Felicità sbagliata

di Jane P Noire
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte Prima - Pregiudizi ***
Capitolo 2: *** Parte Seconda - Seconde Possibiltà ***
Capitolo 3: *** Parte Terza - Una nuova vita ***



Capitolo 1
*** Parte Prima - Pregiudizi ***


Felicità sbagliata

Parte Prima
Pregiudizi

Ottobre 1964 (primo anno)


Le lezioni di Storia della Magia terminano sempre con un sospiro di sollievo da parte degli studenti, che già da molto piccoli hanno iniziato a capire quanto il professor Ruf annoi con le sue spiegazioni atone.
Andromeda Black, una volta udito il suono acuto della campanella che la riporta alla realtà con un balzo, si affretta a raccogliere tutti i suoi libri e quaderni che ha sparpagliato sul banco e poi a raggiungere l’uscita della classe. Con la borsa sulla spalla, la divisa della scuola perfettamente in ordine e l’alta coda di cavallo che le solletica il collo, si dirige verso i sotterranei dove si terrà la sua prossima lezione: Pozioni, con il professor Slughorn.
Constata, agitandosi, che sta facendo tardi e questa è una cosa che detesta. Così inizia ad affrettare il suo passo e stringe con più forza il grosso libro che tiene stretto al petto. Girando l’angolo, però, va a sbattere contro qualcosa – o meglio, qualcuno – che la fa cadere in terra con un tonfo.
«Stai un po’ attento, accidenti!» esclama la piccola strega, aggrottando le sopracciglia in un
espressione imbronciata e affrettandosi a ritornare in posizione verticale. Si sistema la gonna della divisa e controlla che dalla coda non sia uscita nessuna ciocca ribelle.
Il bimbo dalle guance paffute e i capelli biondi abbassa gli occhi sul pavimento in terra e, dopo aver raccolto il libro che le ha fatto cadere dalle mani, glielo porge.
«Scusa. Mi dispiace molto» dice con tono sincero e rammaricato.
«Be’, non me ne faccio molto delle tue scuse» ribatte lei, con tono tagliente e sprezzante.
Il ragazzino annuisce e tende la mano destra, piegando gli angoli delle labbra in un sorriso cordiale e molto dolce.
«Io sono Ted, comunque. Ted Tonks, primo anno».
«Andromeda» risponde lei. La sua voce continua ad essere graffiante e dura, come la proprietaria.
Ted, notando che non da la minima impressione di volergliela stringe, nasconde prontamente la mano nella tasca dei pantaloni. Continua a sorriderle, ma – adombrandosi un po’ – si chiede perché si ostini ad essere così maleducata e fredda nei suoi confronti. Dopotutto, è solo stato un piccolo incidente: non l
ha di certo fatta cadere di proposito!
«Senti, ho detto che mi dispiace. Potresti anche farlo un sorriso, Andromeda».
E quelle parole toccano il cuore della ragazzina, con la delicatezza di una farfalla che si posa su un fiore. Nessuno si è mai interessato affinché sorridesse, o che sia felice. Invece, senza nemmeno conoscerla, il bambino che ha davanti vuole farle tornare il sorriso sulla bocca. Per questo motivo, le labbra della piccola strega si stanno piegando verso l’alto; ma, all’improvviso, nel corridoio compare Bellatrix – la sorella maggiore di Andromeda.
La nuova arrivata – un sacco di capelli neri e lo sguardo spiritato – lancia un’occhiata sprezzante in direzione di Ted e, senza dire una sola parola, afferra con forza il braccio della sorellina per trascinarla via.
Andromeda, che inizia a sentire dolore nei punti in cui la sorella le stringe la pelle, tenta di divincolarsi dalla sua presa; riesce nel suo intento solamente dopo parecchi istanti di camminata.
Si ferma ed osserva con preoccupazione l’espressione irata di Bellatrix.
«Cosa ho fatto di male, Bella?» domanda, con il labbro inferiore tremante e timorosa di averla delusa.
Bellatrix, dall’alto dei suoi tredici anni, posa le mani sui fianchi e quando parla scandisce bene ogni parola: «Non voglio mai più vederti parlare con quello lì, chiaro?»
Andromeda annuisce immediatamente.
«Certo, Bella, lo farò. Ma... perché?»
«Sai chi è?»
Ancora una volta, fa su e giù con la testa.
«Ha detto di chiamarsi Ted Tonks».
«Esattamente» sbotta la sorella. «È un Sanguesporco, Meda. Nient’altro che feccia! Non è degno di parlare con te. È un disonore, per te e per la nostra famiglia, farti vedere in sua compagnia!»
La piccola abbassa gli occhi color cioccolato verso il pavimento in pietra e mormora con voce rammaricata: «Mi dispiace, Bella. Io… io n-non lo sapevo. Non lo farò più, promesso».
Bellatrix sospira rumorosamente, prima di posare una mano sulla spalla della sorellina.
«Va bene, per questa volta non succede niente. Ma in futuro, Meda, fa’ più attenzione con chi parli. Non tutti sono abbastanza degni da poter anche solo rivolgere la parola ad un Black».

Gennaio 1968 (quarto anno)


Yvone, banalmente bella con quei suoi luminosi occhi azzurri e i lucenti capelli biondi, le sta raccontando per l’ennesima volta di quanto si sia divertita durante le vacanze di Natale in compagnia del cugino. Salem.
Ma Andromeda non ne può più! Se uscisse
un’altra parola frivola o stupida dalla bocca dell’amica, la torturerebbe nel bel mezzo del corridoio, incurante degli altri studenti e di insegnante; non le importa che ciò potrebbe comportare severe conseguenze: vuole solo che stia zitta una volta tanto.
Eppure, nonostante la sua parlantina instancabile e il quoziente intellettivo pari a zero dei suoi monologhi, Yvone e Andromeda sono buone amiche – anche se ci sono molte occasioni in cui si chiede il perché.
In questo momento, si stanno recando verso la serra per la lezione di Erbologia.
Andromeda, ormai completamente fuori dal discorso dell’amica, guarda fisso davanti a sé, con il naso rivolto verso l’alto come a dimostrare – con quel piccolissimo gesto – che è superiore a molti, poiché membro di una delle più antiche e nobile casate dell’Inghilterra. Sebbene trovi molte idee della sua famiglia stupide e ridicole, è molto orgogliosa del suo stato di sangue e della sua superiorità. Così le è stato insegnato, dal padre e dalla sorella maggiore.

Insieme al suo compagno di casa, Amos Diggory, Ted cammina nella direzione opposta alla giovane strega – diretto verso l’aula di Trasfigurazione – e quando i quattro si trovano gli uni di fronte alle altre, non impedisce al solito sorriso arrogante di fare capolino sul suo volto raggiante. La ragazza ha sempre le sopracciglia aggrottate, il che le dona un’aria perennemente arrabbiata e corrucciata e, unito al quel cipiglio severo che non si addice alla sua spensierata età, è forse uno dei motivi per cui lui non riesce proprio a smettere di starle addosso. Ha preso la faccenda come una sfida personale: riuscire a far sciogliere l’algida e severa Andromeda Black in un sorriso, anche uno solamente accennato.
Un cenno del capo di lui, lo sguardo indifferente di lei.
«Black».
«Tonks».
E fine dei giochi.
Lei si allontana con la sua solita camminata fiera e lui si volta ad osservare divertito le sue natiche sode muoversi sensualmente al di sopra di quelle alte e magre gambe chilometriche.
Non ascolta nemmeno il consiglio ragionevole di Amos: «Ti farai male, Ted. Lascia perdere».
Mentre dalla parte opposta del corridoio, Yvone, con espressione disgustava commenta: «Che schifo! Ted Sanguesporco Tonks!»
Andromeda si passa una mano fra i capelli scuri e annuisce stancamente.
«Lo so. Continua a darmi il tormento da anni, ormai»
.
«
Forse dovresti parlarne con Bella...»

Novembre 1968 (quinto anno)


La discussione sta rapidamente degenerando e il parco della Scuola si sta popolando di spettatori poco graditi.
Bellatrix, con i suoi indomabili ricci corvini che le solleticano il volto contorto dalla rabbia, quegli occhi malvagi e irati, la sua espressione dura e al limite tra la pazzia e la ragione, ha spaventato gran parte dei ragazzi lì presenti. Ma lei, incurate dell’attenzione che ha catturato, non si muove di un centimetro, inchiodando Ted Tonks sul posto puntandogli contro con l’indice e uno sguardo fiammante di ira.
Dal canto suo, invece, il ragazzo trasuda spigliatezza e indifferenza da tutte le parti: tiene le mani nelle tasche dei pantaloni della divisa, le spalle sono ruotate indietro e il mento è rivolto verso l’alto, gli occhi sono calmi e coraggiosi, sebbene sappia bene che una tempesta è pronta ad abbattersi su di lui.
Andromeda, immobile al fianco di Narcissa, ha uno sguardo indecifrabile: non sa se essere spaventata per quello che la sorella potrebbe fare, o prendere parte alla lite e proteggere un innocente. Perché Ted è questo: innocente, dal momento che non ha fatto nulla per provocare la rabbia della sorella maggiore.
«Questa è
l’ultima volta che te lo ripeto, schifoso Sanguesporco. Sta’ lontano da mia sorella! Non sei degno di lei» grida Bella, puntando la bacchetta verso la gola di lui.
Narcissa trattiene il fiato e, con lei, anche il numeroso gruppo di persone che è lì ad assistere senza dire una sola parola. Andromeda non riesce a fare altro che guardare il giovane, che non si scompone affatto. Amos Diggory, con la sua lucente spilla di Prefetto, è lunico a farsi avanti.
«Black, metti già la bacchetta».
Ted, stranamente audace, fa un cenno in direzione dell’amico e poi un passo in avanti per avvicinarsi alle tre sorelle Black.
«Voglio sentirmelo dire da lei» annuncia. I suoi occhi chiari saettano da Bellatrix a Andromeda, per poi restare fissi su quelli di quest’ultima. «Se sarà lei a chiedermelo – te lo giuro – io sparirò».
Bellatrix storce le labbra rosse come il sangue in un sorriso soddisfatto e anche un poco sadico. Sa di aver vinto: Andromeda – com’è giusto che sia – non vorrebbe mai la compagnia di quell’inutile feccia. Posa le affusolate mani sui fianchi appena accennati e guarda la sorella.
«Coraggio, diglielo e facciamola finita».
Lei deglutisce a vuoto, sentendo improvvisamente la gola farsi secca e arida come il deserto. Non si sa spiegare, in quel momento, perché le riesce così arduo pronunciare quelle parole arcigne, fredde e taglienti che tutta la sua famiglia usa con leggerezza e familiarità. Poi si fa coraggio: preferisce essere lei a ferire Ted con le parole, piuttosto che sia Bella con la sua bacchetta e il suo repertorio di Arti Oscure.
«Sta’ alla larga da me, Sanguesporco!» grida, prima di girare i tacchi e andarsene.
Gli occhi di Ted si sbarrano di colpo e sembra quasi che delle lacrime minaccino di fuoriuscirne.
La guarda allontanarsi, con il cuore a pezzi e l’orgoglio rotto e schiacciato dal suo insulto pesante. Pensava che lei fosse diversa dalla sorella, dal resto dei Black, dal resto dei maghi e delle streghe Purosangue che fanno parte di quel mondo di pregiudizi. Ma, forse, non lo è mai stata... semplicemente, lui le ha dato troppo credito.
Ma poi la vede voltarsi, mentre si dirige verso il Castello tra le due sorelle e pensa che ormai tutti i suoi lati migliori che ha visto in lei – quella allegria che minaccia di uscire nei momenti meno opportuni, che quella sua risata simile al grugnito di un maiale, che quel suo sguardo felice che mostra raramente e a pochi eletti – rimarranno sepolti e nascosti per sempre dalla maschera di ghiaccio dell’immagine di sé che deve dare agli altri, quella della perfetta e algida Andromeda Black.
«Io ci ho provato sul serio» confessa, ritornando a sedersi al fianco di Amos. «Volevo solo che... lei è diversa. Volevo che lo dimostrasse anche agli altri».
Lui batte una mano sulla sua schiena.
«Magari non è pronta. Dalle tempo...»

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Capitolo 2
*** Parte Seconda - Seconde Possibiltà ***


Parte Seconda
Seconde Possibilità


Maggio 1969 (quinto anno)

 

Ted è seduto al suo posto, mentre legge un libro con attenzione.
Quello è il suo tavolo – quello posizionato sotto la finestra, dove la luce è così bella e calda che ti ricorda i motivi per cui vale la pena alzarsi ogni mattina dal letto – e su una di quelle sedie che lo circonda vi è seduto proprio lui, Ted Tonks.
La tentazione di scappare via e chiudersi in bagno a piangere è molto forte e Andromeda sta per rinunciare alla sua ora di studio, quando si ricorda chi è lei e qual è il suo nome: lei è Andromeda Black e non scappa di fronte ad un ragazzo. Mai. Deve semplicemente ignorarlo e fare finta che non esista – così come le ha suggerito di fare Bella. Così, prende una considerevole dose d’aria nei polmoni e a passo serrato si avvicina al suo tavolo preferito, sposta una sedia e vi ci siede. Dalla borsa estrae il suo libro di Incantesimi e comincia a rispondere alle domande che il professore ha assegnato alla classe.
Tutto ciò avviene sotto lo sguardo interdetto e stupito di Ted, che nel momento in cui ha sentito il rumore della sedia strusciare sul pavimento ha dato per scontato che fosse Amos che lo raggiungeva. È rimasto piacevolmente sorpreso di vedere lei, invece che il suo migliore amico e, senza pensare a tutte le difficoltà e al modo in cui lo ignora da mesi, la osserva rapito. Le piace vederla così assorta nello studio: mentre legge alcuni estratti dal manuale si porta la punta della piuma a sfiorarle le labbra rosa, quando scrive arriccia appena il naso e di tanto in tanto fa fuoriuscire la lingua dalla bocca, segno che si sta concentrando davvero molto.
Ma non ha il coraggio di parlare, non dopo la loro ultima conversazione. A volte, nella sua testa, riecheggia il suono della sua voce dura e aggressiva che lo insulta: «Sanguesporco». Nonostante ciò, desidera parlarle, sentire il suono della sua voce, guardarla negli occhi.
Accidenti, sta diventando uno sciocco rammollito... e tutto per una ragazza che lo insulta nel peggiore dei modi. Per questo motivo, mentre si alza di scatto dalla sedia e si allontana da lei con il cuore sanguinante si dà mentalmente dell’idiota sentimentale.
«Ted?»
È davvero la sua voce, quella?
No, non può essere proprio la voce di Andromeda Black ad averlo chiamato: quel tono è troppo tremante e insicuro, così dolce e afflitto che gli fa accapponare la pelle e scosso da brividi lungo la schiena. Andromeda non usa mai quel tono di voce, e cosa molto più importante di quella è che non l’ha mai – mai! – chiamato per nome.
Si volta e stringe con forza il libro nella mano per impedire al suo istinto di prenderla tra le braccia e stringerla a sé per proteggerla da tutta lo schifo di persone e ideali che la circondano e che la sta soffocando.
Lei tiene lo sguardo color cioccolato fisso sulle sue mani tremanti; apre e richiude la bocca come se voglia parlare mai poi ci ripensa.
Lui la trova meravigliosa, anche – e forse, soprattutto – quando è imbarazzata.
«Mi dispiace» dice lei, in un sussurro debole.
Alza finalmente gli occhi su di lui, che se ne sta lì fermo con lo sguardo imbambolato mentre cerca di realizzare che lei gli sta veramente chiedendo scusa.
«So che non è abbastanza» continua, «ma sono veramente molto dispiaciuta per quello che ho detto a novembre. Ho solo... non voglio deludere la mia famiglia».
Lui fa un passo verso di lei, ma poi, notando il suo irrigidimento improvviso, decide che è meglio rimanere lì, senza toccarla.
«Tu sei migliore di loro, Andromeda. Io lo so» dice solamente, per poi andare via e lasciarla con le sue parole a vorticarle in testa.
Ma lo è veramente?

 

Marzo 1970 (sesto anno)

 

L’unica lezione che ha in compagnia dei Tassorosso è Rune Antiche e Andromeda non ha mai amato così tanto quella materia come in questo momento.
Tenta con tutte le sue forze di stare attenta a ciò che la professoressa sta spiegando, ma seduto di fianco a lei c’è – sfortunatamente, ha detto a Yvone – Ted Tonks e ciò le rende davvero difficile concentrarsi su antichi simboli da decifrare: di tanto in tanto, sente la grande mano di Ted che sfiora appena la sua e le loro dita che si intrecciano e poi giocano a rincorrersi.
Quando la campanella suona, Andromeda e Ted escono insieme fuori dalla classe e si recano ognuno alla propria lezione successiva percorrendo un tratto di strada insieme.
Le parole di sua sorella continuano a riecheggiarle nella testa, come una filastrocca imparata a memoria.
«Sarebbe un disonore per te trovarti in sua compagnia».
Eppure, non riesce a fare a meno di cercarlo.
Il pensiero di poter deludere la sua famiglia la fa rabbrividire. Che cosa dirà suo padre? Come reagirà sua sorella, Bella? E Narcissa, perderà fiducia in lei?
Ted, ignaro del conflitto interiore che Andromeda combatte e perde ogni giorno, continua a camminare e a parlare con lei. Improvvisamente, poi, allunga una mano e intreccia le dita in quelle di lei. Andromeda sobbalza e lo guarda con occhi sgranati dalla sorpresa.
«C-cosa... cosa fai?»
«È una cosa che ho letto in un libro, tempo fa. Diceva che se ti piace una ragazza e tu le prendi la mano» indica le loro mani intrecciate, «in questo modo allora lei saprà che ti piace. E poi, è una bella sensazione».
Andromeda si morde il labbro inferiore e abbassa lo sguardo sulla mano di Ted ancora stretta nella sua.
«Io...» Inspira profondamente. «Ted, sai che non succederà niente tra di noi. Io dovrà sposare un Purosangue, un giorno, uno che molto probabilmente non mi piacerà. Ma dovrò sposarlo, e fare la casalinga, e fare figli e...» Alza gli occhi verso l’alto per evitare che lui noti le lacrime che stanno minacciando di fuoriuscire. «Mi piacerebbe essere quel tipo di ragazza che tu vuoi: quella che ti tiene per mano e che si può far vedere in tua compagnia. Ma io non sono lei. Non posso essere lei...»
Ted arresta il suo passo e così facendo blocca anche Andromeda. La guarda per eterni istanti, con occhi tremendamente seri.
«Perché no?»
Come può spiegarglielo? Come può fargli capire che per lei non ci sarà mai una scelta da fare, ma solo un destino crudele da accettare?
«Perché io... perché devo-»
«E se non dovessi niente?»
Andromeda sbuffo una risata.
«Non fare lo scemo. Io-»
«Non sto facendo lo scemo. Sono serio». Fa una pausa, nella quale stringe la mano che tiene ancora nella sua. «Cosa succederebbe se ti chiedessi un appuntamento – un vero appuntamento – e tu accettassi e capissi che ti piaccio quanto tu piaci a me? E se la finissimo di fingere di non accorgersi l’uno dell’altra, o di avere sciocchi incontri segreti in biblioteca?»
«Ted-»
«Potremmo stare insieme sul serio, Andie. Potremmo essere felici».
Ancora una volta, Andromeda si morde il labbro inferiore, incapace di spiegarsi.
«Non capisci. La mia famiglia... non mi lasceranno mai fare una cosa del genere. Non vogliono nemmeno che ti rivolga la parola! Potrebbero-»
Andromeda non riesce più a finire il discorso, perché le labbra di Ted si posano sulle sue.
In questo modo, viene zittita dall’amore, che la ragione non la usa mai.

 

Febbraio 1971 (settimo anno)

 

Andromeda, tutta rannicchiata nel suo mantello nero, tiene gli occhi fissi sul suo libro di Pozioni, ma la mente non riesce a concentrarsi su ciò che sta leggendo: è almeno la sesta volta che rilegge la stessa frase: “Dopo aver girato per cinque volte la Pozione, inserire nel calderone le tre code di ratto”.
Legge queste parole, ma la sua mente pensa al Natale che ha appena passato in casa e tutti i progetti che i genitori hanno per lei… progetti che lei non approva, che non condivide e che non si avvicinano minimamente ai quelli che lei stessa ha fatto per sé. Il primo a non andarle bene – anzi, che odia con tutta se stessa – è la scelta del consorte.
«Andie!»
Non appena sente la voce di Ted chiamarla, le labbra di Andromeda si distendono in un sorriso. Si volta verso di lui che la sta raggiungendo, felice di saperlo vicino a lei.
I suoi capelli biondi sono spettinati sulla testa come se fosse appena sceso da una scopa, gli occhi verdi sono lucidi e più adombrati rispetto alla solita vivacità e luce che li anima, la divisa stropicciata e la cravatta sciolta... insomma, sembra essere sconvolto.
«Tutto bene?» si preoccupa.
Ted prende posto al suo fianco e, senza dire una parola, le chiude il libro che ha in grembo. La guarda con sguardo serio, terribilmente severo e fermo.
Un fremito la scuote, mentre osserva quei suoi occhi verdi farsi così cupi e lontani.
«Devi dirmi qualcosa».
Non è una domanda, né un richiesta. È una costatazione, pronunciata con tono talmente freddo e gelido da farla tremare sul posto. Ma sapeva che prima o poi la notizia sarebbe trapelata. Serra le palpebre, per nascondere le lacrime che minacciano di riversarsi sul suo volto. Non vuole piangere di fronte a Ted, ma una parte di lei sa che è inevitabile.
«Mi dispiace che tu l’abbia saputo così. Volevo essere io a dirtelo, ma non sapevo come».
«IO NON DOVEVO SAPERLO AFFATTO!»
«Non gridare, per favore» lo supplica.
«VICTOR NOTT! UN MANGIAMORTE
«Non è detto che lo sia...»
Ted si porta le mani nei capelli e la guarda scandalizzato.
«Ma ti senti quando parli, Andie? Non è detto che lo sia? Lo sai perfettamente che lui e Malfoy sono i primi a leccare il culo a Tu-Sai-Chi! Lui non è l’uomo per te. Io sono l’uomo giusto per te».
«Smettila, per favore».
Ted annuisce, ingoiando le lacrime.
«Vuoi che me ne vada?»
«No» dice lei subito, «certo che no. Ted, sai quello che provo per te. Ma hai sempre saputo chi sono, che non posso scegliere».
«Cazzo, è la tua vita! Dovresti scegliere tu chi sposare, con chi condividere ogni momento della tua vita. Non è una scelta dei tuoi folli genitori, tantomeno quella pazza di tua sorella».
Lei serra le labbra.

«Non mi aspetto che tu capisca».
Lui, innervosito ormai, alza gli occhi al cielo e sbuffa: «Già, perché io sono lo stupido e ingenuo Sanguesporco che si è innamorato di una Black!»
Le gli volta le spalle, incapace di sostenere per un altro minuto il suo sguardo infiammato e ardente. Trattiene il fiato per qualche secondo, cercando di dare un senso a tutto quello che prova: lei è completamente e irrimediabilmente innamorata di lui, ma non può esserlo... non può tradire così la sua famiglia.
«Rifletti un momento su quello che mi stai chiedendo».
Lui la costringe a guardarlo, voltandola con una forte presa sul suo braccio.
«Ti sto chiedendo di amarmi. Non mi sembra un sacrificio tanto grande...»
Lei scuote la testa, piangendo.
«No, mi stai chiedendo di abbandonare e rinnegare la mia famiglia. Pensaci: cosa ne sarà di Narcissa, se me ne vado di casa? Quanto sarà facile plasmare Regulus e Sirius, senza di me a proteggerli?» Si divincola dalla sua presa e lo guarda con occhi determinati. «Io sono felice quando stiamo insieme, ma ho capito che è una cosa da egoisti. Devo pensare alla mia famiglia, adesso».
«Andromeda, ti prego. Dimenticali tutti e resta con me» la implorò. Gli occhi gonfi di lacrime e colmi di una sofferenza che lei non avrebbe mai voluto provocargli.
«Mi dispiace, Ted. Ma non possiamo più vederci» dice con voce ferma. Per quanto tutto il suo mondo stia andando in frantumi, il suo cuore si stia spezzando in tanti piccoli frammenti, lei continua ad essere la fredda e distaccata giovane donna che è stata cresciuta a diventare. «Qualunque cosa sia questa tra di noi, è finita ».

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Capitolo 3
*** Parte Terza - Una nuova vita ***


Parte Terza
Una nuova vita

 
Agosto 1971
 
Narcissa continua a singhiozzare, con la ginocchia piegate verso il petto e la testa china in avanti. Andromeda la guarda dall’ingresso, con il cuore in gola e gli occhi pieni di lacrime. Vorrebbe andare da lei, scostare i capelli biondi dalla faccia e sussurrarle parole di conforto, ma sa che nulla cambierebbe la situazione: non può più restare in quella casa.
Bellatrix, agitando la sua chioma corvina, continua a sbraitare insulti a destra e manca, mentre muove le braccia in aria come se stesse cercando di scacciare una mosca. Sputando un po’ di saliva contro la sua maglia, lancia un ultimo sprezzante commento in direzione della sorella – « Puttana! » – e poi sparisce, correndo come una furia al paino superiore.
Suo padre è fermo immobile di fronte alla “sua bambina” e le riserva lo stesso sguardo disgustato che rivolge agli elfi domestici, o ogni tipo di creatura magica e non che ritiene inferiore.
« Andromeda, smettila subito con questo tuo capriccio adolescenziale! » la rimprovera con tono burbero e infastidito. « Tu sposerai Victor Nott entro la fine di questo mese. Fine della discussione ».
« Nemmeno morta! » grida lei di rimando.
Ma non avrebbe mai potuto prevedere ciò che sussegue: uno schiaffo la colpisce in pieno viso, così forte e improvviso da farle perdere l’equilibro e rovinare malamente in terra. Puntellandosi sui gomiti e portandosi una mano sul labbro che la violenza del colpo è riuscito a spaccare, solleva lo sguardo su quello ghiacciato del padre. Si tira in piedi e lo guarda con indifferenza, prima di raccogliere le valige che ha preparato all’ingresso e dirigersi verso la porta.
« Va’ all’inferno » è l’ultima cosa che la famiglia Black sente dire ad Andromeda, prima di vederla far scattare la maniglia e sparire dietro una spessa coltre di pioggia.

 
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La pioggia si abbatte sulle strade con così tanta violenza che è difficile riuscire a vedere qualcosa oltre il proprio naso; bagna ogni cosa che incontra, creando profonde correnti d’acqua ai lati dei marciapiedi e scrosciando pesantemente contro i cofani della macchine parcheggiate in strada.
Ted cammina lentamente con la testa china, malamente coperta dal cappuccio della sua felpa con lo stemma di Hogwarts. Si è diplomato da qualche mese ormai, ma è ancora molto legato al periodo che ha passato fra le sicure mura del castello. La Scuola di Magia e Stregoneria che lo ha ospitato per sette lunghi anni è stata la testimone diretta della sua vita che cambiava: da bambino ingenuo, che pensava di poter cambiare il mondo con la sua bontà – come gli diceva sua madre –, a uomo maturo, consapevole di sé e del suo stato di sangue in una società magica dove la purezza è la cosa più importante. Ma soprattutto, è il luogo che l’ha visto innamorarsi perdutamente, irrimediabilmente, profondamente, intensamente della donna sbagliata.
Andromeda ancora gli manca, a volte così tanto che gli risulta difficile persino respirare, ma ora ha capito i motivi che li hanno separati in inverno. Sa che appartengono a due realtà opposte e parallele, che non avrebbero mai dovuto incontrarsi. Hanno sfidato ogni regola nel loro sciocco e ingenuo tentativo di far vincere l’amore su tutto il resto. E fa male pensare che sia stato vano.
Nel suo campo visivo, improvvisamente, compare un figura oscura che con tutta quella pioggia Ted non riesce bene a definire. Solo quando si avvicina un altro po’ si accorge che davanti a sé c’è una giovane donna, avvolta in un mantello verde scuro e che trema di freddo. No, non di freddo: sta piangendo, di quel pianto silenzioso e disperato che ti lacera l’anima. Le spalle si muovono compulsivamente mentre la giovane si accascia stancamente in terra, con le braccia strette intorno al corpo fradicio.
Fa qualche passo in quella direzione per controllare che la ragazza stia bene. Poi si accorge, osservando quella lunga chioma di capelli castani e quel dolce viso angelico, che è Andromeda Black, la donna che ama e che gli ha spezzato il cuore, il febbraio scorso.
Le corre incontro perché, nonostante tutto, lui sente la necessità di andare a salvarla. Si inginocchia in terra per poter raggiungere la sua altezza e guardarla direttamente negli occhi.
« Andie? » si preoccupa, scostandole qualche ciocca bagnata dal viso.
Lei solleva di colpo la testa verso i suoi occhi verdi e vi si immerge senza nessuna riserva. Gli afferra i lembi della felpa e lo scuote con nessuna forza.
« Io... Ted, io...» singhiozza, « l’ho fatto ».
« Hai fatto cosa? »
Andromeda serra gli occhi per scacciare le ultime lacrime rimaste ad annebbiarle la vista.
« Ho detto di no » esclama, scoppiando in una risata amara.
Ted corruga la fronte, perplesso.
« Come? »
« Mi sono rifiutata, Ted. Ho detto di no » grida per sovrastare il rumore scrosciante del temporale. « Non sposerò Victor Nott, perché amo te! »
Amo te.
Amo te.
Amo. Te.
« Ho lasciato la mia famiglia. Mia madre era fuori di testa, Bella gridava così tanto che sembrava sull’orlo di una crisi nevrotica ». Ridacchia al ricordo delle due donne, ma si adombra subito dopo. « Ho chiesto a Cissy di venire con me... ma ha detto di no. Sono molto preoccupata per Sirius e Regulus, ma ce la faremo insieme, io e te, vero? »
Andromeda lo ama. Andromeda non sposerà un altro uomo. Andromeda ha tenuto testa alla sua famiglia. Quello erano decisamente troppo informazioni per poter essere ingerite in così poco tempo.
Il cuore di Ted si ferma di colpo. Il suo respiro si mozza. Le parole muoiono nella sua gola.
Non può crederci, perché se mai dovesse svegliarsi da quel bellissimo sogno che sta facendo ne morirebbe. È talmente bello da sembrare reale, ma sa che non può esserlo... perché Andromeda è una Black e il suo primo dovere è sempre stato nei confronti della sua famiglia. Prima non lo capiva, ma adesso sì.
« Di’ qualcosa » lo incita lei.
Ma Ted non può parlare: ha paura che se provasse ad aprire la bocca tutto quanto sparirà nell’aria come una bolla di sapone.
« T-tu... »
« Ho lasciato la mia famiglia » ripete. « Ho lasciato la mia famiglia per stare con te, Ted ».
Ted si azzarda a sfiorare l’idea che tutto ciò stia accadendo realmente.
« Tu mi ami? »
Andromeda si scioglie in un dolce sorriso comprensivo.
« Sì. Io sono innamorata di te e, se ancora tu mi vuoi, voglio passare tutta la mia vita con te. Avevi ragione: tu sei l’uomo giusto per me ».
A quel punto, deciso a godersi quel meraviglioso momento – che sia reale, oppure no – Ted incornicia il viso di Andromeda con le mani e sfiora quelle bellissime labbra rosa, baciandole lentamente e dolcemente.
« Ti amo, Andromeda Black ».
« E io amo te, Ted Tonks ».
 
Dicembre 1973
 
Nymphadora Tonks, con quel suo ciuffo rosa shocking e un’adorabile spruzzata di lentiggini sul naso e le guance tonde, dorme profondamente con il pollice tra le labbra. Andromeda la osserva con aria stanca, ma molto felice. Ancora non riesce a credere che quel meraviglioso essere è il frutto del suo amore che la lega a Ted. E ogni notte passata a piangere al ricordo della sua famiglia, ogni dubbio sulla sua scelta, ogni pensiero malinconico nei confronti dei suoi due piccoli cugini viene immediatamente cancellato dalla visione della sua bambina che dorme serenamente, certa che sarà sempre amata ed accettata.
Sente qualcuno schiarirsi la gola alle sue spalle e si volta per incontrare gli occhi verdi del marito.
« Dorme, finalmente » lo informa.
Ted si limita ad annuire.
« Tua sorella è qui ».
« Narcissa? »
Lui fa un cenno del capo, rivolgendole un sorriso comprensivo.
« L’ho fatta accomodare in salotto. Ho fatto bene? »
Andromeda deglutisce a vuoto, sentendo la gola farsi improvvisamente arida e secca.
« Sì ».
Con il cuore che batte freneticamente nel petto e un nodo che le stringe la gola, Andromeda scende le scale della loro modesta – spoglia, in confronto allo sfarzo della Villa nella quale è cresciuta – casetta, per raggiungere il rustico salottino. Lì, seduta composta e con la schiena dritta, trova sua sorella minore.
Non è cambiata molto dall’ultima volta che l’ha vista, se si escludono quelle profonde occhiaie nere che le cerchiano gli occhi. I capelli sono sempre di quel biondo platino, perfettamente legati nella solita elegante acconciatura sulla nuca. Gli abiti costosi di una stoffa pregiata e morbida sono gli stessi che hanno sempre coperto quel suo corpo esile e snello, che non si è sformato nemmeno di un centimetro. Il viso, però, ha qualcosa di diverso: una maturità, una consapevolezza che Andromeda non era solita scorgere nel volto fanciullesco e ingenuo della sorellina.
« Narcissa » la saluta, mentre entra nella stanza. La voce suona dura e distaccata, ma dentro di sé prova il desiderio di correrle incontro e stringerla in un abbraccio confortevole.
« Andromeda ».
« Cosa fai qui, sorella? »
Narcissa Black fa un vago cenno del capo.
« Ho saputo che hai avuto una bambina. Sono venuta a farti le felicitazioni da parte di tutta la famiglia ».
Andromeda sbuffa una risata amara.
« Ma, per favore, Cissy! So bene che nessuno a casa è felice che io abbia avuto un figlio da un Sanguesporco. Sto macchiando il buon nome della mia casata... sempre che per loro faccia ancora parte delle famiglia, cosa di cui dubito fortemente ». Incrocia le braccia al petto. « La zia Walburga ha certamente cancellato il mio nome dall’albero genealogico, come ha fatto con zio Alphard ».
Narcissa abbassa lo sguardo sul pavimento e si porta una mano sulla fronte, come se quelle parole le avessero procurato un malore. E in quel momento, Andromeda nota un luccicante anello di zaffiri blu notte sull’anulare della sua mano sinistra.
« Sei fidanzata? » sussurra, spaventata all’idea di chi potrebbe essere il futuro consorte. Un nome sicuramente molto importante nella società magica. Un Mangiamorte, quasi per certo sottomesso al volere di Tu-Sai-Chi e servizievole di fronte alle sue folli idea sulla purezza di sangue.
Narcissa porta distrattamente lo sguardo sul solitario che le circonda il dito.
« Sì. A breve uscirà l’articolo sulla Gazzetta del Profeta ».
« Chi... » Ma non riesce a terminare di formulare la domanda, perché la sua gola si serra, facendola prorompere in un singhiozzo strozzato.
« Lucius Malfoy » risponde, « e prima che tu possa dire una delle tue assurdità, io sono molto felice della scelta che mi è stata imposta. Sposare un Malfoy è un onore e, in seguito alla tua sciocca bravata, la nostra famiglia ha perso credibilità. Se ci unissimo alla casata dei Malfoy, insieme, riusciremo a risollevare il nome dei Black ».
Andromeda serra la mandibola, ingoiando il conato di vomito che le è salito in gola dallo stomaco. Le viene da vomitare mentre il suono di quelle parole continua ad echeggiarle nella testa.
« Allora, presumo che delle congratulazioni siano obbligatorie ».
Narcissa annuisce e, recuperando il suo capello che ha ancora il profumo del negozio, si sposta verso il piccolo ingresso di casa Tonks.
« Io scelto la mia strada, e tu la tua. Non abbiamo più niente da dirci ». Inspira profondamente. « Ma mi mancavi, Meda » aggiunge, con una mano sulla maniglia della porta.
« Anche tu, Cissy ».
 
Luglio 1976
 
Andromeda Tonks, per quanto abbia rivoluzionato completamente la sua vita negli ultimi anni, fa ancora fatica a gestire le dimostrazioni di affetto così plateali come l’abbraccio di Dorea Potter, che continua a stringerla al suo petto con dolcezza materna. Dorea è una sua cugina di secondo grado con la quale avrà scambiato due parole in tutta la sua vita, prima di quel momento. Eppure, le è bastata una semplice occhiata alla chioma rosso fiammante e agli occhi azzurri come il cielo, per capire che non ha quasi nulla della freddezza d’animo dei Black con la quale lei è stata cresciuta.
Charlus Potter, la metà perfetta per quella sua lontana parente, è espansivo e divertente allo stesso modo. Non appena li ha fatti accomodare nel salotto della loro immensa e bellissima villa nel villaggio di Godric’s Hollow, ha dato inizio ad una lunga serie di battute e aneddoti divertenti che fanno ridere fino alle lacrime suo marito Ted e sorridere appena lei.
In questo momento, sta raccontando una delle tante avventure di suo figlio James e dei suoi amici. Ma Andromeda smette di ascoltarlo quando vede con la coda dell’occhio il motivo per cui si trova lì: Sirius, il suo adorato cugino che ha sempre tentato di proteggere dai pregiudizi e dai cattivi insegnamenti della loro famiglia, che li osserva con un’espressione indecifrabile dipinta su quell’imperturbabile volto dai dolci lineamenti. Sirius ha la classica bellezza algida dei Black, ma un cuore coraggioso e un’anima prorompente che lo differenziano da tutti gli altri componenti della nobile casata inglese.
Andromeda si alza lentamente dal divano per raggiungere il ragazzo. Quando gli è abbastanza vicino, nota subito il violaceo livido che gli cerchia un occhio e un taglio ancora aperto che gli ha spaccato il labbro inferiore. Trattiene il fiato quando comprende il significato di quelle ferite: lo hanno picchiato.
James Potter, un adorabile ragazzino di sedici anni con un paio di spessi occhiali sul naso e due grandi occhi color nocciola che esprimono solo bontà e spensieratezza, lascia una sonora pacca sulla spalla del suo migliore amico e lo supera per lasciare soli i due Black. Andromeda gli rivolge un sincero sorriso, grata della sua presenza nella vita tormentata di suo cugino. James ha fatto ciò che lei non è riuscita: gli è stato vicino, lo ha amato e... lo ha salvato.
Sirius abbassa lo sguardo sulla punta delle sue scarpe.
« Ho chiesto a Reg di venire con me » sussurra con voce ferma e modulata. « Ha detto di no ».
« Non fartene una colpa, Sirius. Gli hai dato una scelta e lui ha scelto di restare con loro ».
« Dovevo insistere. Dovevo portarlo via di lì ».
Andromeda posa una delle sue mani affusolate sulla spalla ampia del cugino e gliela stringe fra le dita, come se volesse infondergli un po’ di forza.
« Non potevi certo trascinarlo via contro la sua volontà ». Fa una pausa nella quale si umetta le labbra. « Sirius, ascoltami, lasciare quella casa è sicuramente la cosa migliore che potessi fare. Regulus lo capirà prima o poi... »
« E se fosse troppo tardi? E se non potessi più salvarlo? »
« Poniti questa domanda, Sirius: vuoi davvero perdere te stesso in quella casa per salvare qualcun altro? » Riprende a parlare, senza aspettarsi alcuna risposta: « A volte, è giusto essere un po’ egoisti ».
Sirius finalmente cede e annuisce. Lascia cadere la testa sulla spalla ossuta di Andromeda e fa ricadere i lunghi capelli corvini davanti al suo viso per nascondere il dolore che gli sforma i lineamenti solitamente perfetti. Lei gli accarezza la schiena, confortandolo in modo silenzioso, e attende pazientemente che ritorni in posizione verticale a guardarla con i suoi freddi occhi grigi.
Quando riacquista il controllo delle sue emozioni – come gli è stato insegnato dalla famiglia – Sirius riesce a domandare: « Adesso cosa succede? Vengo a vivere con te? »
Andromeda gli rivolge un sorriso materno.
« Le porte di casa nostra saranno sempre aperte per te, Sirius, e sai che Nymphadora ti adora. Ma ora sei libero di prendere la decisione che ritieni più giusta. Nessuno di noi – io, zio Alphard, i Potter – sceglierà al tuo posto ».
Sirius lancia una furtiva occhiata in direzione del gruppetto di persone che sta amabilmente conversando nel salotto di Villa Potter. Passa in rassegna tutti i volti di quelle persone così importanti per lui e che lo hanno amato proprio perché diverso da tutti i componenti della sua famiglia. Incrocia lo sguardo con gli occhi color nocciola del suo migliore amico e capisce che la sua scelta è già stata prese, cinque anni prima in un vagone dell’Espresso per Hogwarts.
« Pensi... che potrei restare qui? »
Andromeda sorride ancora una volta. Il suo cuore è gonfio di orgoglio per il ragazzo che ha di fronte a sé, che è riuscito a rimanere integro e buono nonostante i cattivi ideali che lo hanno cresciuto.
« Penso che James ne sarebbe molto felice ».
«Grazie, Andie» sussurra Sirius, mentre scendono le scale per comunicare la decisione presa anche al resto dei presenti. «È stato il tuo esempio a darmi il coraggio di dire di no».

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