Attraverso i confini del tempo

di katyjolinar
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1 ***
Capitolo 3: *** 2 ***
Capitolo 4: *** 3 ***
Capitolo 5: *** 4 ***
Capitolo 6: *** 5 ***
Capitolo 7: *** 6 ***
Capitolo 8: *** 7 ***
Capitolo 9: *** 8 ***
Capitolo 10: *** 9 ***
Capitolo 11: *** 10 ***
Capitolo 12: *** 11 ***
Capitolo 13: *** 12 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Attenzione: la storia che state per leggere è stata scritta qualche mese fa, quando la quarta stagione era appena iniziata, quindi ci sono delle incongruenze rispetto alla trama. Detto questo... leggete e fatemi sapere cosa ne pensate!

Quello era uno dei ricordi più belli della sua infanzia.

Era sempre suo padre a metterla a letto. Quando aveva tre anni, alla sera, mentre la madre riordinava in cucina, suo padre la prendeva in braccio che era già mezza addormentata, e la portava in camera. Mentre la portava, già le cantava la sua ninna nanna preferita.

“Row, row, row your boat

Gently down the stream,

Merrily merrily, merrily, merrily

Life is but a dream

Row, row, row your boat

Gently down the brook,

If you catch a little fish

Please let it off the hook…”

Elizabeth si accoccolava sul suo petto e ascoltava, lasciandosi cullare dalla sua voce.

“Row, row, row your boat

Gently down the creek,

If you see a little mouse

Listen to it squeak

Row, row, row your boat

Gently down the river,

If the river gets you wet

Don't forget to shiver

Row, row, row the boat

Gently to the shore,

If you see a lyin' bear

Don't forget to roar…”

Lui apriva la porta della sua stanza e, senza accendere la luce, la metteva sul letto, rimboccandole le coperte.

Row, row, row your boat

Watch the water flow,

Rowing's fun but rowing's hard

That is what I know

Row, row, row your boat

Gently down the lake,

Don't stand up and rock the boat

That's a big mistake!

Row, row, row your boat

See the water run,

Rowing here and rowing there

Oh we're almost done…”

Lei si addormentava subito dopo, sentendo la voce di suo padre che si allontanava.

“Row, row, row your boat

Gently down the stream,

Ha ha fooled ya all

I'm a submarine

Row, row, row your boat

Gently down the stream,

Merrily merrily, merrily, merrily

Life is but a dream”

Poi accostava la porta, mentre sua madre si avvicinava.

“Si è addormentata, Peter?” chiedeva, tutte le volte.

“Sì, Olive. Come un angioletto.” le rispondeva lui.

Ma le voci dei suoi genitori erano lontane, mentre Elizabeth si perdeva nel mondo dei suoi sogni di bambina.

Ma ora era adulta. Quelli erano ricordi di oltre 25 anni prima.

Suo padre, Peter Bishop, era sempre stato il suo eroe. Elizabeth pendeva dalle sue labbra quando le raccontava le sue avventure, di come aveva salvato due mondi in pericolo, prima della sua nascita. Oppure quando le parlava di suo nonno e delle sue geniali pazzie.

Suo nonno, Walter Bishop… Elizabeth se lo ricordava appena. Era mancato quando aveva quattro anni, non aveva potuto conoscerlo bene. L’unico ricordo che le era rimasto di lui era quel laboratorio, nel seminterrato dell’edificio Kresge dell’Università di Harvard, ormai rimodernato, rispetto alle foto e ai video che aveva visto di quando ci lavorava il nonno; l’unica costante era quella vasca arruginita, in mezzo alla stanza, che sua madre, Olivia, stava riempiendo di acqua, aiutata da Henry, fratello maggiore di Elizabeth, mentre suo padre discuteva in un angolo con Eddie, il compagno della giovane figlia.

Elizabeth si strinse nell’accappatoio, in attesa. Eddie le si avvicinò e la fissò, preoccupato.

“Lo so che è inutile, ma te lo chiedo ancora. Sei sicura che sia una buona idea?” le chiese il giovane uomo, mentre si toglieva la maglia e indossava anche lui l’accappatoio.

“Edward, te l’ho già detto… è l’unico modo per salvarlo… per salvare nostro figlio…” rispose, carezzandosi la pancia. Un debole calcio proveniente dall’interno la fece sussultare e sorridere. Il bambino stava bene, per il momento.

Quando la vasca fu piena, Peter si avvicinò a Elizabeth e Eddie e li guardò negli occhi.

“Vi ho già spiegato cosa succederà. Vi guiderò con la voce finchè potrò, poi le capacità di Elizabeth faranno il resto.” disse. Era eccitato e preoccupato allo stesso tempo. In quel momento somigliava molto a Walter, per quel poco che Elizabeth ricordava.

Peter aveva oltre 60 anni, ormai, ma continuava ad essere un uomo geniale. Certo, non era paragonabile al genio di Walter, ma se era diventato capo della Divisione Fringe ed era soprannominato “l’Eroe dei due Mondi” c’era sicuramente un motivo.

Elizabeth annuì, poi lo abbraccò, tirando indietro le lacrime.

“Grazie, papà. Ti voglio bene.” disse.

Peter sorrise e le carezzò i capelli, poi lei abbracciò anche la madre e il fratello.

Infine si avvicinò alla vasca e si tolse l’accappatoio. Eddie fece lo stesso, e insieme entrarono nell’acqua.

Eddie la abbracciò, mentre Henry chiudeva la vasca e Peter dava le istruzioni attraverso il microfono.

Elizabeth chiuse gli occhi e si concentrò su quella voce che, improvvisamente sparì, come sparì l’acqua in cui erano immersi lei e il suo compagno.

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Capitolo 2
*** 1 ***


Era un periodo stranamente calmo, nella Divisione Fringe.

Peter era entrato nella macchina sei mesi prima e aveva creato un ponte tra i due universi, che ora vivevano un periodo di tregua.

Il giovane uomo si stava dando da fare per risolvere almeno in parte i problemi creati in 25 anni di “guerra”, e cercava di mantenere un certo equilibrio tra le due fazioni.

Lui apparteneva a entrambi i mondi, era stato scelto per questo come intermediario: era al di sopra delle parti.

Ma anche se i problemi tra gli universi si stavano risolvendo, ce ne erano altri, nella vita di Peter, che erano emersi proprio nel momento in cui aveva creato il ponte.

Uno di questi aveva di nuovo minato il suo rapporto con Olivia, e si chiamava Henry Bishop, il figlio che lui aveva involontariamente concepito con l’altra Olivia, circa un anno prima.

Sì, lui e Olivia stavano ancora insieme, ma lei si era raffreddata nel momento stesso in cui era venuta a conoscenza dell’esistenza di quella creatura, che sapeva essere innocente, ma che le aveva ricordato cosa era successo nel periodo di prigionia nell’altro universo.

Peter non sapeva cosa fare, e per il momento, preso come era dal suo ruolo di diplomatico, non aveva neanche il tempo di pensare a una soluzione. Gli bastava saperla vicina, per ora, poi il resto si sarebbe risolto con il tempo.

Quella mattina aveva accompagnato Walter in laboratorio, poi lo aveva lasciato sotto la custodia di Astrid e si era chiuso nell’ufficio con Olivia, a leggere gli ennesimi documenti delle “trattative di pace” dei due mondi.

Walter, per passare il tempo, si era messo a fare esperimenti con dei bruchi che aveva ordinato pochi giorni prima, somministrando loro diversi tipi di droghe e fischiettando serenamente un brano dei Violet Sedan Chair… ok, forse qualcuna di quelle droghe l’aveva provata anche su di sé, ma almeno era tranquillo e non stava creando problemi.

Improvvisamente, qualcosa attirò la sua attenzione.

“Astral, credo che questo LSD che ho provato era troppo concentrato: mi sembra di sentire qualcuno che bussa.”

Astrid sospirò: mai una volta che azzeccasse il suo nome… poi sentì qualcosa anche lei: qualcuno bussava, ma non riusciva a capire la fonte.

Andò a chiamare Peter e Olivia, per chiedere se sentivano anche loro quel rumore. I due si spostarono nel laboratorio e ascoltarono attentamente. Effettivamente sentivano bussare qualcuno, e poi sentirono anche chiamare. Peter si avvicinò alla vasca e la fissò.

Con una mossa decisa la aprì.

Dentro c’erano due persone, un uomo e una donna, più o meno della sua stessa età. L’uomo sorreggeva la donna, che aveva le convulsioni. I suoi occhi incrociarono quelli di Peter; c’era panico nel suo sguardo.

Bishop non disse nulla e lo aiutò a tirare fuori la donna: prima di fare domande era meglio non far morire nessuno.

Gli altri si avvicinarono e, mentre Walter e Astrid si occupavano della donna, Peter immobilizzava a terra l’uomo. Era più alto di lui, e molto più massiccio, ma non gli fu difficile farlo.

“Chi siete?” chiese Bishop, senza mollare la presa.

“A… aspettate… lei è incinta…” disse l’uomo, senza rispondere, e fissando la donna che era nella vasca con lui.

Peter guardò il padre, il quale annuì, segno che aveva recepito il messaggio, poi tornò a concentrarsi sull’uomo.

“Ora rispondi. Chi siete?”

L’uomo esitò, poi, quando la donna sembrava stare meglio, finalmente rispose.

“Io mi chiamo Edward Pawn, lei è Elizabeth Bishop.”

Peter guardò negli occhi l’uomo, voleva capire se quello che stava dicendo era la verità. Lo sguardo del giovane gli sembrava sincero. Inoltre era incuriosito dal nome della donna, così simile a quello di sua madre.

“Ok.” Disse, usando un tono di voce freddo e calcolato “Ora ci dovete raccontare tutto dall’inizio. E con tutto intendo: da dove venite, cosa ci facevate nella vasca e perché siete bagnati fradici, visto che non c’è acqua, lì dentro. E spera che la risposta sia convincente.”

Eddie esitò e guardò la compagna. Era ancora pallida, ma non aveva più le convulsioni ed era sveglia. Si stava carezzando la pancia, stretta nella coperta che le aveva messa addosso Olivia.

“Più che da dove, sarebbe più giusto dire da quando.” cominciò il giovane.

“Spiegati meglio.” ordinò Peter, severo.

“Veniamo da circa 31 anni nel futuro, dalla data di oggi.” sussurrò Elizabeth.

Peter scoppiò a ridere.

“Certo, e magari siete amici di John Titor e Marthy McFly…” scherzò, sarcastico.

Elizabeth e Eddie si guardarono per qualche secondo.

“L’aveva detto che non ci avrebbe creduto.” sussurrò la donna.

“Di chi state parlando? Di "Doc" Emmett Brown?” scherzò ancora Bishop.

“No, di te, Peter.” rispose Elizabeth, alzando gli occhi “O forse dovrei chiamarti papà.”

“Scusa, tesoro.” cominciò Peter, usando lo stesso tono che aveva usato con Olivia quando si erano conosciuti, a Bagdad “ma faccio molta fatica a crederti: ho un solo figlio, per ora, un maschio. Quindi inventati un’altra storia, perché questa non sta funzionando.”

La giovane donna sospirò.

“Avevi previsto anche questo. So che hai un altro figlio, conosco mio fratello, ha due anni più di me. L’ho conosciuto 16 anni fa. Io devo essere ancora concepita.” ci fu un attimo di silenzio “Se non mi credi, fammi il test del DNA.”

“Ok, ammesso e non concesso che quello che avete detto è vero…” obiettò ancora Peter “come avreste viaggiato? E non dirmi che avete usato una DeLorean!”

“Peter, lo sai che le capacità dei cortexikids, una volta attivate, diventano ereditarie?” rispose la giovane “Ho usato le mie capacità. Certo, tu mi hai dato una mano, ma il grosso l’ho fatto io.”

Peter sospirò e guardo il padre e la compagna.

Walter si era alzato, e aveva cominciato a formulare ipotesi.

“E’… è possibile che, se… se opportunamente preparati…” balbettò Walter “i soggetti trattati con il Cortexiphan possano… possano viaggiare nel tempo”

Lo sguardo di Peter era eloquente. Quando suo padre cominciava ignorava qualunque avvertimento.

La giovane lo guardò incantata.

“Sei proprio come mi ricordavo, nonno…” sussurrò. Poi si girò di nuovo verso Peter “E tu hai poco da criticarlo: tra circa 25 anni sarai come lui!”

Peter stava per replicare, ma Olivia lo fermò.

“Peter… potrebbe aver ragione…” disse, fissandola.

“Olive, non puoi crederle sul serio…”

“Peter, dico sul serio, guardala…”

L’uomo si girò nuovamente verso di lei e guardò attentamente Elizabeth: gli occhi erano azzurri e particolarmente espressivi. In quel momento lanciavano fuoco, erano come… come i suoi. Le labbra e il naso erano quelle di Olivia, e i capelli… il colore era quello di Elizabeth, sua madre, ma erano lisci come quelli di Olivia.

Peter la fissò ancora. Era confuso, come poteva essere?

“Bene.” sospirò la donna “Ora che abbiamo appurato che io e Eddie stiamo dicendo la verità, posso andare in bagno? Ho la nausea.”

 

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Capitolo 3
*** 2 ***


Mentre Elizabeth si era chiusa in bagno, Olivia aveva ordinato ad Astrid di andare a prendere dei vestiti per i due nuovi arrivati.

Eddie non disse una parola, si limitò a stare fermo vicino alla vasca, fissando di tanto in tanto la porta del bagno, in cui era chiusa la compagna da almeno dieci minuti.

Peter, invece, camminava per il laboratorio, nervoso, con le braccia conserte e continuando a lanciare occhiatacce omicide verso Eddie.

Olivia restava in disparte, sapeva che era meglio non intromettersi, quando Peter era così nervoso.

“Mh… Edward, giusto?” disse, ad un certo punto, Peter.

“Sì, signore. Tenente Colonnello Edward Pawn, signore. Ma mi chiamano tutti Big Eddie.” rispose l’altro, mettendosi sull’attenti.

Peter sorrise sarcastico. Era ancora nervoso, e quella “battuta” l’aveva fatto innervosire ancora.

“Big Eddie? Grandioso… e dimmi, quanti anni hai?” chiese.

“Trentadue, signore…”rispose “cioè, adesso avrei circa l’età di suo figlio, un paio di mesi in più.”

“Mh… e mi pare di capire che sei un soldato. Cosa? Esercito? Marines?”

“No, signore. Divisione Fringe.”

Peter stava per fare un’altra domanda, quando Elizabeth uscì dal bagno.

“Non dire altro, tesoro. Stiamo già modificando fin troppo la linea temporale anche solo con la nostra presenza qui.”

In quel momento arrivò Astrid con dei vestiti nuovi. Elizabeth afferrò i suoi e si vestì, poi notò le liquirizie rosse di Walter e ne prese una, assaggiandola con aria estasiata.

“Oh… allora sei davvero mia nipote, cara!” esclamò Walter, sorridendo e guardandola.

“Walter, non ti esaltare così facilmente!” lo rimproverò il figlio “Tra l’altro non ci hanno ancora detto perché sono qui.”

“In effetti è vero.” osservò Olivia “Non ci avete detto ancora nulla sul motivo del vostro viaggio.”

Elizabeth e Eddie si guardarono, in silenzio. La donna si era fatta triste e si era portata la mano alla pancia.

“Si tratta di mio figlio.” spiegò.

“Che succede? Che ha?” la incitò la bionda.

“Ha una malattia… rischia di morire entro i prossimi otto anni.” continuò Elizabeth, abbassando lo sguardo.

“E non potevate curarla nel vostro tempo?” obiettò ancora Peter “Dovreste essere più avanti di noi, sulle cure mediche? O no?”

La ragazza ricacciò indietro le lacrime e lo fissò negli occhi.

“Peter… questa malattia è genetica… solo una persona è stata in grado di curarla, in passato, sapevamo chi era, ma non aveva lasciato scritti di come ha fatto…”

“E non potevi mandare qualcuno, invece di esporti in prima persona?” chiese l’uomo. Il suo tono era arrabbiato.

“Io… non potevo… io…” balbettò, cercando di contenere le lacrime, ma si riprese subito “Senti un po’, signor ‘so tutto io’! Io ho fatto quello che ritenevo giusto! Hai poco da criticarmi, tu hai fatto lo stesso!”

Peter chiuse gli occhi e fece un respiro profondo, prima di ribattere, puntandole il dito contro.

“Tu hai messo a repentaglio la tua vita e quella di tuo figlio. E' folle. E devo essere davvero in condizioni pietose nel futuro per averti permesso di fare una cosa del genere!”

La giovane stava per ribattere ancora, ma Olivia si mise in mezzo.

“Ok, basta litigare! Non serve a niente!”

L’uomo la fulminò con un’occhiataccia. Eddie si avvicinò e li guardò.

“In realtà è la stessa cosa che le ho detto io…” spiegò.

“Tu non ti intromettere, signor ‘ho tutto sotto controllo, non resterai incinta, tranquilla’!” lo ammonì la compagna.

Peter si rivolse all’uomo, ignorando le invettive di Elizabeth.

“Beh, avresti dovuto impedirglielo con tutte le tue forze! Non solo a parole! Che razza di soldato sei?”

“Un soldato che non sa tenere i pantaloni chiusi…” si lamentò la giovane, guardando il compagno di traverso e incrociando le braccia sul petto.

Olivia sospirò e si avvicinò a Elizabeth, guardandola negli occhi.

“Va bene, Elizabeth, ti aiuteremo a trovare la persona che cercate. Ma ora stai calma, non ti fa bene agitarti, nelle tue condizioni.”

“In realtà, mamma… la persona che cerchiamo l’abbiamo già trovata.” rispose, poi spostò il suo sguardo su Walter.

“Chi? Walter?” esclamò Peter, sorpreso “E di quale malattia avrebbe trovato la cura?”

La giovane tornò a guardarlo. Quegli occhi blu erano seri, adirati e tristi allo stesso tempo.

“La tua, Peter.” rispose “Mio figlio ha la tua stessa malattia genetica.”

 

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Capitolo 4
*** 3 ***


Nel laboratorio calò il silenzio.

Peter ed Elizabeth si fissarono a lungo. Gli occhi della donna lanciavano scintille di rabbia, miste a disperazione.

Elizabeth fece un respiro profondo, prima di parlare di nuovo.

“Peter… ci serve l’aiuto di tuo padre. Lui è l’unico che può salvare mio figlio.” lo implorò.

Peter guardò Walter, che era rimasto nel suo angolo a mangiare liquirizie e rimuginare sul passato. Aveva preso il vecchio pupazzetto di J.I.-Joe che teneva in laboratorio e se lo rigirava tra le mani, fissando il vuoto, perso nei suoi pensieri, forse nei ricordi del figlio che aveva perso per quella malattia, la stessa per cui aveva trovato una cura, grazie alla quale Peter era lì, in quel momento.

“Walter, dimmi che ti ricordi come mi hai curato!” lo chiamò.

Walter sembrò destarsi dai suoi pensieri e lo fissò.

“Peter… tu avevi sette anni.” sussurrò.

“Sì, e allora?”

“Beh, lui non è ancora nato… devo studiare un altro tipo di cura…” spiegò, indicando la pancia di Elizabeth.

“Non preoccuparti, nonno.” lo rassicurò la giovane “Ti darò una mano. Ho una laurea in chimica presa qui ad Harvard e un master in Scienza dei Materiali al MIT. Inoltre ho un QI di 190, servirà a qualcosa, no?”

“Tu non farai nulla, nelle tue condizioni!” la fermò Bishop.

“Senti, ho lavorato in questo laboratorio fino a un mese fa! E sono al quinto mese. Non mi farà male!” obiettò lei.

Peter sospirò e tornò a guardare Walter.

“Avevi ragione, è proprio tua nipote. Entrambi non tenete delle conseguenze che si creano, quando fate qualcosa.”

Walter non rispose e andò alla lavagna, per scrivere delle formule.

Elizabeth si avvicinò a Peter e gli puntò contro il dito.

“Senti un po’, tu! Tuo padre non è l’unico che non ha tenuto conto delle conseguenze! Sbaglio o hai messo incinta una donna pensando che fosse la tua ragazza?!” lo accusò.

Peter stava per replicare nuovamente, ma Olivia si mise in mezzo.

“Ora basta, voi due!” li ammonì, poi si rivolse a Elizabeth “Peter ha ragione: le sostanze usate qui possono essere dannose per il bambino, ma potrai aiutare in altri modi.”

Peter si girò verso la compagna con sguardo omicida, sguardo che Olivia fece finta di non notare, poi si rivolse nuovamente verso Elizabeth.

“Ringrazia che sei una donna, e che sei la mia futura figlia, altrimenti…” le disse, con tono gelido e minaccioso “Se ci tieni a far sopravvivere te e la creatura che tieni in grembo, esci immediatamente da questo laboratorio! E ti converrà anche non metterci piede finchè Walter non avrà sintetizzato la cura. Sono stato chiaro?”

La giovane lo guardò, stringendo i pugni. Fece un respiro profondo e poi gli serrò un pugno in faccia, con tutte le forze che aveva. Infine si allontanò di due passi e guardò Olivia.

“Mamma, a me e Edward ci serve un posto dove stare, finchè nonno non ha trovato una cura per il bambino.”

“Va bene, me ne occupo subito.” rispose la bionda, guardando di traverso il compagno, il quale si stava controllando se avesse qualcosa di rotto, in faccia, a seguito del pugno della giovane.

Elizabeth non disse nulla e si sedette, prendendo due liquirizie dalla scorta personale di Walter.

Olivia fece una telefonata, poi tornò da loro.

“Abbiamo trovato una casa non lontano da qui. Vi accompagniamo subito. Peter, vieni anche tu, per favore?”

Peter sospirò, prese le chiavi della macchina di Olivia, si infilò il cappotto e uscì dietro la compagna e la coppia del futuro.

Elizabeth salì nel sedile posteriore della macchina e, mentre andavano alla casa che aveva trovato loro Olivia, guardò il paesaggio.

Boston, la città in cui era cresciuta, non era quasi cambiata. Riconobbe molte cose, che ci sarebbero state anche 30 anni dopo. Passarono davanti alla casa dove era nata, la bifamigliare dove viveva ancora suo nonno con Peter. Secondo quello che le avevano raccontato, sua madre si sarebbe trasferita definitivamente in quella casa di lì a qualche mese, quando sarebbe rimasta incinta di lei.

Fissò i genitori, seduti davanti. Peter guidava in silenzio; era ancora nervoso, lo si capiva da come stringeva il volante. Olivia guardava la strada, lanciando rapide occhiate preoccupate al compagno e ai due passeggeri.

Si ricordò delle gite in macchina di quando era piccola: quando andavano a fare le scampagnate a Reiden Lake, alla casa sulla spiaggia.

Spesso andava durante la settimana con la madre, e Peter le raggiungeva nel weekend.

Sapeva quando era arrivato, perché quando si alzava sentiva l’odore dei pancakes appena fatti. Correva in cucina e trovava suo padre intento a cucinare, il quale alzava gli occhi e la guardava, poi la gratificava con un sorriso. Un sorriso che la faceva andare al settimo cielo, il sorriso dell’eroe della sua infanzia.

Tornò a fissare Peter, il suo futuro padre.

Appena arrivati avevano già cominciato a litigare. Possibile che fosse davvero così testardo, prima della sua nascita?

Era suo padre, in fondo. Da qualcuno aveva pur preso la sua testardaggine.

Doveva chiedergli scusa per quel pugno. No, non era da lei. E poi se lo era meritato, non era una bambina, che poteva comandare a bacchetta, era una donna adulta.

Sorrise tra sé: finchè Walter non avrebbe trovato la cura, avrebbe fatto pagare a Peter quell’affronto.

 

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Capitolo 5
*** 4 ***


Le giornate scorrevano lente, nella Divisione Fringe.

Dopo un mese, Elizabeth stava già dando segni di nervosismo: non le piaceva stare ferma, tantomeno se si trattava di trovare una cura per suo figlio.

L’accesso al laboratorio le era assolutamente vietato, per cui passava le giornate nell’ufficio, a visionare documenti che già aveva letto migliaia di volte in passato, dato che Peter li aveva conservati tutti quanti, archiviandoli nei posti più disparati.

Quello che stava visionando in quel momento si ricordava di averlo trovato, quando aveva 15 anni, sotto una vecchia asse del pavimento della casa di famiglia di Reiden Lake.

Eddie, invece, passava parecchio tempo in laboratorio. Era un uomo paziente, e si adattava a fare tutto. Riusciva a interagire con entrambi i Bishop senza mai perdere la pazienza.

L’uomo entrò nell’ufficio, portando il caffè per tutti.

“Nero con una zolletta per Olivia, amaro per Peter,” elencò, consegnando i caffè” con panna per Astrid, con la cioccolata per il dottore e… decaffeinato con una zolletta per te, tesoro.” completò, poggiando il bicchiere davanti alla compagna e dandole un leggero bacio. Elizabeth storse il naso, schifata.

“Odio il decaffeinato…” si lamentò.

“E’ per il tuo bene, piccola.” spiegò Eddie “Lo sai che non fa bene al bambino.” disse, poi le carezzò la pancia.

Elizabeth lo guardò male e gli spostò la mano, arrabbiata.

“Tu non mi toccare, Tenente Colonnello Pawn!” lo minacciò.

Edward sospirò e si allontanò di qualche passo. Sapeva bene che, quando era arrabbiata era meglio lasciarla sbollire, prima di poter ragionare con lei.

Elizabeth restò in silenzio e riprese a leggere gli incartamenti, guardando con la coda dell’occhio i genitori.

Olivia era seduta dall’altra parte della scrivania, mentre Peter era in piedi, qualche passo dietro di lei, che la fissava preoccupato. La giovane aveva capito subito che tra loro c’erano dei problemi, probabilmente dovuti agli ultimi avvenimenti, ma sapeva anche di non poter intervenire: le cose si sarebbero messe a posto da sole. Sarebbe successo, lo sapeva, altrimenti lei non sarebbe mai nata.

Certo, era strano vederli così, vicini e, allo stesso tempo, lontani. I suoi genitori se li ricordava sempre molto uniti, vivevano uno in funzione dell’altra, il loro rapporto era speciale.

Il loro era un rapporto difficile da riprodurre, erano anime gemelle, fatte per stare insieme fin dalla nascita. Elizabeth aveva sempre sognato di trovare qualcuno con cui legarsi come era successo ai suoi genitori. Si voltò verso Eddie, che stava visionando delle formule assieme a Walter.

Eddie era un uomo fantastico, un compagno meraviglioso; Elizabeth lo amava alla follia, anche se i loro rapporti, quando si erano conosciuti, cinque anni prima, non erano cominciati nel migliore dei modi.

Se lo ricordava ancora quel momento, come fosse successo il giorno prima. Lei stava lavorando nel suo laboratorio, al MIT; aveva appena preso il dottorato e le avevano offerto la cattedra di Scienza dei Materiali. Edward si era presentato senza bussare, dicendole che aveva ricevuto l’ordine di scortarla a New York, per collaborare in un’indagine della Divisione Fringe.

Elizabeth conosceva bene la Divisione Fringe: suo padre ne era il capo, ma quell’atteggiamento comandino di quell’ufficiale l’aveva offesa, rendendola poco collaborativa. Fece finta di non averlo visto e continuò il suo lavoro.

Eddie si era avvicinato e l’aveva afferrata per il braccio, per attirare la sua attenzione. Elizabeth si era girata, incenerendolo con lo sguardo.

“Signora, ho avuto l’ordine di scortarla a…” aveva ripetuto il giovane, ma venne interrotto dalla ragazza.

“Senta, Maggiore…” aveva esordito, dopo aver controllato i gradi sull’uniforme di Eddie “io non vengo da nessuna parte, quindi può prendere i suoi ordini e ficcarseli su per…”

“Chiedo scusa… non volevo offenderla, ma ho ricevuto l’ordine direttamente dal Direttore…” si scusò Eddie.

“Beh, che diavolo vuole mio padre?” chiese, dopo aver fatto un respiro profondo per calmarsi.

“Suo padre, signora?” chiese l’altro, confuso.

“Peter Bishop, il Direttore. È mio padre. Non gliel’hanno detto?”

Eddie la fissò interdetto; evidentemente non lo avevano informato.

“Ma… dico io, almeno fare due più due? Abbiamo lo stesso cognome!” sbottò lei.

“Chiedo scusa…” sussurrò il giovane, dispiaciuto.

“Ma cos’è? Vi prendono tutti con intelligenza sotto la media, alla Divisione Fringe?” continuò Elizabeth.

“Signora, mi permetto di obiettare: ho un QI di 120.” obiettò il soldato.

“E io di 190, per me sei sotto la media. Comunque andiamo.” concluse la giovane, prendendo la sua roba e facendosi scortare fuori.

Da quell’inizio burrascoso, avevano continuato a lavorare a stretto contatto per tre anni. Lei se ne era lentamente innamorata e si era dichiarata quando aveva pensato che sarebbero morti, durante un grosso Evento Fringe, nel bel mezzo di New York, alla Freedom Tower del New World Trade Center.

La giovane venne riportata alla realtà dallo squillo del cellulare di Peter, che uscì per rispondere, tornando dopo qualche minuto.

“Walternativo vuole discutere del trattato di pace. Devo andare a New York.” informò, prendendo I documenti e mettendoli in un borsone, per poterli trasportare agevolmente.

“Serve una mano?” chiese Eddie. Peter lo fissò; Edward Pawn era un soldato, sicuramente addestrato a qualsiasi evenienza, la sua esperienza poteva essergli utile.

“Sì, tu attraverserai il ponte con me.” rispose, poi si rivolse a Olivia “Tu e Elizabeth, invece, vorrei che mi aspettaste a Liberty Island.”

Olivia annuì, mentre Elizabeth non sembrò molto contenta della soluzione trovata da Peter.

“Voglio venire anche io dall’altra parte…” obiettò.

“No.” fu la risposta secca di Peter.

“Perché? Sono incinta, non disabile!”

Peter sospirò e la guardò negli occhi.

“Senti, Elizabeth, hai fatto un viaggio indietro di oltre 30 anni per cercare di salvare tuo figlio non ancora nato. Se Walternativo lo sapesse non c'è modo di prevedere la sua reazione. Potrebbe farti le stesse cose che ha fatto alla mia Olivia, solo per avere la possibilità di riscrivere la storia. Capirai da sola quanto tutto ciò sia pericoloso e quanto non voglio correre questo rischio. Quindi ti prego di darmi ascolto, anche se non andiamo d’accordo, ma sei un’innocente, e sei mia figlia, non voglio che ti succeda nulla.”

Elizabeth si zittì all’istante e annuì. In quel momento le era sembrato di vedere l’uomo che l’aveva cresciuta, suo padre, non il rompiscatole con cui si era scontrata appena arrivata lì.

Guardò Eddie, che la rassicurò con un sorriso. Sapeva che sarebbero tornati sani e salvi. Prese la giacca e seguì gli altri alla macchina.

La giovane guardò fuori dal finestrino le case che scorrevano, sempre più rade, lasciando il posto ai campi, che costeggiavano l’autostrada. Il piccolo faceva le capriole; Elizabeth si carezzò la pancia.

“Tranquillo, campione…”sussurrò, mentre sbarcavano a Liberty Island ed entravano nell’area del ponte dimensionale “Papà tornerà sano e salvo, come ha sempre fatto.”

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Capitolo 6
*** 5 ***


Arrivato a Liberty Island, Eddie seguì Peter, che gli diede l’equipaggiamento per il passaggio del ponte e la permanenza nell’altro universo: un giubbotto antiproiettile con la sigla identificativa, delle armi da tenere nascoste negli abiti e una ricetrasmittente.

Finito di prepararsi, tornò nella sala principale e si avvicinò alla compagna.

Elizabeth era in piedi, che fissava il cancello blindato che li divideva dalla zona in comune tra i due universi. Cercava di essere forte, ma era preoccupata.

“Torneremo presto, vedrai.” la rassicurò.

La giovane lo fissò in silenzio. Eddie le sorrise e le carezzò la pancia. Il bambino faceva le capriole.

“Ehi, piccoletto!” esclamò, rivolto al figlio “Sei agitato?”

“E’ preoccupato per te.” rispose Elizabeth.

Eddie le carezzò i capelli.

“Dov’è finita la tosta signorina Bishop che non ha paura di niente?” scherzò.

“Edward! Sono drogata di gonadotropina! Capiscimi!” lo rimproverò.

“Eh, sì…” commentò l’uomo, sospirando scherzoso. Doveva allentare la tensione “Voi Bishop avete davvero un rapporto particolare con le droghe…”

Elizabeth non apprezzò la battuta e gli tirò un pugno al basso ventre. Eddie si spostò appena in tempo e raggiunse Peter, che lo attendeva vicino al passaggio, con un’espressione indecifrabile dipinta in volto.

“Andiamo, o faremo tardi.” ordinò Bishop, prima di entrare nella zona di passaggio.

Eddie lo seguì in silenzio. Era la prima volta che passava il confine. In realtà l’ultimo a passarlo era stato Henry Bishop, quando aveva 16 anni.

Liz gli aveva raccontato come era successo: suo fratello aveva scoperto tutti gli imbrogli del Segretario della Difesa e, in barba a tutti i controlli, era scappato di casa ed era riuscito a passare il confine.

Da allora, suo padre aveva preso la decisione di chiudere definitivamente il passaggio e lasciare che l’altro universo se la cavasse da solo. Una decisione egoistica, forse autolesionistica ma necessaria, per proteggere le persone innocenti che abitavano entrambi i mondi.

Certo, avevano cominciato a verificarsi dei grossi eventi Fringe, ma nulla a confronto di quello che Peter aveva visto nel futuro, quando era entrato nella macchina. L’universo non era in decadimento, stava solo cercando di ritrovare l’equilibrio, creando momentanei picchi entropici sotto forma di wormhole, che però si richiudevano entro qualche anno. Il compito della nuova Divisione Fringe, ora diventato un corpo indipendente, era quello di mettere in salvo più persone possibili e mettere in sicurezza l’area, in attesa che ritornasse l’equilibrio.

Per sigillare le aree, da circa cinque anni, la Divisione usava un materiale alternativo all’Ambra, più facile da preparare e altrettanto sicuro. Era stata Elizabeth a studiarlo, per la tesi di dottorato e, in seguito, il Direttore Bishop, aveva mandato Eddie a chiamarla per collaborare con la divisione Fringe.

Un incontro burrascoso, ma mai avrebbe pensato che sarebbe arrivato a quel punto: stava con Elizabeth da due anni, e di lì a tre mesi sarebbero diventati genitori.

Entrò nella zona franca e si fermò accanto a Peter, in attesa che il cancello si chiudesse alle loro spalle. Bishop era immobile, il viso era teso e concentrato. Teneva la borsa con i documenti con la mano destra, mentre la sinistra era poggiata sulla tasca dei pantaloni, dove teneva un coltello. Non che servisse a molto, ma era pur sempre un’arma che poteva essere usata per la difesa.

Quando il cancello alle loro spalle fu chiuso, la parete di fronte a loro scorse lateralmente, rivelando un nuovo ambiente dietro di essa.

Peter avanzò per primo, avvicinandosi al gruppo di tre persone che li attendeva oltre la soglia.

“Agente Lee… agente Francis…” salutò l’uomo, rivolto ai due uomini, poi si girò verso la donna con i capelli rossi “agente Dunham.” disse. Voleva essere un saluto freddo, ma il suo tono tradiva il rancore e l’odio che provava nei suoi confronti.

Eddie la osservò: era esattamente identica alla madre di Elizabeth, con l’unica differenza che questa Olivia si era tinta i capelli di rosso. Doveva essere la madre di Henry.

“Benvenuti.” rispose l’agente Lee “Chi è lui?” chiese, indicando Eddie.

“Sono la scorta di Peter Bishop. Qualche problema?” rispose il giovane, brusco, restando sulla difensiva.

“No, nessuno.” rispose l’altro “Seguiteci. Il signor Segretario sta aspettando.” Concluse, poi fece loro strada all’esterno.

Peter si fermò sulla porta che dava all’esterno.

“Dove ci portate?”

“Il Segretario ha chiesto che venisse allestito un ufficio apposito a Manhatan. Le trattative si svolgeranno lì.” rispose Charlie, con tono di scusa.

“E il suo vecchio ufficio qui?” chiese ancora Peter.

Charlie fece spallucce.

“Non ce lo chieda, noi eseguiamo solo gli ordini.”

Peter e Eddie si scambiarono uno sguardo. Qualcosa non tornava. Eddie, istintivamente, portò la mano dove aveva nascosto la pistola, ma l’altro lo incenerì con lo sguardo. Prima di intervenire voleva capire cosa stava succedendo.

“Mh… e dove sarebbe questo… ufficio apposito?” domandò Peter, controllando istintivamente ogni angolo.

“Il signor Segretario ha fatto allestire il vecchio ufficio del dottor Bell, nel World Trade Center.” rispose Lincoln, facendo loro strada verso la nave che li avrebbe portati in città.

“Vi dispiace se la mia scorta aspetta qui sull’isola?” chiese Bishop, bloccando Eddie prima che potesse salire sulla barca.

“Ma signore…” tentò di protestare l’altro.

Peter lo prese per un braccio e lo trascinò, allontanandosi di qualche passo dal gruppo.

“Edward, ho un brutto presentimento.” Sussurrò, in modo che potesse farsi sentire solo da lui, guardandolo negli occhi “Torna di là e resta con Olivia ed Elizabeth. Ho l’impressione che non ce la raccontino giusta.”

Eddie lo fissò per qualche secondo, in silenzio. In quel momento gli sembrava di vedere il Direttore Bishop, ciò che Peter sarebbe diventato in futuro. Questo bastò per convincerlo, quindi annuì e rientrò nell’edificio, mentre Peter seguiva il trio sulla barca.

Peter venne accompagnato alle Torri Gemelle.

L’incontro con il Segretario Bishop durò circa un paio d’ore, durante le quali Walternativo visionò tutti gli incartamenti, richiedendo delucidazioni su alcune parti o possibili modifiche su altre. Peter si attenne al suo ruolo di intermediario, restando distaccato per tutto il tempo e lanciando qualche occhiata di sfuggita verso la Statua della Libertà. Fremeva per tornare a casa, ma non poteva muoversi di lì finchè il suo padre naturale non avesse finito di visionare tutte le carte.

Quando, finalmente, l’incontro fu terminato, Peter venne di nuovo scortato a Liberty Island.

Appena arrivati sull’isola, si accorsero tutti che qualcosa non andava. C’era troppo silenzio.

Lincoln, Charlie e l’agente Dunham impugnarono le pistole, con i sensi all’erta.

 

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Capitolo 7
*** 6 ***


“Dove sono finiti tutti?” chiese Lincoln, avanzando lentamente, con la pistola in mano, verso la stanza comunicante con l’altro universo.

“Non lo so, ma sento uno strano odore…” commentò Charlie, restando sulla retroguardia.

Peter annusò l’aria. In effetti c’era uno strano odore. Qualche strana sostanza chimica era stata cosparsa nell’aria, non riusciva a capire che tipo di sostanza fosse, anche perché ormai si stava dileguando ed entro poco non ce ne sarebbe stata più traccia.

Entrati nella stanza, restarono impietriti. Tutte le persone presenti erano a terra, esanimi. Peter scattò, appena riconobbe una di quelle persone: Eddie.

L’uomo era a terra, privo di sensi, nei pressi del cancello interdimensionale, e aveva una ferita sanguinante al lato della fronte.

Peter corse e si inginocchiò accanto a lui. Gli posò due dita sul collo; il battito c’era ancora, era ancora vivo. Cercò di farlo riprendere, tirandogli dei leggeri schiaffi sulle guance.

“Edward! Su, apri gli occhi, ragazzo!” lo chiamò.

L’uomo aprì lentamente gli occhi e lo fissò, ancora in stato confusionale.

“Capo…” sussurrò, cercando di tirarsi su, ma una fitta alla testa lo fece sussultare e dovette rimettersi disteso.

“Stai giù. Cosa è successo?” chiese Bishop, guardandosi intorno e raccogliendo l’arma di Eddie, che era per terra, accanto a lui.

“Credo ci abbiano attaccato, signore… stavo per passare il ponte quando ho sentito uno strano odore… tutti sono caduti a terra. Credo sia sonnifero, o roba del genere… mi sono sentito stordito, ma non sono svenuto come gli altri… così ho preso la pistola… erano tanti… armati… volto coperto…” cercò di spiegare, raccogliendo le idee.

Peter ascoltò attentamente, poi guardò gli altri tre.

“Devo passare dall’altra parte! Subito!” ordinò, tirando su Eddie e cercando di tenerlo in piedi.

“Veniamo con te.” disse l’agente Lee, guardando gli altri due.

Peter fissò l’uomo. Fremeva per tornare a casa, era preoccupato per Elizabeth. Aveva paura che le fosse successo proprio quello che temeva. Guardò anche gli altri due, l’agente Charlie Francis e l’altra Olivia, la madre di suo figlio. Tra loro non correva buon sangue, ma se quelle persone avevano avuto il coraggio di attaccare direttamente lì doveva mettere da parte i passati rancori e accettare il loro aiuto.

“D’accordo, andiamo!” disse, aiutando Eddie ad avvicinarsi al cancello, mentre Charlie attivava i comandi d’apertura.

Lincoln lo aiutò a tenere in piedi il giovane, in modo da avere entrambi una mano libera per poter tenere saldamente un’arma e non essere colti di sorpresa in caso di attacco, oltre il confine.

Il secondo cancello si aprì. La scena che videro era molto simile a quella dall’altra parte: gente a terra, priva di sensi, e uno strano odore chimico nell’aria.

Peter lasciò andare Eddie e si guardò attorno, in cerca di Olivia e Elizabeth.

Vide Olivia poco lontano da loro, per terra. Corse subito da lei e la tirò su.

“Olive…” la chiamò, cercando di svegliarla.

Eddie si era un po’ ripreso. Restando appoggiato a Lincoln si guardò attorno.

“Dov’è Liz?” chiese, allarmato.

Peter attese che Olivia aprisse gli occhi, prima di tornare a guardarsi intorno, in cerca della figlia.

Improvvisamente divenne livido di rabbia: quello che temeva si era avverato. Sua figlia era stata rapita.

Tornò a concentrarsi sulla compagna.

“Olive, ho bisogno di sapere cosa è successo.” chiese, calmo, tenendola stretta mentre la aiutava ad alzarsi.

“Non lo so… il cancello si è aperto ed è uscito del fumo… poi è diventato tutto scuro…” sussurrò la donna, confusa.

Intanto gli altri si erano guardati intorno in cerca di ulteriori indizi. La rossa si avvicinò, tenendo una specie di cilindro metallico su un fazzoletto di carta, per non compromettere la prova.

“Credo di aver trovato la fonte del fumo.” disse, passando il cilindro a Peter.

L’uomo lo afferrò dal fazzoletto e annusò l’interno; c’era lo stesso odore che aveva sentito nell’aria.

“Lo porto a Walter per farlo analizzare. Forse riusciamo a scoprire qualcosa.”

Si alzò in piedi, aiutando anche Olivia, e si diresse verso l’uscita.

“Signore…” lo fermò Eddie “Dobbiamo trovare Elizabeth…”

“Lo so, Big Eddie.” sospirò “Ma non possiamo andare alla cieca, abbiamo bisogno di una direzione verso cui orientarci, e questo contenitore potrebbe darcela.”

“Ma…” cercò ancora di obiettare il giovane soldato.

Peter lo guardò negli occhi, con aria di comando.

“Senti, agente Pawn! So cosa stai provando, credimi! Si tratta di mia figlia, voglio trovarla anche io il più presto possibile, ma come ho già detto, non possiamo agire alla cieca!” infine si rivolse ai tre agenti dell’altra dimensione “Voi tre, seguiteci. E tu, agente Dunham, cerca di non starmi troppo vicino.”

Nessuno parlò e tutti seguirono Bishop all’esterno.

Intanto, da qualche altra parte.

Elizabeth si svegliò lentamente. Era stordita e sentiva un forte mal di testa.

Riusciva a malapena a muoversi e la vista era annebbiata. Percepiva dei movimenti attorno a lei ma non riusciva a mettere a fuoco alcuna immagine.

“Dove sono?” sussurrò, voltandosi verso un’ombra che vide avvicinarsi.

Nessuno rispose.

Quando, finalmente, la vista si schiarì, si trovò circondata da persone vestite con tute verdi e cuffiette da ospedale, con delle mascherine sul viso.

Presa da un improvviso attacco di panico, dettato più dagli ormoni della gravidanza che da altro, la giovane donna urlò.

 

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Capitolo 8
*** 7 ***


Il viaggio verso Boston fu relativamente breve e particolarmente silenzioso.

Quando arrivarono al laboratorio, Peter si fermò davanti alla porta e si rivolse ai tre agenti dell’altra Divisione Fringe.

“Voi tre aspettate qui.” ordinò. Poi guardò Olivia e Eddie e entrò nel laboratorio.

L’uomo si avvicinò al padre, intento a mungere Gene e, poggiandogli una mano sulla spalla, mantenendo un tono calmo, attirò la sua attenzione.

“Walter, abbiamo bisogno di te.”

Il vecchio scienziato alzò gli occhi, poi si girò verso gli altri due.

“Dov’è Elizabeth?” chiese, alzandosi e mettendo via le sue cose.

“E’ stata rapita. Dobbiamo trovarla.” rispose Eddie, restando in piedi, fermo, apparentemente calmo, ma il suo tono di voce tradiva la sua forte preoccupazione.

“La troveremo, vedrai.” lo rassicurò Olivia.

Intanto Peter aveva mostrato il cilindro a Walter, il quale si era subito messo al lavoro per analizzare i residui chimici e altre cose che conosceva solo lui.

“Asterisco! Ho bisogno che mi prepari il gascromatografo!” ordinò, rivolto all’agente Farnsworth, che subito corse ad accendere l’ingombrante apparecchio posto in un angolo del laboratorio.

Peter li guardò lavorare, poi tornò da Olivia e la guardò.

“Spero che Walter trovi qualche indizio…” sospirò, preoccupato.

“Una cosa la sappiamo, però: vengono dall’altro universo.”

L’uomo annuì.

“Sì. E ho paura di sapere chi possa essere, ma senza prove non possiamo fare nulla.”

“Ma se è lui…” obiettò Eddie “Come ha fatto a scoprire da dove veniamo?”

Bishop ci pensò su un momento, poi lo fissò negli occhi.

“Voi siete qui da un mese. Vi ha visto altre volte, quando è venuto qui per le trattative di pace. Deve aver notato la somiglianza tra Elizabeth e noi. E potrebbe aver sentito qualcuna delle nostre conversazioni.”

Eddie imprecò.

“Dannazione! Ci avevi avvertito di non interferire troppo con la linea temporale!”

“Credo che ormai il danno sia stato fatto, Big Eddie. Il futuro in cui tornerete non sarà lo stesso da cui siete partiti.” spiegò Peter “Lo scorrere del tempo è una cosa molto fragile e precaria. Se qualcosa turba l’equilibrio, cambia tutta la linea che segue quel punto.”

“Ma noi…” cercò di obiettare il soldato. Si sentiva in colpa.

“Voi non potevate fare altrimenti. Sicuramente quando vi ho mandato indietro sapevo che avrei cambiato qualcosa. Era logico che succedesse, aggiungendo un’altra variabile imprevista. L’avvertimento era rivolto più che altro al fatto che non dovevate farvi notare troppo per non cambiare troppo la linea temporale.”

Eddie non disse nulla. Aveva l’aria preoccupata, ma sapeva di non poter far nulla finchè il dottor Bishop non avesse trovato qualche indizio su quel cilindro, quindi si andò a sedere in un angolo, in silenzio, senza disturbare nessuno.

Nel frattempo, fuori dal laboratorio, gli altri tre restavano in attesa.

L’agente Dunham restava seduta in silenzio, mentre gli altri due si guardavano intorno incuriositi.

“Così questo posto sarebbe la loro Divisione Fringe?” commentò Charlie, guardando attraverso la finestrella sulla porta che dava al laboratorio.

“Loro non sono organizzati come da noi. Non hanno tutti i nostri problemi.” rispose la rossa, senza alzare lo sguardo.

“In effetti sembrano più sereni. Ora capisco perché il figlio del Segretario ha scelto questo lato.” disse Lincoln, osservando un poster su una bacheca lì vicino, rappresentante varie città del mondo.

“Non ha scelto di stare qui per come si sta in questo mondo, ma per chi c’è in questo mondo.” commentò ancora la rossa.

I due uomini si voltarono verso di lei, con aria interrogativa. Lei li guardò, ma distolse subito lo sguardo.

“Lui è tornato qui per lei, non per questo mondo, né per il doppio del Segretario.”

Calò il silenzio, poi la porta si aprì e Peter apparve.

“Entrate.” ordinò.

I tre lo seguirono. Peter li portò nell’ufficio e li fece sedere davanti alla scrivania.

Peter restò in piedi dietro la scrivania, in attesa che Eddie li raggiungesse. Quando anche il giovane fu entrato, finalmente parlò.

“Walter sta analizzando il cilindro che abbiamo trovato.” cominciò “Ma non è per questo che vi ho fatti venire qui.”

“Dicci tutto allora, Bishop.” lo incoraggiò Lincoln.

Peter scambiò uno sguardo con Eddie, poi continuò.

“La donna che è stata rapita non è una persona qualunque. Si chiama Elizabeth Bishop.”

“E’ una tua parente?” domandò Charlie, facendo una smorfia, poi prese la siringa e si iniettò la sostanza che gli permetteva di sopravvivere dall’infezione da aracnidi.

Peter fece un respiro profondo, prima di rispondere.

“Si tratta di mia figlia.” alzò una mano per fermare ogni obiezione e continuò “Nascerà tra circa un anno. È venuta dal futuro per salvare una persona. Non poteva sapere cosa sarebbe successo.”

“Ed ora qualcuno del vostro mondo l’ha rapita.” continuò Eddie, avvicinandosi “Voi tre dovete aiutarci a trovarla. Elizabeth porta in grembo mio figlio.”

“Per quanto possa esserci del rancore tra me e uno di voi…” riprese Peter, fissando l’agente Dunham “so leggere le persone, e so che voi tre non c’entrate nulla con tutta questa storia.”

“Cosa vuoi che facciamo?” chiese Lincoln, ormai convinto.

“Appena mio padre avrà finito con l’analisi, ci aiuterete a preparare un piano per riportare mia figlia da questa parte.” disse Bishop, autoritario.

Lincoln e Charlie si voltarono verso la rossa.

“Tu che dici, Livvy?” chiese Lincoln “Possiamo fidarci?”

La donna restò in silenzio, fissando Peter, poi si decise a rispondere.

“Se succedesse a Henry farei lo stesso.”

Peter sospirò sollevato.

“D’accordo allora. Finchè non avremo un piano sarete nostri ospiti. Agente Dunham, con mio padre valgono i soliti avvertimenti: non ti ci avvicinare e non toccare le sue cose.”

Detto questo si alzò e tornò nel laboratorio, per aiutare Walter.

 

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Capitolo 9
*** 8 ***


Marzo 2038.

Era freddo, quella sera. Troppo freddo per essere metà marzo.

Il furgone della Divisione Fringe sfrecciava a tutta velocità lungo le strade di New York. Un wormhole si era aperto nella zona sud di Manhattan, nei pressi della Freedom Tower.

Elizabeth stava controllando sul suo palmare il grado di instabilità del wormhole, in silenzio. Il maggiore Pawn stringeva la pistola, guardando fuori dalla finestrella oscurata del furgone.

La giovane donna controllò nuovamente i valori e poi imprecò. Il soldato si voltò verso di lei, interrogativo.

“Non possono essere così alti… è impossibile…” disse tra sé Elizabeth.

“Di che parla, signora?” chiese Eddie, preoccupato.

“Secondo i miei calcoli il wormhole che stiamo andando a chiudere si allargherà ancora… ci vorrà molta più ambra grigia per sigillarlo… e non riesco a capire quanto durerà…” spiegò, quasi senza prendere fiato.

Edward stava per replicare, quando vennero investiti da un’onda energetica di proporzioni pazzesche. Il furgone volò in aria come fosse stato una piuma, poi ricadde, ribaltandosi più volte.

Elizabeth perse i sensi. Fece appena ad accorgersi che Eddie l’aveva presa in braccio ed era saltato fuori poco prima che il mezzo esplodesse.

Quando si riprese era tutto buio. Vedeva intorno qualche sprazzo di rosso, ma era tutto annebbiato. Inoltre sentiva un peso sopra di lei, qualcosa di pesante, molto pesante.

Spostò lentamente la mano e la poggiò sulla cosa che le stava addosso. Un’uniforme; spostò la mano più in alto e sentì la pelle calda del collo di un uomo, poi i capelli, e qualcosa che la fece allarmare: la consistenza umida e viscosa del sangue che usciva da una ferita sulla testa dell’uomo che le stava addosso.

La giovane cercò di mettere a fuoco il viso dell’uomo. Si trattava del maggiore Edward Pawn, della Divisione Fringe, la sua guardia del corpo.

Elizabeth andò in panico e gli cercò il battito. Era debole ma c’era ancora. Con tutta la forza che aveva lo sollevò e si tirò su a sedere, tenendolo tra le braccia e fissando il panorama apocalittico che li circondava.

Il wormhole aveva ormai occupato il monumento ai caduti dell’11 settembre, e continuava ad espandersi.

“Tenente… apra gli occhi… dobbiamo scappare…” lo chiamò, cercando di farlo riprendere.

Il giovane non dava segni di vita. Elizabeth lo tirò su a fatica.

In quel momento ci fu un’altra esplosione. Eddie finalmente aprì gli occhi e fissò la donna, che gli tamponava la ferita alla testa meglio che poteva.

Nessuno dei due parlò. Fissarono entrambi il wormhole che si espandeva.

Stavano per morire. Questa volta non ce l’avrebbero fatta. Eddie si girò a fatica verso la donna e le prese il viso tra le mani.

Si guardarono a lungo negli occhi. Il soldato si avvicinò lentamente, prendendo coraggio e la baciò, come fosse stata l’ultima cosa che faceva in vita, proprio nel momento in cui venivano fatte esplodere le cariche di ambra grigia e il wormhole veniva chiuso, e la squadra di recupero si affrettava a portare in salvo i superstiti.

Elizabeth si svegliò di colpo.

Era buio. Non sapeva dove si trovava, né da quanto tempo si trovava lì dentro.

Il bambino tirava calci e la branda dove dormiva era particolarmente scomoda.

Si tirò su e si guardò intorno. Cercò di ricordare qualcosa, ma l’unica cosa che le venne in mente era il sogno che aveva appena fatto.

Quando la mente fu un po’ meno annebbiata dal sonno, finalmente si ricordò. Aveva passato un sacco di tempo chiusa lì dentro, al buio. Veniva portata fuori solo per quelli che sembravano degli esami: le attaccavano degli elettrodi alla testa, le prelevavano del sangue e cercavano di indurle delle reazioni.

Stava perdendo la cognizione del tempo. Doveva trovare il modo di uscire di lì.

Si guardò intorno e si alzò in piedi, tenendosi il pancione.

In quel momento la serratura scattò e la porta si aprì.

Elizabeth travolse la persona che stava entrando e corse fuori più veloce che poteva, schivando e travolgendo chiunque trovava sul suo cammino.

Quando si trovò all’aperto si guardò intorno per capire dove fosse.

Vide le Torri Gemelle. Quella era New York del mondo dove era nato suo fratello. Decise di correre ancora, di allontanarsi dall’edificio dove era stata rinchiusa.

Si addentrò nel dedalo di vie affollate della città. Quando fu sicura di essere abbastanza lontana, si fermò e si guardò intorno. Cosa doveva fare ora?

Vide un telefono pubblico e si avvicinò. Non sapeva ancora cosa fare; fissò lo schermo tattile delle Pagine Bianche e digitò il primo nome che le era venuto in mente. Non sapeva perché, ma aveva l’impressione di potersi fidare di quella persona.

Lesse l’indirizzo, poi si guardò intorno. Non era lontano da dove si trovava.

Decise di incamminarsi a piedi.

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Capitolo 10
*** 9 ***


Elizabeth camminava per le vie di quella versione cupa di New York.

Guardava dritto di fronte a lei, ignorando i passanti e le fitte che sentiva al basso ventre. Il bambino era agitato, lo sentiva muoversi e tirare calci attorno a lui.

Un forte calcio sui reni le fece mancare il respiro. Si fermò per prendere fiato, carezzandosi il pancione.

“Tesoro, ti prego… stai tranquillo… tra poco arriveremo al sicuro…” sussurrò. Infine si guardò intorno per orientarsi.

Era arrivata nella zona ricca dell’isola. Tutt’intorno a lei c’erano ville circondate da grossi giardini; si avviò in direzione di quella più vicina al fiume, nonché la più lussuosa del quartiere.

Suonò il campanello e attese.

Dopo cinque minuti la porta si aprì. Una donna poco più giovane di Walter la fissò interrogativa. Si trattava di Elizabeth Bishop, la moglie del Segretario della Difesa, madre naturale di Peter Bishop, sua nonna.

“Signora Bishop… suo marito è in casa?” chiese, senza darle il tempo di fare domande. Doveva assicurarsi che il Segretario non ci fosse, prima di potersi affidare a lei.

“No, non c’è…” rispose l’anziana donna “Posso chiamarlo, se vuoi.”

“No, la prego… ho bisogno di parlare con lei. Ho bisogno del suo aiuto…” la fermò, quasi implorandola.

La signora Bishop la fissò per qualche momento, soffermandosi sul pancione, infine la fece entrare, accompagnandola in salotto e facendola accomodare sul divano.

“D’accordo.” disse, ditubante “Prego, accomodati pure… cosa posso fare per te?”

La giovane donna restò per un attimo in silenzio, sorpresa della gentilezza della nonna, ma si riprese subito.

“Io… devo assolutamente parlare con mio padre…” spiegò.

La signora Bishop aggrottò la fronte turbata. La giovane notò che stava cercando di capire se la conosceva o meno.

“Non sono sicura di sapere come poterti aiutare, mia cara.” si scusò.

La ragazza fece un respiro profondo e prese una decisione: doveva dirle la verità.

“Signora, forse non mi crederà, mio padre è Peter Bishop…”

Elizabeth spalancò gli occhi stupita.

“Peter? Mio figlio?” chiese. Dove voleva andare a parare la giovane? Si chiese se aveva fatto bene a farla entrare.

Liz notò ancora l’esitazione della nonna. Scoppiò a piangere, tutta quella storia le aveva mandato in tilt il suo autocontrollo, eredità della famiglia, da parte paterna. Tra i singhiozzi decise di raccontarle tutta la storia, senza tralasciare nulla.

Elizabeth la abbracciò. Tutta quella storia le sembrava assurda, ma poteva spiegare gli avvistamenti che c’erano stati nell’ultimo mese, riguardanti suo figlio Peter.

L’intera Divisione Fringe era in subbuglio. Il giorno precedente aveva parlato con l’agente Dunham, che le aveva detto che era tutto sotto controllo, ma aveva avuto l’impressione che le stesse nascondendo qualcosa: lei sapeva dove era Peter.

“Va bene, credo di sapere come contattare Peter. Tu stai calma, però. Non devi agitarti.” la rassicurò, poi prese il telefono auricolare e chiamò l’agente Dunham.

La giovane attese per qualche minuto, cercando di ascoltare la conversazione telefonica della nonna; ma non riusciva a concentrarsi: il bambino si agitava troppo, e le fitte erano particolarmente forti.

La nonna tornò con un suo vecchio cappotto lungo e glielo mise addosso.

“Stanno arrivando, cara. Metti questo addosso. Andrà tutto bene.”

Liz la fissò e le fece un sorriso di ringraziamento, cercando di respirare regolarmente.

Attesero mezz’ora, prima di sentire un’auto che si fermava davanti al vialetto di casa. La signora Bishop guardò dalla finestra, poi aprì la porta. La rossa entrò e la salutò, poi fissò la giovane, in silenzio.

Elizabeth restò a distanza. Non sapeva se fidarsi o meno.

“Sei Elizabeth, vero?” chiese la rossa “Vieni, tuo padre ti sta aspettando.”

Si guardarono per un istante, scrutandosi a vicenda, infine la giovane la seguì fuori.

Il SUV della donna era parcheggiato nel vialetto, con la porta del guidatore e la porta del passeggero aperta, e si vedeva, nel sedile posteriore, il seggiolino con il piccolo Henry che dormiva beato.

La rossa la fece sistemare dietro, accanto al figlio. Liz lo fissò per qualche secondo; suo fratello dormiva beato, sorridendo nel sonno. Era identico a Peter, e non troppo diverso da come sarebbe diventato da adulto.

Intenta ad osservare il fratello, non si accorse che le porte si erano aperte, ed erano entrate delle persone. Se ne accorse solo quando una di queste persone le abbracciò e la baciò con passione.

Elizabeth lo allontanò di colpo, trattenendosi da tirare un ceffone al malcapitato, mise a fuoco il volto e lo riconobbe: Eddie.

Questa volta fu lei a saltargli al collo e baciarlo, ma Peter lo interruppe.

“Eddie, vai! Dobbiamo fare in fretta!” lo rimproverò.

L’uomo scattò sull’attenti e corse verso un’altra macchina, poco lontano, fuori dei cancelli della villa.

Peter salì sul sedile anteriore, accanto alla rossa, che si mise alla guida e partì non appena anche Olivia fosse salita dietro, accanto a Henry e Elizabeth.

Partirono a tutta velocità e sfrecciarono per qualche chilometro, in direzione dell’imbarco per Liberty Island, quando, in un grosso incrocio, l’auto dove viaggiava Eddie, di fronte a loro, venne quasi travolta da un Tir e dovette frenare di colpo.

La rossa frenò e, guardandosi intorno, imprecò, proprio nel momento in cui una pioggia di proiettili li investì, mancandoli per miracolo. L’agente Dunham fece immediatamente retromarcia e svoltò verso un vicolo riparato, spense il motore e prese la pistola.

Si voltò di dietro e fissò il figlio, che si era improvvisamente svegliato e si guardava intorno, spaesato, infine si rivolse a Peter.

“State qui, al riparo.” poi uscì di corsa, raggiungendo Eddie e i due colleghi, che rispondevano al fuoco.

Peter li fissò, e prese una decisione.

“Olive, prendi il bambino e aiuta Elizabeth a scendere, troviamo un posto riparato, qui non possiamo stare!” ordinò.

La bionda fece come le era stato detto, prese in braccio il piccolo e accompagnò la figlia in un punto riparato del vicolo.

Peter le raggiunse subito e le fissò, preoccupato.

“State bene?” chiese.

“Sì, Peter…” rispose la giovane “Anche se… credo mi si siano rotte le acque.”

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Capitolo 11
*** 10 ***


Peter la fissò allarmato. Questa non ci voleva!

Lanciò uno sguardo alla compagna, poi si tolse il cappotto e fece sedere la giovane donna per terra.

Un proiettile sibilò dietro l’angolo. Olivia mise giù il bambino e prese la pistola, poi si poggiò al muro e rispose al fuoco, non prima di aver lanciato uno sguardo eloquente a Peter.

L’uomo annuì e si rivolse alla figlia.

“Elizabeth, dobbiamo far nascere il bambino. Fai tutto quello che ti dico, ok?” la ragazza annuì e strinse i denti, quindi Peter si girò verso il bambino. Era terrorizzato, ma come dargli torto? Sua madre era scomparsa e l’aveva lasciato lì con degli estranei, nel bel mezzo di una sparatoria; sarebbe stato stressante per un adulto, figuriamoci per un bambino di appena un anno “Ometto, ho bisogno del tuo aiuto.”

Quando ottenne l’attenzione del figlio, si avvicinò e lo guardò negli occhi. Erano svegli e vispi come i suoi, e lo fissavano, in attesa di sapere cosa fare. Il suo sguardo sprizzava intelligenza, cosa che, probabilmente, aveva ereditato da Peter.

“Mi serve che mi dai la tua giacca. Hai freddo?” Henry scosse la testa e si tolse la giacca, consegnandola al padre “Grazie, ora stringi forte la mano di questa ragazza. Aiutala a non avere paura.”

Il bambino eseguì, quindi Peter tornò a rivolgersi a Elizabeth, ignorando la confusione intorno a loro. La fece sistemare meglio e la coprì con la giacca che gli aveva lasciato Olivia.

“Quando te lo dico io, spingi!” le ordinò, guardandola negli occhi. La giovane annuì e strinse i denti, mentre Henry, oltre a stringerle la mano, le faceva una leggera carezza sul viso.

Peter le ordinò di spingere, e lei eseguì. Non sentiva dolore, ma aveva paura; paura per sé stessa, stesa lì, a far nascere suo figlio in un mondo diverso dal suo, in un tempo che non era il suo, paura per il bambino, e paura per il compagno, che stava schivando proiettili a poche decine di metri da lei.

Olivia rispondeva al fuoco dal suo angolo riparato, e quando poteva lanciava uno sguardo verso il compagno, che stava facendo nascere il loro futuro nipote. Doveva proteggerli, quindi approfittò di una tregua momentanea della sparatoria per raggiungere la sua alter e il resto del gruppo.

“Tuo figlio e Elizabeth sono al sicuro, con Peter.” disse, avvicinandosi alla rossa, poi guardò Eddie. Doveva dirgli che il bambino stava nascendo? Forse era meglio di no, non ancora: l’avrebbe messo in pericolo, sarebbe potuto uscire inavvertitamente allo scoperto per poter raggiungere la compagna. Sperò che il giovane non le chiedesse nulla a proposito di Elizabeth, quando Eddie si avvicinò.

“Come sta Liz?” chiese l’uomo, preoccupato.

Lei fece un respiro profondo e lo guardò negli occhi, prima di rispondere.

“Sta bene, ma il bambino sta per nascere.”

Come aveva previsto, Eddie scattò e cercò di raggiungere il nascondiglio della compagna e di Peter.

Intanto Elizabeth era stremata. Peter le parlava, dandole istruzioni e cercando di tenerla cosciente.

“Vedo la testa. Ancora un piccolo sforzo! Ora spingi!” le ordinò.

Lei eseguì. Peter sorrise, il bambino era nato, ed ora piangeva tra le sue braccia.

“E’ un maschio.” le disse, mettendoglielo in braccio, proprio nel momento in cui gli spari cessavano.

Elizabeth lo prese subito e lo esaminò, ignorando il resto. Il bambino smise immediatamente di piangere e guardò attentamente la madre, mentre Peter lo avvolgeva nel cappotto di Henry, che fissava, incantato, il futuro nipote.

Quando, finalmente, Peter si rese conto del silenzio improvviso, si alzò in piedi e, cautamente, raggiunse l’angolo dove era sparita Olivia, la quale lo raggiunse di corsa e lo abbracciò.

“Sto bene, Olive…” la rassicurò, infine guardò il resto del gruppo. Si accorse delle espressioni scure, quindi si rivolse a Olivia “Che cosa è successo?”

Olivia non disse nulla, si limitò a indicare un corpo esanime, poco lontano da loro. Peter lo riconobbe, quindi tornò dalla figlia.

“Liz, ce la fai a camminare?” le chiese. Lei annuì e Peter la aiutò ad alzarsi “Dobbiamo tornare a casa. Vieni, saliamo in macchina.” La aiutò a sedersi e guardò Olivia e la rossa, le quali lo raggiunsero. L’agente Dunham prese in braccio il figlio e lo mise sul seggiolone, poi si mise al volante e partì, verso l’imbarco per Liberty Island.

Elizabeth non tolse gli occhi dal bambino neanche quando si imbarcarono per l’isola dove c’era il ponte tra gli universi. Tornò alla realtà solo quando tutti si raccolsero attorno al passaggio.

Si guardò attorno, scrutando ogni volto, e andò in panico quando non ne vide uno.

“Dov’è Eddie?” chiese, rivolta a Peter.

“Elizabeth, mi dispiace… non ce l’ha fatta.” rispose lui, dopo aver fatto un respiro profondo.

La giovane lo fissò, shockata, per qualche secondo, stringendo la sua creatura, il piccolo esserino addormentato tra le sue braccia.

“Cosa significa che non ce l’ha fatta?” chiese, finalmente.

“Voleva raggiungerti.” spiegò Olivia “Gli hanno sparato alla schiena mentre correva da te.”

Elizabeth ebbe un mancamento. Non poteva essere, Edward Pawn l’aveva abbandonata. Come avrebbe fatto ora? All’improvviso tutto divenne scuro.

 

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Capitolo 12
*** 11 ***


Confusione. Sconforto. Disperazione.

La mente di Elizabeth era annebbiata. Non riusciva a pensare lucidamente.

Dove si trovava ora? In realtà non le importava molto. La mente vagava, riportando a galla ricordi confusi.

Doveva rimettere ordine nella mente. Per qualche strano motivo aveva perso contatto con la realtà che la circondava. Doveva ritrovare la strada, svegliarsi. Cercò un appiglio.

Lo trovò in un ricordo che le passò nella mente in quel momento. Cercò di focalizzarsi su questo, non doveva farlo scappare.

Era nel bagno di casa sua. Chiusa dentro da chissà quanto tempo, era seduta sul bordo della vasca da bagno e fissava un piccolo oggetto cilindrico, che teneva tra le mani.

Era shockata. Il colore del cilindretto confermava quello che il suo corpo le stava dicendo da due settimane. Blu. Per un momento aveva sperato sul rosso, sperava di sbagliarsi, aveva pregato disperatamente che il cilindretto diventasse rosso. Invece era diventato blu.

Era incinta.

“Dannazione!” imprecò tra sè “E ora che faccio?”

Non era pronta a diventare madre. Con quello che stava succedendo in giro per il mondo, un bambino era l’ultima cosa a cui lei e Eddie avevano pensato.

Lei era una consulente civile della Divisione Fringe, e lui era un operativo. Rischiavano la vita ogni giorno, non potevano permettersi di mettere al mondo un bambino che, con tutta probabilità, poteva restare orfano da un momento all’altro.

Decise di uscire dal bagno. Andò spedita in camera da letto; era mattina presto, Eddie dormiva ancora e, considerando la giornata pesante che aveva avuto il giorno prima, non lo avrebbero svegliato neanche le cannonate.

Infatti, appena entrò nella stanza semi buia, sentì Edward Pawn, il suo compagno, russare sonoramente, e lo vide steso sul letto, a pancia in giù, che cercava di occupare più spazio possibile, approfittando del fatto che Elizabeth si era alzata.

Si sedette accanto a lui e lo guardò, sorridendo. Lo amava più di ogni altra cosa al mondo. Sperava che un giorno si sarebbero potuti sposare… anche per fare contento suo padre, che spingeva in quella direzione da quando aveva saputo che stavano insieme.

Suo padre, Peter Bishop. L’Eroe dei Due Mondi.

Elizabeth era cresciuta all’ombra delle sue avventure, era l’eroe della sua infanzia. Quando era piccola, lui era un agente operativo, come lo era sua madre Olivia, e crescendo lo aveva visto fare carriera, e riuscire ad arrivare a capo dell’agenzia federale più importante degli Stati Uniti, la Divisione Fringe.

Era un uomo intelligente, un ottimo stratega e aveva il giusto carattere per comandare un esercito. Elizabeth non ricordava di averlo mai visto piegarsi o vacillare. Aveva sempre la risposta giusta a tutto.

Aveva ricoperto la carica di Direttore fino all’età della pensione, per poi ritirarsi a vita privata e dedicarsi al vecchio laboratorio del padre. Aveva continuato ad essere un genio in molti campi, ma invecchiando si era ringogl… rimbambito un po’. Secondo Olivia, questa doveva essere una caratteristica comune ai maschi della famiglia Bishop, in quanto anche il nonno di Elizabeth, Walter, era un genio con qualche rotella fuori posto.

Sorrise di nuovo, pensando a ciò che era successo qualche giorno prima, quando suo padre aveva discusso con suo fratello Henry sull’utilità di avere una mucca nel laboratorio. Elizabeth e Eddie avevano assistito al battibecco divertiti, ignari del cambiamento che stava avvenendo nel corpo della giovane.

Eddie si svegliò, aprì gli occhi e fissò la compagna, ancora mezzo addormentato.

“Ciao…” sussurrò, tirandosi su e baciando dolcemente Elizabeth, la quale ricambiò sorridendo.

“Buongiorno, Big Eddie. Hai dormito bene?”

“Da favola…” rispose lui, cercando i suoi vestiti per terra. La giovane donna lo guardò per qualche secondo, fece un respiro profondo e parlò.

“Eddie, sono incinta.”

Eddie lasciò andare la maglia che stava per infilarsi e si girò verso Elizabeth, incredulo.

“C… come hai detto?”

“Sono incinta.” ripeté lei.

“I… incinta?” chiese ancora il giovane uomo “Si… significa che aspetti un bambino?”

“Certo, Capitan Ovvio! Non aspetto mica un cane!” esclamò sarcastica, con una punta di rabbia.

Eddie stava per abbracciarla, sorridendo, ma prima che potesse farlo si ritrovò a terra, senza fiato. Evidentemente Elizabeth non aveva gradito la cosa: gli aveva assestato una ginocchiata sui gioielli ed era uscita a sbollire la rabbia.

Da quel giorno era passato tanto tempo, mesi, ormai.

Elizabeth si riprese lentamente, tornando alla realtà.

Si rese conto di essere stesa su una barella, avvolta in una coperta calda.

Dove si trovava esattamente?

Un muggito le diede la risposta che aspettava: il laboratorio di suo nonno.

Aprì gli occhi e si guardò attorno. Vide un piccolo gruppo di persone raccolto attorno a un tavolo. Cercò di metterli a fuoco.

Sentì il pianto di un neonato. Proveniva dal centro del gruppo. Era suo figlio, lo aveva capito subito. Quelle persone si stavano prendendo cura della creatura che aveva messo al mondo poche ore prima.

“Che cosa è successo?” sussurrò, attirando l’attenzione dei presenti.

Peter si girò, guardandola preoccupato.

“Elizabeth… come ti senti?” le chiese.

“Stanca… cosa è successo? Dov’è mio figlio? Sta bene?”

L’uomo guardò Walter, che annuì, passandogli il fagottino, che si agitava disperato.

Bishop si avvicinò alla futura figlia e le mise in braccio il piccolo, che si calmò un po’, appena percepì il battito del cuore di Elizabeth.

“Sta bene.” la rassicurò “Gli abbiamo somministrato la cura.”

“E… e Eddie?” chiese, pur sapendo già la risposta. Peter sospirò.

“Mi dispiace, Elizabeth…”

La giovane non disse nulla. Ricacciò indietro le lacrime e si fece coraggio: avrebbe dovuto continuare senza il suo amato Edward, il padre di suo figlio. Peter le fece una carezza affettuosa, poi le mise in mano un foglio piegato.

“Che cos’è?” chiese la giovane, fissandolo confusa.

“La formula della cura.” riferì Walter “Consegnala a tuo padre appena arrivi nel tuo tempo.”

Elizabeth annuì e tornò a fissare Peter.

“Saprò cosa farne. Ora è tempo che tu vada.” la rassicurò, poi la aiutò ad alzarsi “Walter ti guiderà. Mi troverai al laboratorio al tuo arrivo.”

“Peter… papà… scusa se ti ho fatto arrabbiare.”

L’uomo la zittì, dolcemente, poi le diede un bacio sulla fronte, prima di allontanarsi e lasciare il posto a Walter, che diede istruzioni alla giovane.

Elizabeth si rilassò, chiuse gli occhi, stringendo il suo bambino e, ad un certo punto, scomparve.

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Capitolo 13
*** 12 ***


Elizabeth chiuse gli occhi e cercò di rilassarsi, come le stava dicendo Walter.

Si concentrò sul respiro del suo piccolo, che dormiva tranquillo, in braccio a lei. Un brivido le attraversò il corpo; quando passò ci fu un improvviso silenzio, che però durò poco.

Una leggera musica invase improvvisamente l’aria. Elizabeth la riconobbe: Stravinskij, The Firebird. Era la sinfonia preferita dal padre; da quando era andato in pensione l’ascoltava spesso.

La giovane donna aprì gli occhi e si guardò intorno. Si trovava ancora nel laboratorio, ma qualcosa era cambiato. La strumentazione non era la stessa di quando aveva chiuso gli occhi, era diversa, più… moderna.

Si aggirò per il locale, guardandosi attorno.

“C’è nessuno?” chiamò.

Improvvisamente sentì dei rumori dall’ufficio. La porta si aprì e ne uscirono due uomini, un uomo sui 32 o 33 anni e un anziano, che aveva circa sessant’anni.

“Elizabeth! Sapevo che ce l’avresti fatta!” disse l’anziano, abbracciandola e facendola sedere sulla sedia più vicina.

“Papà…” cominciò la ragazza “Eddie non ce l’ha fatta…”

“Lo so, tesoro. Lo sapevo fin dall’inizio.” rispose il vecchio Peter, carezzandole i capelli.

“T… tu lo sapevi?” balbettò Elizabeth, sull’orlo delle lacrime “Tu sapevi tutto e non hai fatto nulla?”

“Liz… papà non poteva fare molto. Se impediva a Eddie di andare sarebbe cambiato tutto, forse io non sarei neanche qui, ma nell’altro universo…” spiegò il giovane uomo, Henry, cercando di calmare la sorella.

“Ma Eddie non c’è più… cosa farò adesso?”

“Puoi andare avanti, per il bambino.” la incoraggiò Henry, facendo una carezza al piccolo, che si era svegliato e si guardava intorno.

Elizabeth fissò la sua creatura a lungo. Lui era l’unico ricordo che le era rimasto di Eddie, il loro figlio. Lo esaminò bene e si accorse che somigliava incredibilmente al padre. Sorrise, infine tornò a guardare Peter e Henry.

“Il mio piccolo Eddie Peter…” sospirò, infine si rivolse nuovamente a Peter “Papà… ho una cosa per te.” lo informò, frugandosi nelle tasche e consegnandogli il foglio con la formula della cura che le era stato consegnato prima della partenza.

Peter prese il foglio e lo aprì, infine, tutto eccitato, si rivolse a Henry.

“Fantastico! Henry, prepara tutto e chiama tua sorella! E non dimenticarti le mentine!”

“Sorella?” chiese la giovane, confusa. Non si ricordava di avere altre sorelle.

“Ah sì… tu non puoi saperlo. Questo futuro è diverso da quello che hai lasciato, non molto ma lo è. Mamma si è sposata, dopo che sei andata via. Rachel è nata cinque anni dopo… e c’è mancato poco che papà rifacesse lo stesso lavoro che ha fatto con te.” disse Henry, seguendo il padre con gli occhi.

“Non capisco…” disse ancora Elizabeth, confusa.

“Semplice, io non sono cresciuto nell’altro universo.” spiegò “E mamma e zio Lincoln si sono trasferiti qui.”

“Continuo a non capire…” confessò la giovane.

“Papà, glielo spieghi tu?” chiamò, rivolto a Peter.

Il vecchio si avvicinò ai figli, mangiando una caramella gommosa.

“Sì… è successo tutto dopo che te ne sei andata…”

Trenta anni prima.

Il gruppo fissò per qualche secondo il punto dove poco prima c’era la giovane donna. Ad un certo punto Peter guardò gli altri.

“Devo andare a Liberty Island. Olivia, Lincoln, vi conviene venire con me se volete tornare nel vostro mondo.”

“Cosa vuoi fare?” chiese la bionda, avvicinandosi a lui.

“Voglio chiudere il passaggio.”

Lincoln e la rossa si scambiarono uno sguardo, infine quest’ultima parlò.

“Se possibile, noi vorremmo restare qui. Questo mondo è più sicuro, Henry starà meglio qui che dall’altra parte.”

Peter li fissò, infine annuì.

“Va bene. Andiamo!” esclamò, infilandosi il cappotto ed uscendo dal laboratorio, seguito dalla compagna e dai due agenti dell’altro universo.

Qualche ora dopo erano a Liberty Island.

Peter fissava la macchina, avrebbe dovuto entrarci di nuovo, non aveva altra scelta, se voleva dare un futuro ai suoi figli.

Fece un passo avanti. Gli tornò alla mente l’ultimo periodo, Elizabeth ed Eddie. Pensò alla giovane donna, che ancora non era nata. Aveva corso un grosso pericolo a tornare indietro, e il suo compagno aveva perso la vita. Peter aveva fatto la stessa cosa la prima volta che era entrato nella macchina, e stava per farlo ancora.

Salì gli scalini e si girò verso il gruppo. Guardò la sua Olive, che il giorno precedente gli aveva detto di essere incinta. Elizabeth sarebbe nata tra pochi mesi; infine guardò Henry, in braccio alla rossa. Suo figlio, un innocente. Promise a sé stesso che sarebbe sempre stato presente per lui, nonostante i dissapori con la madre.

Infilò i piedi negli alloggiamenti, poi fu il turno delle braccia.

Per Elizabeth. Per Henry. Per il futuro del mondo.

Contatto!

 

FINE

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