Verità Nascoste

di Tyra Sunlow
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1 Me ne stavo alla finestra, a guardare le gocce di pioggia battere sui vetri. Quella sera avrei rivisto Taimel, il mio futuro sposo. Avevo solo sedici anni e già dovevo maritarmi con una persona che consideravo soltanto come un buon amico. La prima di tante ingiustizie. Appoggiai una mano sul vetro freddo della finestra e desiderai con tutta me stessa di essere una goccia d’acqua, così da poter scorrere libera. Libera. Qualcuno bussò alla porta, ma non aspettò il mio permesso per entrare. Mia madre entrò cauta, ma con piglio deciso ricordandomi per l’ennesima volta che era pronto in tavola. Quando le ninfe si arrabbiano non sono piacevoli da vedere o da ascoltare quindi non me lo feci ripetere più e mi diressi verso la cucina. La mia casa non era niente meno che una piccola capanna fatta di terra e mattoni d’argilla. La paglia che la ricopriva la proteggeva dalle piogge e dalle tempeste. Le stanze erano graziose, ma adornate poveramente. Era una casa tranquilla, tipica della Terra dell’acqua. Presi posto a tavola, davanti a mio padre e iniziai a mangiare la zuppa calda. -E’ già tutto pronto per stasera?- chiese Hene, mia madre agitando i lunghi capelli trasparenti. Annuii. -Le truppe si stanno spostando… Taimal non resterà qui a lungo…- puntualizzai. -Abbastanza perché voi due vi sposiate.- disse mio padre perentorio. Per qualche minuto non si sentì altro che il rumore dei cucchiai sbattere nelle ciotole e il picchiettare della pioggia alle finestre. -Quand’è che devo andare alla festa?- chiesi rompendo il silenzio. -Al calar del sole…- rispose mio padre. -In che cosa consisterà precisamente?- -Niente di speciale, lo fanno i soldati ogni anno, devono festeggiare per la loro patria e quindi cantano, ballano e si ubriacano. Vedi di non imitarli.- spiegò poi. -Ballare…- mormorai preoccupata, valutando le mie doti da ballerina -Non ti preoccupare Sahita, andrà tutto bene…- mi rassicurò mia madre mettendomi affettuosamente un braccio diafano attorno alle spalle. -Le forze armate non dovrebbero festeggiare in questi tempi, Leven non aspetterà che noi abbiamo finito di fare festa per ucciderci tutti.- protestò mio padre. -Hadrick, lo sai che non è così, lo sai che la Terra dell’acqua è al sicuro..- replicò mia madre. -Sì, è vero… ma solo per ora.- disse lui sospirando. Con quelle parole mi alzai e mi diressi in camera. Nel pomeriggio mi preparai per la serata, intrecciandomi i capelli e lavandomi con cura. Indossai l’abito buono che non era altro che una gonna ampia e lunga e un corpetto aderente al petto che mi faceva soffocare. Quella fu una delle rare volte in cui mi guardai allo specchio. I capelli castani erano raccolti e il vestito donava alla mia corporatura snella. Feci una smorfia e uscii di casa dirigendomi verso la piazza dove ci sarebbe stata la festa. La pioggia scendeva instancabile e velocemente mi coprii il capo con il cappuccio del mantello. Nella piazza usualmente semideserta erano allestiti capannoni e roghi dove cuocevano la carne. Intimorita dal vociare che proveniva dall’interno e dalla moltitudine di gente fuori, rallentai il passo deciso e mi feci strada tra la folla. Quando entrai in uno dei capannoni un’aria calda mi investì e vidi che molti soldati ridevano e scherzavano seduti alle lunghe tavolate. Con loro c’erano donne e ragazze che parevano divertirsi molto. -Sono contento che tu sia venuta.- Mi girai e vidi che un ragazzo alto e dagli occhi grigi mi sorrideva dolce porgendomi la mano: Taimel. Io sorrisi a mia volta: -E’ un sollievo stare qui al caldo.- -Puoi dirlo forte, il fuoco è acceso da tutta la giornata e poi con tutte le persone che ci sono… vieni ti accompagno al nostro tavolo.- Taimel mi prese per mano e fece per baciarmi, ma io, facendo finta di niente, mi scostai e accelerai il passo. Quando arrivammo al tavolo riconobbi solo quattro o cinque soldati, e le ragazze avevano tutti volti nuovi. -Lei è Sahita, mia futura sposa…- tutti quanti commentarono e ci fecero posto nelle lunghe panche. -Matrimonio combinato?- disse una voce suadente alla mia destra. Mi girai e vidi che affianco a me c’era una ragazza molto bella dagli occhi verdi e con capelli lunghi e neri. Annuii sforzandomi di sorridere. -Mi dispiace, ti capisco… anche il mio matrimonio è stato deciso dai miei genitori e non ho mai amato mio marito… ma se questa è la mia vita, non serve a niente lamentarsi.- la guardai negli occhi e valutai quanti anni dovesse avere: più o meno trenta. Poi guardai Taimel che rideva con un suo compagno e provai a immaginarmi come doveva essere vivere insieme a lui…scossi la testa e ricominciai a mangiare. Per tutta la serata feci finta di divertirmi e mangiai le pietanze tradizionali della Terra dell’acqua. Ogni tanto la donna affianco a me mi concedeva uno sguardo fugace, ma poi continuava a parlare con il resto delle persone. Taimel ogni tanto cercava di coinvolgermi nei discorsi, ma la maggior parte delle volte mi limitavo a commentare senza sapere quello che dicevo. Lui parve accorgersene e si limitò a sorridermi ogni tanto. Poi, dopo circa due ore da quando ero arrivata, arrivò il momento fatidico e che aspettavo con timore. I soldati presero le loro ragazze e tutti si diressero verso un grande spazio vuoto dove le prime coppie iniziarono a volteggiare. Mi guardai intorno cercando qualche via di fuga, ma non feci a tempo a sbuffare che Taimel era già affianco a me porgendomi la mano. Controvoglia la presi e mi alzai. Quando arrivammo nella pista da ballo lui mi cinse la vita e io iniziai a muovere qualche passo, cercando perlomeno di non pestargli i piedi. Lui non sembrava accorgersene infatti mi guardava adorante e io arrossendo distolsi lo sguardo. La musica era lenta e molti ubriaconi avevano già preso sonno e russavano beati sulle panche ignari degli sguardi indignati delle dame. -Mancano pochi giorni…- sussurrò Taimel sorridendo. -A cosa…- mi lasciai sfuggire… -Eh, eh… non far finta di dimenticartelo: al nostro matrimonio!- -Oh…certo. Non vedo l’ora…- cercai di sembrare entusiasta. -Ho già preparato tutto, si terrà nella chiesa qui di fronte e se vuoi chiedo anche alla mia vicina se le sue figlie possono farci da damigelle…- -Anche le damigelle…- lo guardai negli occhi e lo trovai molto bello, ma non lo amavo, provavo solo… compassione. Mi sentii veramente male, pensando a quanto stava facendo per noi Taimel, mentre io cercavo soltanto un pretesto per rimandare la data del matrimonio. Mi odiai per aver detto di sì, ma sapevo che non avevo avuto scelta. I miei genitori avevano deciso così sin da quando ero nata e non potevo fare niente perché ciò non accadesse. Nonostante questo Taimel sì che mi amava veramente e questo mi faceva ancora più male. Non avrei mai potuto ricambiarlo e questo sarebbe significato un matrimonio a metà. -Sei molto bella stasera...- disse avvicinando il suo viso al mio. Chiusi gli occhi cercando di non spostarmi, quando sentii un boato provenire da fuori.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Sobbalzai e un secondo boato precedette lo scompiglio generale. Taimel mi prese per il polso e iniziò a correre verso l'uscita. Da fuori si sentivano urla e pianti. Quando uscimmo non potevo credere ai miei occhi. Due draghi enormi volavano alti nel cielo e sputavano fuoco addosso a tutto quello che c'era sul loro cammino. Mi sentii paralizzata e le mie gambe sembravano addormentate. Provai a fare un passo, ma riuscivo soltanto a guardare quel grande drago rosso che si avvicinava verso di me con la furia negli occhi e con le fauci spalancate. Qualcuno mi diceva di scappare, ma non ci riuscivo, ero letteralmente pietrificata. Poi riuscii a scuotermi e mi ricordai della presenza di Taimel che affianco a me mi implorava di scappare. Troppo tardi. Il drago rosso era ormai a pochi metri da noi e aprì le fauci. Taimel si mise davanti a me e mi spinse per terra. Solo allora mi accorsi veramente di quello che stava succedendo intorno a me. Le guardie di Leven avevano invaso il nostro villaggio e stavano ammazzando chiunque trovassero ancora vivo. Un urlo soffocato davanti a me mi fece sussultare. Mi girai e vidi Taimel con il torace sanguinante e tre grossi tagli che lo sovrastavano, tagli che soltanto la zampa di un drago poteva fare. Mi buttai verso di lui e gli accarezzai il volto mentre le lacrime mi appannavano la visuale e mi bruciavano le guance ferite. Taimel cercò di parlare ma dalla bocca gli uscì solamente un rantolo seguito da un rivolo di sangue. Mi guardò negli occhi e io gli diedi un bacio. Esaminai la ferita a mi arresi al fatto che non c'era modo di guarirlo. Lui cercò le mie dita e me le strinse, dopodiché chiuse gli occhi. Per sempre. Cercai di non singhiozzare e di smettere di piangere, ma un dolore indescrivibile mi pervase. Mi alzai e barcollai, solo allora mi accorsi che qualcosa mi aveva ferito alla guancia destra facendomi perdere molto sangue. Mi sfiorai il taglio e vidi che sulla mia mano c'era sangue metà rosso e metà trasparente e gelatinoso, tipico delle ninfe. Mi guardai attorno e vidi che molte persone giacevano a terra, ma ce n'erano altrettante che urlavano e scappavano in cerca di salvezza. Mi diressi verso casa col cuore in gola e quando entrai vidi con disgusto che i miei genitori giacevano per terra in una pozza di sangue. Caddi in ginocchio e urlai di dolore. Dopodiché mi alzai e preda di una rabbia ceca presi un coltello e uscii di casa alla ricerca di qualche guardia. Ne trovai ben presto, erano ovunque. Iniziai ad agitare il coltello, ma ero nulla in confronto agli spadoni che mi trovavo di fronte. Allora iniziai ad agire d'istinto cercando di schivare qualche colpo. Più volte il nemico mi colpì ferendomi alle braccia e alle gambe, ma non mi fermai fino a quando qualcuno dietro di me mi colpì alla testa e io caddi a terra, svenuta. Aprii gli occhi e mi guardai attorno. La mia casa, il mio villaggio, il luogo dove avevo passato l'infanzia non c'era più. C'erano solo case bruciate e detriti, sopra una distesa di cadaveri. Mi alzai in piedi, ma la testa mi dolse e fui costretta a sedermi. Mi toccai la nuca e vidi che sulla mia mano erano rimasti pezzi di sangue secco. Con più cautela mi eressi e feci qualche passo. Volevo andare via, scappare e lasciarmi tutto alle spalle. Le guardie non c'erano più, non c'era vita in quel posto e io ero un un'intrusa. Varcai le porte del villaggio e mi inoltrai nella prateria alla ricerca di una fonte d'acqua. Non avevo la minima idea di cosa potevo o dovevo fare. Sapevo solo che le guardie mi avevano dovuto scambiare per un cadavere e a buon ragione. La mia pelle aveva perso tutta la luminosità che aveva avuto appena qualche minuto o forse ora prima. I miei capelli erano annodati e incrostati di sangue, come tutto il resto del corpo d'altronde. Sfinita mi sedetti per terra e chiusi gli occhi aspettando qualcosa o qualcuno. E in effetti un aiuto dal cielo arrivò. Dopo un tuono che scosse il terreno, gocce di pioggia fredde mi investirono pulendomi dalle barbarie che l'uomo riesce a compiere. Mi sentii subito meglio e trovai la forza per girarmi e dare l'addio alla mia casa. La pioggia scendeva fitta e nascondeva le atrocità che c'erano aldilà di quelle mura. Puliva le strade di una città che poteva essere abitata di nuovo. Che sarebbe potuta essere casa di una ragazza come me, una sedicenne libera di amare e vivere una vita in pace. Libera.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Stavo camminando fra gli alberi di un piccolo bosco seguendo un ruscello che mi avrebbe di sicuro portato verso qualche centro abitato.   Non sapevo se stavo facendo la cosa giusta, ma non avevo altra scelta. Una ragazzina senza armi non era di certo al sicuro a girovagare   per la Terra dell'Acqua. Stremata dalla lunga camminata mi accucciai per terra e mi lavai la faccia, per l'ennesima volta in quella giornata. Forse cercavo di cancellare la ferita che aveva alla guancia, o forse di eliminare la paura che avevo negli occhi. Guardai il mio riflesso nell'acqua e mi resi conto che avevo ancora indosso il vestito della sera prima e che i miei capelli erano una zazzera  spettinata e sporca. La gonna era nera per la polvera e la fuliggine e il corpetto non era di certo in uno stato migliore. Immersi        completamente la testa nell'acqua e mi lavai per bene i capelli cercando di togliere il sangue. Dopo circa un quarto d'ora ripresi a camminare e ogni tanto sobbalzavo per qualche rumore sospetto. La notte dopo salii su un albero e la gonna di certo non mi aiutò nell'impresa. Quando riuscii a stabilizzarmi su un ramo abbastanza grosso, cercai di dormire, ma i ricordi della sera prima mi            rimbombavano nella testa. Il dolore di aver perso i miei genitori, la mia casa e un mio amico non mi fece chiudere occhio per altre due ore, ma d'un tratto la stanchezza di due giornate intere passate a correre e coi nervi a fior di pelle vinse e mi addormentai. Un sonno leggero e soggetto a numerosi incubi.
 
Mi risvegliai urlando e subito mi tappai la bocca. Avevo sognato Taimel che mi incolpava perchè era morto e i miei genitori che mi dicevano di scappare perchè stavano arrivando le truppe nemiche. Scesi dall'albero e camminai per metà giornata fino a quando arrivai nei pressi di un villaggio piuttosto povero e con pochi abitanti che non era ancora stato vittima delle truppe di Leven. Vinta dai morsi della fame decisi di inoltrarmi nelle strette vie e di cercare una locanda in cui chiedere un po' di cibo. Nelle tasche avevo a malapena due   scellini, ma valutai che in teoria mi sarebbero dovuti bastare. Gli abitanti del paese mi ricordavano molto quelli del mio. Simpatici sotto certi punti di vista, ma molto scorbutici e pessimisti sotto altri. Mentre camminavo per le strade, molte persone mi guardavano con curiosità, altre con riluttanza. Decisi di chiudermi meglio il mantello e di calarmi il cappuccio sul viso, avrei dato meno nell'occhio.  Verso il centro della città trovai l'unica locanda disponibile ed entrai. L'odore acre di cipolla mi scombussolò e la confusione dovuta al vociare che regnava dentro quel posto angusto mi disorientò ancora di più. Sembrava che tutto il villaggio fosse dentro quella locanda.  Le donne erano in compagnia di uomini rudi e ubriachi. Doveva essere quella la loro vita. Ero capitata in un paese fuori dal mondo,  sconosciuto alle carte geografiche. Non mi stupii di non vedere ninfe, non avrebbero tollerato quella confusione e quella sporcizia. Nonostante il caos, decisi di non togliermi il cappuccio. Mi avvicinai al banco dove una ragazza minuta serviva in preda al panico  bicchieri colmi di liquori e boccali di birra. Quando arrivò il mio turno, mi schiarii la voce e chiesi gentilmente una scodella di zuppa di legumi. Dopo poco mi venne servita e io cercai di non ingurgitarla troppo velocemente. Nel tavolo vicino al mio c'erano due signori che discutevano animatamente della guerra. Allora quel paese non era così estraniato dal mondo. Da quello che riuscii a sentire, Leven sembrava inarrestabile e voleva conquistare tutte le terre. Al pensiero di rivedere i suoi soldati la zuppa mi si fermava in gola. Un odio profondo si stava piano piano impossessando di me e io non sapevo se lasciargli prendere il mio controllo o cercare di trattenerlo. La vendetta però, aveva un gusto così dolce e soddisfacente che mi promisi di lottare con tutte le forze contro Leven e le sue truppe.
-Che cosa?- il tono allarmato di uno dei due uomini attirò; di nuovo la mia attenzione.
-Sono arrivati anche a questo? E perchè mai! La tortura è una cosa così...-
-L'avevo detto io che quello lì ci chiuderà tutti nelle catacombe...
Un tremito mi percosse da capo a piedi e dopo aver lasciato i due scellini sul tavolo mi alzai e uscii dalla locanda, silenziosa com'ero  entrata.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Nei giorni che seguirono, girovagai per i boschi seguendo costantemente corsi d’acqua. Più volte sentii le truppe passare e a volte mi capitò di vedere villaggi in fiamme e intere famiglie dilaniate. Un giorno decisi, controvoglia, di disfami del vestito e di prendere degli abiti da una casa in un villaggio abbandonato. Non mi piaceva l’idea di rubare nella casa di un morto, ma se non volevo fare la stessa fine, era necessario non farsi troppi problemi. Solo allora mi accorsi di non avere una meta, di non avere un piano. Stavo scappando, in cerca di un aiuto che, come avevo visto nei giorni passati, faticava ad arrivare. La gente aveva paura… era letteralmente terrorizzata. Non badavano a una ragazzina senza armi che vagava per la Terra dell’Acqua sporca e senza cibo. Anche le ninfe, che non mi avrebbero mai negato un aiuto, si mostravano diffidenti e più volte non mi degnarono di uno sguardo. Nonostante questo una grande forza di volontà mi spingeva ad andare avanti. Cercai di costruirmi un arco e di appuntire qualche ramoscello per ricavarne delle frecce degne di questo nome. Cacciare mi risultò molto difficile. Il mio passo era pesante, le foglie crepitavano sotto i miei piedi e quei pochi scoiattoli che vedevo, scappavano allarmati. Dopo qualche giorno di allenamento riuscii a catturare una piccola lepre. La cucinai e la gustai come mai avevo fatto con un piatto in vita mia. Gli alberi e le piante erano diventati i miei più fedeli compagni. Mi proteggevano di notte e i cespugli ogni tanto facevano spuntare qualche mora o qualche piccola bacca. Era inverno e la neve scendeva sistematicamente, intorpidendomi  le membra. Un giorno, quando il sole era alto nel cielo e sembrava facesse più caldo, mi imbattei in un accampamento. C’erano più o meno una decina di tende e due tre fuochi ben attizzati crepitavano. Mi nascosi dietro un albero e guardai con attenzione chi ci fosse. Ero tranquilla, perché non c’erano bandiere con lo stemma di Leven e nemmeno guardie. Non avevo la minima idea di chi potevano essere. All’improvviso una donna uscii dalla tenda. Aveva la pelle  molto scura e dietro di lei c’erano due bambini che ridevano e bisticciavano. Bambini. Era un buon segno. Stavo per avvicinarmi ancora un po’ quando qualcosa mi colpì sul braccio: una freccia molto sottile e appuntita. Delle figure di cui non riuscivo a distinguere i contorni si stavano avvicinando, non feci in tempo a sentire le loro voci che la vista mi si annebbiò e caddi a terra.
 
Un bruciore acuto mi svegliò. La vista era ancora annebbiata e solo poco dopo riuscii a capire che il dolore proveniva dal braccio dove mi avevano colpito. Mi guardai attorno e vidi che una luce calda illuminava la stanza, o meglio la tenda. Ero distesa su un lettino e davanti a me un uomo anziano e con crespi capelli grigi, mi guardava serio. Mi misi a sedere ignorando il dolore al braccio e lo guadai negli occhi.
-Perché sei qua?- chiese scrutandomi con attenzione.
-Pensavo me lo potessi dire te…- replicai.
-Eri dietro a un albero, e ti abbiamo colpito con un freccia avvelenata. Non ti preoccupare, non è mortale, ti abbiamo solo fatto fare un lungo sonnellino. Come ti chiami?-
Lo guardai chiedendomi se avessi fatto bene a dirgli il mio nome. Ma c’era qualcosa in lui che mi diceva che mi potevo fidare…
-Sahita.- 
-Bene Sahita che cosa ci facevi da sola in mezzo al bosco?-
-Sono scappata dal mio villaggio. È stato distrutto…-
-Leven… immagino- annuii.
-Che cosa dobbiamo fare con te?-
-Lasciatemi vivere, non faccio del male a nessuno. Sono sola, senza armi a parte un arco che uso per cacciare. È da quasi un mese che vago per questa terra in cerca di aiuto…-
L’uomo si alzò dalla sedia e mi fece segno di tacere, poi uscì dalla tenda e lo sentii confabulare con qualcuno. Infine rientrò e mi sorrise, per la prima volta.
-Resta con noi. Ma dovrai aiutare le donne, dovrai cucinare, tenere a bada i bambini e tutto quello che sarà utile.- Per un attimo pensai che stesse scherzando ma quando mi guardò in cerca del mio consenso, capii che stava dicendo sul serio. Annuii in fretta e domandai:
-Chi siete voi?- lui si risedette e si accese una pipa.
-Siamo gente comune, siamo scappati perché anche il nostro villaggio è stato distrutto. È da qualche mese che ci spostiamo di terra in terra e che cerchiamo di sopravvivere… ma la nostra storia la puoi ben immaginare, piuttosto raccontami di te…-
Per la prima volta raccontai tutto ciò che avevo fatto da quando ero scappata. Fu come se mi fossi liberata di un grande peso. Il vecchio mi ascoltò e non seppi quanto stetti lì a parlare. Non si perse una sola parola mentre continuava a fumare la pipa. Quando finii mi fece segno di seguirlo e uscimmo dalla tenda. I bambini erano in cerchio intorno al fuoco e una donna raccontava una storia. Guardai con attenzione quella scena così pacifica e decisi che quella sarebbe stata la mia nuova famiglia. Quando arrivammo alla tenda che sarebbe stata la mia casa, l’uomo fece per andarsene, mai io lo fermai: -Perché l’hai fatto?-  lui mi guardò interrogativo.
-Perché hai deciso di non uccidermi, potrei essere una spia o un’assassina. o…-
-Una persona si vede subito se ci si può fidare oppure no. Lo sguardo, il modo di parlare, so che posso fidarmi di te, ma non farmici ripensare. E comunque anche se fossi una spia, mia cara Sahita, troverai ben poco. Qui, i segreti non sono i benvenuti.-
Dopo quell’affermazione il vecchio si girò e ritornò nella sua tenda. Mi voltai e entrai nella mia nuova casa. Era semplice, arredata da poche cose essenziali. A lato c’era un letto molto rudimentale, sempre meglio che il ramo di un albero, ma la cosa che apprezzai di più fu un piccolo rogo che scoppiettava al centro della tenda. Misi i miei pochi averi su una sedia e mi sdraiai sul letto. Era duro, ma non potevo lamentarmi. Finalmente qualcuno aveva accettato di aiutarmi. Valutai il fatto che stando lì con loro non avrei potuto vendicarmi, non avrei potuto lottare contro Leven, ma per quello c’era tempo. Per il momento dovevo solo risposarmi e cercare di guadagnare la fiducia delle persone dell’accampamento. La pioggia iniziò a ticchettare sulla tenda e quel suono tranquillò mi rilassò facendomi assopire. 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


La mattina dopo fu un bambino a svegliarmi, non doveva avere più di quattro anni. Mi batteva la manina sulla spalla dicendo parole incomprendibili. Lo presi in braccio e lo portai fuori dalla tenda. Le donne erano già al lavoro e i primi gruppi di uomini si dirigevano già verso il bosco per cacciare.
Il sole era alto nel cielo, ma nell’aria c’era ancora il profumo di pioggia della notte passata.
-Dair! Dove ti eri cacciato?- una donna robusta e dalle spalle possenti si stava avvicinando a passo di carica. Sulla testa aveva un turbante che le teneva i capelli raccolti. Indossava una vestaglia logora che doveva usare per cucinare. Le porsi il bambino sorridendole.
-Scusa, ti ha dato fastidio?- chiese la donna preoccupata e lanciando un’occhiataccia al figlio.
-Non preoccuparti, mi piacciono i bambini…- la donna mi soppesò con lo sguardo e corrucciò la fronte. Dopodiché un largo sorriso si aprì sulle sue labbra.
-Hai detto che ti piacciono i bambini?- chiese. Io annuii. -Bene, allora vieni con me.-
Chiedendomi che cosa volesse fare, la seguii. L’accampamento era più grande di quello che pensassi, ma soprattutto era molto organizzato. Ogni persona aveva un ruolo ben specifico, ma la cosa che più mi sorprese fu che i bambini erano obbligati a fare tre ore al giorno di studio. Non era una cosa normale in quei tempi. La scuola era privata e i genitori dovevano pagare molto per mandare i propri figli a studiare. Così i bambini crescevano ignoranti e l’unico futuro prospero scritto nel loro destino era lavorare nei campi o nelle miniere. Era una realtà cruda, amara, ma era pur sempre la realtà.
Quando arrivammo al cospetto del rogo che avevo visto la sera prima, la donna annunciò:
-Date il benvenuto a…- mi guardò curiosa.-Sahita.- dissi un po’ intimorita. Un esercito di bambini mi guardava attentamente, da capo a piedi. Percepii mille occhi su di me e mi sentii subito impotente davanti a tutti quei piccoletti.
-Vi farà giocare e vi racconterà le storie…- la guardai allibita. Non sapevo proprio da dove iniziare. Ok, mi piacevano i bambini, ma non avevo la minima idea di come tenerli a bada.
-Se hai bisogno d’aiuto, io sono in quella tenda là in fondo…- disse indicandola col dito -Buona fortuna, ah, Areck mi ha detto chi sei e da dove vieni, mi dispiace molto per la tua famiglia e per il tuo villaggio, sappiamo bene come ci si sente. Ti occuperai di questo finché starai qui, dobbiamo tutti darci una mano.- ringraziai e mi girai verso i bambini. Ci fu un secondo di silenzio che ruppi chiedendo: -A che cosa volete giocare?-
Tutti e venti i bambini iniziarono a parlare contemporaneamente, ognuno proponendo qualcosa. Mi sedetti su una pietra e sospirai esasperata.
 
Per tutta la giornata cercai di tenerli a bada e di farli divertire, ma la cosa risultò piuttosto difficile. Pensai a quanto sarebbe stato bello andare nei boschi a cacciare, invece che stare al campo tutto il giorno. Purtroppo quel compito era riservato solo ed esclusivamente agli uomini e questo mi infastidì un poco. Persi il conto dei giorni che passavano, Ogni tanto si smontavano le tende e si partiva per andare in un altro posto. Non avevamo una meta, l’unico obbiettivo era scappare dai nemici, rimanere vivi. Areck mi spiegò meglio com’era la situazione: le Terre dei Giorni, del Sole, del Fuoco e della Notte erano alleate con Leven, mentre le Terre del Mare, dell’Acqua, delle Rocce e del Vento cercavano di ribellarsi. Nessuno sapeva il motivo di questa voglia di conquista. I mezz’elfi sembravano voler dominare su tutti e su tutto, fra questi Leven.
Successe una mattina. Ero lì da poco più di un mese.
Era notte e tutti stavamo dormendo quando le urla di alcuni uomini mi fecero sobbalzare e allarmata uscii dalla tenda. Un calore insopportabile mi avvolse. Davanti a me un muro di fuoco bruciava tutto quello che si trovava davanti. Le scintille attecchivano ovunque, inarrestabili. Pensai subito ai bambini. Mi diressi verso le altre tende e svegliai chi era ancora assopito. Poi arrivarono loro: i mezz’elfi. I soldati di Leven sembravano ovunque, sbucavano fuori dal bosco e trafiggevano chiunque cercasse di opporre resistenza. Molti prendevano le donne e le trascinavano via. Queste urlavano disperate chiamando il nome del figlio o del marito. Io guardavo tutto questo in preda all’orrore. Non ancora una volta. Mi imposi di muovermi e di aiutare chi ne avesse bisogno, ma mi sentivo così impotente, così piccola e fragile davanti a quello che stavo vedendo. Disperata mi chiesi perché un soldato non mi uccideva subito senza farmi assistere di nuovo a quello scempio. Perché? Un grido attirò la mia attenzione. Mi girai e vidi  che la madre di Dair era fra le grinfie di un saldato che cercava di trascinarla dentro a un bosco. Il mio corpo sembrò come risvegliarsi e corsi più velocemente possibile verso la donna. Mi buttai a peso morto contro il soldato facendogli perdere l’equilibrio. La spada volò poco più in là  e lui fece per rialzarsi, ma non lo lasciai andare. Lottai con tutte le mie forze: calci, pugni, graffi, morsi, ma niente potevo contro i muscoli allenati di quel mezz’elfo, niente. Dopo un po’ riuscì a sfilarsi un pugnale da dentro lo stivale e iniziò a menarlo nell’aria cercando di colpirmi. Mi stupii della mia agilità. I riflessi mi facevano spostare quando ce n’era bisogno, ma il soldato era altrettanto veloce e alla fine riuscì a sfiorarmi procurandomi un esteso taglio su un braccio. Gridai dal dolore mentre il sangue iniziava a fuoriuscire copioso. Mi allontanai e presi le distanze di sicurezza. Il soldato sbraitò:
-Piccola canaglia, non ti voglio fare niente, stai ferma!- il mezz’elfo mi si avvicinò e mi prese i polsi. Lottai con tutte le forze che mi rimanevano, ma ormai ero stremata. La vista iniziava ad annebbiarsi, stavo perdendo troppo sangue. Sentii le mani rudi del soldato afferrarmi anche le caviglie e portarmi dentro al bosco. Ormai non opponevo più resistenza. Dopo poco mi lanciarono contro qualcosa di duro. Gemetti e vidi che ero sdraiata dentro a un carro. Non feci in tempo a rendermi conto di quello che stava succedendo che una grata di ferro si chiuse stridendo davanti ai miei occhi increduli. 

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