Ti ritroverò

di Clover GD
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo secondo ***
Capitolo 3: *** Capitolo terzo ***
Capitolo 4: *** Capitolo quarto ***
Capitolo 5: *** Capitolo quinto ***



Capitolo 1
*** Capitolo primo ***


IMPORTANTE: ho riletto questa storia da poco. Era orribile, pertanto ho deciso di cambiarla in meglio. Ho apportato una gran quantità di modifiche a questa storia. Ho cambiato la focalizzazione (da interna ad esterna), ho cambiato il narratore (da interno ad esterno anche lui), ho cercato di eliminare ogni possibile traccia di OOC nei caratteri dei personaggi ed ho modificato anche l'orribile carattere di scrittura. L'unica cosa che è rimasta pressoché uguale è la trama, sebbene non mi esimi dal dirvi che potrebbe esserci qualche piccola modifica: potrebbe capitare per problemi di IC.

CERCHERÒ DI FAR Sì CHE L'IC REGNI SOVRANO. QUALSIASI SBAVATURA È DA FARMI NOTARE CON UNA RECENSIONE NEUTRA/CRITICA O CON UN MP.


Un gigantesco grazie alla mia armigera, Akakuro Hybrid, che mi ha betato il capitolo.

Sarei persa senza di te, amore mio! ♥


Grazie dell'attenzione :)

Dikasterion.


Ti ritroverò.


«Un viaggio di lavoro?»

Courtney sentì il cuore stringersi, ma solo per un millisecondo.

«Esatto, principessa. Io e Trent!» rispose lui.

Con un moto d'ira ed uno di gelosia, la ragazza si fece preda del pensiero che solo e soltanto lei sarebbe potuta diventare qualcuno d'importante, fra i due. Non considerava Duncan un totale idiota, ma a dirla tutta si vedeva superiore a lui.

Ciononostante, sapeva di dipendere dalla sua presenza.

Anche se avesse voluto negare il fatto che l'amava come non aveva mai amato nessuno in vita sua, si sarebbe comunque dovuta trovare ad ammettere che aveva bisogno di lui, anche solo per sentirsi migliore di qualcuno.

«Che diavolo ci vai a fare un anno in Canada con Trent e...» un velo di lacrime le appannò la vista, ma lei le ricacciò orgogliosamente indietro, «senza di me?»

Lo faceva sempre.

Courtney rendeva sempre ogni cosa una tragedia senza pari.

«Principessa, ma è un anno solo. E poi il capo ci ha promesso un posto fisso qui, con uno stipendio migliore di quello che abbiamo ora! Diventeremo architetti professionisti, capito?»

Duncan era il classico ragazzaccio che era stato poi rimesso sulla retta via. Più o meno, insomma.

Aveva smesso di fumare tutto quello che si trovava davanti, ma non rinunciava al piacere che riusciva a dargli un bicchiere di whisky. Tuttavia, aveva studiato architettura, si era impegnato. Aveva trovato motivazione non nel rendere felice Courtney, ma nel dimostrarsi migliore di quanto lei l'avesse mai giudicato.

Perché questo era il problema di Courtney: lei non riusciva a fare a meno di giudicarlo per ogni secondo della sua vita.

«Ma come comunicheremo?» chiese lei, con una punta di preoccupazione.

Forse, in qualche modo, lo amava. E le sarebbe mancato.

«Ti scriverò una lettera al giorno.»

Duncan la vide sgranare gli occhi da cerbiatta.

«Ma le poste funzionano malissimo!» asserì, trattenendo il respiro.

«Ma il mio cuore continuerà a battere all'unisono con il tuo, no?»

No.

Entrambi sapevano benissimo che questa frase era soltanto una delle tante del repertorio di Duncan per conquistare le ragazze.

Duncan e Courtney non avevano due cuori che battevano all'unisono.

Duncan e Courtney erano sbagliati. Si erano messi insieme poco prima che avessero lasciato i loro ex a distanza di pochi giorni, in pratica li avevano traditi. Quando si amavano, i loro cuori non battevano insieme, ma erano in disarmonia.

Erano sbagliati, ma si erano trovati arrancando fra i loro errori. E non si erano più mollati, anche per la paura di ricadere nella spirale di sbagli in cui erano caduti prima di conoscersi.

«Sì, ma...»

No.

Di nuovo, entrambi sapevano che quel detto da Courtney era solo fittizio.

«Come faccio a stare un anno lontana da te?» ansimò lei.

«Lontana da me?» chiese lui. Non gli sembrava vero, a dir la verità, che lei avesse appena ammesso una sua debolezza.

«Lontana dalla tua inettitudine, dai tuoi capelli spettinati, dai tuoi stivaletti incrostati di fango e dall'innumerevole quantità di matite che spargi per terra!»

Oh. Ecco.

Courtney non si mostrava mai fragile.

Una lacrima fece capolino sulla sua guancia, e Duncan la asciugò con il pollice.

Ennesima mossa da rimorchio.

«Su, su, Court. Sai benissimo che non sarebbe affatto male se venissi anche tu, ma avresti dovuto sentirlo, quello stronzo di McLean! Sì, potrei farvi portare una donna, ma poi non sarebbe abbastanza divertente vedervi soffrire! Trent stava per tirargli una matita nell'occhio. Patetico, davvero patetico. Ma la morale della favola qual è, alla fine? Io non posso portarti con me, Trent non può portarsi Gwen.»

Fu solo grazie ai suoi immancabili riflessi che evitò lo schiaffo che stava per partire da lei.

«Cosa cazzo dici? McLean è un deficiente, non ci vuole nulla a convincerlo! Avresti potuto insistere, o chiamare un avvocato!»

Duncan scosse la testa.

«Ha troppe conoscenze, in quel campo. È un fottuto bastardo, ma non posso farci niente.»

«Tra quanto dovrai partire? Una settimana? Un mese?» provò a domandare lei. Chissà per quale motivo, ma sentiva che la risposta a questa domanda le avrebbe fatto male.

«Veramente... Domani a mezzogiorno.»

Dio santissimo.

Chris McLean gliel'avrebbe pagata cara. Carissima.

«Tu... Oh, Duncan!» mormorò e, incapace di trattenersi, permise a qualche lacrima di percorrerle il viso.

«Courtney, Courtney, principessa, non fare così.» disse, afferrandola per le spalle e scrollandola.

«So che non si riesce a fare a meno di uno come me per tutto quel tempo, ma ti toccherà provarci!»

Ammiccò.

Courtney lo guardò con malizia.

«Abbiamo comunque ancora stanotte, giusto?»

Duncan inarcò un sopracciglio.

«Esattamente, ma poi... Stop. Un anno sarà off limits. Ed io mi rifiuto categoricamente di scoparmi Trent in mancanza di altro.»

Courtney socchiuse le labbra e lo guardò inorridita.

«Farò finta che tu non abbia detto niente, ma ti toccherà farti perdonare.»

Lui le regalò un sorriso sghembo.

«Sto seriamente pensando di farti urlare finché non avrai più voce.»

Courtney lo guardò come se avesse detto un abominio.

«Coglione» proferì.

Un istante, e poi si gettarono avidamente l'uno contro le labbra dell'altra. Si tolsero velocemente i vestiti.

Sesso per rabbia. Il migliore, dicono.





Nessuno è in grado di fermare il tempo, purtroppo.

Se Courtney avesse avuto una scala abbastanza alta, avrebbe volentieri tentato di raggiungere il sole per ricacciarlo indietro e non far mai arrivare mezzogiorno.

Ma arrivò, come tutte le ore della giornata.

«Scrivimi, Dunc. Lo sai che senza di te sarà dura.»

Era strano come, dopo il sesso, Courtney si lasciasse andare e dicesse cose che non avrebbe mai detto in condizioni normali.

«Principessa, suvvia: è solo un anno!»

Mai sentito parlare della goccia che fa traboccare il vaso?

Courtney andò fuori di sé.

«Solo un anno un cazzo, Duncan! Un anno è tanto, sai? È tanto, ed io non ho la minima voglia di pensare a come farò senza di te!»

Di solito, una persona si fa scappare la parola di troppo quando è ubriaca.

Courtney si ubriacava di lussuria e di sesso, parlando fin troppo mentre ancora abbracciava Duncan.

«Uhm... Hai ragione. Ma che ci posso fare io?» disse lui, con una calma che uccideva.

Lei stava lì lì per ribattere, ma si fermò un attimo.

«Duncan?» disse invece, con quella sua vocetta saccente.

«Sì?»

«Dobbiamo separarci litigando?» continuò lei, addolcendosi.

«Non penso sia conveniente.» mormorò lui.

«Sei un cretino. Addio.» sussurrò con un tono sofferente.

«Suvvia, principessa... Arrivederci.»

Le lasciò un bacio dolce, poi salì in carrozza.

«Scrivimi!»

Courtney fece appena in tempo a gridargli dietro la parola, mentre i cavalli cominciavano ad andare verso la stazione.

«Lo farò!» disse la voce di Duncan mescolata al rumore degli zoccoli di quello stupido cavallo.

Quando la carrozza diventò solo un puntino all'orizzonte, lei si mise a piangere davvero.

Aveva voluto dimostrare di essere forte davanti a lui, ma c'era da ammettere che trecentosessantacinque giorni e trecentosessantacinque notti erano tante.

Troppe.

Persino per lei.



***

A/N Ed eccoci qui :)

Questo capitolo è stato abbastanza facile da riscrivere, sapete? L'unica cosa è che penso che qualche cambiamento sulla trama ci sarà. Sono diventata una perfetta slasher, non vorrei cadere in tentazione di far sbaciucchiare Trent e Duncan xD

Non si sa mai, comunque ù_ù

Ansiosissima di sapere quanto e se vi sia piaciuta la riscrittura del capitolo :)

A meno che non ci siano dei problemi -e avvertirò in caso nel capitolo precedente-, aggiornerò una volta a settimana. Penso che aggiornerò il mercoledì. Mi piacciono i mercoledì :D

A mercoledì prossimo, dunque :)

CloClo :)

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Capitolo 2
*** Capitolo secondo ***


Un ringraziamento speciale alla mia supermegafoxyawesomehot beta, la

meravigliosissima Faithfully, senza la quale sarei probabilmente

persa Sperando, ovviamente, che la mia armigera non se la prenda.



REVIEWS MAKE CLOVER HAPPY :)



Ti ritroverò.


Duncan trascorse la giornata a maledire ogni cosa che si trovò davanti.

Si passò ripetutamente una mano fra i capelli, per poi prendere a torturarsele entrambe.

«Duncan?»

Trent aveva parlato.

Se c'era qualcosa che Duncan non aveva mai detto a Courtney, beh, quella era che lui non sopportava Trent. O meglio, riusciva a stare nella sua stessa stanza senza aggredirlo, ma a lungo andare non sarebbe riuscito a coesistergli, lo sapevano tutti e due.

«Cazzo vuoi?»

Duncan e Trent.

Tra di loro non avrebbe mai funzionato: il primo reputava il secondo uno sfigato, il secondo reputava il primo uno spaccone.

Nonostante ciò, Trent aveva provato, qualche volta, ad essere carino con Duncan, specialmente in vista di una convivenza dolorosamente forzata per un intero anno. Duncan, invece, era rimasto sempre distaccato dal ragazzo dagli occhi verdi, rivolgendogli la parola sì e no due volte durante tutto il viaggio: la prima volta l'aveva solo chiamato sfigato perché si era rovesciato addosso l'acqua che stava bevendo, la seconda volta gli aveva chiesto l'ora, pur sapendo benissimo che, a meno che non si fosse portato appresso un orologio portatile, non ne avrebbe potuto avere la benché minima idea.

«Sei triste anche tu, vero?»

Se c'era una qualità positiva di Trent, ecco, quella era il fatto che lui non desistesse mai dai suoi obiettivi.

Avrebbe dovuto convivere con Duncan, e per questo si era imposto di andarci d'accordo.

«Saranno cazzi miei?»

Duncan era duro, come sempre.

«Non puoi tentare di essere un po' più... Carino, con me?»

Trent aveva parlato con la voce venata di frustrazione. Non si capacitava del fatto che Duncan non gli volesse rivolger parola e ne soffriva anche, ma non l'avrebbe ammesso mai.

«Perché dovrei essere carino con uno sfigato?»

La già fragile situazione mentale di Trent lo portò a spezzarsi.

«Posso sapere cosa diavolo hai contro di me? Non ti ho fatto assolutamente niente, eppure mi detesti profondamente!»

Duncan si girò verso di lui.

«Ti sei mai guardato, Trent? Oh, Dio, sembri uno di quegli squallidissimi contadini che non riescono a starsene per sé per più di dieci minuti. Hai continuamente bisogno di relazionarti con qualcuno? Benissimo, parla coi cavalli. Parla con il cocchiere. Parla con te stesso, dannazione, ma non starmi fra le scatole!»

Trent tirò un pugno sul lato della carrozza.

Era frustrato, ma ciò che non sapeva era che quella era solo la situazione d'inizio.





Dopo ben dieci ore di treno, arrivarono a Vancouver.

Dalla stazione, non ci volle molto perché raggiungessero la postazione di lavoro di McLean. Avrebbero lavorato ad un progetto importate, qualcosa come la costruzione di un intero complesso di case in un nuovo quartiere residenziale della città.

McLean li accolse con il suo classico sorrisino bastardo.

«A cosa devo la visita?» scandì ammiccando.

Duncan represse uno stronzo fra i denti, Trent fu più saggio e ricordò a McLean chi fossero i due uomini che si trovava davanti.

«McCord e Nelson, quindi? Non avevo la minima idea di chi foste voi, come non avevo la minima idea che lavoraste con me. Ma, dopotutto, non posso star qui a ricordarmi anche dell'ultimo segretario che lavora per me, sono un uomo importate, io!»

Duncan strinse i pugni fino a far diventare le nocche bianche.

«Siamo i due architetti che aspettava.» proferì Trent.

«Non me ne frega un piffero. Siete comunque più in basso di me, nella scala del successo.»

Se gli sguardi avessero potuto bucare, in quel momento Chris McLean sarebbe stato ridotto ad uno scolapasta.

Ma così non è; uno sguardo non perfora, nessuno sarebbe in grado di uccidere con un colpo d'occhi, così McLean rimase illeso.

Arrivò un assistente con gli occhi bassi ed annunciò ai due che li avrebbe condotti verso le loro abitazioni.

I due sbuffarono, poi si decisero a seguire il ragazzo.

Per chissà quale scherzo del destino, una volta che i due si ritrovarono davanti ad una casetta piccola e vi entrarono, si accorsero che c'era un letto solo. Matrimoniale.

«Io con te non ci dormo.» proferì Duncan.

«Andiamo, Duncan!»

Trent lo aveva detto con tono annoiato, come se fosse una baby-sitter stufa dei lamenti di un marmocchio spocchioso.

«Beh? Tu con me ci dormiresti?» chiese l'altro, roteando gli occhi.

Trent prese a contorcersi le mani nervosamente.

No, lui non avrebbe dormito volentieri con Duncan.

«Bene» disse il ragazzo dale iridi azzurre, con una nota di soddisfazione nella voce.

«Vorrà dire che tu dormirai sul divano»

Il suo interlocutore spalancò gli occhi verdi.

«Stai scherzando? Io non dormo su nessun divano!» asserì.

Duncan si limitò ad inarcare le sopracciglia, risultando assai antipatico al nuovo coinquilino.

«Allora dormi per terra. A te la scelta.»





La mattina dopo, si risvegliarono abbracciati.

«Cazzo, Trent!» esclamò Duncan, staccandosi furiosamente dall'altro ed alzandosi velocemente dal letto.

«Non ti avevo detto di dormire sul divano?» continuò.

«Si dà il caso che sul divano si sta scomodi, quindi ho preferito mettermi sul letto accanto a te. - Trent si passò una mano fra i capelli corvini - Certo, mi sarei dovuto alzare prima di te e tornare sul divano, ma...»

Fece il punto della situazione, rendendosi conto della posizione in cui stavano fino a pochi secondi prima.

«Perché mi stavi abbracciando?» chiese, sbattendo un paio di volte le palpebre.

«Oh, sei tu che stavi abbracciando me.» ribatté Duncan.

Trent alzò gli occhi al cielo.

«Non direi proprio!» esclamò, ributtandosi poi all'indietro sul letto, affondando la testa nei cuscini.

Duncan, intenzionato com'era ad avere ragione, risalì rapidamente sul letto, vi si mise in ginocchio e, facendo perno sulle rotule, si sporse verso Trent. Appoggiò le mani ai lati del corpo del chitarrista, stando ben attento a non toccarlo nemmeno con la più insignificante parte del proprio corpo, poi puntò i suoi occhi in quelli dell'altro.

«Senti un po', so bene di essere irresistibile, ma qui serve che tu tenga a bada gli ormoni, se non vuoi finire a dormire nel portico.»

Trent provò a ribattere, ma Duncan gli si avvicinò ancora di più, fin quando i nasi quasi si sfiorarono.

«Io ho una ragazza, a chissà quanti chilometri da qui. Una ragazza, Trent, e non è una ragazza di copertura. Se tu e Gwen vi siete messi d'accordo per stare insieme per finta, non sono problemi miei, ma stammi lontano.»

Inaspettatamente e contro ogni tipo di reazione che Duncan avesse mai potuto immaginare, Trent scoppiò in lacrime.

«Sono etero, stupido, ma lei mi ha lasciato quando le ho detto che sarei partito.» Arrancò fra i singhiozzi che andavano sempre di più verso la disperazione estrema. «Spero che tu sia contento di saperlo, adesso.»

Duncan ghignò.

«Non è male come situazione, McCord, ma non ho voglia di scoparti. Né ora, né mai.»

Si alzò e si diresse verso il bagno, fingendosi sordo al suono smorto del vaffanculo che veniva dalle labbra di Trent.





Courtney non riusciva a credere che se ne fosse andato. Semplicemente, non riusciva ad accettarlo.

Erano passate meno di settantadue ore e già sentiva la mancanza di qualcuno da sminuire per sentirsi migliore.

Una delle tante cose che legava Courtney a Duncan era il fatto che si sarebbero potuti insultare quanto avessero voluto, ma non si sarebbero mai offesi veramente per questo.

Si davano dell'inetto o della perfettina, del coglione e della rompiscatole, addirittura una volta Courtney lo aveva definito un orco chiodato quando, una sera, era rientrato a casa esibendo il suo orecchino nuovo.
Orecchino fatto senza il permesso di lei, come era ovvio che fosse.

Courtney Barlow, però, non era il tipo da tirarsi indietro e disperarsi sciogliendosi in lacrime, qualora avesse sentito la mancanza di Duncan.

Iperattiva com'era, iniziò a fare qualsiasi cosa le si presentasse l'occasione di fare.

Arrivò anche a pulire il sottoscala, che era un ricettacolo di ragni, topi e sporcizia, pur di occupare la sua giornata.

Per quanto riguardasse gli insulti, poi, sfogava la sua frustrazione su gli oggetti inanimati.

Cadeva una pentola? Veniva insultata.

Si scuciva l'orlo di una gonna? Veniva insultato anch'esso.

Cadeva da un paio di scarpe col tacco? Venivano rimproverate aspramente.

E, tutto sommato, andava bene così.

Forse.





Dopo la terza settimana, arrivò una lettera.

La prima di tante.


Ehi, principessa!

Io sono a Vancouver, e quel cretino del chitarrista è con me.

Il viaggio è stato una noia mortale, se fossi stata anche tu su quel treno, beh, avrei passato più tempo in bagno. Magari tirandomiti appresso.

Il nuovo posto di lavoro non è niente male: abbiamo delle scrivanie gigantesche e tonnellate di matite. Me ne sono già rubate sette, non è eccitante? (In effetti, con cosa credi che ti stia scrivendo?)


Courtney sorrise, riconoscendo il tratto della mano di Duncan: preciso e senza la pressoché minima sbavatura, ma dopotutto se lo sarebbe potuto aspettare. Lui era pur sempre un architetto.


Mi manchi.

Non volevo dirtelo, ma ormai l'ho scritto e non mi sono ancora fottuto nessuna gomma da cancellare, per cui eccotelo scritto su questo pezzo di carta.

Divido una casa con Trent, ed abbiamo un solo letto, che è matrimoniale.

Suona male, ma il letto grande mi fa pensare a noi.

Ho provato a costringere Trent a dormire a terra o sul divanetto all'ingresso (o addirittura nel portico), ma il cretino si infila nel mio letto ogni notte.

O almeno l'ha fatto ieri ed oggi, perché è solo la seconda notte che passiamo qui.

Devo dire che mi fa piuttosto ribrezzo dormire insieme a lui come due fidanzati, ma me ne sto facendo una ragione. L'importante è che non mi tocchi, da lì in poi la strada è spianata. La mattina dopo il primo giorno ci siamo ritrovati abbracciati nel lettone, e sono convinto che, se non mi fossi alzato di scatto io, lui sarebbe rimasto volentieri lì a stritolarmi.


Sorrise: quasi quasi si immaginava la scena.

Duncan lo aveva sicuramente irriso, così lei si concesse di provare un minimo di commiserazione per il chitarrista.


Come va laggiù? Sei ancora triste per la mia partenza?

Manchi.

Ciao, principessa.


Duncan


Non si accorse di quando aveva iniziato a piangere, fatto sta che riconobbe il bagnato delle prime lacrime che le sfioravano la guancia.

Decise di uscire per prendere un po' d'aria: le avrebbe fatto bene.

Prese il parasole per ripararsi dai bollenti raggi di Giugno e cominciò a camminare per la strada. Immersa com'era nei suoi pensieri, non si rese conto della voce che la chiamava ripetutamente.

Si avvide di chi fosse la ragazza che la stava chiamando quando questa le posò una mano sulla spalla, ansimando per la corsa.

«Gwen!» esclamò, sorpresa. «Che ci fai qui?»

Gwen rimase ferma, boccheggiando.

Già, cosa ci faceva lì?

Lei non era forte come Courtney e, poiché aveva lasciato Trent, si era resa conto di aver bisogno di qualcuno con cui parlare. Non era una ragazza allegra e solare, no, ma pur essendo silenziosa e taciturna, aveva bisogno di qualcuno con cui relazionarsi, Lei e Courtney erano abbastanza amiche da poterle permettere di cercarla e stare con lei. Almeno per un po' di tempo.

«Sola. Mi sento parecchio sola.»

Courtney non sapeva se ghignare o abbracciarla. Si volevano bene, nonostante i litigi e le frecciatine che ogni tanto si tiravano.

A disagio, le poggiò una mano sulla spalla e strinse.

«Trent è lontano, ma sarà sempre con te, no?»

No.

Courtney non era così, lei non era il tipo da rassicurare le persone. D'altra parte, però, nemmeno Gwen era il tipo da pentirsi delle proprie azioni. Era come se fossero state catapultate in una strana dimensione dove la lontananza da chi amavano cambiava loro il carattere.

«No, Court. L'ho lasciato.»

Fredda e lapidaria, Gwen aveva lasciato trapelare dalle proprie labbra quell'informazione.

Courtney rimase scioccata.

«Sei un'idiota o che altro? Io non avrei mai-

Fu interrotta da un gesto eloquente di Gwen.

«Non ho bisogno di una ramanzina.»

Una lacrima le scese placidamente lungo la guancia, contro la sua volontà.

«Va bene, va bene.» asserì Courtney. «Facciamo che vieni a stare da me, almeno per un po'. Così analizziamo bene la situazione e ti facciamo tornare con lui senza che ti sembri che sia successo mai nulla!»

Gwen sgranò gli occhi di ossidiana: la castana aveva parlato con un'esaltazione che la faceva inorridire.

«Va bene» disse svogliatamente. Non aveva voglia di litigare con l'amica un'altra volta.

Si separarono perché la mora aveva bisogno di andare a casa a prendere qualche vestito per trasferirsi momentaneamente dall'altra.

Courtney tornò a casa lentamente, e prese a svuotare un cassetto del mobile accanto al letto per lasciare un po' di spazio alla sua nuova coinquilina.

Mentre spostava le cose, lo sguardo le cadde sulla pila di pezze spesse bianche che utilizzava nel periodo del ciclo. La realtà la colpì come una martellata: aveva un ritardo di due settimane.

Oddio.

Si accasciò lentamente al suolo, non sapendo se piangere o urlare.


***



A/N Eccoci di nuovo nelle note a fine pagina :)

Otto recensioni al capitolo precedente? Siete una favola, ragazzi **

Devo ammettere di essermene aspettate di meno (ma questo non è un invito a recensire di meno ò.ò), mi avete piacevolmente sorpresa :)


Beh, qui qualcosa è cambiata, dal punto di vista della trama. Duncan e Trent si odiano, non sono amiconi (ewww x.x) come avevo narrato nella versione precedente C.C

Solo io vedo taaaanta tensione.. particolare fra quei due? E con 'particolare' intendo 'sessuale'. Già.

Uhuh, no, ok. Sono sì una slasher senza speranze di ripresa, ma i rating è arancione e tale resterà. Al massimo *SPOILER SPOILER SPOILER* li faccio baciare. Ripetutamente.


Ho deciso anche di inserire una sottospecie di rubrica in ogni angolo autrice: gli spoilers.

Avvertirò prima di iniziare a scriverne e lo farò in grigio chiaro, così chi non vuole rovinarsi la sorpresa li può comodamente saltare. Ma tanto so che non li salterete 3:D

Indipercui..

SPOILERS

Vi ricordate cosa succede a Courtney, sì? Un fastidioso ritardo.

Per quanto riguarda Trent e Duncan, la tensione salirà fino alle stelle per poi sfociare in qualcosa di concreto, ma non penso di parlare di angst (la mia beta Faith sa bene quanto io lo odi xD), bensì di continue frecciatine. Anche perché in questa storia, Duncan e Trent non sono innamorati l'uno dell'altro. Per niente.

Ho anche un'altra cosa da chiedervi: ho pensato di introdurre un paio di altri personaggi.

Qui entrate in gioco voi: vi piacerebbe se fossero Brick e Jo? Come figura stupida preferite Linsday o Lightning? C'è qualcun altro che vorreste facesse parte della storia?

Sarò contenta di trattare il personaggio che sceglierete; come unico favore, però, vi chiedo di non chiedermi di introdurre né la Dott né Scott con qualsiasi altro personaggio. Ormai, Scott io lo concepisco come uno spirito libero e Dawn mi sta un po' antipatica. Già.

Aspetto le vostre richieste!

E fin qui con i tempi di aggiornamento va tutto ok, no? È Mercoledì ed io ho aggiornato.

Mi sento infinitamente potente *O*

A Mercoledì prossimo!

CloClo :)

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Capitolo 3
*** Capitolo terzo ***


Capitolo betato in tutta fretta da quella meraviglia della natura che altri non è che

Akakuro Hybrid, la mia armigera senza la quale sarei persa, mi sembra ovvio.

Grazie per tutto quello che fai per me; ti amo tanto, tesoro

La canzone citata qui è Somewhere Only We Know, una delle più belle che siano

mai state scritte. Ovviamente, con Trent non c'entra niente, come non c'entra

niente con l'età in cui l'ho collocata (infatti è del 2004 C.C). Vi chiedo perdono per quest'incongruenza temporale, ma avevo bisogno di far comporre a quell'uomo

meraviglioso una canzone e questa mi sembrava calzarci a pennello :)



REVIEWS MAKE CLOVER HAPPY :)



Ti ritroverò.


Trent non trovò il coraggio di spedirle una lettera di scuse nemmeno un mese dopo esser partito.

Era sempre stato bravo con le parole, d'altronde era un chitarrista ma anche un compositore e, oltre a scrivere la musica, scriveva anche il testo delle sue canzoni.

I suoi testi erano vari, anche se lui prediligeva le canzoni d'amore. Non quelle tristi però, non quelle in cui due si lasciano e si versano lacrime di amara solitudine che come perle vanno a posarsi sui colletti delle camicie per poi essere assorbite dal tessuto rigido che li compone. Trent amava le canzoni dedicate a chi si ritrova, all'amore che rispunta fuori dopo aver passato anni sotto la coltre più nera di pece e carbone, amava vederlo rispuntare fuori ancora sporco di polvere solo per poterci soffiare sopra e rimuoverla riducendola a tanti minuscoli fiocchi di neve.

Ed era quello il problema: Trent l'amore l'aveva perso e chissà se l'avrebbe ritrovato.

Gli mancavano le parole per chiederle scusa -sempre che ci fosse stato qualche motivo per chiederle scusa- e per dirle che l'amava non di un amore posticcio, ma che l'amava come un usignolo ama la primavera.

Le avrebbe cantato queste parole pur sapendo che lei, fredda com'era, non le avrebbe accettate.

Gliele avrebbe piante.

Cristo, dov'è finita la mia dolcezza? si era ritrovato a chiedersi più e più volte. Il dramma era che non ne aveva la minima idea. Poteva provare rabbia, tristezza, rimpianto, ma nessuna traccia di dolcezza.

Non era più Trent, era perlopiù un fantoccio di cartapesta con due perle verde spento al posto degli occhi che non era più in grado di godersi la vita.

Drammatico, sì, ma terribilmente vero.





Era notte fonda quando smise di mordersi le unghie e cominciò a suonare. La casetta era abbastanza staccata dal resto delle altre dove alloggiavano gli altri membri della cooperativa, per cui non pensò all'eventuale fastidio che avrebbe potuto produrre e sfiorò le corde della chitarra con le dita lunghe e sottili.

Dita di un artista, le aveva una volta definite Gwen.

Ancora se la ricordava, quella scena. Si erano appena visti, avranno avuto undici o forse dodici anni. I loro genitori erano amici e, nell'incontrarsi un giorno, li avevano fatti conoscere. Avevano passato insieme un intero giorno a ridacchiare e chiacchierare, senza che lui sapesse quanto poco spesso lei si aprisse in tal modo alle persone che intersecavano la sua vita.

Comunque sia, ti voglio bene... Hai le dita sottili, nervose, come quelle di un artista, ed anche il tuo animo è così...* Queste erano state le sue ultime parole della giornata, o almeno le ultime che Trent ricordava.

Non gli sovveniva nemmeno come Gwen avesse definito il suo animo, o forse la madre l'aveva tirato via prima che potesse sentire la parola lasciare le labbra rosee della ragazzina che, con l'allontanarsi, era diventata sempre più piccola fino a divenire un puntino non più grande di un acaro.

Esercitò una pressione più forte sulle corde e compose il primo accordo, un Do maggiore senza dissonanze o cacofonie. L'indice che premeva sulla seconda corda dal basso all'altezza del primo capotasto venne sollevato per dar vita al secondo accordo, uno dei più belli che la mente umana avesse mai composto. Un semplice Do settima aumentata, ma a sentirlo pronunciare l'effetto è molto minore che a sentirlo vibrare nell'aria.

Dopo questo, un Re minore intenso e ricco di sentimento.

La gente non capisce quanto un accordo possa rifulgere dell'anima di chi lo suona finché non lo prova lei stessa sui calli delle proprie dita.

Trent l'aveva provato.

Quattro tempi dopo, un Sol maggiore elementare.

Mischiati insieme e ripetuti all'infinito, questi quattro accordi diedero vita alla strofa dell'ultima canzone che aveva composto Trent, qualche mese prima.

Is this the place we used to love?
Is this the place that I've been dreaming of?

Bridge, La minore e Mi minore. Trent si chiese perché mai i minori dovessero suonare così strazianti.

Portando l'indice a barrè sul manico -quell'azione l'aveva fatta così tante volte che ormai non sentiva più il dolore lancinante al dito, ma le prime volte non riusciva nemmeno a suonare l'accordo-, compose un Fa e poi un Sol, spostando la mano di altri due capotasti.

Oh, simple thing, where have you gone?
I'm getting old and I need something to rely on

Re minore, di nuovo. Mi minore, un'altra volta. Sol maggiore, come aveva già fatto. E giù col ritornello, dedicato all'immagine sfocata di lei che aveva stampata in mente.

And if you have a minute, why don't we go

Talk about it somewhere only we know?

«Cristo, Trent, è l'una e mezza di notte, la pianti o no con quella chitarra?»

Duncan aveva spezzato l'universo alternativo che solo e soltanto quella canzone riusciva a creargli.

«Puoi evitare di fare l'insensibile?» sputò fra i denti il moro.

«Ah, senti, -asserì Duncan, ogni parola come una stilettata nelle spalle- io ho bisogno di dormire e non me ne frega niente dei tuoi problemi.»

Perché Duncan fosse così acre nei confronti di Trent era ancora un mistero.

«Posso almeno finire la canzone?»

«Non esiste. Dormire. Stanco.» disse Duncan passandosi una mano fra i capelli corvini ed indicando il letto sul quale era sdraiato.

Trent mugugnò e si stese accanto all'altro sul letto matrimoniale.

«Sparisci.» sbuffò lui.

Trent non si mosse, convinto nel restare lì dov'era. Duncan lo spinse fino al bordo del letto, ma una volta arrivato fino alla sponda del letto questi si tenne così stretto ai bordi che il moro rinunciò alla speranza di buttarlo giù.

D'altronde, però, ormai era un mese abbondante che questa tiritera si ripeteva.





Accasciata con la schiena a contatto con la cassettiera, Courtney cercava di ignorare completamente il pesante senso di opprimenza che le era caduto sul petto come un macigno.

Convogliava tutte le sue forze rimanenti -perché gliene restavano davvero poche- nello sperare che fosse solo un ritardo. Solo uno stupido, insensato, inappropriato ritardo. Un ritardo madornale, come quelli di Duncan, ma pur sempre un ritardo.

Purtroppo, però, le sue aspettative furono totalmente deluse.

Scrisse con mano tremante e calligrafia incerta una lettera per lui. Almeno non avrebbe trovato una triste sorpresa al suo ritorno.


Ciao Dunc.

È successo proprio quello che, fosse stato per me, avrei evitato.

Ho un ritardo. Un ritardo non nel senso che non sono arrivata puntuale, ma che qualcosa di me non è puntuale. Ho.. Aspetto un bambino.

Non ho nemmeno la voglia di chiamarla 'dolce attesa', e sai perché? Beh, mettiti comodo, tesoro, ché ho fatto una lista.

-Sarà Marzo quando nascerà, ed io sarò qui e tu ancora in Canada.

-Non ho mai voluto un figlio.

-Non penso saresti un buon padre.

-Ho paura dei dolori del parto.

-Non so a chi rivolgermi per un aiuto.

-Mi verranno sicuramente le nausee.

-Mi verranno anche le voglie.

-Ingrasserò.


Tutto ciò è ridicolo. Dai una bastonata a McLean e torna qui, prima che trovi un modo per raggiungerti io stessa. Sai che sarei in grado di farlo.


Courtney





Il giorno seguente arrivò una lettera da Duncan.

Calcolando che la sua l'aveva spedita il giorno prima, la speranza che quella busta contenesse una risposta riguardo agli argomenti da lei esposti era praticamente vana. E così fu, perché Duncan le aveva scritto qualche settimana prima ed i fogli le erano stati recapitati solo in quel momento.


Hey, principessa,

Non ce la faccio più a stare qui, senza di te. È triste.

Mi manchi tanto.

Ed io sto diventando fottutamente dolce. Ewww.


Quel maledetto chitarrista suona, la notte. Mi fa paura, canta canzoncine su luoghi che conosce solo lui e si lamenta che, pur essendo l'una di notte, io lo costringa a smettere di suonare. Secondo me si fa di oppio.

Quasi ogni notte mi abbraccia.

Secondo me, fa i pensierini su noi due ogni volta. Mi spaventa.

Ed io sono sexy. Lo so, altrimenti Trent non ci proverebbe con me.

Perché ci sta provando, sì?

A presto.


E non volevo scrivertelo, ma ti amo.


Duncan


Dio.

Non sapendo se urlare alla sua insensibilità o piagnucolare al suo ricordo.

Ormai, Courtney passava ogni giornata con Gwen -piuttosto normale, visto che convivevano-, che ormai stava diventando la sua migliore amica. O forse la sua unica amica, questo non lo sapeva ancora.

Avevano scoperto di essere molto diverse, ma anche che talvolta l'essere diverse aiuta ad avvicinarsi.

Ridevano insieme, mangiavano insieme, uscivano insieme e cucinavano insieme.

Non mancavano i diverbi, ovviamente, ma non era troppo difficile passarci sopra, una volta fatto il punto della situazione.

Per arrotondare un po' -non che mancassero loro i soldi, ma qualche dollaro in più non guastava mai- facevano dei lavoretti occasionali, ma più che un modo per guadagnare questo era un modo per non pensare. Quando si lavora tanto, il cervello smette di trasmettere immagini tanto profonde e torna a mostrare scenette quotidiane lasciando corpo e anima di chi si sforza in una situazione di stallo.

Perché in realtà c'era qualcosa che mancava a Courtney.

Duncan.




***


A/N Ed eccoci qui, è Mercoledì ed io ho pubblicato di nuovo. Figo.

Cos'è successo, stavolta, di nuovo? Ricapitolando, Trent e Duncan fanno scintille di tensione, Gwen e Courtney sono amiche e si vogliono bene, con la speranza che l'IC sia stato mantenuto. Courtney è decisamente incinta, ma a differenza della trama precedente, non si scioglie in lacrime invocando Duncan e pensando a degli eventuali nomi per il nascituro (Diomio, a volte mi faccio schifo da sola!), ma anzi fa una lista degli aspetti negativi della faccenda. LOL, amo scrivere di lei :3

Abbiamo anche due lettere molto meno mielose delle precedenti (ewww) e qualcosa di molto più concreto. #Soproudofme :D

Dovete sapere che io, nel documento che ho sul pc, sto riscrivendo la storia capitolo per capitolo, e quindi ho ancora i vecchi capitoli dal 4 al 9, visto che non li ho cancellati. Li cancello quando li riscrivo, e vi assicuro che rileggere la vecchia trama è traumatizzante.

Era oscena, ve lo dico senza mezzi termini.

Trent che suona Somewhere Only We Know (awwww **) è disarmante, l'ho sognato una notte ed era così... vero che non ho potuto fare a meno di inserirlo qui. E la canzone è stupenda. Ma lo è soprattutto Darren Criss/Blaine quando la canta a Chris Colfer/Kurt. È la mia canzone, e gli accordi sono quelli veri :3 Un consiglio? Se la volete strimpellare, fatela in La, non in Do. È incantabile (xD), ma l'ho messa in Do perché mi piaceva l'idea di descrivere il cambiamento di posizione da Do a Do7+: si toglie un dito per aumentare qualcosa. Non è spettacolare?

LOL, ignoratemi. Sono un disastro xD


PRECISAZIONI:

* - l'avete riconosciuta? Se sì, meritate un oscar ed una standing ovation ♥ Non è altro che una citazione del grandissimo Checov, il commediografo che scriveva tragedie nella Russia della seconda metà dell'Ottocento/primi del Novecento. La battuta è tratta da Il giardino dei ciliegi, atto IV. Non la conoscete? Leggetevi le quattro opere principali di Checov. Magari non vi piaceranno molto, come è successo a me, ma qualcosa vi rimarrà.


Le traduzioni dei pezzetti di canzone che canta Trent sono rispettivamente:

È questo il posto che di solito amavamo?

È questo il posto di cui ho sognato?


Oh, semplicità, dove sei andata?

Sto invecchiando ed ho bisogno di qualcosa su cui contare


E se hai un minuto perché non andiamo

A parlarne in un posto che solo noi conosciamo?


SPOILERS:

Ve lo dico chiaro e tondo: vi ricordate che Court va in Canada? Ecco, scordatevelo. Non farebbe mai una pazzia del genere solo per Duncan. Non è IC ù.ù

Ma qualcosa succederà, non sentiatevi svuotati per questa mancanza (?).

In arrivo Brick e Jo a breve, e magari trovo anche uno spazietto per Zoey.


A Mercoledì prossimo, sperando che non mi riduca all'ultimo anche stavolta xD

CloClo :)

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Capitolo 4
*** Capitolo quarto ***


E stavolta la beta è stata di nuovo Faithfully, che mi ha salvato la storia. Di nuovo.

Non ho davvero parole per dirti quanto mi faccia bene e quanto mi renda felice

tutto quello che stai facendo per me Sei una persona fantastica

Questo capitolo è per Giulia, alla quale ho promesso una storia qualche giorno fa in

uno stranissimo dialogo su Facebook. Ed io ho tradotto Homecoming dall'inglese al

greco antico. Già. Si intitola Καθόδος Οικάδε (kathòdos oikàde), e significa ritorno a casa.

Proprio come Homecoming. Oddiomio, lasciatemi perdere.

Annuncio una sfumatura di OOC (sempre che la mia amata beta non mi smentisca) nel dialogo

fra Gwen e Courtney, ma ne ho avuto bisogno.



REVIEWS MAKE CLOVER HAPPY :)



Ti ritroverò.

Erano passati due mesi e Trent non era ancora riuscito a buttare giù nemmeno il più inutile straccio di lettera.

Aveva afferrato una matita almeno sette volte nell'ultima mezz'ora, si era seduto davanti ad un foglio di carta di qualità scadente ma non era riuscito a cavare un ragno dal buco. O una parola dalla grafite, come dir si voglia.

Provava invidia, un'orribile e ingiusta invidia verso Duncan quando lo vedeva scrivere qualcosa a Courtney. Cosa avevano da dirsi? Come faceva quel cuore di pietra a trovare le parole più adatte da imprimere sulla carta per spedirle ad una donna?

Perché lui era crudele ma aveva una ragazza, mentre Trent era un animo buono ed era solo?

Quasi per rimarcare queste sue eterne domande e per amplificare la sua gelosia, in quel momento entrò un Duncan piuttosto scosso.

«Problemi?» si ritrovò a chiedere Trent.

Perché continuasse a parlare con Duncan era un mistero bello e buono.

«Sì, due: tu e i tuoi affaracci, che non ti fai mai.» sparò il moro. Era palesemente di cattivo umore, e Trent decise di non andare oltre per evitare di prendersi altri insulti. Non ne aveva bisogno.





Aveva confessato a Gwen di essere incinta, ma dopotutto non sarebbe riuscita a nasconderlo a nessuno. La sua vita e i suoi seni si ingrossavano e non c'erano scusanti se non il portare un bambino -o una bambina, chi l'avrebbe potuto dire?- dentro di sé.

Gwen aveva sbarrato gli occhi di liquirizia ed aveva tirato fuori la faccia più scandalizzata del suo repertorio.

«Ed ora?» chiese, con voce tremante.

«Non lo so, ma qualcosa mi inventerò.» rispose la castana.

Courtney non si sarebbe mai buttata giù, nemmeno davanti ad un ovvio problema come questo.

«Potremmo andare in Canada.» provò la mora. Inarcò le sopracciglia verso l'alto e tentò un'espressione incoraggiante, col solo risultato di un viso segnato dalla preoccupazione.

«Potrei venire con te.» sussurrò in seguito.

Courtney ingrandì le pupille aprendo le ciglia inverosimilmente.

«Non ho bisogno di te. Hai anche lasciato Trent, seriamente, restatene qui.»

La castana era orgogliosa. Era sempre stata orgogliosa fino al midollo e Gwen sapeva che avrebbe rifiutato questa sua offerta di accompagnarla. Non voleva di certo dire a Courtney che si era quasi pentita di aver lasciato Trent, aveva una dignità anche lei. Diamine.

«No, Court.»

Non aveva addotto alcuna spiegazione al suo diniego, ma l'altra sembrava averla presa abbastanza bene, visto che abbassò gli occhi e cercò con lo sguardo una borsa nella quale riporre qualche effetto personale per il viaggio.

«Resta qui.» sputò Courtney fra i denti.

Per sua sfortuna, però, Gwen era determinata al massimo. C'è da dire che da Chicago a Vancouver non era proprio una passeggiata col parasole, ma c'era in ballo molto.

Non era mai stato adatto a lei l'amore che tinge di rosa anche il più nero dei giorni, ma ricordava com'era stata dopo che aveva visto una ragazza mora e con gli occhi grigio piombo baciarlo a tradimento davanti a lei solo per far ingelosire un altro.

«Courtney, no.»

Intrapresero una lunga e difficile battaglia di sguardi, facendo cozzare le loro iridi scure senza che distogliessero l'una gli occhi dall'altra. In quei fili d'argento che legavano le loro pupille, c'era tutto. C'era tristezza e c'era determinazione, c'erano rimpianti e c'erano speranze. In quello che partiva da Gwen ed andava a Courtney c'era anche una richiesta silenziosa.

«Passami quella gonna.» disse la castana.

Gwen assottigliò gli occhi e distese le labbra in un mezzo sorriso.

Iniziarono a mettere le cose nella borsa da portarsi appresso, notando con contentezza quanto l'aria fosse meno carica di tensione, in quel momento.





Dieci ore di treno, questa era la durata del viaggio, o almeno così appresero alla stazione.

Comprarono i biglietti senza troppe esitazioni e si diressero verso il binario indicatogli dal capostazione, dal quale il mezzo sarebbe partito un'ora dopo. Si guardarono intorno alla banchina d'attesa per individuare i loro compagni di viaggio.

Notarono immediatamente due ragazzi, che avranno avuto pressoché la loro età, ad una decina di metri da loro. Lui, nonostante la sua aria da ragazzo serioso e rigido, non faceva altro che grattarsi la nuca coperta da una zazzera nera ed abbassare gli occhi, neri anche quelli, al suolo, mentre la ragazza agitava le braccia scuotendo la testa bionda e volgendo gli occhi blu da ogni parte. Le sue labbra si muovevano, ma a causa del chiasso che c'era, alimentato anche da tutti quelli che aspettavano il treno da quel binario, né Courtney né Gwen riuscirono a capire cosa stava dicendo. Le sopracciglia inarcate verso il basso, però, erano un chiaro segno che quello non era un discorso dolce, ma una discussione vera e propria.

Chissà perché stavano litigando.

Il rumore del treno in arrivo le destò dalla coltre scura di pensieri in cui erano affondate, così entrarono e presero i posti nello scompartimento il cui numero era scritto sul biglietto.

La coppia che avevano visto prima in stazione si sedette di fronte a loro, ma la situazione restò bloccata per un po'.

Nessuno dei quattro parlò per molti minuti.





Duncan si era alzato prima del solito, beccando di nuovo Trent abbracciato a lui.

«No, forse non hai capito.» quasi urlò quando disse queste parole scandendo bene ogni sillaba. L'altro ragazzo si destò di soprassalto spalancando gli occhi e ritrovandosi con le braccia attorno al corpo di Duncan.

«Non devi toccarmi. Non devi abbracciarmi nel sonno. Non devi dormire nel mio letto.» continuò con uno sguardo di ghiaccio.

«Posso sapere, allora, come mai non hai ancora tolto quelle... -fece un cenno alle proprie braccia- da te?» proclamò il moro in modo riprovevole.

Duncan ruotò il busto senza tuttavia sgusciare via dagli arti dell'altro finché non si trovò faccia a faccia con Trent. Si avvicinò ancora di più e per un attimo Trent temette di ritrovarsi nella stessa situazione di qualche mattina prima, quando Duncan aveva toccato il suo naso con il proprio. Ricordò la sensazione di sconforto che aveva provato e venne attraversato da un tremolio. Invece, Duncan accostò le labbra al collo del moro, per poi sussurrare ad un centimetro da esso

«E tu perché non ti sei ancora alzato e non ti sei scostato da me?»

Trent si girò repentinamente e si tirò in piedi velocemente, aprendo le braccia e posando i palmi sul petto di Duncan per allontanarlo in fretta.

Si riassettò i capelli con una nota d'isteria e si strusciò le mani sulla giacca del pigiama, per poi aprirla e togliersela.

«Che succede, sfigato, ti sei accorto di voler andare oltre i semplici contatti di naso?»

Trent lo guardò con odio e gli si riavvicinò gonfiando il petto nudo. Aveva pochi peli sul torace che sembravano decisamente piacevoli al tatto. Senza dare il minimo preavviso all'altro, andò a toccargli la fronte con la sua. Inarcò le sopracciglia verso l'attaccatura dei capelli e piantò le iridi rese più scure dalla rabbia e dalla frustrazione in quelle quasi trasparenti di Duncan.

«Smettila di darmi fastidio. Sei insopportabile, te l'hanno mai detto?»

Duncan rimase sorpreso da se stesso per l'insolita reazione che aveva appena avuto. Infatti, si era sentito la gola secca ed aveva avvertito un flusso di sangue maggiore del solito dirigersi verso le guance.

Ma non era attratto da Trent, o almeno di questo provò a convincersi.

Lui era innamorato di Courtney, ed era etero. Etero inconvertibile.





Passarono due ore, ma i quattro passeggeri rimasero in silenzio. In un imbarazzante silenzio, cosa che portò Gwen a diverse risatine isteriche e Courtney a chiedere all'altra a bassa voce se avesse con sé dei biscotti d'avena.

«Ottima scelta! Io amo i biscotti d'avena!» s'illuminò allora il ragazzo seduto di fronte a Gwen, suscitando un sussulto della ragazza in questione e beccandosi una gomitata nello stinco da quella che stava affianco a lui.

«Fa' silenzio, Capitan Piscina!»

Courtney sgranò gli occhi scuri: com'è che l'aveva chiamato?

Si dipinse in faccia un'espressione intelligente e si passò una mano sulla fronte.

«Oh, ma non ci siamo presentati, eppure dovremo trascorrere altre ore insieme!» tese il braccio verso i due, non sapendo bene se doverlo dirigere più verso l'uno piuttosto che verso l'altra.

«Courtney.»

Disse il suo nome con una nota esaltata.

«Gwen.» pronunciò indicando l'amica al suo fianco.

Il moro di fronte a loro spalancò gli occhi piacevolmente stupito da questo slancio, e replicò con un Brick a voce molto alta.

«E Jo.» aggiunse quella accanto a lui. Aveva gli occhi blu e severi, come quelli di un serioso generale pluridecorato dell'USN.

Gwen rilasciò l'ennesima risatina sconclusionata.

La bionda davanti a loro sembrava indisposta a parlare, ma Brick no e quindi la conversazione in cui tanto avevano sperato, per quanto basilare e poco attenta ai dettagli, ebbe inizio.

«Perché andate in Canada?» chiese lui ad un certo punto.

La situazione si bloccò, in quanto né Gwen né Courtney amavano dire i propri fatti a tutti.

Notando l'assenza di risposte, Brick prese la mano di Jo e la strinse.

«Noi ci concediamo un minimo di pausa dall'America. A volte non è male staccare.»

Non fece però in tempo a finire la frase che lei rimosse celermente la mano da quella di Brick e si voltò verso il finestrino, smorzando ogni speranza che il discorso venisse ripreso.





Quando arrivarono alla loro postazione di lavoro quella mattina, Trent e Duncan trovarono una sorpresa né sgradita né ben accetta.

Accanto alla scrivania di Duncan c'era una donna molto formosa e poco vestita, o almeno il proprietario della sedia notò questo. L'altro, invece, si accorse dello sguardo della donna: aveva due occhioni azzurri molto grandi che sprizzavano stupidità.

Se era una ragazza intelligente, allora era veramente brava a nasconderlo.

«Voi siete i nuovi architetti? Io sono Lindsay, sono stata assunta ieri da Chase perché vi aiutassi nel vostro lavoro!»

Enunciò queste parole di fretta, senza riprendere mai fiato. Trent si chiese se avesse mai avuto un'ipossia*.

«A dire il vero -continuò lei-, Chase non ha detto solo 'lavoro'. Ha detto scabro lavoro, ma al momento non so cosa significhi la prima parola, quindi...»

Ci misero un po' prima di capire che Chase era in realtà Chris: ci arrivarono solo quando sentirono le parole successive della bionda.

«Chase mi ha parlato di voi. Siete Dylan e Grant, giusto?»

Alzarono gli occhi al cielo non propriamente nello stesso momento, ma con un quarto di secondo di sfalsamento.

«Duncan e Trent.» puntualizzò quello con gli occhi verdi.

In quell'istante, entrò un'altra ragazza nello studio. Aveva i capelli rossi ed era molto graziosa. Soprattutto, aveva due occhi nocciola come due cavalli imbizzarriti: si muovevano velocemente, ansiosi di sapere e conoscere.

«Lindsay è qui?» chiese con una nota acuta di preoccupazione nella voce.

Dopo averla vista, si calmò.

«Duncan Nelson e Trent McCord? Piacere, sono Zoey, la seconda delle due assistenti.» proclamò tendendo loro il braccio. Trent le prese la mano e la strinse.

«Il piacere è mio. Io sono Trent e lui è Duncan.» disse, tanto per precisare chi fosse chi.

Zoey sorrise.

«Che strano, a prima vista avrei detto il contrario! Non è forte?» trillò la bionda lì accanto battendo le mani tra loro più volte.

Trent si passò le dita sulle tempie.

La situazione gli stava sfuggendo di mano.






***


A/N Non riesco a credere di essere in regola coi tempi. Sono esaltatissima, lo ammetto **

E, lo so, avevo detto che Court non sarebbe andata in Canada. Ma non ho detto che non ci avrebbe messo piede, bensì intendevo che non ci sarebbe andata da sola.

La tensione tra i due aumenta, non posso fare a meno di scrivere scenette pseudo-slash su di loro, è più forte di me! :DD

C'è un appunto importante su quella scena, ma lo scriverò negli spoilers, per chi non si vuole rovinare la sorpresa.

E poi cos'altro abbiamo? Ma loro, i nuovi arrivi: finalmente, eccovi Brick, Jo, Zoey e Lindsay, come avevate richiesto! Diciamo che mi sono divertita troppo a scrivere di Lindsay, è la mia paperotta ed è troppo divertente da descrivere :°D Zoey è un po' l'anima ragionevole della situazione, colei che farà rendere conto Trent e Duncan di una cosa.

Di Brick e Jo si sa ancora poco, ma vi assicuro che se ne saprà!

Vi chiedo umilmente perdono per la coltre di OOC che non sono riuscita a rimuovere dal primo dialogo fra Gwen e Courtney, se lo trovate estremamente sgradevole non esitate a dirmelo!

Ed ora ho una domanda: cosa ne pensate del femslash? Insomma, ormai ho deciso che *SPOILER SPOILER SPOILER* Trent e Duncan si baceranno, anche se vi ricordo che NON SARANNO INNAMORATI. Non ne scaturirà una storia slash, voglio solo provare a farli sbaciucchiare :33 Per questo la mia domanda è: volete che si bacino anche Gwen e Courtney? Ovviamente senza innamoramenti, come fra i Trencan ù.ù


PRECISAZIONI:

* - l'ipossia è la malattia di chi ha poco ossigeno che arriva al cervello. Lindsay, parlando velocemente senza prendere mai fiato, fa destare in Trent il sospetto che le possa venire :D

E questa la scrivo per Faith: no, tesoro, il fatto che Lindsay scambi il nome di Trent per Grant non è un caso xD


SPOILERS:

Zoey darà la spinta a Trent e Duncan perché accettino che sono l'uno il ragazzo eccezione dell'altro. Sapete cos'è un ragazzo eccezione? È una persona del sesso opposto dal quale si è attratti verso la quale comunque c'è attrazione. Attenzione, non amore, ma attrazione. Un po' come Santana e Sebastian, se seguite Glee xD


AVVISO:

Dunque, mi vedo costretta a comunicarvi che Mercoledì prossimo non potrò aggiornare, perché sarò in vacanza studio. Lo sarò anche la settimana dopo, ma per fortuna ho un fratello fantastico, Hidden Writer, che avrà il capitolo e le informazioni con cui postarlo. Comunque sia, mi piange il cuore, ma salterò una settimana nella tabella di marcia :(


CloClo :)

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Capitolo 5
*** Capitolo quinto ***


Sono una persona orribile :/

Vi avevo promesso un capitolo per Mercoledì scorso, ma la valigia aveva impiegato tutto

il mio tempo e per questo motivo non ho scritto il capitolo che avrei dovuto far postare

a quel geniaccio di Hidden Writer. Se ve lo state chiedendo, però, Barcellona era stupenda :)

Akakuro Hybrid, la mia armigera, ha betato il capitolo Amatela! *sparge arcobaleni ovunque*


Dunque, mi sono anche accorta di aver fatto un errore madornale, e vi chiedo perdono ancora

prima di dirvi che razza di errore sia xD

Ho detto che il viaggio in treno delle due ragazze sarebbe durato dieci ore, ma mi sono resa conto

or ora che dieci ore è un tempo incredibilmente breve. Basti pensare che, a giorno d'oggi,

attraversare la Russia impiega OTTO GIORNI in treno, se contiamo che si parla del 1871..

Ho deciso che dieci ore di treno saranno la prima parte del viaggio, ossia quella che porterà i

passeggeri da Chicago a Thunder Bay, una cittadina appena più a nord del confine Canadese.

Da lì, si vedrà :) Ho già provveduto a modificare i capitoli precedenti :)


REVIEWS MAKE CLOVER HAPPY :)



Ti ritroverò.

Courtney sedeva su una poltrona verde a righe color crema, che si poteva definire comoda, al centro del salotto di una casetta assolutamente deliziosa al centro di Vancouver. Le pareti richiamavano il crema delle decorazioni geometriche sulla poltrona, al centro c'era un divano realizzato con la stessa stoffa e al centro c'era un tappeto verde. Su quest'ultimo, un tavolino in ebano faceva la sua figura, sopra vi erano costantemente appoggiati un vassoio con dei bicchieri di cristallo ed una brocca della stessa linea, quasi sempre vuoti. Addossato al muro c'era un camino, che in quel momento era spento, ed accanto una gran libreria piena di trattati e saggi ostentava la sua importanza. In un angolo c'era anche un mobiletto pieno di alcolici, ma era più per tenerli in bella vista perché risultavano gradevoli nell'insieme estetico del salotto che per scolarsene un bicchierino a sera.

La pancia di lei era grande poiché era incinta del terzo figlio all'incirca al quinto mese.

Accarezzò dolcemente il bracciolo della poltrona mentre si concedeva di guardare la sua vita ingrossata. I dolori degli altri due parti erano solo fantasmi all'interno della sua mente, oramai ricordava solo la gioia di tenere una creaturina appena venuta al mondo fra le braccia.

Si stava quasi per assopire quando le si avvicinarono le altre due bambine: Diana, uno scricciolo di sette anni con i capelli castani e gli occhi azzurri, ed Ellie, una bimba di cinque anni mora e con gli occhi castani. Una spruzzata di lentiggini al cioccolato figurava sui entrambi i visini delle piccole e le rendeva solo un po' più adorabili di quanto non fossero già.

Diana tese una manina verso la madre, che l'afferrò immediatamente, Ellie si sedette semplicemente a gambe incrociate ai piedi della poltrona verde.

«Mamma, c'è un problema.» disse la maggiore con uno sguardo che sarebbe voluto essere serioso, ma che in realtà di severo non aveva niente.

Courtney si girò verso di lei e le lanciò un'occhiata interrogativa, ansiosa di sapere quale fosse il fulcro della conversazione.

Fu Ellie a parlare.

«Papà ha detto che sono finiti i biscotti al cioccolato.»

In un'altra occasione, la donna sarebbe scoppiata a ridere in faccia alle bambine, per poi portare una mano sulle loro guance in una tenera carezza con un lieve retrogusto di maternità, ma quella volta sbiancò.

Non dovevano finire proprio in quel momento, quei dannatissimi biscotti.

Non quando il suo corpo aveva deciso di farsi venire l'ennesima voglia, stavolta di cioccolato.

E quei biscotti erano l'unica traccia di cacao che avevano in casa. Ed erano finiti.

Inspirò lentamente, poi espirò.

Aprì le labbra, mentre le piccole si portavano le manine alle orecchie preparandosi all'urlo che sarebbe arrivato di lì a momenti.

«Duncan!» esclamò Courtney.

In poco più di dieci secondi, l'uomo era dinnanzi a lei e aveva spalancato gli occhi cerulei come per domandare cosa ci fosse che non andava.

Duncan era diventato un architetto con una certa fama, era molto conosciuto e stava progettando un altro importante quartiere residenziale, insieme ad un'altra squadra di professionisti di cui lui, ovviamente, era il migliore e il più efficiente.

Con il tempo, si era rasato quell'orribile pizzetto per lasciare che la sua faccia fosse liscia, si era tolto l'orecchino fatto anni prima -anche se il buco non si era mai chiuso- ed aveva iniziato a vestire in modo tutt'altro che indecente. Era diventato un marito modello e Courtney ne era fiera.

«I biscotti al cioccolato.» proferì lei.

L'uomo la guardò con fare interrogativo.

«Sono finiti.» continuò la donna.

«E quindi?» chiese lui.

Oh, no.

Pessima mossa.

Davvero pessima mossa.

Courtney inorridì e gli puntò un dito contro.

«Le voglie! Le mie voglie!»

Duncan sembrava non capire.

«Le tue voglie cosa?»

Fu Diana a prendere parola.

«Papà, mamma ti sta dicendo che vuole un biscotto, ma tu hai mangiato gli ultimi quattro dieci minuti fa.»

La piccola, esaltata com'era dal potersi immettere in una discussione da grandi, non si era però accorta del padre, che le stava facendo gesti a metà fra il supplicante e l'arrabbiato.

Evidentemente, Duncan non voleva che si sapesse che i biscotti li aveva mangiati lui.

«Tu... Cosa?» Lei sgranò gli occhi.

«Sei stato tu?» chiese.

Nel preciso momento in cui Duncan aprì la bocca per tentare di giustificarsi, la moglie iniziò a sbraitare su quanto fosse stato egoista e meschino, e lo obbligò in quattro e quattr'otto ad andare a comprarne un paio di nuovi pacchi.

L'uomo annuì sconsolato e, dopo aver baciato sulla guancia le bambine, si avviò verso la porta, chiedendo mestamente scusa con gli occhi a Courtney.





«Signorina?»

Courtney aprì gli occhi di botto, trovandosi Brick a pochi centimetri da lei.

«Che c'è?» chiese con la voce ancora impastata dal sonno.

Il ragazzo le disse qualcosa, ma lei non lo ascoltò, in quanto aveva appena deciso di concedersi di guardarsi attorno per capire in che situazione fosse.

Si mosse sul sedile. Non assomigliava per niente ad una comoda poltrona verde a righe crema. Attorno a lei non c'era una possente libreria, ma solo le pareti ferrose del treno, e dell'armadietto degli alcolici nemmeno l'ombra.

Gwen si era addormentata accanto a lei, mentre Jo teneva ancora lo sguardo fisso in un punto inesistente e rifiutava qualsiasi contatto umano.

«Allora?»

La voce di Brick la riscosse dall'oblio in cui stava candendo.

In un attimo si rese conto di non aver sentito quello che lui le aveva domandato e, rassegnata, gli chiese di ripetere ciò che aveva detto poco prima.

«Stava dormendo quando all'improvviso si è messa ad agitarsi nel sonno. Qualche problema?» ripeté docile il ragazzo.

Courtney scosse la testa e si voltò dall'altra parte.

Peccato che fosse stato solamente un sogno.





Quella mattina, Duncan notò con piacere che Trent, pur dormendo nel suo stesso letto, non l'aveva abbracciato. Si alzò e si diresse verso il bagno per potersi lavare e preparare.

Uscì a petto scoperto, senza curarsi dell'altro ragazzo, che si era appena svegliato e tirato su a sedere sulla sponda del materasso. Non appena il moro si trovò Duncan davanti, sentì la salivazione azzerarsi e tenne evidentemente lo sguardo sul ragazzo dinnanzi a lui un secondo di troppo, visto che Duncan gli si avvicinò lentamente fino a mettere entrambe le gambe fra le sue -in una posizione tanto esplicita quanto inconveniente.

«Non sai convivere con il mio fisico perfetto, eh musicante di Brema*

Il moro strizzò gli occhi, mentre cercava di non pensare a quello che gli aveva detto Duncan.

Si sarebbe dovuto abituare a questi sbalzi d'umore -e di salivazione-, visto che oramai scenette del genere capitavano giornalmente.





Trent sbuffò sul progetto che aveva davanti, stringendo una matita fra le mani fino a far diventare le nocche biancastre. Odiava il fatto che non riuscisse a creare niente di accettabile, mentre Duncan era già a metà della sua parte del progetto. Portò le dita alle tempie per massaggiarsele e accasciò la testa sulla scrivania di legno scuro.

«Problemi?» chiese una voce amica.

Trent riconobbe Zoey nella persona che gli stava accanto. Alzò lo sguardo e le regalò un sorriso sincero.

«Se mi venisse qualcosa in mente da scrivere, starei molto meglio.» sospirò.

La ragazza gli posò una mano sulla spalla.

«Scommetto che non mi hai detto tutto.»

Il moro sgranò gli occhi.

Come diavolo aveva fatto a capire tutto?

Trent ricordava che quando era piccolo aveva conosciuto una ragazzina bionda e con gli occhi così chiari che sembravano scaglie del più grande iceberg che avesse mai solcato i mari. Lei era in grado di leggergli la mente come nessun altro mai aveva fatto. Nemmeno Gwen l'aveva mai capito così tanto, ma forse era anche per questo che la amava: gli piaceva raccontarle di sé, lei faceva un'espressione tanto adorabile mentre parlavano di loro stessi all'altro che lui si scioglieva ogni volta. Amava quella sensazione.

«Duncan.» proclamò infine, arrendendosi allo sguardo penetrante della rossa.

Zoey aprì le palpebre ancor di più di quanto non fossero già aperte.

«L'avete capito, finalmente?»

Un attimo.

Cos'era che avrebbero dovuto aver capito?

Rivolse quella stessa domanda alla ragazza, che sorrise ampiamente e rispose

«Che siete l'uno il ragazzo eccezione dell'altro!»

Trent spalancò gli occhi verdi, mentre le ciglia si aprivano e le pupille si ristringevano.

Lui e Duncan erano cosa?





All'improvviso, il treno iniziò a tremolare. Non era un semplice movimento da svincolo ai binari, e Jo e Gwen l'avevano capito immediatamente, visto che la prima si era rizzata velocemente e la seconda aveva afferrato il braccio di Courtney stringendolo.

Il tremore continuò fino a che il treno non si fermò di botto, frenando e facendo cedere tutti i passeggeri alla forza d'inerzia, che li scaraventò qualche centimetro più avanti.

Il confine non era molto lontano, un cartello marrone molto grande informava che mancavano pressapoco dieci miglia.

Passò un uomo che aveva tutta l'aria di essere un inserviente. Aveva i capelli ricci e neri, due occhi color miele molto grandi, espressivi e con un ché di tenero che avrebbe di certo steso le ragazze che lo stavano guardando, se non fosse stato per il terrore del treno fermo; non era molto alto ma era piuttosto aggraziato nei movimenti.

«Che succede?» domandò Brick in preda all'ansia.

«Un guasto al treno. Sono assai spiacente, ma temo che sia opportuno scendere ed aspettare che il problema venga risolto.» affermò l'uomo. Aveva una voce sorprendentemente calda.

Molto probabilmente l'avevano sentito tutti, all'interno del vagone, poiché scoppiò una miriade di reazioni diverse. Ci fu chi pianse, chi tremò, chi agitò le braccia e chi si alzò di scatto.

Brick si bagnò i pantaloni e Gwen e Courtney capirono il motivo per cui Jo lo soprannominava spesso Capitan Piscina.

Dopo qualche minuto di scompiglio totale, tutti i passeggeri presero i loro bauli o le loro valigie e scesero dal treno. Courtney e Gwen si sedettero sull'erba; Brick e Jo si accomodarono sotto un albero.

Per fortuna non pioveva.

Brick tremava -di freddo o di paura? In quella sera dell'Ottobre del 1871 non lo si sarebbe potuto dire-, ma Jo, che era seduta accanto a lui, appena lo notò si alzò e se ne andò.

Il ragazzo che li aveva avvertiti del problema al treno lo vide guardarla con un velo di tristezza negli occhi.

«Ti ha lasciato?» domandò senza pensare di star violando una sfera privata.

Brick lo guardò.

«E tu saresti..?» chiese, sorpreso da quella domanda.

«Everett.» si presentò il ragazzo con gli occhi color miele.

Brick lo guardò e sospirò.

Sì, magari si sarebbe potuto aprire con lui: non l'avrebbe mai più rivisto, dopotutto.






A/N Sono in uno schifoso ritardo D:

Perdonatemi, ve lo imploro dalla mia bassezza (LOL), ma non sono riuscita a tenermi al passo :/

Volevo chiedervi una cosa che mi ha un po' lasciata triste: come mai il numero delle recensioni è calato così drasticamente? Da nove ad otto e poi a tre. La mia domanda è semplice, cosa ho sbagliato? Vi chiedo di farmi capire cosa c'è che non va, poiché non mi riesco a spiegare come questi numeri siano diminuiti così tanto.

Non sto elemosinando recensioni, non fatevi strane idee, è solo che.. Boh. Sono un po' mesta per questo motivo.

Passiamo oltre, vi aspettano le Precisazioni, gli Spoilers e un altro Avviso :)


PRECISAZIONI:

* - Conoscete la storia dei Musicanti di Brema? È una fiaba, e qui potete trovarla :)

Oh, questo lo dico di nuovo per la mia Faith: no, non è un caso che l'inserviente sia così simile a Blaine :3 E non è un caso nemmeno che si chiami Everett, che è il secondo nome di Darren Criss. Per questo, però, c'è da ringraziare Akakuro


SPOILERS:

Ho poco da dirvi, in realtà xD
Vi anticipo solo una cosa: siamo in Ottobre, nel 1871. Le due ragazze sono di Chicago.

Cosa è successo a Chicago nell'Ottobre del 1871? *musica da thriller*


AVVISO:

Miei amati lettori, parto di nuovo e il computer nemmeno me lo porto :/

Avrete il prossimo capitolo fra tre Mercoledì, ma vi prometto che stavolta sarò puntuale

CloClo :)

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