L'amore è femmina.

di Angel TR
(/viewuser.php?uid=53227)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prompt : Pioggia ***
Capitolo 2: *** Prompt: Speranza/ Chiamami ***
Capitolo 3: *** Prompt: Dimmi quanto valgo ***
Capitolo 4: *** Prompt: Ci sarò sempre per te/ Padri ***
Capitolo 5: *** Prompt: Il Sangue odora di Ruggine (ma il tuo potrebbe anche piacermi) ***
Capitolo 6: *** Prompt: Scavalcare i muri di pietra senza rompersi l’osso del collo ***
Capitolo 7: *** Prompt: Galeotto fu il ring ***
Capitolo 8: *** Prompt: Trappola infernale (o paradisiaca? Ops...) ***
Capitolo 9: *** Prompt: Red Martini ***
Capitolo 10: *** Prompt: La parola dei nonni ***
Capitolo 11: *** Prompt: Rocket Science ***



Capitolo 1
*** Prompt : Pioggia ***


L’Amore e' Femmina.


Prompt: Pioggia.
Personaggi: Asuka/Hwoarang
Ambientazione: post Tekken 5


Ma che caldo fa
Oggi la città
Ha un martello nella testa
Che fa boom boom boom

Pioggia isterica
Sai che novità
La gente che mi giudica
E tu boom boom boom

La moto sfrecciava veloce tra le strade di Osaka, sollevando, al suo passaggio, ritagli di giornali e involucri sporchi di briciole di pane.
Dietro di sé, a testimoniare la potenza del motore, si lasciava una grossa scia di fumo. Pioveva forte, talmente forte che correre in motocicletta era considerato un gesto folle: potevi cadere, farti male, romperti l’osso del collo.
Soprattutto se non avevi il casco
E Asuka, il casco, non lo indossava. Come conseguenza, le si erano appiccicati i capelli al viso e gocce di pioggia le scorrevano lungo le guance pallide per il vento e il freddo.
Pochi giorni fa, sulla città era calata una cappa afosa che faceva apparire quella pioggia ancora più strana. Pioggia fittissima a luglio. E pensare che avevamo organizzato una giornata a mare.
Il semaforo davanti a loro scintillò come un faro nella notte, verde. Diverse persone attraversarono e, sbuffando, Hwoarang fu costretto a fermarsi.
Asuka si girò a destra e a sinistra, irritata dagli sguardi del signor Kurosawa, il naso schiacciato contro il vetro del pan-ya dove suo padre la mandava sempre a comprare le paste.
Dopo essersi guardata velocemente attorno, si rese conto che la stavano osservando tutti; e che, quei tutti, erano persone che conoscevano lei e, soprattutto, suo padre.
Sarebbero corsi a riferirgli che la sua figlioletta così saggia era in sella ad una moto abbracciata ad un tipo molto poco raccomandabile? Asuka schiacciò la faccia contro la schiena di Hwoarang fasciata dal giubbino di pelle, anche se oramai chiunque l’aveva vista.
Asuka era riconoscibile. C’erano migliaia di divise come la sua in giro, ma chi la portava come lei? Nessuno, appunto.
Hwoarang si girò verso di lei, gli occhiali da motociclista chiazzati d’acqua piovana spinti in su sulla fronte a fermare quella massa di capelli rossi così rara per un coreano. Stava sorridendo. E non c’erano risposte ad un sorriso così bello e genuino.
:-Li conosci?-, chiese.
Asuka rispose con un brontolio e Hwoarang rise. :-Ti dispiace?-
:-Di cosa?-
:-Che ti vedano con me. Non sono quello che tutti si aspettano per te.- lo disse con un tono così scherzoso che all’inizio le venne da ridere; eppure quelle parole così serie stridevano con il modo in cui le aveva dette e Asuka alzò la testa per incontrare lo sguardo di Hwoarang.
Non mi ero sbagliata. Gli dispiace.
:-Non me ne frega. Per chi mi hai presa, rosso?- gli disse, dandogli un buffetto sulla schiena. Era un po’offesa, per la verità. Davvero pensava che i giudizi della gente fossero così importanti per lei? Era vero; era stata la Mediatrice di Osaka, colei che portava la pace con la guerra in città.
All’inizio non l’avevano giudicata?
“Cosa ci fa una ragazzina a fare a pugni? Alla sua età dovrebbe pensare ai ragazzi e alla scuola.”
Si era limitata a storcere il naso e a continuare per la sua strada, a fare quello che la faceva sentire meglio. Osservò il ragazzo che sorrideva ad un bambino che, mano nella mano con la mamma, continuava a guardare la moto con la bocca sbarrata.
I bambini sono così semplici: non giudicano, ti offrono solo il loro sorriso migliore. Probabilmente pensava che Hwoarang fosse un supereroe in sella alla sua Aka-bike(*) pronto a salvare Osaka.
Con lui, Asuka poteva essere chiunque: la brava ragazza, la teppistella, una sciocca diciassettenne, o semplicemente sé stessa.
:-Andiamo al mare.-, propose lei e Hwoarang rise di gusto, approvando la sua scelta.
La faceva stare bene?
Le faceva battere il cuore per la felicità?
La risposta era una sola: sì.
E gli sguardi accusatori della gente divennero solo dei pizzichini sulla schiena.


Angolo autrice
*si affaccia* Bonjour! *_*
Io amo la canzone di Nina Zilli...e avevo in testa da un po di fare una fiction su questa canzone. Poi alla fine ho detto "Ma va, vada per Tekken!". Spero vi piaccia...non è niente di che, lo ammetto xD
P.S. Aka in giapponese significa rosso. Avete presente la Batmobile? Ecco: l'Aka-bike di Hwoarang ! XD
Besitos, Angel <3

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Prompt: Speranza/ Chiamami ***


L’Amore e' Femmina.


Prompt: Chiamami/ Speranza
Personaggi: Xiaoyu
Ambientazione: Tekken 5


Non so se tornerai
Non so se ci sei
Non mi chiami mai
No no no no

Dimmi se piangi mai?
Dimmi dove vai
Quando ti vorrei


Xiaoyu osservava il cellulare da almeno mezz’ora. Fermo, immobile, era insopportabilmente allegro, su quello stupido mobiletto di legno d’acero, ricoperto da stickers di Hello Kitty.
Facendo dondolare i codini neri, Xiaoyu contava i rintocchi dell’orologio a forma di panda sopra il letto su cui era stesa. Uno, due, tre. Nulla. Il cellulare rimase spento, senza alcun cenno di vita.
Eppure lui aveva il suo numero.
Cosa diavolo ci voleva a comporlo e a premere il tasto verde per chiamarla? Giusto per darle una spiegazione…no, Xiaoyu non voleva spiegazioni, non voleva disturbarlo. Le sarebbe bastato un “Ciao. Sto bene. Ci vediamo.”
:-Forse non avrò messo la suoneria.- spiegò a sé stessa Xiaoyu, allungando un braccio per afferrare il telefonino. Premette un tasto e poi scoppiò a ridere.
Che sciocca! Lo aveva lasciato spento. :-Ecco perché non suonava!- esclamò lei, improvvisamente euforica. Magari Jin l’aveva chiamata e, a risponderlo, la sua segreteria telefonica. Xiaoyu fece una smorfia. E se non l’avesse chiamata più? E se avesse pensato che lei era occupata, visto il cellulare spento?
Frenetica, schiacciò le dita sui tasti talmente forte da rischiare di farli incastrare. Ecco qual era la bellezza del touch-screen, pensò lei.
Mannaggia al nonno che non glielo voleva comprare, quello stupido Samsung Galaxy; sarebbe stato la sua salvezza dalla tastiera così orribilmente distrutta.
Il display s’illuminò, inondando la faccia della ragazza di milioni di riflessi: rosa, giallo, azzurro, verde. Gli occhi nocciola splendettero all’idea di sentire la voce di Jin. Lo posò sul comodino. S’impose di calmarsi; intrecciò le mani tremanti sul grembo.
Si girò, e il suo riflesso nella finestra inarcò il sopracciglio insieme a lei. Quella sera, aveva lasciato le tendine aperte e Xiaoyu poteva vedere il cielo blu. Una boccata d’aria fresca non le avrebbe fatto male.
Pensare ad altro farà passare il tempo e Jin mi chiamerà, ne sono certa.
Spalancò la finestra, posò i gomiti sul davanzale ed inspirò, poi espirò. Un semplice gesto che fece calmare i battiti impazziti del suo cuore. Da qualche parte, Jin stava guardando il cielo anche lui; e se osservavano lo stesso cielo, non erano poi così lontani.
Sorrise Xiao; un sorriso che ti saresti aspettato da una qualsiasi ragazza diciottenne di qualsiasi nazionalità.
Eppure il cellulare continuò a rimanere immobile.
Eppure, Xiaoyu non smise di sperare che, in quella sera limpida, Jin l’avrebbe chiamata.


Angolo Autrice
Giooorno xD
Ma allora i prompt s'inventano!*_* Ora l'ho capito!... *schiva vari oggetti* Lo so che sono ritardata a volte ò.ò
Eh, spero vi piaccia quest'altra piccola one-shot che, modestamente, mi fa tanto tenerezza ,-, pur odiando la coppia JinxXiao, credo che tutte ci siamo sentite come lei almeno una volta **
Non è ovviamente una bella cosa, però xD
Grazie come sempre a Orsacchiotta Potta potta e a chi legge e recensisce *_*
Lotta love, Angel <3

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Prompt: Dimmi quanto valgo ***


L’Amore e' Femmina.


Prompt: Dimmi che valgo tanto
Personaggi: Anna Williams; Lee Chaolan
Ambientazione: pre Tekken 6


L'amore è femmina
Se non riceve non si da
La prendo comoda
Calcolo le possibilità


:-Queen.-
Lee è affianco a te, seduto su una sedia talmente lussuosa da sembrare un trono. E lui si adatta bene alla tua visione: un re sul trono. Siete in un negozio d’alta moda, uno di quelli che tua sorella Nina disprezzerebbe con uno sbuffo e un’elegante inarcata di sopracciglio.
Ed è forse per questo che lo adori così tanto.
Ma la verità è dura da accettare e quindi preferisci raccontarti delle bugie: ad esempio, che ami spendere i soldi di Lee come fossero coriandoli da lanciare all’aria. Un’altra cosa: hai davvero bisogno di tutti quei vestiti? Di questo? Ne avrai almeno un altro paio nell’armadio, uguali, identici.
Inclini la testa di lato.
:-Queen.- ripete Lee, questa volta con maggiore enfasi.
:-Sì?- fai tu, allungando la vocale in modo da risultare autoritaria. Autoritaria persino in una domanda.
:-Non hai già questo vestito?- Tu lo fulmini. Se non te l’avesse detto e, anzi, ti avesse spronata a comprarlo, tu ci avresti pensato su e non avresti comprato questo straccio da quattro soldi. Ma dato che ti servono giusto qualche vestitino da usare per far finta di stare senza soldi davanti a Lee, allora decidi di comprarlo.
:-Conosco bene il mio guardaroba, grazie.- ribatti, sprezzante, sicura che Nina adesso riderebbe di questa sciocca provocazione. Lee indietreggia. È caduto anche lui nella tua trappola; ha capito ormai che per averti, deve essere a tua completa disposizione. E pronto ad accettare un’uscita a tre: tu, lui e la sua carta di credito.
Stai facendo provviste, ecco come ti giustifichi davanti allo specchio, davanti ad un’immaginaria Nina che ti osserva, sempre migliore di te. Fai provviste per la guerra. Ci resterete tutti secchi, dopo. Hai persino preso abiti di una taglia in meno!
:-Ti sta bene.- annuisce Lee. Si rende conto troppo tardi di aver detto le parole sbagliate. Non si dice “ti sta bene” ad Anna Williams. Si dice, casomai, “sei splendida; meravigliosa; anche senza quello saresti memorabile…” eccetera. Cose del genere, non cavolate mediocri come “ti sta bene”.
Tu li odi, quei commenti. Vogliono sminuirti e tu fai tanto per piacerti di più, per sembrare meglio di quel che sei. Sai che puoi impuntarti con Lee su qualsiasi cosa tu voglia. Lui si starà zitto, e sorriderà, facendo finta che tu abbia ragione.
Una commessa vestita sobriamente bussa alla porta dell’enorme camerino –che somiglia più ad una stanzetta che ad altro. Tu la lasci entrare: vuoi sentirti dire quanto sei bella e chic da qualcuno che non può aspirare a tutti i trattamenti a cui ti sottoponi.
:-Splendido. Un taglio che si adatta benissimo al suo corpo, signorina. Qualsiasi cosa le si adatterebbe ma questo particolarmente.- Non lo sai se è vero, se lo dice perché lo pensa sul serio, ma ne sei contenta e allora un sorriso t’illumina il volto.
:-Grazie tesoro.- rispondi con voce mielata, facendo un inchino grazioso dove pieghi solo le ginocchia, sollevando la gonna con le mani ,come quando ballavi il reel alle recite scolastiche.
Lei fa un cenno educato con la testa e poi esce, andando a fare probabilmente gli stessi complimenti a tutte le altre clienti. Lee beve un sorso dal bicchiere di champagne che vi hanno offerto.
Sta valutando quanti soldi ha speso da quando ha deciso di correre da te.
Nonostante le posizioni scomode.
Nonostante tu sei da una parte e lui dall’altra.
Nonostante potrebbero uccidervi.
Dopotutto, questo ti dice quanto vali per lui. Sorridi di nuovo allo specchio. E, questa volta, non vedi più il riflesso di Nina.


Angolo Autrice
Mi sono immaginata una Anna sprezzante prima di una guerra imminente. Lei vuole assolutamente alzare il naso e chiudere gli occhi davanti alla povertà e a tutto ciò che consegue ad una guerra, e lo fa grazie ai soldi di Lee che, d'altro canto, non sa dire di no alla sua queen. xD
Insomma, mi venne molto meglio quella di "Explosion- the top of the tops party" ma va bhe xD
Ringrazio Orsacchiotta Potta Potta e Rosie Bongiovi <3<3<3 mi recensiscono sempre, che sante xD
Besitos, Angel <3

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Prompt: Ci sarò sempre per te/ Padri ***


L’Amore e' Femmina.


Prompt: Ci sarò sempre per te/ Padri
Personaggi: Lei Wulong; Jun Kazama
Ambientazione: post Tekken 2

Quello che vuoi
Se non ce l'hai
Siamo tutti insoddisfatti,
Come mai?
Femmina, se non riceve non si dà
Lalala la la la


Con apparente calma, Lei Wulong posò la mano sulla maniglia della porta bianca.
Attorno a lui, infermiere che andavano e venivano nelle loro uniformi bianche, rivolgendo sorrisi cortesi a tutti, pazienti che ricevevano i parenti…e Jun? Lei li avrebbe ricevuti i parenti? La madre, il padre sarebbero andati a trovarla con un sorriso pronto a risolvere i problemi o con le labbra serrate per la delusione?
Lei Wulong desiderò altamente la prima opzione o Jun ne sarebbe stata devastata. Come stava? Era anche lei delusa? O era allegra, euforica, felice? Sollevò lo sguardo al cielo. Gli pareva di essere rinchiuso in un box bianco dove l’aria era satura d’anidride carbonica; si sentiva soffocare.
Non sapeva come sentirsi. Jun era una ragazza fantastica, tutto quello che Lei avrebbe sempre voluto. Quando la loro timida conoscenza era diventata una sincera e profonda amicizia, Lei si era reso conto che, dietro quegli occhi nero liquirizia, si nascondeva un universo pieno di bontà e speranze…e lui ne era rimasto completamente affascinato.
Jun gli aveva raccontato del suo lavoro con voce traboccante di passione e gli occhi accesi, facendo trapelare quanto lo amasse e quanto la rendesse felice salvare gli animali in pericolo; gli aveva raccontato della sua infanzia, del suo incontro con Kazuya quando erano appena dei bambini.
E lui aveva provato una strana sensazione di fastidio nel vederla così assorta, gli occhi che si velavano di lacrime e la voce che si spezzava in vari punti.
Kazuya Mishima l’aveva segnata; non importava quanto Jun cercasse di nasconderlo agli occhi di tutti: a Lei non poteva mentire.
Poi Jun era stata seriamente in pericolo.
Era fuggita a Yakushima dove Lei l’aveva raggiunta, dopo essere stato chiamato, per sapere perché aveva abbandonato il Torneo. E lei gli aveva raccontato tutto, il corpo dritto e la voce chiara nonostante le parole terrificanti che uscivano dalla sua bocca. Come faceva a essere così calma dopo tutto quello che aveva subito? Aveva incontrato il diavolo in persona che aveva cercato d’impossessarsi del bambino che portava in grembo; ed ora era lì a parlargliene come se fosse stato un tecnico di computer poco in gamba.
Questo gliel’aveva resa ancora più cara: il coraggio, così immenso per quel corpo così fragile, era una dote che Lei apprezzava in una persona.
L’aveva aiutata a scegliere il corredino, le aveva regalato una culla –dicendole che gliel’aveva prestata la moglie di un collega, e avevano compilato insieme una lista di tutte quegli strumenti –il biberon, lo sterilizzatore, il mixer, i ciucci eccetera- di cui hanno bisogno i bambini.
Era stato un periodo sereno, pensò Lei, sospirando. Ed ora era finito? O ne iniziava uno migliore? Il diavolo sarebbe tornato a prendersi ciò che aveva deciso che gli apparteneva? Tremando, Lei abbassò la maniglia.

La stanza dell’ospedale dove Jun si trovava era occupata da altre tre donne; tutt’e tre avevano appena partorito, proprio come lei. E tutt’e tre avevano avuto la presenza dei mariti a confortarle per tutto il tempo. Non era uno spettacolo piacevole: Jun aveva la sensazione di un forte pugno allo stomaco ogni volta che osservava la coppie.
Ma cosa poteva farci? Poteva mai invidiarle? Sarebbe stato meschino. Così si costringeva a distogliere lo sguardo e puntarlo verso l’orizzonte. Neppure la natura –fiorente a Yakushima molto più che a Tokyo- riusciva a metterla di buon’umore.
Quella mattina, i mariti delle donne erano seduti su una seggiola affianco ai lettini. I tre uomini ormai avevano stretto amicizia, come le loro mogli. Solo Jun era rimasta esclusa; ogni tanto una delle donne le lanciava occhiate in cui lei non sapeva se leggervi compassione o calunnie. Infondo, era una incinta senza alcun marito a tenerle la mano. E quel genere di cose scatenava sempre pettegolezzi…soprattutto dato che a Yakushima non succedeva mai niente.
La porta si aprì e, istintivamente, Jun alzò lo sguardo, con la speranza che fosse qualcuno per lei. Soffocò uno strillo di gioia. Sull’uscio, c’era Lei Wulong, il suo migliore amico.
Lui le sorrise e si diresse al suo capezzale. :-Posso, amico?- chiese ad uno degli uomini, indicando una sedia. Quello annuì, con spirito di cameratismo. Gli uomini sono molto più semplici delle donne, pensò Jun. Infatti, le tre lo stavano osservando con gli occhi sbarrati, un po’chiedendosi che diavolo lo avesse trattenuto per tutto quel tempo, e un po’vergognandosi delle occhiate che avevano rivolto alla donna dagli occhi spenti.
:-Ehi, Jun-chan.- fece Lei, accarezzandole la fronte con una mano, lo sguardo pieno di preoccupazione e affetto. :-Come stai?-
Jun si sforzò si sorridere mentre lo rassicurava con un :-Sto bene, davvero.-
:-Non me la bevo, Jun.- Lei scosse la testa. :-A me puoi dire tutto. Ehi, sono io, Lei Wulong, il tuo amico.-
:-Lo so, Lei-kun. Lo so. E sono contenta, sul serio, che tu sia qui.- disse, posandogli una mano sulla sua. Il ragazzo sorrise. Jun l’osservò: aveva un ottimo aspetto, se non fosse stato per quella fronte aggrottata che rivelava tutta la sua preoccupazione, e anche la rabbia. Come dovrò apparirgli io, pensò Jun.
Lo sguardo di Lei la percorse fin dove le lenzuola gli permettevano; e, a giudicare da come strabuzzava gli occhi e aggrottava ancor di più la fronte, Jun non doveva avere un bell’aspetto. :-Ti aiuterò io a rimetterti in forma, credimi.- mormorò Lei. Sempre attento a non ferirla, così dolce. Davvero il miglior amico che si possa desiderare.
:-Sono così orribile, Lei-kun?- chiese Jun, mascherando la preoccupazione con una risatina.
Lui si accigliò :-Non puoi essere orribile. Ma puoi stare male. E stai male, ora. Dov’è il bimbo?-
:-Tra poco me lo porteranno.- fece lei, rallegrandosi al pensiero del suo piccolo fagottino. Era così bello…ma non avrebbe saputo dire a chi somigliasse di più.
Rivolse uno sguardo all’orologio. :-Lui non è venuto.- affermò Lei. Jun gli rivolse uno sguardo curioso: aveva detto quella frase con un tono apatico. Senza aver bisogno di un nome, capì subito a chi si stava riferendo.
:-No-, mormorò Jun :-Non è venuto. Ma non sa dove mi trovo…e non sa che ho avuto una storia con…- le si spezzò la voce.
:-Meglio così. Quel vecchio pazzo non deve sapere nulla. Promettimi che non gli dirai mai niente.- fece Lei con ardore. Non vedeva di buon’occhio Heihachi Mishima.
Ma la mente di Jun era altrove, mille miglia lontano da Yakushima. Era a dove Kazuya era scomparso. Morto, probabilmente. Poteva il Gene Devil salvarlo? Era davvero talmente forte, forte abbastanza da conservare la vita di una persona anche dopo un incidente così grave? Per la prima volta, Jun sperò con tutta sé stessa che il Gene Devil fosse rimasto nel corpo di Kazuya.
Chiuse gli occhi e una lacrima le rotolò giù lungo la guancia. Solitaria, sola, incerta del suo posto nel mondo…esattamente come si sentiva Jun in quel momento. Un dito caldo gliel’asciugò. Jun aprì gli occhi e vide Lei che le sorrideva in modo così spontaneo da scaldarle l’anima.
:-Mi prenderò io cura del piccolo. Sarò come un padre per lui.- le promise. E lei non poté dubitare di quelle parole.
A Jun si spezzò il cuore nel vedere un tale amore nei suoi occhi, nei suoi gesti, nelle sue parole. Sapeva da tempo che Lei provava qualcosa di più di un semplice affetto per Jun, e ora ne aveva le prove concrete.
Sarò come un padre per lui.
Peccato che il cuore di Jun battesse proprio per il vero padre del piccolo. Poteva cambiare? Poteva innamorarsi di Lei per assicurare al bambino un futuro migliore, un futuro sereno?
Lasciò che le labbra di Lei si posassero sulla sua fronte, come a benedirla. E una benedizione era proprio quello che serviva a Jun Kazama.


Angolo Autrice
Wuuuuh u.u
Questo mi piace u.u lei e jun sono fantastici insieme......
Dai, ho immaginato questo rapporto dove sia lei sia jun non hanno quel che vogliono e quindi sono insoddisfatti. Scusatemi l'angolo schifoso ma non so proprio cosa scrivere .ò.
besitos, Angel <3

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Prompt: Il Sangue odora di Ruggine (ma il tuo potrebbe anche piacermi) ***


L’Amore e' Femmina.


Personaggi: Alisa Boskonovitch/ Lars Alexandersson
Prompt: Il Sangue odora di Ruggine (ma il tuo potrebbe anche piacermi)
Note: Contenuti forti (mmmh per scaramanzia)
Ambientazione: Tekken 6

Sento il panico
Cerco ossigeno
La paranoia sale
E tu butti giù

Non pretendere
Che sia semplice
Ho un martello
Dentro al cuore
Che fa boom boom boom


Il sangue odora di ruggine.
All’inizio lo aveva trovato strano: perché proprio di ruggine? Perché proprio un odore così sgradevole? Davvero, gente, non poteva profumare di…rose? Magari di miele. Magari odorasse di miele, il sangue; sarebbe stato ottimo per quello strano orso parlante incontrato poco prima. Peccato che non fosse così, anche perché, sebbene il naso di Alisa non bruciava quando un odore la colpiva così violentemente, la ruggine non sapeva di buono.
Ecco, l’aveva detto. In realtà faceva proprio schifo.
Non sapeva perché adesso stesse facendo tutte quelle congetture sul sangue. Cioè, ragazzi, che gliene fregava a lei che il sangue aveva lo stesso odore della ruggine? E perché le veniva voglia di ridere al guardare il leone al centro del petto di Lars macchiato di sangue?, ed era proprio sul naso, quella striscia di sangue. Sembrava gli stesse sanguinando il naso a tartufo.
E, ohggesù Gesù, il generale Alexandersson ha appena rivelato ad Alisa che da piccolo il sangue lo faceva vomitare. Chissà com’erano stati i primi due anni da generale. Probabilmente li aveva passati dietro le quinte a vomitare. Sapete una cosa? Adesso quello strano tipo il sangue lo scambiava per ketchup tanto si era abituato al suo odore; sì, proprio così: confondeva il sangue con il ketchup.
E questo la diceva lunga sui gusti della signorina-ma-non-proprio Alisa. Innamorarsi di uno che probabilmente t’inonderà le patatine da McDonald con il sangue del cameriere…; Alisa pensa di essere impazzita. E’ un’androide; è più intelligente di tutti noi messi assieme, gente, eppure si è innamorata di un pazzo amante del sangue figlio di Sono-Vecchio-Ma-Ho-Ancora-il-Fegato-Per-Starti-Dietro.
E’davvero pazza. Adesso che ci riflette, è pazza perché va in giro vestita come una appena uscita da Guerre Stellari, ha i capelli mezzi rosa e mezzi fucsia e dei fiori a trattenere un ciuffo ribelle. Cosa diavolo avevano pensato i tizi che l’avevano incontrata? “Oh mio Dio, mi sono fatto mettere sotto da una che ha visto troppe volte il film << Io,Robot >>.”.
Sapete qual è il colmo di tutto questo, signori e signore? Che Alisa –sì, proprio quella che ha sproloquiato su quanto le fa schifo il sangue- sta medicando Lars –sì, proprio quello che ha il leone sulla divisa che sanguina dal naso. Guardatela, non arriccia neppure il nasino.
Ha fegato, gente.
No, scherzavo. La verità è che quel piccolo miracolo dello scienziato pazzo ha un cuore che batte, sul serio. Viene tenerezza a guardarli. Ti fanno venire voglia di cantare una serenata alla prima persona che incontri per strada; di far passare la gente dietro di te in fila; di distribuire cuoricini di cioccolata il 14 febbraio (aka San Valentino-la-festa-di-ogni-cretino); di tubare come un piccione strozzato e altre cazzate varie.
Lui la guarda; lei lo guarda mentre pensa che il suo sangue forse è pure buono. Davvero. Alisa sta pensando che il sangue di quell’armadio dell’Ikea potrebbe anche piacerle.
Che gli ingranaggi dentro la testa le stiano partendo? Si saranno inceppati…eh sì, le sta venendo il panico, perché Lars è pallido come uno svedese DOC. La genetica non ci ha visto bene con lui; sarà caduta da qualche parte prima di raggiungere il suo DNA. Da dove diavolo sono usciti quei capelli?
E da dove diavolo esce tutto questo sangue?, pensa la-signorina-ma-non-proprio-Alisa. In tutto quel frangente, si è dimenticata di respirare. Ma lei non ha bisogno di respirare, quindi perché sprecare il suo tempo a inspirare ed espirare col naso? Perché fingere di essere umana quando non lo è? Cos’aveva detto Magneto a Mistica in “X-men: le origini”? :-Il mondo ha cercato di tenerti chiusa in una gabbia, Mistica. E’ora che io ti liberi.-
Guarda Lars, che adesso ha proprio l’aria di un cucciolo spaesato (questo lo pensa sempre Alisa, mettiamolo in chiaro, gente).
Lui cerca di scherzare, dice :-Un generale che si fa mettere giù da un proiettile di una pistola da cowboy è proprio un emerito idiota!- oppure :-Alisa, secondo me saresti un’ottima infermiera. Non avresti bisogno di strumenti: li hai già tutti incorporati!- o, ancora :-Se mai mi porteranno in manicomio, chiedi almeno che la camicia di forza sia di Armani.- (a questo punto vi chiederete che diamine di battute stupide fa questo tipo. Però Alisa ride. Si sente meno paranoica: non sta pensando che lui stia pensando “Un robot è tanto adatto a curarmi quanto un buttafuori a danzare”). Il fatto è che persino Lars sa quanto siano penose quelle battute ma, forse, pensa che recitate dalla sua voce (che è davvero una gran bella voce) risultino un po’più divertenti. Cerca di distrarre la povera Alisa.
Credetela, gente, il ragazzo ha altre doti (no, non quello). Sa essere davvero dolce. Stucchevole per chi combatte dalla mattina alla sera, ma Alisa è diversa, gente. E’una signorina ma non proprio. E’una di quelle che ti chiede scusa e ti consegna un VIVIN C dopo averti lasciato bocconi sul pavimento a sbavare a tossire come un maiale.
Così cerca di fingere che stia bene; che non le fa scoppiare le batterie il fatto che lui sia ferito in quel modo.
Ha bisogno di concentrarsi su altro; sul fatto, ad esempio, che Lars è in maglietta bianca (con questo leone che sanguina dal naso disegnato al centro proprio come sulla divisa. Che il ragazzo si senta il Re delle Battaglie?) e questa maglietta bianca lascia intravedere tutti i muscoli possenti. Eh, Alisa sarà pure un robot ma gli occhi per vedere ce li ha, sissignori. Eppure, nemmeno questo la fa distrarre. Vedete, quando si è in una situazione del genere, due sono le cose: a) o non hai più controllo sulle tue facoltà mentali e la tua mente inizia a vaneggiare e mostrarti il lato ridicolo delle cose anche quando non c’è; b) hai la mente fredda e lucida, talmente controllata che Dottor House penderebbe dalle tue labbra come i discepoli con Gesù.
Alisa non è controllata, diamine. E’fortissima, davvero, ma incredibilmente sensibile e, quindi, debole. In secondo luogo, è fusa per quel ragazzone con i capelli da pazzo.
Lui si sfila un guanto e le accarezza la guancia destra con il dorso della mano, dallo zigomo giù fino al mento lentamente. Solo allora Alisa si accorge di star tremando, le sue mani da principessa infilate nei guanti ora macchiati di sangue, fresco e non, che si aggrappano con disperazione al leone ruggente di Lars. Odia quel gesto; è come un gesto d’addio.
Vorrebbe piangere; peccato che nessuno le abbia infilato dietro agli occhi un paio di rubinetti che si aprano a comando.
:-Alisa.- dice Lars :-non stare così male. Ho superato ferite ben peggiori.- Sì, pensa Alisa, ma al posto mio c’erano medici di prim’ordine, di quelli che ti fanno pure la fattura –sorridendo- perché tanto guadagnano tanti di quei soldi che se ne fregano delle tasse.
Diamine, è o non è un’androide super intelligente? E allora perché diavolo non riesce a curare una stupidissima ferita?
La verità è che ad Alisa non frega proprio niente dell’odore rugginoso del sangue, né che Lars potrebbe metterle tutt’altro liquido rosso sulle patatine, né di cosa possano aver pensato tutti i tizi incontrati; non le passa manco per la mente che Lars è figlio di Sono-Vecchio-Ma-Ho-Ancora-il-Fegato-Per-Starti-Dietro, né che sembra uscita da Guerre Stellari, né che Lars ha vomitato i primi mesi della sua carriera, né che ha il leone sulla maglietta che sembra sanguinare dal naso.
La verità è che il suo corpo freddo è pieno zeppo di sentimenti veri, sissignori, di quelli che ti fanno seccare la gola e scordare ogni cosa (presente gli esami?), di quelli che ti fanno vedere il mondo o tutto rosa o tutto nero, di quelli che inceppano anche il più sofisticato sistema-del-cacchio di un androide.
E, dato che è innamorata fusa del generale Lars Alexandersson, il suo cervello la inganna e la trasporta in un sogno confuso, come se il suo ragazzone svedese stesse benissimo senza una stupida ferita a tranciargli il torace. E’lì, con il corpo, ma è miglia altrove con la testa.
Però, poi, qualcosa la fa scattare. Lars geme, e la fronte è imperlata di sudore. Oddio, ha proprio l’aria di uno che sta male.
E Alisa, così persa e rimbambita fino a quel momento, tira fuori tutto il suo sofisticatissimissimo sistema-del-cacchio-androidiano-o-come-si-chiama. Le sue mani da principessina si muovono veloci e calme; sembrano davvero le mani di una dottoressa, infilate in quei guanti un tempo candidi. In pochi minuti, riesce ad estrarre il proiettile, ignorando lo squarcio enorme dal petto all’addome di Lars (viola scuro al centro che si dirada in rosa chiaro, brandelli di carne ovunque, persino tra le sue mani) e pensando con freddezza che per poco gli ha mancato il cuore. Quel cuore che batte anche per lei; ma Alisa si sforza di non pensarci perché è un’androide e non potrà mai dargli quello di cui un umano ha bisogno.
Poi si strappa mezzo abito e fascia il torace di Lars, i cui occhi contemplano il suo viso e non il suo corpo mezzo nudo. Gente, un tipo così è da non farsi scappare. Poi lo solleva senza sforzo e dice :-Dobbiamo andare in ospedale.- Lars la guarda incuriosito. Li arresterebbero in ospedale e Alisa non lo sa…o forse lo sa bene, tanto quanto sa bene che potrebbe tranciare in due chiunque le si mettesse tra i piedi.
Con impeto, Alisa si volta su sé stessa e abbraccia forte Lars, gettandogli le braccia al collo come una sposina novella. Ha davvero avuto paura di perderlo; tutto per colpa sua. Se non fosse così, però, non proverebbe nemmeno tutto questo torrente che le si rovescia in corpo e minaccia di farlo scoppiare. Lars ricambia il suo abbraccio, caldo e umano. (vi ricorda un po’Twilight al contrario? Non pensateci.) Si staccano, gli occhi nero liquirizia di Lars luminosi e limpidi incontrano quelli verdi da bambola di Alisa, vi si perdono dentro. Chissenefrega che non sono della stessa razza? Loro no di certo.
Traballando, si avviano verso il più vicino centro abitato.


Angolo Autrice
Sì, lo so. E'tutto quello che non vi sareste aspettate da me, amorevole creatrice (che presunzione ò.ò) della coppia AlisaxLars, piena zeppa di fluff e sdolcinevolezze (?) da diabete.
No.
Non volevo una cosa del genere; sarebbe stata scontata. Sì, sarebbe piaciuta a tutti, ma diamine, io non voglio una cosa che piaccia a tutti se non mi devo divertirmi a scriverla.
Il fatto è che sto leggendo Stephen King (La forza del Male) e ho trovato fighissimo il modo di scrivere e mi sono chiesta come sarebbe uscito se l'avessi applicato ad una storiella del genere.
Spero vi piaccia xD
Besitos, Angel <3
P.S. non so se aggiornerò in queste settimane perchè sarò in vacanza!

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Prompt: Scavalcare i muri di pietra senza rompersi l’osso del collo ***


L’Amore e' Femmina.


Prompt: Scavalcare i muri di pietra senza rompersi l’osso del collo
Personaggi: Julia Chang/King
Ambientazione: Tekken 5



Non so se tornerai
Non so se ci sei
Non mi chiami mai
No no no no

Dimmi se piangi mai?
Dimmi dove vai
Quando ti vorrei




L’aria era fresca, le ricordava quelle serate dove la percentuale di umidità finalmente scendeva e raggiungeva l’accettabilità; le ricordava le uscite a cavallo a osservare i fiori alla luce della luna acquistare una nuova bellezza.
Anche adesso c’erano i fiori: cespugli di rose fucsia stupende, protette da cancelletti in metallo. Sembrava tutto così bucolico; persino il cielo coperto di nuvoloni grigi dava carattere alla scena. Se fosse stato soleggiato, forse quel giardinetto sarebbe apparso scontato.
Ad ogni buon conto, quel posto aveva un che di cupo e morto, come se i fiori fossero appassiti -invece di essere appena sbocciati- e il cielo portava le sue nuvole e il suo grigiore anche nel cuore di Julia. Se si fosse incorniciato ciò che gli occhi marroni di Julia vedevano, si sarebbe detto un quadro di natura morta.
Proprio come mi sento io..
Di lì a poco avrebbe dovuto combattere contro King. Era certa che non sarebbe riuscita a scoraggiarlo; era un giaguaro –come la maschera che portava- prendeva a morsi la vita e chi gli faceva saltare i nervi.
Avrebbe preso a morsi anche lei, senza farsi troppi problemi. Julia non era altro che una conoscente per lui; aveva costruito attorno a sé un muro di pietra e non permetteva a nessuno di scavalcarlo. Non le avrebbe dato retta. Il Torneo era talmente pericoloso…nemmeno Julia aveva idea di ciò che l’aspettava. Non sapeva chi c’era dietro all’organizzazione della quinta edizione del Torneo né aveva tanta voglia di scoprirlo.
Però voglio fermare King prima che sia troppo tardi.
Chiuse gli occhi, come se respirare aria pura le desse nuova energia. Quando riaprì gli occhi, davanti a lei c’era King. Si sentì tremare. Forse non era poi così pronta come credeva…comunque, il cuore le diceva di parlargli.
:-King…- un miagolio più che altro; e contro il ruggito del giaguaro non poteva fare molto. Lui si limitò a fare un cenno col capo. Così Julia continuò :-Ti prego, questo Torneo non è…- ecco: aveva perso le parole giuste. Aveva ripetuto quel discorso mentalmente così tante volte eppure, proprio quando doveva pronunciarlo, le era volato via dalla mente con la velocità di un colibrì. Andato, perso.
King sembrava impaziente. Forse non aveva molta voglia di starla ad ascoltare mentre parlava a vanvera. :-Ho dei conti in sospeso.- spiegò con la voce forte e roca abbassata di un’ottava. Si sarebbero dette delle fusa quelle parole e Julia serrò i pugni per resistere alla tentazione di lasciarlo andare per la sua strada.
:-Lo so. Ma forse non è l’occasione giusta per chiuderli.- fece Julia, cercando i termini giusti. Adesso aveva le mani giunte, le dita di una mano strette alle nocche dell’altra, come a pregarlo di riflettere. Non proprio il gesto giusto per accompagnare quella frase. Ma Julia non era brava a parlare con la gente; non possedeva il carisma di certe donne (come quelle sorelle Williams) né tantomeno aveva il carattere che induceva gli uomini a crederla una damigella in pericolo. Era sincera. Molto sincera. E la sua sincerità l’aveva fregata un sacco di volte.
:-Dimmi perché.- ribatté allora King.
Julia fece un profondo respiro :-Perché il Torneo è…- ancora. Proprio non riusciva a concludere, eh? Sciocca Julie. :-Senti, potresti chiudere questi conti fuori dal Torneo, no? Non ti pare una buona idea?-
Si era già arresa.
Ma come? Lei non era una ragazza forte, intelligente, una di quelle che usciva con il 100 e lode dagli esami e che veniva fermata dai professori perché aveva parlato davvero troppo? Una di quelle che subito trova il lavoro che aveva sempre voluto. Una di quelle che conclude ciò che ha iniziato.
Evidentemente, era anche una di quelle che a King non stavano a genio.
:-No. Ho l’occasione giusta adesso.- Di poche parole, come sempre. Julia tese una mano, il palmo verso l’alto.
:-Ti prego. Non hai sentito anche tu che non si sa chi ha organizzato questo Torneo?-
La notizia sembrò far breccia nel muro di pietra di King. :-Sì, questo l’avevo sentito ma non me ne sono preoccupato. Ho un solo obbiettivo.-
:-Chi?- chiese allora Julia in un soffio, spossata. Si sentiva stanchissima anche se non aveva mosso un dito. King era capace di sfinirla solo guardandola.
:-Craig Murdock.-
Oddio. Cos’aveva fatto di nuovo quel bestione? Julia aprì bocca per domandarlo ma l’occhiata che le lanciò King gliela fece chiudere all’istante. Julia dedusse che questa volta l’aveva fatta grossa, Murdock. Non le era mai stato simpatico, ora che ci pensava.
:-Okay…- fece Julia :-Ho capito. Mi prometti che, non appena battuto il bestione, lascerai il Torneo?- “Mi prometti”, oddio, ma cos’era, una bambina? Sapeva che King manteneva le promesse però…possibile che si dimostrava così priva di personalità davanti a lui? Ogni volta era la stessa cosa (non che s’incontrassero spesso…)
:-Perché dovrei?- Mmh…lo aveva un motivo? Aspetta, quella domanda era compresa nel suo discorso immaginario davanti allo specchio. Era stata tanto brava ad immaginarselo e lo aveva ripetuto milioni di volte (all’inizio sussultava, però poi era decisamente migliorata) ma dirlo davanti al King in carne ed ossa le sembrava una prospettiva quasi ridicola.
Si chiese come la fissavano gli occhi dietro la maschera. Se immaginavano minimamente il motivo per il quale lei non volesse che lui proseguisse nel Torneo.
:-Perché è molto pericoloso. E non voglio che tu ti faccia male.- Patetico. Riduttivo. E, soprattutto, scontato.
King incrociò le braccia possenti al petto: stava valutando la veridicità di quella frase. Comprese che c’era altro, forse dal modo in cui Julia teneva le mani sul cuore, dalla gamba in avanti con la punta dello stivale sul terreno e il tacco sollevato come se l’avessero fotografata mentre camminava pensando a qualcosa d’importante. La esortò a continuare e lei si sciolse come una statua di ghiaccio al sole.
Scelse altre cose da dire, non quello che aveva bloccato in gola come una palla di miele.
:-Vorrei che tu mi aiutassi…in un progetto.- King inclinò il capo e Julia immaginò di vedere il suo sguardo accendersi di curiosità. :-Ho bisogno di soldi per realizzare questo progetto. E ,quindi, devo lavorare…ho pensato che tu potresti aver bisogno di un compagno in certi combattimenti sul ring. Io potrei essere quella compagna.- Lo disse tutto d’un fiato, tesa, nervosa, torturandosi le mani, cercando di far capire quanto fosse importante per lei e credendo di essere un’orribile conversatrice. Non sapeva quanto le sue parole fossero in grado di far breccia nel cuore della gente. King parlava poco; in compenso, però, era un ottimo osservatore.
:-Tutto qui?- chiese. Julia immaginò che avesse inarcato un sopracciglio. Le si bloccò il respiro. Se avesse detto ciò che avrebbe dovuto –no, voluto- dire, si sarebbe rovinata con le sue stesse mani. La fantomatica zappa sui piedi.
Era convinta che King vedeva gli ingranaggi del suo cervello al lavoro; chissà quanto rumore facevano i sentimenti nascosti…
Gli avrebbe mentito ma era meglio di vuotare il sacco. :-Sì. E vorrei che accettassi la mia proposta: ci tengo molto.-
:-Le piante.- Oh. Davvero si ricordava delle sue piantine?
:-Già. Le piante.- ammise lei, sorridendo. Davanti a lui non si sentiva imbarazzata a rivelare quanto tenesse alle sue piante.
:-Accetto.- ruggì King. Julia si sentì il cuore pieno di felicità. E quella felicità doveva trasparire dal suo sguardo perché lui lasciò cadere le braccia e fece un passo in avanti, come se la invitasse ad avvicinarsi. Allora lei colmò la distanza che li separava, lo scricchiolio dei suoi stivali sulla ghiaia mentre quasi correva, e poi gli gettò le braccia al collo. Forse lui avrebbe pensato che era solo per le piante o, più probabilmente, avrebbe intuito la ragione di fondo…la verità era che Julia non era sicura che avrebbe avuto un’altra occasione come quella.
Sentì le goccioline di pioggia che le colpivano leggere i capelli e l’odore delle rose appena sbocciate riempirle la testa, sostituendo ogni pensiero negativo con una buona dose d’ottimismo.


Angolo Autrice
I'M BAAAAACCCCCKKKK!!!!! XD
Che pensavate?O.o che vi foste liberate di meeee?! Errato, sissignore u.u
Ero in vacanza, l'ho già scritto nel chap precedente u.uxD
In vacanza ad annoiare tedeschi, francesi, inglesi e spagnoli xD Oh yeah.
Ma ho scritto comunque.
Julia x King. Ricordate il dialogo in Tekken 5? Ero una meinina all'epoca, e ricordo che il mio cervelletto malato li assemblò come coppia LOL
Secondo me stanno bene insieme u.u
Spero che Rosie, Lady Phoenix e Orsacchiotta si ricordino di me LOL (ze, proprio voi che leggerete questo insulso chap xD)
Un fortissimo abbraccio, Angel <3

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Prompt: Galeotto fu il ring ***


L’Amore e' Femmina.


Prompt: Galeotto fu il ring
Personaggi: Emilie “Lili” Rochefort/ Steve Fox
Ambientazione: pre Tekken 5 DR

L'amore è femmina
Se non riceve non si da
La prendo comoda
Calcolo le possibilità



Lili era sistemata tra il padre ed un tizio in giacca e cravatta che sbraitava il nome del pugile talmente forte da sputare saliva. La ragazza continuava a stringersi verso il padre, tenendosi più lontana da quello strano individuo come se la sua saliva fosse qualcosa di particolarmente schifoso che poteva persino ferirla.
Per l’occasione aveva indossato una felpa rossa (il rosso donava alle bionde) e un jeans attillato (il jeans donava a chi aveva le gambe snelle e lunghe) e delle sneakers molto femminili (le sneakers donavano a chi era molto alta), tutto da “battaglia”, per così dire (la felpa Hollister e il jeans Levi’s: per Lili erano cose “così, per stare in casa”).
Si sistemò il foulard e strizzò gli occhi, nel tentativo di capire quale fosse questo pugile così famoso da mandare una folla in visibilio; però, con tutto quel casino, non riuscì proprio a individuarlo e, dopo aver lanciato un’occhiata alla mano, reputò la sua manicure più interessante di quell’incontro di boxe.
:-Guarda, ma chère- le disse il padre all’orecchio quando notò che era distratta :-Ils sont en train de venir.- Stanno venendo.
Lili si alzò sulle punte e vide due uomini salire sul ring. Uno era solo un ragazzo: poteva avere quattro o cinque anni in più a lei. Quel tipo era sicuramente inglese: il modo in cui portava i capelli pettinati all’indietro con il gel, il modo in cui rivolse un sorriso gentile, elegante ma sobrio alla platea, il modo in cui guardò l’avversario. L’essenza del pugile inglese.
Biondo, occhi azzurri, naso dritto, sopracciglia curate, fisico muscoloso ma slanciato. Niente male, dovette ammettere Lili.
Degnò a malapena di un’occhiata l’altro pugile, impegnata com’era a fissare l’inglesino. Lili conosceva molto bene l’inglese, dopo voleva scambiare quattro chiacchiere con lui; sicuramente conosceva il padre. Però c’era qualcosa che le interessava di più della sua bellezza: lo stile di combattimento.
I battiti del cuore accelerarono quando i due si posizionarono uno di fronte all’altro, percorrendo il perimetro del ring con passi lenti e ponderati, i pugni alzati davanti al viso, lo sguardo che saettava dalle mani ai calci, dai calci alla faccia. Poi il combattimenti iniziò (Lili sobbalzò al trillo della campanellina).
Si ritrovò ad urlare pure lei –seppur in modo molto più chic ed elegante del tipo affianco che sputacchiava- e tifò per il tipo inglese manco fosse una sua fan d’epoca. Non conosceva neppure il suo nome!
Ovviamente, l’inglesino aveva più tattica, più esperienza, più intelligenza dell’altro e Lili, in cinque secondi, profetizzò la vittoria dell’inglese; nessuno attorno a lei, però, parve sorpreso di quella sua conoscenza. Allora Lili non lo sapeva, ma il tipo che aveva puntato era il pugile migliore in circolazione, uno dei migliori che ci fosse mai stato.
Allora Lili non sapeva neppure che quel bel ragazzo con i capelli del suo stesso colore era una macchina creata dalla Mishima Zaibatsu –industria che avrebbe rovinato il padre.
E fu forse perché ignorava le sue origini, che rimase folgorata da lui quando alzò il cinturone della vittoria con una mano mentre il giudice gli sollevava l’altra. Il ragazzo scese dal ring e s’incamminò verso la tribuna d’onore ai piedi del palco. Oddio, oddio, sta venendo verso di me.
Si sistemò i capelli con mani tremanti, chiedendosi perché mai avesse indossato quegl’indumenti insulsi e sperando che il padre non le facesse fare brutte figure (<< Questo è il mio tesorino, Emilie, il mio piccolo, grande bijoux. Ha ancora la sua collezione di orsacchiotti Teddy! Non è tenera? >>). Cose che una qualsiasi sedicenne-quasi-diciassettenne potesse temere al pensiero di essere presentata dal padre ad un bel ragazzo.
Mentre si avvicinava, Lili notò che avevano altre cose in comune: la carnagione, il colore degli occhi, i riflessi che le luci creavano sui suoi capelli. Il ragazzo camminava con classe, risultando sobriamente elegante (ormai Lili aveva deciso che quell’avverbio e quell’aggettivo si adattavano perfettamente all’inglese) persino in tenuta da pugile e…aspetta, non sarebbe dovuto essere grondante di sudore? Quel tipo era asciutto, sembrava stesse sfilando, non era stanco nemmeno un po’.
:-Bonsoir Steve. Comment ça va?- Lili lanciò un’occhiataccia al padre. Perché diamine non parlava inglese? Perché metteva in difficoltà il ragazzo?...no, Steve, si chiamava Steve.
:-Bonsoir monsieur Rochefort! Ça va bien… ho appena vinto il titolo: sono felice!- Lili aveva avuto ragione: Steve aveva uno spiccato accento inglese. Appoggiò le mani alla balaustra che separava la tribuna d’onore dal palco e gettò la testa all’indietro, ridendo. Oh mio Dio, ora svengo.
Gli occhi di Lili corsero alle sue mani: si era tolto i guanti. Lili notava molto le mani delle persone, pensava fossero un indizio su molte cose. E Steve le aveva proprio come piacevano a lei: forti, curate il giusto, da ragazzo quasi uomo. Accostò le sue e sorrise perché erano proprio una bella coppia di mani.
:-Mi permetto di presentarti mia figlia Emilie.- Lili si svegliò dal sonno. Pensò: Ora mio padre mi fa fare una bella figuraccia. Steve guardò verso di lei, negli occhi azzurri ancora l’ombra della risata. Lili respirò affondo.
Lui tese la mano e lei l’afferrò. Il palmo non era sudaticcio. :-Ciao, Emilie! Piaciuto l’incontro?-
Sì!, esultò mentalmente lei. :-Oh, sì! L’uppercut finale è stato davvero il colpo di grazia. Ma anche i ganci e il fatto che hai sfruttato lo sfinimento dell’avversario…com’è che si chiama il garçon?...per via dei troppi calci. Ovviamente ho adorato la classe nei movimenti…e la tattica dell’aspettare l’attacco dell’avversario per sviarlo e colpirlo…ricordo che anche nel sumo c’è una tattica del genere, sfortunatamente non mi viene in mente il nome!- Steve la fissava sconvolto. Ah!, non si aspettava una ragazza informata sul pugilato. :-Ho la sfortuna di non aver visto molti incontri di boxe…questo è il primo che vedo…ma mi piace molto, credo che m’informerò meglio.-
Lui si passò una mano tra i capelli, disorientato. :-Wow.- disse solamente in un soffio di voce. Il padre la fulminò con un’occhiata. Voleva fosse femminile e delicata come il suo aspetto, e che svenisse davanti a un incontro manco fosse una femminuccia dell’epoca vittoriana. Non aveva idea di che modi eleganti e aggraziati avesse…quando combatteva.
:-Emilie ha una stramba passione per i combattimenti.- si scusò il padre.
:-No, no, è davvero…bello che una ragazza sia così appassionata! Non è cosa di tutti i giorni.- Steve le lanciò un’occhiata e Lili batté le ciglia, poi sorrise. Non era scappato a gambe levate! Che tesoro.
:-Monsieur Rochefort! Che piacere!- chiamò qualcuno e il papà si allontanò, deliziando Lili oltre ogni dire. Lei volse tutta la sua attenzione su Steve.
:-Mister Fox…-
:-Ti prego, chiamami Steve. Mi fai sentire vecchio, altrimenti!- la interruppe lui, alzando le mani. Di bene in meglio, pensò Lili.
Con un agile salto, scavalcò la balaustra e lui indietreggiò, stupito. Stava calcolando la sua età. Erano quasi della stessa altezza.
:-Steve…ti prego, devi assolutamente convincere papà che non è poi così sbagliato che io partecipi agl’incontri!- Steve inclinò il capo.
:-Quali incontri?- chiese.
:-Incontri…così! Cioè, combattimenti di strada. E’magnifico! Mai provato? Dovresti!- ecco, era partita. Bel modo di conquistare il tipo. Mostrare attenzione, sì. Far vedere che era totalmente persa per gli incontri, non era proprio il caso. Avrebbe pensato che era pazza.
:-Emilie…Emilie…i combattenti di strada sono delinquenti. Potrebbero farti di tutto.- fece lui, fermandola. Le aveva posato con delicatezza una mano sulla bocca e probabilmente lei gli avrebbe lasciato l’impronta del suo lucidalabbra alla vaniglia sul palmo.
:-Ma tu non mi hai mai vista combattere! E questo è un grande vantaggio per me.- mosse la bocca sotto la sua mano; un brivido le percorse la spina dorsale. Volle credere che gli occhi di Steve fossero sbarrati per lo stesso motivo e non per quanto suonassero folli le sue parole.
:-Giusto…ma sei una ragazza…-
Suo malgrado dispiacendosi, Lili si divincolò dalla mano di Steve. Lui tentò di riafferrarla ma lei gli mise un piede sulla spalla e volò letteralmente, ritrovandosi alle sue spalle, gli mise la braccia al collo e, tremando non per ciò che aveva fatto ma per la vicinanza di Steve, gli sussurrò all’orecchio :-Saresti morto adesso.- Sentiva il profumo del suo dopobarba, del suo shampoo. Però, poi quando ,nel lasciarlo, il naso si avvicinò alla spalla, Lili notò un fatto che la terrorizzò: Steve non aveva odore. Non aveva calore umano.
Come diavolo…?
Lui si girò e la guardò talmente sconvolto che lei s’intenerì e quei pensieri di dileguarono. Avevano entrambi dei segreti. :-Ho imparato a difendermi, tutto qui, Stevie.- Nessuno li stava guardando. Nessuno si era accorto di nulla.
:-Capisco, Emilie.- disse lui, afferrando al volo ciò che lei intendeva dire.
:-Chiamami Lili.- ribatté lei, sorridendo. :-Non scapperai via come tutti gli altri vero?- chiese, e in quel momento sembrò proprio una bambina terrorizzata dall’aver rivelato un segreto pericoloso ad un nuovo potenziale amichetto.
Steve sorrise. :-No. Non scapperò. Magari mi vedrai più spesso a casa tua.- le sue guance bianche non arrossirono ma parve imbarazzato comunque. Lili pensò che i loro occhi brillavano allo stesso modo.
Quattro giorni dopo, Steve Fox bussò alla porta della villa di Emilie.


ANgolo Autrice
Bonjour! **
Ho aggiornato yeah! XD
Ho anche un altro capitolo nella pentola ma è ancora incompleto xD
Vi piace questo? U.U Lili e Steve hanno molto in comune e so che molte di voi lo vedete con Julia ma...non so perchè, mi piacciono xD
Beijinhos, Angel<3

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Prompt: Trappola infernale (o paradisiaca? Ops...) ***


L’Amore e' Femmina.


Prompt: Trappola infernale (o paradisiaca? Ops…)
Personaggi: Devil Jin/ Angel
Ambientazione: Tekken Tag Tournament 2

Quello che vuoi
Se non ce l'hai
Siamo tutti insoddisfatti,
Come mai?

Femmina, se non riceve non si dà
Lalala la la la



Angel era seduta sulla riva del fiume da almeno mezz’ora. Nell’acqua cristallina, una donna dall’età indefinita ricambiò l’occhiata. Se fosse stata una donna vera, quello sguardo l’avrebbe fatta ridere: proprio di una moglie che sopporta il marito in silenzio e che confida quant’è seccata all’amica solo con gli occhi.
“Mi devono fare santa”, avrebbe detto una donna così.
Ma Angel era -non una santa- ma un angelo.
La definizione, l’essenza, la personificazione del Bene…allora perché aveva quello sguardo? Appena formulò quel pensiero, la calma la invase e lei si sentì subito meglio. Aveva ancora la forza di sopportarlo; probabilmente per ancora un bel po’. Cercò di escludere il suono delle sue parole rabbiose, come se stesse dentro una campana; purtroppo fu un tentativo totalmente inutile.
La sua voce potente e profonda (una voce che si adattava benissimo al suo carattere) le arrivava fin dentro l’animo: la faceva rabbrividire letteralmente.
Rimase con lo sguardo fisso sul proprio volto riflesso nell’acqua. Alle sue spalle, il suono del frusciare delle scarpe sull’erba tenera.
:-Questo stupido Torneo è una farsa degli umani!- Angel chiuse gli occhi. Concentrati sul fiume. Il resto è nulla, non esiste. :-Eppure avevo visto Ogre e quell’altro …devono essere qui. E allora mi prenderò tutto quanto!- Non sta parlando. E’un rospo che gracida. Lui non è qui.
:-E tu cosa stai facendo ancora lì? Andiamo?- Angel tremò (una parte di lei si vergognava di essere toccata così nel profondo…l’altra provava compassione per lui). Dato che l’odio non è sentimento angelico –e Angel non avrebbe mai risposto sconvenientemente a chicchessia- si rialzò, zitta zitta e calma calma, obbedendo suo malgrado.
Quell’altro…la sua antitesi, la quintessenza del Male.
Il suolo si sdoppiò in un modo assurdo, una fitta la colpì alla testa e lei si portò una mano alla fronte, come se potesse fermale quel dolore. No, non poteva: solo pensare a Devil le faceva male fisicamente…figurarsi psicologicamente. Dentro al cuore, sentiva un vuoto pressante che, come un buco nero, divorava tutta la luce e il calore e la serenità. Gli occhi le si riempirono di lacrime e il boschetto divenne sfocato, con i colori mischiati tra di loro –verde e marrone e azzurro e sabbia.
:-Cosa ti prende?- Angel batté le palpebre e tutto tornò normale. Lui la stava guardando, un sopracciglio inarcato, gli occhi bianchi (con quel bagliore verde-grigio che le ricordava così tanto Jin) fissi nei suoi. Lei scosse la testa.
:-Nulla.- rispose con la voce bassa. Lui le lanciò un’altra occhiata –preoccupata? Scocciata? Indifferente?- prima di voltarle le spalle e addentrarsi nel boschetto, lì dove i raggi del sole non riuscivano a filtrare nella fitta maglia delle chiome degli alberi. Angel si girò un’ultima volta verso la parte del bosco soleggiata e si avviò nel buio.
:-Ci sono delle orme qui.- disse, la voce priva di inflessioni. Sembrava avesse detto “Le macchine sono parcheggiate”. Lui (Angel stava ancora cercando di ignorarlo, di non mettere assieme le parole “Devil” e “Jin”) si voltò con tanta foga che le ali sbatterono contro il tronco di un albero. Delle piume nere volteggiarono nell’aria. Angel le guardò affranta.
Il demone (non sapeva se fosse appropriato il termine) s’inginocchiò davanti alle orme. Il suo viso s’illuminò di una gioia selvaggia –era magnifico, e Dio solo sapeva quanto l’addolorava ammetterlo. :-Sono di Ogre, sono sicuro.- esclamò e, quando si rialzò –contando le corna la superava di due o tre centimetri in altezza- le rivolse un’altra occhiata indecifrabile. :-Non sei contenta?- chiese, come se fosse la cosa più ovvia del mondo ballare per aver trovato delle impronte di un mostro come Ogre.
:-Mi è indifferente.- rispose Angel, scrollando le spalle. Fin quando ci riusciva, adottare la tattica dell’imperturbabilità era la scelta migliore. Per esperienza, sapeva che non sarebbe durata molto.
:-Puoi anche andartene. Non ho bisogno di te.- ribatté lui, calmo. Angel, però, lo temeva di più quand’era calmo che quand’era arrabbiato. Sottomettersi non era cosa da fare in ogni caso.
:-Non posso andarmene.-
:-Smettila di comportarti da umana stupida e seguimi.- tagliò corto il demone. Era davvero gentilissimo! Trasse un profondo respiro e seguì il sentiero lasciato dalle orme. Non gli avrebbe dato nessuna soddisfazione: non lo avrebbe aiutato nei combattimenti con nessuno delle due…creature, ecco. Non gli avrebbe fatto sapere quanto l’avesse colpita con quella sua potenza. Né delle lacrime che aveva versato –non per lui, ma per l’anima che aveva guastato. Così magari avrebbe smesso d’insultarla.
Un fruscio d’ali li bloccò. Angel sperò che fosse Ogre ma, giunti alla radura, non trovarono niente. Qualunque cosa fosse era volata via. Angel arrischiò un’occhiata a…(Devil Jin): aveva un’espressione annoiata. :-Quant’ancora dovrò aspettare?- domandò a nessuno in particolare. Sembrava un bambino capriccioso. Voleva il potere e lo doveva avere. Non si rendeva proprio conto di quali altre cose ci fossero d’importante da volere.
(Devil Jin) era nervoso: si aspettava che il Torneo fosse come un banchetto tutto ben servito solamente per lui. Invece…si era ritrovato a cercare un po’di mangiare lungo la via, a stomaco vuoto.
:-Che fame…- mormorò, avanti a lei. Angel non avvertiva i bisogni umani; lui sì. Si concesse un sorrisetto per quella sparuta vittoria; poi se ne pentì subito. Era proprio vero quel detto... come faceva?...a stare con lo zoppo s’impara a zoppicare. :-Non hai nulla da mangiare…- (Devil Jin) non chiedeva: ordinava. Angel non rispose. Doveva imparare la gentilezza se voleva qualcosa da lei. E poi, già la stava facendo innervosire, lui e quel potere!...Pensò a delle cose belle (il viso di Jun Kazama pieno di gratitudine per essere stata salvata; il cielo sereno sgombro di nuvole; il mare baciato dal sole al tramonto; persone che si aiutavano tra di loro; il mondo in pace)…si calmò immediatamente.
Lui si voltò. :-Allora?-
:-Chiedimelo per favore, non ti costa niente.- ribatté Angel, alzando gli occhi azzurri su di lui.
:-Per favore?- ripeté (Devil Jin), manco gli avessero chiesto di mangiare carne umana –probabilmente l’avrebbe fatto…; di nuovo, la sua voce la scosse dentro.
:-Per favore.- affermò Angel, nascondendo il tremore della voce.
:-Mi stai sfidando…- Eccolo: già il modo in cui si era posto le faceva presumere un possibile attacco. Aveva abbassato un po’la testa, come facevano i tori per mostrare bene quanto male potessero fare quelle corna.
:-Non ti sto sfidando, non essere sciocco.- la sua voce era ferma ma al contempo calma, come si usa con gli animali inferociti o spaventati. In questo caso, il primo esempio era migliore. Lui le rivolse un ghigno sprezzante e le diede le spalle.
:-Molto bene. Non ho tempo per le tue faccende angeliche, in questo Torneo sei costretta a fare quello che dico io. Non…- a quel punto si fermò, ed Angel finì per sbattergli contro. Le sue ali erano morbide come…(Dio la perdonasse)…il Paradiso, la stessa consistenza di quelle di Angel. Una scarica di energia si sprigionò da quel contatto. (Devil Jin) si allontanò di scatto, poi si voltò. :-Sta più attenta!- sibilò.
Angel era contenta di aver risparmiato una qualsiasi altra persona dalla sua volubilità.
Il giorno prima, ad esempio, lei era caduta, impigliandosi un’ala. Lui l’aveva liberata e l’aveva persino sollevata senza alcuno sforzo, come se fosse stata una piuma -ignorando l’odore di ozono che si sprigionava dalla pelle corrosa dall’essenza stessa di lei (Angel ricordava benissimo lo strazio che l’aveva assalita nel sentire le sue braccia calde e forti prenderla). Ovviamente, era guarito subito ma quel contatto così prolungato e così stretto l’aveva indebolito. Adesso, invece, la stava trattando in modo intollerabile, la teneva a distanza e le ringhiava contro come se fosse qualcosa di incredibilmente rivoltante.
Era assurdo.
Se fosse stata un’umana, non sapeva come si sarebbe comportata; d’altronde, lei era un angelo e non pensava che (Devil Jin) si sarebbe mai arrischiato a provocarla. Un umano non poteva nulla contro di lui. Tirò un sospiro di sollievo per ciò che gli altri partecipanti non stavano subendo.
:-Ripeto: non provare a placarmi. Non diventerò mai come te.- Angel gli sorrise –un sorriso dolce, gentile e luminoso. Per aver detto una cosa del genere significava che stava iniziando a temerla. Iniziava a capire quanto fosse potente; diversa da lui, i suoi poteri erano impliciti, come le onde del mare sullo scoglio, lenti ma implacabili, erodevano il male inesorabilmente. Se l’avesse “ferito”, non avrebbe avuto scampo.
Negli occhi di (Devil Jin) balenò un lampo di consapevolezza. Come suo solito, però, la sottovalutò e, ignorandola, ripeté :-Ho fame…il primo umano che incontro…- Angel sorrise di nuovo, le scappò quasi una risata.
Diceva sempre così: poi, quando veramente avevano incontrato degli umani -ed Angel aveva avuto i conati di vomito dal dolore per quei poveri innocenti- lui aveva serrato i pugni e ,dallo sforzo, gli tremavano; poi aveva spiccato il volo, prendendo la direzione opposta di quella degli altri partecipanti al Torneo. Quando Angel lo aveva raggiunto, suo malgrado preoccupata, lui non le aveva rivolto la parola e le aveva ringhiato letteralmente contro quando lei aveva provato ad elogiare il suo comportamento.
:-Sono giorni che non mangio. E sono giorni che cerco Ogre…- menò un pugno ad un albero che venne sbalzato via. Meglio farlo sfogare. :-Sei ancora viva?- escalmò.
Prima che potesse rispondere, il vento si fece più forte, portando un odore nauseabondo. Angel non mangiava ma il profumo di carne era piuttosto sgradito al suo naso. (Devil Jin) si lanciò verso la pista, sparendo dal suo campo visivo. Perlomeno un desiderio è stato esaudito..
:-Ne vuoi?- la voce le giunse leggermente strana. Angel arricciò il naso: non voleva vederlo mangiare.
:-No, grazie. Potresti sciacquarti dopo mangiato, per favore?- Le si stava rivoltando lo stomaco. Qualche minuto dopo, lo sentì sussurrare :-Dove ti sei nascosta?- Angel si sentì immediatamente meglio: l’umore di (Devil Jin) era nettamente migliorato. Le rivolse un sorriso quando la vide –evidentemente la carne era stata particolarmente buona. Angel si sentì di nuovo assalire dalle ondate di dolore.
Perché l’anima e il corpo di quel ragazzo dovevano essere controllate da uno spirito così…Angel avrebbe voluto dire “malvagio” ma purtroppo non riusciva a pensarlo.
Non era malvagio.
Era lunatico, arrogante, presuntuoso, orgoglioso, e decisamente sapeva ammaliarla. Da una parte era il fatto che il suo sangue angelico la spingeva ad “ammansire” il Gene Devil; dall’altra era la semplice interazione, diciamo così, tra loro due. La faceva davvero innervosire a volte: persino la sua sopportazione così sovrannaturale veniva messa a dura prova, veniva tesa al massimo, una corda in procinto di spezzarsi.
Eppure non voleva eliminarlo.
Nel momento in cui se ne rese conto, nella parte più lucida della sua mente trillò un campanellino rosso d’allarme.
Non avrebbe dovuto lasciarsi trascinare così.
Non avrebbe dovuto lasciare che la sua bontà diventasse il suo punto debole; questo era il problema con (Devil Jin). Non era totalmente dominato dal Gene Devil. Solo allora Angel comprese. Nel corpo di Jin risiedeva un filo di Gene Angel: era per questo che non si trasformava completamente.
Era per questo che era dannatamente volubile.
Era per questo che Angel si sentiva così attratta da lui: era il suo opposto ma non completamente. Il Male che lo avvolgeva in volute scure aveva un cuore di Bene. Lui credeva di essere il demone più potente nell’Universo, ma non sapeva che era così proprio perché non era completamente un demone. (Devil Jin) spalancò le ali –ali che qualsiasi essere avrebbe invidiato e lui lo sapeva bene: le metteva sempre in mostra- e, mentre si preparava a spiccare il volo, disse :-Ho sentito Ogre! Andiamo, forza!- Non “Credo di aver sentito Ogre” ma “Ho sentito Ogre”. Era così sicuro di sé…
Ed Angel ci era cascata. Adesso sarebbe stata costretta a lottare con lui, e non contro di lui. Adesso, fin quando (Devil Jin) non l’avesse mandata al Creatore, lei gli sarebbe rimasta accanto.
Calò una pesante cappa di tristezza su di lei. I suoi doveri angelici la stavano mettendo in allarme: stava tradendo una promessa. Eppure, non era mai stata così eccitata in vita sua.
Per quel giorno –o forse per tutto quel Torneo- non avrebbe estirpato il Gene Devil dal corpo del figlio di Jun Kazama.


Angolo Autrice
"Se fosse stata un'umana, non avrebbe saputo come comportarsi"...Io xD
Allora, per prima cosa voglio specificare il mio odio più assoluto verso qualsiasi paring (Devil)Jinx u.u Soprattutto verso una tizia che si chiama come me. Cioè, sono io l'unica Angel, chi è questa impostora?!ò.ò
XD
Ora che ho finito con le mie sciocchezze, passiamo al commentare il capitolo. Non vedevo l'ora di scrivere qualcosa su Devil Jin ed Angel! Ho cercato di delineare la personalità di lei proprio come me la immagino: dolce, determinata, abbastanza buona da cadere nelle trappole sentimentali, prova dolore alla vista o al pensiero del male in qualsiasi forma. Ovviamente, anche lei ha un limite alla pazienza ma riesce a calmarsi immediatamente.
In fondo, è il Bene ^_-
E Devil Jin? Il tizio ci confonde xD cioè, lessi da qualche parte che probabilmente (nulla di confermato) Jin aveva nelle vene un po'di gene Angel (stile Asuka, va' per intenderci) ed era per questo che non si trasformava completamente come Kazuya...
Ora, ovviamente è solamente una teoria ma mi piace u.u e poi a chi piace il cattivo insensibile? -ò- E'monotono. Invece Devil Jin è tutt'altro che noioso =ç=
Spero vi piaccia dato che è la prima volta che scrivo su Angel .ò. e dal suo POV! XD
Besitos, Angel <3

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Prompt: Red Martini ***


L’Amore e' Femmina.


Prompt: Red Martini/ Uno come me
Personaggi: Nina Williams
Ambientazione: post-Tekken 5 DR



Ma che caldo fa
Confesserò che
No mi perdo niente
Davvero
Ho immaginato noi due
Solo col pensiero





Nina fece roteare il bicchiere, il perfetto cerchio di Martini Rosso al suo interno si deformò, diventando un ovale e lasciando una traccia di liquido bordeaux sul vetro cristallino del boccale. Avrebbe potuto optare per un più patriottico Irish Coffee (trovandosi nell’unico Irish Pub di Tokyo), ma lei non era tipo da whiskey.
Il pub non era niente male, pur essendo una squallida copia di quelli che si trovavano a Dublino. Nina sospirò, prese un sorso di Martini e ripose il bicchiere con la traccia del suo rossetto sul bancone.
Il quinto Torneo l’aveva lasciata soddisfatta, certo: aveva battuto Anna.
E poi?
Nina ripensò più a fondo all’unico avversario che le aveva dato filo da torcere: aveva due occhi di ghiaccio -letteralmente parlando- e totalmente vuoti.
Sembrava un fantoccio, un robot fatto ad arte vestito da umano.
Era peggio di lei.
Peggio perché non mostrava alcun sentimento, non parlava, non faceva gesti che lasciassero intendere cosa volesse. Con gli anni, Nina aveva imparato a diventare un’assassina impeccabile ma mai e poi mai avrebbe immaginato di trovarsi uno che, almeno su quel campo, la battesse così duramente.
Riflettendoci meglio, erano simili, molto simili. Entrambi erano spietati, entrambi erano i migliori sulla piazza.
Ora Nina non uccideva per nessuno, quindi si stava godendo quel piccolo spaccato di relax che non le era mai concesso.
Ancora, i suoi pensieri tornarono al sergente. Sapeva il suo nome –era un’ottima investigatrice- e sapeva anche dove e per chi lavorasse.
Non sapeva perché il tipo non voleva proprio andarsene dalla sua testa: in fondo avevano combattuto e nessuno dei due aveva avuto la meglio sull’altro, così avevano deciso di continuare per le loro strade, ignorandosi bellamente.
Eppure Nina aveva avuto la sensazione di non essergli poi tanto indifferente. Forse anche lui aveva pensato le stesse cose che stava pensando lei: erano due pezzi di ghiaccio in una landa di fuoco.
Due insensibili fermi immobili che osservavano distrattamente la vita degli altri così piena di emozioni, un torrente di sensazioni che si riversava su di loro senza bagnarli.
Pochi mesi fa, Nina aveva saputo di avere un figlio; ogni donna dovrebbe provare qualcosa nell’apprendere questa notizia…lei no. Era rimasta immobile, mentre il suo cuore continuava a battere tranquillo.
Aveva assimilato il fatto così come si assimilano le previsioni del tempo. Ah, piove domani. Prenderò l’ombrello, allora, amico, qual è il tuo problema, eh?
La vita va avanti e Nina era come un fiume che scorre in una landa. Accade di tutto, lì nella landa, ma a lei cosa importa? Continuerà a seguire il suo corso. Magari sfocerà in un mare, chi lo sa?
Il sergente si chiamava Dragunov e lavorava per la SPETSNAZ. Aveva anche un soprannome: L’Angelo Bianco della Morte. Evidentemente era molto conosciuto e temuto, pensò Nina.
Osservò la gente che entrava nel pub: uomini single sulla trentina che lanciavano occhiate ovunque per individuare una donna single –magari sulla trentina; famiglie con bimbi piccoli che cercavano di afferrare con le manine paffute i quadrifogli di cartone verde brillante appesi al soffitto; adolescenti pieni di vita che saltellavano qua e là in attesa di una falsa esperienza irlandese; vecchi nostalgici, e chi più ne può, più ne metta.
Chiunque poteva trovare un po’di tranquillità in un pub e, perché no, una sbronza per dimenticare il motivo per il quale sei entrato in quel posto.
Nina prese di mira una coppia che si era seduta su un divanetto poco distante dallo sgabello sul quale si era seduta. Lei era incinta. Anche Nina era stata incinta? Non lo sapeva; non le interessava più di tanto.
Lei e Dragunov sarebbero stati una bella coppia odiata da tutti. Le scappò quasi una risatina. Odiati da tutti. Ma lei non aveva mai desiderato l’ammirazione, non era così?
Prese un altro sorso di Martini Rosso, alzando il gomito appena in tempo per evitare lo straccio passato furiosamente per tutto il bancone dalla mano di un barista annoiato. Tanto il bancone sarà sempre sporco…
E perché mai Nina stava pensando a fare coppietta con Dragunov? Per vedere a chi fa meglio al tiro al bersaglio? Per essere rassicurata dal fatto che nemmeno il più insensibile degli assassini poteva resisterle? Certo che nessuno poteva resisterle; e certo che lei e Dragunov erano due mostri al tiro al bersaglio. Si stava solo trastullando all’idea dell’effetto che avrebbe potuto fare avere al proprio fianco uno come lei.
Il bicchiere era vuoto; era ora di alzarsi.
Il momento di relax e di pensieri liberi era finito. Adesso Nina avrebbe dovuto aspettare una chiamata, ed era certa che sarebbe arrivata.



Angolo Autrice
Questa one-shot è più come la seconda: introspettiva, e Dragunov non fa comparsa. Sono semplicemente i pensieri di Nina. E'che sinceramente nessuno dei due fa grandi slanci d'affetto x° e non conoscendosi, non penso che si sarebbero parlati o che...quindi ho preferito far "riflettere" alla sola Nina.
Non credete che il pezzo della canzone sia perfetto?**
Bhe, grazie a chi mi ha recensita!!!!*Q* Siete sempre molto gentili ç_ç
Besitos, Angel <3

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Prompt: La parola dei nonni ***


L’Amore e' Femmina.



Prompt: La parola dei nonni
Personaggi: Eddy Gordo/ Christie Monteiro
Ambientazione: pre Tekken 4


L’amore è femmina
Se non riceve non si da
La prendo comoda
Calcolo le possibilità



Quella giornata, il sole era alto nel cielo azzurro e sereno; splendeva e scaldava il mare cristallino, faceva scottare la sabbia sotto i piedi dei bagnanti e prometteva un’estate all’insegna del bikini il più ridotto possibile.
I raggi filtravano dalla veneziana e Christie Monteiro si svegliò sorridendo: compiva diciannove anni e aveva qualcuno con cui festeggiarli (il povero nonno ormai era in prigione e lei avrebbe potuto vederlo solo attraverso le sbarre).
Così balzò giù dal letto, scaldò il latte di corsa (si bruciò anche le dita) e mangiò tre biscotti al cioccolato, quelli buoni ripieni di Mabel* –erano i suoi preferiti e se ne fregava se facevano ingrassare. Appena ebbe finito di bere l’ultimo sorso di caffellatte, andò in bagno a farsi una doccia e lavarsi i denti.
Voleva fare in fretta, molto in fretta.
Diede un’occhiata fuori dalla finestra: per esperienza sapeva che la cosa migliore da indossare erano gli shorts di jeans. Si vestì in fretta, le mani che le tremavano dall’eccitazione.
Non vedeva l’ora di correre all’allenamento: non vedeva Eddy da ieri e non sapeva se le aveva preparato una sorpresa (per i suoi diciotto anni l’aveva portata al Carnevale di Rio e lei si era divertita da pazzi: aveva persino ballato su uno degli enormi carri addobbati di frange, con grandissimo disappunto di lui).
Okay, magari i diciannove non erano grandiosi come i diciotto e nessuno ti faceva le feste, però…la speranza è l’ultima a morire, e Christie Monteiro ancora non sapeva quanto quella frase sarebbe diventata il suo motto negli anni a venire.
Christie adorava l’energia del Brasile, sembrava che ti arrivasse fin dentro le vene fino a farle scoppiare. Adorava molto meno le favelas e il fatto che lo Stato non avesse ancora risolto nulla.
Arrivò alla palestra minuscola lasciatale dal nonno, diventata ormai il posto dove lei ed Eddy si allenavano. :-Eddy! Eddy!- chiamò. I suoi occhi saettavano ovunque, alla sua ricerca.
Sicuramente era lì: la voleva far attendere. Aveva un regalo magnifico e lei doveva solo aspettare…
Con il cuore in gola per l’emozione, Christie mosse un passo in avanti, il sandalo non sollevò nemmeno un briciolo di polvere; un anno e mezzo fa, poco dopo l’arrivo di Eddy, Christie si era data da fare per pulire quel posto, lasciato in condizioni a dir poco pietose. Ora era perfetto, la vita di Christie (a parte il nonno…) era perfetta e quel giorno lo sarebbe stato ancor di più.
La ragazza avanzò, respirando l’aria che sapeva di sudore e detersivo. Gli allenamenti duravano molto e, dato il caldo, lei ed Eddy sudavano moltissimo.
Avevano piazzato dei ventilatori da azionare prima del riscaldamento; facevano ben poco comunque: Christie sentiva già la pelle del viso umida e si passò una mano sulla fronte.
Poi qualcuno cantò.
:- Parabéns pra você,
nesta data querida,
muita felicidade,
muitos anos de vida!
- “Tanti auguri a te, in questa data amata, molta felicità, molti anni di vita” Christie si voltò di scatto, con il cuore che scoppiava di gioia.
Batté le mani nel vedere Eddy tutto in ghingheri: era davvero affascinante, con quella pelle scura e tonica, i dread (che Christie sapeva essere bellissimi riccioletti; dannazione che Eddy non si decideva a lasciarli liberi) legati in una coda. Sapeva che la canzone aveva un seguito e si portò le mani al cuore nella speranza che lui continuasse…
:- Com quem será?
Com quem será?
Com quem será que a Christie vai casar?
- “Con chi sarà che Christie si sposerà?” Intonò Eddy con la sua voce profonda e quieta. Lei rise di cuore: sapeva chi avrebbe voluto che fosse a sposarla: era lì, di fronte a lei.
:-Oh, Eddy!- saltellò e poi fece una corsa, buttandosi dritta dritta tra le braccia forti del ragazzo.
:-Tanti auguri, querida. Il nonno sarà orgoglioso di te.- Christie annuì.
Non vedeva l’ora che il nonno uscisse di prigione e tornasse con loro…in fondo al cuore, Christie si augurava che il nonno desse loro la sua benedizione.
:-Ci alleneremo oggi?- chiese lei, alzando la testa verso Eddy. Da qualche tempo a quella parte, non riusciva più a fissarlo negli occhi come agli inizi della loro conoscenza e questo la imbarazzava. E se Eddy avesse capito tutto? Sarebbe stato davvero vergognoso…
:-Sì, Christie…più tardi. Ora dovresti festeggiare il tuo compleanno. Vuoi allenarti comunque?- studiò i suoi vestiti; certo che non era adatta ad un allenamento…avrebbe dovuti pensarci prima, ma era scesa senza nemmeno pensarci.
Così, aveva indossato le prime cose che le sue mani avevano toccato nell’armadio: shorts di jeans, t-shirt e sandali.
Non aveva neppure legato i capelli. Però, ne era segretamente contenta: profumavano ancora del suo shampoo preferito (a noce e cacao, quant’era patriottica) ed erano morbidi e lucenti; insomma, non poteva fare a meno di passarci le dita e scuoterli un po’.
Il messaggio era chiaro: avanti, Eddy, fammi un complimento che non me ne fai mai.
Ma Eddy sembrava essere immune ai suoi richiami. Poi tirò fuori una benda dalla tasca dei suoi pantaloni e, dopo averla girata, le disse :-So che ti fidi di me e che mi seguirai.-
Christie non poté evitare di ridacchiare. Eddy la conosceva troppo bene: sapeva che l’avrebbe seguito in capo al mondo.
E lei?
Poteva dire lo stesso, lei, di Eddy? Conosceva ogni lato del suo carattere? L’avrebbe seguita in capo al mondo o no? Christie si morse un labbro.
La verità era che non lo sapeva.
La verità era che, di fronte a sé, aveva uno sconosciuto. Ok, stava esagerando. Diciamo che aveva davanti un ragazzo che sapeva fare molto bene la parte del figo misterioso.
:-Dove mi porti?- chiese, sforzandosi di sorridere. Le era un po’passata l’allegria; sperava di recuperarla in fretta.
:-Non te lo dico. Che sorpresa è, altrimenti?- La prese per mano e la guidò per ore nel buio.
Quando finalmente le sciolse la benda e i suoi occhi tornarono a vedere, le mani di Christie corsero alla bocca spalancata. Il cielo era terso e perfetto, non c’è nessuna prigione alle sue spalle. Era la sua vecchia casa, splendida ed immersa nel verde.
Era un miraggio.
Il nonno, lì. Che camminava, insomma. Un po’caracollando, però…
Christie corse verso il nonno, lanciando un urletto, e lo abbracciò delicatamente, le lacrime che le inondavano le guance.
Il nonno le diede qualche pacca sulla schiena –aveva decisamente perso la forza di una volta :-Sei diventata proprio una signorina. Non hai più bisogno del tuo vecchio.- le disse all’orecchio.
Christie scosse con forza la testa. :-Ma che dici, nonno. Avrò sempre bisogno di te.- La voce le tremava ma lei si sforzò di controllarla. Quando il nonno la lasciò, lei si sentì come se la terra le mancasse sotto i piedi.
Era ancora una bambina.
Aveva ancora bisogno dei due uomini della sua vita per stare bene. Il nonno ed Eddy, insieme. Si asciugò le lacrime, nel vederli l’uno affianco all’altro, e sorrise. Erano proprio una bella famiglia.
:-Eddy, querido. Muito obrigado. Non ti ringrazierò mai abbastanza per aver protetto Christie in questi anni.- gli brillavano gli occhi, notò Christie.
Il suo sguardo stanco, con le borse sotto agli occhi e tantissime rughe che parevano una ragnatela, passava da lei ad Eddy e le sue labbra raggrinzite cercavano di restare dritte ma inevitabilmente si curvavano in un sorriso.
Aveva visto quello che anche Christie aveva visto. Eddy era l’uomo ideale per lei. E allora perché non si decideva a farsi avanti?
Maschi. A qualsiasi età hanno sempre bisogno di essere imboccati col cucchiaino.
Il nonno trasse un profondo respiro :-Eddy, Christie.- disse :-vorrei darvi la mia benedizione. Mettetevi di fronte a me, uno di fianco l’altro.- Christie si emozionò e lanciò un’occhiata ad Eddy. Anche lui pareva molto emozionato; sorpreso, soprattutto. Credeva forse che il nonno non avesse capito che la sua nipotina era ormai una giovane donna? Meu Deus do cèul.
Il nonno posò la mano sulla fronte prima di Christie, poi di Eddy, mormorando la benedizione
:- Senhor Deus, Pai de todos nós, derramai, pelo Vosso Espírito de amor, todas as bênçãos necessárias para a nossa família aqui reunida, para gue cada um de nós cumpra a sua missão, seguindo o Vosso plano de amor para o bem de todos.
Senhor, que nossa família assim abençoada seja uma verdadeira imagem da Vossa Trindade, na unidade, na ação, e na vida em comum.
Amém.
Jesus, Maria e José, iluminai a vida do nosso lar!
-
Persino all’anziano signore –forte come il ferro- scappò una lacrimuccia.
“Signore Dio, padre di tutti noi, per il Vostro Spirito d’amore dacci tutte le benedizione necessarie per la nostra famiglia qui riunita in modo che ognuno di noi compia la sua missione, seguendo il Vostro piano d’amore per il bene di tutti.
Signore, che la nostra famiglia cosi benedetta sia una vera immagine della vostra Trinità, nell’essere uniti, nelle azione e nella vita comune.
Amen.
Gesù, Giuseppe e Maria illuminate la vita della nostra casa.”
Sebbene Christie non fosse una assidua frequentatrice della chiesa, accettava con gioia le parole del nonno; per lei era molto importante che fosse lui, la persona che l’aveva cresciuta, ad augurarle la felicità con Eddy.
Entrambi rialzarono la testa. Eddy le strinse la mano
Christie non si sentiva affatto imbarazzata per quelle lacrime, anzi. Si sentiva libera. Libera di poter esprimere le proprie emozioni..
Proprio come ci si dovrebbe sentire in una vera famiglia.


Angolo Autrice
Questa one-shot doveva essere tutt'altro. Ma poi è diventata qualcosa di più "maturo", insomma, non trovo altra parola per descriverla. Più intima, più familiare.
Io sinceramente, come Christie (almeno qui xD), non frequento per nulla la chiesa ma se un mio caro mi dovesse benedire, accetterei con felicità.
Eddy...Eddy...ma come odio gli ending della Namco, davvero ò.ò
P.S. la MABEL è la marca di biscotti più amata dai brasiliani. XD Non è di mia invenzione!
Con questa, siamo giunti alla fine. Il prossimo capitolo sarà il finale. Grazie a tutti quelli che mi hanno recensita. Mi avete resa felicissima ç_ç
Beijinhos, Angel <3

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Prompt: Rocket Science ***


L’Amore e' Femmina.



Prompt: Rocket Science
Personaggi: Jane/ Gun Jack
Ambientazione: Tekken 3

Quello che vuoi
Se non ce l'hai
Siamo tutti insoddisfatti,
Come mai?

Femmina, se non riceve non si dà
Lalala la la la


Che cosa può mai volere un robot?, pensava la dottoressa Jane, mentre smanettava al computer. Facile, si disse. Un robot vuole essere –o, almeno, sembrare- …umano, no?
Lo stomaco brontolava, perciò, con gli occhi diventati rossi per le ore passate al computer, Jane decise che era venuta ora di fare una pausa.
Si passò una mano tra i capelli biondi, scompigliando ancor di più la già cedevole coda di cavallo. Stizzita, strappò via l’elastico, lasciando che i ciuffi biondi si riversassero sulle sue spalle come una cascata.
Nascose il viso tra le mani.
Non ci riusciva.
Aveva passato gli ultimi dieci schifosissimi anni a lavorare su Jack, eppure aveva clamorosamente fallito. Insomma, dieci anni sono un bel po’, eh? Soprattutto per una come lei. Una che non molla. Non ci voleva chissà che per far ritornare Jack come prima; aveva il modello là davanti, il grosso del lavoro era già stato fatto.
Forza, Jane. Sospirò, affranta.
Quando si alzò dalla sedia (sulla quale aveva passato le ultime ventisei ore, addormentandosi con la testa sulla scrivania e svegliandosi con un incredibile dolore al sedere), il pantalone le calò giù per i fianchi.
Jane lo risollevò accigliata.
Lavorare su Jack assorbiva ogni sua energia, ogni minuto e secondo delle sue giornate e Jane non aveva il tempo di un pranzo degno di tale nome. Sapeva che doveva avere un aspetto orribile: non dedicava più tante cure al suo corpo. Non era solo una questione di tempo: ne aveva proprio la voglia.
Voleva solo rivedere gli occhi di Jack aprirsi, ritrovare l’anima gentile e nobile di sempre.
Lei adesso era solo il mezzo; dopo, sarebbe stata il fine. Per lo meno, così sperava. Non era così difficile, su; doveva solo inserire il programma.
Il Dottor Boskonovitch ci era riuscito in pochissimo tempo; e lui era partito dall’inizio, da ogni singola vite e pezzo di metallo e sofisticatissimi congegni elettronici che costituivano ciò che era Jack.
Mentre gli ingranaggi della sua mente si mettevano efficientemente in moto per scovare ogni possibilità per resuscitare l’indole del robot, afferrò una bottiglina d’acqua lasciata lì da chissà quanto tempo e ne bevve un sorso.
Se ne pentì perché l’acqua sapeva di plastica ed era pure calda. Jane si asciugò la bocca con una mano, una smorfia sul viso. Che schifo. Aveva sempre odiato le bottigline d’acqua abbandonate a sé stesse.
Si rimise di nuovo all’opera. La dottoressa Jane incollò gli occhi allo schermo del computer. Erano passati due minuti e trentacinque secondi esatti .

Cosa può mai volere un robot? Facile. Un robot vuole essere –o, almeno, apparire- umano. Ecco cosa vuole un robot, signori e signore.
Dopo un mese da quella giornata fredda di ottobre, in Russia, seduta sulla solita sedia, davanti al solito monitor che ormai aveva reso il suo viso ancora più pallido, la dottoressa Jane (con la solita coda di cavallo in discesa come pure i pantaloni) esultò.
Aveva trovato ciò che le serviva: il file nascosto su una nuova arma, Gun Jack. L’evoluzione del Jack-2 che le aveva salvato la vita anni fa. Aveva otto anni, Gesù Cristo.
Quanti anni erano passati? Diciannove. Diciannove anni in cui il rullino dell’esplosione di Jack-2 si ripeteva nella sua abilissima testa di scienziata fino a sognarselo di notte.
Si voltò verso Jack, rinchiuso nella cabina con i vetri trasparenti illuminati dalle fievoli luci del neon mezzo fulminato. Gli sorrise, anche se non la poteva vedere.
Adesso che era arrivato il momento, era talmente elettrizzata che voleva aspettare un altro po’. Il tempo di riprendersi. Una parte di sé aveva dannatamente paura che il programma sarebbe risultato un totale fallimento.
Avanti, Jane, non essere codarda, si disse, alzandosi dalla sedia. Installa questo programmino. Hai aspettato questo momento per dieci lunghissimi anni. Aveva otto anni quando Jack-2 l’aveva salvata; ora ne aveva ventisette. I battiti del suo cuore impazzito non accennarono a calmarsi ma Jane ora era sicura della sua scelta.
Aveva aspettato abbastanza; il bell’addormentato aveva dormito fin troppo. Era ora che la principessa lo svegliasse dal sonno (Jane aveva una passione per quel cartone animato della Disney; se poteva, faceva sempre qualche allusione).
Sospirando, installò il programma nel robot, smanettando al computer. Cliccò i tasti sbagliati; s’impose di calmarsi. Respirò profondamente e rimase ferma, con le dita sospese sulla tastiera.
Quando si sentì pronta, ripartì. Quella era la fase cruciale: non poteva permettersi di sbagliare.
Finì. Cliccò su “Start” e attese il completamento del processo. Nel momento in cui sul display apparve la scritta "Data has been transferred” (le gambe di Jane erano troppo molli perché lei riuscisse ad alzarsi), gli occhi di Jack brillarono.
Quello era il momento che Jane aveva sognato per dieci anni, immaginando ogni volta una scena diversa. Adesso era sicura che la scena più bella sarebbe stata proprio quella che stava vivendo.
:-Jack.- riuscì a mormorare. La porta scorrevole della cabina scivolò verso l’interno della stessa e Jack poté uscire. Dio solo sapeva come Jane trovò la forza per alzarsi e raggiungere Jack. Superò la scrivania lentamente, sorreggendosi con le mani. Dovette alzare lo sguardo per poterlo guardare negli occhi; si sentiva ancora la bambina che era stata salvata anni fa.
:-Ciao, Jack.- sussurrò. E le parve di vedere un sorriso spuntare sul viso di quel robot così umano.



Angolo Autrice
Giorno gente!*___*
E'conclusa anche questa!*Q* Ovviamente, non potevo che concludere con Jane e Jack, una coppia che adoro da sempre (pensate, finii la storia di Jack-5 il 14 febbraio xD)
Ho cercato di far capire come il lavoro assorbisse ogni molecole del corpo di Jane; come lei fosse desiderosa di vedere Jack sveglio.
Sono Lars e Alisa al contrario!*Q*
Adorabili.
Ringrazio tantissimo Orsacchiotta Potta Potta per avermi SEMPRE recensita (marò che lavoraccio xD). Lady Phoenix e Rosie Bon Jovie per avermi recensita in quasi tutti i capitoli in maniera davvero entusiasta.
Grazie ragazze. E'soprattutto a voi che dedico questa raccolta <3
Petò molt grand, Angel <3

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1192794