Attraverso i confini del tempo di katyjolinar (/viewuser.php?uid=3135)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1 ***
Capitolo 3: *** 2 ***
Capitolo 4: *** 3 ***
Capitolo 5: *** 4 ***
Capitolo 6: *** 5 ***
Capitolo 7: *** 6 ***
Capitolo 8: *** 7 ***
Capitolo 9: *** 8 ***
Capitolo 10: *** 9 ***
Capitolo 11: *** 10 ***
Capitolo 12: *** 11 ***
Capitolo 13: *** 12 ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Attenzione:
la storia che state per leggere è stata scritta qualche mese
fa, quando la quarta stagione era appena iniziata, quindi ci sono delle
incongruenze rispetto alla trama. Detto questo... leggete e fatemi
sapere cosa ne pensate!
Quello era uno dei ricordi
più belli della sua infanzia.
Era sempre suo padre a metterla a
letto. Quando aveva tre
anni, alla sera, mentre la madre riordinava in cucina, suo padre la
prendeva in
braccio che era già mezza addormentata, e la portava in
camera. Mentre la
portava, già le cantava la sua ninna nanna preferita.
“Row, row, row your
boat
Gently down the stream,
Merrily merrily, merrily,
merrily
Life is but a dream
Row, row, row your boat
Gently down the brook,
If you catch a little fish
Please let it off the
hook…”
Elizabeth si accoccolava sul suo
petto e ascoltava,
lasciandosi cullare dalla sua voce.
“Row, row, row your
boat
Gently down the creek,
If you see a little mouse
Listen to it squeak
Row, row, row your boat
Gently down the river,
If the river gets you wet
Don't forget to shiver
Row, row, row the boat
Gently to the shore,
If you see a lyin' bear
Don't forget
to roar…”
Lui apriva la porta della sua stanza
e, senza accendere la
luce, la metteva sul letto, rimboccandole le coperte.
“Row,
row, row your boat
Watch the water flow,
Rowing's fun but rowing's hard
That is what I know
Row, row, row your boat
Gently down the lake,
Don't stand up and rock the boat
That's a big mistake!
Row, row, row your boat
See the water run,
Rowing here and rowing there
Oh we're
almost done…”
Lei si addormentava subito dopo,
sentendo la voce di suo
padre che si allontanava.
“Row, row, row your
boat
Gently down the stream,
Ha ha fooled ya all
I'm a submarine
Row, row, row your boat
Gently down the stream,
Merrily merrily, merrily,
merrily
Life is but a dream”
Poi accostava la porta, mentre sua
madre si avvicinava.
“Si è
addormentata, Peter?” chiedeva, tutte le volte.
“Sì, Olive. Come
un angioletto.” le rispondeva lui.
Ma le voci dei suoi genitori erano
lontane, mentre Elizabeth
si perdeva nel mondo dei suoi sogni di bambina.
Ma ora era adulta. Quelli erano
ricordi di oltre 25 anni
prima.
Suo padre, Peter Bishop, era sempre
stato il suo eroe.
Elizabeth pendeva dalle sue labbra quando le raccontava le sue
avventure, di come
aveva salvato due mondi in pericolo, prima della sua nascita. Oppure
quando le
parlava di suo nonno e delle sue geniali pazzie.
Suo nonno, Walter Bishop…
Elizabeth se lo ricordava appena.
Era mancato quando aveva quattro anni, non aveva potuto conoscerlo
bene.
L’unico ricordo che le era rimasto di lui era quel
laboratorio, nel
seminterrato dell’edificio Kresge
dell’Università di Harvard, ormai
rimodernato, rispetto alle foto e ai video che aveva visto di quando ci
lavorava il nonno; l’unica costante era quella vasca
arruginita, in mezzo alla
stanza, che sua madre, Olivia, stava riempiendo di acqua, aiutata da
Henry,
fratello maggiore di Elizabeth, mentre suo padre discuteva in un angolo
con
Eddie, il compagno della giovane figlia.
Elizabeth si strinse
nell’accappatoio, in attesa. Eddie le
si avvicinò e la fissò, preoccupato.
“Lo so che è
inutile, ma te lo chiedo ancora. Sei sicura che
sia una buona idea?” le chiese il giovane uomo, mentre si
toglieva la maglia e
indossava anche lui l’accappatoio.
“Edward, te l’ho
già detto… è l’unico modo
per salvarlo… per
salvare nostro figlio…” rispose, carezzandosi la
pancia. Un debole calcio
proveniente dall’interno la fece sussultare e sorridere. Il
bambino stava bene,
per il momento.
Quando la vasca fu piena, Peter si
avvicinò a Elizabeth e
Eddie e li guardò negli occhi.
“Vi ho già
spiegato cosa succederà. Vi guiderò con la voce
finchè potrò, poi le capacità di
Elizabeth faranno il resto.” disse. Era
eccitato e preoccupato allo stesso tempo. In quel momento somigliava
molto a
Walter, per quel poco che Elizabeth ricordava.
Peter aveva oltre 60 anni, ormai, ma
continuava ad essere un
uomo geniale. Certo, non era paragonabile al genio di Walter, ma se era
diventato capo della Divisione Fringe ed era soprannominato
“l’Eroe dei due
Mondi” c’era sicuramente un motivo.
Elizabeth annuì, poi lo
abbraccò, tirando indietro le
lacrime.
“Grazie, papà.
Ti voglio bene.” disse.
Peter sorrise e le carezzò
i capelli, poi lei abbracciò
anche la madre e il fratello.
Infine si avvicinò alla
vasca e si tolse l’accappatoio.
Eddie fece lo stesso, e insieme entrarono nell’acqua.
Eddie la abbracciò, mentre
Henry chiudeva la vasca e Peter
dava le istruzioni attraverso il microfono.
Elizabeth chiuse gli occhi e si
concentrò su quella voce che,
improvvisamente sparì, come sparì
l’acqua in cui erano immersi lei e il suo
compagno.
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Capitolo 2 *** 1 ***
Era un periodo stranamente calmo,
nella Divisione Fringe.
Peter era entrato nella macchina sei
mesi prima e aveva
creato un ponte tra i due universi, che ora vivevano un periodo di
tregua.
Il giovane uomo si stava dando da
fare per risolvere almeno
in parte i problemi creati in 25 anni di “guerra”,
e cercava di mantenere un
certo equilibrio tra le due fazioni.
Lui apparteneva a entrambi i mondi,
era stato scelto per
questo come intermediario: era al di sopra delle parti.
Ma anche se i problemi tra gli
universi si stavano
risolvendo, ce ne erano altri, nella vita di Peter, che erano emersi
proprio
nel momento in cui aveva creato il ponte.
Uno di questi aveva di nuovo minato
il suo rapporto con
Olivia, e si chiamava Henry Bishop, il figlio che lui aveva
involontariamente
concepito con l’altra Olivia, circa un anno prima.
Sì, lui e Olivia stavano
ancora insieme, ma lei si era
raffreddata nel momento stesso in cui era venuta a conoscenza
dell’esistenza di
quella creatura, che sapeva essere innocente, ma che le aveva ricordato
cosa
era successo nel periodo di prigionia nell’altro universo.
Peter non sapeva cosa fare, e per il
momento, preso come era
dal suo ruolo di diplomatico, non aveva neanche il tempo di pensare a
una
soluzione. Gli bastava saperla vicina, per ora, poi il resto si sarebbe
risolto
con il tempo.
Quella mattina aveva accompagnato
Walter in laboratorio, poi
lo aveva lasciato sotto la custodia di Astrid e si era chiuso
nell’ufficio con
Olivia, a leggere gli ennesimi documenti delle “trattative di
pace” dei due
mondi.
Walter, per passare il tempo, si era
messo a fare
esperimenti con dei bruchi che aveva ordinato pochi giorni prima,
somministrando loro diversi tipi di droghe e fischiettando serenamente
un brano
dei Violet Sedan Chair… ok, forse qualcuna di quelle droghe
l’aveva provata
anche su di sé, ma almeno era tranquillo e non stava creando
problemi.
Improvvisamente, qualcosa
attirò la sua attenzione.
“Astral, credo che questo
LSD che ho provato era troppo
concentrato: mi sembra di sentire qualcuno che bussa.”
Astrid sospirò: mai una
volta che azzeccasse il suo nome…
poi sentì qualcosa anche lei: qualcuno bussava, ma non
riusciva a capire la
fonte.
Andò a chiamare Peter e
Olivia, per chiedere se sentivano
anche loro quel rumore. I due si spostarono nel laboratorio e
ascoltarono
attentamente. Effettivamente sentivano bussare qualcuno, e poi
sentirono anche
chiamare. Peter si avvicinò alla vasca e la fissò.
Con una mossa decisa la
aprì.
Dentro c’erano due persone,
un uomo e una donna, più o meno
della sua stessa età. L’uomo sorreggeva la donna,
che aveva le convulsioni. I
suoi occhi incrociarono quelli di Peter; c’era panico nel suo
sguardo.
Bishop non disse nulla e lo
aiutò a tirare fuori la donna:
prima di fare domande era meglio non far morire nessuno.
Gli altri si avvicinarono e, mentre
Walter e Astrid si
occupavano della donna, Peter immobilizzava a terra l’uomo.
Era più alto di
lui, e molto più massiccio, ma non gli fu difficile farlo.
“Chi siete?”
chiese Bishop, senza mollare la presa.
“A…
aspettate… lei è incinta…”
disse l’uomo, senza
rispondere, e fissando la donna che era nella vasca con lui.
Peter guardò il padre, il
quale annuì, segno che aveva
recepito il messaggio, poi tornò a concentrarsi
sull’uomo.
“Ora rispondi. Chi
siete?”
L’uomo esitò,
poi, quando la donna sembrava stare meglio,
finalmente rispose.
“Io mi chiamo Edward Pawn,
lei è Elizabeth Bishop.”
Peter guardò negli occhi
l’uomo, voleva capire se quello che
stava dicendo era la verità. Lo sguardo del giovane gli
sembrava sincero. Inoltre
era incuriosito dal nome della donna, così simile a quello
di sua madre.
“Ok.” Disse,
usando un tono di voce freddo e calcolato “Ora
ci dovete raccontare tutto dall’inizio. E con tutto intendo:
da dove venite,
cosa ci facevate nella vasca e perché siete bagnati fradici,
visto che non c’è
acqua, lì dentro. E spera che la risposta sia
convincente.”
Eddie esitò e
guardò la compagna. Era ancora pallida, ma non
aveva più le convulsioni ed era sveglia. Si stava carezzando
la pancia, stretta
nella coperta che le aveva messa addosso Olivia.
“Più che da
dove, sarebbe più giusto dire da quando.”
cominciò il giovane.
“Spiegati
meglio.” ordinò Peter, severo.
“Veniamo da circa 31 anni
nel futuro, dalla data di oggi.”
sussurrò Elizabeth.
Peter scoppiò a ridere.
“Certo, e magari siete
amici di John Titor e Marthy McFly…”
scherzò, sarcastico.
Elizabeth e Eddie si guardarono per
qualche secondo.
“L’aveva detto
che non ci avrebbe creduto.” sussurrò la
donna.
“Di chi state parlando? Di
"Doc" Emmett Brown?”
scherzò ancora Bishop.
“No, di te,
Peter.” rispose Elizabeth, alzando gli occhi “O
forse dovrei chiamarti papà.”
“Scusa, tesoro.”
cominciò Peter, usando lo stesso tono che
aveva usato con Olivia quando si erano conosciuti, a Bagdad
“ma faccio molta
fatica a crederti: ho un solo figlio, per ora, un maschio. Quindi
inventati
un’altra storia, perché questa non sta
funzionando.”
La giovane donna sospirò.
“Avevi previsto anche
questo. So che hai un altro figlio,
conosco mio fratello, ha due anni più di me. L’ho
conosciuto 16 anni fa. Io
devo essere ancora concepita.” ci fu un attimo di silenzio
“Se non mi credi,
fammi il test del DNA.”
“Ok, ammesso e non concesso
che quello che avete detto è
vero…” obiettò ancora Peter
“come avreste viaggiato? E non dirmi che avete
usato una DeLorean!”
“Peter, lo sai che le
capacità dei cortexikids, una volta
attivate, diventano ereditarie?” rispose la giovane
“Ho usato le mie capacità.
Certo, tu mi hai dato una mano, ma il grosso l’ho fatto
io.”
Peter sospirò e guardo il
padre e la compagna.
Walter si era alzato, e aveva
cominciato a formulare
ipotesi.
“E’…
è possibile che, se… se opportunamente
preparati…”
balbettò Walter “i soggetti trattati con il
Cortexiphan possano… possano
viaggiare nel tempo”
Lo sguardo di Peter era eloquente.
Quando suo padre
cominciava ignorava qualunque avvertimento.
La giovane lo guardò
incantata.
“Sei proprio come mi
ricordavo, nonno…” sussurrò. Poi si
girò di nuovo verso Peter “E tu hai poco da
criticarlo: tra circa 25 anni sarai
come lui!”
Peter stava per replicare, ma Olivia
lo fermò.
“Peter… potrebbe
aver ragione…” disse, fissandola.
“Olive, non puoi crederle
sul serio…”
“Peter, dico sul serio,
guardala…”
L’uomo si girò
nuovamente verso di lei e guardò attentamente
Elizabeth: gli occhi erano azzurri e particolarmente espressivi. In
quel
momento lanciavano fuoco, erano come… come i suoi. Le labbra
e il naso erano
quelle di Olivia, e i capelli… il colore era quello di
Elizabeth, sua madre, ma
erano lisci come quelli di Olivia.
Peter la fissò ancora. Era
confuso, come poteva essere?
“Bene.”
sospirò la donna “Ora che abbiamo appurato che io
e
Eddie stiamo dicendo la verità, posso andare in bagno? Ho la
nausea.”
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Capitolo 3 *** 2 ***
Mentre Elizabeth si era chiusa in
bagno, Olivia aveva
ordinato ad Astrid di andare a prendere dei vestiti per i due nuovi
arrivati.
Eddie non disse una parola, si
limitò a stare fermo vicino
alla vasca, fissando di tanto in tanto la porta del bagno, in cui era
chiusa la
compagna da almeno dieci minuti.
Peter, invece, camminava per il
laboratorio, nervoso, con le
braccia conserte e continuando a lanciare occhiatacce omicide verso
Eddie.
Olivia restava in disparte, sapeva
che era meglio non
intromettersi, quando Peter era così nervoso.
“Mh… Edward,
giusto?” disse, ad un certo punto, Peter.
“Sì, signore.
Tenente Colonnello Edward Pawn, signore. Ma mi
chiamano tutti Big Eddie.” rispose l’altro,
mettendosi sull’attenti.
Peter sorrise sarcastico. Era ancora
nervoso, e quella
“battuta” l’aveva fatto innervosire
ancora.
“Big Eddie?
Grandioso… e dimmi, quanti anni hai?” chiese.
“Trentadue,
signore…”rispose “cioè,
adesso avrei circa l’età
di suo figlio, un paio di mesi in più.”
“Mh… e mi pare
di capire che sei un soldato. Cosa? Esercito?
Marines?”
“No, signore. Divisione
Fringe.”
Peter stava per fare
un’altra domanda, quando Elizabeth uscì
dal bagno.
“Non dire altro, tesoro.
Stiamo già modificando fin troppo
la linea temporale anche solo con la nostra presenza qui.”
In quel momento arrivò
Astrid con dei vestiti nuovi.
Elizabeth afferrò i suoi e si vestì, poi
notò le liquirizie rosse di Walter e
ne prese una, assaggiandola con aria estasiata.
“Oh… allora sei
davvero mia nipote, cara!” esclamò Walter,
sorridendo e guardandola.
“Walter, non ti esaltare
così facilmente!” lo rimproverò il
figlio “Tra l’altro non ci hanno ancora detto
perché sono qui.”
“In effetti è
vero.” osservò Olivia “Non ci avete
detto
ancora nulla sul motivo del vostro viaggio.”
Elizabeth e Eddie si guardarono, in
silenzio. La donna si
era fatta triste e si era portata la mano alla pancia.
“Si tratta di mio
figlio.” spiegò.
“Che succede? Che
ha?” la incitò la bionda.
“Ha una
malattia… rischia di morire entro i prossimi otto
anni.” continuò Elizabeth, abbassando lo sguardo.
“E non potevate curarla nel
vostro tempo?” obiettò ancora
Peter “Dovreste essere più avanti di noi, sulle
cure mediche? O no?”
La ragazza ricacciò
indietro le lacrime e lo fissò negli
occhi.
“Peter… questa
malattia è genetica… solo una persona
è stata
in grado di curarla, in passato, sapevamo chi era, ma non aveva
lasciato
scritti di come ha fatto…”
“E non potevi mandare
qualcuno, invece di esporti in prima
persona?” chiese l’uomo. Il suo tono era arrabbiato.
“Io… non
potevo… io…” balbettò,
cercando di contenere le
lacrime, ma si riprese subito “Senti un po’, signor
‘so tutto io’! Io ho fatto
quello che ritenevo giusto! Hai poco da criticarmi, tu hai fatto lo
stesso!”
Peter chiuse gli occhi e fece un
respiro profondo, prima di
ribattere, puntandole il dito contro.
“Tu hai messo a repentaglio
la tua vita e quella di tuo
figlio. E' folle. E devo essere davvero in condizioni pietose nel
futuro per
averti permesso di fare una cosa del genere!”
La giovane stava per ribattere
ancora, ma Olivia si mise in
mezzo.
“Ok, basta litigare! Non
serve a niente!”
L’uomo la
fulminò con un’occhiataccia. Eddie si
avvicinò e
li guardò.
“In realtà
è la stessa cosa che le ho detto io…”
spiegò.
“Tu non ti intromettere,
signor ‘ho tutto sotto controllo,
non resterai incinta, tranquilla’!” lo
ammonì la compagna.
Peter si rivolse all’uomo,
ignorando le invettive di
Elizabeth.
“Beh, avresti dovuto
impedirglielo con tutte le tue forze!
Non solo a parole! Che razza di soldato sei?”
“Un soldato che non sa
tenere i pantaloni chiusi…” si
lamentò la giovane, guardando il compagno di traverso e
incrociando le braccia
sul petto.
Olivia sospirò e si
avvicinò a Elizabeth, guardandola negli
occhi.
“Va bene, Elizabeth, ti
aiuteremo a trovare la persona che
cercate. Ma ora stai calma, non ti fa bene agitarti, nelle tue
condizioni.”
“In realtà,
mamma… la persona che cerchiamo l’abbiamo
già
trovata.” rispose, poi spostò il suo sguardo su
Walter.
“Chi? Walter?”
esclamò Peter, sorpreso “E di quale malattia
avrebbe trovato la cura?”
La giovane tornò a
guardarlo. Quegli occhi blu erano seri,
adirati e tristi allo stesso tempo.
“La tua, Peter.”
rispose “Mio figlio ha la tua stessa
malattia genetica.”
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Capitolo 4 *** 3 ***
Nel laboratorio calò il
silenzio.
Peter ed Elizabeth si fissarono a
lungo. Gli occhi della
donna lanciavano scintille di rabbia, miste a disperazione.
Elizabeth fece un respiro profondo,
prima di parlare di
nuovo.
“Peter… ci serve
l’aiuto di tuo padre. Lui è l’unico che
può
salvare mio figlio.” lo implorò.
Peter guardò Walter, che
era rimasto nel suo angolo a
mangiare liquirizie e rimuginare sul passato. Aveva preso il vecchio
pupazzetto
di J.I.-Joe che teneva in laboratorio e se lo rigirava tra le mani,
fissando il
vuoto, perso nei suoi pensieri, forse nei ricordi del figlio che aveva
perso
per quella malattia, la stessa per cui aveva trovato una cura, grazie
alla
quale Peter era lì, in quel momento.
“Walter, dimmi che ti
ricordi come mi hai curato!” lo chiamò.
Walter sembrò destarsi dai
suoi pensieri e lo fissò.
“Peter… tu avevi
sette anni.” sussurrò.
“Sì, e
allora?”
“Beh, lui non è
ancora nato… devo studiare un altro tipo di
cura…” spiegò, indicando la pancia di
Elizabeth.
“Non preoccuparti,
nonno.” lo rassicurò la giovane “Ti
darò
una mano. Ho una laurea in chimica presa qui ad Harvard e un master in
Scienza
dei Materiali al MIT. Inoltre ho un QI di 190, servirà a
qualcosa, no?”
“Tu non farai nulla, nelle
tue condizioni!” la fermò Bishop.
“Senti, ho lavorato in
questo laboratorio fino a un mese fa!
E sono al quinto mese. Non mi farà male!”
obiettò lei.
Peter sospirò e
tornò a guardare Walter.
“Avevi ragione,
è proprio tua nipote. Entrambi non tenete
delle conseguenze che si creano, quando fate qualcosa.”
Walter non rispose e andò
alla lavagna, per scrivere delle
formule.
Elizabeth si avvicinò a
Peter e gli puntò contro il dito.
“Senti un po’,
tu! Tuo padre non è l’unico che non ha tenuto
conto delle conseguenze! Sbaglio o hai messo incinta una donna pensando
che
fosse la tua ragazza?!” lo accusò.
Peter stava per replicare nuovamente,
ma Olivia si mise in
mezzo.
“Ora basta, voi
due!” li ammonì, poi si rivolse a Elizabeth
“Peter ha ragione: le sostanze usate qui possono essere
dannose per il bambino,
ma potrai aiutare in altri modi.”
Peter si girò verso la
compagna con sguardo omicida, sguardo
che Olivia fece finta di non notare, poi si rivolse nuovamente verso
Elizabeth.
“Ringrazia che sei una
donna, e che sei la mia futura
figlia, altrimenti…” le disse, con tono gelido e
minaccioso “Se ci tieni a far
sopravvivere te e la creatura che tieni in grembo, esci immediatamente
da
questo laboratorio! E ti converrà anche non metterci piede
finchè Walter non
avrà sintetizzato la cura. Sono stato chiaro?”
La giovane lo guardò,
stringendo i pugni. Fece un respiro
profondo e poi gli serrò un pugno in faccia, con tutte le
forze che aveva.
Infine si allontanò di due passi e guardò Olivia.
“Mamma, a me e Edward ci
serve un posto dove stare, finchè
nonno non ha trovato una cura per il bambino.”
“Va bene, me ne occupo
subito.” rispose la bionda, guardando
di traverso il compagno, il quale si stava controllando se avesse
qualcosa di
rotto, in faccia, a seguito del pugno della giovane.
Elizabeth non disse nulla e si
sedette, prendendo due
liquirizie dalla scorta personale di Walter.
Olivia fece una telefonata, poi
tornò da loro.
“Abbiamo trovato una casa
non lontano da qui. Vi
accompagniamo subito. Peter, vieni anche tu, per favore?”
Peter sospirò, prese le
chiavi della macchina di Olivia, si
infilò il cappotto e uscì dietro la compagna e la
coppia del futuro.
Elizabeth salì nel sedile
posteriore della macchina e,
mentre andavano alla casa che aveva trovato loro Olivia,
guardò il paesaggio.
Boston, la città in cui
era cresciuta, non era quasi
cambiata. Riconobbe molte cose, che ci sarebbero state anche 30 anni
dopo.
Passarono davanti alla casa dove era nata, la bifamigliare dove viveva
ancora
suo nonno con Peter. Secondo quello che le avevano raccontato, sua
madre si
sarebbe trasferita definitivamente in quella casa di lì a
qualche mese, quando
sarebbe rimasta incinta di lei.
Fissò i genitori, seduti
davanti. Peter guidava in silenzio;
era ancora nervoso, lo si capiva da come stringeva il volante. Olivia
guardava
la strada, lanciando rapide occhiate preoccupate al compagno e ai due
passeggeri.
Si ricordò delle gite in
macchina di quando era piccola:
quando andavano a fare le scampagnate a Reiden Lake, alla casa sulla
spiaggia.
Spesso andava durante la settimana
con la madre, e Peter le
raggiungeva nel weekend.
Sapeva quando era arrivato,
perché quando si alzava sentiva
l’odore dei pancakes appena fatti. Correva in cucina e
trovava suo padre
intento a cucinare, il quale alzava gli occhi e la guardava, poi la
gratificava
con un sorriso. Un sorriso che la faceva andare al settimo cielo, il
sorriso
dell’eroe della sua infanzia.
Tornò a fissare Peter, il
suo futuro padre.
Appena arrivati avevano
già cominciato a litigare. Possibile
che fosse davvero così testardo, prima della sua nascita?
Era suo padre, in fondo. Da qualcuno
aveva pur preso la sua
testardaggine.
Doveva chiedergli scusa per quel
pugno. No, non era da lei.
E poi se lo era meritato, non era una bambina, che poteva comandare a
bacchetta, era una donna adulta.
Sorrise tra sé:
finchè Walter non avrebbe trovato la cura,
avrebbe fatto pagare a Peter quell’affronto.
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Capitolo 5 *** 4 ***
Le giornate scorrevano lente, nella
Divisione Fringe.
Dopo un mese, Elizabeth stava
già dando segni di nervosismo:
non le piaceva stare ferma, tantomeno se si trattava di trovare una
cura per
suo figlio.
L’accesso al laboratorio le
era assolutamente vietato, per
cui passava le giornate nell’ufficio, a visionare documenti
che già aveva letto
migliaia di volte in passato, dato che Peter li aveva conservati tutti
quanti,
archiviandoli nei posti più disparati.
Quello che stava visionando in quel
momento si ricordava di
averlo trovato, quando aveva 15 anni, sotto una vecchia asse del
pavimento
della casa di famiglia di Reiden Lake.
Eddie, invece, passava parecchio
tempo in laboratorio. Era
un uomo paziente, e si adattava a fare tutto. Riusciva a interagire con
entrambi i Bishop senza mai perdere la pazienza.
L’uomo entrò
nell’ufficio, portando il caffè per tutti.
“Nero con una zolletta per
Olivia, amaro per Peter,” elencò,
consegnando i caffè” con panna per Astrid, con la
cioccolata per il dottore e…
decaffeinato con una zolletta per te, tesoro.”
completò, poggiando il bicchiere
davanti alla compagna e dandole un leggero bacio. Elizabeth storse il
naso,
schifata.
“Odio il
decaffeinato…” si lamentò.
“E’ per il tuo
bene, piccola.” spiegò Eddie “Lo sai che
non
fa bene al bambino.” disse, poi le carezzò la
pancia.
Elizabeth lo guardò male e
gli spostò la mano, arrabbiata.
“Tu non mi toccare, Tenente
Colonnello Pawn!” lo minacciò.
Edward sospirò e si
allontanò di qualche passo. Sapeva bene
che, quando era arrabbiata era meglio lasciarla sbollire, prima di
poter
ragionare con lei.
Elizabeth restò in
silenzio e riprese a leggere gli
incartamenti, guardando con la coda dell’occhio i genitori.
Olivia era seduta
dall’altra parte della scrivania, mentre
Peter era in piedi, qualche passo dietro di lei, che la fissava
preoccupato. La
giovane aveva capito subito che tra loro c’erano dei
problemi, probabilmente
dovuti agli ultimi avvenimenti, ma sapeva anche di non poter
intervenire: le
cose si sarebbero messe a posto da sole. Sarebbe successo, lo sapeva,
altrimenti lei non sarebbe mai nata.
Certo, era strano vederli
così, vicini e, allo stesso tempo,
lontani. I suoi genitori se li ricordava sempre molto uniti, vivevano
uno in
funzione dell’altra, il loro rapporto era speciale.
Il loro era un rapporto difficile da
riprodurre, erano anime
gemelle, fatte per stare insieme fin dalla nascita. Elizabeth aveva
sempre
sognato di trovare qualcuno con cui legarsi come era successo ai suoi
genitori.
Si voltò verso Eddie, che stava visionando delle formule
assieme a Walter.
Eddie era un uomo fantastico, un
compagno meraviglioso;
Elizabeth lo amava alla follia, anche se i loro rapporti, quando si
erano
conosciuti, cinque anni prima, non erano cominciati nel migliore dei
modi.
Se lo ricordava ancora quel momento,
come fosse successo il
giorno prima. Lei stava lavorando nel suo laboratorio, al MIT; aveva
appena
preso il dottorato e le avevano offerto la cattedra di Scienza dei
Materiali.
Edward si era presentato senza bussare, dicendole che aveva ricevuto
l’ordine
di scortarla a New York, per collaborare in un’indagine della
Divisione Fringe.
Elizabeth conosceva bene la Divisione
Fringe: suo padre ne
era il capo, ma quell’atteggiamento comandino di
quell’ufficiale l’aveva
offesa, rendendola poco collaborativa. Fece finta di non averlo visto e
continuò il suo lavoro.
Eddie si era avvicinato e
l’aveva afferrata per il braccio,
per attirare la sua attenzione. Elizabeth si era girata, incenerendolo
con lo
sguardo.
“Signora, ho avuto
l’ordine di scortarla a…” aveva ripetuto
il giovane, ma venne interrotto dalla ragazza.
“Senta,
Maggiore…” aveva esordito, dopo aver controllato i
gradi sull’uniforme di Eddie “io non vengo da
nessuna parte, quindi può
prendere i suoi ordini e ficcarseli su per…”
“Chiedo scusa…
non volevo offenderla, ma ho ricevuto
l’ordine direttamente dal Direttore…” si
scusò Eddie.
“Beh, che diavolo vuole mio
padre?” chiese, dopo aver fatto
un respiro profondo per calmarsi.
“Suo padre,
signora?” chiese l’altro, confuso.
“Peter Bishop, il
Direttore. È mio padre. Non gliel’hanno
detto?”
Eddie la fissò interdetto;
evidentemente non lo avevano
informato.
“Ma… dico io,
almeno fare due più due? Abbiamo lo stesso
cognome!” sbottò lei.
“Chiedo
scusa…” sussurrò il giovane,
dispiaciuto.
“Ma
cos’è? Vi prendono tutti con intelligenza sotto la
media, alla Divisione Fringe?” continuò Elizabeth.
“Signora, mi permetto di
obiettare: ho un QI di 120.”
obiettò il soldato.
“E io di 190, per me sei
sotto la media. Comunque andiamo.”
concluse la giovane, prendendo la sua roba e facendosi scortare fuori.
Da quell’inizio burrascoso,
avevano continuato a lavorare a
stretto contatto per tre anni. Lei se ne era lentamente innamorata e si
era
dichiarata quando aveva pensato che sarebbero morti, durante un grosso
Evento
Fringe, nel bel mezzo di New York, alla Freedom Tower del New World
Trade
Center.
La giovane venne riportata alla
realtà dallo squillo del
cellulare di Peter, che uscì per rispondere, tornando dopo
qualche minuto.
“Walternativo vuole
discutere del trattato di pace. Devo
andare a New York.” informò, prendendo I documenti
e mettendoli in un borsone,
per poterli trasportare agevolmente.
“Serve una mano?”
chiese Eddie. Peter lo fissò; Edward Pawn
era un soldato, sicuramente addestrato a qualsiasi evenienza, la sua
esperienza
poteva essergli utile.
“Sì, tu
attraverserai il ponte con me.” rispose, poi si
rivolse a Olivia “Tu e Elizabeth, invece, vorrei che mi
aspettaste a Liberty
Island.”
Olivia annuì, mentre
Elizabeth non sembrò molto contenta
della soluzione trovata da Peter.
“Voglio venire anche io
dall’altra parte…” obiettò.
“No.” fu la
risposta secca di Peter.
“Perché? Sono
incinta, non disabile!”
Peter sospirò e la
guardò negli occhi.
“Senti, Elizabeth, hai
fatto un viaggio indietro di oltre 30
anni per cercare di salvare tuo figlio non ancora nato. Se Walternativo
lo
sapesse non c'è modo di prevedere la sua reazione. Potrebbe
farti le stesse cose
che ha fatto alla mia Olivia, solo per avere la possibilità
di riscrivere la
storia. Capirai da sola quanto tutto ciò sia pericoloso e
quanto non voglio
correre questo rischio. Quindi ti prego di darmi ascolto, anche se non
andiamo
d’accordo, ma sei un’innocente, e sei mia figlia,
non voglio che ti succeda
nulla.”
Elizabeth si zittì
all’istante e annuì. In quel momento le
era sembrato di vedere l’uomo che l’aveva
cresciuta, suo padre, non il
rompiscatole con cui si era scontrata appena arrivata lì.
Guardò Eddie, che la
rassicurò con un sorriso. Sapeva che
sarebbero tornati sani e salvi. Prese la giacca e seguì gli
altri alla
macchina.
La giovane guardò fuori
dal finestrino le case che
scorrevano, sempre più rade, lasciando il posto ai campi,
che costeggiavano
l’autostrada. Il piccolo faceva le capriole; Elizabeth si
carezzò la pancia.
“Tranquillo,
campione…”sussurrò, mentre sbarcavano a
Liberty
Island ed entravano nell’area del ponte dimensionale
“Papà tornerà sano e
salvo, come ha sempre fatto.”
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Capitolo 6 *** 5 ***
Arrivato a Liberty Island, Eddie
seguì Peter, che gli diede
l’equipaggiamento per il passaggio del ponte e la permanenza
nell’altro
universo: un giubbotto antiproiettile con la sigla identificativa,
delle armi
da tenere nascoste negli abiti e una ricetrasmittente.
Finito di prepararsi,
tornò nella sala principale e si
avvicinò alla compagna.
Elizabeth era in piedi, che fissava
il cancello blindato che
li divideva dalla zona in comune tra i due universi. Cercava di essere
forte,
ma era preoccupata.
“Torneremo presto,
vedrai.” la rassicurò.
La giovane lo fissò in
silenzio. Eddie le sorrise e le
carezzò la pancia. Il bambino faceva le capriole.
“Ehi,
piccoletto!” esclamò, rivolto al figlio
“Sei agitato?”
“E’ preoccupato
per te.” rispose Elizabeth.
Eddie le carezzò i capelli.
“Dov’è
finita la tosta signorina Bishop che non ha paura di
niente?” scherzò.
“Edward! Sono drogata di
gonadotropina! Capiscimi!” lo
rimproverò.
“Eh,
sì…” commentò
l’uomo, sospirando scherzoso. Doveva
allentare la tensione “Voi Bishop avete davvero un rapporto
particolare con le
droghe…”
Elizabeth non apprezzò la
battuta e gli tirò un pugno al
basso ventre. Eddie si spostò appena in tempo e raggiunse
Peter, che lo
attendeva vicino al passaggio, con un’espressione
indecifrabile dipinta in
volto.
“Andiamo, o faremo
tardi.” ordinò Bishop, prima di entrare
nella zona di passaggio.
Eddie lo seguì in
silenzio. Era la prima volta che passava
il confine. In realtà l’ultimo a passarlo era
stato Henry Bishop, quando aveva
16 anni.
Liz gli aveva raccontato come era
successo: suo fratello
aveva scoperto tutti gli imbrogli del Segretario della Difesa e, in
barba a
tutti i controlli, era scappato di casa ed era riuscito a passare il
confine.
Da allora, suo padre aveva preso la
decisione di chiudere definitivamente
il passaggio e lasciare che l’altro universo se la cavasse da
solo. Una
decisione egoistica, forse autolesionistica ma necessaria, per
proteggere le
persone innocenti che abitavano entrambi i mondi.
Certo, avevano cominciato a
verificarsi dei grossi eventi
Fringe, ma nulla a confronto di quello che Peter aveva visto nel
futuro, quando
era entrato nella macchina. L’universo non era in
decadimento, stava solo
cercando di ritrovare l’equilibrio, creando momentanei picchi
entropici sotto
forma di wormhole, che però si richiudevano entro qualche
anno. Il compito
della nuova Divisione Fringe, ora diventato un corpo indipendente, era
quello
di mettere in salvo più persone possibili e mettere in
sicurezza l’area, in
attesa che ritornasse l’equilibrio.
Per sigillare le aree, da circa
cinque anni, la Divisione
usava un materiale alternativo all’Ambra, più
facile da preparare e altrettanto
sicuro. Era stata Elizabeth a studiarlo, per la tesi di dottorato e, in
seguito, il Direttore Bishop, aveva mandato Eddie a chiamarla per
collaborare
con la divisione Fringe.
Un incontro burrascoso, ma mai
avrebbe pensato che sarebbe
arrivato a quel punto: stava con Elizabeth da due anni, e di
lì a tre mesi
sarebbero diventati genitori.
Entrò nella zona franca e
si fermò accanto a Peter, in
attesa che il cancello si chiudesse alle loro spalle. Bishop era
immobile, il
viso era teso e concentrato. Teneva la borsa con i documenti con la
mano
destra, mentre la sinistra era poggiata sulla tasca dei pantaloni, dove
teneva
un coltello. Non che servisse a molto, ma era pur sempre
un’arma che poteva
essere usata per la difesa.
Quando il cancello alle loro spalle
fu chiuso, la parete di
fronte a loro scorse lateralmente, rivelando un nuovo ambiente dietro
di essa.
Peter avanzò per primo,
avvicinandosi al gruppo di tre
persone che li attendeva oltre la soglia.
“Agente Lee…
agente Francis…” salutò
l’uomo, rivolto ai due
uomini, poi si girò verso la donna con i capelli rossi
“agente Dunham.” disse.
Voleva essere un saluto freddo, ma il suo tono tradiva il rancore e
l’odio che
provava nei suoi confronti.
Eddie la osservò: era
esattamente identica alla madre di
Elizabeth, con l’unica differenza che questa Olivia si era
tinta i capelli di
rosso. Doveva essere la madre di Henry.
“Benvenuti.”
rispose l’agente Lee “Chi è
lui?” chiese,
indicando Eddie.
“Sono la scorta di Peter
Bishop. Qualche problema?” rispose
il giovane, brusco, restando sulla difensiva.
“No, nessuno.”
rispose l’altro “Seguiteci. Il signor
Segretario sta aspettando.” Concluse, poi fece loro strada
all’esterno.
Peter si fermò sulla porta
che dava all’esterno.
“Dove ci portate?”
“Il Segretario ha chiesto
che venisse allestito un ufficio
apposito a Manhatan. Le trattative si svolgeranno
lì.” rispose Charlie, con
tono di scusa.
“E il suo vecchio ufficio
qui?” chiese ancora Peter.
Charlie fece spallucce.
“Non ce lo chieda, noi
eseguiamo solo gli ordini.”
Peter e Eddie si scambiarono uno
sguardo. Qualcosa non
tornava. Eddie, istintivamente, portò la mano dove aveva
nascosto la pistola,
ma l’altro lo incenerì con lo sguardo. Prima di
intervenire voleva capire cosa
stava succedendo.
“Mh… e dove
sarebbe questo… ufficio apposito?”
domandò
Peter, controllando istintivamente ogni angolo.
“Il signor Segretario ha
fatto allestire il vecchio ufficio
del dottor Bell, nel World Trade Center.” rispose Lincoln,
facendo loro strada
verso la nave che li avrebbe portati in città.
“Vi dispiace se la mia
scorta aspetta qui sull’isola?”
chiese Bishop, bloccando Eddie prima che potesse salire sulla barca.
“Ma
signore…” tentò di protestare
l’altro.
Peter lo prese per un braccio e lo
trascinò, allontanandosi
di qualche passo dal gruppo.
“Edward, ho un brutto
presentimento.” Sussurrò, in modo che
potesse farsi sentire solo da lui, guardandolo negli occhi
“Torna di là e resta
con Olivia ed Elizabeth. Ho l’impressione che non ce la
raccontino giusta.”
Eddie lo fissò per qualche
secondo, in silenzio. In quel
momento gli sembrava di vedere il Direttore Bishop, ciò che
Peter sarebbe
diventato in futuro. Questo bastò per convincerlo, quindi
annuì e rientrò
nell’edificio, mentre Peter seguiva il trio sulla barca.
Peter venne accompagnato alle Torri
Gemelle.
L’incontro con il
Segretario Bishop durò circa un paio
d’ore, durante le quali Walternativo visionò tutti
gli incartamenti,
richiedendo delucidazioni su alcune parti o possibili modifiche su
altre. Peter
si attenne al suo ruolo di intermediario, restando distaccato per tutto
il
tempo e lanciando qualche occhiata di sfuggita verso la Statua della
Libertà.
Fremeva per tornare a casa, ma non poteva muoversi di lì
finchè il suo padre
naturale non avesse finito di visionare tutte le carte.
Quando, finalmente,
l’incontro fu terminato, Peter venne di
nuovo scortato a Liberty Island.
Appena arrivati sull’isola,
si accorsero tutti che qualcosa
non andava. C’era troppo silenzio.
Lincoln, Charlie e l’agente
Dunham impugnarono le pistole,
con i sensi all’erta.
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Capitolo 7 *** 6 ***
“Dove sono finiti
tutti?” chiese Lincoln, avanzando
lentamente, con la pistola in mano, verso la stanza comunicante con
l’altro
universo.
“Non lo so, ma sento uno
strano odore…” commentò Charlie,
restando sulla retroguardia.
Peter annusò
l’aria. In effetti c’era uno strano odore.
Qualche strana sostanza chimica era stata cosparsa nell’aria,
non riusciva a
capire che tipo di sostanza fosse, anche perché ormai si
stava dileguando ed
entro poco non ce ne sarebbe stata più traccia.
Entrati nella stanza, restarono
impietriti. Tutte le persone
presenti erano a terra, esanimi. Peter scattò, appena
riconobbe una di quelle
persone: Eddie.
L’uomo era a terra, privo
di sensi, nei pressi del cancello
interdimensionale, e aveva una ferita sanguinante al lato della fronte.
Peter corse e si
inginocchiò accanto a lui. Gli posò due
dita sul collo; il battito c’era ancora, era ancora vivo.
Cercò di farlo
riprendere, tirandogli dei leggeri schiaffi sulle guance.
“Edward! Su, apri gli
occhi, ragazzo!” lo chiamò.
L’uomo aprì
lentamente gli occhi e lo fissò, ancora in stato
confusionale.
“Capo…”
sussurrò, cercando di tirarsi su, ma una fitta alla
testa lo fece sussultare e dovette rimettersi disteso.
“Stai giù. Cosa
è successo?” chiese Bishop, guardandosi
intorno e raccogliendo l’arma di Eddie, che era per terra,
accanto a lui.
“Credo ci abbiano
attaccato, signore… stavo per passare il
ponte quando ho sentito uno strano odore… tutti sono caduti
a terra. Credo sia
sonnifero, o roba del genere… mi sono sentito stordito, ma
non sono svenuto
come gli altri… così ho preso la
pistola… erano tanti… armati… volto
coperto…”
cercò di spiegare, raccogliendo le idee.
Peter ascoltò
attentamente, poi guardò gli altri tre.
“Devo passare
dall’altra parte! Subito!” ordinò,
tirando su
Eddie e cercando di tenerlo in piedi.
“Veniamo con te.”
disse l’agente Lee, guardando gli altri
due.
Peter fissò
l’uomo. Fremeva per tornare a casa, era
preoccupato per Elizabeth. Aveva paura che le fosse successo proprio
quello che
temeva. Guardò anche gli altri due, l’agente
Charlie Francis e l’altra Olivia,
la madre di suo figlio. Tra loro non correva buon sangue, ma se quelle
persone
avevano avuto il coraggio di attaccare direttamente lì
doveva mettere da parte
i passati rancori e accettare il loro aiuto.
“D’accordo,
andiamo!” disse, aiutando Eddie ad avvicinarsi
al cancello, mentre Charlie attivava i comandi d’apertura.
Lincoln lo aiutò a tenere
in piedi il giovane, in modo da
avere entrambi una mano libera per poter tenere saldamente
un’arma e non essere
colti di sorpresa in caso di attacco, oltre il confine.
Il secondo cancello si
aprì. La scena che videro era molto
simile a quella dall’altra parte: gente a terra, priva di
sensi, e uno strano
odore chimico nell’aria.
Peter lasciò andare Eddie
e si guardò attorno, in cerca di
Olivia e Elizabeth.
Vide Olivia poco lontano da loro, per
terra. Corse subito da
lei e la tirò su.
“Olive…”
la chiamò, cercando di svegliarla.
Eddie si era un po’
ripreso. Restando appoggiato a Lincoln
si guardò attorno.
“Dov’è
Liz?” chiese, allarmato.
Peter attese che Olivia aprisse gli
occhi, prima di tornare
a guardarsi intorno, in cerca della figlia.
Improvvisamente divenne livido di
rabbia: quello che temeva
si era avverato. Sua figlia era stata rapita.
Tornò a concentrarsi sulla
compagna.
“Olive, ho bisogno di
sapere cosa è successo.” chiese,
calmo, tenendola stretta mentre la aiutava ad alzarsi.
“Non lo so… il
cancello si è aperto ed è uscito del
fumo…
poi è diventato tutto scuro…”
sussurrò la donna, confusa.
Intanto gli altri si erano guardati
intorno in cerca di
ulteriori indizi. La rossa si avvicinò, tenendo una specie
di cilindro
metallico su un fazzoletto di carta, per non compromettere la prova.
“Credo di aver trovato la
fonte del fumo.” disse, passando
il cilindro a Peter.
L’uomo lo
afferrò dal fazzoletto e annusò
l’interno; c’era
lo stesso odore che aveva sentito nell’aria.
“Lo porto a Walter per
farlo analizzare. Forse riusciamo a
scoprire qualcosa.”
Si alzò in piedi, aiutando
anche Olivia, e si diresse verso
l’uscita.
“Signore…”
lo fermò Eddie “Dobbiamo trovare
Elizabeth…”
“Lo so, Big
Eddie.” sospirò “Ma non possiamo andare
alla
cieca, abbiamo bisogno di una direzione verso cui orientarci, e questo
contenitore potrebbe darcela.”
“Ma…”
cercò ancora di obiettare il giovane soldato.
Peter lo guardò negli
occhi, con aria di comando.
“Senti, agente Pawn! So
cosa stai provando, credimi! Si
tratta di mia figlia, voglio trovarla anche io il più presto
possibile, ma come
ho già detto, non possiamo agire alla cieca!”
infine si rivolse ai tre agenti
dell’altra dimensione “Voi tre, seguiteci. E tu,
agente Dunham, cerca di non
starmi troppo vicino.”
Nessuno parlò e tutti
seguirono Bishop all’esterno.
Intanto, da qualche altra parte.
Elizabeth si svegliò
lentamente. Era stordita e sentiva un
forte mal di testa.
Riusciva a malapena a muoversi e la
vista era annebbiata.
Percepiva dei movimenti attorno a lei ma non riusciva a mettere a fuoco
alcuna
immagine.
“Dove sono?”
sussurrò, voltandosi verso un’ombra che vide
avvicinarsi.
Nessuno rispose.
Quando, finalmente, la vista si
schiarì, si trovò circondata
da persone vestite con tute verdi e cuffiette da ospedale, con delle
mascherine
sul viso.
Presa da un improvviso attacco di
panico, dettato più dagli
ormoni della gravidanza che da altro, la giovane donna urlò.
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Capitolo 8 *** 7 ***
Il viaggio verso Boston fu
relativamente breve e
particolarmente silenzioso.
Quando arrivarono al laboratorio,
Peter si fermò davanti
alla porta e si rivolse ai tre agenti dell’altra Divisione
Fringe.
“Voi tre aspettate
qui.” ordinò. Poi guardò Olivia e Eddie
e
entrò nel laboratorio.
L’uomo si
avvicinò al padre, intento a mungere Gene e,
poggiandogli una mano sulla spalla, mantenendo un tono calmo,
attirò la sua
attenzione.
“Walter, abbiamo bisogno di
te.”
Il vecchio scienziato alzò
gli occhi, poi si girò verso gli
altri due.
“Dov’è
Elizabeth?” chiese, alzandosi e mettendo via le sue
cose.
“E’ stata rapita.
Dobbiamo trovarla.” rispose Eddie,
restando in piedi, fermo, apparentemente calmo, ma il suo tono di voce
tradiva
la sua forte preoccupazione.
“La troveremo,
vedrai.” lo rassicurò Olivia.
Intanto Peter aveva mostrato il
cilindro a Walter, il quale
si era subito messo al lavoro per analizzare i residui chimici e altre
cose che
conosceva solo lui.
“Asterisco! Ho bisogno che
mi prepari il gascromatografo!” ordinò,
rivolto all’agente Farnsworth, che subito corse ad accendere
l’ingombrante
apparecchio posto in un angolo del laboratorio.
Peter li guardò lavorare,
poi tornò da Olivia e la guardò.
“Spero che Walter trovi
qualche indizio…” sospirò,
preoccupato.
“Una cosa la sappiamo,
però: vengono dall’altro universo.”
L’uomo annuì.
“Sì. E ho paura
di sapere chi possa essere, ma senza prove
non possiamo fare nulla.”
“Ma se è
lui…” obiettò Eddie “Come ha
fatto a scoprire da
dove veniamo?”
Bishop ci pensò su un
momento, poi lo fissò negli occhi.
“Voi siete qui da un mese.
Vi ha visto altre volte, quando è
venuto qui per le trattative di pace. Deve aver notato la somiglianza
tra
Elizabeth e noi. E potrebbe aver sentito qualcuna delle nostre
conversazioni.”
Eddie imprecò.
“Dannazione! Ci avevi
avvertito di non interferire troppo
con la linea temporale!”
“Credo che ormai il danno
sia stato fatto, Big Eddie. Il
futuro in cui tornerete non sarà lo stesso da cui siete
partiti.” spiegò Peter
“Lo scorrere del tempo è una cosa molto fragile e
precaria. Se qualcosa turba
l’equilibrio, cambia tutta la linea che segue quel
punto.”
“Ma
noi…” cercò di obiettare il soldato. Si
sentiva in
colpa.
“Voi non potevate fare
altrimenti. Sicuramente quando vi ho
mandato indietro sapevo che avrei cambiato qualcosa. Era logico che
succedesse,
aggiungendo un’altra variabile imprevista.
L’avvertimento era rivolto più che
altro al fatto che non dovevate farvi notare troppo per non cambiare
troppo la
linea temporale.”
Eddie non disse nulla. Aveva
l’aria preoccupata, ma sapeva
di non poter far nulla finchè il dottor Bishop non avesse
trovato qualche
indizio su quel cilindro, quindi si andò a sedere in un
angolo, in silenzio,
senza disturbare nessuno.
Nel frattempo, fuori dal laboratorio,
gli altri tre restavano
in attesa.
L’agente Dunham restava
seduta in silenzio, mentre gli altri
due si guardavano intorno incuriositi.
“Così questo
posto sarebbe la loro Divisione Fringe?”
commentò Charlie, guardando attraverso la finestrella sulla
porta che dava al
laboratorio.
“Loro non sono organizzati
come da noi. Non hanno tutti i
nostri problemi.” rispose la rossa, senza alzare lo sguardo.
“In effetti sembrano
più sereni. Ora capisco perché il
figlio del Segretario ha scelto questo lato.” disse Lincoln,
osservando un
poster su una bacheca lì vicino, rappresentante varie
città del mondo.
“Non ha scelto di stare qui
per come si sta in questo mondo,
ma per chi c’è in questo mondo.”
commentò ancora la rossa.
I due uomini si voltarono verso di
lei, con aria
interrogativa. Lei li guardò, ma distolse subito lo sguardo.
“Lui è tornato
qui per lei, non per questo mondo, né per il
doppio del Segretario.”
Calò il silenzio, poi la
porta si aprì e Peter apparve.
“Entrate.”
ordinò.
I tre lo seguirono. Peter li
portò nell’ufficio e li fece
sedere davanti alla scrivania.
Peter restò in piedi
dietro la scrivania, in attesa che
Eddie li raggiungesse. Quando anche il giovane fu entrato, finalmente
parlò.
“Walter sta analizzando il
cilindro che abbiamo trovato.”
cominciò “Ma non è per questo che vi ho
fatti venire qui.”
“Dicci tutto allora,
Bishop.” lo incoraggiò Lincoln.
Peter scambiò uno sguardo
con Eddie, poi continuò.
“La donna che è
stata rapita non è una persona qualunque. Si
chiama Elizabeth Bishop.”
“E’ una tua
parente?” domandò Charlie, facendo una smorfia,
poi prese la siringa e si iniettò la sostanza che gli
permetteva di
sopravvivere dall’infezione da aracnidi.
Peter fece un respiro profondo, prima
di rispondere.
“Si tratta di mia
figlia.” alzò una mano per fermare ogni
obiezione e continuò “Nascerà tra circa
un anno. È venuta dal futuro per
salvare una persona. Non poteva sapere cosa sarebbe successo.”
“Ed ora qualcuno del vostro
mondo l’ha rapita.” continuò
Eddie, avvicinandosi “Voi tre dovete aiutarci a trovarla.
Elizabeth porta in
grembo mio figlio.”
“Per quanto possa esserci
del rancore tra me e uno di voi…”
riprese Peter, fissando l’agente Dunham “so leggere
le persone, e so che voi
tre non c’entrate nulla con tutta questa storia.”
“Cosa vuoi che
facciamo?” chiese Lincoln, ormai convinto.
“Appena mio padre
avrà finito con l’analisi, ci aiuterete a
preparare un piano per riportare mia figlia da questa parte.”
disse Bishop,
autoritario.
Lincoln e Charlie si voltarono verso
la rossa.
“Tu che dici,
Livvy?” chiese Lincoln “Possiamo fidarci?”
La donna restò in
silenzio, fissando Peter, poi si decise a
rispondere.
“Se succedesse a Henry
farei lo stesso.”
Peter sospirò sollevato.
“D’accordo
allora. Finchè non avremo un piano sarete nostri
ospiti. Agente Dunham, con mio padre valgono i soliti avvertimenti: non
ti ci
avvicinare e non toccare le sue cose.”
Detto questo si alzò e
tornò nel laboratorio, per aiutare
Walter.
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Capitolo 9 *** 8 ***
Marzo 2038.
Era freddo, quella sera. Troppo
freddo per essere metà
marzo.
Il furgone della Divisione Fringe
sfrecciava a tutta
velocità lungo le strade di New York. Un wormhole si era
aperto nella zona sud
di Manhattan, nei pressi della Freedom Tower.
Elizabeth stava controllando sul suo
palmare il grado di
instabilità del wormhole, in silenzio. Il maggiore Pawn
stringeva la pistola,
guardando fuori dalla finestrella oscurata del furgone.
La giovane donna controllò
nuovamente i valori e poi
imprecò. Il soldato si voltò verso di lei,
interrogativo.
“Non possono essere
così alti… è
impossibile…” disse tra sé
Elizabeth.
“Di che parla,
signora?” chiese Eddie, preoccupato.
“Secondo i miei calcoli il
wormhole che stiamo andando a
chiudere si allargherà ancora… ci
vorrà molta più ambra grigia per
sigillarlo…
e non riesco a capire quanto durerà…”
spiegò, quasi senza prendere fiato.
Edward stava per replicare, quando
vennero investiti da
un’onda energetica di proporzioni pazzesche. Il furgone
volò in aria come fosse
stato una piuma, poi ricadde, ribaltandosi più volte.
Elizabeth perse i sensi. Fece appena
ad accorgersi che Eddie
l’aveva presa in braccio ed era saltato fuori poco prima che
il mezzo
esplodesse.
Quando si riprese era tutto buio.
Vedeva intorno qualche
sprazzo di rosso, ma era tutto annebbiato. Inoltre sentiva un peso
sopra di
lei, qualcosa di pesante, molto pesante.
Spostò lentamente la mano
e la poggiò sulla cosa che le
stava addosso. Un’uniforme; spostò la mano
più in alto e sentì la pelle calda
del collo di un uomo, poi i capelli, e qualcosa che la fece allarmare:
la
consistenza umida e viscosa del sangue che usciva da una ferita sulla
testa
dell’uomo che le stava addosso.
La giovane cercò di
mettere a fuoco il viso dell’uomo. Si
trattava del maggiore Edward Pawn, della Divisione Fringe, la sua
guardia del
corpo.
Elizabeth andò in panico e
gli cercò il battito. Era debole
ma c’era ancora. Con tutta la forza che aveva lo
sollevò e si tirò su a sedere,
tenendolo tra le braccia e fissando il panorama apocalittico che li
circondava.
Il wormhole aveva ormai occupato il
monumento ai caduti
dell’11 settembre, e continuava ad espandersi.
“Tenente… apra
gli occhi… dobbiamo scappare…” lo
chiamò,
cercando di farlo riprendere.
Il giovane non dava segni di vita.
Elizabeth lo tirò su a
fatica.
In quel momento ci fu
un’altra esplosione. Eddie finalmente
aprì gli occhi e fissò la donna, che gli
tamponava la ferita alla testa meglio
che poteva.
Nessuno dei due parlò.
Fissarono entrambi il wormhole che si
espandeva.
Stavano per morire. Questa volta non
ce l’avrebbero fatta.
Eddie si girò a fatica verso la donna e le prese il viso tra
le mani.
Si guardarono a lungo negli occhi. Il
soldato si avvicinò
lentamente, prendendo coraggio e la baciò, come fosse stata
l’ultima cosa che
faceva in vita, proprio nel momento in cui venivano fatte esplodere le
cariche
di ambra grigia e il wormhole veniva chiuso, e la squadra di recupero
si
affrettava a portare in salvo i superstiti.
Elizabeth si svegliò di
colpo.
Era buio. Non sapeva dove si trovava,
né da quanto tempo si
trovava lì dentro.
Il bambino tirava calci e la branda
dove dormiva era
particolarmente scomoda.
Si tirò su e si
guardò intorno. Cercò di ricordare qualcosa,
ma l’unica cosa che le venne in mente era il sogno che aveva
appena fatto.
Quando la mente fu un po’
meno annebbiata dal sonno,
finalmente si ricordò. Aveva passato un sacco di tempo
chiusa lì dentro, al
buio. Veniva portata fuori solo per quelli che sembravano degli esami:
le
attaccavano degli elettrodi alla testa, le prelevavano del sangue e
cercavano
di indurle delle reazioni.
Stava perdendo la cognizione del
tempo. Doveva trovare il
modo di uscire di lì.
Si guardò intorno e si
alzò in piedi, tenendosi il pancione.
In quel momento la serratura
scattò e la porta si aprì.
Elizabeth travolse la persona che
stava entrando e corse
fuori più veloce che poteva, schivando e travolgendo
chiunque trovava sul suo
cammino.
Quando si trovò
all’aperto si guardò intorno per capire dove
fosse.
Vide le Torri Gemelle. Quella era New
York del mondo dove
era nato suo fratello. Decise di correre ancora, di allontanarsi
dall’edificio
dove era stata rinchiusa.
Si addentrò nel dedalo di
vie affollate della città. Quando
fu sicura di essere abbastanza lontana, si fermò e si
guardò intorno. Cosa
doveva fare ora?
Vide un telefono pubblico e si
avvicinò. Non sapeva ancora
cosa fare; fissò lo schermo tattile delle Pagine Bianche e
digitò il primo nome
che le era venuto in mente. Non sapeva perché, ma aveva
l’impressione di
potersi fidare di quella persona.
Lesse l’indirizzo, poi si
guardò intorno. Non era lontano da
dove si trovava.
Decise di incamminarsi a piedi.
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Capitolo 10 *** 9 ***
Elizabeth camminava per le vie di
quella versione cupa di
New York.
Guardava dritto di fronte a lei,
ignorando i passanti e le
fitte che sentiva al basso ventre. Il bambino era agitato, lo sentiva
muoversi
e tirare calci attorno a lui.
Un forte calcio sui reni le fece
mancare il respiro. Si
fermò per prendere fiato, carezzandosi il pancione.
“Tesoro, ti
prego… stai tranquillo… tra poco arriveremo al
sicuro…” sussurrò. Infine si
guardò intorno per orientarsi.
Era arrivata nella zona ricca
dell’isola. Tutt’intorno a lei
c’erano ville circondate da grossi giardini; si
avviò in direzione di quella
più vicina al fiume, nonché la più
lussuosa del quartiere.
Suonò il campanello e
attese.
Dopo cinque minuti la porta si
aprì. Una donna poco più
giovane di Walter la fissò interrogativa. Si trattava di
Elizabeth Bishop, la
moglie del Segretario della Difesa, madre naturale di Peter Bishop, sua
nonna.
“Signora Bishop…
suo marito è in casa?” chiese, senza darle
il tempo di fare domande. Doveva assicurarsi che il Segretario non ci
fosse,
prima di potersi affidare a lei.
“No, non
c’è…” rispose
l’anziana donna “Posso chiamarlo, se
vuoi.”
“No, la prego…
ho bisogno di parlare con lei. Ho bisogno del
suo aiuto…” la fermò, quasi
implorandola.
La signora Bishop la fissò
per qualche momento,
soffermandosi sul pancione, infine la fece entrare, accompagnandola in
salotto
e facendola accomodare sul divano.
“D’accordo.”
disse, ditubante “Prego, accomodati pure… cosa
posso fare per te?”
La giovane donna restò per
un attimo in silenzio, sorpresa
della gentilezza della nonna, ma si riprese subito.
“Io… devo
assolutamente parlare con mio padre…”
spiegò.
La signora Bishop aggrottò
la fronte turbata. La giovane
notò che stava cercando di capire se la conosceva o meno.
“Non sono sicura di sapere
come poterti aiutare, mia cara.”
si scusò.
La ragazza fece un respiro profondo e
prese una decisione:
doveva dirle la verità.
“Signora, forse non mi
crederà, mio padre è Peter
Bishop…”
Elizabeth spalancò gli
occhi stupita.
“Peter? Mio
figlio?” chiese. Dove voleva andare a parare la
giovane? Si chiese se aveva fatto bene a farla entrare.
Liz notò ancora
l’esitazione della nonna. Scoppiò a
piangere, tutta quella storia le aveva mandato in tilt il suo
autocontrollo,
eredità della famiglia, da parte paterna. Tra i singhiozzi
decise di
raccontarle tutta la storia, senza tralasciare nulla.
Elizabeth la abbracciò.
Tutta quella storia le sembrava
assurda, ma poteva spiegare gli avvistamenti che c’erano
stati nell’ultimo
mese, riguardanti suo figlio Peter.
L’intera Divisione Fringe
era in subbuglio. Il giorno
precedente aveva parlato con l’agente Dunham, che le aveva
detto che era tutto
sotto controllo, ma aveva avuto l’impressione che le stesse
nascondendo
qualcosa: lei sapeva dove era Peter.
“Va bene, credo di sapere
come contattare Peter. Tu stai
calma, però. Non devi agitarti.” la
rassicurò, poi prese il telefono auricolare
e chiamò l’agente Dunham.
La giovane attese per qualche minuto,
cercando di ascoltare
la conversazione telefonica della nonna; ma non riusciva a
concentrarsi: il
bambino si agitava troppo, e le fitte erano particolarmente forti.
La nonna tornò con un suo
vecchio cappotto lungo e glielo
mise addosso.
“Stanno arrivando, cara.
Metti questo addosso. Andrà tutto
bene.”
Liz la fissò e le fece un
sorriso di ringraziamento,
cercando di respirare regolarmente.
Attesero mezz’ora, prima di
sentire un’auto che si fermava
davanti al vialetto di casa. La signora Bishop guardò dalla
finestra, poi aprì
la porta. La rossa entrò e la salutò, poi
fissò la giovane, in silenzio.
Elizabeth restò a
distanza. Non sapeva se fidarsi o meno.
“Sei Elizabeth,
vero?” chiese la rossa “Vieni, tuo padre ti
sta aspettando.”
Si guardarono per un istante,
scrutandosi a vicenda, infine
la giovane la seguì fuori.
Il SUV della donna era parcheggiato
nel vialetto, con la
porta del guidatore e la porta del passeggero aperta, e si vedeva, nel
sedile
posteriore, il seggiolino con il piccolo Henry che dormiva beato.
La rossa la fece sistemare dietro,
accanto al figlio. Liz lo
fissò per qualche secondo; suo fratello dormiva beato,
sorridendo nel sonno.
Era identico a Peter, e non troppo diverso da come sarebbe diventato da
adulto.
Intenta ad osservare il fratello, non
si accorse che le
porte si erano aperte, ed erano entrate delle persone. Se ne accorse
solo
quando una di queste persone le abbracciò e la
baciò con passione.
Elizabeth lo allontanò di
colpo, trattenendosi da tirare un
ceffone al malcapitato, mise a fuoco il volto e lo riconobbe: Eddie.
Questa volta fu lei a saltargli al
collo e baciarlo, ma
Peter lo interruppe.
“Eddie, vai! Dobbiamo fare
in fretta!” lo rimproverò.
L’uomo scattò
sull’attenti e corse verso un’altra macchina,
poco lontano, fuori dei cancelli della villa.
Peter salì sul sedile
anteriore, accanto alla rossa, che si
mise alla guida e partì non appena anche Olivia fosse salita
dietro, accanto a
Henry e Elizabeth.
Partirono a tutta velocità
e sfrecciarono per qualche
chilometro, in direzione dell’imbarco per Liberty Island,
quando, in un grosso
incrocio, l’auto dove viaggiava Eddie, di fronte a loro,
venne quasi travolta
da un Tir e dovette frenare di colpo.
La rossa frenò e,
guardandosi intorno, imprecò, proprio nel
momento in cui una pioggia di proiettili li investì,
mancandoli per miracolo.
L’agente Dunham fece immediatamente retromarcia e
svoltò verso un vicolo
riparato, spense il motore e prese la pistola.
Si voltò di dietro e
fissò il figlio, che si era
improvvisamente svegliato e si guardava intorno, spaesato, infine si
rivolse a
Peter.
“State qui, al
riparo.” poi uscì di corsa, raggiungendo
Eddie e i due colleghi, che rispondevano al fuoco.
Peter li fissò, e prese
una decisione.
“Olive, prendi il bambino e
aiuta Elizabeth a scendere,
troviamo un posto riparato, qui non possiamo stare!”
ordinò.
La bionda fece come le era stato
detto, prese in braccio il
piccolo e accompagnò la figlia in un punto riparato del
vicolo.
Peter le raggiunse subito e le
fissò, preoccupato.
“State bene?”
chiese.
“Sì,
Peter…” rispose la giovane “Anche
se… credo mi si siano
rotte le acque.”
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Capitolo 11 *** 10 ***
Peter la fissò allarmato.
Questa non ci voleva!
Lanciò uno sguardo alla
compagna, poi si tolse il cappotto e
fece sedere la giovane donna per terra.
Un proiettile sibilò
dietro l’angolo. Olivia mise giù il
bambino e prese la pistola, poi si poggiò al muro e rispose
al fuoco, non prima
di aver lanciato uno sguardo eloquente a Peter.
L’uomo annuì e
si rivolse alla figlia.
“Elizabeth, dobbiamo far
nascere il bambino. Fai tutto
quello che ti dico, ok?” la ragazza annuì e
strinse i denti, quindi Peter si
girò verso il bambino. Era terrorizzato, ma come dargli
torto? Sua madre era
scomparsa e l’aveva lasciato lì con degli
estranei, nel bel mezzo di una
sparatoria; sarebbe stato stressante per un adulto, figuriamoci per un
bambino
di appena un anno “Ometto, ho bisogno del tuo
aiuto.”
Quando ottenne l’attenzione
del figlio, si avvicinò e lo
guardò negli occhi. Erano svegli e vispi come i suoi, e lo
fissavano, in attesa
di sapere cosa fare. Il suo sguardo sprizzava intelligenza, cosa che,
probabilmente, aveva ereditato da Peter.
“Mi serve che mi dai la tua
giacca. Hai freddo?” Henry
scosse la testa e si tolse la giacca, consegnandola al padre
“Grazie, ora
stringi forte la mano di questa ragazza. Aiutala a non avere
paura.”
Il bambino eseguì, quindi
Peter tornò a rivolgersi a
Elizabeth, ignorando la confusione intorno a loro. La fece sistemare
meglio e
la coprì con la giacca che gli aveva lasciato Olivia.
“Quando te lo dico io,
spingi!” le ordinò, guardandola negli
occhi. La giovane annuì e strinse i denti, mentre Henry,
oltre a stringerle la
mano, le faceva una leggera carezza sul viso.
Peter le ordinò di
spingere, e lei eseguì. Non sentiva
dolore, ma aveva paura; paura per sé stessa, stesa
lì, a far nascere suo figlio
in un mondo diverso dal suo, in un tempo che non era il suo, paura per
il
bambino, e paura per il compagno, che stava schivando proiettili a
poche decine
di metri da lei.
Olivia rispondeva al fuoco dal suo
angolo riparato, e quando
poteva lanciava uno sguardo verso il compagno, che stava facendo
nascere il
loro futuro nipote. Doveva proteggerli, quindi approfittò di
una tregua
momentanea della sparatoria per raggiungere la sua alter e il resto del
gruppo.
“Tuo figlio e Elizabeth
sono al sicuro, con Peter.” disse,
avvicinandosi alla rossa, poi guardò Eddie. Doveva dirgli
che il bambino stava
nascendo? Forse era meglio di no, non ancora: l’avrebbe messo
in pericolo,
sarebbe potuto uscire inavvertitamente allo scoperto per poter
raggiungere la
compagna. Sperò che il giovane non le chiedesse nulla a
proposito di Elizabeth,
quando Eddie si avvicinò.
“Come sta Liz?”
chiese l’uomo, preoccupato.
Lei fece un respiro profondo e lo
guardò negli occhi, prima
di rispondere.
“Sta bene, ma il bambino
sta per nascere.”
Come aveva previsto, Eddie
scattò e cercò di raggiungere il
nascondiglio della compagna e di Peter.
Intanto Elizabeth era stremata. Peter
le parlava, dandole
istruzioni e cercando di tenerla cosciente.
“Vedo la testa. Ancora un
piccolo sforzo! Ora spingi!” le
ordinò.
Lei eseguì. Peter sorrise,
il bambino era nato, ed ora
piangeva tra le sue braccia.
“E’ un
maschio.” le disse, mettendoglielo in braccio,
proprio nel momento in cui gli spari cessavano.
Elizabeth lo prese subito e lo
esaminò, ignorando il resto.
Il bambino smise immediatamente di piangere e guardò
attentamente la madre,
mentre Peter lo avvolgeva nel cappotto di Henry, che fissava,
incantato, il
futuro nipote.
Quando, finalmente, Peter si rese
conto del silenzio
improvviso, si alzò in piedi e, cautamente, raggiunse
l’angolo dove era sparita
Olivia, la quale lo raggiunse di corsa e lo abbracciò.
“Sto bene,
Olive…” la rassicurò, infine
guardò il resto del
gruppo. Si accorse delle espressioni scure, quindi si rivolse a Olivia
“Che
cosa è successo?”
Olivia non disse nulla, si
limitò a indicare un corpo esanime,
poco lontano da loro. Peter lo riconobbe, quindi tornò dalla
figlia.
“Liz, ce la fai a
camminare?” le chiese. Lei annuì e Peter
la aiutò ad alzarsi “Dobbiamo tornare a casa.
Vieni, saliamo in macchina.” La
aiutò a sedersi e guardò Olivia e la rossa, le
quali lo raggiunsero. L’agente
Dunham prese in braccio il figlio e lo mise sul seggiolone, poi si mise
al
volante e partì, verso l’imbarco per Liberty
Island.
Elizabeth non tolse gli occhi dal
bambino neanche quando si
imbarcarono per l’isola dove c’era il ponte tra gli
universi. Tornò alla realtà
solo quando tutti si raccolsero attorno al passaggio.
Si guardò attorno,
scrutando ogni volto, e andò in panico
quando non ne vide uno.
“Dov’è
Eddie?” chiese, rivolta a Peter.
“Elizabeth, mi
dispiace… non ce l’ha fatta.” rispose
lui,
dopo aver fatto un respiro profondo.
La giovane lo fissò,
shockata, per qualche secondo,
stringendo la sua creatura, il piccolo esserino addormentato tra le sue
braccia.
“Cosa significa che non ce
l’ha fatta?” chiese, finalmente.
“Voleva
raggiungerti.” spiegò Olivia “Gli hanno
sparato alla
schiena mentre correva da te.”
Elizabeth ebbe un mancamento. Non
poteva essere, Edward Pawn
l’aveva abbandonata. Come avrebbe fatto ora?
All’improvviso tutto divenne
scuro.
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Capitolo 12 *** 11 ***
Confusione. Sconforto. Disperazione.
La mente di Elizabeth era annebbiata.
Non riusciva a pensare
lucidamente.
Dove si trovava ora? In
realtà non le importava molto. La
mente vagava, riportando a galla ricordi confusi.
Doveva rimettere ordine nella mente.
Per qualche strano
motivo aveva perso contatto con la realtà che la circondava.
Doveva ritrovare
la strada, svegliarsi. Cercò un appiglio.
Lo trovò in un ricordo che
le passò nella mente in quel
momento. Cercò di focalizzarsi su questo, non doveva farlo
scappare.
Era nel bagno di casa sua. Chiusa
dentro da chissà quanto
tempo, era seduta sul bordo della vasca da bagno e fissava un piccolo
oggetto
cilindrico, che teneva tra le mani.
Era shockata. Il colore del
cilindretto confermava quello
che il suo corpo le stava dicendo da due settimane. Blu. Per un momento
aveva
sperato sul rosso, sperava di sbagliarsi, aveva pregato disperatamente
che il
cilindretto diventasse rosso. Invece era diventato blu.
Era incinta.
“Dannazione!”
imprecò tra sè “E ora che
faccio?”
Non era pronta a diventare madre. Con
quello che stava
succedendo in giro per il mondo, un bambino era l’ultima cosa
a cui lei e Eddie
avevano pensato.
Lei era una consulente civile della
Divisione Fringe, e lui
era un operativo. Rischiavano la vita ogni giorno, non potevano
permettersi di
mettere al mondo un bambino che, con tutta probabilità,
poteva restare orfano
da un momento all’altro.
Decise di uscire dal bagno.
Andò spedita in camera da letto;
era mattina presto, Eddie dormiva ancora e, considerando la giornata
pesante
che aveva avuto il giorno prima, non lo avrebbero svegliato neanche le
cannonate.
Infatti, appena entrò
nella stanza semi buia, sentì Edward
Pawn, il suo compagno, russare sonoramente, e lo vide steso sul letto,
a pancia
in giù, che cercava di occupare più spazio
possibile, approfittando del fatto
che Elizabeth si era alzata.
Si sedette accanto a lui e lo
guardò, sorridendo. Lo amava
più di ogni altra cosa al mondo. Sperava che un giorno si
sarebbero potuti
sposare… anche per fare contento suo padre, che spingeva in
quella direzione da
quando aveva saputo che stavano insieme.
Suo padre, Peter Bishop.
L’Eroe dei Due Mondi.
Elizabeth era cresciuta
all’ombra delle sue avventure, era
l’eroe della sua infanzia. Quando era piccola, lui era un
agente operativo,
come lo era sua madre Olivia, e crescendo lo aveva visto fare carriera,
e
riuscire ad arrivare a capo dell’agenzia federale
più importante degli Stati
Uniti, la Divisione Fringe.
Era un uomo intelligente, un ottimo
stratega e aveva il giusto
carattere per comandare un esercito. Elizabeth non ricordava di averlo
mai
visto piegarsi o vacillare. Aveva sempre la risposta giusta a tutto.
Aveva ricoperto la carica di
Direttore fino all’età della
pensione, per poi ritirarsi a vita privata e dedicarsi al vecchio
laboratorio
del padre. Aveva continuato ad essere un genio in molti campi, ma
invecchiando
si era ringogl… rimbambito un po’. Secondo Olivia,
questa doveva essere una
caratteristica comune ai maschi della famiglia Bishop, in quanto anche
il nonno
di Elizabeth, Walter, era un genio con qualche rotella fuori posto.
Sorrise di nuovo, pensando a
ciò che era successo qualche
giorno prima, quando suo padre aveva discusso con suo fratello Henry
sull’utilità di avere una mucca nel laboratorio.
Elizabeth e Eddie avevano
assistito al battibecco divertiti, ignari del cambiamento che stava
avvenendo
nel corpo della giovane.
Eddie si svegliò,
aprì gli occhi e fissò la compagna, ancora
mezzo addormentato.
“Ciao…”
sussurrò, tirandosi su e baciando dolcemente
Elizabeth, la quale ricambiò sorridendo.
“Buongiorno, Big Eddie. Hai
dormito bene?”
“Da
favola…” rispose lui, cercando i suoi vestiti per
terra.
La giovane donna lo guardò per qualche secondo, fece un
respiro profondo e
parlò.
“Eddie, sono
incinta.”
Eddie lasciò andare la
maglia che stava per infilarsi e si
girò verso Elizabeth, incredulo.
“C… come hai
detto?”
“Sono incinta.”
ripeté lei.
“I…
incinta?” chiese ancora il giovane uomo
“Si… significa
che aspetti un bambino?”
“Certo, Capitan Ovvio! Non
aspetto mica un cane!” esclamò
sarcastica, con una punta di rabbia.
Eddie stava per abbracciarla,
sorridendo, ma prima che
potesse farlo si ritrovò a terra, senza fiato. Evidentemente
Elizabeth non
aveva gradito la cosa: gli aveva assestato una ginocchiata sui gioielli
ed era
uscita a sbollire la rabbia.
Da quel giorno era passato tanto
tempo, mesi, ormai.
Elizabeth si riprese lentamente,
tornando alla realtà.
Si rese conto di essere stesa su una
barella, avvolta in una
coperta calda.
Dove si trovava esattamente?
Un muggito le diede la risposta che
aspettava: il
laboratorio di suo nonno.
Aprì gli occhi e si
guardò attorno. Vide un piccolo gruppo
di persone raccolto attorno a un tavolo. Cercò di metterli a
fuoco.
Sentì il pianto di un
neonato. Proveniva dal centro del
gruppo. Era suo figlio, lo aveva capito subito. Quelle persone si
stavano
prendendo cura della creatura che aveva messo al mondo poche ore prima.
“Che cosa è
successo?” sussurrò, attirando
l’attenzione dei
presenti.
Peter si girò, guardandola
preoccupato.
“Elizabeth… come
ti senti?” le chiese.
“Stanca… cosa
è successo? Dov’è mio figlio? Sta
bene?”
L’uomo guardò
Walter, che annuì, passandogli il fagottino,
che si agitava disperato.
Bishop si avvicinò alla
futura figlia e le mise in braccio
il piccolo, che si calmò un po’, appena
percepì il battito del cuore di
Elizabeth.
“Sta bene.” la
rassicurò “Gli abbiamo somministrato la
cura.”
“E… e
Eddie?” chiese, pur sapendo già la risposta. Peter
sospirò.
“Mi dispiace,
Elizabeth…”
La giovane non disse nulla.
Ricacciò indietro le lacrime e
si fece coraggio: avrebbe dovuto continuare senza il suo amato Edward,
il padre
di suo figlio. Peter le fece una carezza affettuosa, poi le mise in
mano un
foglio piegato.
“Che
cos’è?” chiese la giovane, fissandolo
confusa.
“La formula della
cura.” riferì Walter “Consegnala a tuo
padre appena arrivi nel tuo tempo.”
Elizabeth annuì e
tornò a fissare Peter.
“Saprò cosa
farne. Ora è tempo che tu vada.” la
rassicurò, poi
la aiutò ad alzarsi “Walter ti guiderà.
Mi troverai al laboratorio al tuo
arrivo.”
“Peter…
papà… scusa se ti ho fatto arrabbiare.”
L’uomo la zittì,
dolcemente, poi le diede un bacio sulla
fronte, prima di allontanarsi e lasciare il posto a Walter, che diede
istruzioni alla giovane.
Elizabeth si rilassò,
chiuse gli occhi, stringendo il suo
bambino e, ad un certo punto, scomparve.
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Capitolo 13 *** 12 ***
Elizabeth chiuse gli occhi e
cercò di rilassarsi, come le
stava dicendo Walter.
Si concentrò sul respiro
del suo piccolo, che dormiva
tranquillo, in braccio a lei. Un brivido le attraversò il
corpo; quando passò
ci fu un improvviso silenzio, che però durò poco.
Una leggera musica invase
improvvisamente l’aria. Elizabeth
la riconobbe: Stravinskij, The Firebird. Era la sinfonia preferita dal
padre;
da quando era andato in pensione l’ascoltava spesso.
La giovane donna aprì gli
occhi e si guardò intorno. Si trovava
ancora nel laboratorio, ma qualcosa era cambiato. La strumentazione non
era la
stessa di quando aveva chiuso gli occhi, era diversa,
più… moderna.
Si aggirò per il locale,
guardandosi attorno.
“C’è
nessuno?” chiamò.
Improvvisamente sentì dei
rumori dall’ufficio. La porta si
aprì e ne uscirono due uomini, un uomo sui 32 o 33 anni e un
anziano, che aveva
circa sessant’anni.
“Elizabeth! Sapevo che ce
l’avresti fatta!” disse l’anziano,
abbracciandola e facendola sedere sulla sedia più vicina.
“Papà…”
cominciò la ragazza “Eddie non ce l’ha
fatta…”
“Lo so, tesoro. Lo sapevo
fin dall’inizio.” rispose il
vecchio Peter, carezzandole i capelli.
“T… tu lo
sapevi?” balbettò Elizabeth, sull’orlo
delle
lacrime “Tu sapevi tutto e non hai fatto nulla?”
“Liz…
papà non poteva fare molto. Se impediva a Eddie di
andare sarebbe cambiato tutto, forse io non sarei neanche qui, ma
nell’altro
universo…” spiegò il giovane uomo,
Henry, cercando di calmare la sorella.
“Ma Eddie non
c’è più… cosa
farò adesso?”
“Puoi andare avanti, per il
bambino.” la incoraggiò Henry,
facendo una carezza al piccolo, che si era svegliato e si guardava
intorno.
Elizabeth fissò la sua
creatura a lungo. Lui era l’unico
ricordo che le era rimasto di Eddie, il loro figlio. Lo
esaminò bene e si
accorse che somigliava incredibilmente al padre. Sorrise, infine
tornò a
guardare Peter e Henry.
“Il mio piccolo Eddie
Peter…” sospirò, infine si rivolse
nuovamente a Peter “Papà… ho una cosa
per te.” lo informò, frugandosi nelle
tasche e consegnandogli il foglio con la formula della cura che le era
stato
consegnato prima della partenza.
Peter prese il foglio e lo
aprì, infine, tutto eccitato, si
rivolse a Henry.
“Fantastico! Henry, prepara
tutto e chiama tua sorella! E
non dimenticarti le mentine!”
“Sorella?” chiese
la giovane, confusa. Non si ricordava di
avere altre sorelle.
“Ah
sì… tu non puoi saperlo. Questo futuro
è diverso da
quello che hai lasciato, non molto ma lo è. Mamma si
è sposata, dopo che sei
andata via. Rachel è nata cinque anni dopo… e
c’è mancato poco che papà
rifacesse lo stesso lavoro che ha fatto con te.” disse Henry,
seguendo il padre
con gli occhi.
“Non
capisco…” disse ancora Elizabeth, confusa.
“Semplice, io non sono
cresciuto nell’altro universo.”
spiegò “E mamma e zio Lincoln si sono trasferiti
qui.”
“Continuo a non
capire…” confessò la giovane.
“Papà, glielo
spieghi tu?” chiamò, rivolto a Peter.
Il vecchio si avvicinò ai
figli, mangiando una caramella
gommosa.
“Sì…
è successo tutto dopo che te ne sei
andata…”
Trenta anni prima.
Il gruppo fissò per
qualche secondo il punto dove poco prima
c’era la giovane donna. Ad un certo punto Peter
guardò gli altri.
“Devo andare a Liberty
Island. Olivia, Lincoln, vi conviene
venire con me se volete tornare nel vostro mondo.”
“Cosa vuoi fare?”
chiese la bionda, avvicinandosi a lui.
“Voglio chiudere il
passaggio.”
Lincoln e la rossa si scambiarono uno
sguardo, infine
quest’ultima parlò.
“Se possibile, noi vorremmo
restare qui. Questo mondo è più
sicuro, Henry starà meglio qui che dall’altra
parte.”
Peter li fissò, infine
annuì.
“Va bene.
Andiamo!” esclamò, infilandosi il cappotto ed
uscendo dal laboratorio, seguito dalla compagna e dai due agenti
dell’altro
universo.
Qualche ora dopo erano a Liberty
Island.
Peter fissava la macchina, avrebbe
dovuto entrarci di nuovo,
non aveva altra scelta, se voleva dare un futuro ai suoi figli.
Fece un passo avanti. Gli
tornò alla mente l’ultimo periodo,
Elizabeth ed Eddie. Pensò alla giovane donna, che ancora non
era nata. Aveva
corso un grosso pericolo a tornare indietro, e il suo compagno aveva
perso la
vita. Peter aveva fatto la stessa cosa la prima volta che era entrato
nella
macchina, e stava per farlo ancora.
Salì gli scalini e si
girò verso il gruppo. Guardò la sua
Olive, che il giorno precedente gli aveva detto di essere incinta.
Elizabeth
sarebbe nata tra pochi mesi; infine guardò Henry, in braccio
alla rossa. Suo
figlio, un innocente. Promise a sé stesso che sarebbe sempre
stato presente per
lui, nonostante i dissapori con la madre.
Infilò i piedi negli
alloggiamenti, poi fu il turno delle
braccia.
Per
Elizabeth. Per
Henry. Per il futuro del mondo.
Contatto!
FINE
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