Untitled and unreleased

di Lievea
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Untitled

 



Cap.1



 

 

 

 
Tutti, prima o poi, hanno visto il colore del sangue.
 
Può essere per via di un taglietto, di una sbucciatura sul ginocchio tipica dei bambini; è denso, talvolta un po’ vischioso. Prende a sgorgare fuori dalla tua pelle senza la minima esitazione. Poi rallenta, ti lascia tutto il tempo per osservarlo, respirare.
Si ferma, dopo tanto tempo. Dopo che il tuo cuore ha cominciato a battere all’impazzata, facendolo fuoriuscire ancora di più; quando, ormai, è tutto finito.
Tutti lo associano al colore rosso. Non è rosso: il rosso è un colore troppo generico, e il suo, troppo particolare.
In realtà, più mi soffermavo a guardarlo sulle mie mani, sulla ferita che stavo tamponando, più i miei occhi si adattavano a quella strana tonalità. Sembrava nero. Sapeva di buio, e di nessuna speranza.
 
E nella mia mente pensai che fosse quello, il colore della morte.
 
 
 
 
Il Saint Mary quella mattina era affollato, come sempre, del resto. Non era buon segno l’assenza di movimento tra le corsie, quindi non me ne lamentavo. Continuavo a effettuare il mio giro di visite sperando solo che finisse presto; non che non avessi voglia di lavorare, era solo che... quello era il giorno. Il giorno dell’incontro.
Presi un bel respiro, cercando di concentrarmi solo e unicamente sul mio lavoro: cominciai con calma e precisione a mettere due punti sul braccio di una bambina che era scivolata sulla ghiaia. I suoi grandi occhioni pieni di lacrime si calmarono un po’, a contatto con la mia pelle morbida e fresca: dentro di me, intascai una piccola vittoria personale contro tutte quelle persone che nella mia vita mi avevano preso in giro per le troppe creme idratanti.
“Ho quasi finito, piccola.”
Lei tirò su col naso e annuì impercettibilmente, le labbra chiuse e strette in una smorfia.
Nonostante tutto, amavo il mio lavoro: era ciò che avevo sempre sognato di fare, sin dalla prima volta che ero stato spintonato brutalmente contro un armadietto, ai tempi del liceo. A forza di usare anestetici e acque ossigenate, ne diventai quasi affezionato. Inoltre, non avevo mai tollerato la violenza, in nessuna delle sue forme: sapere di avere la facoltà di aiutare chi la subiva, anche se solo in modo freddo e superficiale, come ricucire una loro ferita, mi faceva star bene.
Per questo lavoravo nel reparto del pronto soccorso: volevo essere il primo a incontrare quelle persone, dire loro che sarebbe andato tutto bene. Anche se, in alcuni casi, non era vero.
A volte capitava anche di ricevere qualche ragazzo maltrattato, che si presentava da me con gli occhi spenti e la testa bassa; anche se erano passati molti anni, riuscivo ancora a riconoscere una ferita da bullismo, quando ne vedevo una. I casi in cui qualcuno di loro ammetteva di sua spontanea iniziativa di essere stato picchiato erano, purtroppo, più unici che rari; però succedeva: a volte, era perchè sentivano il bisogno di sfogarsi con un estraneo che non li avrebbe giudicati in nessun modo. Altre, era perchè riconoscevano in me qualcosa di familiare: un sorriso. Un tono delicato con cui dicevo loro: “So cosa provi. E’ dura. Lo è stato anche per me”. Forse, intuivano che lo fossi anche io: non avevo un comportamento particolarmente bizzarro, e a parte qualche pantalone firmato sotto al camice, non indossavo mai niente di particolare. Dev’essere per la mia voce. E’ sempre per la mia voce.
Con mio grande rammarico, la metà delle volte si trattava di ragazzi gay. L’omofobia era ancora forte e diffusa, ed era in momenti come quelli che mi ritrovavo a stringere i pugni chiedendomi cosa fosse cambiato; ai miei occhi, sembravano tutti lo stesso ragazzino solo e non accettato che aveva rispecchiato anche me.
Ad ogni modo, i casi più comuni erano gli incidenti stradali: ne arrivavano almeno due al giorno, in forme più o meno gravi. Molti dei miei amici evitavano di informarsi sulle dinamiche, spesso, perché non volevano sapere chi dei due fosse il colpevole; per quanto mi riguardava, facevo il mio lavoro nel modo migliore possibile, sforzandomi di non pensare a nient’altro.
Non è mai molto bello scoprire che la persona che stai curando è responsabile dei due bambini nella stanza accanto, o di una moglie, di un amico. Dopotutto, lui merita le stesse sacche di sangue.
 
“Sei pensieroso.”
Harriet mi lanciò un’occhiata divertita, con il suo mascara blu che elettrizzava i suoi occhi verdi. Credeva di aver intuito la natura dei miei pensieri, ma visto che non era così, mi ritrovai a scuotere la testa rispondendo: “Non sono pensieroso, sono concentrato.”
Ignorando completamente il pesante scribacchiare della mia penna su una cartella, si fece più vicina, appoggiandosi con la schiena al bancone e sorridendo: “Ti concentri su come farai colpo sull’agente miele?”
 
 
 
Era iniziato tutto un mese prima.
Io mi stavo occupando di una ragazza con un calo di zuccheri quando la porta del pronto soccorso si aprì di scatto, rivelando un uomo in manette sdraiato su una barella.
Il paramedico cominciò subito a darmi le informazioni generali mentre io mi occupavo del suo braccio rotto, sperando soltanto che non gli si fossero rotti i legamenti.
“E’ saltato fuori da un’auto in corsa.”
Quella fu la prima volta che sentii la sua voce. Era calda, rassicurante; mi voltai verso l’agente che aveva parlato e il mio cuore perse almeno un paio di battiti, anche se sapevo benissimo che fosse scientificamente impossibile. Aveva la divisa sgualcita e stropicciata in diversi punti, i capelli riccioli che ricadevano sulla fronte sudata, come reduce da una lunga corsa. Nonostante l’aria stanca e l’aspetto trasandato, i suoi occhi erano vivi, splendenti: si posarono per un attimo sui miei, prima di rivolgersi a terra nella direzione opposta a dove si trovava l’altro uomo.
“E’... un fuggitivo?” Domandai, mentre mi affrettavo a prendere un sedativo per placare i suoi dolori.
“Un ladro”, confermò lui. “Ha tentato di rapinare un alimentari.”
Senza dire altro, mi concentrai unicamente sul paziente: grazie al cielo il braccio sembrava meglio di quanto pensassi, anche se nutrivo ancora seri dubbi. Lavorai pazientemente per lungo tempo, sentendomi addosso gli stessi occhi di prima; non potevo voltarmi e verificare, ma fu come se ogni mio gesto, respiro, attenzione, fosse completamente registrato e assimilato in lui.
Non era la prima volta che qualcuno mi osservava; però, di certo era nuova la sensazione di agitazione e benessere che mi stava donando.
Una volta finito il controllo preliminare, feci un cenno a Harriet che senza bisogno di spiegazioni condusse il ladro in ambulatorio, dove si sarebbero occupati del gesso e di altre eventuali fratture. Mi accorsi solo un momento più tardi dell’espressione tesa dell’agente, come se non sapesse bene che cosa fare, o dire.
“Primo giorno?”
“Oh no, io sono in servizio da-“
“Intendo, qui all’ospedale. Non l’ho mai vista prima.”
Le sue guance si tinsero di rosa candido, era così strano, vedere una simile reazione in un uomo con la divisa; spesso erano loro a prendere in giro me, magari, con qualche bizzarro tentativo di flirt.
“E’ compito di chi provoca il danno occuparsi anche delle conseguenze”, mormorò come se stesse recitando un codice d’onore.
“Beh, mi sembra giusto.”
Cominciai ad appuntare qualche nota su un foglio, solo per perdere un altro po’ di tempo e vedere se quel ragazzo volesse dirmi qualcosa. Eppure, non successe niente: continuava a restare immobile, ma era come se avesse timore di farlo. Alzai lo sguardo verso il suo viso, aveva dei lineamenti morbidi, accattivanti. Non mi ero nemmeno reso conto che la mia mente aveva già cominciato a scannerizzarlo, per capire chi fosse e, soprattutto, se davvero mi piacesse.
“Io... devo andare.” Disse infine, spostando il peso da un piede all’altro e sistemandosi il cappello da poliziotto.
“Certo, anche io, devo continuare il mio turno.”
“Allora... arrivederci.”
“Arrivederci.”
Tutto qui. Il nostro primo incontro, in realtà, era stato breve.
 
 
 
Il nostro vero primo incontro avvenne una settimana dopo. L’agente tornò un’altra volta, con mio grande sollievo, senza nessun fuggitivo da curare.
“Agente”, esclamai. Di certo, non mi aspettavo di vederlo lì, e soprattutto senza divisa; Harriet per poco non squittì alla sua vista, dal momento che aveva assistito al nostro precedente incontro e aveva passato il resto del tempo a tempestarmi di domande circa “quel gran pezzo di figo che ti sbavava dietro”. Per i primi giorni avevo anche cercato di farla smettere, dicendole che, magari, quel ragazzo avesse anche un nome proprio. Eppure gli donava molto il soprannome che gli aveva affibbiato lei: “Agente miele”. I suoi occhi non erano rimasti impressi solo a me, evidentemente. E poi, mi ero reso conto che l’idea di aver fatto colpo su di lui non mi dispiaceva.
“Dottore”, sussurrò lui, rispondendo cordialmente al saluto.
“Che cosa ci fa qui?”
“Oh no”, mi interruppe subito, mettendo una mano avanti. “Dammi del tu, per favore. Niente divisa oggi, sono solo... un amico.”
Non saprei dire se rimasi più interdetto dalle sue parole, o dal tono che aveva usato per dirle.
“...Va bene, allora. Che... a cosa devo questa visita?”
“In realtà ero qui per te.”
Me?
Mi stavo già immaginando Harriet, nascosta dietro una delle tendine, che sollevava i pugni al cielo e gridava vittoria.
“Volevo solo ringraziarti per... per la scorsa volta.”
Inarcai un sopracciglio, indeciso se ridere o meno: era quella la scusa più plausibile che avesse inventato?
“Figurati. Sai, è il mio dovere.”
“Ah. Beh, certo.”
Il modo con cui sviava lo sguardo e faceva una smorfia imbarazzata era assolutamente affascinante; decisi di punzecchiarlo un altro po’, visto che quella mattina non c’erano casi gravi a cui badare.
“Oggi non lavori?”
“Oh, io... no, sono... in ferie. Diciamo.”
A giudicare dai suoi jeans attillati e da quella camicia chiara, era piuttosto ovvio; tuttavia assunsi un’espressione sorpresa, anche perchè mi domandai in quali occasioni un poliziotto potesse smettere di lavorare.
“Beh, buone vacanze, allora. Cos’ha intenzione di fare?”
“A dire la verità, penso che passerò la giornata a mangiare pizza e vedermi vecchi film anni quaranta.”
“Mi sembra un’ottima idea. Adoro i film anni quaranta, sono segretamente innamorato di Humphrey Bogart da quando avevo dieci anni.”
Per un attimo credetti quasi di averlo stupito; invece fu lui a stupire me, sfoggiando un sorriso disarmante e rispondendo: “Anche io. Piango sempre, quando alla fine del film Ilsa non va da lui.”
Non c’era margine di errore nei nostri sguardi; tutti e due, in quel momento, intuimmo la stessa cosa.
“Dottore, abbiamo bisogno di lei nel reparto due.”
Harriet si stava quasi per picchiare con una cartella clinica quando fu costretta a chiamarmi sottovoce; mi scusai con lui, nello stesso momento in cui ammise di non voler disturbare.
“Ti lascio al tuo lavoro, allora. Grazie ancora. Per... per aver fatto il tuo dovere.”
“Potrei dire la stessa cosa.”
E così ci salutammo di nuovo, entrambi andando in direzioni diverse. Era così raro, incontrarsi in quel modo: quante altre volte sarebbe potuto succedere? Quante altre volte sarebbe venuto a trovarmi, ringraziandomi senza un motivo ben preciso, quante altre scuse avrebbe inventato?
No. In realtà, la vera domanda era quanto forte lo avessi colpito per farlo ritornare di nuovo lì.
 
E avvenne sul serio: purtroppo, però, in circostanze affatto favorevoli. Il suo collega era stato coinvolto in una qualche rissa, e si presentarono insieme con i volti imbrattati di sangue a causa di alcune ferite allo zigomo; Harriet cominciò a occuparsi dell’altro agente, io stavo per afferrare una pinza ed esaminare il volto in cerca di schegge quando mi fu fermato bruscamente il polso.
“Non farlo”, sussurrò, appena udibile da me che ero a trenta centimetri di distanza. “Io sto bene, non... ti prego aiuta lui.”
“Sei ferito”, sentenziai, senza mezzi termini o lasciare spazio a transazioni; così, convinto dal mio tono di voce irremovibile, si lasciò disinfettare tutte le ferite sul viso, senza mostrare nessun segno di dolore.
Era così bello il suo volto, adesso che era così vicino al mio.
“Caffè.”
Lui mi guardò quasi stranito, non era sicuro di aver capito bene, e io non ero sicuro di cosa avessi detto dal momento che era uscito fuori in seguito a qualche mio delirio mentale. Cominciai a balbettare qualcosa in preda all’angoscia, perchè ero uno stupido, ci trovavamo in un ospedale, eravamo entrambi in servizio e io non sapevo nemmeno il suo vero nome.
“Voglio dire, ti consiglio di bere un po’ di caffè, quando esci da qui. Alza la pressione.”
Mi lanciò un’occhiata scettica, perchè, ovviamente, era troppo sperare che avesse colto la menzogna: “Direi che il mio cuore sta andando anche troppo forte, per i miei gusti.”
“Già, suppongo di sì.” Era ovvio, che stupido.
“Ma non è per il sangue.”
Quella piccola frase fu sufficiente a riaprire gli occhi e spalancarli, interamente rivolti verso di lui. E incredibilmente, notare lo stesso tipo di imbarazzo dipinto sul suo volto mi fece calmare quanto bastava per chiedere: “...Come ti senti?”
“Strano”, mormorò. C’era una strana luce, in quegli occhi color del miele; cercando di mantenere un comportamento professionale, accennai a un tono calmo.
“Ti... ti fa male la testa?”
“Non proprio.”
“Hai dei capogiri?”
“...Direi di sì.”
“Senti palpitazioni, respiro irregolare, brividi o vampate di calore improvviso?”
Mi guardò, a lungo, e in un modo così intenso da farmi sussultare.
“Sì. Tutti insieme.”
Adesso ero io che le sentivo, però. Stavo per rischiare uno svenimento.
“Vorrei davvero prenderlo, questo caffè.”
“C-Come?” Balbettai, e mi sentivo ridicolo, perchè Harriet si trovava a un metro di distanza, i miei colleghi stavano probabilmente origliando, e tutto ciò cui riuscivo a pensare era solo che sapore avessero quelle labbra gonfie e screpolate.
“Il caffè. Hai detto che dovrei prenderlo, no?” Chiese, con un piccolo sorriso che gli illuminò gli occhi.
“Oh, sì, voglio dire-“
“Prendiamolo insieme.”
Una parte di me sapeva perfettamente che non era una cosa da fare, che era un comportamento increscioso; che io ero un dottore, e lui un agente; che avremmo dovuto salutarci, nel più freddo dei modi, per poi non rivederci mai più. Ma il mio cuore stava battendo troppo forte, tanto da coprire ogni pensiero.
“Lunedì.”
“Lunedì”, confermò lui. Mi chiesi se il suo tono fosse caldo quanto quel caffè che avremo preso.
“Stacco alle sei, credi di esserci?”
“Ho il pomeriggio fino alle cinque”, affermai. Incredibile, anche il destino, sembrava essere dalla nostra parte.
 
 
 
Questo fu quello che pensai, nel momento in cui attraverso una piccola e fugace stretta di mano, ci salutammo impazienti del prossimo appuntamento. Perchè non potevamo parlarci così: non quando lui aveva addosso la divisa, e io un camice; volevo conoscere il vero ragazzo, quello che si celava dietro ai suoi occhi di miele.
Avrei potuto, se solo il destino, quel lunedì, non fosse stato così crudele.
 
 
“Sono le cinque e un quarto.” Harriet mi strappò la cartella dalle mani, spingendomi verso l’uscita del pronto soccorso e esclamando qualcosa circa “il rituale della preparazione.”
Non c’era niente con cui potessi prepararmi: mi limitai a togliermi il camice, sistemarmi i capelli con un po’ di lacca biologica che tenevo dentro all’armadietto e mettermi una goccia di profumo. Forse ero inadeguato, forse avrei dovuto passare il pomeriggio a scegliere cosa mettermi, o di cosa parlare; ma ero un medico. Un medico non ha tempo, per tutte quelle cose; in fondo, sapevo che non ne avesse nemmeno lui.
Per questo non mi stupii più di tanto quando il tavolino del bar restò vuoto una volta scoccate le sei.
Credetti che se ne fosse dimenticato; ma non sembrava un tipo con la memoria corta, e nemmeno uno a cui piacesse ritardare agli incontri. Forse aveva avuto un contrattempo: non avevo nemmeno un numero di cellulare per chiamarlo, non sapevo cos’altro pensare. Forse, mi voleva solo prendere in giro. Denigrare il tipico dottore gay.
Verso le sei e mezza cominciai a darmi dello stupido, e avevo perso del tutto la voglia di aspettare. Perchè, lo sapevo, lui non sarebbe mai arrivato.
 
Ma non sarebbe mai potuto arrivare.
 
La mia sola e semplice intenzione era di andare da Harriet, dirgli del bidone e tornarmene a casa senza contrattempi.
Non mi sarei mai aspettato di vedere il pronto soccorso pieno di gente, da poliziotti, con il cappello abbassato, a infermiere, che correvano per tutto il reparto portandosi dietro delle sacche di flebo.
Fu il tono di Harriet a mettermi in allerta.
“Cosa ci fai qui!? Devi andare via. Non sei in servizio, non puoi stare qui.”
Ma io volevo sapere. Cos’era successo? Solo un paio di ore prima andava tutto bene, era tutto regolare.
Il gemito di una voce che avevo cominciato a riconoscere come familiare provocò un tremito che scosse tutti i miei nervi.
Perché non era giusto.
Con tutte le persone esistenti al mondo...
Le cose più brutte, accadono sempre alle persone più belle.
E non puoi dare una spiegazione alla logica, nemmeno a quelle leggi della fisica che ti insegnano il primo anno dell’università. Succedono, e basta.
Perché c’era lui, steso su quel lettino. Con il sangue che sgorgava dalla pancia, macchiava la divisa. I suoi riccioli non erano morbidi e affascinanti alla vista, ma deboli, intrecciati. I suoi occhi erano del tutto privi di quel miele che donava calore, al suo viso, a lui. A me, che in quel momento mi pietrificai non essendo più in grado di respirare.
Non mi accorsi di essermi avvicinato fino a quando qualcosa, qualcuno, mi trattenne per le spalle.
“Non puoi restare qui.” La voce di Harriet mi giunse lontana, distante, come un urlo racchiuso nelle profondità del mare; ma i miei occhi da medico avevano già visto, già osservato, con una rapidità che mi fece stringere un pezzo del mio cuore. Non volevo vederlo: non volevo il peso di una verità che per molti era incomprensibile. Avrei voluto essere uno dei suoi amici. Avrei voluto essere un ragazzo qualsiasi che avrebbe dovuto incontrarlo al bar, con la gentile ignoranza concessa dal caso.
Perchè non riuscii proprio a non notare una ferita da colpo di pistola inferta a bruciapelo, con foro di entrata ma nessuno di uscita, un’arteria lacerata, dei muscoli compromessi. Forse, anche il rene.
Poi, successe all’improvviso: durante la rianimazione, ci fu un momento. Uno spiraglio. Qualcosa che mi portò a stringere la sua mano ignorando tutti quei tubi e quel sangue.
“Non me ne andrò finché non mi avrai chiesto scusa per il ritardo.”
Sperai che potesse sentirmi, perchè io non riuscivo proprio a parlare più forte: era come se tutte le mie forze si stessero canalizzando verso di lui, attraverso quella stretta.
 
“Coraggio.”
 
Mi chiesi cosa sarebbe successo se fossimo stati due persone diverse. Mi chiesi quale fosse quel malvagio meccanismo che ci aveva fatto conoscere, e quale quello che ci aveva condotto alla deriva. Sarebbe bastato essere un po’ diversi, almeno uno dei due; io non avrei fatto il medico, oppure, lui non sarebbe stato un poliziotto.
Ma le cose non stavano così: quello era il mondo a cui appartenevamo, l’unico per il quale valesse la pena di combattere. Ed era tristemente buffo che, in quel momento, si stesse muovendo frenetico intorno a me, con medici, flebo, defibrillatore. Perchè, per quanto mi riguardava, il mio era tutto rinchiuso dalle estremità di quel viso. Doveva essere bianco; pallido, come qualcosa di semplice e puro.
C’era solo rosso, davanti a me. Era mischiato a quello delle mie mani, del suo petto, del suo viso diventato immobile.
 
Non conoscevo nemmeno il suo nome. Dovevo saperlo.
 
Doveva dirmelo.
 

 

 

***

 

 

Incapace di andare oltre nella lettura, e con gli occhi pieni di lacrime per l'emozione, Blaine fece un respiro profondo e si concesse un momento per riprendere fiato. Non poteva certo scoppiare a piangere mentre era seduto in metropolitana, con lo zaino sulle spalle e l'Ipad in bilico su una pila di libri. Guadagnata di nuovo una parvenza di compostezza e contegno, passò l'indice sullo schermo per passare alla pagina successiva dell'ebook, ma scoprì, con grande disappunto, che il documento terminava con il primo capitolo.
Controllò di nuovo, sbuffando con frustrazione. Chiuse e riaprì inutilmente il file, senza successo: niente da fare, doveva essere danneggiato. O forse qualcosa era andato storto mentre lo scaricava.
La morale della favola comunque non cambiava. Non avrebbe mai saputo come sarebbe finita tra il poliziotto dagli occhi gentili e il giovane dottore disincantato.
Una volta tanto che trovava un romanzo promettente, doveva per forza combinare qualche pasticcio. Maledizione, prima o poi avrebbe imparato a usarlo decentemente, quel dannato affare.
Ma per ora doveva limitarsi alla fantasia e lasciare che il medico, accasciato al capezzale del suo innamorato, popolasse solo i suoi sogni. Poteva immaginarselo già, con gli occhi azzuri e i cappelli acconciati in ciuffo apparentemente sbarazzino, ma in realtà frutto di attenta preparazione. Avrebbe avuto il naso piccolo, arricciato superbamente all'insù, accompagnato la labbra rosa e carnose. Sarebbe stato più alto di lui, con i fianchi stretti e il sedere rotondo.
Senza ombra di dubbio, Blaine si riconosceva nei panni nell'eroico ma impacciato poliziotto: non era mai stato particolarmente intraprendente, con gli approcci. Secondo i suoi amici, avrebbe trovato un ragazzo solo se gli fosse letteralmente piombato addosso.
Chiuse la custodia e appoggiò il tablet sulle gambe, poi alzò lo sguardo per controllare quante fermate mancavano alla sua: il treno della metropolitana stava correndo silenziosamente nell'oscurità e non aveva punti di riferimento per capire dove accidenti fosse. Si piegò in avanti per cercare uno degli schermi interni, ma l'unico che riuscì a scorgere era completamente oscurato dalla sagoma di una grassa signora che teneva per mano un bambino in lacrime.
Con un sospiro si aggiustò lo zaino, alzandosi con i libri e l'Ipad in precario equilibrio; si mise in piedi e si fece strada tra la folla di gente che riempiva lo spazio tra un sedile e l'altro. Quando finalmente raggiunse lo schermo, non fece troppo caso all'altra persona che stava leggendo il nome della prossima fermata: aveva appena scoperto di aver superato East Broadway da un pezzo, troppo immerso nella lettura per accorgersene. Sussultò e si voltò si scatto per correre alla porta più vicina, andando a sbattere contro il ragazzo in piedi accanto a lui: i libri di entrambi caddero a terra nell'istante stesso in cui Blaine gli piombò addosso.
“Maledizione, attento!” sbottò quello, con voce seccata, ma anche divertita dall'improvvisa fretta di Blaine. Si inginocchiarono in mezzo alla calca e cominciarono a raccogliere tutto quello che potevano, prima che la gente, scendendo dal vagone, calpestasse le loro cose.
“Scusami! È solo che stavo leggendo e...”
Mentre si alzavano, con le braccia cariche di libri, Blaine vide per la prima volta il viso del ragazzo, che prima non aveva notato. Lineamenti delicati, pelle dal colore lunare, naso a punta elegantemente spruzzato di lentiggini e due occhi allegri che lo scrutavano dall'alto, di un blu che sfiorava il turchese.
Era, senza la minima incertezza, l'incarnazione perfetta del dottore delle sue fantasie.
Ed era il ragazzo più bello che avesse mai visto.
Si morse un labbro, rendendosi conto di essere ammutolito, lasciando una frase a metà. Aveva completamente dimenticato che cosa stesse dicendo. L'altro ridacchiò, ma quando fece per dire qualcosa, le porte del treno si aprirono e Blaine si ricordò di essere in tremendo ritardo; strinse i suoi libri al petto e lanciò un'occhiata alla banchina, indeciso se rimanere.
Poi realizzò che il suo esame era davvero troppo importante per rischiare di essere chiuso fuori dall'aula. Bofonchiò velocemente qualcosa prima di correre via, con lo zaino che gli dondolava pesante contro la schiena: “Ecco... mi dispiace, ma è la mia fermata. Ciao!”
“Ehi... aspetta! Questo è il tuo...”
Le porte si richiusero e l'invocazione di Kurt rimase sospesa a metà.
“... il tuo Ipad.” abbassò lo sguardo sulla custodia di pelle nera che copriva il tablet e alzò gli occhi al cielo.
Fantastico. E ora come accidenti faceva a restituirglielo?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L'angolo di LieveB e Medea00

Allora, dopo lunghe elucubrazioni e cincischiamenti, ecco la nostra prima ff insieme. Speriamo che l'effetto WTF vi sia piaciuto.

Ma vi assicuriamo che... è solo l'inizio.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Untitled and Unreleased



 

 

Kurt entrò in casa, ignorò il ragazzo biondo che stava trafficando in cucina e si lasciò cadere sul divano con la sua tracolla sulle ginocchia. Non fece troppo caso a Chandler che smetteva di canticchiare allegro, né al rumore di padelle appoggiate di fretta sul tavolo; furono i passi affrettati del ragazzo a distrarlo dall'oggetto che aveva estratto dalla borsa e che stava fissando.

 

“Caro... sei a casa!” Lo accolse Chandler, appoggiando la schiena allo stipite della porta del salotto e dondolando compiaciuto sui talloni. Adorava giocare alla vecchia coppia sposata. “La cena è quasi pronta!” cinguettò, raggiungendo a passo di danza il divano e sprofondando accanto a Kurt su uno dei vecchi e sfiancati cuscini. Di fronte all'eloquente silenzio del coinquilino, scalciò le pantofole in mezzo alla stanza e si raccolse le gambe al petto, appoggiando una guancia sulle ginocchia; come sua abitudine, prese a contemplare Kurt, in attesa che quello si degnasse di rispondergli.

 

Kurt alzò gli occhi dall'Ipad, pronto a ribattere acido a quel saluto un po' troppo intimo, quando Chandler si protese verso di lui e, in uno slancio di entusiasmo, gli strappò letteralmente dalle mani l'apparecchio: “Oh Gaga! Hai preso un Ipad! Ma è l'ultimo modello... dove hai trovato i soldi? Questo affare costa una fortuna. Ma che importa, ora finalmente posso insegnarti a giocare ad Angry Birds!”

 

Il ragazzo si rivoltò tra le mani quell'oggetto che aveva assorbito tutta la sua attenzione, mentre ne accarezzava la superficie lucida e apriva la custodia di pelle, non udì nemmeno una parola delle spiegazioni di Kurt, preso com'era a elencare i benefici che la loro convivenza avrebbe tratto da quel provvidenziale acquisto.

 

“... il martedì sera organizzeremo dei tornei. E potremmo usarlo per pianificare i turni per usare la yogurtiera! Non che sia un problema il fatto che sia un regalo di mia nonna e tu insista per usarla praticamente tutti i giorni, ma questo gioiellino potrebbe aiutarci a smettere di litigare.”

 

“Chand!” Lo interruppe Kurt, chiamando il suo nome con tono esasperato.

 

“Che c'è?” si voltò e notò l'espressione frustrata sul viso di Kurt. “E va bene. Puoi continuare a usarla quando vuoi, però venerdì sera vieni con me al cinema. In fondo alla strada fanno una proiezione notturna di Colazione da Tiffany.”

 

“Chandler Thomas Spencer vuoi chiudere il becco? E sappi che ricorrere a Audrey... è una mossa troppo meschina perfino per i tuoi standard, quindi dacci un taglio.” Lo zittì Kurt, riacciuffando l'Ipad e stringendoselo al petto; preso di sorpresa, Chandler non replicò.

 

“Non ho comprato questo stupido affare e non ho intenzione di usarlo per pianificare con te un bel niente. Avresti già gettato quella yogurtiera nella spazzatura, se non avessi cominciato a usarla io; sei solo invidioso, perchè il mio frullato alla fragola è più buono del tuo e non sei ancora riuscito a rubarmi la ricetta.” sbottò scocciato.

 

Voleva davvero bene a quel ragazzo che ricorreva perennemente ad avances fuori luogo e allusioni sopra le righe: ormai abitavano insieme da anni. Ma a volte era una personalità troppo esuberante, che metteva a dura prova i suoi nervi di studente stressato e di lavoratore part-time. Kurt voleva solo rientrare a casa la sera, bersi una tisana depurativa e guardare repliche di Una mamma per amica senza preoccuparsi costantemente dell'incontenibile verve del suo coinquilino.

 

“E allora di chi è?” domandò incuriosito Chandler, mettendosi sulle ginocchia.

 

“E' di un ragazzo con cui mi sono scontrato oggi in metropolitana.” spiegò brevemente. L'altro travisò completamente, abbandonandosi a un lungo fischio compiaciuto.

 

“Wow Kurt. L'hai rubato.” commentò ammirato, spalancando la bocca e osservando Kurt come se lo vedesse per la prima volta. Sembrava sinceramente colpito, nonostante avesse frainteso la situazione.

 

“Non l'ho rubato! Sono caduti libri ovunque e quando stavo per passarglielo si è lanciato giù dal vagone della metropolitana, che accidenti dovevo fare, afferrarlo con la forza? Rincorrerlo?” Kurt chiuse gli occhi e buttò la testa indietro, sbuffando sonoramente, mentre Chandler cominciò a saltellare eccitato sul posto.

 

“Che c'è?” chiese aprendo un occhio e fissando arcigno l'altro ragazzo, ormai incapace di trattenersi oltre dal domandargli qualcosa.

 

“Era carino?” sputò rapidamente la domanda, e Kurt sorrise.

 

“Il ragazzo dell'Ipad che mi è atterrato addosso questa mattina? Sì. Era carino. Molto carino. Un po' basso per i miei gusti, ma davvero meritevole d'attenzione.”

 

Si raddrizzò contro lo schienale e ripensò rapidamente ai pochi minuti che aveva avuto a disposizione per osservarlo: si era fatto strada in mezzo a un mare di gente compressa, con quegli adorabili ricci stravolti e le braccia cariche di libri, ma Kurt l'aveva notato da un pezzo. Sedeva rilassato ed era immerso nella lettura, completamente ignaro di quello che stava accadendo intorno a lui; si era alzato di scatto ed era corso verso uno degli schermi, sbattendogli addosso mentre fuggiva di tutta fretta. Non gli era sfuggita la particolare tonalità dei suoi occhi, simile al colore del miele d'Acacia, né la curva decisa della sua mandibola o la pienezza delle sue labbra.

 

Quando ne aveva voglia, Kurt sapeva essere un attento osservatore.

 

“Uh uh! Allora dai, sbirciamo nel suo Ipad. Magari ci sono delle fotografie.” suggerì malizioso Chandler, con i polpastrelli che pizzicavano mentre fissava con occhi bramosi lo schermo ancora spento.

 

“Ma scherzi? E' roba personale, non possiamo ficcanasare.” ribattè Kurt, poco convinto. In effetti l'idea l'aveva già sfiorato e in pausa pranzo aveva provato ad accenderlo, ma senza successo; l'intenzione era quella di cercare qualche informazione utile per rintracciare quel ragazzo e restituire il tablet, ma aveva pensato che non era certo un crimine curiosare qua e là nel frattempo. Dopotutto, avrebbe anche potuto tenerselo, no?

 

Chandler era del medesimo avviso, perchè pigiò senza troppi preamboli sul tasto di accensione e gli rispose con aria saccente: “E come pensi di ritrovarlo allora, quel tizio? Forse non lo sai, ma New York non è esattamente un paesino di campagna.”

 

Lo schermo si illuminò e comparve l'immagine di due sorridenti ragazzi in divisa, abbracciati uno all'altro; sullo sfondo si poteva riconoscere una biblioteca, o un'aula studio, dalle pareti piene di libri e dagli arredi in legno scuro. Uno era evidentemente il ragazzo della metropolitana, anche se più giovane e con i capelli impiastricciati di gel; l'altro era un viso sconosciuto, dai tratti asiatici e all'incirca della stessa età. Sembravano felici e spensierati.

 

“Qual è dei due?” domandò Chandler, senza togliere gli occhi dalla fotografia.

 

“E' quello a sinistra.” disse Kurt. Era davvero molto carino, e Chandler non esitò nel sottolinearlo con una serie interminabile di squittii eccitati.

 

Kurt gli passò il tablet e si recò in cucina per versarsi un bicchiere di vino, lasciando l'amico ad armeggiare in solitudine con le icone, finchè un grido trionfante non lo raggiunse: “Kuuuuurtsie! Ho trovato la sua agenda! E un sacco di fotografie!”

 

Tornò in salotto. Chandler era seduto a terra a gambe incrociate e stava sfogliando, pagina dopo pagina, il planning settimanale, mormorando tra sé e sé. Con il calice di vino stretto tra le dita, Kurt si appollaiò sul tavolino vicino e aspettò l'esito della ricerca.

 

“Beh?” Incalzò, quando l'altro non lo degnò di uno sguardo.

 

“Stasera lavora fino a mezzanotte in una caffetteria. Ho cercato su Google, è poco distante dal campus della NYU. Questa agenda è un maledetto disastro... se nella vita reale è ordinato quanto lo è nell'avere cura dei suoi appunti, è un miracolo che non ci abbia perso la testa, in metropolitana.” commentò acido, mostrando a Kurt l'indirizzo che era riuscito a recuperare.

 

“E comunque, non è normale avere tutti questi video di gatti. Voglio dire... è inquietante.” aggiunse Chandler, prima di spegnere l'Ipad e passarlo a Kurt.

 

 

 

***

 

 

 

Blaine, dopo un esame di tre ore da cui era riemerso con la t-shirt matida di sudore, impiegò altre tre ore per accorgersi di aver perso il suo Ipad.

 

“Wes, ho scaricato da Youtube un altro video con tutti quei gatti che fanno cose pazze. Vuoi vederlo?” domandò speranzoso, mentre si lasciavano la mensa alle spalle e si avviavano verso l'uscita del campus. Wes alzò gli occhi al cielo e provò a rifiutare, ma Blaine si era già fermato e accucciato a terra, con lo zaino tra le gambe. Dopo cinque minuti ricerca sempre più disperata e infruttuosa, Wes si azzardò a intromettersi: “Blaine, possiamo anche guardarlo dopo in camera, non è poi così importante... voglio dire, non sarà poi tanto diverso dagli altri dieci video che mi hai fatto vedere in passato, no?”

 

L'altro alzò di scatto la testa e si guardò intorno: aveva sparso sui ciottoli del marciapiede tutti i suoi libri, i quaderni e la custodia del lettore mp3, ma l'Ipad sembrava scomparso. E lo zaino ormai era completamente e desolatamente vuoto.

 

“L'ho perso.” disse con sguardo vacuo, fissando tutti i suoi averi sparpagliati a terra.

 

Wes si inginocchiò accanto a lui e gli posò una mano sulla spalla, nel tentativo di rassicurarlo; Blaine tendeva a perdere continuamente oggetti più o meno di valore, in particolare in prossimità degli appelli d'esame. Provò quindi a suggerire un'ipotesi meno drammatica: “Sei sicuro di non averlo dimenticato in stanza? Sarebbe strano, perchè quell'affare te lo porti ovunque ma...”

 

“No. Ce l'avevo in metropolitana mentre tornavo in università per l'esame. Stavo leggendo, quando poi mi sono accorto che avevo superato la mia fermata e...” Blaine smise di parlare e balzò in piedi, calpestando malamente un libro di pedagogia e portandosi una mano alla fronte “Maledizione! Quel ragazzo... deve averlo raccolto lui quando ci siamo scontrati.”

 

“Chissà, magari hai beccato l'unico newyorkese onesto e lo porterà all'ufficio degli oggetti smarriti.” commentò ironico Wes, raccattando i libri e ficcandoli disordinatamente nello zaino di Blaine. “Ovvero... puoi scordarti di rivederlo, quell'aggeggio. Se non se lo tiene, di sicuro lo rivende su Ebay. La prossima volta, fai più attenzione alle tue cose, quel coso costa un occhio della testa.”

 

Con aria assente, Blaine annuì e afferrò lo zaino che l'amico gli porgeva, gettandoselo sconsolato sulle spalle: “Ci avevo messo tutte le mie cose... gli appunti dei corsi e i video dei gatti...chissà, magari...” provò a concedersi il lusso di sperare, ma Wes recise alla radice anche quel tentativo.

 

“Non contarci troppo. Piuttosto, che ne dici di spararci un bella tazza di caffè e un po' di gelato alla vaniglia? Conosco una caffetteria poco lontana da qui, dove stasera lavora un ragazzo molto simpatico, ma davvero imbranato che...” Blaine scoppiò a ridere, seppure con il cuore ancora spezzato dalla recente perdita, e spintonò Wes.

 

“La devo smettere di lasciarti mangiare gratis, mi licenzieranno.” scherzò, riprendendo a camminare. Wes finse di lamentarsi per la spalla ferita, poi lo raggiunse.

 

 

 

***

 

 

 

Durante il viaggio in metropolitana, diretto alla caffetteria di cui Chandler aveva recuperato l'indirizzo, Kurt non resistette alla tentazione di sbirciare di nuovo tra i contenuti del tablet, ora che sapeva come accenderlo. Per pudore, non curiosò tra le fotografie personali, ma saltellò da una applicazione all'altra: ce ne erano diverse dedicate alla musica, ma fu una in particolare ad attrarlo. Posò l'indice sul disegno di libro aperto, senza nemmeno sapere che si trattava di un programma per leggere gli ebook.

 

“Oh. Ma guarda... stava leggendo un romanzo. Sembra Grey's Anatomy!” pensò entusiasta tra sé e sé, leggendo qualche riga. Con un pizzico di difficoltà riuscì a sfogliare il documento fino all'inizio della storia e decise di leggere almeno le prime pagine, giusto per farsi compagnia durante il viaggio. Era sicuro che quel ragazzo dagli occhi color miele di certo non avrebbe avuto problemi, al riguardo: e poi l'alternativa era curiosare tra le sue fotografie, quindi in un certo senso gli stava facendo un favore.

 

S'infilò in bocca una caramella e s'immerse nella lettura, entusiasmandosi nello scoprire che i protagonisti erano due uomini: di certo il medico era un tipo tosto, ma il poliziotto sembrava davvero un gran bel bocconcino. Nemmeno si accorse dei minuti che passavano, intento com'era a scoprire il germogliare di quella storia d'amore.

 

 

 

C’era solo rosso, davanti a me. Era mischiato a quello delle mie mani, del suo petto, del suo viso diventato immobile.

 

Non conoscevo nemmeno il suo nome. Dovevo saperlo.

 

Doveva dirmelo.

 

 

 

Con il cuore in gola per l'ansia, Kurt provò ad andare avanti, ma senza successo. Il file si interrompeva proprio in quel punto: maledizione, voleva sapere il nome dell'agente.

 

Sarebbe morto? O il dottore l'avrebbe salvato?

 

Era l'amore della sua vita?

 

O forse non erano comunque destinati a rimanere insieme?

 

Frustrato, armeggiò di nuovo con i tasti, ma il libro era decisamente incompleto. Ficcò il tablet nella tracolla, poi si accorse che era quasi arrivato, quindi scattò in piedi e corse verso la porta più vicina.

 

Non ebbe difficoltà nel trovare la caffetteria, né nel riconoscere il ragazzo della metropolitana. Era dietro il bancone con addosso un grembiule color cacao e stava chiacchierando con un ragazzo seduto su uno degli sgabelli; insieme, stavano mangiando gelato affondando i cucchiaini in una grossa coppa appoggiata tra di loro.

 

Kurt attraversò a grandi passi il locale e arrivò accanto a loro in un attimo; si voltarono verso di lui sorpresi da quell'improvvisa presenza, ma lo stupore del ragazzo dai tratti asiatici non era nemmeno paragonabile a quello che faceva bella mostra sul viso dell'altro. Senza ombra di dubbio, aveva riconosciuto Kurt, che ora gli stava porgendo il suo Ipad.

 

Incredulo, allungò le dita per afferrarlo, mormorando un timido: “Ehi... grazie.”

 

Ma l'altro fece qualcosa che non si aspettava: Kurt non mollò la presa e non lasciò che il tablet tornasse al suo legittimo proprietario. Blaine provò a tirare ancora, pensando che forse il ragazzo temeva che gli scivolasse di mano e cadesse.

 

L'altro invece sorrise e disse in tono serio: “Io ti ho riportato il tuo Ipad. Potevo tenerlo e rivenderlo, ma te l'ho riportato. Tu ora però devi trovare il seguito di quel libro, devo sapere come finisce. Capisci? Devo sapere come continua.”









***

Angolo di LieveB e Medea

Buonasera folks!
Innanzi tutto chiediamo profondamente scusa per il ritardo. Abbiamo detto di pubblicare Giovedì imprevisti permettendo... ecco, l'imprevisto è stato il nuovo lavoro di LieveB, quindi da bere per tutti! Speriamo che non accada di nuovo, ma non possiamo garantirlo. Seconda cosa, volevamo ringraziarvi con tutto il cuore per le recensioni e le letture e i "WHAT THE FUCKING FUCK!?!?" accompagnati da deliziose offese nei nostri confronti. Siete adorabili.
Bene, non so che cavolo scrivere (Ali perchè fai scrivere le NdA a me...poi straparlo o dico cazzate) quindi me ne vado. Alla prossima!

Ali e Fra

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Untitled and Unreleased


- Capitolo tre -


Eccolo, il ragazzo della metropolitana, proprio davanti a lui.

Kurt.

Ora Blaine sapeva anche qual era il suo nome. Si era presentato subito dopo avergli strappato la promessa di spedirgli via mail il resto del libro, non appena l'avrebbe trovato. Solo dopo quella rassicurazione si era concesso di sorridere e assumere un atteggiamento più amichevole: l'aver interrotto bruscamente la lettura l'aveva decisamente scocciato.

“Puoi spedirmelo via email? Mi faresti un enorme favore.”

Apparentemente dal nulla, aveva sfoderato un biglietto da visita, si era chinato sul bancone e l'aveva infilato nel taschino della polo di Blaine. Al solo contatto con la sua mano, che aveva accarezzato la stoffa giusto un istante prima di allontanarsi, Blaine si era irrigidito e aveva perso il filo del discorso, concentrato com'era sul fantasma di quel tocco leggero.

Riusciva a vedere Kurt che continuava a parlare e Wes che gli rispondeva, ma non aveva idea di che accidenti stessero dicendo. Limitandosi a sorridere un po' ebete e ad annuire qui e là, si lasciò rapire da quanto deliziosa fosse la risata di Kurt, da quanto adorabile fosse il suo naso arricciato e da quanto fosse sexy la curva del suo collo, appena delicatamente nascosta dal colletto della camicia.

Fu distratto dalla sua contemplazione solo quando entrambi tacquero e rimasero a fissarlo, evidentemente in attesa di una risposta a una domanda che non aveva sentito.

“Cosa?” chiese, tornando rapidamente in sé e pregando di non aver fatto la figura dell'idiota.

“Ho detto che domani devo alzarmi presto per lavorare, quindi devo andare...” disse Kurt, tamburellando le dita sul bancone, come se non avesse davvero voglia di andarsene. “Però prima vorrei prendere una tazza del tuo famoso cappuccino alla liquirizia, Wes mi ha detto che è qualcosa di divino e ho pensato che sarebbe davvero un peccato lasciarmelo scappare.”

Poi fece una cosa inaspettata, che tramutò all'istante le ginocchia del povero Blaine in gelatina al limone.

Gli strizzò l'occhio.

Prima di arrossire, Blaine si voltò verso la macchina del caffè e cominciò a preparare quel benedetto cappuccino, frastornato dalla sensazione che Kurt stesse flirtando con lui. Si sentiva presuntuoso anche solo a pensarlo, perchè quel ragazzo era decisamente fuori dalla sua portata, ma... maledizione, gli aveva fatto l'occhiolino! C'era gran poco da interpretare. E il tono con cui aveva pronunciato quella frase era troppo allusivo per essere casuale: e se in realtà fosse stato proprio Blaine, metaforicamente, il cappuccino che non voleva lasciarsi sfuggire?

Nonostante i suoi sforzi di apparire disinvolto, Blaine era rosso fino alla punta delle orecchie quando spinse la bevanda verso Kurt. In uno slancio di entusiasmo, riuscì perfino a bofonchiare: “Questo... lo offre la casa. Per avermi restituito l'Ipad.”

Kurt rise cristallino e si portò il bicchiere alle labbra. Dopo il primo sorso, chiuse gli occhi e fece un gemito soddisfatto, di fronte al quale Blaine spalancò gli occhi.

Un gemito.

Provocato dal suo cappuccino.

“Vero che è delizioso?” commentò Wes, ammiccando compiaciuto verso l'amico. Nonostante il tentativo di apparire casuale, Blaine capì che stava cercando di metterlo in buona luce e di fargli fare una bella figura con Kurt. Gli stava facendo da spalla, probabilmente già da un po', e lui se ne era accorto solo ora. Era troppo preso a fissare la pelle bianco latte di Kurt.

“Magnifico. Veramente perfetto. Sarà un ottimo compagno di viaggio, mentre me ne torno a casa.” Kurt schioccò le labbra e leccò la schiuma rimasta appena sotto il naso.

“Peccato che Blaine oggi debba lavorare fino a tardi, altrimenti sono certo che ti avrebbe riaccompagnato più che volentieri.” aggiunse Wes, mentre Kurt scendeva dallo sgabello e si avvolgeva la sciarpa intorno al collo.

Blaine lo fulminò con un'occhiataccia, ma Kurt non sembrò infastidito dalla proposta di Wes, perchè invece si voltò verso Blaine, lo guardò intensamente per qualche istante, e poi rispose, quasi parlando tra sé e sé: “Già. Un vero peccato.”

Poi augurò la buonanotte a entrambi e lasciò la caffetteria. Non appena la porta si richiuse alle sue spalle, Wes aggredì Blaine, sporgendosi oltre il bancone: “Ma sei ubriaco? Dammi qualcosa su cui lavorare, non stare lì impalato mentre io faccio il resto!”

Blaine sbattè le palpebre, si versò una tazza di caffè e sospirò: “Wes, è inutile che ti scaldi. Prima di tutto, non sappiamo nemmeno se gioca per la mia squadra. Secondo, magari nemmeno gli piaccio.”

L'altro lo osservò per un attimo, poi sbottò: “Blaine, io ti voglio bene, e questo tu lo sai, vero? Però a volte nutro dei seri dubbi sulla tua lucidità. Per quanto riguarda il tuo primo dubbio, se non avessi passato un quarto d'ora a sbavagli addosso con l'aria da pesce lesso, avresti sentito il motivo per cui desiderava tanto leggere il seguito del libro.”

“Perchè, che ha detto?” sbattè di scatto la tazza sul bancone, sorpreso da quella rivelazione.

“Ha detto, e cito testualmente... che per noi giovani gay il mercato editoriale offre davvero poco, negli ultimi tempi. Più chiaro di così!” declamò, allargando le braccia per sottolineare il concetto.

“Oh. Ok. Bene.” Dentro di sé, Blaine stava ballando per la felicità.

E secondo, non si è addormentato mentre declamavo tutte le tue doti e ha bevuto il tuo cappuccino. E ha detto che è magnifico.” schioccò le dita, e incrociò le braccia sul petto, come se avesse appena terminato un'arringa in tribunale.

“E che vorresti dire, scusa?” domandò Blaine. Non riusciva a cogliere il nesso tra un possibile interesse di Kurt nei suoi confronti e il fatto che avesse apprezzato il suo cappuccino.

Blaine... altro che capolavoro, il tuo cappuccino alla liquirizia fa veramente pietà.” spiegò serio. “Non solo l'ha ordinato, ma ha perfino avuto il coraggio di mandarne giù una sorsata e leccarsi i baffi. Ha fegato, il ragazzo. E tu troverai il seguito di quello stramaledetto libro, lo chiamerai e lo inviterai a cena fuori. Capito?”

“Io...” provò a obiettare Blaine, ancora incerto.

“Blaine, ha bevuto il cappuccino. Solo per quello, si meriterebbe un appuntamento romantico con i controfiocchi. In più sembra simpatico ed è evidente che lo trovi affascinante... quindi perchè no?”

“Già. Perchè no?”

Alcune ore dopo, seduto nell'oscurità della stanza che divideva con Wes, Blaine spulciò disperato ogni singolo file del suo computer, ma nella moltitudine di ebook che aveva scaricato, illegalmente o meno, sembrava non esserci traccia di quel maledetto libro. Nemmeno ne conosceva il titolo o l'autore, il che rendeva la ricerca ancora più frustrante e inconcludente.

Controllò per l'ennesima volta i metadati del file incriminato, finchè non trovò un altro documento proveniente dalla medesima fonte, un forum interamente dedicato ai download: esattamente come l'altro libro, era privo del titolo. Il fatto che contasse un numero maggiore di bytes lo convinse che era proprio il file che stava cercando.

Quello, e il fatto che erano ormai le due di notte.

Prese dalla polo il biglietto da visita di Kurt, che si era nervosamente rigirato tra le mani ormai una ventina di volte, e digitò rapidamente una mail, allegando il fortunato bottino di quella infinita caccia al tesoro.

Ciao Kurt, credo di aver trovato quello che mi avevi chiesto.

Non l'ho ancora aperto per controllare, ma lo farò domattina

appena mi alzo. Sono felice che il mio cappuccino ti sia piaciuto.

A presto e buona lettura,

Blaine

Il mattino successivo Kurt trovò un'inaspettata sorpresa nella sua casella email: con una tazza di cereali in bilico sulle ginocchia, aprì il file e prima di tuffarsi nella lettura si concesse di rammendare il pessimo sapore di quella malefica bevanda alla liquirizia e il delicato rossore che era apparso sul viso di Blaine mentre beveva, dolcemente compiaciuto dai suoi complimenti.

Uno solo di quei timidi sorrisi l'avrebbe ripagato, non di uno, ma di cento orrendi cappuccini.

A un certo punto, la lettura lo distrasse dal ricordo dei riccioli di Blaine e della sfumatura calda della sua pelle abbronzata: corrugò le sopracciglia e inclinò la testa di lato, sforzandosi di decifrare quello che Blaine gli aveva spedito.

“Ma che diavolo...” borbottò tra sé e sé, ancora intontito dal sonno. Perplesso, digitò rapidamente una mail di risposta e chiuse di scatto il suo Mac.

Blaine lesse quel messaggio alcune ore più tardi, dopo essere strisciato fuori da sotto le coperte: con la vista annebbiata da un sogno agitato, si svegliò di colpo. Aprì in tutta fretta il documento che aveva inviato a Kurt la notte prima e s'immerse nella lettura.

Ciao Blaine,

grazie per la tua solerte ricerca. Purtroppo, ho la sensazione che

non si tratti del file giusto. Leggi, poi dammi il tuo parere.

A presto, spero. ;-)

Kurt

***

Buio. Era tutto terribilmente, completamente buio. Non si sentivano più i suoni metallici, nè la luce accecante dello schermo; c’era troppo silenzio in quella stanza priva di ronzio e ventole, sembrava quasi surreale.

E poi, si rese conto troppo tardi di essersi trovato in una situazione molto, molto pericolosa.

“Cazzo! Mi si è fottuta la scheda video!”


Il tuo amico SilverHammer è online.

Thergon: /w SilverHammer crashato?

SilverHammer: /w Thergon y. Fuck. Ho perso tutto il drop.

Thergon: /w SilverHammer gg, server nabbo. Noobhost per la Blizzard.

SilverHammer: /w Thergon asd. No è che mi si è ownata la scheda video

Thergon: /w SilverHammer??? wtf

SilverHammer: /w Thergon Sto ruolando dal pc scrauso di mio fratello

Thergon: /w SilverHammer lal che stealer. Andiamo a gankare lo spammer di AOE

SilverHammer: /w Thergon sry devo andare afk. Tra poco mi blinko a scuola. Logghi stasera?

Thergon: /w SilverHammer y. Allora afko pure io. GL HF con la matematica


SilverHammer: /w Thergon Lamer.

SilverHammer è offline

Thergon è offline


Non appena il portatile fucsia e pieno di brillantini non mostrò più segni di vita, afferrò lo zaino contenente il suo mezzo andato e scese a due a due le scale di casa, rischiando seriamente di perdere l’autobus.
Suo padre, però, lo afferrò per la manica prima che potesse scappare via con la refurtiva – un pezzo di pane e una mela –, posizionandosi davanti alla porta con tutta la sua massiccia corporatura; rimase per interi secondi a fissarlo, con i suoi occhi che si assottigliavano intraprendenti.

Missione numero uno: entrare in Stealth e scavalcare il boss.

“Giorno pà” mormorò non troppo convinto, osservando un po’ irrequieto il suo immancabile cappellino blu che adesso sembrava fissarlo più dei suoi occhi chiari.

“Buongiorno figliolo. Hai fatto di nuovo le ore piccole di fronte a quel gioco? Quel...Diablo?”

“No, no figurati, sono stato in piedi per finire una tesina. Ora scusami ma perdo l’autobus-”

“Aspetta ma dov- non è finita qui, ragazzo! Ehi!”

Ma lui era già molto lontano, e con un ampio sorriso stampato sulla faccia. Si sistemò meglio la tracolla sulla spalla e andò a sedersi al suo solito posto, a metà dell’autobus: non troppo vicino ai ragazzi dell’ultimo anno, e non troppo lontano dal controllore. Si isolò dal mondo infilandosi velocemente le cuffie del suo lettore mp3, portando lo sguardo fuori dal finestrino in modo da perdersi per quelle strade, immaginando di essere altrove.

E per tutto il tragitto che lo separò dalla scuola, non riuscì a fare a meno di pensare a quel giocatore, quel ragazzo che ormai gli faceva compagnia da molti mesi; non sapeva nemmeno come si chiamava, o quanti anni avesse, se avesse un lavoro o studiava. Eppure, una parte di sè si sentiva un po’ abbattuta, ogni qual volta che loggava e non lo vedeva comparire tra la lista di amici online.

Era strano: in un certo senso, piuttosto bizzarro, si sentiva come se lo conoscesse.
Ma adesso i colori sgargianti della scuola finirono nel suo campo visivo, abbagliandolo – o meglio, acciecandolo -, e ogni altro pensiero passò in secondo piano; emise un piccolo sospiro, grato che non fosse stato sentito dalla quattrocchi a un sedile da lui.

Missione numero due: riuscire a sfangare la mattinata.

Dentro di sè, sperò davvero di riuscirci, mentre scendeva le scalette e si incamminava verso l’entrata.

Non è per niente facile essere un nerd.

Bisogna evitare le persone giuste, borbottare in un certo modo, avere la faccia piena di brufoli e perfino qualche barbetta incolta, se devi giocare un barbaro o un nano durante una sessione a Pathfinder; insomma, non è mica un ruolo che calza a pennello su chiunque.

In effetti, non calza a pennello proprio su nessuno: non è che uno possa mettere sul curriculum “ehi guardatemi, sono Nerd e non ho una vita”.

Alla fine, essere nerd è come il nuovo Spiderman: tutti credono che sia un gran figo, ma in realtà fa un po’ schifo.

La scuola, in un certo senso, era come il suo amato Diablo.

C’erano i non morti, i ragazzi che uscivano dall’ascensore trascinandosi un alone di fumo che faceva invidia alla divoratrice del secondo livello; i barbari, ossia, i fantomatici giocatori di football che, ovviamente, non gli risparmiarono una spallata una volta entrato dentro al loro raggio d’azione.

In quel momento si corresse mentalmente, affermando che i giocatori erano i troll, dal momento che avevano la stessa risata.

Poi c’erano gli npg, i mobbetti, come si volessero chiamare: erano tutti quei ragazzi anonimi che affrontavano la loro vita senza che nessuno lo venisse a sapere. Non erano particolarmente emarginati, il punto, era che non fossero abbastanza popolari per guadagnare d’importanta; in quella scuola si mormoravano pochi nomi, e sempre gli stessi, come quelle delle ragazze più carine, più zoccole o delle reginette del ballo. Ovviamente, tutte appartenenti alla categoria vampire, meglio conosciuta come cheerleader.

Era quasi certo di aver etichettato l’ottanta per cento della sua scuola quando, di colpo, si trovò di fronte a un hafling: una ragazza bassa e con dei capelli lunghissimi che lo stava fissando minacciosamente.
“Che ci fai con quel computer dentro la tracolla? Guarda che si nota benissimo.”

Lanciò un’occhiata alla sua borsa di cuoio, cercando di coprirla con un braccio; non sapendo dove guardare, si mise a fissare il suo armadietto, e grazie allo specchietto appeso in bella vista cominciò ad aggiustarsi il ciuffo che gli cadeva svogliatamente sulla fronte.

“Non sono fatti tuoi, hobbit. Devo cercare un fornetto in cui metterci la scheda video.”

La ragazza lo fissò, palesemente allibita: “Stai scherzando? L’hai preso per uno di quei sufflè che tanto adori?”

“Fidati, funzionerà. Ci vado adesso che l’aula di chimica è vuota.”

“Oh no – lo corresse lei – non ci puoi andare adesso. C’è lezione di letteratura, ricordi? Devi parlare con il professore.”

Oh, giusto. Si era quasi dimenticato del suo Diablo, il boss finale, quel professore che con i suoi occhialetti del cavolo e il suo atteggiamento composto sembrava che fosse perennemente stunnato. Detto in termini più consoni, sembrava avere un palo in culo.

Sbuffando sonoramente di fronte all’hafling, si diresse a grandi passi verso l’aula di informatica, ignorando prontamente tutte le urla che tentavano di richiamarlo nemmeno fosse un’invocatore di un ghoul secondo livello: certo che, a giudicare dalla frequenza raggiunta dalle sue note vocali, come strilli erano molto simili.

Si chiuse dentro la stanza non premurandosi di chiuderla a chiave, anche perchè, di solito, non ci entrava mai nessuno. Con grande sollievo notò che i suoi amici si trovavano già lì, seduti ai lati di un banco arrugginito, con delle schede in mano e dei dadi sparsi un po’ per tutta la stanza.

“Amico, sei in ritardo.” Fece uno dei tre, magro, con dei capelli rasta che gli arrivavano fino ai fianchi, e tatuaggi dovunque che riguardavano il Signore degli Anelli o strani termini elfici.
“Scusate, sono stato fermato prima da mio padre e poi dall’hafling.”

“Uh, brutta storia.”

“Che ti ha detto tuo padre?” Intervenne un altro, estraendo dalla sedia a rotelle su cui stava un fazzoletto di seta con cui iniziò a pulirsi gli occhiali.

“Mah niente, mi ha sorpreso a levellare su Diablo ieri notte.”

Il terzo sbiancò di colpo, guardandolo allibito. Posò una mano sul tavolo rischiando di farne rovesciare tutto il contenuto: “Grazie tante fratellino! Adesso come faremo?”

“Rilassati. Perchè pensi che l’abbia portato qui? E poi, devo anche sistemare la scheda video.”

“Dov’è Sam?”

I quattro ragazzi si guardarono intorno, come immaginandosi che sbucasse fuori da un armadietto urlando qualcosa come Avada Kedabra; invece, c’era solo silenzio. Il ragazzo in sedia a rotelle fece un piccolo colpo di tosse, non essendo molto sicuro di voler attirare l’attenzione.
“Sam, è... l’ho visto mentre venivo qui, ha detto che stava un po’ con quella cheerleader bionda.”

Sembrava che avesse appena annunciato l’ammutinamento di un loro marinaio.

“Stai scherzando vero!?”

“Assurdo.”
“Che traditore.”

“Ma dove andremo a finire? Si inizia con una donna, si finisce con i venerdì sera, ve lo dico io.”

“Oh no.”

“Venerdì sera... con una donna?”

“Vi prego killatemi.”

"Già! Vi sembra possibile che uno preferisce stare con una donna piuttosto che chiudersi in una stanza per delle ore intere, con altri uomini, senza luce nè finestre, con solo cibo e bevande gassate per giocare ad un gioco di ruolo?"

Silenzio.
“...Io direi... che possiamo cominciare a giocare.”

Per un paio di ore nessuno venne a cercarli per la loro misteriosa assenza, dal momento che, avendo saltato la prima lezione, non erano nemmeno stati registrati come presenti. Eppure, stranamente, quando erano nel bel mezzo di speccare qualche nuovo incantesimo per il mago la porta si aprì di scatto, mostrando un uomo non tanto alto, i capelli scuri e ordinati, più sui venti che sui trenta: aveva il viso arrossato, per la corsa oppure, più probabilmente, per la collera che lo stava investendo.
“Si può sapere che ci fate qui!?”

I quattro ragazzi non risposero, guardandosi come se non avessero fatto nulla di male e aspettandosi lo stesso trattamento da quel professore. Tuttavia, quando puntò il nostro caro protagonista, come perforandolo con i suoi occhi, la sedia improvvisamente si fece più grande. O meglio, lui si fece più piccolo.
Missione numero tre: Diablo.

“Bella partita?” Soffiò trai denti con una vena ironica, con una voce talmente bassa che lo fece un po’ rabbrividire.

“...Sì. Non male. Certo i mostri potrebbero droppare più cose ma-”

“Fuori. Adesso.”

Con un piccolo sospiro, guardò i suoi compagni e si strinse nelle spalle: c’era poco da fare, quel professore lo stava stalkerando dall’inizio della scuola, quando lo aveva trovato in bagno coperto di granita e gli avesse chiesto a che gusto fosse.

Non gli era mai andato a genio quel professore: per lui era troppo giovane, o troppo altezzoso, o troppo carino. Doveva ancora decidere quale troppo detestava di meno; forse, l’ultimo.

Aveva quasi raggiunto la porta d’entrata quando il suo piede accidentalmente finì intrappolato in un groviglio di fili, sentendosi sbilanciare all’improvviso.

Per fortuna, qualcuno con riflessi migliori dei suoi, forse dovuti agli sparatutto che praticava ogni sera con il suo coinquilino, o agli ottomila caffè che si era bevuto quella mattina, intervenne: si sentì afferrato per la tracolla ancora prima di aver realizzato che quel recupero in volteggio avrebbe diminuito il consumo di stamina del suo Demon Hunter, se fossero stati nel mondo di Diablo. Si ritrovò sbilanciato pericolosamente in avanti, con il professore che lo sorreggeva; non appena riprese il controllo della situazione, fece un profondo respiro e lo guardò male.
“Ti tengo.”

Tuttavia, quelle due piccole parole, gli fecero un po’ impressione, tanto da fargli scappare un minuscolo e timido “grazie”. Timidezza che svanì l’attimo successivo.

“Non dicevo a te. Dicevo al computer che hai in tracolla, sarebbe una tragedia se cadesse.”

Era quasi tentato di dirgli che la tracolla in sè costava più del suo stipendio da misero professore qual era, ma preferì starsene zitto.

Una volta fuori dalla stanza, si trovarono pericolosamente faccia a faccia, a braccia conserte, e una profonda smorfia che solcava i loro visi.

“Hai preso un’altra insufficienza nella mia materia.”

“Ottimo – commentò il ragazzo – penso che inizierò a collezionarle.”

“Non è divertente. Ti rendi conto che rischi la bocciatura? Nelle altre materie come vai?”

“Come nella sua”, rispose freddamente, quasi disinteressato di fronte a quell’insegnante che cercava soltanto di dargli una mano. Lo vide passarsi una mano trai capelli scuri, emettendo un piccolo sospiro; quando posò lo sguardo a terra, lui restò per un attimo incantato a fissare le sue ciglia, lunghe, sensuali, fino a quando il suo occhio non scese più in basso: se non fosse stato per quelle bretelle rosso ciliegia che sembravano urlare “sfigato” da ogni trama, sarebbe stata anche una vista piuttosto piacevole.

Scrollò la testa solo dopo essersi ricordato che stava sbavando dietro a uno stronzo ficcanaso e quasi sicuramente frustrato sessuale. Magari quell’ultima cosa non era nemmeno vera, visto il suo aspetto, ma tanto, tutti i prof sono frustrati.

“Non puoi comportarti così” lo sentì dire con tono canzonatorio, ma che conteneva anche una vena di dolcezza e sincera preoccupazione. “Insomma, quanti anni hai, diciotto?”

“Diciotto e mezzo.” Precisò lui. Nemmeno si accorse che in quel momento si era appena dato del bambino.
“Potresti perfino finire in prigione” ridacchiò tra sè e sè, immaginandosi qualche scenario piuttosto variopinto e assolutamente impossibile. Per un attimo, ebbe paura della sua stessa immaginazione.

“Insomma, io sono preoccupato per te. Mi sembri un ragazzo in gamba... certo, tra le nuvole, e ritardatario, e nullafacente, ma con dei lati positivi.”

Inarcò entrambe le sopracciglia: quella era la migliore offesa che avesse mai ricevuto nella sua vita.

E pensare che gli era stato anche dato del nerd diverse volte.

“Io non capisco... voglio dire, eppure sembri un tipo molto...”

Si fermò, non sapendo bene come descriverlo: in effetti, era abbastanza complicato etichettare un ragazzo bello, pulito, che si vestiva bene, ma che voleva mettere la scheda video dentro a un microonde.
“Studioso?” Ipotizzò lui, con un sorriso sghembo.

“Ecco, studioso.”

“Sul serio?”

Sul suo viso apparve un “no” chiaro come gli annunci in chat della casa d’aste su Diablo.

“Però sei molto intelligente, e anche i tuoi amici lo sono.” Ribattè trattenendo a stento l’imbarazzo, facendo un gesto con la mano in direzione della porta chiusa.

“Siete... siete un po’ nerd, e non capisco, potreste applicarvi di più e-”

“Scusi prof, ma in quale parte del globo un nerd va bene a scuola? Di solito perdiamo così tanto tempo in videogiochi che sappiamo calcolarti il DPS di un'arma a corto raggio, ma non sappiamo le tabelline. Giuro che ucciderò colui che ha inventato questo stupidissimo luogo comune."

E poi, trascinato dalla corrente dei suoi nervi, dai quei grandi occhi chiari che lo stavano fissando attoniti, dalla pesantissima tracolla sulla spalla che gli avrebbe dato un principio di scoliosi, guardò per un’ultima il professore parlando con una voce più alta del solito: “Ma si può sapere che cosa vuole? Che cosa vuole da me?”

La risposta arrivò rapida quanto fatale, e lo colpì in pieno petto.

“Tutto. voglio tutto.

Appunti tesine relazioni compiti a casa interrogazioni modello. Vedi di comportarti bene."

Diablo 1

Studente 0

Owned.



Thergon è online

Thergon: /w SilverHammer ci sei?

Thergon: /w SilverHammer …

Il tuo amico SilverHammer è online

SilverHammer: /w Thergon sry per il ritardo. Giornata lunga e stancante.

Thergon: /w SilverHammer np. Allora com’è andata a scuola?

SilverHammer:/w Thergon Odio il mio prof di lettere. Si crede tanto figo solo perchè può fare liberamente lo stronzo.

Thergon: /w SilverHammer Ma lol

SilverHammer: /w Thergon No sul serio. Quando è su quella cattedra si sente onnipotente, forse perchè ha il rialzo, e così per una buona volta nella vita si può sentire alto.

Thergon: /w SilverHammer Asd asd asd

SilverHammer: /w Thergon che poi con quelle bretelle rosso ciliegia è ridicolo, sembra Steve, quello di Otto sotto un tetto.


Thergon: /w SilverHammer...????

SilverHammer:/w Thergon what

Thergon: /w SilverHammer... scusa ma. Posso farti una domanda?

SilverHammer: /w Thergon y

Thergon: /w SilverHammer questo prof di cui parli... insegna lettere?

SilverHammer: /w Thergon ...sì? Te l’ho già detto

Thergon: /w SilverHammer e non è molto alto.

SilverHammer: /w Thergon no, non direi. Ma perchè mi fai queste domande?

Thergon: /w SilverHammer e magari... oggi ha parlato del tuo andamento scolastico?

SilverHammer: /w Thergon sì, ma questo lo fanno tutti i prof in realtà...

Thergon: /w SilverHammer avete parlato davanti l’aula d’informatica?

SilverHamer: /w Thergon sì. Come fai a saperlo?

Thergon: /w SilverHammer ... scusa, ma tu come ti chiami?

 



Nda Lievea

Sì, lo so. WHAT THE FUCK?

Chi ha indovinato quali due storie abbiamo mixato in questo... capitolo sbagliato?

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Untitled and Unreleased

 

- Capitolo quattro -

 


         
Mentre in strada il traffico pomeridiano assordava e intossicava i poveri passanti, l’interno della piccola caffetteria era silenzioso e tranquillo, agitato solo dal leggero tintinnio delle stoviglie e dalle chiacchiere degli avventori. In quell’oasi di pace, profumata di caffè, una risata improvvisa distolse l’attenzione di tutti dalla propria bevanda, costringendoli a voltarsi verso l’unico ragazzo seduto su uno degli sgabelli posizionati lungo il bancone del locale. Alcuni lo guardarono scocciati per qualche istante, ma non dissero nulla, mentre alcuni studenti arrivarono a borbottare infastiditi, indicando al barista i propri libri per sottolineare il concetto: Blaine, imbarazzato, annuì e schiaffeggiò Wes sull’avambraccio, supplicandolo silenziosamente di smetterla. Ovviamente, l’altro si limitò ad abbassare il volume, continuando a sghignazzare di gusto.
“Ok. Ok. La smetto. Però tu devi smetterla con queste storielle assurde e poi lamentarti per come reagisco. E ora raccontami che cosa è successo davvero, Blaine.” disse alzando entrambe le mani in tono di scuse. Wes, che aveva rischiato di cadere a terra per l’intensità delle sue risate, si passò i pollici per asciugarsi le lacrime e si sforzò di rimettersi composto, non appena notò lo sguardo truce di Blaine.
“E’ questo che è accaduto. E non è divertente.” Ripeté Blaine a denti stretti, impugnando una caraffa di caffè bollente. Tutto dava l’impressione che il ragazzo morisse dalla voglia di lanciargliela in testa.
Tutto, pur di farlo smettere di prenderlo in giro.
“Quindi mi stai dicendo che non solo ieri hai dimenticato in metropolitana un Ipad da 600 dollari e che quello schianto di ragazzo è venuto fin qui per restituirtelo, anziché tenerselo o venderlo online, ma che hai anche sbagliato a spedirgli il libro che ti aveva chiesto? Maledizione, Blaine… se sei riuscito a bruciare anche un’occasione come questa, probabilmente rimarrai single per sempre.”
Il conciso riassunto di Wes ebbe solo l’effetto di abbatterlo ulteriormente. Con aria sconsolata, Blaine si ficcò in bocca mezza ciambella glassata e strinse le spalle.
“Erano le due notte, quella mail era lì che aspettava una risposta e io morivo dalla voglia di compiacerlo.” brontolò, sbocconcellando il resto della ciambella. “L’hai visto tu stesso, voleva leggere il seguito del libro, nient’altro.”
“Sì, però ha bevuto il tuo cappuccino.” argomentò Wes, cocciuto.
“Magari l’ha fatto perché gli piaceva.” ribatté Blaine. Non riusciva a concepire come un ragazzo come quello potesse essere in qualche modo interessato a lui e non aveva intenzione di lasciarsi incantare dalle ipotesi di Wes. In passato aveva commesso l’errore di illudersi, per poi ritrovarsi abbandonato sul divano con il cuore spezzato, un barattolo di gelato sulle ginocchia e il dvd delle Pagine della nostra vita che scorreva a ripetizione sullo schermo. Il quadro era completato da un vecchio pigiama sformato e Wes che lo scrollava.
“Non prediamoci in giro, Blaine. Sai bene cosa penso di quel cappuccino. In più, se l’elemento cappuccino non fosse sufficiente… il tizio è gay.” Ribadì per l’ennesima volta. A quel punto, Blaine sbottò.
“Nonostante ti piaccia pensarlo, non siamo delle scimmie di mare, Wes! Non basta appartenere alla stessa specie e rinchiuderci in una boccia di vetro, per farci riprodurre!”
Lasciato Wes di stucco, tornò a dedicarsi alla preparazione del caffè, facendo del suo meglio per ignorarlo. Sapeva che le intenzioni dell’amico erano buone, così come lo erano state al party della settimana precedente, alla festa di Capodanno nel Village e al compleanno di un suo compagno di corso; eppure in cuor suo sapeva che Wes non lo capiva davvero. Blaine era perfettamente in grado di rimediare da sé del sesso facile e privo di impegno, ma non era quello che voleva: desiderava un amore epico, di quelli che ti rendono talmente felice da tenerti sveglio perfino di notte, di quelli che ti tolgono ogni esitazione. Anche se si vergognava ad ammetterlo, Blaine aveva venticinque anni e non solo credeva ancora nell’amore romantico, ma lo cercava disperatamente.
In modo goffo, timido e completamente sconclusionato, ma lo cercava e desiderava.
Non voleva essere approcciato al bancone di un bar ed essere rimorchiato con qualche frase studiata, ma incontrare per caso un ragazzo, conoscerlo lentamente, concedersi il lusso di innamorarsi di lui un passo per volta.
Non voleva una mano appoggiata sul sedere mentre ballava in club affollato, ma la punta di dita che sfioravano leggermente le sue, uno scambio di sguardi imbarazzati e nasi che si strofinavano piano prima di un bacio a fior di labbra.
Voleva svegliarsi la mattina presto e scivolare fuori dal letto silenziosamente, non per fuggire da un appartamento estraneo ed evitare conversazioni imbarazzate con il ragazzo che ancora dormiva, ma intrufolarsi in cucina e preparargli la colazione. Poteva già immaginarsi mentre apriva la porta della stanza con un vassoio in bilico tra le mani e la calda consapevolezza che non l’avrebbe preso in giro per essere un inguaribile romantico.
Forse era un ingenuo, ma sapeva che difficilmente avrebbe cambiato idea. Ed era per questo che Kurt lo spaventava ed eccitava insieme: uno scontro in metropolitana, un incontro in caffetteria, due estranei che si rincorrono per Manhattan. Sembrava il perfetto inizio di un film romantico.
Il suo personalissimo film romantico.
Ma per quanto tutto ciò lo affascinasse, Blaine sapeva bene che era quasi impossibile che tutto procedesse per il meglio. E finchè non fosse stato sicuro, non si sarebbe concesso il lusso di sperare altrimenti.
Non sarebbe rimasto impalato lasciandosi sfuggire l’occasione tra le dita, ma non sarebbe lanciato ciecamente in quella avventura. Mentre riordinava i muffin con la testa persa in quei ragionamenti, decise che una volta calmati i nervi, avrebbe chiarito per bene la situazione con Wes e gli avrebbe chiesto qualche consiglio su come procedere. Dopotutto, Kurt gli aveva lasciato il suo numero di cellulare e la sua mail, quindi aveva la possibilità di contattarlo con calma, una volta recuperato il libro giusto.
Questa volta non si sarebbe fatto prendere di sorpresa e avrebbe giocato al meglio le sue carte, stabilì, compiaciuto per la sua determinazione. Allineò qualche ciambella, quando una voce pericolosamente familiare disse: “Buongiorno. E’ possibile ordinare? Qualcuno mi ha detto che per il miglior cappuccino alla liquirizia devo passare quando c’è il barista più carino.”
Per poco, voltandosi di scatto, Blaine non rischiò di rovesciare a terra tutta la vetrina dei dolci e farsi schizzare gli occhi fuori dalla testa. Di nuovo, Kurt l’aveva preso in contropiede.
E di nuovo, si trovò completamente impreparato.
Eccolo lì, il ragazzo per cui aveva passato una notte quasi insonne, frugando tra i files del suo computer alla ricerca di un libro che probabilmente nemmeno possedeva. Improvvisamente, di fronte all’abbigliamento ricercato di Kurt, Blaine fu conscio delle occhiaie scure che aveva sotto gli occhi, del fatto che il suo grembiule era macchiato di caffè e che non si era nemmeno pettinato prima di iniziare il turno.
I suoi jeans, acquistati per venti dollari da Target, gli scottarono sulle cosce: Kurt indossava una giacca tempestata di borchie che probabilmente costava un occhio della testa. E… un momento.
Erano forse degli shorts, quelli?
Involontariamente, Blaine si trovò a squadrarlo, arrivando a chinarsi appena oltre il bancone per cercare conferma ai suoi sospetti: non erano shorts. Era un kilt.
Se nella sua mente aveva appena abbozzato una risposta al saluto di Kurt, quella visione l’incenerì all’istante. Non avrebbe mai trovato una frase all’altezza di un ragazzo con il fegato di indossare un kilt e riuscire comunque a mozzare il fiato; tanto valeva tacere, abbandonare direttamente il proposito di stupirlo e passare direttamente alla figura da idiota.
Kurt sorrise compiaciuto alla lunga occhiata di Blaine, un po’ attonita e un po’ d’apprezzamento, ma gli sfuggì il senso delle parole che l’altro aveva bofonchiato dopo essersi ripreso. Forse il suo approccio era stato un po’ diretto e l’aveva messo in imbarazzo.
“Dicevo… è possibile ordinare?” provò a dire, tentando un aggancio più soft e continuando a sorridere.
A quel punto, Blaine ricordò con quale frase maliziosa Kurt si era presentato e ne comprese il reale significato, quindi arrossì e si trovò a rispondere, seppure in ritardo: “Per ora ci sono solo io, purtroppo dovrai accontentarti.”
Kurt rise. E a Blaine sembrò il suono più bello del mondo.
“Se fare il sostenuto è un tentativo per strapparmi un altro complimento… “ Kurt si appoggiò sul bancone, chinandosi appena verso Blaine. “… sappi che sta funzionando. Con quelle guance rosse, non puoi dirmi di non essere il più carino e crederci davvero.”
Gli strizzò l’occhio, e Blaine avvampò ulteriormente. Wes aveva ragione: forse non erano scimmie di mare, ma se li avessero rinchiusi in una stanza, qualcosa sarebbe sicuramente successo.
“Non sei obbligato a prenderlo.” disse sforzandosi di alzare lo sguardo verso Kurt.
“Cosa?” domandò perplesso, senza capire cosa intendesse.
“Io qui bevo solo macchiato al caramello e so che il cappuccino fa schifo. Anche perché Wes non fa che ripetermelo. Ti ricordi di Wes, vero?” Blaine si strinse nelle spalle e indicò l’amico seduto a qualche sgabello di distanza, intento ad ascoltare ogni singola parola della loro conversazione senza dare troppo nell’occhio. Salutò Kurt con un cenno della mano e riprese a fingere di giocare con il cellulare.
“Oh. E io che stavo già mettendo in dubbio il mio talento come attore!” ridacchiò. “Allora prenderò un latte macchiato, ma solo se mi farai compagnia mentre lo bevo. Quando avrai un minuto di pausa? Vorrei parlarti al riparo da… orecchie indiscrete.” E con un discreto movimento del capo accennò a Wes.
Blaine si voltò e controllò l’orologio appeso alla parete, esattamente sopra la sua testa.
“Ho un quarto d’ora di pausa tra mezz’ora. Ma non vorrei farti aspettare così tanto e…” disse tornando a guardare Kurt, che si stava aggiustando la tracolla sulla spalla. Per un momento, temette che il ragazzo stesse per andarsene; invece estrasse un fascicolo apparentemente gonfio di fotografie e campioni di tessuti.
“Non c’è problema, ho portato del lavoro con me.” Prima di andarsene, appoggiò una banconota da dieci dollari vicino alla cassa: “Questi sono per il mio latte, un macchiato al caramello per te e uno di quegli enormi biscotti con ribes. Ti aspetto.”
Paralizzato, Blaine si limitò ad annuire e seguirlo con lo sguardo mentre si allontanava con passo leggero.
Dannazione. Un kilt.
Lasciò che Wes schiumasse per la curiosità per qualche minuto, fingendo di essere impegnato a riordinare alcune tazze, poi gli raccontò rapidamente che cosa si erano detti. O meglio, disse a Wes le poche parole che gli erano sfuggite mentre origliava la conversazione.
“E ora ti sta aspettando al tavolo. Cioè… ha accettato di aspettare mezz’ora al tavolo perché vuole parlarti. Ho capito bene?” chiese, eccitato e sconvolto, saltellando sullo sgabello.
“Già. Chissà, magari vuole il tuo numero di telefono.” scherzò Blaine. “Devo riuscire a sistemarmi i capelli e cambiare il grembiule. L’hai visto? Quello che indossa come minimo costa quanto una piccola utilitaria. E io ho il grembiule schizzato di caffè.”
Wes ammise che era una buona idea, ma l’ingresso di una serie di clienti gli impedì di fare effettivamente qualcosa per migliorare il proprio aspetto. Poco prima della pausa riuscì a rubare dagli armadietti un grembiule immacolato e spazzolarsi velocemente i riccioli.
Con qualche frase a effetto pronta sulla punta della lingua, due bevande bollenti in mano e un enorme biscotto in bilico sopra al latte di Kurt, si avviò coraggiosamente e con nonchalance verso il suo tavolo, ora coperto di ritagli, schizzi e fotografie. Dal passo sciolto che aveva scelto di adottare, poteva sembrare che fosse sua abitudine trascorrere le sue pause bevendo caffè con ragazzi bellissimi; in realtà il più delle volte si sedeva sul retro e cercava di studiare, con gran poco successo.
“Ehi.” disse per richiamare l’attenzione di Kurt, chino su una fotografia e intento a studiarla attraverso quella che sembrava una lente di ingrandimento. L’altro sorrise, ammucchiò tutto il materiale e lo ficcò nella borsa.
Quando Blaine, appoggiate le tazze, fu sul punto di sfoderare la domanda che si era preparato, Kurt inclinò la testa e domandò ingenuamente: “Hai cambiato grembiule?”
“Come? No. No. Perché me lo chiedi?” rispose bevendo un sorso e fingendosi disinvolto.
“Perché ora sul cartellino c’è scritto Shoshanna.” spiegò Kurt, picchiettandogli sul petto con la punta dell’indice. Blaine abbassò la testa di scatto; nella fretta, ovviamente non aveva tolto il cartellino della sua collega.
Fantastico.
“Uh. Beh… ecco.” incespicò con le parole, imbarazzato di essere stato colto in flagrante.
“Non preoccuparti, è una cosa carina. Davvero. Possiamo fingere che sia il tuo secondo nome.” Propose, sforzandosi di metterlo a suo agio. Blaine fece una risata nervosa, ma sembrò rilassarsi.
 “Allora…” provò a dire, invitando Kurt a dire il motivo per cui gli aveva chiesto di fargli compagnia. In realtà Blaine sperava di scoprire anche perché era tornato a trovarlo. Alle spalle di Kurt, Wes gli fece segno di raddrizzare le spalle e sorridere di più.
“Allora…” giocò in risposta Kurt. Non voleva forzare la mano e fare eccessivamente il disinvolto, Blaine sembrava un ragazzo timido. E poi, nonostante fosse davvero adorabile, per ora il suo obiettivo era un altro.
“Immagino che tu abbia già capito perché sono tornato qui, quindi bando alle ciance!” Kurt batté insieme i palmi delle mani con entusiasmo. Blaine spalancò gli occhi, perché in effetti non aveva idea del perché fosse di nuovo lì in caffetteria.
“Per il libro, no?” disse quando l’altro non sembrò azzardare alcuna ipotesi. “Insomma, mi sembra evidente che c’è qualche difficoltà nel reperire il resto del libro, quindi sono qui per offrirti il mio aiuto. Dopo il poliziotto e il dottore, dopo lo studente nerd e il professore severo, io devo assolutamente scoprire chi è l’autore!”
“Giusto. Il libro. Mi dispiace di averti inviato il file sbagliato, ma è stato l’unico che sembrava essere quello corretto. Quando mi hai fatto notare l’errore io…” provò a spiegare.
“Non devi scusarti! Non ho capito la metà di quello che ho letto, ma ti assicuro che ho passato un quarto d’ora piacevolissimo.” disse Kurt con enfasi. “E ora ho addirittura due storie di cui voglio leggere il seguito. Dovrei ringraziarti, altrochè. Ora… perché non mi dici il nome dell’autore? Potremmo cercarlo su Amazon o scrivere una mail alla casa editrice.”
“Io… non so chi sia l’autore, mi dispiace.” rispose Blaine. Kurt gli rivolse un’occhiata sorpresa.
“Ma… sarà segnato per forza da qualche parte, sull’ordine d’acquisto o qualcosa del genere.”
“Non l’ho esattamente acquistato, quel libro. Nessuno dei due, in effetti. Probabilmente è per quello che il file era danneggiato.” confessò Blaine, imbarazzato.
Lo sguardo di Kurt si fece intrigato, mentre si avvicinava per sussurrargli: “Vuoi dire che li hai scaricati illegalmente?”
Blaine annuì, con un guizzo birichino negli occhi. Kurt era ormai sbalordito.
“Mi piace questo tuo lato criminale. Che ingenuo che sono stato! Io ti avevo già cucito addosso i panni dell’agente Miele, integerrimo difensore della legge. O quelli di professore, ligio al dovere fino allo sfinimento dei suoi studenti.” commentò.
Blaine arrossì, giocherellando nervoso con il tovagliolo. L’idea di essere paragonato al fascinoso e taciturno poliziotto lo lusingava: “Oh beh… diciamo che a volte commetto anche io le mie marachelle.” scherzò.
Gli occhi di Blaine luccicavano come miele liquido, e Kurt pensò che il suo paragone fosse più che azzeccato, pirateria informatica a parte. Si scambiarono un’occhiata silenziosa.
“Uniamo le forze. E magari leggendo il resto del libro scopriremo che anche l’agente Miele in realtà è Neo, come in Matrix. E che tutto l’ospedale, dottore compreso, sono una sua proiezione mentale.”
L’improvvisa risata di Blaine lo sorprese: “Che ho detto?”
“Tu non lo sai, ma mi chiamo Anderson. Se l’agente, che a detta tua mi somiglia, condividesse con me anche il cognome, sarebbe il Signor Anderson, proprio come nel film. Il che mi porta a ritenere la tua ipotesi Matrix ancora più probabile.” spiegò con un sorriso sornione.
A quel punto, fu il turno di Kurt di ridere.
“Devo quindi concludere che sei disponibile ad aiutarmi nella ricerca?” domandò dopo aver bevuto l’ultimo sorso di latte macchiato.
“Sì. Per ora abbiamo poco a disposizione, solo il sito che uso per… recuperare i libri. E qualche metadato sparso qua e là. Potrei passarteli e potresti provare a cercare online qualche informazione.” Buttò lì Blaine. A questo punto dei libri gli importava relativamente, voleva solo rivedere Kurt.
“Mi sembra un’ottima idea. Allora aspetterò una tua mail.” rispose Kurt, afferrando la sua borsa e appoggiandola in grembo. “Credo che la tua pausa sia finita, Blaine.”
Dietro il bancone, il collega lo fissava torvo, con le braccia incrociate sul petto.
“Oh sì. Devo scappare. Io… è stato carino.” Disse affrettandosi ad alzarsi e accompagnando Kurt verso l’uscita. “Ciao, Kurt.”
“Ciao… Shoshanna.” Kurt gli strizzò l’occhio, e sgusciò via senza aggiungere altro.
 
 



***

Angolo di Lievea
 
Ciao! Sono Fra! Forse vi ricorderete di me per fanfiction come quella in cui prendo in giro Blaine regredito improvvisamente di un anno, o quella in cui prendo in giro Kurt e Blaine che si vestono da Snooky e The Situation, o quella in cui prendo in giro loro due che provano a fare sesso sotto la doccia, o quella in cui prendo in giro la mia stessa storia fusa a quella di Alice (vedere capitolo precedente)...
Uhm. In effetti ho preso in giro un sacco di cose.
 Ad ogni modo, puntuali come il ciclo che viene il giorno della partenza per il mare, ecco qui il nostro quarto capitolo ad opera della mitica Lievebrezza! Io l’ho adorato. Ho riso dall’inizio alla fine e alla battuta di Neo-Anderson sono ufficialmente morta. La moglie si è discolpata dicendo: Matrix è il mio film preferito in assoluto, con Blaine che ha quel cognome, prima o poi dovevo mettere un riferimento.
Ho una moglie che ha davvero bei gusti.
E vabè, insomma, spero che vi sia piaciuto quanto è piaciuto a me! Ad ogni modo vi ringraziamo di cuore per tutto il supporto e l’affetto che ci state dando, significa davvero molto per noi. Grazie a chi ha letto fino a qui e alla prossima! Un bacione
Lievea

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