo
occupati a gustare quel sapore salato e dolce dell'altro, quel profumo
soave della pelle e quella morbidezza sulle labbra.
Le mani di Charlotte erano ingrovigliate tra i capelli del ragazzo,
mentre lui stringeva forte la presa sui suoi fianchi. Per un secondo,
ma solo un secondo, preso da un attimo di lucidità, temette
di scoprire troppo le gambe della ragazza mentre le sollevava il
vestito.
Fermò quel bacio, mentre la moretta tremeva, ma non sapeva
se di freddo, se di paura, se di ansia.
"Non.. non ti fermare, Peter. Non farlo" i suoi occhi lucidi, molto
probabilmente, colpirono quelli verdi del ragazzo; le
afferrò il volto in una presa ferrea e l'avvicinò
nuovamente alle sue labbra.
Mordendola, accarezzandola, leccandola.
"Questo è un sì?" il suo mormorio si
udì appena, interrotto dai baci e dai sospiri pesanti. Il
mugolio di Peter sembrava essere una risposta affermativa, ma nella sua
testa c'era tutt'altra intenzione.
Continuò a baciarla, a sfiorarla, a toccarle; ad aspirare il
suo odore come se fosse una droga, ad accarezzare la sua schiena
curvata e a rabbrividire per il calore delle sue labbra.
Assaporò ogni singolo attimo con lei, ogni singola
particella di Charlotte a sua completa disposizione. Era come avere una
fonte d'acqua a sua completa disposizione dopo aver scalato la cima
più ripida. Era come trovarsi tra il soffice cotone bianco
delle nuvole e toccare letteralmente il cielo con un dito.
Con un solo bacio, pensò sorridendo ironicamente sulle
labbra di lei.
"Perchè ridi?" scosse la testa e continuò a
baciarla, avanzando di piccoli passi verso il parcheggio. Molto
probabilmente Charlotte non se ne stava nemmeno rendendo conto, troppo
occupata a fare quel che stava facendo Peter, ossia godere di ogni
singolo attimo.
Sobbalzò quando toccò col basso schiena contro
allo sportello di una macchina, ma subito le labbra di Peter furono di
nuovo sulle sue per rassicurarla.
Si ritròvò sul sedile del passeggero, mentre
quello che fino a poco fa era il suo migliore amico guidava diretto a
casa sua.
L'aria era piena dei loro respiri affannati, di
un'elettricità talmente palpabile da creare onde magnetiche
tra i loro corpo distanti di pochi centimetri; erano come due calamite
che si cercavano, si attiravano, ma erano trattenute da quel briciolo
di lucidità che ancora regnava nella parte più
profonda di esse.
Arrivare nel garage di casa sua fu come un soffio di vento caldo, che
spazzò via quella minuscola briciola, lasciando finalmente
che le calamite si attirassero e si scontrassero. Le loro labbra si
divoravano, le loro mani si cercavano, i loro cuori battevano impazziti
alla ricerca di trovare il sincrono con l'altro.
Ci misero un paio di secondi per scendere dall'auto e riunirsi, mentre
ingordi salivano le scale. Le mani di Peter erano praticamente
incollate ai fianchi di Charlotte, mentre il suo vestito saliva sempre
più su e il ragazzo fremeva dalla voglia di sfilarglielo
completamente.
I loro gesti eranno sempre gli stessi, i respiri erano sempre
più accellerati e i cuori... i cuori sembravano volare come
uccelli in piena primavera, tornati dal loro viaggio e felici di
rivedere casa. Perchè era come tornare a casa, entrare dalla
porta e vedere quel che ti appartiene, le cose con cui sei cresciuto,
il profumo di buono a cui sei abituato, la comodità e la
normalità che appartengono a quel luogo, la
familiarità di quei colori, la felicità che
quelle mura ti trasmettono.
Così si sentiva Peter mentre sfiorava e guardava la sua
Charlotte, riconosceva in lei gli anni più belli della sua
vita, i momenti più intensi, i colori più vivi
nei suoi occhi scusi e accesi di desiderio, il profumo di buono della
sua pelle candida, l'aria calda che fuoriusciva dalle sue labbra, il
sapore dolce delle sue labbra. Come se non ci fosse cosa più
normale al mondo, come se quella fosse il gesto più
quotidiano e più totale di tutti.
"Stai tremando" sussurrò, mentre poggiava il vestito della
sua ragazza ai piedi del letto. Dolcemente, nonostante la voglia
irrefrenabile di averla, di toccarla, di assaporarla.
"Sei tu" confessò lei, arrossendo. La luce sul comodino era
accesa e lui potè notare quelle chiazze rosee sulle sua
guance e non potè che sentirsi ancora più a casa.
"Dimmi che sei mia, Charlotte. Dimmelo, ti prego. Solo per stanotte,
dimmelo." si erano fermati entrambi, occhi negl'occhi, cuore contro
cuore.
Lei sollevò la mano e gli carezzò teneramente la
guancia col dorso e sorrise.
"Sono tua Peter, stanotte, ieri, domani" la mano salì e
afferrò i capelli neri, stringendoli in una morsa. "E tu,
Peter? Sei mio, almeno stanotte?"
Peter sentì il cuore pesante per qualche secondo, in colpa
per quello che era successo nei giorni precedenti. E si
stupì di quanto stupido fosse stato, ma soprattutto di
quanto fosse stato cieco, stupido, ignorante, presuntuoso.
Lui era sempre stato suo, dal momento in cui era corso la prima volta
da lei, abbandonando tutto e tutti, per proteggerla e sorreggerla. Non
obbligatoriamente come ragazza, ma come amica. Era la sua migliore
amica e gli apparteneva, si completavano, indistintamente dal come e
dal quando.
"Sono tuo, mia piccola Charlotte"
Si è sempre parlato del dolore della prima volta, degli
sbagli che si commettono, del ragazzo che si pensava fosse quello
giusto ma che poi in realtà non lo è, della
paura, del pentimento, dello sforzo, del momento sbagliato. Ma
Charlotte sapeva, era cosciente, che non se ne sarebbe mai pentita.
Era quello il momento che, in fondo, dentro di sè, aveva
sempre atteso.
Era lui il ragazzo giusto che aveva aspettato per questi anni.
Era quella la notte perfetta per unirsi per la prima volta ad una
persona.
E non le interessava che ci fosse amore o meno, il momento era perfetto
e sapeva che quella persona non le avrebbe mai fatto del male.
Sapeva che, probabilmente, sarebbe stato solo per una notte, ma non le
interessava. Voleva godere appieno di tutto, di ogni singolo granello
di polvere che ruotava luminoso intorno a loro, di ogni singolo gemito,
respiro, battito, rumore, odore.
Di tutto, completamente.
Perchè non si può vivere il presente col timore
del futuro, perchè sarebbe sempre sbagliato. Sarebbe
sbagliato anche il gesto più razionale, calcolato,
programmato.
Le coprì il volto di baci, le sfiorò i capelli,
la preparò dolcemente a quel momento che, entrambi sapevano,
aveva atteso con tanta trepidazione.
"Sei tu, Charlotte? Sei sicura?" allungò la testa e premette
le sue labbra contro di lui, schiacciando le mani alla base della sua
schiena. E lui capì che quello era il momento perfetto, era
un sì urlato in silenzio, più rumoroso di una
qualsiasi parola, di un qualsiasi cenno.
E furono un unica cosa, un unico corpo. Fermi e immobili per pochissimi
secondi, per assaporare quel momento, quel gesto così intimo
da farli rabbrividire, da farli piangere quasi.
"E' tutto bene?" lei si morse le labbra e annuì. "Guardami,
ti prego" insistette lui, mentre le afferrava il volto e
incastrò i loro sguardi.
"Sto bene, te lo giuro. Continua Peter, ti prego..."
Il tempo si era come fermato, mentre loro continuavano ad amarsi, a
baciarsi, sussurrarsi, assaporarsi. Non si stancavano mai, non
perdevano mai il respiro, i loro cuori continuavano sempre a battere.
Come su un altro pianeta, come isolati nella loro perfetta
imperfezione, nel loro momento di gioia maggiore, di godimento
più puro, di oblio assoluto.
Il nome di uno sulle labbra dell'altro, e tutto questo in sincrono, in
contemporanea ai battiti frenetici di quel muscolo così
rumoroso in quel momento.
In quel momento di pace assoluta, di perfezione assurda.
Senza tempo, senza misure, senza assolutamente nulla.
Ma tutto... tutto all'improvviso.
Ancora rabbrividiva se ripensava a quella notte; le sembrava tutto
così assurdamente irreale e... strano.
Come era potuto succedere? Avevano smesso di parlarsi, di guardarsi,
litigando furiosamente. E poi si erano trovato vicini, con una scarica
elettrica incredibile, con un magnetismo totalitario, stupefacente,
incredibile, incontenibile.
E aveva fatto l'amore con lui...
Sorrideva, sorrideva come una stupida, intrecciando le dita alle
lenzuola. Notò distrattamente una macchia rossa sulle
lenzuola arancioni, difficilmente distinguibili a causa della fantasia
rossastra; arrossì, sperando per un secondo che Peter non se
ne fosse accorto.
Che stupida!, vergognarsi di una cosa del genere quando lei si era
donata a lui, quando l'aveva vista come nessuno l'aveva vista mai,
quando l'aveva avuta, davvero.
Si lasciò cadere di nuovo tra i cuscini, chiudendo gli occhi
e respirando a fondo. Quel profumo di casa, quell
freschezza e quel calore che si contrastavano tra pelle e tessuto.
Tutto così strano, così nuovo...
"Charl?" scattò a sedere quando udì la voce del
suo... migliore amico sulla porta; si coprì pudicamente il
corpo col lenzuolo e sentì le guance andare a fuoco.
"Sì? Sono sveglia. Potevi svegliarmi anche un pò
prima" si stava mordendo le labbra, le stava praticamente tormentando.
"Dormivi così profondamente che non ho voluto disturbarti"
si avvicinò e si sedette sul letto, sorridendo imbarazzato.
Com'era possibile che ora l'aria fosse piena di imbarazzo e tensione,
quando poche ore prima erano stati chiusi fuori dalla porta?
"Grazie allora..."
"Ti senti bene?" lei sorrise intenerita.
"Sì, sto bene, mai stata meglio" lui abbassò lo
sguardo alle sue parole e chiuse gli occhi, serio. Prese un respiro
profondo e riaprì gli occhi, ora diventati neri;
deglutì un paio di volte e poi la guardò.
"Charlotte... dobbiamo parlare."
**********
Potrei chiedervi scusa un miliardo di volte, chiedere perdono e
promettervi nuovi e veloci capitoli, ma sarei solo una bugiarda del
cavolo.
Manco da due mesi e mezzo e vi giuro che questo aggiornamento non era
per nulla programmato, tutt'altro. Ero in doccia (verso le 20:30) e
puf, mi viene voglia di scrivere. E mi sono detta, perchè no?
Non so qui a dirvi i motivi per cui mi sono assentata e mi sono presa
questa pausa, prima perchè non voglio annoiarvi e secondo
perchè sono proprio io a non volerlo. Ho avuto dei problemi
personali, sia di salute che di altro, e non ero nelle condizione
psicologiche di portare avanti un qualsiasi tipo di storie.
Non mi sono ancora presa del tutto, ma si va avanti e spero di tornare
ad aggiornare come un tempo.
Non vi prometto aggiornamenti veloci, anche perchè per tutto
il mese sarò occupata a studiare e ad organizzare la mia
festa di 18 anni (sì, mi avvicino al precipizio anch'io
lol), ma non smettete di sperare.
E' il mio regalo di Pasqua per voi, augurandovi di passarla con le
persone che amate, di divertirvi, ridere e mangiare tante tante
schifezze (soprattutto uova kindere che sono le più buone
*-*) e poi tutte a dieta! lol
Ah beh, sì. Naturalmente spero che questo capitolo vi sia
piaciuto....
Ehm, scappo. Fatemi sapere se devo portarla avanti questa storia o no,
se vi farebbe piacere e se questo capitolo vi è piaciuto.
Ci tengo, almeno voi.
Love you,
Mary xx
E
aveva fatto l'amore con lui... Sorrideva,
sorrideva come una stupida, intrecciando le dita alle lenzuola.
Notò distrattamente una macchia rossa sulle lenzuola
arancioni, difficilmente distinguibili a causa della fantasia
rossastra; arrossì, sperando per un secondo che Peter non se
ne fosse accorto. Che
stupida!, vergognarsi di una cosa del genere quando lei si era donata a
lui, quando l'aveva vista come nessuno l'aveva vista mai, quando
l'aveva avuta, davvero. Si
lasciò cadere di nuovo tra i cuscini, chiudendo gli occhi e
respirando a fondo. Quel profumo dicasa,quell
freschezza e quel calore che si contrastavano tra pelle e tessuto. Tutto
così strano, così nuovo... "Charl?"
scattò a sedere quando udì la voce del suo...
migliore amico sulla porta; si coprì pudicamente il corpo
col lenzuolo e sentì le guance andare a fuoco. "Sì?
Sono sveglia. Potevi svegliarmi anche un pò prima" si stava
mordendo le labbra, le stava praticamente tormentando. "Dormivi
così profondamente che non ho voluto disturbarti" si
avvicinò e si sedette sul letto, sorridendo imbarazzato. Com'era
possibile che ora l'aria fosse piena di imbarazzo e tensione, quando
poche ore prima erano stati chiusi fuori dalla porta? "Grazie
allora..." "Ti
senti bene?" lei sorrise intenerita. "Sì,
sto bene, mai stata meglio" lui abbassò lo sguardo alle sue
parole e chiuse gli occhi, serio. Prese un respiro profondo e
riaprì gli occhi, ora diventati neri; deglutì un
paio di volte e poi la guardò. "Charlotte...
dobbiamo parlare."
And every time I try to be
myself
It comes out wrong like
a cry for help
It’s just not
fair
Brings more trouble
than it all is worth
I gasp for air
It feels so good, but
you know it hurts
*
Immediatamente
quella sensazione di pace e di extasi scivolò
via dal suo corpo, sostituiti immediatamente da brividi di terrore e di
pentimento. Che
avevano fatto? Come avevano potuto cedere così facilmente?
Come avevano potuto rendere così intima e quasi abituale una
cosa che non si sarebbero mai immaginati? Tante volte aveva immaginato
una cosa del genere tra lei e Peter, ma ogni volta rideva a crepapelle
dall'assurdità della situazione. E
invece adesso era qui, nuda sul suo letto, un leggero senso di
vertigini e l'odore di una passione incontrollata che era stata
consumata solo poche ore prima. E poi c'era Peter, in imbarazzo ai
piedi del letto, mentre evitava il suo sguardo e si mordeva le labbra;
indossava un pantaloncino, probabilmente preso tra i suoi vestiti che
conservava a casa della ragazza, e una canottiera bianca. Alcuni flesh
della notte precedente passarono davanti agli occhi di Charlotte e si
sentì immediatamente arrossire dall'imbarazzo. "Sei
arrossita, c'è qualcosa che non va? Ti senti male?"
sentì il peso del corpo di Peter sul materasso e una sua
mano poggiata sulla sua spalla a scuoterla, come se fosse svenuta e
cercasse di farla risvegliare. Un sorriso nacque spontaneo sulla labbra
della ragazza.
"Pensavo mi odiassi, e invece ti preoccupi ancora per me"
girò la testa e si trovò occhi negl'occhi con
quelli di Peter.
Si sentirono entrambi più leggeri, come se avessero sfidato
la forza di gravità per tutti questi minuti e adesso avevano
lasciato che i due poli si riunissero come era giusto che fosse. Un
filo trasparente legava le loro iridi, e tante leggere parole
fluttuavano avanti e indietro appese a quel sottilissimo filo. Stavano
parlando, ma nel più totale e intimo silenzio.
"Non potrei mai odiarti, Charl"
"Nemmeno dopo stanotte?" stavolta il sorriso nacque sulle labbra di
Peter, che chiuse per un solo attimo le palpebre; ma immediatamente i
suoi occhi scattarono a ricreare quel contatto di prima. "Dopo stanotte, ti
voglio più di ieri"
Le brillarono gli occhi, sentì il suo cuore mancare un
battito e poi fare le capriole. Che le succedeva? Si trattava solo di
Peter, del suo vecchio migliore amico, del ragazzo con cui aeva passato
gli ultimi anni tra film, scherzi, parolacce, pianti, abbracci, pizze,
autobus, sottopassaggi, telefonate, litigi e riappacificazioni.
Era sempre... lui. Eppure questa mattina non si trattava solo del
migliore amico con cui aveva praticamente fatto tutto in questi ultimi
anni, ma si trattava del ragazzo con cui aveva fatto l'amore, del
ragazzo con cui aveva passato la notte più bella della sua
vita, del ragazzo con cui aveva avuto la sua prima e straordinaria
prima volta.
"Sei... Dovresti essere tu ad odiarmi e... Mi dispiace, Charlotte, mi
dispiace essere stato così irresponsabile, immaturo,
affrettato. Mi dispiace averti fatto affrontare tutto questo
all'improvviso, averti strappato qualcosa che forse avresti voluto
condividere col ragazzo che avresti amato, averti mancato di rispetto.
E, se potessi tornare indietro, io..."
"Ti prego", lo interruppe, "ti prego non dire che non lo avresti fatto
o mi fai male, Pet, mi fai male"
"Ma io pensavo che"
"Tu pensi male. Io ti ho chiesto questo, sono stata io e, nonostante
avessi bevuto, ero lucida, ricordo ogni singola parola nonostante il
mal di testa, ricordo ogni singolo bacio, ogni tuo singolo tocco.
Ricordo tutto e non poteva essere più perfetto di come
è stato. E sono felice sia stato con te, perchè
so che tu mi vuoi bene, che non mi lascerai mai, che, nonostante forse
questo porterà imbarazzo tra noi, tu farai in modo che
questo si annulli. E non credere che io mi aspetta una qualche pretesa
da te, adesso. Se è questo che ti turba.."
Peter si inginocchio sul letto e le prese il viso tra le mani
avvicinandolo più che poteva al suo. Sentiva il suo dolce
alito contro le sue labbra, l'acquolina gli invadeva la bocca e dovette
inspirare profondamente per calmarsi.
"Io-non-so-cosa-mi-stai-facendo" scandì chiaramente le
parole, dettato da una voglia di controllo contro quell'ardore che lo
stava per riconquistare.
La presa di Charlotte sul lenzuolo che copriva il suo seno nudo li
allentò per poi scomparire completamente. Le sue mani
presero posto tra i capelli neri di Peter come a volerlo avvicinare
maggiormente a sè, cosa ormai impossibile. Il lenzuolo cadde
sulle sue gambe piegate ma nessuno sembrò farci caso, nessun
tipo di imbarazzo, nessun pudore, nessuno sguardo.
"Forse quel che mi stai facendo tu" sussurrò e
incollò le sue labbra a quelle di Peter.
Smaniose le mani cercavano, le labbra mordevano, i sensi si
incendiavano. Le pulsazioni del loro corpo aumentarono e entrambi
temettero di poter morire dalle incredibile sensazioni che provavano.
Con le gambe si liberarono del lenzuolo e gli occhi di Peter si
infiammarono alla vista del corpo nudo della ragazza. Si
staccò per un attimo dalle sue labbra e fece scorrere le
dita lungo la sua gola, tra i seni, sull'addome, fino ad arrivare al
centro di piacere e dar vita a quei gemiti che, quella notte aveva
capito, gli piacevano tanto. Le dita di Charlotte afferrarono il
lenzuolo sotto di sè, i piedi si distesero e le gambe si
piegarono come sotto tortura, ma quella non era una tortura, era un
viaggio lungo un piacere immenso; non riusciva a parlare, sentiva la
bocca asciutta dai fiati che entravano e uscivano, gli occhi serrati, i
sensi a mille.
E Peter godeva a quella vista, affascinato da ogni minuzioso
particolare, affacinato dall'urlo inaspettato di Charlotte nel momento
del massimo piacere. Provvide a serrarle le labbra con le sue e lei
accettò questa costrinzionecon
passivo piacere.
Le dita ancora tremolanti di Charlotte raggiunsero l'orlo della
maglietta bianca del ragazzo e la sollevarono sotto lo sguardo
maliziosi e incantato di lui.
"Tocca a te, adesso" sembrava una minaccia, ma era una promessa,
siggillata da un bacio fatto di intrecci di lingue e morsi leggeri.
Sobbalzarono entrambi quando sentirono la porta d'ingresso sbattere e
una voce che urlava il nome di Charlotte.
"Charlotte, tesoro?"
"Cazzo!" urlarono insieme, separandosi e alzandosi dal letto. Si
guardarono in faccia e, nella tragedia della situazione, scoppiarono a
ridere. Avevano entrambi i capelli arruffati, le guance rosse e le
labbra gonfie.
"Se tua madre mi becca qui mi ammazza!"
"Ne dubito, ti farebbe un applauso. Ma lo direbbe a mio padre e..."
Charlotte scoppiò a ridere quando Peter
impallidì. Si immaginava già castrato, dolorante,
morto di fame, rinchiuso in una qualche cella al freddo.
"Andiamo in bagno, sh!" lo spinse verso la porta e solo in quel momento
si rese conto di essere nuda e si guardò intorno alla
ricerca di qualcosa, ma i passi erano sempre più vicini.
"Ti ho già vista nuda, vieni qui!" Peter le
afferrò un braccio e la portò in bagno, chiuse la
porta e allungò il braccio verso la doccia per aprire
l'acqua.
"Charlotte, dove sei?" era entrata in camera e i due ragazzi si
guardarono in faccia, sconvolti e pieni di paura.
"Rispondi!"
"Ma..."
"Charlotte, sei sotto la doccia?" bussò alla porta e fece
per aprire ma, fortunatamente, nella foga del momento, si erano
ricordati di chiuderla a chiave.
"Mamma? Sei tu?"
"Sì, tra quanto esci?" guardò Peter terrorizzata
e silenziosamente chiese aiuto. Con entrambe le mani aperte le
indicò un dieci.
"Tra dieci minuti, sono appena entrata in doccia"
"Ah, va bene. Allora passo da Geltrude a salutarla"
"Va bene, a dopo" sentirono la porta chiudersi e, automaticamente, un
sospiro uscire dalle loro labbra.
"Sia fatta santa la tua vicina" Charlotte non sembrò far
caso al commento ironico di Peter e si poggiò alle
piastrelle fredde del bagno, chiundendo gli occhi e respirando
profondamente in preda ad una crisi di panico. Si dimenticò
completamente di essere nuda, cosa che però non
sfuggì a Peter.
"Mh, devo rimediare alla tua crisi di panico" Charlotte si
accigliò ma non ebbe nemmeno il tempo di dire mezza parola
che Peter l'aveva baciata e buttata sotto alla doccia.
"TI AMMAZZO!"
"Non vedo l'ora" e la raggiunse sotto alla doccia, chiudendosi la porta
della cambina alle spalle.
Dopo che Peter era uscito dalla porta del retro, salutandola con un
bacio a fior di labbra, Charlotte era corsa in camera a mettersi un
paio di pantaloncini e una canotta bucherellata, aveva raccolto in
fretta le lenzuola e le aveva buttate nel cesto dei panni sporchi e, a
caso, aveva buttato sul letto le lenzuola arancioni pulite. Aveva
ancora i capelli bagnati quando sua madre era tornata e aveva iniziato
a raccontare delle non-avventure di Geltrude e delle sue, lavorative e
amorose.
Charlotte commentava con anonimi 'mh' e sorrisini, ma la sua testa era
rimasta nella doccia ad assorbire tutte le sensazioni che Peter le
aveva fatto provare in quei dieci minuti. Beh, in realtà non
doveva fingere di sorridere, visto che aveva un sorriso a trentadue
denti stampato in faccia come una cretina, ma...
Ma non lo sapeva nemmeno lei, la sua vita era cambiata in
così poche ore che si sentiva come su una nuvola, come se
stesse sognando e quella non era la realtà. Diverse volte si
era data un pizzicotto er controllare che non stesse sognando e ogni
volta la risposta era sempre la stessa: realtà.
Non riusciva ancora a spiegarsi come tutto ciò era potuto
accadere, come cavolo avevano fatto per arrivare a questo punto quando,
solo ventiquattro ore prima, nemmeno si rivolgevano la parola. Era
bastata solo quella scintilla a scatenare l'ira di Peter, la sua ira,
la loro passione incontrollata e il loro.... amore?
Come era possibile che, ogni volta che l'aveva sfiorata, Charlotte
aveva iniziato ad ansimare e il suo cuore a cantare?
Quelle erano le sensazioni che le protagoniste dei suoi amati libri
provavano quando il ragazzo la loro sempre amato le sfioravano, le
baciavano, le guardavano. Ma non riguardava gli amici, ma ragazzi
amati. Sembrava che tutti i pezzi del puzzle si stessero riunendo,
tutto sembrava avere una spiegazione. La strana gelosia che provava
ogni volta che sapeva che Peter era andato a letto con una ragazza, il
litigio avvenuto a causa dei commenti poco casti delle sue 'compagne'
riguardo il suo migliore amico, le sue risposte allusive, la voglia di
sentirlo ogni minuto, il loro legame unico e forte, le parole dolci, il
loro stare sempre insieme, le risate alle sue battute sempre
più squallide, il loro capirsi con un solo sguardo.
Eppure... non aveva mai letto cose del genere, aveva sempre e solo
letto di ragazze innamorate,consapevolidi
esserlo, il ragazzo che non la guardava minimamente, e poi i primi
approcci grazie a casualità e vissero felici e contenti.
Ma lei lo sentiva, lo sentiva scorrere nelle vene; e non era dovuto
solo alla notte passata insieme, al piacere provato nella doccia o ai
bacio sul letto e alle parole di questa mattina. No, quella era
solamente stata la scintilla, la goccia che aveva fatto traboccare il
vaso con tutte le consapevolezze e le verità, quel vaso che
aveva prodotto un rumore così forte da farla sobbalzare e
aprire gli occhi di butto. Come se avesse dormito per tutto questo
tempo e, adesso, questo rumore l'aveva svegliata e tutti i suoi sensi
erano allarmati, svegli, pronti e recepire tutto quello che durante la
veglia aveva perso.
E non sapeva se avere paura di questa consapevolezza o di esserne
felice. Non sapeva quali reazioni avrebbe scatenato, ma ormai gli occhi
erano aperti e non poteva evitare l'enorme scritta che le sembrava
ampeggiare davanti agl'occhi e accecarla.
Charlotte era innamorata, era follemente innamorata del suo migliore
amico.
Peter camminava per la strada con passo lento e rilassato mentre si
dirigeva a casa.
Per fortuna la madre di Charlotte non lo aveva visto, ed era potuto
scappare in una corsa ridicola lungo il quartiere, per poi prendere
fiato e iniziare a camminare con passo regolare. Stava ripensando a
quel che era successo in quelle dodici ore e ancora non ci credeva. Non
era sicuramente stata la sua prima volta ma, in un certo senso, gli
sembrava di essersi riscattato da quella prima penosa volta in cui
l'aveva fatto con una ragazza di cui non ricordava nemmeno il nome.
Era stato speciale, diverso, unico, e di certo indimenticabile. Non era
stata una sola unione di corpi, ma anche di cuori, di mente, di anima.
Un'unione totale che lo aveva sconvolto e scosso dal suo stato di
pachezza e inerzia, che aveva ridato qualche battito mancato al suo
cuore e qualche respiro in più ai suoi polmoni.
Cosa sarebbe successo adesso? Quanto sarebbe cambiato il loro rapporto?
Questa era la cosa di cui avrebbe voluto parlare con Charlotte prima
che quelle strane sensazioni mai provate prima di quella notte lo
avvolgessero e la passione e la devozione prendessero il controllo.
Come si sarebbero comportati d'ora in avanti? Un sorriso malizioso
spuntò sulle sue labbra mentre ripensava all'ultima doccia
che aveva fatto. Si sarebbero saltati addosso ogni volta che ne
avrebbero avuto l'occasione? A lui non sarebbe dispiaciuto, e
probabilmente nemmeno a lei. Ma dovevano parlare, doveva chiarirsi e
capire cosa fare.
"Ehi, bel fusto" si girò verso quella voce incredibilmente
fastidiosa e riconobbe in quella figura sottile la ragazza che tanto
odiava Charlotte, la sua compagna di classe.
"Mh, ciao Samanta" la evitò e camminò davanti.
Voleva evitarla come la peste, soprattutto dopo l'ultima discussione
avuta con Charlotte per colpa sua.
Eppure lei non si arrese e gli si buttò davanti, sorridendo.
"Dove sei stato? Sbaglio o sei uscito dal quartiere della cara Lot?"
"Che vuoi, Samanta? Stiamo sempre insieme, lo sanno tutti."
"Anche di notte? E io che pensavo che la tua amichetta fosse una
stupida verginella dietro cui ti nascondevi per accalappiare ragazze da
portarti a letto."
"Non ti rivolgere così a Charlotte, non permetterti."
"Se no che fai, mi picchi? Non sarebbe da gentiluomo."
Una rabbia improvvisa lo colse e, con un solo passo, fu a pochi
millimetri dalla ragazza. La sovrastava con la sua altezza e la sua
corporatura, ma lo sguardo era pungente. Le afferrò le
spalle sottili e la guardò fisso negl'occhi.
"Non ti toccherei mai, nè per farti del male nè
per farti del bene. Provo repulsione per te e potrei rovinarti se solo
dicessi in giro le cose che fai. Quindi, non mi sfidare, Samanta, non
farlo e non toccare Charlotte o te ne pentirai."
Erano così vicini che Samanta poteva sentire l'alito di
quelle parole di fuoco sul viso. Strinse gli occhi e poi sorrise.
"Stai attento a quel che dici e a quel che fai. Ci si vede"
girò le spalle e andò via. Peter rimanse qualche
minuto a guardarla camminare, incredulo. Ma poi decise di non farsi
rovinare la splendida giornata da una tipa come quella, non ne valeva
la pena.
Riprese a camminare e tornò a casa, ansioso di rivedere
Charlotte al più presto.
Ma nel frattempo, mentre Charlotte era spaparanzata sul letto a
pensare, il suo telefono suonò. Quando prese il cellulare
tra le mani si accigliò quando lesse MMS sul display. Erano
anni che non riceveva mms, ormai nessuno li utilizzava più.
Nonostante ciò, decise di aprirlo e quando lesse 'numero
sconosciuto' capì immediatamente il motivo per cui non
avevano usato una mail o un messaggio whatsapp.
Ma lo scopo di quel messaggio non era il mittente, ma il contenuto. "Che amico generoso e
soddisfacente che hai" Allegato
a questo messaggio c'era una foto.
Una foto che paralizzò Charlotte e che le fece cadere il
cellulare dalle mani, infrangendo ogni ricordo di quella splendida
nottata.
***************************************************
Salve a tutte, come state?
Chiedere scusa sarebbe inutile, sono imperdonabile, ma ci provo
comunque.
Mi dispiace per questo enorme ritardo, soprattutto nei confronti delle
persone che si erano appassionate a leggere di peter e di Charlotte.
Anche io sono dispiaciuto di ciò ma credetemi, non ho potuto
fare altrimenti, ho avuto tutt'altro nella testa.
Impegnata tra scuola, festa di diciotto anni, amicizie, famiglia,
scuola guida, salute e chi più ne ha più ne metta.
Mi dispiace. Questo capitolo è sceso da cielo, non so come
sia potuto succedere. Ho utilizzato tutta la poca-ispirazione che avevo
e adesso sono così svuotata che non so nemmeno che scrivere
nelle note lol.
Bho, spero vi sia piaciuto, anche se sonos icura al 10000000000% che
solo due o tre persone leggeranno l'aggiornamento e, ahimè,
non credo arriverà nessuna recensione. Me lo merito, ne sono
consapevole. Ma vi devo questo capitolo e anche altri che, spero,
arriveranno. Vi devo un finale per questi due o per questi tre o
quattro. Ve lo devo e ve lo darò.
Grazie a chi mi ha seguito in questi (quasi) tre anni e a chi
continuerà a farlo.
Un bacione enorme,
la vostra, sempre,
Mary xx