La strada per Alyria

di AvKeldur
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Astil ***
Capitolo 2: *** Tristi ricordi ***
Capitolo 3: *** Una sfida silente ***
Capitolo 4: *** Il Torneo ha inizio ***
Capitolo 5: *** Una facile vittoria ***
Capitolo 6: *** Incontri a sorpresa ***
Capitolo 7: *** Tra sogno e realtà ***



Capitolo 1
*** Astil ***


La gente accorreva festosa sotto i raggi di un sole splendente, altissimo come ad ogni mezzodì e senza nuvole. Come un fiume in piena che sfocia impetuoso sul mare in tempesta, gente da ogni villaggio, Contea ed angolo della Terra degli Uomini varcava senza sosta i quattro cancelli di Astil, alti e resistenti come in nessun’altra città dei due Regni. Una selva di chiome nere e castane invadeva le ampie strade dell’immensa metropoli, diretta in gran parte alla piazza maggiore.

Tra le strade più affollate e nelle piazze principali numerose uniformi blu spiccavano in mezzo alla folla. Gruppetti di ragazze gli ronzavano intorno, attratte ognuna dal fascino della divisa e dalla risolutezza di chi fieramente la indossava. Era sempre lo stesso copione quando i giovani Cadetti dell’Accademia visitavano la capitale: non appena la voce del loro arrivo si spargeva, grandi file di loro coetanee scendevano in strada sperando di vederli, conoscerli, magari poterli attrarre; e i Cadetti prontamente ne approfittavano, vantandosi delle proprie abilità di combattenti. Anche se non tutti in realtà potevano davvero permetterselo.

Poco distante dalla grande macchia blu che costituiva i Cadetti, un giovane anch’esso in divisa se ne stava in disparte. I suoi occhi cangianti, intrisi di un verde tanto raro quanto vago e misterioso, scrutavano silenti tutt’intorno, incapaci di celare fastidio, disappunto e impazienza. Sentimenti che il loro portatore ormai conosceva fin troppo bene.

Ogni anno la stessa storia.

Karil non si era mai davvero sentito parte del gruppo e in effetti neanche lo desiderava. Troppe cose li separavano, a cominciare dal proprio aspetto. Tutti robusti, gli altri, di media altezza, con scuri capelli castani ed occhi color ghiaccio o nocciola; lui, invece, completamente diverso. Era tra i più alti, nonostante la giovane età, e i suoi capelli chiari al punto da sfiorare il dorato. Ma le due cose che più lo rendevano diverso erano gli occhi e la corporatura. Nessuno in tutta Astil e in Accademia era così esile e slanciato, donne escluse, nemmeno alla sua età; così come nessuno aveva occhi cangianti come i suoi, ancor meno verdi.

Non gli era più difficile camminare tra la gente. Era conscio di quanti occhi fossero puntati su di lui ogni volta che visitava la città, ma ormai non se ne curava. Già da tempo aveva superato quel senso di vergogna che forse – lo sapeva – non avrebbe mai dovuto neanche provare. Di contro, rimase chiuso e quasi ostile verso gli altri, e ogni giorno la cosa peggiorava. Se lui non riusciva ad essere aperto verso i suoi compagni, neanche loro sembravano essere interessati ad avvicinarsi a lui. A Karil andava bene ma in fondo ne soffriva. Sapeva che avere degli amici gli avrebbe fatto bene ma non sapeva neanche da dove cominciare.

Passavano i minuti e il giovane camminava ancora in disparte. Non era affatto interessato a rendersi ridicolo davanti a un pubblico di ragazzine incoscienti e deboli al fascino meschino degli altri Cadetti. E neanche voleva mischiarsi a qualcuno come Amrin. Karil non lo sopportava ed era sempre stato così dal giorno in cui lo vide varcare per la prima volta i cancelli dell’Accademia. Già allora aveva un’irritante aria da saccente di cui in cinque anni non si era mai privato. Ogni occasione era buona per pavoneggiarsi ed elencare i nomi dei grandi esperti d’armi che gli avevano fatto da maestri, conquistando così l’amicizia di pochi ma fedeli Cadetti. Era anche il preferito degli insegnanti dell'Accademia ma Karil sapeva che ciò dipendeva da quanto e chi Amrin rappresentasse. Suo padre, Lamber, era uno dei Grandi Generali del Regno dell’Ovest ormai in pensione da diversi anni, nonché tra gli uomini più ricchi e influenti delle due Terre. Escludere Amrin dall’Accademia avrebbe significato ritrovarsi uno scomodo nemico come Lamber nell’immediato ed un altro, lo stesso Amrin, in futuro. Per questa ragione Amrin spadroneggiava tra i Cadetti come se fosse loro superiore ridicolizzando i più deboli. Uno su tutti proprio Karil. Da diverso tempo tra di loro vi era una faida tanto accesa quanto ormai chiara a tutti, e ogni occasione era sempre buona per bisticciare.

Karil sbruffò al pensiero di quante volte Amrin gli aveva procurato fastidi e dissapori. Decise quindi di concentrarsi su cosa i mercanti avevano da offrire, cercando di dimenticare l’odiato rivale.

<< Bella giornata, non è vero? >> disse una voce dietro di lui.

Riconoscendola come quella di Amrin, Karil si girò sprezzante. << Sì, è vero… >> rispose in tono amaro. << Ma lo sarebbe ancor di più, caro Amrin, se sparissi dalla mia vista, almeno finché non saremo tornati in Accademia.>>

<< Suvvia! Non ce l’avrai ancora con me per ieri mattina, spero. Era soltanto una rana, mica un serpente! E poi è saltata fuori dal tuo stivale prima che tu lo indossassi. Dovresti ritenerti fortunato. >>

<< Ah sì? >> disse Karil incarognito. << E del pepe che hai messo nella mia brocca dell’acqua, te ne sei dimenticato? E’ bastato soltanto l’odore. Per colpa tua non ho smesso di starnutire, lacrimare e tossire per almeno mezzora. Anche di questo dovrei ritenermi fortunato? >>

<< Ma certamente, Stuzzicadenti! Avresti potuto bagnarti prima di capire che dentro la brocca c’era ben mezzo etto di pepe. Altro che minuti! Chi sa quante ore ti ci sarebbero volute per rimetterti in forze. Non che tu ne abbia già tanta, di forza! >> . Amrin scoppiò a ridere, dando una pacca sulla spalla all’irritato Karil. << Cosa c’è? Non accetti forse che sia io il migliore? Povero sciocco! Solo perché sei l’eterno secondo non vuol dire che tu sia bravo. Sei soltanto meglio di tutti gli altri, niente di più! >>

Mentre Amrin rideva ancor più forte di prima, Karil strinse i pugni e serrò le mascelle, cercando di calmarsi, ma invano. << Ora basta! Mi hai stufato! >> urlò. << Giuro che un giorno ti farò rimangiare ogni parola finché non resterai affogato con la tua stessa arroganza. Ricordalo, sbruffone che non sei altro! >> .

Si girò e fece per andarsene quando Amrin rispose ancora, ridendo sfacciatamente.

<< Dove vorresti andare, Stuzzicadenti? Attento a non cadere, ché potresti romperti qualcosa… magari la testa! >> . Disse poi qualcos’altro che Karil non intese, deciso ad andarsene dal Mercato più in fretta possibile.

Imprecando, il giovane si ritrovò quasi a correre fra le strade minori della città. Non riusciva più a sopportare l’impertinenza di Amrin. Ogni giorno in sua presenza era per Karil una boccata d’aria avvelenata, impossibile da tollerare se non evitandola, come proprio in quell’occasione aveva fatto. Credeva davvero che prima o poi gliel’avrebbe fatta pagare, in un modo o in un altro, qualunque fosse il prezzo. D’altronde, se non la pazienza, non aveva niente di perdere.

Ad un tratto una mano sbucò dall’ombra alla sua destra e gli afferrò la spalla, frenando la sua corsa. Si girò di scatto, le mani già sull’elsa della spada al fianco sinistro, pronto a mettere a frutto gli anni di addestramento in Accademia. Vide un uomo incappucciato uscire dall’ombra e soltanto allora si rese conto di trovarsi in un quartiere periferico, privo di gente e di mercanti.

<< Ragazzo, vengo in pace! Non farmi del male >> disse l’uomo prima che Karil aprisse bocca. << Non temere, non ho cattive intenzioni… devi credermi! >>

Karil lo squadrò per bene, valutandone la sincerità. Indossava un vecchio e logoro mantello marrone e ai piedi aveva un paio di sandali sporchi e consumati. Una borsa in pelle nera gli attraversava il torace e pendeva lungo il fianco sinistro, unico ornamento visibile al giovane.

<< Devi credermi >> seguitò l'uomo. << Ho ascoltato le tue parole e ho capito che qualcosa ti turba. Chiunque l’avrebbe capito… ma io nei tuoi occhi posso scorgere delusione e frustrazione, segno che il tuo disagio è profondo. Rabbia e dolore segnano il tuo volto, giovane amico, un dolore che porti dentro da così tanto tempo da quasi non ricordare precisamente quanto. Non è forse così? >>

Karil rimase senza parole. Confuso, continuò a fissare l’uomo che a sua volta non mollava lo sguardo, mettendolo a disagio. In pochi erano riusciti a incrociare i suoi occhi per più di un paio di secondi e quelli dell’uomo non sembravano desistere.

<< Sì, è proprio così. Il tuo silenzio lo dimostra ancor di più. Non preoccuparti, giovane Cadetto, perché io posso aiutarti! So cosa puoi fare per sfogare la tua ira contro chi t’infastidisce così che tu possa vendicarti a dovere. >>

<< Come posso fidarmi di te, straniero? >> rispose finalmente Karil, allettato dalla curiosità ma ancora stupito.

<< Ti basti sapere che non voglio niente in cambio. In più, come vedi sono disarmato e non potrei certo cavarmela contro un futuro soldato sicuramente preparato come sembri essere. Piuttosto ho con me qualcosa che può fare al caso tuo senza che tu spenda una sola moneta. >>

L’uomo mise una mano nella borsa e subito Karil estrasse la spada. L’altro rimase impassibile anche sotto lo sguardo minaccioso dell’Allievo, sicuro che questi non l’avrebbe colpito. Tirò fuori una striscia in pelle marrone e gliela mostrò, richiudendo la borsa con l’altra mano.

<< E’ un bracciale, come puoi vedere, ma non uno semplice e comune. Questo è speciale, uno di quelli che non si trovano tra i banconi di un mercatino qualunque, nemmeno in questo periodo di grandi affari. Tienilo in mano, ragazzo, e vedrai che dico il vero. >>

Karil spostò lo sguardo dal bracciale agli occhi dell’uomo, insicuro sul da farsi. Non ritenendo però minaccioso lo strano interlocutore, prese il bracciale con una mano mentre l’altra reggeva ancora la spada puntata contro l’uomo. Esaminò il bracciale. La pelle non era affatto diversa da quelle a cui era abituato, eppure i disegni su di essa erano stupefacenti. Svariate spirali si congiungevano in un complicato motivo raffigurante qualcosa che il ragazzo azzardò identificare come antiche rune, sebbene ne avesse viste alcune di sfuggita su dei libri in Accademia. L’allaccio del bracciale era di una stoffa particolarmente sottile, nera e soffice ma dall’aria molto resistente. Nel complesso, l’oggetto era ben fatto e leggerissimo, di una fattura come davvero Karil non si sarebbe aspettato.

<< Hai ragione, straniero, è davvero speciale… ragion per cui non posso accettarlo >> disse poi, mentre ancora guardava l’oggetto. << Da dove proviene? Non ho mai… >>

Non fece in tempo a finire la frase che, alzando lo sguardo, si accorse che l’uomo era scomparso. Si girò d’istinto, circospetto e sorpreso. Non essendoci però nessuno eccetto lui, alzò le spalle indifferente e rinfoderò la spada.

Ormai calmo e rilassato e dimenticato il recente contrasto con Amrin, decise di riunirsi ai suoi compagni prima che qualcuno lo andasse a cercare. Ripose quindi il bracciale in una tasca interna della divisa e si diresse al Mercato.

Cosa mai potrà fare un bracciale per avere la mia vendetta su Amrin?

Fatti appena pochi passi, improvvisamente si fermò. Si sentiva stranamente osservato. Si guardò intorno in cerca di qualcuno che però non trovo. Fece così per meno di un minuto, finché poi riprese a camminare spensierato e disinteressato, confondendosi velocemente tra la gente nelle strade adiacenti.

 

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Capitolo 2
*** Tristi ricordi ***


Quella stessa notte Karil non riusciva a dormire. Le parole dello strano individuo che aveva incontrato in città risuonavano ancora nella sua mente, turbandolo come non gli capitava da mesi. Molti dei suoi ricordi più intensi lo invasero dal primo istante in cui era rientrato in Accademia, continuando la loro opera anche ora che il giovane era seduto sul letto della sua stanza, le spalle contro il muro e lo sguardo fisso al soffitto. Teneva in mano lo strano bracciale e in silenzio pensava. Girovagando tra i pensieri, finì col ricordare i suoi primi tempi in Accademia, soffermandosi soprattutto sul giorno più importante: quello del suo arrivo.

Chiuse quindi gli occhi, e lasciò che i ricordi prendessero vita.

 

Era giovanissimo, poco più che un bambino. Alle prime ore di un mattino che sembrava non arrivare mai, si ritrovò tutto solo davanti ai cancelli di un luogo che non conosceva. Era stanco, affamato. E scottava. Non sapendo cosa fare e non avendo abbastanza forza neanche per chiedere aiuto, si stese stremato davanti le inferriate, lasciandosi pian piano andare al delirio della febbre. Un’immagine lo accompagnò nei primi istanti del suo abbandono: un uomo anziano, preoccupato, con profondi e scuri occhi castani. Quindi crollò in un sonno intenso, buio, nuovo e senza sogni.

Dopo un tempo che non seppe definire, riaprì gli occhi. Oltre a un mal di testa asfissiante ed il bollore del suo stesso corpo, trovò una donna alla sua sinistra, china appena al suo fianco verso un mobile. Un attimo dopo, di nuovo il buio. Poi di nuovo la vide, stavolta intenta a bagnargli la fronte con una pezza fredda. Sorpresa per il suo risveglio, la donna lo accarezzò dolcemente in viso, dicendo cose che lui non capì, a parte il suo nome che la donna ripeté più volte. Si riaddormentò, coccolato dalle carezze e dalla voce di lei, nonché dal sollievo che la pezza fredda faceva sulla sua fronte bollente.

Quando si svegliò, era di nuovo mattina. La luce filtrava da tre grandi finestre sulla destra, senza tende e dai vetri lucidissimi. Il mal di testa era lieve, quasi svanito rispetto a come vagamente lo ricordava. Si chiese cosa facesse in quella stanza, su un letto di una comodità a lui inaudita, sotto candide lenzuola e coperte che, per la sua esperienza, erano straordinariamente calde. Ancora vinto dal torpore del sonno non si rese subito conto dell’uomo al suo fianco. Quando poi lo vide, trattenne giusto in tempo un urlo di sorpresa.

Era robusto e anziano. Era chino sul letto, le braccia sotto la testa come se fossero un cuscino; aveva corti capelli grigi e folte sopracciglia anch’esse grigie, alcune rughe sulla fronte e ancor di più intorno agli occhi chiusi. Era inequivocabile che stesse dormendo.

Dopo un attimo di esitazione e di ennesimo stupore, Karil capì che gli era familiare. Era l’uomo il cui volto lo accompagnò per alcuni istanti prima che la testa gli si appesantisse e tutto diventasse buio.

<< Karil! >> urlò una voce femminile in fondo alla stanza, frenando ogni suo pensiero. << Ti sei svegliato, finalmente! >>

L’uomo, allarmato, si svegliò di soprassalto e di scatto guardò Karil. Il giovane incrociò il suo sguardo, e per lunghi istanti nessuno dei due distolse gli occhi da quelli dell’altro. Un brivido salì lungo la schiena di Karil prendendolo alla sprovvista. Sentiva qualcosa di speciale dietro gli occhi profondi e castani dell’uomo, come se celassero una sofferenza antica, forte, tuttavia superata sebbene evidente e marcata.

<< Nemjir! E tu che fai ancora qui? Non vorrai dirmi che hai passato tutta la notte in infermeria… >> disse ancora la stessa voce, stavolta molto più vicina.

Solo allora Karil ebbe il coraggio di scostare lo sguardo. E guardando la donna che si trovò davanti, di nuovo si stupì, riconoscendo anch’ella in un angolo dei suoi ricordi. Era molto più giovane dell’uomo, ma comunque adulta; i suoi capelli neri corvino erano raccolti sulla nuca, scoprendo un viso dolce e dai lineamenti gentili; i suoi occhi risplendevano sotto i raggi del sole, quasi fossero loro a inondare la stanza di luce e colore, nonostante il nero che intensamente li definiva.

<< Mi spiace Merion, ma è andata proprio così >> disse l’uomo.

<< Non sei più un giovanotto, Nemjir! Dovresti riposare più spesso e affaticarti di meno. Varin non avrà niente in contrario, ne sono più che certa. >>

Karil li guardava con curiosità, non capendo del tutto i loro discorsi.

<< Forse hai ragione >> disse Nemjir. << In ogni caso, non mi sembra questo il momento più adatto per parlarne. >>

Scusandosi con Karil, entrambi poi si presentarono. In effetti il giovane aveva già capito quali fossero i loro nomi e che loro conoscessero il suo, ma ritenne educato il loro gesto e a sua volta si presentò.

<< Vedo che la febbre è passata >> constatò Merion. << Noto che hai una carnagione piuttosto chiara… ma è evidente che non sei più pallido come due giorni fa. >>

<< Due giorni fa? >> ripeté il giovane. << Vuol dire che… ho dormito per due giorni interi? >>

<< Così è, giovanotto >> s'inserì Nemjir. << Eri bollente e stremato quando ti ho trovato ai cancelli. Non potevo credere ai miei occhi… e neanche alle mie orecchie, a dire il vero. Non ho ancora inteso cosa farfugliasti nel delirio della febbre, a parte il tuo nome. >>

<< Ma dove ci troviamo? >> .

<< Davvero non lo sai?>> rispose Nemjir. << Vorresti dire che sei arrivato fin quassù senza sapere dell’Accademia?>>

<< Proprio quell’Accademia? >>

<< Proprio quella >> disse Merion. << Hai avuto l’onore di dormire nell’Accademia Inferiore di Astil. Certo, non in un letto da Cadetto… ma anche l’infermeria fa parte della struttura, e molti tuoi coetanei potrebbero invidiarti ugualmente. >>

<< Ho sempre sentito parlare dell’Accademia… ma non sapevo che fosse da queste parti, cioè su quella collina… >>

<< Da dove vieni? >> domandò Nemjir.

Karil rimase in silenzio. Non sembrava intenzionato a rispondere e gli altri due si scambiarono uno sguardo di curiosità. Decidendo di non pressare troppo il giovane interlocutore, cambiarono subito argomento.

L'uomo raccontò di aver contribuito alla costruzione dell’Accademia per mezzo del suo lavoro di operaio e che, una volta terminata, era stato assunto come tuttofare da Varud, il titolare dell’Accademia. Entrambi poi si soffermarono su Varin, descrivendolo come uomo straordinario, gentile e molto saggio, oltre che comprensivo e di bell’aspetto. Soprattutto Merion - che raccontò di far parte della servitù e di fare anche da infermiera in caso di necessità - sembrava elogiare le tante qualità di cui l’uomo era rinomato.

Fino a che il tanto celebre Varin si presentò in persona. Varcò la soglia dell’infermeria, non prima però d’aver bussato alla porta. Subito Karil parve convincersi delle parole di Merion e Nemjir sui suoi gentili modi di fare, ed anche sull’aspetto. Era un uomo alto e non molto robusto, ma comunque in linea con le caratteristiche degli Umani; aveva capelli corti e neri, a dispetto dei suoi splendidi occhi color del ghiaccio. Indossava una chiara tunica blu sotto un mantello appena più scuro della stessa tonalità dei pantaloni; ai piedi, neri stivali in pelle, così come in pelle era anche la cintura che portava alla vita.

<< Ecco il nostro Karil finalmente sveglio >> disse dopo un leggero inchino davanti al letto del giovane. << Non immagini quanto il tuo arrivo abbia suscitato clamore tra i ragazzi, e non soltanto. Ovviamente non potevo immaginare il buon Nemjir lontano da te. Per questi due giorni non ha fatto che starti vicino non appena ne aveva possibilità. Permettimi di presentarmi. Il mio nome è Varin, e mando avanti questa bella e fiorente Accademia. Per servirti. >>

Di fronte ad un altro inchino di Varin, Karil si sentì profondamente in imbarazzo. Captando ciò, l’uomo si mise a ridere e subito si scusò per averlo messo a disagio.

A quelle parole ne seguirono altre, tra cui la proposta dello stesso Varin per il giovane ospite di far parte della servitù come sostegno a Nemjir nel ruolo di tuttofare. Karil non riuscì a contenersi e le sue urla di gioia invasero i cuori dei tre presenti di buonumore e soddisfazione, inondando l’intera Accademia della loro briosità.

 

Un brivido accompagnò i suoi ricordi. Ripensò con nostalgia ai giorni passati insieme a Nemjir, le tante ore spese a lucidare le armi dei Cadetti, lavare per terra, asciugare le stoviglie che il suo tutore lavava, togliere la polvere là dove Nemjir sarebbe arrivato con difficoltà, essendo già avanzato con l’età. Aveva quasi ottant’anni, e sebbene fosse anziano era piuttosto ben curato visto che generalmente un Umano aspirava a raggiungere i sessantacinque, massimo settant’anni di età.

Col tempo, i due finirono per affezionarsi. Nemjir trattò Karil come quel figlio che – come raccontò al giovane – suo malgrado non aveva mai avuto, cosa che Karil accettò con gioia e sincerità. Spesse volte avevano passeggiato lungo il fiume Aryon, appena sotto la collina che ospitava l’Accademia, parlando ognuno senza limiti del proprio passato. Quella fu la prima ed unica volta che Karil riuscì ad aprirsi con qualcuno, esternando senza timore i propri pensieri. Era lì, lungo quel fiume, che i due davvero riuscirono a conoscersi, a instaurare un legame saldo e forte, più dell’età che li separava e dei lavori che venivano loro assegnati, vivendo le proprie giornate con gioia, pace e serenità.

Finché un giorno, però, tutto ciò ebbe fine. Di ritorno dalla capitale con un carico di frutta ed altri alimenti, Nemjir fu preso alla sprovvista da una banda di ladri e selvaggiamente assalito. Lo derubarono delle monete, persino dei vestiti, lasciandolo poi a marcire in mezzo ai cespugli lungo i margini della strada, dove poi, dopo ore ed ore di agonia, finì per morire. Fu ritrovato due giorni dopo la sua scomparsa, il viso rivolto al cielo come per invocare un aiuto che però non arrivò e abbandonato al suo destino. L’ira e il dolore di Karil si consumarono con gli oceani di lacrime con cui bagnò le sponde dell’Aryon, lì dove il giovane decise di seppellire Nemjir col benestare di Varin.

A distanza di anni, non poteva ancora accettare che l’unica persona che per due anni gli aveva fatto da padre, amico, da unico e vero punto di riferimento non ci fosse più. La sua rabbia era viva come allora, solo frenata dalla determinazione e dal fastidio che Amrin gli causava ininterrottamente da quando era arrivato in Accademia, tre anni dopo la morte di Nemjir. A quel tempo, Karil aveva già deciso di arruolarsi come Cadetto, col solo fine di vendicare la morte dell’amico. Avrebbe servito il Regno contro le ingiustizie, lottando per svuotarlo di tutto ciò che avrebbe danneggiato la povera gente, i giusti e gli innocenti. Soltanto così avrebbe potuto appagare anche solo in minima parte la sua vendetta e sfogare il suo dolore. Sperava in gran segreto di punire un giorno chi aveva aggredito e ucciso Nemjir, ricambiando loro il favore con cinica abilità e destrezza.

 << Karil, sei ancora sveglio? >> disse una voce nel mezzo della stanza. Assorto com’era nei pensieri, il giovane non si era neanche accorto dell’uomo entrato in camera sua. Riscuotendosi, riconobbe Tom, il guardiano notturno. << E’ tardi, dovresti riposare... >>

<< Lo so, Tom, ma non riesco a prender sonno >> rispose Karil, stanco e pacato.

<< Scusa se ti ho disturbato, ma vedendo la luce accesa mi sono preoccupato, così sono entrato per assicurarmi che tutto andasse bene. >>

<< Grazie davvero ma va tutto bene, non preoccuparti. >>

<< Allora vedi di metterti presto a dormire. Un giovane Cadetto dovrebbe svegliarsi sempre nel pieno delle forze. Un soldato stanco e assonnato non è poi così utile come dovrebbe. >>

A quelle parole, Karil si girò di scatto verso l’uomo con sguardo minaccioso.

<< Oh, perdonami, non intendevo certo… che stupido! Me ne vado subito. Scusami ancora, Karil, se mai potrai… >> disse Tom, che poi uscì dalla stanza, improvvisamente così com’era entrato.

Karil fissò il punto in cui il guardiano scomparve alla sua vista, e così fu per un minuto intero. Rabbioso e senza dire una parola scese dal letto. Dette un calcio ad uno dei suoi stivali, che per sua sorpresa riuscì a scagliare più lontano di quanto avrebbe mai immaginato; ma comunque, valutò, meno di quanto avrebbe fatto Amrin al posto suo.

Sto migliorando… ma non basta. Devo essere perfetto se voglio superare tutte le prove. Il mio unico ostacolo è Amrin. Spero che alla fine sceglierà di entrare nella Guardia Reale, così avrò via libera per l’esercito regolare.

Provato dalla stanchezza e da quel piccolo sfogo per le parole di Tom, posò il braccialetto sul comodino, poi si buttò sul letto a pancia in giù. Si trovò a desiderare Nemjir al suo fianco, pensiero ormai usuale da tanti anni prima di addormentarsi. Dopo pochi minuti si addormentò, abbandonandosi stanco ad un sonno profondo.

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Capitolo 3
*** Una sfida silente ***


Karil si svegliò di soprassalto, turbato e madido di sudore. Gli ci volle quasi un minuto per prendere piena coscienza di dove si trovasse, cosa che però non lo tranquillizzò. Confuse nella sua mente, immagini della sua stanza si mischiavano ad altre che non riusciva a riconoscere. Rabbioso si alzò dal letto, ancora intontito. Sembrava dormire ad occhi aperti, lucido, vagamente cosciente.

 

La stanza sembrò dissolversi pian piano, come carta sul fuoco che lentamente brucia e si consuma fino a scomparire. Al suo posto, una foresta imbiancata. La vedeva scorrere sempre più veloce ad ogni passo che compiva, sotto dolci raggi di una luna candida e splendente. Vide un fiume gonfio per la neve appena scesa, eppure tinto di un rosso tanto intenso come mai ne aveva visti prima d’allora. Rosso di sangue ancora caldo. Corpi lacerati di lupi esanimi giacevano sparsi qua e là sulla sponda, il loro sangue riversato sull’erba vicina; macchiata come le mani che portava sul volto, enormi, acuminate, bestiali. Vide in lontananza una rupe bassa; la stessa sulla quale, un attimo dopo, già si ritrovò accasciato e boccheggiante. Stremato, guardò dall’alto la verdeggiante pianura sottontante, alle prime luci dell’ignara aurora e della timida luna. Poi tutto scomparve… e non vide più nulla.

 

Il soffitto bianco era lì, pronto come ogni mattina a dargli il buongiorno col suo sguardo silenzioso. Karil però non se ne curò e di scatto scese dal letto. Confuso, il volto pallido e lo sguardo perso nel vuoto, arrancò fino alla porta della camera, poggiandosi ad essa per non perdere l’equilibrio. Chiuse gli occhi. Quando li riaprì, si ritrovò alla parte opposta della stanza, davanti allo specchio. Vide riflesso un viso che non conosceva: una lunga chioma rossiccia spiccava sulla pelle abbronzata di un ragazzo appena adulto, così come due occhi castani e di una chiarezza insolita. Quindi quel volto sconosciuto scomparve, facendo posto a ben più noti occhi verdi e a tutto il resto del proprio viso.

Poi, per un solo istante, vide una donna. Piangeva. Karil poté notare le scie che le lacrime avevano solcato sul suo viso pallido e candido a partire dai suoi occhi stanchi e afflitti, di un viola che dire surreale non sarebbe bastato; e i capelli color dell’oro potevano appena velare il resto dei suoi tratti già visibilmente poco Umani. Era simile a lui più di quanto potesse supporre e sebbene non l’avesse mai vista prima di allora gli sembrava familiare, come se in realtà si conoscessero da sempre.

Un attimo dopo, però, tutto finì. Karil sembrò destarsi come da un sonno tormentato e subito si guardò attorno circospetto. Provava una rabbia che non conosceva, una sorta di dolore che non aveva mai sentito, un vuoto enorme come di mancanza profonda, radicale, indissolubile.

Che ci faccio davanti allo specchio? Quel volto, e quella donna… chi erano?

A parte la visita di Tom della sera prima, non ricordava nulla. Sembrava che quella costante sensazione di vuoto, rabbia e dolore l’avesse accompagnato per tutta la notte in sogno, sotto chissà quale forma d’incubo e malessere. Non poté che definirlo un incubo, e subito si rattristò.

Pensò a Nemjir. Dal giorno dei suoi funerali gli era sempre mancato con molta intensità, ma in occasioni come quella, in cui ora si trovava, gli mancava ancora di più. Era sempre stato lì a svegliarlo quando un incubo lo tormentava, rassicurarlo che era soltanto un brutto sogno e invitarlo a riaddormentarsi tra le sue mille attenzioni, carezze e belle parole. Tutto quello non sarebbe più accaduto, e ogni notte, pensava, forse avrebbe avuto quella sensazione di vuoto che stava provando adesso, ripensando inevitabilmente a lui.

D’un tratto, però, un dubbio gli balenò nella mente, lasciando in sospeso ogni suo pensiero. Corse alla piccola finestra della sua stanza e timoroso spalancò le ante. Proprio come pensava, l’alba era già passata. Imprecando per ritardo si affrettò a lavarsi, quindi si vestì. Indossò una delle uniformi per l’addestramento, adatta per le prove che i Cadetti dovevano affrontare ogni mattina in cortile. Una volta pronto, in pochi minuti, uscì dalla stanza correndo, diretto alle cucine.

La sua stanza si trovava nell’ala est dell’edificio così come le cucine, quest’ultime al pianterreno e la prima al secondo piano. Attraversò il corridoio e quasi sembrò spiccare il volo nello scendere le scale, per sua fortuna priva di gente eccetto un paio d’inservienti che agilmente evitò. Arrivato al pianterreno, subito girò a destra e varcò la soglia del refettorio, ultima stanza del corridoio nonché anticamera delle cucine, sperando vivamente di non essere visto da nessuno.

<< Sei in ritardo >> disse una voce alla sua sinistra, non appena fu dentro.

Era il cuoco, intento a sparecchiare i banconi ancora colmi di tazze, piatti, bicchieri e posate. I due erano amici, così il giovane, superato un primo momento di timore, non contenne il proprio sollievo.

<< Lo so, Jar >> disse. << E’ che stanotte non sono riuscito a prender sonno tanto presto, e così… >>

<< Così la stanchezza ti ha sopraffatto, immagino. Ora però muoviti, corri a mangiare qualcosa. Non vorrai mica allenarti senza forze! E poi lo sai, prima sparisci da qui e meno sarà probabile che qualcuno ti trovi ancora a gironzolare come un vagabondo qualunque. >>

<< Grazie davvero. Questa te la devo! >> rispose il giovane mentre si precipitava in cucina, conscio della complicità che Jar gli aveva appena offerto.

Non avendo fame molta fame pensò di bere soltanto del latte fresco. Mentre ne versava un po’ in una tazza dalla brocca sul tavolo, si decise a mangiare anche del pane appena sfornato. Ne tagliò una piccola fetta e cominciò ad addentarla. Mentre assaporava la sua colazione con la schiena contro il tavolo, si fermò a guardare il forno. Pensò che se soltanto fosse stato installato appena pochi anni prima, così come se gli alberi in giardino fossero stati piantati, di certo Nemjir non sarebbe andato a comprare pane e frutta in città, evitando quindi d’incontrare i suoi assassini. Quel pensiero lo invogliò a perseguire il suo obiettivo: diventare un abile combattente per vendicare la sua morte. Rinvigorito, il giovane terminò velocemente la sua colazione, deciso ad allenarsi duramente e a non tardare un solo minuto di più.

Uscì dalla cucina, salutò Jar e si diresse al cortile secondario in tutta fretta. Per farlo, decise di passare per i corridoi meno trafficati. Per strada vide Sara, l’unica figlia di Merion, intenta a lavare i vetri delle finestre dall’alto di una scala. Come sua madre, anche lei faceva parte della servitù. La giovane non si accorse subito di Karil. Quando però sentì i suoi passi si girò d’istinto e la pezza con cui stava lavorando le sfuggì di mano. Karil allora, arrestando la sua corsa, prontamente la raccolse da terra e gentilmente gliela porse con un leggero sorriso. Per un lungo istante, Sara rimase immobile senza mai guardarlo negli occhi. Poi, in tutta fretta, afferrò la pezza e senza dire una parola si rimise subito al lavoro, come se niente fosse successo. Karil si sorprese ma la fretta lo richiamò. Scrollando le spalle si rimise a correre verso il cortile, sperando che il Maestro non l’avrebbe punito per il suo ritardo.

Rispetto a quello principale, lastricato in marmo, grande più del doppio e di forma ellittica, il cortile secondario era quadrato e non aveva pavimentazione, bensì una distesa di terra battuta, ghiaia ed erba bassa. Sin dagli esordi, quello spiazzo era adibito all’allenamento fisico ed atletico degli Allievi. A guidarli era Faeld, il Maestro di Discipline Fisiche, uomo severo, solitario e di poche confidenze. La sua trentennale esperienza militare bastava per suscitare nei Cadetti un rispetto assoluto nonché timore e reverenza. Karil lo stimava molto, e lo stesso Faeld, sebbene nel suo apparente distacco e con la sua tipica freddezza, sembrava ricambiare la stima del giovane. Karil si dimostrava sempre il migliore durante le sue lezioni e nessuno poteva stargli dietro se non sforzandosi al massimo, ma comunque invano. Correva come nessun altro riusciva, padroneggiando l’agilità con maestria. Faeld lo elogiava apertamente ed esortava spesso tutti gli altri, perfino Amrin, a seguirne l’esempio.

In appena un minuto Karil arrivò a destinazione. Tutti i Cadetti erano all’interno del cortile intenti a riscaldarsi. Occhiatine di sfida lo raggiunsero non appena lo videro arrivare. Quasi a tutti dava fastidio la simpatia che Faeld provava nei suoi confronti. Non potevano accettare che un ragazzo tanto strambo potesse essere superiore a loro, rendendoli ridicoli davanti al Maestro.

Proprio mentre si stupiva dell’assenza del Mestro, Karil lo vide comparire. Sembrava compiaciuto che il gruppo si stesse scaldando senza averglielo ordinato. Abbozzò un sorriso sul volto di pietra, poi si avvicinò.

<< Quest’oggi, ragazzi, è un giorno particolare>> disse dopo essersi schiarito la voce. << Come dovreste sapere, è la vigilia del Giorno del Ricordo, data funesta e di grande importanza per il nostro regno… e, da quest’anno, specialmente per noi. >>

Impassibile al leggero vento che gli scompigliava i lunghi capelli castani, lo sguardo serio e le braccia incrociate sul petto, Faeld guardò serio e trionfante gli Allievi visibilmente incuriositi.

<< Ciò che però ancora non sapete >> seguitò << è che giusto ieri il nostro mirabilissimo Varin ha raggiunto un accordo col Prefetto di Astil. Domani nella nostra Capitale sarà pubblicamente presentato il nuovissimo Stadio, orgoglio d’architettura dell’intero Regno. E i primi a rendere omaggio combattendovi dentro sarete proprio voi. Darete prova di quanto valete sfidandovi in un Torneo, primo del suo genere, onorando il Giorno del Ricordo e portando in alto il nome di questa Accademia… nonché il vostro. >>

Voci concitate cominciarono a levarsi fra gli Allievi, eccitati dalla prospettiva di quanto il Maestro aveva appena annunciato.

<< Per di più, chi risulterà vincitore del Torneo potrà accedere direttamente alla Scuola per Generali di Astil o, se preferirà, in quella delle Guardie Reali. >>

Karil rimase a bocca aperta, incapace di parlare. Strinse i pugni per la fremente determinazione che non aveva mai potuto sfogare, non prima di della grande occasione che il Maestro stava servendo su un piatto d’argento.

Con un gesto della mano, sbucata dal suo lungo mantello nero, Faeld placò le voci dei giovani Cadetti, aspettando che regnasse il silenzio. << Per questa ragione, voglio che oggi teniate tutto il vostro corpo in allenamento. Seguirete anche le direttive del Maestro Laren per quanto riguarda l’uso di scudo e spada e del Maestro Jark per la lancia. Nonostante l’arco non figurerà tra le armi disponibili nel Torneo, di certo le lezioni di Lady Vahan sapranno esservi ugualmente utili. Appena dopo il tramonto, noi Maestri sceglieremo i migliori accoppiamenti per dare all’intera popolazione uno spettacolo unico e irripetibile. >>

Voltandosi alla sua destra e allungando il braccio, Faeld introdusse gli altri Maestri, rimasti al di là di una delle porte d’accesso al modesto cortile.

Il primo a entrare fu Jark, compagno d’armi di Faeld per lunghissimi anni, esperto e severo quanto lui ma molto più loquace e meno freddo e distaccato. Le sue lezioni erano dure, sebbene non pesassero molto sul morale degli Allievi. I capelli color rame simboleggiavano le sue origini nordiche, così come la sua pelle leggermente abbronzata ed il taglio profondo degli occhi.

Dopo di lui, toccò a Lady Vahan. I suoi lunghi capelli biondi erano raccolti in una coda bassa, salvo quelli ai lati che la coprivano dalle tempie alle orecchie; il suo sguardo era profondo come sempre, sicuro e penetrante, una lama color del ghiaccio che fendeva ogni resistenza di chi le si parasse davanti. Nella mano destra teneva un lungo arco in legno di frassino, perfettamente lavorato e di pregevole fattura, e un lungo coltello le pendeva sul fianco sinistro nel suo fodero in cuoio. Con movimenti sinuosi e veloci – perfetti agli occhi di Karil – Lady Vahan prese posto alla destra di Faeld, guardando gli Allievi uno per uno.

Dopo di lei, una leggera armatura d’oro e d’argento fece entrò nel cortile, risplendendo sotto i freddi raggi del sole invernale. Camminando lentamente verso Faeld, Jark e Lady Vahan, Laren si tolse l’elmo dalla testa e lo appoggiò al fianco sinistro, restando immobile a pochi passi dai propri colleghi. I lunghi capelli neri svolazzavano al vento, velando appena gli occhi anch’essi neri che scrutavano impassibili gli Allievi. Per un attimo si soffermò a guardare Karil, un lungo istante che per il giovane Cadetto sembrò non finire mai. Distoltogli lo sguardo, il Maestro si dispose al fianco di Jark.

<< Oggi >> disse Faeld << dovrete mostrarvi degni di essere in questa Accademia e di quanto è stato designato per domani, giorno in cui sarete protagonisti e dovrete mostrarvi per quel che siete. Quest’oggi, voi sarete a un passo dall’essere celebrità, un passo soltanto, ma il più difficile di tutta la vostra vita. Domani sarà il vostro giorno, ma non senza oggi. >>

Karil sentì addosso gli occhi di tutti i Maestri ma decise di non farci caso, preferendo cercare Amrin con lo sguardo. Proprio nel momento in cui lo aveva individuato, quello si voltò verso di lui, quasi che i due si fossero accordati. Per un lungo istante si fissarono, sancendo una sfida silenziosa tra di loro.

Devo assolutamente superare questa prova. Solo così troverò un po’ della pace che spetta a me così come spetta a tutti. E io non ho alcuna voglia di rinunciare alla mia.

Un ghigno silenzioso si dipinse sul suo volto, seguito a ruota da quello di Amrin.

<< Adesso, però, basta con le chiacchiere! >> urlò Faeld. << Venti giri a partire da ora… di corsa! >>

Karil ed Amrin si scambiarono un ennesimo sguardo, poi un cenno col capo che sapeva d’intesa. Un attimo dopo si fiondarono tra le file dei loro compagni, consci di essere i migliori e più di tutti determinati a dare il meglio, a qualsiasi costo.

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Capitolo 4
*** Il Torneo ha inizio ***


Sono pronto.

Dal primo istante in cui si era svegliato quella mattina, Karil non riusciva a trattenere la propria frenesia. Si sentiva in piena forma nonostante le poche ore di sonno. Non era riuscito a dormire per l’emozione, a dispetto della rabbia che la sera precedente lo aveva invaso e turbato per tutto il tempo, perfino nei sogni.

Adesso era tutto diverso, perché il giorno tanto atteso finalmente era arrivato, portandogli in dono ogni goccia di speranza e determinazione che gli fosse possibile accumulare. Un grande giorno reso ancora più speciale dalla possibilità di sfidare Amrin in finale, dal cui risultato si sarebbe designato il primo vincitore del nuovo Torneo. In un colpo solo poteva conquistare il favore sia dei Maestri che degli spettatori, fra cui di certo si sarebbe mischiato il Gran Prefetto di Astil, Kjahir, e magari anche re Teryar in persona. Ma soprattutto poteva definitivamente provare il proprio ad Amrin, mostrando una volta per tutte di essere il migliore.

Per sua fortuna, si disse, Amrin non si trovava a suo stretto contatto. Per la realizzazione del nuovo impianto, era stato predisposto che gli sfidanti non dovessero avere rapporti diretti prima di duellare. Per questo motivo i Cadetti furono separati in due postazioni adiacenti, collegate tra loro da una semplice finestrella con tanto di sbarre. A volere quest’ultima però fu Varin, in accordo col Prefetto. Pensavano infatti che per dei semplici ragazzi non fosse necessario troppo distacco, a dispetto dei veri Combattenti dell’Arena, i Falkhir, per i quali sarebbe stato fondamentale, sotto molti aspetti, non avere alcun rapporto.

Non posso sbagliare. Adesso o forse mai più potrò avere ciò per cui mi sto battendo da dieci anni. Sbagliare adesso vuol dire fallire… e io non posso permetterlo.

Cercò Amrin con lo sguardo, nella stanza adiacente. Una volta individuato, dietro un paio dei suoi più compagni leccapiedi, cominciò a fissarlo a lungo senza celare disprezzo. Era seduto su uno sgabello di legno, l’unico disponibile nella piccola cella. Gli appariva tranquillo, con la sua solita aria da superbo. Per di più continuava ad acconciarsi i capelli grazie ad un piccolo specchio che era riuscito a portarsi dietro. Non degnava di uno sguardo il duello in corso, coi pensieri già proiettati a quello che non ancora per molto lo attendeva.

Era stato proprio lui a dare inizio al Torneo. A sfidarlo fu Erik, Cadetto ancora inesperto e tra gli ultimi ad essersi iscritti. Amrin vinse facilmente ma non prima di averlo ridicolizzato, favorendosi così le simpatie del pubblico. Non perse neanche l’occasione di avvicinarsi agli spalti più vicini e far colpo su ogni ragazza che gli capitava a tiro prima di essere proclamato vincitore e richiamato in cella.

<< Sarai riuscito a conquistare loro, ma non ancora la vittoria >> disse Karil in un sibilo. << La strada ancora è lunga, mio caro, e tu non puoi domarla >>.

Era tanto preso dalla faida col suo rivale da non aver neanche pensato ad una cosa molto più immediata ed ovvia: il primo vincitore del Torneo sarebbe stato di conseguenza anche il primo Campione della nuova Arena di Astil, fino a quel momento inutilizzata e da poco agibile. Dette uno sguardo oltre la piccola grata della porta, e ammirò l’imponente struttura.

Edificato dalle fondamenta e dalle ceneri del vecchio, più grande almeno il doppio e in grado di ospitare un numero maggiore di spettatori, il nuovo Stadio era un gioiello architettonico della Capitale d’Occidente. Il suo perimetro era insolitamente rettangolare, le decorazioni semplici e tradizionali mentre la vera e propria Arena, dove sarebbero avvenuti gli scontri, aveva anch’essa una nota atipica per la sua forma circolare. In passato tutti gli stadi erano stati realizzati con un perimetro quadrato ed un’arena anch’essa quadrata. Cambiare la perimetria significava rompere un saldo legame col passato, segno anch’esso di svolta per la gente dell’Ad-Warten, accorsa anche quell’anno ad Astil, in occasione del Mese del Ricordo, per ritrovare le proprie radici e con esse edificare un futuro migliore.

Gli spalti erano suddivisi in ben quattro livelli contro i due del precedente Stadio. Adesso potevano assistere ai giochi ben diecimila persone, poco più di un settimo comodamente sedute – se comodo si potesse definire il composto di marmo e pietra su cui potevano adagiarsi gli spettatori – mentre al resto sarebbe spettato restare in piedi, seduti al massimo sui tanti corrimano in ferro diramati per tutti i livelli.

La tribuna era situata nel mezzo dei due spalti laterali, proprio di fronte alle postazioni da cui avrebbero fatto ingresso i combattenti. Era adibita ad ospitare le persone più influenti della Capitale, ospiti personali del Re e tante altre persone più o meno illustri. Sedie in legno di mogano scuro li avrebbero attesi, comode e perfettamente allineate. E per renderle ancor più confortevoli, sopra di ognuna avrebbero trovato un morbido cuscino rosso cremisi , rendendo la tribuna trionfo di sfarzo ed eleganza.

Il tetto ricopriva interamente lo stadio lasciando scoperta la sola arena. I combattimenti, così, sarebbero stati ancor più spettacolari in caso di tempo avverso. E se un temporale si fosse mostrato più minaccioso del previsto, due enormi e impermeabili tessere avrebbero rivestito le zone senza copertura, proteggendo l’interno dalle intemperie. Una fitta e ben congeniata rete di scolo avrebbe reso pressoché difficile la possibilità di allagamenti in qualunque punto dello Stadio, filtrando l’acqua direttamente nelle fogne dalla città, opportunamente controllate e potenziate.

Distolto lo sguardo dalla struttura, Karil si concentrò sulle tecniche che i suoi compagni stavano mostrando nell’Arena, sebbene già le conoscesse. Lo scontro andava avanti da più di dieci minuti e nessuno sembrava prevalere sull’altro. Erano entrambi combattenti che Karil aveva sempre considerato mediocri ma in fondo molto promettenti e quel duello confermava i suoi giudizi.

Proprio in quel momento vide Cern affondare la lancia nella coscia di Mahik, costringendolo a cadere. Alzando il pugno con il solo indice puntato in alto, gesto che era stato loro detto di compiere proprio nel caso in cui si trovava Mahik, il giovane si dichiarò sconfitto, mettendo fine allo scontro ed eccitando la folla per la meritata vittoria di Cern.

Ci siamo.

Presi una spada infoderata da una cassa ai suoi piedi e legatala alla cintura, una lancia dalla rastrelliera al fianco della cassa ed uno scudo appeso al muro – assicurandoselo alla mano sinistra con le stringhe ben strette intorno al palmo e al polso – Karil dette un rapido sguardo alla cella adiacente, incontrando come si aspettava quello del suo rivale. Amrin era sorridente, beffardamente compiaciuto che fosse il turno di Karil.

<< E adesso, signore e signori >> disse il Prefetto << dopo la bella prova di Mahik e Cern, ecco a voi il sesto duello di questo meraviglioso Torneo. Entrino quindi Hartin di Astil e Karil Fìnharel! >>.

Karil uscì dalla cella e la luce del sole quasi lo accecò. Le porte in legno furono aperte da una guardia enorme, almeno rispetto alla costituzione del giovane Cadetto che, però, neanche se ne curò. Anche Hartin uscì in quel momento dalla stessa cella di Amrin, affiancandosi a Karil con lo sguardo combattivo.

I due marciarono fianco a fianco verso il centro dell’Arena. La figura di Kjahir torreggiava dall’ampio patio della tribuna, le braccia tese in direzione degli spalti ai suoi lati. Quando i giovani si arrestarono per  poi distanziarsi di alcuni metri, il Prefetto abbassò le braccia e strinse le mani sui pomoli delle lunghe spade che gli pendevano dai fianchi, lo sguardo severo e il portamento nobile.

Fu allora che, per pochi attimi, li squadrò. Visti così, dall’alto della tribuna, gli apparivano piuttosto buffi. Da una parte il più robusto e muscolo dei Cadetti, fremente d’attesa, col petto all’infuori e lo sguardo corroso dalla spavalderia. Sapeva che quello era Hartin. Al suo fianco, invece, un esile ragazzino dallo sguardo fiero, all’apparenza sicuro nonostante nessuno degli spettatori avrebbe mai scommesso sulla sua vittoria. Eppure, fra le tribune girava voce che le sue abilità in combattimento fossero degne di lode e la sua grande agilità una vera rarità.

Come già nei precedenti duelli, Kjahir ripeté le poche ma rigide regole di combattimento da rispettare. Fra queste spiccava quella di non cercare di ferire gravemente od uccidere l’avversario, limitandosi a disarmarlo o costringendolo ad arrendersi. Karil si sentì pervadere da un misto di eccitazione ed ansia. Mentre il Prefetto parlava, d’un tratto cominciò ad agitarsi e a sentirsi insicuro. Una goccia di sudore gli scese dalle tempie fino al mento, fredda come la voce del Prefetto contro le calde urla della platea. Dette uno sguardo al braccio sinistro, assicurandosi che sotto lo scudo anche il misterioso bracciale si trovasse saldamente legato al polso. Aveva deciso di indossarlo, cercando di dar credito e fiducia alle parole dello straniero tanto bizzarro che glielo aveva donato. Sperava davvero che facesse effetto, aiutandolo così a contrastare Amrin.

Fu con un attimo di ritardo che si rese conto dell’ultima parola pronunciata dal Prefetto, aiutato soprattutto dalla folla che, al grido  “combattete”, rispose urlando tutta la propria eccitazione.

Vide Hartin avventarsi su di sé, comprendo di corsa la distanza fra di loro con la lancia puntata in alto. Deciso a colpire Karil sul braccio destro, Hartin abbassò improvvisamente l’arma verso l’immobile avversario, sicuro che quello non avrebbe avuto via di fuga. Karil però scartò di lato all’ultimo istante, evitando il colpo con efficacia. Hartin cadde quasi a terra per lo slancio, accendendo l’ilarità del pubblico. Ripreso l’equilibrio e arrabbiato per la brutta figura, Hartin caricò di nuovo ma anche stavolta invano. Con grande agilità e col medesimo movimento, Karil evitò il feroce colpo dell’avversario, dandogli poi un deciso calcio sulla schiena.

Hartin cadde rovinosamente e Karil ne approfittò per distanziarsi da lui con un salto all’indietro, distanziandosi poi ulteriormente di alcuni passi. Pronto a respingere un terzo e prevedibile assalto, si mise sulla difensiva puntando la lancia sopra il piccolo scudo in rame verso l’alto. Hartin intanto si era rialzato e aveva raccolto la sua arma, sfuggitagli di mano durante la caduta. Sentiva le urla del pubblico nettamente a suo sfavore, riempiendolo di ferite nel suo orgoglio sconfinato.

Accecato dall’ira, si mise allora nella stessa posizione in cui vide trovarsi Karil e per un interminabile istante lo fissò, gli occhi impavidi e rabbiosi. Al limite della sopportazione e guidato dall’istinto, decise di attaccarlo di nuovo e con rinnovata ferocia, proprio come l’altro aveva previsto.

Karil non si scompose. Coi nervi saldi ed il vento che gli fischiava nelle orecchie rimase fermo ad aspettare. A sei metri, Hartin levò in alto la lancia, coprendosi il busto con lo scudo. A soltanto tre metri, Karil gettò lontano la lancia, disorientando Hartin che non desistette dal caricarlo. Karil allora sfoderò la spada. E fece l’impensabile. Con un veloce e movimento scivolò sulla sabbia, azzerando così la loro distanza proprio mentre Hartin si dava l’ultima spinta per saltargli addosso. Fu tutto in un attimo.

Karil si rialzò subito dopo essersi incrociato con Hartin, facendosi leva con la forza del suo stesso movimento. Hartin era in piedi, il braccio ancora levato in aria a fendere l’aria ma col pugno vuoto e privato del peso della lancia. Avanzò traballando di un paio di passi dopo aver quasi del tutto perso l’equilibrio per il salto appena accennato. Si accasciò a terra e Karil rinfoderò la propria spada.

Lo stadio si riempì di un silenzio tombale. Kjahir si alzò dalla sua sedia come gli altri compagni di tribuna, in ansia per la sorte del giovane Cadetto ferito ed incredulo per quanto aveva visto.

Il silenzio venne presto rotto da un lungo gemito di dolore di Hartin, seguito a ruota dal suo pugno levato in alto, segnando così la propria resa e l’inequivocabile sconfitta.

Il pubblico impazzì. Dagli spalti cominciarono a svolazzare coriandoli e cori in suo onore si disperdevano nell’aria sommossa dal vento. Il giovane rimase impietrito e sentì l’adrenalina scorrergli sempre più veloce in tutto il corpo, invitandolo all’urlo liberatorio che poi emise.

Il Prefetto era esterrefatto. Per alcuni secondi si ritrovò quasi incapace di parlare, tanto stupito dalle qualità del giovane. Riscosso però dallo stupore, non poté far altro che nominare Karil vincitore della sfida e attendere che sgombrasse l’Arena insieme al ferito Hartin. Seguì quest’ultimo con lo sguardo lasciare la sabbia su una barella, diretto alle infermerie, poi fissò Karil finché scomparve dietro la porta della sua cella.

<< Complimenti, Stuzzicadenti! >> disse Amrin non appena Karil mise piede nella sua postazione. Batté più volte le mani, il viso solcato da un sorriso sarcastico. << Non pensavo che avresti vinto tanto facilmente, devo ammetterlo, anche se tutti conosciamo Hartin. Ha la forza di un toro, certo, ma non sarebbe capace di battere una donna con un bastone in mano, figuriamoci uno di noi… persino un miserabile come te! E tu sei stato tanto vigliacco da prenderti gioco di lui… ridicolo! >>

A quelle parole tanto amare, Karil rispose con la più nera e silente indifferenza, sebbene dentro sentisse bruciargli la voglia di staccargli la testa.

<< D’altronde >> continuò Amrin << cosa c’era da aspettarsi da un ragazzetto senza patria né famiglia? Sei scappato anni fa da un villaggio di cui tanto ti ostini a non svelarci il nome e anche oggi sei scappato come un coniglio dalle grinfie di Hartin. Forse, più che codardo faremmo bene a chiamarti bastardo… chissà che tu non lo sia davvero, in fondo. >>

Amrin scoppiò a ridere, piegandosi in due e tastandosi l’addome per lo sforzo. I suoi scagnozzi fecero altrettanto. Karil non rispose, il volto corroso dalla rabbia e da una perenne smorfia di nausea.

<< Davvero i miei complimenti, ma non sperare di sopravvivere a lungo! Chissà, magari anche quando incrocerai la mia lama, dentro o fuori questo stadio, ti verrà voglia di scappare da buon vigliacco che non sei altro >>. Girandosi di scatto, puntò l’indice contro Karil. << Ricorda le mie parole, Stuzzicadenti >> urlò. << Goditi finché potrai questa vittoria, perché io porrò fine a tutta la tua gloria! E non sperare che avrò pietà di te. Ti schiaccerò come una formica, come la feccia schifosa da cui provieni! >>

A quel punto, Karil non resistette. D’istinto prese una piccola pietra dal terriccio ai suoi piedi e la scagliò violentemente contro Amrin, sfogando tutta la rabbia che aveva in corpo. Il proiettile finì per colpire le sbarre della finestrella, schizzando poi nella cella di Amrin e dirigendosi impazzita verso l’inconsapevole Mahik, seduto di spalle sullo sgabello. Karil fu il primo a capire cosa stesse accadendo e in un attimo il panico prese il sopravvento in lui. Poi, dal nulla e senza volerlo, urlò qualcosa d’incomprensibile, come se volesse arrestare il folle volo della pietra ormai prossima a colpire l’obiettivo sbagliato. E così accadde. La pietra deviò la propria traiettoria, andando a frantumarsi contro il muro ad appena un metro dalla testa di Mahik. Il giovane sobbalzò per la sorpresa e cadde dallo sgabello, gli occhi sgranati e fissi al muro. Gli altri Cadetti della sua cella guardarono i resti della pietra e la scheggiatura che aveva apportato al muro prima d’infrangersi, spostando poi lo sguardo su Karil.

Era immobile, il volto sudato e gli occhi sgranati. Non poteva credere a ciò che aveva appena visto, né allo scatto d’ira che lo aveva indotto a sfogarsi in quel modo, sfiorando appena la tragedia.

Ma cosa succede? Com’è possibile che…

<< Ma dico io Karil, sei impazzito?! >> urlò Mahik, alzandosi da terra e allargando le braccia. << Che cosa ti è saltato in mente? Potevi colpirmi, potevi ferirmi… potevi uccidermi, dannazione! >>

In quel momento entrarono due guardie, una per cella.

<< Per le unghie di Julghar! >> urlò quella nella postazione di Karil. << Che cos’è questo baccano? La volete finire? O forse volete costringetemi a fare rapporto? Sarà meglio che vi diate una frenata, ragazzi, o per voi saranno guai! >>

Entrambe infine uscirono, velocemente com’erano entrate.

Mahik espresse tutto il proprio disappunto con uno schiocco della lingua e portandosi le mani ai fianchi. Dopo un po’ rimise in piedi lo sgabello e vi si sedette sopra, stavolta di fronte alla finestrella per scampare a nuove brutte sorprese. Amrin, che non appena sentì le chiavi delle guardie girare nella serratura era subito corso a nascondere lo specchio col proprio corpo, scostò violentemente Mahik dallo sgabello per farsi cedere il posto. Quello, sbuffando ma senza protestare, si alzò zoppicando e si appoggiò al muro, le braccia conserte e lo sguardo basso.

Karil sapeva di essere osservato ma non dette importanza a nessuno. Cadde in ginocchio a bocca aperta, scomparendo alla vista del rivale. Non riusciva a capire se avesse sognato, se invece che in una cella si trovasse ancora nel suo letto ad aggirarsi fra i sogni. Si guardò le mani, sporche di terra e macchiate di qualcosa che non poteva vedere, e per un po’ rimase così, fermo e in ginocchio a cercare spiegazioni alla sua improvvisa reazione alle parole di Amrin. Dopo un po’ si rialzò, non trovandone nessuna.

Sentiva le urla del pubblico in festa, lo vedeva agitarsi a suon di spade e di scudi, sebbene con meno foga di quando a dar spettacolo era stato proprio lui pochi minuti prima.

Ignorando tutti si avvicinò alla porta della cella e ne afferrò le sbarre, guardandovi oltre. E rimanendo immobile e in silenzio, attese.

 

Vide Mark finalmente soccombere a Neuhel in uno scontro impari e coinvolgente. Vide Sherd cadere davanti ai Garel in un duello veloce e privo di grandi emozioni. Vide Andren e Gareth battersi a lungo e con grande agonismo, ponendo fine ai quarti di finale con la vittoria di Gareth. Vide Amrin vincere contro Harven senza difficoltà, dopo appena cinque minuti, qualificandosi così per primo alle semifinali.

Venne poi il suo turno… e cominciò ad armarsi.

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Capitolo 5
*** Una facile vittoria ***


Karil uscì dalla sua cella, armato come nel primo duello ma con meno tenacia e visibilmente turbato. A tratti gli sembrava ancora di rivivere il momento in cui in preda all’ira aveva scagliato quella pietra contro Amrin rischiando di coinvolgere l’innocente Mahik. Non riusciva davvero a capacitarsi di quanto accaduto e di come tutto ciò fosse stato possibile, quasi che l’avesse sognato piuttosto che vissuto.

Mentre camminava al suo fianco verso il centro della grande Arena, Cern si sentiva a disagio per le urla della folla inneggianti a Karil. Non era bastata la buona prova contro Mahik per accattivarsi la simpatia del pubblico ed era conscio della bravura del suo nuovo avversario, cosa che lo intimorì ancor più dei cori festosi.

Il vento era intenso e molto irritante. Fortunatamente, Faeld aveva più volte addestrato i suoi allievi a fronteggiarlo, così da non farli mai trovare impreparati. Da parte sua, Karil aveva sempre temuto il vento. Nel contempo lo adorava, sebbene non sapesse per quale ragione. Forse per la sua ferocia, per quella sorta di rabbia che sgorgava quando s’infrangeva contro tutto ciò che gli si parava davanti. Era come un legame inconscio e profondo che Karil non riusciva a dominare ma che semplicemente sentiva e che, in un certo senso, riusciva a cogliere dentro di sé. E forse fu proprio grazie al vento che Karil ritrovò la forza perduta. Cominciò a sentire in corpo una pressione crescente, come se qualcosa volesse uscire e sfogarsi, qualcosa come rabbia, delusione e una vendetta senza nome.

Una volta fermi, guardò Cern negli occhi. Vide un’incredibile forza d’animo che per un istante lo spiazzò. Percepiva in Cern l’impazienza di battersi, come se il senso della sua esistenza fosse concentrata interamente su quell’evento. Tutto ciò suscitò in Karil un rispetto talmente grande da rimanerne stupito. Non aveva mai provato niente di simile per nessuno degli altri Cadetti, dai quali si era sempre distaccato con grande convinzione. Ora invece sentiva di essergli legato di un legame singolare, fondato sulla comunanza d’emozioni che in quegli istanti pervadeva entrambi, rendendoli simili ed amici piuttosto che avversari. Karil, però, non aveva ugualmente intenzione né voglia di perdere, anche se l’eventuale vittoria di Cern non gli sarebbe dispiaciuta. Non poteva permettersi di mandare all’aria anni di duro allenamento... non adesso.

Il Prefetto nel frattempo aveva lungamente protratto il suo discorso ed era quasi al punto di dare il via all’incontro. Karil strinse forte la lancia e le stringhe dello scudo, il viso teso e concentrato. Non stava più nella pelle e temeva di non poter più reggere l’attesa. Sentì il vento ronzargli nelle orecchie come per infondergli coraggio.

L’ultima parola di Kjahir risuonò trionfante, e lo scontro ebbe inizio.

Karil gettò via la lancia alla sua destra, scagliandola lontano. Si girò verso Cern e sfoderò lentamente la spada. L’altro cominciò ad avvicinarsi con cautela, lo scudo in avanti e la lancia dietro la schiena. Quindi caricarono insieme e inaspettatamente.

Cern tentò un affondo che Karil parò con facilità e a cui rispose con un fendente, spezzando di netto la lancia di Cern. Quello indietreggiò velocemente e impugnò la spada, poi di nuovo caricò. Per lunghi minuti le lame e gli scudi dei due Cadetti s’incrociarono freneticamente, dando vita a uno spettacolo a dir poco coinvolgente.

 

Innumerevoli voci risuonavano fragorosamente in tutto lo Stadio, eppure il Prefetto non se ne curava. Immobile sul suo scranno improvvisato, teso e scuro in volto, quasi non sentiva le urla della platea, sovrastate interamente dal suono delle armi e dai sibili del vento. Non dava credito a niente se non soltanto a quello scontro che tanto lo coinvolgeva, sempre più spiazzato dall’abilità del giovane Karil.

 

Sebbene fosse preparato e dotato di una tecnica per niente indifferente, Cern non riusciva in alcun modo a scalfire le difese di Karil. Ogni volta che trovava un punto scoperto e provava a colpirlo, subito l’altro riusciva a parare col piatto della spada o a difendersi con lo scudo, rispondendo a sua volta con un veloce e insidioso affondo. Provò a disorientarlo con una serie di finte ma anche in questo non ebbe successo. Karil non si scomponeva e non abboccava ai suoi tranelli, schivando e parando ogni colpo con destrezza. Volteggiava sul terriccio ai passi di una danza un secondo dopo l’altro sempre più spiazzante, rendendo vano ogni tentativo di Cern di colpirlo.

Un tuono fendette l’aria col suo rombo impetuoso. Gli addetti alla manutenzione si sparpagliarono qua e là fra i piani alti dello Stadio, pronti a installare il tassello mobile del tetto qualora si fosse scatenato un violento temporale. Dalla platea si levarono voci preoccupate, eccitate, semplicemente entusiaste. I due sfidanti invece non badarono al tuono, né badavano al vento che aumentava sempre più e disperdeva la polvere e la sabbia che i loro passi sollevavano.

 

Il Prefetto scosse la testa, stupefatto.

Mai visto niente di simile. Nessun giovane può essere tanto veloce. C’è qualcosa sotto, è ovvio. Oppure...

I suoi pensieri furono nuovamente frenati da un’altra sorprendente mossa di Karil. E quello che fino a pochi istanti prima non era altro che un vago dubbio, adesso era già quasi certezza.

 

Cern era nei guai. Si sentiva spacciato sotto la travolgente tecnica di Karil. Ogni mossa sembrava lenta ed ogni tentativo di difendersi quasi vano. Non poteva credere che un ragazzo tanto esile potesse essere così forte. E soprattutto capace, nonostante l’età. La paura s’insinuò nella sua testa. E la sconfitta la seguì.

 

Ora basta. Facciamola finita.

Con un paio di rapidi finte, Karil eluse ogni tentativo di Cern di intaccare le proprie difese. Solo allora decise di passare all’azione, contrattaccando ferocemente e facendo leva sulla stanchezza dell’avversario. Con una finta portò in avanti il busto di Cern, il quale era convinto che Karil avesse lasciato il braccio scoperto e tentò di colpirlo. Karil però sgusciò via alla sua destra, facendogli quasi perdere l’equilibrio e quindi, rapidamente, colpì la spada di Cern. L’arma volò compiendo ripetute evoluzioni in aria, conficcandosi nella sabbia a quasi trenta metri di distanza dai due Cadetti.

Lo Stadio ammutolì. Gli spettatori si alzarono tutti in piedi, compresi i nobili della tribuna. E così come rapido era sceso il silenzio, migliaia di applausi e altrettante voci adesso lo sostituirono, inondando la struttura di scrosci e urla. Soltanto il Gran Prefetto, tra le tribune, restò pacato, immobile, senza dire una parola.

Si alzò e con un richiamo zittì la folla. Sospirò, proclamando poi Karil vincitore e invitandolo a rientrare in cella insieme a Cern. Infine, annunciò una piccola pausa.

 

Vincitore e vinto s’incamminarono lentamente verso le celle immersi nel proprio silenzio. Karil cercò più volte lo sguardo del compagno, cosa che l’altro non fece. Camminava a testa china e col volto nascosto da un lungo ciuffo dei suoi capelli neri.

Giunti davanti alle celle le guardie aprirono le rispettive porte, invitandoli ad entrare. Non appena però Karil varcò la soglia della sua postazione, Cern lo seguì. Le guardie restarono sorprese ma niente potevano contro la decisione di Cern. Essendo ormai uscito dai giochi, la sua permanenza in una cella rispetto che nell’altra non aveva più importanza.

Entrarono ancora in silenzio, gli sguardi degli altri puntati addosso. Senza curarsene conservarono le proprie armi. Cern per un attimo alzò la testa e Karil decise di approfittarne per cercare il suo sguardo. E infine lo trovò.

Vide un Cern diverso da quello che aveva trovato a pochi istanti dal duello. Sentiva in lui un dolore che doveva essere inamovibile, un disagio di cui non era certo ma che nel profondo di se stesso, in qualche modo, riusciva a capire come se fosse anche suo. Di nuovo sentì di essere legato a lui in un modo che non sapeva definire e così fu per i lunghi istanti in cui si guardarono.

Cern allungò una mano senza distogliere lo sguardo. Karil rimase spiazzato per un istante, poi l’afferrò e la strinse con forza.

<< Sei un combattente formidabile Karil, e l’ho sempre saputo >> disse Cern. << Ti ho sempre temuto e stimato, nonostante non te l’abbia mai dimostrato. Ma c’è sempre una prima volta, dico bene? >>. Lasciò la presa. << Non mi sarei mai aspettato di perdere così a prescindere che fossi tu a sfidarmi. Semplicemente non pensavo di essere tanto scarso. Grazie a te ora conosco i miei limiti e cercherò di migliorarmi. >>

Karil sorrise. << Sono felice di esserti stato d’aiuto >> disse. << Vedo in te tanta forza e un guerriero temibile. Mi rincresce solo di averlo scoperto così tardi. Sì, insomma… persone del tuo valore non ce ne sono fra gli altri Cadetti e… >>

<< Guarda, guarda! Che cosa vedono i miei occhi? >> disse una voce alle loro spalle. I due si voltarono e videro Amrin sporto verso di loro dietro le sbarre della finestrella, sorridente come al solito. << Cosa devo sentire! Due mezze calzette che fanno conoscenza. E’ quasi commovente! Fatela finita, femminucce! >>

Karil fece un passo per avvicinarsi ad Amrin ma Cern lo trattenne per un braccio.

<< Ascolta, Amrin >> disse Cern. << A nessuno qua interessa niente di te, dei tuoi capelli e di quanti soldi potresti spendere in questo istante. Il fatto che tuo padre sia uno dei Generali del Regno non ti autorizza a comportarti come se lo fossi tu. Smettila d’importunarlo, perché ti rendi soltanto più ridicolo di quanto già sei >> . Si avvicinò alla finestrella, due passi lenti ma decisi. << Come fai a non accorgertene? Sei un Cadetto esattamente come tutti noi e come noi ti trovi qui dentro. Altro che grande nobile. Sei soltanto un ragazzino e le tue azioni non si addicono a ciò che tanto ti vanti di essere. Ora fai un piacere a tutti noi >> aggiunse puntandogli contro l’indice << prendi quel dannato sgabello, siedici sopra e sta’ zitto una volta per tutte! >>

Amrin non seppe cosa rispondere. Una smorfia di celato terrore misto a disprezzo s’insinuò sul suo volto, finché in un attimo divenne rabbiosa. << Guardie! >> gridò in un impeto, i pugni tesi e gli occhi decisi.

Quelle entrarono dopo un paio di secondi, chiedendo cosa stesse succedendo.

<< Questi due mi stanno infastidendo >> ripose Amrin indicando Karil e Cern. << Sì, loro, lo stuzzicadenti senza padre e l’infimo paesano! >>

Le guardie, stanche, chiamarono rinforzi e si apprestarono a portar via di forza i tre ragazzi.

<< Che cosa state facendo? Lasciatemi! >> urlò Amrin con tutto il fiato che aveva in corpo. << Non avete il diritto! Non potete! >>.

<< Piantala, ragazzo!>> disse una delle due guardie. << Sarete portati tutti e tre dal Gran Prefetto. E non ammetto repliche da parte di nessuno di voi, intesi? >>

Amrin non desistette, cercando di divincolarsi dalla presa dei due uomini. << Non sapete che cosa state facendo! Lo sapete chi sono io? Lo sapete!? >>

<< Zitto! Forse sei tu qui a non sapere cosa rischi con le tue resistenze! Non interessa chi sei, di chi sei figlio e che cosa diventerai! Adesso verrai con noi e farai il bravo, e così anche voi due. >> 

Karil e Cern non dissero nulla, così come gli altri Cadetti. Soltanto Amrin ancora scalciava e si dibatteva dalle morse delle due guardie che lo strattonavano e che finirono per alzarlo da terra pur di smuoverlo.

Proprio mentre varcavano la soglia delle rispettive porte, Hartin mise piede nella cella di Amrin, bendato ad una gamba e retto da una stampella. Seguì con lo sguardo i tre compagni che venivano accompagnati fuori per poi perderne la vista alla fine del corridoio.

Entrò nella cella e guardò gli altri Cadetti mentre un’altra guardia richiudeva entrambe le porte.

<< Che cos’hanno combinato, stavolta? >>

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Capitolo 6
*** Incontri a sorpresa ***


Karil, Cern ed Amrin furono condotti fuori dalle celle da tre enormi guardie in divisa arancione. Una quarta, la cui uniforme era completamente nera, dava continuamente ordini alle altre due ed era l’unica a parlare coi ragazzi. Amrin si era calmato, stanco ormai di protestare. Karil e Cern, invece, non avevano fatto una piega sin dal principio, tanto che le guardie al loro fianco neanche più li trattenevano.

Attraversarono decine di corridoi, sempre più illuminati man mano che passavano dai piani inferiori a quelli superiori. Nell’intero edificio, le scale erano state erette alla fine di ogni corridoio, ad entrambe le estremità. In questo modo, finito di percorrere una rampa, per raggiungere la successiva dovettero attraversare l’intero corridoio successivo. Per questo motivo il loro viaggio fu lungo e in un certo senso stancante, ma Karil colse l’occasione per ammirare le fattezze interne del nuovo Stadio.

I muri del primo piano erano tetramente colorati di un marrone spento, arredati con armi di ogni tipo e fiaccole dalla luce smorta. Le finestre erano semplici e in legno, sbarrate all'esterno e con enormi battenti. Alcune porte facevano presagire che al loro interno vi fossero celle come quelle in cui erano stanziati poco prima. Amrin non nascose la propria indignazione, scuotendo spesso la testa con una smorfia di disgusto stampato sul volto. I corridoi dei due piani intermedi, invece, erano nettamente più gradevoli. Dappertutto si vedevano piccoli busti in marmo o pietra bianca raffiguranti ognuno i Falkhir più celebri. Le finestre in ferro e acciaio erano provviste di vetri, grandi tende non molto raffinate e davanzali in marmo. Le tende avevano un colore simile a quello delle foglie di abete e si sposavano perfettamente al dorato delle corde, ispirando così un senso di forza e pacata vivacità.

Karil apprezzò molto quell’ambiente. Gli era sempre piaciuto il verde, specialmente di quella tonalità, e camminare fra i busti dei più grandi Combattenti dell’Arena quasi lo emozionava. Riconobbe subito quello di Lebyr, l’ultimo grande Campione ad essere acclamato nel vecchio Stadio finché, in una notte di primavera di quello stesso anno, la morte venne visitarlo per mano di un assassino, tutt’ora senza volto e senza nome.

Il piano superiore, invece, lo stupì apertamente. Nobili signori in abiti eleganti camminavano qua e là seguiti dai loro servi. Qualche addetto alla pulizie, intanto, svolgeva in silenzio le proprie mansioni. Le finestre erano grandi tanto da sembrare porte e i vetri erano perfettamente lucidati. Le tende erano dorate, le loro corde di un rosso accesissimo e su ognuna era raffigurata un’aquila nera, simbolo del Regno dell’Ovest. Ad infondere un tono ancor più sfarzoso erano i tanti quadri appesi lungo i muri, molti dei quali di valore inestimabile.

Karil vide anche una porta al centro del corridoio da cui uscirono un esiguo numero di guardie. Si ricordò soltanto allora di una nuova tecnologia, chiamata “ascensore”. Ne aveva sentito parlare durante le lezioni di Tecniche e Tecnologia e non si aspettava di trovarne uno nel nuovo Stadio. Passando vicino alle guardie uscite dalla porta, anch’esse in uniforme arancione, queste squadrarono i tre ragazzi, non prima però di essersi inchinati di fronte alla guardia in nero, chiamandolo “Capitano”.

Salita l’ultima rampa di scale, giunsero infine alla loro meta. Esteticamente, l’ultimo piano si poteva definire una via di mezzo fra tutti quelli sottostanti, ultimo escluso, tanto per gli addobbi quanto per la sua funzionalità. Le finestre erano pressoché identiche a quelle dei piani intermedi, seppure non verdi ma di un arancio chiaro e sgargiante e contornate da corde nerissime. Varie porte si aprivano ai lati del corridoio e su ognuna era affissa una scritta a piccoli caratteri che Karil non riuscì a leggere. Il giovane notò un gran numero di bandiere e stendardi, anch’essi di colore nero e arancio, al cui centro spiccava l’emblema della Regno dell’Ovest.

<< Dei del cielo! Siamo arrivati, finalmente? >> disse Amrin. << Tutte quelle scale, quei dannati corridoi! Non ne potevo più! >>

<< Non riesci proprio a stare zitto, eh? >> intervenne Cern sarcastico.

<< Basta voi due! >> esclamò seccamente il Capitano. << Avete già causato abbastanza disordine nelle vostre celle, e vi avevo anche avvertito. Non provate a provocarmi ancora o a dire anche solo una parola finché il Prefetto non vi interpellerà, oppure vi assicuro che per voi andrà peggio di quanto già vi spetti. >>

Avanzarono sul marmo bianco fino in fondo al corridoio, fermandosi poi davanti a una porta in legno scuro. Le guardie liberarono la presa sui ragazzi, poi se ne distanziarono dando le spalle alla porta, le braccia conserte e gli puntati su di loro.

Karil posò lo sguardo su uno dei due stendardi ai lati della porta. Lo trovò stupendo. Esaminò per bene l’emblema, quasi volesse cercare maggiori dettagli di quanti ne avesse trovati sulle varie bandiere sparse in Accademia: un’aquila nera, con le ali spiegate e il portamento regale, volava fiera dall’alto del Galin, la Grande Montagna dell’Ad-Warten; l’Ahnir e il Behemur, i Fiumi Gemelli, si diramavano dalle cime della montagna sfociando nelle due terre ai lati, il Regno dell’Ovest e quello dell’Est.

Improvvisamente, passi svelti risuonarono nell’ampio corridoio, deviando così l’attenzione di Karil. Le guardie si misero sull’attenti, la mano destra chiusa a pugno sul petto e la sinistra lungo il fianco. Gli Allievi non si mossero di un millimetro, aspettando qualche segnale dal Capitano che però rimase impassibile.

<< Scusate il ritardo, Capitano >> disse una voce lontana alle loro spalle, confusa al rumore dei passi. << Ma non potevo lasciare così, su due piedi, una folla tanto euforica e ogni sortita di nobili e Cavalieri. Dei, che calma qui dentro. >>

Solo allora i ragazzi si voltarono, riconoscendo la voce di chi avevano alle spalle. Era un uomo alto e ben piazzato, dal passo marziale e il portamento elegante; una lunga e finissima veste arancione lo ricopriva fino ai piedi, al di sotto di un mantello nero lungo fino al polpaccio e in quel momento slacciata sul davanti; una robusta spada infoderata gli pendeva dal fianco sinistro, sfiorando appena i corti stivali neri come il mantello. Quattro soldati robusti armati di lancia e di spada lo scortavano ad appena due passi di distanza.

<< No, Gran Prefetto. E’ stato puntuale, come sempre. >>

Giunto a pochi passi dai tre ragazzi, il Prefetto si arrestò e il suo seguito fece altrettanto. Le guardie si piegarono in un inchino, seguiti un attimo dopo dai tre Cadetti.

<< Non è necessario, ragazzi. Ricomponetevi>> disse il Prefetto. << Mi hanno detto che avete fatto un po’ di baccano là sotto… ma non è questo il modo di parlarne. Capitano, la prego, faccia strada. >>

Il Capitano fece un veloce inchino, poi eseguì l’ordine. Da sotto il lungo mantello estrasse un mazzo di chiavi tenute assieme da un unico anello. Velocemente infilò la giusta chiave nella porta che aveva davanti e la aprì, spalancandola.

<< Prego, Gran Prefetto. Signori, se volete accomodarvi >> disse poi rivolto ai Cadetti.

<< Certo che voglio >> rispose Amrin sprezzante.

Il giovane fu il primo dei tre Cadetti ad entrare dopo il Prefetto, ma non prima di aver rivolto al Capitano un sorriso divertito. Quello rispose con uno sguardo di sfida, poi attese che gli ospiti fossero dentro per entrare a sua volta.

<< No, Lamor >> lo frenò il Prefetto. << Tu farai la guardia con gli altri. Non voglio essere disturbato, quindi fa che sia così. >>

 

La stanza era più grande di quanto Karil si aspettasse. Due finestre la illuminavano interamente dal fondo, dando risalto all'esigua mobilia. Sulla sinistra, vide un’ampia scrivania in legno di notevole fattura contornato da quattro sedie, una da una parte e tre dall’altra. Non fece caso al resto, eccetto alla libreria che subito attrasse tutta la sua attenzione. Era composta da tre scaffali con una decina di ripiani ognuno, tutti ricolmi di libri di ogni genere e colore. Certamente, pensò, non poteva competere con quella che avevano in Accademia, ma la sua modestia la rendeva ancor più interessante. Passandole vicino, non resistette dal dargli un’occhiata. Lungo tutto il primo scaffale spiccavano libri riguardanti tattica e tecniche di combattimento che non suscitarono il suo interesse. Al contrario invece di quello che vide sul secondo scaffale. Titoli di ogni genere su tutte le razze conosciute, soprattutto sugli Elfi, i loro reami e sui Nani riempivano lo scaffale. Tra i tanti tomi notò un libro rossiccio, rilegato interamente da una copertina in pelle e immerso dalla polvere. La prima parte del titolo era strappata.

… la razza perduta.

<< Prego ragazzi, accomodatevi >> disse Kjahir con le braccia tese verso le sedie.

Karil si sedette sull'unica rimasta libera, quella centrale. Una volta seduto, notò che il Prefetto lo stava guardando. Si sentì a disagio e per un attimo distolse lo sguardo, tornando poi sui suoi passi.

Aveva i capelli lisci e castani, lunghi fino alle spalle e scalati sul davanti, mostrando una fronte ampia e senza neanche una ruga; gli occhi erano della stessa tonalità castana dei capelli, il suo sguardo intenso e misterioso, straordinariamente indagatore. Nell'incrociarli, di nuovo sentì il disagio che poco prima lo aveva colpito. Almeno finché lo stesso Kjahir sembrò smettere di leggere negli occhi del giovane.

<< Non siamo qui per ammirare il mio studio, anche se in effetti non ci sarebbe nulla di strano >> disse. << Tante cose qui dentro hanno più valore di un’intera casa nel pieno centro di Astil, ma non ho scelto io l’arredamento. Quindi non inventate complimenti, non servirebbero. >>

La franchezza del Prefetto stupì i ragazzi e li lasciò senza parole. Sembrava aver inteso l’intenzione di Amrin di lodare l’arredamento. Karil alzò un sopracciglio, curiosamente colpito.

<< Adesso ragazzi, andiamo al sodo. Sarò chiaro e sincero oltre che celere, dato che là fuori mi attende una folla intera. Stando a quanto ho visto finora, voi siete in assoluto i Cadetti migliori dell’Accademia e se fosse per me sareste già sulla strada dell’esercito regolare. O delle Guardie Reali, ovviamente. Ma le cose non sono così semplici perché non dipendono da me. Le regole parlano chiaro: soltanto un posto è disponibile e spetta di diritto al vincitore del Torneo. Non c’è mai stato verso di oppormi a tale decisione, proponendo invano di premiare entrambi i finalisti. Per cui Cern, mi dispiace che tu non possa più aspirare a tanto, anche se in fondo lo avresti meritato. >>

Cern sorrise, imbarazzato ma visibilmente soddisfatto. Amrin guardò con disprezzo il compagno, per niente d’accordo con la scelta del Prefetto.

<< Restate quindi voi due >> disse ancora il Prefetto ad Amrin e Karil mentre si versava dell’acqua in un bicchiere. << Vi consiglio vivamente di non farvi più richiamare all’ordine o sarò costretto a punirvi con l’esclusione dai giochi. Come ho già detto, soltanto uno di voi potrà essere ammesso alle Caserme per Generali o per Guardie Reali, a meno che vogliate restare fedeli ai dieci anni di arruolamento in Accademia. Vi invito quindi a dare il massimo e di non farvi prendere troppo dall’emozione. Perché, posso assicurarvelo, non sempre è d’aiuto. >>

I due si guardarono e in silenzio si compresero. Sapevano bene che Kjahir aveva ragione, che in quella circostanza farsi trascinare dalla rabbia o dal rancore li avrebbe soltanto penalizzati. In fondo sapevano anche di essere i migliori Cadetti ma non potevano ammettere che l’uno potesse mai superare l’altro.

<< Bene, credo che per il momento sia tutto. Ormai manca poco alla fine del Torneo. Mi auguro di vedervi contro domani in finale. In effetti, ci conto molto. Adesso però si è fatto tardi. Le guardie vi riporteranno alle vostre celle. Badate a ciò che fate… e che vinca il migliore. >>

I ragazzi si alzarono insieme, scattanti e decisi. Sempre insieme s’inchinarono e quasi inciamparono fra loro mentre si accingevano ad uscire dalla porta. Neanche una parola uscì dalle loro bocche, soltanto si guardarono per qualche attimo fugace. Infine uscirono dallo studio, Amrin in testa seguito da Cern.

Karil esitò soltanto un attimo quando, poco prima che il Capitano richiudesse la porta, incontrò per l’ultima volta lo sguardo intenso e indagatore del Gran Prefetto di Astil.

 

Il Torneo ormai volgeva al termine e Karil non stava più nella pelle. Non riusciva a prendere sonno, tanto intensi erano i suoi pensieri. Soltanto uno scontro lo separava dalla finale, soltanto un ostacolo di nome Garel e non certo temibile. Amrin doveva affrontare Neuhel, gran combattente e ragazzo tenace ma non certo al livello del suo avversario.

Sicuramente Amrin si comprerà il favore di Neuhel. Quello stolto gli ha sempre leccato i piedi. Di certo non si tirerà indietro davanti a una lauta ricompensa…

Ad un tratto sentì un rumore provenire dalla porta, socchiusa come sempre la lasciava. Con uno scatto vi si fiondò e subito la spalancò, deciso a capire cosa stesse accadendo a viso aperto.

Alla vista di Sara, però, rimase di sasso. Era in piedi sul corridoio, di spalle ed immobile ad alcuni metri dalla porta. Nessun suono, nessun altro lungo tutto il piano. Soltanto loro due nel silenzio della notte. Le fiaccole appese ai muri ardevano silenti e i capelli di Sara ne catturavano la luce, brillando così di un castano ancor più chiaro e brillante di quello che già le apparteneva.

<< Cosa ci fai tu qui? >> chiese Karil. << Non sei mai stata guardiana notturna, almeno fino a ieri. E non penso che a una ragazza sarebbe concesso di… ehi! Ma dove vai? >>

Proprio nel bel mezzo del suo discorso, Sara prese a correre verso le scale. Karil la inseguì e in un attimo la raggiunse, appena prima che lei cominciasse la discesa. La prese per un braccio e la tirò a sé, fermamente ma senza violenza, col solo intento di fermarla e chiederle spiegazioni. Lei cercò di liberarsi dalla presa del ragazzo ma infine si arrese. Ed infine si girò a guardarlo.

Ciò che Karil vide non avrebbe saputo descriverlo, tanto era bello e coinvolgente. Gli occhi di lei, dello stesso colore dei capelli, risplendevano come ardenti sotto la luce tenue di quel ramo del corridoio, lo sguardo perso e nel contempo deciso. Non poteva in alcun modo smettere di fissarli, quasi che quegli occhi avessero a loro volta ingabbiato i suoi, ammaliandoli come niente era mai riuscito prima d’allora. Una forza senza nome lo esortava a non desistere dal guardare ancora quell’immenso spettacolo che gli si mostrava, senza niente in garanzia se non proprio il suo splendore.

Anche Sara sembrava non demordere, restando immobile e silenziosa. Un insolito gioco di luci e colori le si presentò davanti, lasciandola ancor più stupita di Karil. Era sempre stata certa che i suo occhi fossero chiari, mentre adesso un verde spento riluceva, intensissimo e sgargiante. Le iridi nere erano contornate da un grigio pallido che con scaglie sottili s’insinuava in quel verde tanto insolito e ammaliante. E che ogni istante sembrava vincerla sempre più.

D’un tratto, un rumore secco. Karil si portò una mano alla guancia, mollando la presa da Sara. Quella ne approfittò e scese in fretta le scale, scomparendo alla vista del giovane Cadetto.

Lui, ancora frastornato, non riuscì neppure a muoversi dallo stupore e rimase così per alcuni secondi. Quando poi s’accorse del calore sotto la mano, comprese che Sara gli aveva dato uno schiaffo. La sua mente però era ancora proiettata a pochi istanti prima. E lo schiaffo non lo interessò minimamente.

Riscossosi dallo stupore, lentamente entrò nella sua stanza e chiuse la porta. Si stese sul letto, lo sguardo fisso al soffitto bianco. Nessun pensiero lo assillava, nessuna voglia di vendetta, nessun rancore verso Amrin. Vedeva soltanto Sara coi suoi occhi, lei ed il suo sguardo. Una morsa gli afferrò lo stomaco, forte come un pugno. Finché un dubbio lo prese d’assalto fra i pensieri confusi. Lei gli piaceva. E forse anche lui piaceva a lei, ma questo non lo sapeva per certo. Ciò avrebbe spiegato perché la ragazza avesse rischiato di essere scoperta in un luogo a lei proibito in piena notte, per di più scappando.

Preso ancora da quei pensieri, così nuovi per lui, finì col prender sonno quasi all’istante, ancora vestito della divisa e stanco per la lunga giornata. Niente turbò il suo sonno, neanche la quatta incursione del guardiano per controllare che fosse tutto a posto, vista la porta stranamente chiusa. Nessun incubo né strane visioni quella notte lo andarono a disturbare, eccetto gli occhi di Sara ancora fissi su di lui.

 

L’alba era quasi sorta. Il cielo coperto di nuvole minacciava di scatenarsi tutt’a un tratto sulla Capitale e nei suoi dintorni. Il gelo era pungente, l’erba ghiacciata, i vetri delle case ancora appannati. Non tutti, dato che non in molti si potevano permettere una costante riserva di legname per accendere un fuoco, neanche il più misero, per rimediare a dovere al pungente freddo invernale.

L’Accademia era in silenzio. Soltanto le guardie esterne restavano vigili lungo i cancelli così come Tom, diligente come al solito. Nel giro di un’ora, però, tutto cambiò. Il grande giorno era arrivato e tutti erano in subbuglio, dal più giovane magazziniere ai Maestri, da Varin alla servitù. Tra tutti, proprio i Cadetti erano i meno attivi. Soltanto quattro tra loro avrebbero vissuto quel giorno da protagonisti mentre tutti gli altri avrebbero assistito come ospiti dalle tribune. Un onore che i ragazzi non sembravano aver colto.

Karil si svegliò per il trambusto generale, fresco e riposato come mai fino ad allora. Non aveva dormito così bene neanche quando Nemjir ancora viveva in Accademia ed ogni giorno lo svegliava di forza per non farlo tardare. Subito pensò a lui. Ma nessuna malinconia lo assalì.

Spensierato si alzò dal letto con una lentezza che non gli apparteneva, i muscoli ancora  nel pieno del torpore. Decise di scaldarsi, memore di cosa lo attendesse e per vincere il freddo mattutino. Poi andò a lavarsi, realizzando soltanto allora di aver dormito con la divisa. Una volta pulito, asciutto e vestito, si sentì finalmente pronto. Prese il bracciale che tre giorni prima quello strano mercante gli aveva regalato in città e lo assicurò al polso. Non credeva ancora che fosse davvero speciale ma in fondo non gli pesava e, anzi, ne ammirava la straordinaria bellezza.

Essendo in buon anticipo decise di fare colazione con gli altri Allievi. Avvicinandosi alla porta, una strana sensazione che non comprese lo colpì come un ricordo recente. Non facendoci caso, allungò la mano verso la maniglia ed aprì la porta. La luce filtrava dai vetri delle finestre illuminando timidamente il lungo corridoio. I chiari raggi del sole erano frenati dalle nuvole, sempre più bianche ogni giorno che passava. Karil avanzò verso le scale a passo tranquillo, il viso rilassato. Un paio di Cadetti uscirono in quel momento dalle loro stanze e nel vederlo si stupirono. Non solo era raro incontrarlo al di fuori degli allenamenti, delle ore di studio e a colazione, ma lo era ancor di più vederlo tanto pacato e quasi sorridente. Rapidamente scesero le scale tagliandogli la strada ma Karil non se ne curò e, al loro contrario, si avvicinò alla rampa senza alcuna fretta.

Fu proprio lì, però, ad appena un passo dalle scale, che finalmente ricordò. Belli e lucenti sotto le luci delle timide fiaccole, gli occhi di Sara tornarono a fissarlo. Ed anche la stessa morsa della notte precedente si fece viva, investendogli lo stomaco e non facendolo ragionare.

Scuotendo la testa, scese le scale a gran velocità. In cuor suo sperava di rivederla, di poterla di nuovo guardare negli occhi e contemplarne la bellezza, ma nel contempo non voleva. Temeva e intanto desiderava di non incontrarla. Non avrebbe saputo come comportarsi in sua presenza, ancor di più perché non avevano mai parlato.

In meno di un minuto arrivò in refettorio. Tutti i suoi compagni erano già fra i banchi a consumare la colazione e nessuno si accorse della sua presenza. In tutta fretta si versò del latte in una tazza, prese un cucchiaio e un tozzo di pane, quindi si sedette. Scelse il banco più isolato così che nessuno potesse notare il suo turbamento. Non sapeva se temere che gli altri lo ritenessero preoccupato per l’imminente sfida con Garel, cosa peraltro non vera, o di essere scoperto a pensare a una ragazza, che invece sapeva di riuscire a nascondere.

Mentre addentava il suo pezzo di pane, Jar si avvicinò e si sedette al suo fianco. Fissò il giovane come per capire cosa non andasse in lui, finché un piacevole dubbio prese il sopravvento.

<< E’ forse Sara che ti turba? >> disse sorridendo.

Karil s’impietrì. Quasi si affogò sorseggiando il latte e Jar cominciò a ridere. Il giovane s’imbarazzò profondamente e sperò che nessuno facesse caso a quelle risa. Fece per dire qualcosa ma il cuoco lo fermò allungando una mano.

<< Dai, ragazzo! E’ tanto chiaro che a lei piaci. E non certo da poco tempo. L’ho capito subito ma non ho mai osato mettermi in mezzo. Sono cose vostre, cose da giovani, cose che a me non competono neanche lontanamente. Ma non pensavo che tu ricambiassi. Voglio dire… non hai mai mostrato interesse verso di lei in tutti questi anni. E’ successo forse, ehm… qualcosa di particolare? >>

Karil arrossì. Non gli era mai capitato. Jar rise ancora più forte.

<< Beh, sembra proprio di sì. Tranquillo, non voglio sapere i dettagli. Come ho già detto, sono cose vostre. Ero solo curioso di sapere perché quest’oggi fossi così strano. Adesso ti lascio alla tua colazione e ti faccio i miei migliori auguri. Sei un ottimo combattente e sono sicuro che non avrai problemi a vincere il Torneo. Dacci dentro e sii in gamba, ragazzo mio>> . Si alzò e si diresse in cucina, il volto solcato da un grande sorriso.

Karil chiuse gli occhi per concentrarsi e cercare di rilassarsi. Non ci riuscì. Non poteva davvero credere che Sara fosse interessato a lui. In fondo, era strano. Come poteva qualcuno interessarsi a un ragazzo tanto insolito?

Figuriamoci una ragazza così carina...

Finì in fretta la colazione, resa amara dai suoi pensieri. Quindi si alzò e corse verso il cortile secondario. Quella mattina non c’erano allenamenti in programma ma decise di andare a scaldarsi per arrivare in Arena ancor più preparato. Ed anche per sfogarsi e non pensare a niente.

Dopo un po’ si ritrovò nello stesso corridoio dove appena due giorni prima aveva incontrato Sara. Era deserto. Subito passò nella sua mente il ricordo di quel giorno, soprattutto quando la giovane si era girata di scatto dopo che le aveva raccolto la pezza da terra evitando il suo sguardo.

In effetti si è comportata in modo strano. Forse Jar ha ragione. Chissà da quanto tempo è interessata a me ed io non me sono mai accorto. E chissà quante notti potrebbe aver passato dietro la mia porta...

Consapevole di essere tornato a pensare a Sara come invece non voleva, riprese a correre e si diresse al cortile, deciso a voler vincere una sfida che già sapeva essere più difficile di qualunque combattimento.

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Capitolo 7
*** Tra sogno e realtà ***


La cella era fredda più del giorno precedente ed umida per la neve che quella notte era scesa con molta timidezza. La terra all’interno sembrava bagnata e, non avendo posti su cui sedersi, Karil fu costretto a restare in piedi. La sua attenzione però era già da tempo attirata da Garel, nella cella accanto. Tremava dal freddo e Karil si chiese come fosse possibile. A quanto sapeva, Garel non aveva alcun malanno, e per di più portava indumenti ben più pesanti dei suoi.

Ad un tratto, le urla del pubblico si fecero più intense, frenando ogni suo pensiero. Finalmente Amrin aveva disarmato Neuhel che, con il gesto ormai consueto, si dichiarò sconfitto.

Non appena Karil ebbe finito di armarsi, Neuhel entrò nella sua cella. Una folata di vento s’insinuò nella stanza ma Karil non si scompose, al contrario di Garel quando Amrin entrò nella sua. Neuhel guardò Karil con un sorriso beffardo e andò a piazzarsi in un angolo a braccia conserte. Voltandogli le spalle, Karil si avvicinò alla guardia che lo attendeva con un braccio teso lungo la porta spalancata.

Una volta fuori s’incamminò al fianco di Garel verso il centro dell’Arena. Per un attimo lo guardò lungo il tragitto e dai suoi occhi capì il suo stato d’animo. Non soltanto appariva stanco ma addirittura intimorito, pauroso per la prova che di lì a poco avrebbe sostenuto. Fu lì che Karil, per la prima volta, provò davvero compassione. Decise però di non dare peso alla cosa, troppo deviato dalla voglia di vincere il Torneo.

Quando tutto fu pronto, il Prefetto dette il via.

Karil si voltò verso Garel, la lancia impugnata nella mano destra e lo scudo nella sinistra. Garel sembrò riscuotersi dall’alone di tristezza che per tutto il tempo lo aveva pervaso, mettendosi in guardia mentre Karil avanzava a passo pacato. Pacato al punto che sembrava passeggiare. Garel rimase spiazzato e cominciò a indietreggiare. Il passo di Karil si fece sempre più veloce finché poi si mise a correre, veloce e inaspettatamente. Garel si fermò saldando i piedi ben in terra, lo scudo a mezz’altezza e la spada sguainata. Karil ormai era vicinissimo, forse troppo affinché quello potesse difendersi. Quindi, saltò. Un timido raggio di sole si riflesse sulla spada, impugnata nella mano che poco prima reggeva la lancia.

E in un attimo, veloce come un lampo, lo scontro ebbe fine. Garel cadde in ginocchio mentre Karil atterrava leggiadro sul terriccio semi-bagnato. Lo scudo di Garel giaceva a terra così come la sua spada, entrambe portate via della furia fulminea e quasi invisibile di Karil.

Lo stadio ammutolì. Nessuno osava parlare. Persino il Prefetto. Sulla sua poltrona fissava con insistenza il giovane Karil. Nella sua mente si ripeteva la straordinaria mossa che aveva atterrato Garel. Aveva visto Karil coprirsi con lo scudo, usandolo poi per disarmare l’avversario della spada; quindi lo aveva visto colpire le fragili giunture dello scudo di Garel senza ferirlo, quasi che lo strumento fosse stato di carta invece che di rame e ferro. Fu lì che il dubbio che da tempo covava divenne quasi una certezza, investendo la sua mente ed il suo cuore di pensieri ed emozioni quasi proibiti.

Dopo un attimo di esitazione si alzò, quindi annunciò al pubblico la vittoria di Karil. Per un attimo fissò il giovane in un modo che Karil riuscì a cogliere nonostante la distanza. Era lo stesso sguardo che gli aveva lanciato il giorno precedente, appena prima che la porta dello studio venisse chiusa. Uno sguardo curioso e indagatore, inefficace però da quella distanza.

Karil si avviò alla sua cella ancora inneggiato dal pubblico. Non appena la guardia aprì la porta, subito scorse Cern nella penombra. I suoi lunghi capelli castani erano in ordine, gli occhi color ghiaccio resi ancor più chiari dalla luce dell’esterno. Indossava l’uniforme come tutti i Cadetti presenti allo Stadio e dal collo pendeva un laccio a cui era assicurato un anello in puro argento.

Con un cenno del capo, Karil lo salutò. L’altro ricambiò ed attese che Karil si disarmasse per potersi complimentare.

<< Nessuno lassù si sarebbe aspetto una vittoria tanto veloce >> disse Cern stringendogli la mano. << C’è chi addirittura aveva scommesso sulla tua sconfitta. Peccato non aver visto le loro facce… sarebbe stato un bello spettacolo. >>

<< In effetti neanche io l’avevo messo in conto. In realtà è stato proprio Garel ad aiutarmi, in un certo senso. Era davvero turbato… >>

<< Forse il padre lo ha pressato troppo. E’ l’unico figlio di un Veterano dell’esercito, uno tra gli uomini più ricchi del Regno. Per lo meno, è stato onesto a non chiederti di farlo vincere, come invece qualcun altro non ha esitato a fare… >>

<< Che ci vuoi fare... chi capra cresce, capra resta. >>

Alle sue risa seguirono quelle di Cern. Sembrava aver dimenticato la disfatta del giorno prima e la vittoria di Karil lo aveva rallegrato come se fosse sua.

<< Dimmi un po' >> disse Karil. << Quell’anello, non l’ho mai visto prima. E’ un regalo? >>

<< Non proprio. Sei il primo a venirne a conoscenza… e mi fa piacere che sia così. Più che un regalo è un ricordo e in effetti non si può dire che sia del tutto mio. No, non l’ho rubato. E’ l’ultima cosa che mi rimane di mio fratello. Alcuni anni fa un’orrenda malattia lo prese con sé, così come mia madre. Io scampai e fu Varin a prendermi con sé e farmi entrare in Accademia. E’ un grand’uomo e crede davvero in ciò che fa. Gli Dei hanno voluto che, quando ancora era in vita, lui e mio padre fossero cari amici, così… >>

<< Oh… mi dispiace >> disse Karil imbarazzato. << Davvero, scusami. Non sapevo nulla della tua famiglia, assolutamente, altrimenti… >>

<< Dai, Karil. Proprio perché non ne sapevi nulla non hai motivo di scusarti. Anch’io avrei fatto una domanda del genere. E poi, neanche io so molto di te. E perfino Varin sembra non sapere nulla. Sappi che con me, se vorrai, ogni tuo segreto sarà ben custodito, e… >>

Nella cella a fianco, la porta interna della cella venne spalancata, sbattendo rumorosamente al muro in pietra. Due guardie fecero ingresso ai lati di Amrin, sgargiante e tirato a lucido come se invece di lottare in un’arena fosse stato invitato ad una festa. L’uniforme gli era stata appositamente preparata su misura, gli stivali ben lucidati, e una spada luccicante e nuova di zecca gli pendeva dal fianco sinistro.

<< Salve, ragazzi >> disse sprezzante. << E così ce l’hai fatta Stuzzicadenti, complimenti. Sei arrivato dove nessuno avrebbe mai immaginato… ma io resto ugualmente della mia opinione: tu non vali niente. Ammirevoli i trucchi che hai usato in questi giorni, davvero originali, ma non sperare di cavartela quando mi avrai di fronte sulla sabbia. Te ne farò ingoiare così tanta da non farti più mangiare per tre giorni.

E tu, Cern… se non ricordo male sei stato eliminato proprio per mano sua. Che cosa ci fai in quella cella? Non potresti stare qui… e penso sia meglio che tu te ne vada. >>

<< Hai ragione, è meglio che vada >> rispose Cern. << Sappi però che non lo faccio per te, semmai per Karil. Non vorrei causargli una squalifica qualora mi andasse di spaccarti la faccia. O magari di alzare la voce e farci riprendere tutti e tre, un po’ come ieri. E se non sbaglio quello che rischia qua dentro non sono io… vero, Amrin? >>

Rivolto un cenno d’intesa e uno scaltro sorriso all’amico, Cern chiamò le guardie affinché gli aprissero la porta. Amrin non rispose, soltanto lo guardò mentre usciva dalla cella e scompariva alla sua vista. Poi si voltò e restò in silenzio.

Karil si avvicinò silenzioso alle sbarre della porta, intento a rilassarsi e a non far caso alle noie di Amrin. Vide migliaia di gente fra gli spalti, fremente per la grande finale ormai prossima a cominciare.

Chissà se c’è anche Sara. E chissà cosa penserebbe il Re se mi vedesse lottare. Anche oggi non sarà presente… chissà perché.  Magari il Prefetto gli avrà comunque fatto il mio nome... o quello di Amrin…

Fu proprio il Gran Prefetto a interrompere i suoi pensieri. Alzatosi dalla sua elegante sedia, cominciò a parlare a gran voce al pubblico in attesa. Le sue parole risuonavano fra le pareti circolari dello Stadio, echeggiando sino alle celle dei prossimi sfidanti, gli ultimi a contendersi ciò che per loro valeva più che un titolo di Campione.

 

La folla era in delirio. Il vento non accennava a diminuire, sibilando il suo lamento sottile e incessante. La neve era già quasi un ricordo nonostante il cielo fosse ancora bianchissimo. E il cielo era coperto, minacciando appena di scatenarsi.

Un uomo alto e robusto camminava fra la gente a passo sicuro. Un ampio mantello grigio chiaro lo copriva fino ad oltre le ginocchia, lasciando scoperti i lunghi stivali marroni. La testa china era coperta dal cappuccio del mantello sopra cui pendeva, a tracolla, una piccola sacca in pelle.

<< Ecco a voi allora, signore e signori, i due finalisti >> tuonò il Prefetto. << Che entrino Amrin di Astil e Karil Fìnharel! >>

Lo sguardo dell’uomo si concentrò sulle celle da cui uscirono due ragazzi. Uno era robusto e dall’aria fiera e superba, simile più ad un bambino viziato che ad un futuro soldato. Istintivamente, sperò con tutto se stesso che non fosse la persona che era stato mandato a cercare. Sarebbe stato a dir poco ridicolo. Alla vista dell’altro giovane, però, trasalì. Quei lineamenti, il suo incedere così placido e sicuro, la sua stessa corporatura, così insolita. E soprattutto, gli occhi…

<< Non posso crederci >> sibilò togliendosi il cappuccio. << E’ proprio lui! >>

 

Karil camminava fiero verso il centro dell’Arena. Il vento soffiava impetuoso eppure non lo turbava. Amrin gli camminava vicino, sorridendo verso quel pubblico che fino all’ultimo scontro aveva cercato di rendersi amico con grande senso di recitazione. Molte ragazze strillavano il suo nome, cosa che per un attimo infastidì Karil. Sapeva bene che non poteva lasciarsi distrarre da nulla, neanche dall’arroganza e dalla superbia del suo rivale. Quindi non ci fece già più caso e continuò a camminare.

Arrivati al centro del’Arena, il Prefetto li salutò in nome di tutto lo Stadio così come aveva fatto in ogni sconto precedente, quindi ripeté le regole del Torneo intimandoli a rispettarle. La folla non riusciva a contenersi e continuava ad urlare sulle sue parole. Piccoli e timidi fiocchi di neve iniziavano a scendere dal cielo silente, trasportati dal vento che intanto cresceva.

Per un solo istante, Karil e Amrin si scrutarono. Lo fecero a fondo, quasi che volessero intimorirsi a vicenda. Poi di scatto si scomposero, e all’urlo “combattete”, insieme caricarono.

La loro corsa fu breve ma veloce, le lance puntate in alto e gli scudi in avanti. Non un grido si levò dalle loro bocche, non un lamento, non un passo falso nel loro incedere sicuro. Quando finalmente furono vicini, la battaglia ebbe inizio.

Lo scudo di Amrin risuonò del colpo che Karil gli aveva assestato, accendendo l’entusiasmo della platea. Amrin contrattaccò ma Karil scartò di lato vanificando il suo colpo, poi attaccò a sua volta con veloci affondi ed una serie di finte a cui Amrin prontamente rispondeva. Più e più volte i due si scambiarono colpi che però non li scompose minimamente. E fu così per alcuni minuti. Nessuno dei due sembrava prevalere sull’altro, a dispetto dello spettacolo che decisamente prendeva piede un istante dopo l’altro.

Le cose cambiarono quando Karil, dopo essere indietreggiato di alcuni metri, gettò via la lancia e sguainò la spada. Il suono argentino della lama riecheggiò fra le voci concitate del pubblico mentre nuovi e più grandi fiocchi di neve scendevano a capofitto sul terriccio umido.

Amrin sorrise beffardo. A sua volta sguainò la spada e con uno scatto si fiondò selvaggiamente sull’avversario. Karil piegò le ginocchia, levò in alto la spada e brandì in avanti lo scudo, pronto a difendersi. L’impatto fu forte e il pubblico sussultò. In preda all’impeto, i due Cadetti ripresero a lottare con rinnovata frenesia. Karil scartava e parava ogni colpo che con forza e decisione Amrin sferrava senza quasi respirare. La sua tecnica era notevole ma Karil non era disposto a cedere. Attese pazientemente che Amrin si stancasse. E quando ciò avvenne, finalmente attaccò.

Era una furia. I suoi colpi erano violenti, più di quanto lui stesso si sarebbe aspettato. La sua spada sembrava fluttuare prima di scagliarsi con violenza sull’inerme avversario, ridotto ormai ad un semplice bersaglio. Quella furia era intrisa di ricordi, rancore, rabbia, delusione. E un vento impetuoso sembrava accompagnarli come per assistere Karil nella sua tenacia. Amrin faticava a difendersi e temeva che il suo scudo si sarebbe spezzato da un momento all’altro.

<< Questo è per Nemjir >> disse Karil rabbioso. << Questo è per Cern! E questo per tutte le volte che mi hai preso in giro! Prendi questo, questo, e questo! >>

La sua furia era incontrollabile ed Amrin era sfinito. Non avrebbe retto a lungo alla cieca rabbia che intrideva gli attacchi e gli stessi occhi di Karil, di un verde adesso così intenso che Amrin quasi credeva di perdercisi dentro. Nulla sembrava poterlo fermare, neanche la neve che ormai cadeva fitta sull’Arena e che rendeva lo spettacolo ancor più entusiasmante. Sentiva già la vittoria pervaderlo fino alle ossa, il suo sapore dolce ottenebrargli il gusto, la sua brezza inebriarlo, il suo calore confortarlo.

Ad un tratto, però, Karil si bloccò. Amrin, che già s’immaginava a terra sanguinante, lo guardò stupito. Il pubblico ammutolì mentre il vento aumentava d’intensità. La spada di Karil era ancora levata in alto per un ennesimo affondo. Il suo volto era come di pietra, gli occhi serrati e del tutto inespressivi. Sembrava che stesse sognando o che qualcosa da dentro lo trattenesse dal muoversi, respirare, perfino pensare.

Ma che cosa?... cosa mi succede?...

Una fitta allo stomaco lo costrinse a piegarsi per il dolore e la vista gli si annebbiò. Un colpo sordo alla spalla e poi alla mano lo fece sussultare, ma non poté vedere nulla. Si accorse soltanto di essere caduto e aver battuto la testa fra le urla insoddisfatte del pubblico. Il buio lo avvolse nel suo abbraccio silenzioso.

Una sagoma cominciò a formarsi nel caos che lo sovrastava. Fu allora che la vide. I suoi occhi viola erano circondati di lacrime. Una donna così bella da mozzargli il fiato. Poi sprofondò di nuovo nel buio con ancor più intensità, tremante per il freddo e per il vento gelido.

 

L’uomo incappucciato vide Karil steso a terra, immobile e privo di sensi. Lo guardava con sconcerto mentre immagini nella sua testa si mischiavano alla realtà e voci lontane e misteriose s’insinuavano fra i suoi pensieri. Sì sentì mancare complice anche una fitta che gli opprimeva lo stomaco.

Dopo un po’ tornò in sé, scuotendo il capo. D’istinto si ricoprì la testa ed in fretta si mosse verso le uscite. Si assicurò di non essere stato visto o seguito, quindi cominciò a correre, convinto finalmente di aver trovato ciò che stava cercando.

 

Karil si svegliò al caldo, la testa pesante e dolorante. Non sapeva dove si trovava, né cosa fosse successo. I ricordi erano confusi e la sua mente affaticata. Lo stomaco era in subbuglio e non riusciva a muoversi, bloccato com’era in quello che credeva fosse un letto.

Una mano si posò sulla sua fronte. Sussultò per la sorpresa.

<< Stai tranquillo, Karil >> disse una voce dolce e familiare. Era Merion. << Ti trovi in Accademia, in infermeria. Non ricordi niente? >>

Karil scosse la testa, incapace di parlare e gli occhi privi di sguardo.

<< Va bene, non è importante. Ciò che conta è che riesci a sentirmi. Cern starà con te per tutta la notte nel caso avessi bisogno di qualcosa. Fra poco arriverà ma ti consiglio di rimetterti subito a dormire. Sogni d’oro. E, mi raccomando, riposa. >>

Nonostante la vista fosse annebbiata, Karil per un attimo riconobbe il volto di Merion che gli sorrideva, gli occhi castani che lo guardavano con tenerezza ed amore.

D’un tratto si ricordò di Sara e del loro incontro in corridoio. Gli occhi Sara, tanto simili a quelli di Merion, tornarono nella sua mente e per un attimo lo fecero sorridere. Finché il sonno poi lo sopraffece, e strani muri sconosciuti cominciarono ad attorniarlo.

 

La cella era fredda. Neanche una finestra la illuminava all’infuori della blanda luce che giungeva dalla porta aperta. Un’enorme figura che la ragazza conosceva bene si ergeva ai suoi piedi, ammonendola col suo sguardo profondo.

<< Alzati, Scricciolo! Non perdere altro tempo, il Signore sta aspettando. E non sarà di nuovo cortese con te come tutte le altre volte. Alzati, ho detto! >>

<< Perché dovrei obbedirti, bestia? Ormai non potete farmi più male di quanto me ne avete fatto finora, ed io non temo altro dolore. Quindi non scaldarti tanto. >>

<< Lo vedremo, Mezz’elfo, lo vedremo! >>

La bestia la prese per un braccio e senza alcuna fatica l’alzò da terra. Il suo corpo robusto e muscoloso sovrastava quello della donna, palesemente ridotta ad un mucchio d’ossa ambulante. Una leggera cotta di maglia ricopriva il busto enorme lasciando scoperte soltanto le braccia, possenti e glabre.

<< Adesso verrai con me e non dirai una parola o sarà peggio per te. >>

I capelli della ragazza le coprivano il viso. Il loro biondo un tempo chiaro adesso era spento più che mai, quasi che la fame e la stanchezza si riflettessero in quel modo. I suoi occhi color del ghiaccio fissavano inermi il pavimento mentre la bestia la trascinava verso le scale al di là della cella. La rampa era lunga ma lui non l’alzò da terra, facendola sbattere di qua e di là ad ogni gradino.

Finito quel tragitto che per la donna era sempre parso infinito per mesi, la bestia la trascinò ancora lungo un corridoio.

La bestia lasciò la presa e aprì un’enorme porta alla fine del corridoio. Caricandosela poi su una delle enormi spalle, entrò a passo deciso in quella che ormai la ragazza conosceva come la Sala del Trono. Una luce oscura inondava la stanza senza spargere calore ed il freddo che lì dentro era insopportabile la fece tremare.

Devo resistere… a qualunque costo.

<< Finalmente, Kren >> disse una voce dal fondo della sala. << Se soltanto io potessi dormire adesso lo starei facendo, visto quanto hai impiegato ad arrivare. Dì un po’, ti sei forse rammollito? >>

<< Signore, la prigioniera si ostinava ancora a non eseguire gli ordini e sono stato costretto a trascinarla fin qua. Se fosse stato per me, io... >>

<< Cosa? >> urlò l'altro. << Tu… cosa? Sai bene quanto detesti i ritardi e chi non rispetta i miei ordini. Non hai adempiuto ai compiti nei termini che avevo stabilito. Come pensi che dovrei rimediare, adesso? >>

Un brivido di terrore colpì Kren che cominciò a tremare. << Ma Signore, io… >>

<< Tu, tu e ancora tu! Non hai il diritto di pensare, riflettere, agire senza che io lo abbia deciso per te! Ti torturerei se non mi servissi in questa guerra ormai prossima a cominciare. Vuoi forse sfidarmi, Kren? >>

<< No, mio Signore, non mi permetterei mai! Come potrei… >>

<< Adesso basta! E tu, Mezz’elfo, vedi di collaborare o rimpiangerai con amarezza tutto il dolore che hai passato finora. So cos’hai detto a Kren nella cella. Dunque non temi di soffrire e non sei tenuta ad obbedire a ciò che ti viene ordinato. Ebbene… da ora faremo sul serio, ragazzina. Portatemi dell’acqua… subito! >>

D’un tratto apparve un Goblin. Correva verso il trono reggendo un vassoio d’argento. Arrivato ai piedi del trono versò dell’acqua in un bicchiere da una piccola brocca, entrambi di vetro. La presa sul bicchiere gli mancò e il fragile utensile franò sul marmo nero del pavimento. Il terrore lo invase e cominciò a tremare, chiedendo scusa mentre in ginocchio raccoglieva i cocci sparsi per terra.

Un raggio rosso penetrò l’oscurità dal trono lo colpì in pieno, sbalzandolo lontano. Subito dopo, un altro raggio viola lo colpì. Un alone bianco lo rivestì da capo a piedi e ad un tratto cominciò a fluttuare. La ragazza non si scompose, ancora stretta nella morsa di Kren che con occhi sgranati attendeva l’inevitabile.

<< Che sia di monito a entrambi. I miei ordini devono essere eseguiti e chi non li rispetta sarà punito. In base al valore di chi trasgredisce, la pena sarà adeguata. Quindi, piccolo insetto… addio. >>

Silenzioso e letale, un nuovo raggio violaceo investì il Goblin. Il suo corpo fremette come se una forza dal suo interno rischiasse di uscir fuori da un momento all’altro. Pian piano cominciò a gonfiarsi, sempre di più e innaturalmente. Finché poi, con un botto tremendo, esplose. I suoi resti si dissolsero nel nulla come se il suo corpo non fosse mai esistito, e il silenzio tornò a regnare sovrano con la sua pesantezza.

Kren ebbe un fremito, poi si ricompose gonfiando il petto. La donna, troppo stanca per reagire, si lasciò andare sulla spalla della bestia che la stringeva ancor più forte, e nel giro di pochi secondi si addormentò esausta di un sonno inquieto e senza sogni.

 

Karil si svegliò, madido di sudore e ancora senza forze. Al suo fianco, Cern dormiva profondamente, la testa poggiata sul letto sotto le braccia robuste. La stanza era adombrata e appena baciata dai timidi raggi di una luna nascente.

Dopo un po’ di esitazione il giovane si rilassò. Troppo stanco e assonnato, non poté fare a meno di richiudere gli occhi. E in un attimo si riaddormentò.

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