A thousand years di lady_talia (/viewuser.php?uid=219886)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** It's a family business ***
Capitolo 2: *** The end of the affair ***
Capitolo 1 *** It's a family business ***
ki
Capitolo 1
It’s a family business
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Risa,
gioie, dolori, dispiaceri. Ricordi. In quel momento, mentre avanzava
verso la piccola sala laterale dove Niklaus aveva depositato le bare
dei loro familiari, la mente del vampiro virtuoso era attraversata da
mille rimembranze di un passato insieme lontanissimo e sin troppo
limitrofo. I giochi della fanciullezza, i lievi dibattiti tra i suoi
fratelli, i dolci sorrisi, le amabili tenerezze di infanti, tutto era
tornato alla sua memoria, straripando dagli argini della sua glaciale
compostezza. Elijah non aveva mai lasciato che le sue emozioni lo
soffocassero, non come in quel momento, annientando ciò che
aveva con fatica costruito sin dalla più tenera età,
sebbene non avesse mai spento la propria umanità, almeno non
quando si trattava della sua famiglia. Damon era al suo fianco, con il
consueto incedere baldanzoso consapevole di aver oramai la vittoria in
pugno, ma Elijah poco si curava di lui, il necessario per non correre a
velocità soprannaturale e precipitarsi a liberare le anime di
coloro che erano ciò che più aveva bramato in mille anni,
maggiormente anche rispetto al sangue alcune volte. Percepiva a stento
le voci di Klaus e Stefan nella sala in cui li avevano lasciati solo
pochi istanti prima. Erano sulla soglia. Elijah posò la grande
mano dalle dita affusolate sul cardine della porta di legno massello e
guardò all’interno della sala immersa
nell’oscurità. Quattro bare con dentro i corpi dei suoi
quattro fratelli ancora in vita. Il mite temperamento di Finn, il suo
buon cuore e la capacità di non venir mai meno ai propri
principi e valori. Gli occhi azzurri e sinceri, sempre onesti e dolci,
colmi di amorevolezza di Astrid. Il viso da eterno bambino di Kol
solcato da quel lieve sorriso che lo faceva rassomigliare a un angelo o
a un cherubino. L’innocenza strappata troppo presto, con violenza
e senza alcun diritto, dell’eterna fanciulla Rebekah. Erano tutti
lì, dinanzi a lui, racchiusi in quei simulacri freddi e vuoti.
Non s’era accorto d’essere avanzato al centro della bare
disposte quasi circolarmente nella sala sino a quando non sbatté
le palpebre. Damon era rimasto sulla soglia, forse per lasciargli
vivere nella più dolce delle solitudini quel momento magico in
cui si sarebbero finalmente riuniti. Le scoperchiò in ordine,
con i polpastrelli tremanti mentre tentava di regolare il respiro e di
non mostrarsi vulnerabile agli occhi del vampiro più giovane e
inesperto, e tolse i pugnali che ornavano in modo macabro i loro petti
prima che Damon premesse l’interruttore. La luce illuminò
i corpi dei suoi parenti, mostrandoli a lui. Le vene spiccavano sui
loro volti dalle palpebre serrate che li facevano rassomigliare a dei
cadaveri. Maledisse più volte Niklaus, soltanto nella sua mente,
e si domandò come avesse potuto compiere un tale delitto, con
quale coraggio. I volti erano grigiastri, ma si poteva scorgere la loro
eterea bellezza. Finn era in quella bara da novecento anni e i suoi
abiti, costituiti da una camicia grigia e una giacca di pelle, lo
dimostravano ampliamente. Kol, invece, era stato pugnalato nel 1913.
Poi v’erano le sue due sorelle, splendidi angeli che Elijah aveva
tentato di salvare con ogni mezzo. Astrid, la terzogenita di Mikael,
non era a tutti gli effetti sua sorella, ma non importava, non in quel
momento. Le sue vesti dimostravano che l’età a cui doveva
far risalire la sua morte era la seconda metà
dell’Ottocento. 1864, per la precisione. Era di stoffa leggera,
azzurra con dei disegni floreali. Il corpetto era rifinito da pizzo
dorato e lo stesso motivo era ripreso sulle maniche lunghe e sulla
gonna ampia. La sua pelle, ancora grigiastra sebbene le vene stessero
svanendo, avrebbe dovuto possedere la stessa tinta olivastra della
propria. I suoi lunghi e morbidi boccoli castani le coprivano il petto
e l’acconciatura s’era quasi sciolta del tutto. Le labbra
rosse e piene, il naso lievemente alla francese, le ciglia lunghe e
nere, poco folte, che celavano i suoi splendidi occhi color degli
zaffiri, di una tonalità di scura rispetto a quelli di Damon.
Sembrava una bambolina di porcellana ed Elijah si trattenne a stento
dal ringhiare per ciò che Niklaus aveva compiuto. Mentre
osservava ancora Astrid, notò che Rebekah stava prendendo un
profondo respiro ed era scattata a sedere. Subito le si
avvicinò, sfiorandole le spalle nude mentre anche Kol riprendeva
conoscenza. I suoi due fratelli più giovani. Kol si
guardò intorno mentre Rebekah alzava lo sguardo su di lui come
se non riuscisse a comprendere che fosse realmente lì con lei.
Insieme. Sempre e per sempre.
« Rebekah, Kol, fratelli miei, quanti anni ci hanno
divisi?» domandò loro con un sorriso pacifico per
richiamarli a lui, per non farli sentire come persi in quella sala
colma di sotterfugi, inganni e tradimenti come chi li aveva rinchiusi
nelle bare, mentre dentro di sé mille emozioni gli stavano
squassando il petto. Dinanzi
a sé aveva la sua unica ragione di vita, lo scopo che
l’aveva animato per più di mille anni. Potevano essere
nuovamente uniti, non più dispersi agli angoli della Terra per
fuggire da un padre che di umano non aveva mai avuto nulla nemmeno
prima della trasformazione. Non più soli. Mai più. Uniti
come una persona sola, ma Niklaus non era più degno di quella
promessa che aveva calpestato ogni dannato giorno in quei mille anni.
Sleale traditore a cui non importava nulla di ferire le persone che
avrebbe dovuto amare di più. L’amore è la più grande debolezza di un vampiro. Non erano quelle le parole che aveva pronunciato dinanzi a Elijah quando
s’era reso conto dell’amore che nutriva nei confronti di
Katerina Petrova? L’amore rendeva deboli, umani, e Klaus non
voleva provare nulla di umano, nessun sentimento, nessuna emozione.
Quindi per lui doveva essere stato semplice pugnalarli.
« Elijah,» esclamò dolcemente sua sorella, prima di
cingergli il collo con le sue esili braccia candide e posare il capo
nell’incavo dello stesso. Elijah inspirò il lieve profumo
di fiori che emanavano i suoi biondi boccoli lunghi sino alle spalle
poi s’accorse che Kol, in un balzo felino, s’era liberato
della sua bara e stava avanzando verso di loro con un impercettibile
sorriso impresso sulle labbra esangui. Astrid e Finn, coloro che erano
rimasti più a lungo nella bara, avevano bisogno di maggior tempo
per riprendere conoscenza. Notò anche che Damon era ancora sulla
soglia e osservava la scena con un certo distacco prima di volgersi
verso la sala principale per accertarsi che nessuno potesse sentirli.
Elijah abbracciò più forte la sua sorellina poi si
scostò da lei, posandole un piccolo bacio tra i capelli come
quando era bambina prima di ritirarsi nelle proprie camere per
ristorarsi in un dolce riposo. Non era tempo. Dopo essersi allontanati
da Niklaus, avrebbero potuto vivere quei meravigliosi momenti, doveva
soltanto pensare a risvegliare gli altri.
« Parla a bassa voce, Rebekah,» l’ammonì
blando e dolce, con la sua voce profonda che fece sorridere sua
sorella. Rebekah, l’indomita e forte Rebekah, aveva gli occhi
imperlati di lacrime trattenute a stento nel guardare da lui a Kol, poi
Elijah indietreggiò e lasciò che si scostasse da quel
simulacro di morte. Tremava, sua sorella, le sue esili spalle si
distendevano e si contraevano a scatti mentre prendeva lunghi respiri
per calmare il battito impazzito del proprio cuore. Guardò verso
le bare di Finn e Astrid e trattenne a stento un sussulto. Non avrebbe
mai pensato che a sua sorella sarebbe capitata la loro stessa sorte ed
Elijah era rimasto sorpreso quanto lei, « Niklaus è nella
sala,» comunicò loro per smuoverli da quel torpore
momentaneo.
« Quel traditore. Dobbiamo vendicarci,» sibilò Kol irato per
com’era stato tradito da suo fratello un secolo prima.
S’era fidato di Nik, per l’ennesima volta, e lui
l’aveva quasi pugnalato alle spalle. soltanto perché gli
aveva esternato tutto il proprio risentimento quando aveva scoperto chi
era il fautore della morte della loro madre.
« Quando Astrid e Finn si saranno destati. È tempo,
fratelli miei,» affermò in modo solenne con la consueta
eleganza prima guardarli seriamente negli occhi. Notò quanta
decisione albergasse nei loro sguardi. Di cos’era tempo lo
intuirono tutti e tre. Non si trattava dell’asettica vendetta
contro chi li aveva costretti a un riposo perpetuo, no, era tempo di
essere uniti come una famiglia, di far risorgere dalle ceneri la Fenice
del loro vincolo eterno. Elijah sorrise loro, alzando l’angolo
destro delle labbra, poi avanzò verso l’uscita, prendendo
i due pugnali di Kol e Finn per garanzia e per mostrare a Niklaus che
orami aveva perduto ogni tipo di lealtà da lui. Fece un lieve
cenno col capo a Damon per comunicargli di seguirlo e far ritorno nella
sala, che sorrise accattivante in direzione di Rebekah prima di
assentire. In un battito d’ali di farfalla Kol si ritrovò
stretto, come prima aveva fatto con Elijah, da sua sorella minore
soltanto di tre anni. Cinse la sua vita con il braccio destro mentre la
mano sinistra le carezzava i boccoli dorati. Poche volte s’erano
dimostrati dell’affetto reciproco, Rebekah era sempre stata
più legata a Nik e Kol non era mai stato né spontaneo
né espansivo. Sciolsero la presa all’unisono solo quando
sentirono Astrid prendere un lungo respiro, rinvenendo. I suoi occhi,
fari nella notte, zaffiri preziosissimi. Mai nessuno avrebbe potuto
dimenticarli. Erano identici a quelli di Rebekah, li avevano entrambe
ereditati da Mikael .
« Dove sono?» si domandò la giovane, che dimostrava
avere non più di venticinque anni, spaesata, guardandosi intorno
e non riconoscendo nulla di quella sala. Si guardò gli abiti.
Indossava ancora il suo bel vestito turchese sebbene i suoi lunghi
boccoli color del mogano, dalle venature rossastre, che le arrivavano
sino alla metà della schiena, erano slegati dalla sua sobria
acconciatura come se qualcuno li avesse carezzati molte volte. Non
sapeva dov’era né in che epoca fosse, ma, stranamente, era
certa di essere al sicuro. V’erano due presenze che le
rinfrancavano l’animo. Alzò lo sguardo puntandolo in
quello dei suoi fratelli e sentì il suo povero cuore animarsi e
perdere un battito mentre i suoi occhi si velavano di lacrime, «
Kol. Rebekah,» li chiamò dolcemente, quasi ribaltandosi
dalla bara e avvicinandosi a velocità fulminea a loro due.
Guardò dall’uno all’altro incapace di far nulla se
non sorridere e piangere di gioia.
« Non è tempo dei sentimentalismi, sorellona. Abbiamo un
fratello di cui vendicarci,» le comunicò Kol con il suo
solito tono scherzoso che riusciva a smorzare la peggiore tra le
atmosfere. Kol, il suo fratellino tanto amato, il ragazzo dagli occhi
scuri e il viso da bambino, e Rebekah, la sua unica sorella, quella che
sarebbe sempre stata la persona più importante del suo cuore,
dopo Nik. Nik. Spalancò gli occhi e quasi trattenne il pianto.
« Niklaus. Mi ha pugnalata,» sussurrò chinando lo
sguardo verso il petto dove sulla veste era evidente uno squarcio dove
il pugnale era penetrato per farla cadere in un torpore perpetuo. Il
suo Nik, il suo amato Nik, l’aveva pugnalata, davvero, nonostante
tutto ciò che albergava nel cuore di entrambi. Ma Nik non aveva
più un cuore, rimuginò Astrid, e per quello non poteva
provare più nulla di quello che nutriva nei suoi riguardi
quand’erano soltanto dei ragazzi umani. Rebekah annuì alle
sue parole, facendole comprendere che anche con loro non era stato
clemente, poi entrambi i suoi fratelli sparirono, lasciandola sola.
Sobbalzò visibilmente quando udì un rumore vicino.
Proveniva dalla bara in cui v’era ancora un corpo, quello del suo
fratello più prossimo che quasi strappò
l’imbottitura candida per la furia presente nel suo sguardo
scuro, « Finn,» lo chiamò. L’uomo la
guardò, la rabbia si sciolse sino a divenire dolcezza, poi Finn
avanzò verso di lei, azzerando la già breve distanza tra
di loro, e l’abbracciò tenendola stretta sé. Astrid
ricambiò stringendolo così forte da farsi male, ma non le
importò. Chiuse gli occhi e pianse una sola lacrima. Finalmente
erano tutti insieme. Contro Niklaus. Quello fu il suo primo pensiero
rinfrancato dalle precedenti parole di Kol. non
avrebbe mai potuto ferire Niklaus, ma una collera infinita
l’animava. Perché lui l’aveva uccisa. Se si
sforzava, però, poteva ancora percepire le sue dita affusolate e
candide tra i suoi boccoli. Quelle carezze dovevano averla accompagnata
per anni, ne era sicura. Non era l’epoca in cui era stata messa a
tacere, ma presto si sarebbe abituata. In fondo era una vampira e la
sua cara Rebekah l’avrebbe aiutata di certo. Non s’accorse
che Finn aveva scostato la presa sino a quando non le fece cenno di
seguirlo per un corridoio poco illuminato dalle pareti bianche e
rifinite da alcuni quadri dipinti da Nik stesso. Rammentò in un
attimo la sua vanità. Nik amava circondarsi di proprie creazioni
e la pittura era sempre stata la sua forma d’arte preferita,
seguita dalla letteratura. Seguì suo fratello, guidata dalla
familiare fragranza dei suoi parenti, i loro elevatissimi Poteri
mescolati ad altri due. Vampiri di gran lunga più giovani e
inesperti rispetto a loro. Non sapeva chi fossero, né li aveva
mai conosciuti prima né le importava. Elijah, il suo caro
Elijah, era sulla soglia accanto a una ragazza bellissima e svestita
tanto da infastidirla che doveva essere stata ammaliata e a uno dei due
vampiri, un uomo prestante, abbastanza alto e vestito totalmente di
nero. Aveva un ottimo profumo, doveva ammetterlo, forse era bourbon, il
nuovo whiskey del Kentucky, misto a colonia e il suo Potere era poco
superiore alla norma, segno che doveva avere più di
cent’anni, ma meno di duecento. Suo fratello maggiore osservava
con una certa soddisfazione la scena che aveva dinanzi a sé.
Finn aveva appena pugnalato la mano di Nik che aveva emesso un
gutturale grido di dolore e Rebekah, fiera come una vera donna vichinga
l’aveva pugnalato allo stomaco facendolo arretrare sino a essere
tra le braccia di Kol, « Lascialo a me, Bekah,» la
pregò, avanzando nella sala sotto lo sguardo dolce di Elijah.
Sentì Nik trattenere il fiato e le sue labbra si aprirono in un
sorriso subdolo e malevolo. Incrociò lo sguardo simile a due
smeraldi preziosi dell’altro vampiro vicino al fuoco del camino
prima di ritornare a quello che non aveva mai considerato un fratello.
Kol lo lasciò e Nik fu in grado di volgersi a osservarla.
Astrid, sebbene stesse tentando con tutte le proprie forze di non
cadere nella trappola dei suoi splendidi occhi azzurri, non
riuscì a trattenere un brivido che corse languido su tutta la
spina dorsale. Nel frattempo sentì i due vampiri andar via.
Erano soltanto loro. Niklaus non era cambiato, sebbene i suoi abiti
fossero ben differenti da quelli con cui lo ricordava, ma non si
soffermò a lungo su di essi. Nik aveva le labbra e gli occhi
spalancati e Astrid poté giurare a se stessa che mai
l’aveva scorto così sorpreso come in quel momento. Era
alla sua completa mercé, pensò soddisfatta. Vendetta. Era
quella la parola marchiata a fuoco nella sua mente. Il suo tradimento
bruciava sulla pelle come la corrosiva verbena.
« Astrid,» la chiamò sorpreso, sbigottito come se
avesse davvero pensato che Elijah avrebbe esitato nel toglierle il
paletto dal cuore. Ma Elijah non era lui, Elijah era un uomo
d’onore, non certo un traditore. Il sorriso si allargò
sino a divenire inquietante poi avanzò di un altro passo, la
veste che sfiorava il pavimento lucido della sala semibuia, come
piacevano a Niklaus.
« Ciao, fratello,» mormorò come se stette intonando
una cantilena o una nenia per bambini prima di assottigliare gli occhi
chiari, avanzare fulmineamente verso la giovane donna e prendere uno
dei due paletti sul ripiano di cartone dorato. Altrettanto
fulmineamente fu dinanzi a Nik, a un soffio, trattenendosi
dall’inspirare il suo profumo angelico elegante e magnetico, un
profumo tutto suo, quello proprio della sua pelle. Gli piantò il
pugnale nel cuore, ma Nik non emise alcun fiato. Su di lui non
funzionavano. Sul suo volto rotondo e privo di rughe apparve una
smorfia delusa come quella che avrebbe potuto possedere una bambina
insoddisfatta e Nik quasi sorrise dalla tenerezza, togliendoselo dal
petto marmoreo che ricordava così bene. Lo lasciò cadere,
come se non gli importasse ben sapendo di meritare quel trattamento.
« Sapevi che non mi avrebbe ucciso,» le ricordò
quasi dolcemente, come se fossero soltanto loro due in quella camera,
come se gli altri non esistessero. Eppure Kol era ancora al suo fianco
pronto ad attaccare come un serpente e Rebekah era appena dietro di
lui, Finn ed Elijah a pochi metri.
« Sei indistruttibile tu,» commentò solamente con un
lieve tono di sdegno che a Niklaus non sfuggì, « Vedo bene
che non sono stata l’unica a ricevere il trattamento mortifero.
Che caratteraccio. Certe volte penso sia proprio il degno figlio di
Mikael,» lo sbeffeggiò prima di volgere gli angoli della
labbra verso il basso in un’espressione di sufficienza. Nik
corrugò la fronte e sorrise in modo furbo, scaltro, ammaliatore,
tanto da farla tremare, poi si volse verso gli altri.
« Sedetevi, fratelli. Parliamo,»
esclamò aprendo le braccia come per dimostrar loro di avere
soltanto buone intenzioni. Come per dimostrare la propria completa
innocenza. Falso, bugiardo, traditore. Imponente, avvenente e
dannatamente sensuale. Astrid quasi si maledisse per quei pensieri, ma
averlo a un soffio da lei dopo i suoi ultimi ricordi prima di venire
pugnalata era davvero troppo arduo da sopportare per i suoi poveri
nervi. E anche Nik non era del tutto indifferente. Aveva notato il
lieve tremolio delle sue forti e ampie spalle e l’espressione nei
suoi occhi era ancora sbigottita. E turbata.
« Mi sono stancato delle tue false parole, Niklaus,»
affermò duramente Finn guardandolo con occhi di fuoco.
Cent’anni aveva vissuto come vampiro prima che Niklaus lo
pugnalasse, lo strappasse dalla sua Sage. Sage. Finn pensò
subito che doveva averlo dimenticato, rimosso dalla sua memoria e
intrapreso una nuova vita, forse con un altro uomo. Non sapeva quanto
tempo doveva essere rimasto nella bara, ma sospettava dovesse essere
stato parecchio e Sage, sebbene l’avesse amato dal primo istante
in cui s’erano incontrati, non poteva averlo atteso per
così innumerevoli anni. Ed era tutta colpa di Niklaus e del suo
dannato carattere.
« E cosa vorresti fare, Finn? Sentiamo. Uccidermi? Non puoi, a
meno che tu non abbia un paletto di quercia bianca, ma non credo di
averti messo nella bara un simile gadget. L’unico di Mikael
è andato distrutto. Non possiamo essere uccisi,»
annunciò loro con un gran sorriso come se la notizia dovesse
rallegrarli, e per certi versi era così. Niente paletto di
quercia bianca, nessun cacciatore di vampiri a dar loro la caccia.
Avrebbero potuto trovare la libertà, nonché la pace, ma
Astrid non era dello stesso avviso.
« Nostro padre è qui? » domandò Astrid
insieme intimorita da quello che il cacciatore avrebbe potuto compiere
a loro danno e con il batticuore di sapere che suo padre poteva essere
davvero lì, sebbene non sapesse dove fosse quel lì. Suo
padre. Lo raffigurò in attimo, sebbene l’avesse visto di
sfuggita in ottocento anni. Un uomo imponente, inquietante che aveva
seminato nella sua famiglia terrore e distruzione, dai capelli biondi
come il grano e gli occhi glaciali dello stesso colore dei propri.
Nonostante tutto ciò che aveva compiuto, Astrid non era mai
stata capace di odiarlo. Perché era suo padre e perché
lei e Rebekah erano le sue figlie amate, i suoi gioielli, le perle che
curava sempre con riguardo, allontanandole da ogni pericolo esterno, da
ogni sguardo troppo impertinente, da ogni gesto fatto con troppa
libertà.
« L’ho ucciso,» esclamò lapidario facendola
quasi sobbalzare. La guardò ammonendola per quel comportamento
ricordandole che Mikael aveva dato la caccia anche a lei, che non
l’avrebbe risparmiata se l’avesse trovata, « Non
dobbiamo temere nulla da lui né da nessun altro,»
assicurò parlando come se fossero tutti una famiglia, una
persona sola. ma non era più così. Lui aveva distrutto
tutto con le sue mani omicide e con i suoi strani modi di prendersi
cura di loro, « Vi avrei risvegliati, io stesso, ma Elijah ha
deciso di non fidarsi di me,» lo accusò come se davvero
Elijah dovesse sentirsi in colpa per ciò che aveva fatto. Mentre
Elijah non aveva alcuna colpa. Suo fratello era l’uomo più
innocente, buono e virtuoso che fosse mai esistito e Niklaus non aveva
il diritto di screditarlo in quel modo.
« Pensi seriamente che io mi fidi di te?» gli
domandò indignata, riportando l’attenzione su di
sé, « Mi hai pugnalata, Niklaus. Soltanto perché
avevo.»
« Per le tue manie suicide, sciocca,» la riprese
interrompendo ogni suo tentativo di protesta, alzando la voce, irato
come se non sopportasse di saper che non era con lui, che forse non
sarebbe mai più ritornata a essere sua. Quell’epiteto la
sconvolse. Mai l’aveva chiamata schiocca, mai l’aveva
insultata. Era come se la sua rabbia fosse amplificata, proprio come
durante i primi giorni della sua trasformazione, quando doveva gestire,
oltre al vampiro, anche il lupo dentro di lui. E forse era nuovamente
così. Era avanzato e le loro vesti quasi si sfioravano. Nik era
più alto di lei di qualche centimetro abbondate, infatti dovette
chinarsi per riuscire a guardarla davvero negli occhi. era così
vicino che avrebbe potuto contare le sue lunghe ciglia scure, le pieghe
delle sue belle labbra rosse e invitanti, le pagliuzze brillanti nei
suoi occhi color del mare che di esso avevano lo spirito, « Ti
saresti offerta a Mikael,» mormorò con più calma,
ferito. Come se davvero ritenesse che, se si fosse lasciata morire,
anche lui sarebbe morto con lei.
« Perché ero stanca,
Nik,» lo bloccò con le lacrime agli occhi, « Non
volevo più vivere, se questa può essere chiamata
vita,» aggiunse guardandosi con disprezzo. Aveva sempre odiato
essere un vampiro, cibarsi di innocenti, essere una predatrice e aveva
odiato la sua matrigna per averli resi immortali. Nonostante tutto
ciò che Esther aveva fatto per lei quand’era soltanto
un’umana. S’era presa cura di lei, come se fosse stata sua
figlia, l’aveva trattata al pari degli altri sebbene fosse il
frutto di un antico tradimento di Mikael. Quando aveva scoperto di Nik,
aveva compreso perché. Esther si sentiva in colpa.
« Se ci pensi bene, ti ho fatto un favore,» ribatté
beffardo, non più rabbioso né accorato, soltanto
derisorio. Com’era bravo a indossare le sue maschere. Sarebbe
stato un attore eccezionale nel teatro ellenico proprio come lei lo era
in quello vittoriano, ma Astrid non lo sopportava quando celava la
propria anima. Un ringhio rabbioso fuoriuscì dalle sue labbra e
in attimo, in una folata di vento gelido, lo sbatté contro il
muro più vicino, afferrandolo per i baveri della giacca nera.
Aveva i canini sguainati e le vene in rilievo sulle palpebre e gli
zigomi, gli occhi azzurri iniettati di rosso. In un attimo, ancora
prima che se ne potesse rendere conto, Nik ribaltò le posizioni,
costringendola al muro, incastrata tra esso e il suo corpo perfetto,
« Sono più forte di te, Astrid,» le comunicò
per nulla provato, anzi divertito a un soffio dalle sue labbra.
Tant’era sbigottita da quell’improvvisa quanto inaspettata
posizione, le vene ritornarono sotto pelle, come i canini e gli occhi
ritornarono a essere del consueto colore.
« Cosa?» gli domandò spaesata, proprio come quando
s’era appena destata da quel sonno di morte pochi minuti prima.
Si sporse di poco, sino quasi a incrociare le sue labbra prima di
scendere, carezzandogli la pelle ispida della guancia con la punta del
naso, scendendo lungo la gola. Accostò il volto alla sua
carotide, inspirando il profumo del suo sangue. Era come pensava. Sia
un vampiro che un licantropo, l'odore era inconfondibile e soltanto lei
avrebbe potuto riconoscerlo così bene, « Hai spezzato la
maledizione? Sei impazzito?» continuò con voce alterata,
sgranando gli occhi. Non era possibile. Per spezzare la maledizione
necessitava della doppelganger Petrova, di una donna uguale a Tatia, la
sua più cara amica. Niklaus non avrebbe mai potuto ucciderla.
Eppure il suo sorriso beffardo dimostrava l’esatto contrario.
V’era una certa malizia nel suo sguardo che le fece correre un
brivido al basso ventre e le sue belle labbra tentatrici si allargarono
in un sorriso inquietante. Si fece ancora più vicino,
inchiodandola del tutto alla parete. La sua mente le stava ordinando di
scansare quella presa inadeguata e sbagliata, ma il suo corpo faceva il
contrario perché agognava Niklaus tanto quanto bramava il sangue
per vivere.
« È splendido essere liberi,» sussurrò
sensuale, come per ricordarle che lei non era da molto tempo, se mai lo
era stata. Astrid e le sue ferree regole da signora dell’alta
società. Astrid e il suo controllo. Se Elijah era virtuoso, Finn
compassionevole, Niklaus passionale, Rebekah spontanea e legata alla
famiglia, Kol rivoluzionario, Astrid era sempre stata quella più
controllata alle volte, sino a risultare quasi impostata. Non
s’era mai lasciata andare ai propri istinti, non era mai venuta
meno alle aspettative di suo padre e, soprattutto, non aveva mai agito
d’impulso. Solo con Niklaus s’era lasciata andare e non
avrebbe mai più compiuto quell’errore, anche a scapito
della propria libertà. Non se ne faceva poi molto, «
L’hai mai provato, sorella?» soffiò accostando le
labbra al suo orecchio, inspirando il dolce profumo di rose dei suoi
morbidi capelli castani. Astrid si sentì come svenire e
pregò che qualcuno lo fermasse. E così avvenne.
« Non ci offri neanche un bicchiere di vino, Nik?» esclamò Kol
riportandoli entrambi alla realtà. Nik inspirò per
l’ultima volta, beandosi di quel leggero contatto, poi si
allontanò a velocità fulminea. Rivolse un sorriso ai suoi
fratelli, poi allargò gentilmente la mano destra mostrando loro
la tavola su cui v’era una brocca di cristallo contenente
dell’ottimo vino rosso. Avrebbe detto cognac. Lei, intanto, si
rassettò la veste e osservò sua sorella. Rebekah di certo
non avrebbe bevuto. Osservò le scene nei minuti successivi, vide
i suoi fratelli bere del vino, che somigliava tanto a quello che
avevano ingerito la notte di mille anni prima in cui il loro stesso
padre aveva trapassato i loro cuori con la sua spada. Poi Elijah si
mosse, affermando che loro, e soltanto loro, senza Niklaus, sarebbero
stati una famiglia. Era arrivato il momento di scegliere. Niklaus o i
suoi fratelli? Camminò adagio e si fermò al fianco di
Kol. Era quella la scelta e lo sarebbe stato per sempre e oltre. Uniti
come una persona sola. Seppur il suo cuore morisse dinanzi alle lacrime
di rabbia e dolore di Niklaus. Tradimento, delusione, era questo che
leggeva nel suo sguardo, ma non avrebbe mai fatto un passo in avanti
per raggiungerlo. Non più. Non dopo che l’aveva pugnalata.
Sarebbe rimasto solo, per sempre e Rebekah avrebbe ucciso la
doppelganger. Quasi trasalì. Non era quello che voleva. Avrebbe
tanto desiderato che Niklaus fosse felice. Soffocò quelle
sensazioni, l’amore e persino se stessa per mettere a tacere la
propria coscienza. Niklaus non meritava più nulla. Poi un suono
squassò quella notte di tradimenti. Si volsero tutti insieme.
Astrid trattenne il fiato per ciò che vide. Imponente,
bellissima, invincibile. La sua matrigna era appena tornata. E
dietro di lei v’era una presenza ancora più sconvolgente.
Incrociò gli occhi glaciali dell’uomo che era stato
insieme suo padre e il suo carnefice. Mikael posò lo sguardo su
di lei, poi le sorrise. Di quel sorriso dolce, amorevole che le aveva
riservato il giorno del suo matrimonio. E Astrid, come quella dannata
mattina, pensò che fosse totalmente falso. Ora sì che era
un affare familiare.
Angolo autrice
Salve
a tutte. Sono nuova sul sito e questa è la mia prima storia,
incentrata sui personaggi che adoro di più al mondo: gli
Originali. Siamo ancora all’inizio, ma posso anticiparvi che
saranno loro gli assoluti protagonisti in una FF di intrighi,
tradimenti e sotterfugi attuati dalla famiglia di vampiri più
antica del mondo. Spero vorrete seguire la storia e lasciare un
commento se vi va. A me farebbe piacere. Un bacio e alla prossima,
lady_talia.
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Capitolo 2 *** The end of the affair ***
kol
Capitolo 2
The end of an affair
Coro:
Molte
cose in Olimpo sollecita
il Croníde; e i Celesti deludono
ben sovente ogni attesa. Molte opere
imperfette restaron, che al termine
parean giunte: parea che niun esito
altre avessero; e un Dio schiuse un tramite.*
L’opera era
appena terminata in un fruscio di applausi sinceri. Gli attori sul palcoscenico
del Her Majesty’s Theatre si inchinarono all’unisono dinanzi al loro pubblico
molto florido per la seconda della Medea euripidea e sorrisero tutti,
soprattutto i due protagonisti. Un altro spettacolo perfetto. Un uomo in
platea, che prima era accomodato in una loggia privata, dai folti capelli
biondi e gli occhi di un azzurro così intenso da far distogliere lo sguardo,
come accecati da cotanta beltà racchiusa in un unico individuo, fu l’unico a
non applaudire. Osservò, scrutò con tanta di quell’attenzione la protagonista,
una giovane donna dai lunghi capelli castani come il mogano. Sembrava
soddisfatta, la sua Astrid. Era un’attrice eccelsa, nonché di ottima presenza,
e aveva sentito spesso domandare da due signore accanto al suo spazio
solitario, la cagione per la quale non aveva ancora trovato marito.
Vociferavano dell’altro protagonista, Giasone, in realtà Gerard Moore.
Affermavano che aveva domandato la sua mano molte volte, ma Miss Astrid Martin
non aveva mai accettato di convolare a nozze. Niklaus la conosceva bene,
invece, quella presa di posizione. Astrid era sua, e di nessun altro. Era
sempre stato così. La breve parentesi di Alexander non era nulla. Si alzò
quando le attrici si incamminarono verso le proprie sale per cambiarsi d’abito
e, prima degli altri, uscì dal teatro nel quartiere Haymarket, un po’ degradato
in quel periodo, dovette ammettere. La dolce brezza settembrina gli fece ondeggiare
le belle vesti da signore dell’alta società. Un frac candido dai bottoni d’oro
con sopra una giubba a due falde blu oltremare e sotto dei pantaloni color
crema. Terminava il tutto un paio di stivali bianchi. Per le strade non v’era
quasi nessuno, giovani coppie di sposi che ritornavano alle proprie abitazioni
vittoriane, oppure lavoratori che passavano per la City of Westminster. Avrebbe
volentieri visitato l’abbazia dov’erano sepolti i personaggi più illustri del
passato inglese, ma ingannò l’attesa in altri modi più piacevoli. Si spostò in
vicolo alla sinistra del palazzo adibito a teatro e lì attese che gli attori
uscissero. Che lei uscisse. Astrid, la sua piccola, dolce e ingenua Astrid.
Così dannatamente frenata e controllata. Niklaus odiava quando lei ed Elijah si
comportavano in quel modo così distaccato e aristocraticamente virtuoso. Però
sul palco Astrid si animava. La sua Medea era straordinaria. V’era tanto di
quel sentimento intrinseco che aveva toccato picchi estremi quella sera. In
fondo non si aspettava altro da lei. Era così anche da umana e lui lo
rammentava molto bene. Un sorriso malizioso si delineò sulle sue labbra rosse
nel ricordare tutti i loro momenti insieme.
« Miss Astrid,
volete che vi accompagni a casa? Non è saggio passeggiare per codeste vie a
quest’ora della notte,» esclamò una voce maschile, quella del suo pretendente.
Lo osservò bene. Era un
uomo alto, magro, vestito semplicemente, ma con cura dei particolari. Aveva
ricci capelli neri rigonfi ai lati del viso, un volto lievemente allungato con
la mascella squadrata e gli occhi verdi e furbi.
« Non
preoccupatevi, Mister Gerard. Il vostro Giasone è stato eccezionale, debbo
farvi i complimenti,» ribatté gentilmente indossando i suoi guanti bianchi
prima di spostare le mani per distendere le pieghe sulla sua gonna azzurrina
che, con quell’assenza di luce, era di un blu molto scuro.
« A sminuirmi fu
la vostra Medea.» Niklaus quasi sbuffò per quella modestia calcolata. Tutto in
quell’uomo sembrava esprimere falsità, dal modo in cui osservava il suo
orologio da taschino al sorriso colmo d’aspettativa sulle sue labbra esangui. E
Astrid avrebbe dovuto sposare quell’uomo secondo quelle comare? Era quella gelosia? Sì, o forse era
soltanto possessione. Perché non poteva certamente essere la gelosia di un
innamorato. Amore, non poteva provarlo, era una debolezza, il tallone d’Achille
per ogni vampiro, soprattutto per un Originale e lui non poteva permettersi
d’essere debole. Non se doveva fuggire da Mikael. Non si affezionava mai alla propria
casa né si curava di intrattenere rapporti con gli abitanti del luogo perché
sapeva che, se Mikael li avesse scovati, sarebbero stati costretti a fuggire.
Ancora una volta, « Quanta passione nei vostri gesti, milady. Interpreterete
anche l’Elena il mese prossimo?» le domandò delicatamente. Forse riteneva di
poter essere il suo Paride. Se non fosse stato tanto vicino ad Astrid, avrebbe
sicuramente riso di gusto, come stava facendo internamente. Niklaus era il suo
Paride e Astrid era la sua Elena, Alexander il Menelao di quel poema che li
accompagnava da più di ottocento anni.
« Lo spero,»
mentì. Riconosceva benissimo le sue bugie. Quello di Elena di Troia sarebbe
stato l’unico dramma che non avrebbe mai voluto rappresentare sulla scena, « Vi
auguro un buon riposo,» mormorò dolcemente prima di chinarsi in un leggera riverenza.
Gerard le baciò il dorso della mano destra poi la lasciò andare. Astrid
camminava velocemente in quel quartiere che per una donna dabbene sarebbe
dovuto essere da evitare a quell’ora di notte e Niklaus la seguiva altrettanto celermente.
Era cominciato il suo gioco. Si domandò quanto tempo avrebbe impiegato per
accorgersi della sua presenza in una lunga e ampia strada. Si bloccò e posò le
mani sui fianchi, ridendo appena, ma non volgendosi verso di lui, « Sapete che
non è nobile e virtuoso osservare una giovane donna con tanta indiscrezione?»
domandò retoricamente. Sembrava una madre che ammoniva il proprio figlio per
una marachella. Niklaus rise, finalmente esternando tutto ciò che avrebbe
bramato fare per tutta la sera. Astrid sobbalzò, riconoscendo in lui quello del
suo Nik. No, si ordinò malamente, maledicendosi e disprezzandosi. Non era il
suo Nik, almeno non in quel senso, « Quel riso,» rammentò sovrappensiero. Il
modo di ridere di Nik era inconfondibile e non ebbe bisogno nemmeno di voltarsi
per accertarsi della sua identità, « Niklaus,» mormorò solamente,
accogliendolo. Pronunciò il suo nome con voce asciutta, priva di qualunque
alterazione e Nik smise di ridere. Lo sentì scattare e subito dopo fu alle sue
spalle.
« Astrid,»
sussurrò nel suo orecchio, poggiando le mani sulle sue ancora premute sui
fianchi, accostando il loro volti, lasciando che le loro gote si sfiorassero.
Il suo respiro sul collo, il suo petto attaccato alla sua schiena. Tutto ciò
che era più proibito, sempre. Era quello che agognava Niklaus e cosa vi era di
più proibito di lei? Di quella donna che non mostrava mai le proprie emozioni,
che tentava di soffocarle all’interno di se stessa, ma che, se stuzzicata a
dovere, mostrava un carattere e una passionalità che poche donne possedevano? E
Niklaus amava stuzzicarla in tutti i modi che conosceva, e, poteva assicurarlo,
erano molteplici. Le generò un batticuore che non riuscì a evitare. Il petto
che si alzava e si abbassava ritmicamente, aiutato dal corpetto stretto che le
sollevava il seno florido. Si ritrovò alla sua più completa mercé. Di nuovo. Le
mani affusolate di Astrid sciolsero la presa e discesero lungo i fianchi, accarezzando
la gonna ampia e quelle di Nik si fermarono per poi salire lungo il bustino,
carezzandola in quel modo che la faceva impazzire. No. Si scansò, sciogliendo
la presa e avanzando di altri tre passi, come per dilatare la distanza tra di
loro.
« Cosa vuoi,
fratello?» sussurrò con gli occhi azzurri dilatati e assottigliati, il fiato
corto e la voce arrochita dalla passione. Disonesto, meschino, perfido. Come il
suo dannato sorriso da seduttore implacabile, così bello, avvenente,
disarmante. Retrocesse ancora. Le emozioni era troppo forti, i suoi occhi
troppo luminosi, fanali in quella notte buia, i suoi splendidi occhi, quei mari sicuri in cui aveva s’era
rifugiata mille volte, quei cieli tersi che aveva amato osservare durante i
momenti di sconforto.
« Perché
retrocedi dinanzi a me? Prima sembravi cotanto beffarda e implacabile,» avanzò
verso di lei, languidamente. Questa volta Astrid rimase al suo posto, indossando
nuovamente la sua maschera di implacabile freddezza, e sorrise accattivante,
tanto da indurre Niklaus a fermarsi. Era stupito. In quei secoli aveva affinato
tutto così bene che le risultava ormai naturale fingere che non le importasse
nulla di lui.
« Rebekah ti ha
abbandonato e bramavi una compagna di giochi?» gli domandò come se non le importasse nulla né di lui né
di quello che avevano vissuto nei momenti precedenti. Era un’attrice così
brava. Lei stessa si stupiva di come riuscisse a fingere cotanto bene alle
volte. Anche da bambina si comportava a quel modo, lo rimembrava bene. Quante
volte aveva mancato di rispetto a sua madre e s’era rifugiata tra le braccia di
Esther? Quante volte aveva fatto finta che non le importasse se i suoi genitori
non erano uniti, se suo padre era innamorato di un’altra donna? Quante volte
aveva messo a tacere la propria anima quando guardava i suoi fratellastri con i
loro genitori uniti? Soltanto Niklaus riusciva a comprenderla, a rispettarla, a
guarirla, ad amarla.
« Non si tratta
di Bekah,» affermò riportandola al proprio presente. Niklaus, il figlio
bastardo di Esther e lei, Astrid, la figlia bastarda di Mikael. Era davvero
così ironico il Destino alle volte. Niklaus stava parlando con sentimento e
nelle sue iridi chiare era evidente il desiderio di sfiorarle le mani giunte
dinanzi al ventre, intrecciate come in preghiera. Una preghiera al Signore per
farlo allontanare da sé. Che sciocchezza. Non era mai stata cristiana, suo
padre era vichingo e sua madre era un’indigena americana. I suoi dei erano ben
differenti rispetto a quello cristiano, « Si tratta di me. Mi mancavi,»
continuò più accorato, con la voce bassa, roca, quasi sommessa come se stesse
parlando dinanzi a una fanciulla. Alla sua amata, dolce fanciulla che tentava
di chiudere ogni porta del suo cuore.
« Fingerò di
crederti, Niklaus,» commentò solamente, alzando le spalle, prima di cominciare ad avanzare verso casa sua.
« Ora sono
soltanto Klaus,» le
comunicò senza alcuna inclinazione nella voce. Sarebbe potuto essere Klaus per
i suoi tirapiedi e per i vampiri della sua corte, non certo per lei.
« Per me sarai
sempre Niklaus,» affermò veritiera per la prima volta, in quello scambio di
battute. Era il suo Niklaus. Minn dýrr ulfr*.
E quello, purtroppo per lei, non sarebbe mai potuto cambiare. Nik non
sembrò essere offeso, anzi era lusingato. Significava che non s’era dimenticata
nulla del loro legame straordinario e perdurò a passeggiare al proprio fianco,
con le mani giunte dietro la schiena, nella posa di un gran signore.
« Dove stiamo
andando?»
« A casa mia.
Non si dica che abbia perduto le mie buone maniere nell’accogliere un ospite.»
« L’apparenza è
sempre la sovrana del tuo cuore, mia cara?» le chiese leggero, perdurando a
osservarla come se fosse stata la gemma più preziosa e introvabile al mondo. O
forse nell’intero universo.
« Almeno il mio
è ancora dentro di me,» ribatté, schernendolo, ricordandogli ciò che aveva
compiuto ai danni della povera, ma non tanto ingenua, Esther. La maledizione,
quella sì che era stata un’abile trovata della strega, ma avrebbe dovuto sapere
che Niklaus non sarebbe rimasto inerte dinanzi al proprio Destino. Lo scrutò,
inspirando ampliamente. Non l’aveva spezzata. La doppelganger tardava a
nascere. Tatia, la sua cara amica, che Destino orribile il suo. Uccisa dalla
madre dei suoi due spasimanti per un rituale magico e antico. Niklaus comprese
l’allusione ben poco velata e scosse il capo, ridendo appena. Era certa che una
parte di lui, quella umana, fosse pentita, oltremodo pentita per ciò che aveva
compiuto, ma il vampiro, il mostro dentro di lui, ormai lo governava del tutto.
Non provava più nulla, se non un perverso piacere nell’osservarla. E ciò che
vedeva doveva essere di suo gradimento a giudicar dall’espressione impressa nei
suoi bei lineamenti.
« Questa è
cattiveria, Astrid,» mormorò malizioso. Anche lei poteva essere perfida, poteva
essere qualunque persona, era quello il bello di essere un ente dannato e
costretto a vivere in eterno. Una nobildonna, una principessa, una sguattera,
una dama di compagnia, persino una donna di facili costumi o una piratessa. Era
stata tutte quelle donne e probabilmente nei secoli avvenire avrebbe vissuto
mille altre vite. L’importante era rimanere se stessi, sempre e comunque, e lei
lo era. La reazione che le aveva causato Niklaus lo dimostrava ampliamente.
Passeggiarono ancora per pochi minuti prima di ritrovarsi dinanzi a una bella
villa vittoriana, a tre piani, dalla facciata color rosso scarlatto e le
cornici delle finestre bianche. Era una bella abitazione, curata al punto
giusto, né troppo sfarzosa né troppo umile, ben amalgamata con le altre del
quartiere. Bussò due volte al portone e attese, distendendo le pieghe della
gonna. Percepì dei movimenti all’interno, i passi della sua governante, poi il
portone di mogano si aprì. La donna, sulla ventina, aveva lunghi capelli biondi
come il platino, quasi bianchi, acconciati in una crocchia elegante e gli occhi
verdi come smeraldi, furbi e scaltri. Era molto bella. Il suo volto era ovale,
bianco, come quello di una bambola di porcellana giapponese, la sua corporatura
magra, alta quanto bastava e slanciata. Era una bellissima, giovane donna con
un carattere abbastanza esuberante e molte volte Astrid s’era ritrovata ad
ammonirla. Come avrebbe bramato fare in quel momento stesso.
« Charlotte,» si annunciò mentre la ragazza guardava con
insistenza l’uomo, il suo Nik. Era forse gelosia? No, certo che no, si rispose
subito. Charlotte era soltanto una ragazzina, sebbene stesse osservando Niklaus
con lo stesso sguardo di una donna matura e colma di passionalità. Subito lei
scostò lo sguardo per riportarlo alla sua signora.
« Mia signora.
Siete tornata,» aggiunse dolcemente, come una sorella minore che si rivolgeva
alla maggiore per trovare una guida, prima di scostarsi e lasciarli entrare in
casa. Notò che le candele nel corridoio e nella camera da pranzo erano ancora
tutte fiammeggianti, segno che la donna non si era ancora ritirata nelle
proprie stanze, ma la stava attendendo. Era per quello che non l’aveva
cacciata, nonostante il suo carattere alle volte troppo petulante e
insopportabile. Charlotte le voleva bene, s’era affezionata a lei. Non era più
abituata ad avere una sorella minore con sé e quella ragazza le ricordava
terribilmente la sua piccola e dolce Bekah. Rebekah che aveva scelto lui,
Niklaus, anche a scapito di lei ed Elijah, l’unica a non averlo mai
abbandonato. Sua sorella sarebbe morta pur di lasciare Nik e Astrid l’avrebbe
ringraziata mille volte per quell’affetto. Perché Niklaus, in fondo, meritava
di avere qualcuno al suo fianco che non avrebbe mai tradito la sua fiducia.
Come, invece, aveva fatto lei, tanti secoli orsono. Charlotte continuò a
guardare il Lord, a giudicar dall’abbigliamento e dalla postura, al fianco
della sua signora senza poter evitare. Era altamente sconveniente per una
fanciulla osservare con cotanto interesse un uomo, ma era di un’avvenenza talmente
sfolgorante. E poi che male avrebbe potuto fare guardarlo un po’? Di certo non
si sarebbe rovinato.
« Lord Niklaus è
mio fratello, Charlotte. Come tu ben sai, non ho l’abitudine di portare uomini
in casa mia e, soprattutto, nelle mie stanze. Ora rientra nelle tue,» le ordinò con poco
sentimento. La ragazza annuì, si inchinò e poi li lasciò soli, incominciando a
salire la semplice scalinata di legno massello rifinita da alcuni orpelli
dorati alla fine del corrimano. Era un’abitazione molto semplice, notò Niklaus.
Nel pieno gusto di Astrid. Pochi mobili, ma molti vasi colmi di fiori. Rose
bianche e gigli candidi, quelli che lei amava tanto. Uno, però, attirò la
propria attenzione. Quelle erano lunarie, floridi fiori viola contenuti in un
vaso blu notte sicuramente acquistato a Venezia, scorte le rifiniture in vetro
soffiato. Erano gli stessi fiori che aveva tra i capelli quando s’erano baciati
la prima volta. Scosse il capo, una volta sola, perentorio. Non poteva
permettere alla sua umanità di sopraffarlo.
« Carina e molto
indiscreta,» Potrei serrarle le labbra,» alluse malizioso, seguendola
nell’ampia sala da pranzo arredata con uno stile ancora più semplice e sobrio.
Un lungo tavolo ovale di mogano con delle sedie, a primo sguardo almeno una
ventina, dall’imbottitura bianca, un camino dinanzi a loro e tre finestre che
percorrevano la grande stanza sulla parte destra, coperta da pesanti tende
rosso scuro. Sul tavolo v’era soltanto un centrino con sopra un candelabro,
l’unico elemento che dava luce.
« In quale modo?»
volle informarsi la bella vampira che ora gli dava le spalle, essendo avanzata
verso una delle sedie centrali. La scostò dolcemente dal tavolo e si accomodò.
Era proprio vicino al fuoco. Avrebbe potuto sfiorare la fiamma e scottarsi.
Niklaus avanzò, languidamente, il suo volto era in ombra e questo, lo sapeva
bene, lo rendeva ancora più sensuale agli occhi color degli zaffiri della sua
bella Astrid.
« Sai bene che
una donna non esiste solo come cibo, ma anche per il piacere,» soffiò a un millimetro
dal suo viso bellissimo e dolce, come quello di una bambina. Nei suoi occhi
v’era sempre quella sfumatura di innocenza che non l’aveva mai abbandonata. Lei
non era un’efferata e fredda assassina. Infatti Niklaus credeva, e a ragione,
che non avesse mai ucciso nessuno in più di ottocento anni. Il suo cuore era
puro. Così dissimile dal proprio. Acqua e fuoco, luce e tenebre, bene e male.
Eterna lotta di opposti che poi tornavano sempre, indissolubilmente e senza
alcuna possibilità di mutamento, insieme. Perché si appartenevano. Nelle
tenebre vi era sempre uno spiraglio di luce, il bene conviveva col male,
l’acqua e il fuoco avevano la stessa radice. Ma Astrid sembrava voler andare
contro natura, non accettare più il suo fuoco che bruciava, che feriva, che
annientava. Era sempre stato così. Niklaus non era mai stato delicato, non era
dolce né puro. Niklaus era peccato, forza dirompente, oscurità più nera. E
questo nemmeno lei era riuscita a cambiarlo. Si allontanò, poi spostò la sedia
accanto alla sua e si lasciò cadere. Sembrava stanco, sì. Perché quei pensieri
lo stavano divorando, « Vivi in questa grande villa tutta sola?»
« Elijah viene a
trovarmi, qualche volta,» gli rispose animandosi di dolcezza nel parlare del
fratello a cui stava dando la caccia. Astrid ed Elijah, Niklaus e Rebekah.
Potevano essere i loro rapporti insieme così uguali e differenti? « Kol è con
te?» V’era un forte interesse. Kol era il suo fratellino e Astrid lo proteggeva
sempre, nonostante non si fossero incontrati per più di cinquant’anni.
« Quando
rammenta d’avere dei fratelli,» commentò solamente. Ormai non lo vedeva da più
di un anno. Gli aveva detto, prima di partire, che sarebbe stato in Austria, a
Vienna, per cercare informazioni su Emily, una strega potentissima a cui voleva
domandare di ritrovare Ginevra, ma di lui non aveva più notizie da alcuni mesi.
Probabilmente voleva rimanere solo, non controllato da lui.
« Come sta
Rebekah?»
«
Splendidamente. Ci troviamo in Italia adesso. L’adora. V’è un bel clima, mite
in questa stagione. Dovresti venire con me,» mormorò quasi soprapensiero, con
leggerezza calcolata, ma ben marcata su quel
dovresti. Astrid non avrebbe dovuto, lei doveva. Non aveva altre
alternative. Aveva capito il suo gioco, l’aveva smascherata. L’attrice era stata
scoperta per la dolce e sola fanciulla che era.
« Adoro la mia
Londra, e tu lo sai bene,» ribatté docilmente, sorridendo, ricordando che
l’amava anche lui, e molto anche. Londra era stata la sua casa, la sua felicità
e in quei secoli non era cambiata di molto. Londra era magica, non era una
città, era un regno. Chi si recava la prima volta a Londra, tornava sempre. Una
seconda, una terza, una quarta volta. Non si terminava mai di scoprirla.
V’erano sempre nuove strade, nuovi odori, sapori, profumi da rivelare. Sarebbe
rimasto lì, come nel ‘500, con lei, con la sua Astrid, ma Rebekah adorava tanto
l’Italia, quella che ormai considerava la sua Firenze, piena di lustro e
magnificenza, almeno quella che non era attraversata dalla guerra
d’Indipendenza dall’Austria.
« Manchi molto a
nostra sorella,» insistette in un iniziale accenno di rabbia. Se Astrid era
forte, risoluta e scaltra, ebbene lui sarebbe stato più potente, tanto da
salvarla dalla sua stessa testardaggine.
« Davvero?
Allora sarebbe dovuta venir lei a casa mia, non tu,» ribatté scaltra con voce
sommessa, come quella di una donna che parlava al proprio marito di futilità
alla fine della giornata. Astrid era così dannatamente irritante alle volte.
Quando non lo ascoltava e non gli obbediva, soprattutto. Lui era l’unico a
sapere quale fosse il meglio per lei, ma Astrid si ostinava a mandarlo via per
quel suo dannato senso dell’onore. Perché, anche se non avevano alcun legame di
parentela, avevano pur sempre gli stessi fratelli e avevano vissuto sotto lo
stesso tetto per anni. Non era giusto, ma Niklaus non aveva mai agito che
secondo la propria giustizia. E la propria giustizia era lei. Anche se si
ostinava ad allontanarlo da sé, lui ci sarebbe sempre stato. Un’ombra, un
ricordo, una sfumatura, un dettaglio. Perché una parte di lui era all’interno
di Astrid. La sua umanità era di Astrid.
« Perché sei
così scontrosa con me, Astrid?» quasi sbraitò, dando un pugno contro la
superficie di legno del tavolo generando un forte tintinnio nel candelabro
d’oro. La sua impulsività, la ricordava così bene. Era stata quella stilla di
umanità ad averla ammaliata anche nei primi anni del ‘600 quando s’erano
incontrati in Normandia. Lo guardò davvero, finalmente, e notò che era quasi
pentito di aver mostrato tutto ciò che aveva all’interno di sé. Perché lui
doveva essere un muro, una rocca inespugnabile, ma v’era una cuffia all’interno
della cinta delle sue mura che poteva essere allargata sempre di più sino a
demolirle del tutto.
« Perché non so
cosa tu voglia da me,» gli rispose semplicemente, carezzando il centrino di
pizzo come avrebbe voluto fare con la sua guancia glabra e pallida, in ombra
con quella luce soffusa che lo rendeva così avvenente. Niklaus rifuggì il suo
sguardo e lo scostò su tutta la lunghezza del suo braccio sino ad arrivare alla
mano che ancora carezzava il tessuto. Sciolse il pugno e posò il palmo sul suo
dorso. Poi tornò a guardarla. La sua pelle era talmente calda, anche se era
morto, anche se era un vampiro. La sua pelle era avvolgente quanto la sua
anima. E Astrid aveva sempre bramato entrambe.
« Voglio che
venga con me,» le confessò appassionato, sporgendosi verso di lei, osservandola
con quei suoi grandi occhi cerulei che la incantavano sempre. Come si poteva
dir di no dinanzi a quello sguardo così profondo?
« No,» negò,
ricorrendo a tutta la sua forza d’animo. Lei non poteva, semplicemente non
poteva, andare con lui. Quanto tempo avrebbe impiegato prima di cadere
nuovamente nell’antico errore? Troppo poco, e a entrambi era ben noto quel non
tanto piccolo particolare. Ma Astrid non voleva più compiere errori, desiderava
soltanto vivere in pace sino a quando la morte non sarebbe sopraggiunta. La
morte che aveva le sembianze di un angelo decaduto dagli occhi azzurri. Nik la
guardò irato soltanto per un attimo prima di aprirsi in una grande risata, di
gusto, alta, profonda, la sua consueta, « Perché ridi? Ti prendi gioco di me?
Come osi?» gli domandò velocemente, indispettita. Come osava? Era forse
impazzito? Nessuno le aveva mai riso in faccia e certamente Niklaus non si
poteva prendere quella libertà. Non con lei. Nel notare tutta
quell’irritazione, a fatica, Nik smise, ma sul volto ancora giovane permase un
sorriso sensuale e accattivante. Quello di un predatore che aveva scovato la
preda perfetta.
« Pensi non sappia cosa stai facendo, Astrid?» le domandò
irritato, come se pensasse che la sua intelligenza potesse essere intaccata da
quella mancanza. Niklaus doveva aver compreso subito i suoi desideri, « Dov’è
Mikael adesso?»
« Non ne ho idea
e non m’importa,» affermò semplicemente. Era vero. Non le importava più di
nulla. Se suo padre voleva la sua vita, che se la prendesse pure. Non
gliel’avrebbe negata. Era così stanca di quella farsa. Un predatore, il
migliore tra tutti, più potente persino dei licantropi e delle streghe, un
Originale che non sapeva neanche mostrare la propria vera natura? Era patetica
e certe volte detestava se stessa. Non aveva mai ucciso, neanche quando il
desiderio era così forte da dilaniarle il cuore. S’era sempre nutrita con
moderazione, alcune volte anche di animali pur di non ferire gli umani e aveva
così trovato il proprio equilibrio.
« Ecco. Lui è in
Scozia, a Glasgow,» le comunicò come se pensasse di intimorirla al punto da
farla fuggire. Per aver salva la vita. No, avrebbe atteso suo padre che,
misericordioso, l’avrebbe sollevata dalle proprie sofferenze perpetue.
« Allora? Non
capisco,» fece finta di nulla, alzando di poco le spalle. Non aveva alcuna
rilevanza quell’informazione. Però non capiva perché Niklaus aveva corso quel
rischio. In fondo Glasgow non era molto lontana da Londra, almeno non tanto
quanto l’Italia da cui si era allontanato. Allora non era così imperturbabile,
gelido e privo di sentimenti. Almeno non per quanto concerneva lei. Non sapeva
se esserne lusingata o semplicemente stupita.
« Il problema
è che tu non lo sapevi. Ci vuole morti, Astrid, e ne sei ampliamente
consapevole. Stai andando nella tana del leone,» insistette, chiarendole quel
messaggio nella mente, sporgendosi verso di lei, a qualche centimetro dalle sue
belle labbra piene che non avevano bisogno di alcun belletto. Sembrava così
arrabbiato con lei, per la prima volta, « Quanto tempo ci vorrà prima che
arrivi a Londra? Una settimana? Un mese? Un anno? Sei un’attrice. Bravissima, tra
l’altro.»
« Lo siamo tutti
in famiglia, no?» lo interruppe, issandosi in piedi. Non poteva più essergli
così vicina. Avrebbe rischiato di mutare la sua decisione e non poteva permetterselo.
Chi era Niklaus per imporle di continuare a vivere una vita che non poteva
essere considerata tale? Forse l’amore che aveva tanto allontanato da sé?
Sciocca coscienza, ricordi traditori, soffocante umanità. Perché doveva essere
tutto così difficile per lei? Gli volse le spalle e avanzò verso un quadro che torreggiava
il lato sinistro della sala. Ritraeva un uomo a cavallo. Un cavallo bianco,
imponente, un Purosangue come Geir. Persino quel povero animale non aveva
ricevuto alcun tipo di pietà. Mikael gli aveva tagliato la testa dinanzi a
Niklaus che, inerme, non aveva saputo opporsi a quell’ennesima crudeltà.
« Sei una
persona rispettabile, una nobildonna. Hai persino un pittore personale,»
continuò come se non avesse udito la sua interruzione. Era vero. Erano tutti
dei grandi attori i suoi fratelli, per non parlare di Mikael ed Esther, e anche
di sua madre.
« Questa è la
mia vita,» commentò semplicemente, stringendosi le braccia come per proteggersi
da se stessa. Perdurò nell’osservare la tela. L’aveva pagata moltissimo, sì, ma
ne era valsa la pena. Quell’uomo, fiero, prestante, stretto in un’armatura
medievale, assomigliava moltissimo a Niklaus. Era come avere un ricordo di lui
sempre presente in quella casa, come le lunarie che faceva cogliere ogni
giorno.
« Non è vero,»
esclamò scattando in piedi, « Questa è la tua rovina, Astrid,» la corresse
mentre avanzava velocemente verso di lei. Quasi chiuse gli occhi nel sentirlo
sempre più vicino, ma non si voltò, « Voglio salvarti,» mormorò abbracciandola
da dietro, posando il capo stanco sulla sua spalla. Sembravano una coppia di
sposi. Chinò il capo, celando una lacrima argentea che le stava rigando la
guancia. Nik la strinse più forte, circondandola e proteggendola e Astrid non poté
non sentirsi al sicuro. Come sempre. Sospirò lievemente.
« Pensa a
salvare te stesso, Niklaus,» mormorò con la voce sommessa e soffocata dai
propri sentimenti che rischiavano di arginare il suo controllo. In un attimo
Niklaus la fece voltare, facendo scontrare i propri visi, nei suoi occhi una
richiesta disperata.
« Salvami,» la
pregò appassionato, facendola aderire alla parete, sfiorandole i fianchi con un
braccio mentre l’altra mano le stava accarezzando la gota abbronzata. Le sue
labbra che si avvicinavano sempre di più. Prima che la baciasse del tutto,
volse il viso verso sinistra e il bacio finì sulla sua gota, al centro di essa.
« Sei
impazzito,» decretò, prima di strattonarlo per scostarlo da sé del tutto.
Niklaus non glielo impedì, anzi sorrise, come se tutta quella finta alterigia
lo divertisse. Non sapeva quale forza la stesse animando, ma non l’avrebbe mai
ringraziata abbastanza. Rifiutare Niklaus era un qualcosa che non aveva mai
sperimentato prima di quel momento e forse non avrebbe più avuto quel potere.
Se tutto fosse andato secondo i suoi piani, non le sarebbe servito.
« Non sarebbe la
prima volta,» ribatté caustico.
« Eravamo due
ragazzini. Non ho alcuna intenzione di recarmi in Italia con te né ora né mai,»
gli comunicò con decisione. Gli occhi di Nik si incupirono notevolmente,
sebbene il sorriso permanesse sulle sue labbra rosse. Niklaus parlava con gli
occhi, più che con parole vere e vivide. Si poteva leggere tutto all’interno di
quegli specchi di fondali marini. La paura di Mikael, l’apprensione per lei, la
collera che divampava nel suo animo, il dolce ricordo dei tempi passati.
« Da quanto non
ti nutri? » le domandò, cogliendola alla sprovvista, senza alcuna inclinazione
nella sua bella voce baritonale e con un fortissimo accento britannico.
« Da taluni
giorni,» rispose evasiva, rifuggendo al suo sguardo indagatore.
« Ti toglierai
anche l’anello diurno a mezzogiorno domani?» scherzò, sebbene fosse certa che
la furia stesse crescendo a dismisura, « Non ti permetterò di morire, Astrid.
Né per mano di Mikael né per mano tua,» affermò perentorio, ancora vicino a
lei, inchiodandola con quei suoi begli occhi.
« Non puoi
costringermi. Otto secoli. Fuggiamo da otto secoli. Sono stanca, Nik,» sussurrò
spaventata e piangente insieme, pregando che comprendesse quel desiderio.
Avrebbe volentieri trovato conforto tra le sue braccia, ma chi le avrebbe
assicurato che sarebbe riuscita a liberarsi? Non avrebbe mai lasciato che Nik
si allontanasse, anzi l’avrebbe stretto con più forza, trattenendolo a sé. E
avrebbero vissuto insieme, come una persona sola, per sempre e oltre.
« Non è una
buona ragione per morire, tesoro,» contestò dolcemente, per rassicurarla,
carezzandole dolcemente la guancia, pregandola con il suo sguardo di non
allontanarlo ancora. E Astrid non poté non accogliere quella richiesta, quella
supplica velata.
« Guardaci.
Siamo dei mostri, delle bestie con delle fattezze angeliche, ma pur sempre
fiere feroci. Ci nutriamo di poveri innocenti e godiamo nel rapir loro l’ultima
essenza di vita. Cosa vi è di più infernale? Dinanzi alla fame perdiamo ogni
controllo. Ci domina e l’ha sempre fatto. Non era questa la vita che avrei
desiderato. E nemmeno tu, Nik. Te ne prego, io ti imploro. Togli dal tuo viso
questa maschera di malignità. Tu non sei così,» affermò con autentico
sentimento. Avrebbe fatto un passo indietro se lui avesse accettato di
mostrarsi per ciò che era? Quella domanda aleggiava nella sala e viveva nella
mente di entrambi. Probabilmente, folle com’era in sua presenza, avrebbe
asserito.
« Astrid.»
Mormorò il suo nome con tanta di quella delicatezza da scaldarle il cuore. Era
così bello. Per un attimo pensò che fossero ritornati a essere due ragazzi
umani nel bosco che li aveva visti tante volte insieme negli anni della
fanciullezza. Le lunghe corse con gli altri ragazzi del villaggio, quelle che
terminavano sempre con la vittoria di Sam. Quante volte era caduta tra le
radici e Nik aveva abbandonato tutto, persino la competizione, per soccorrerla?
Innumerevoli, « Solo tu potresti rendermi una persona migliore. Non capisci?
Sei la mia più grande debolezza. Mi sono messo in viaggio, abbandonando un
porto sicuro rischiando d’esser a poche miglia dal mio più acerrimo nemico, per
te.» Quelle parole per lei valevano molto di più anche di una dichiarazione
d’amore eterno. Perché Nik non avrebbe mai rischiato d’esser scovato da Mikael
eppure per lei aveva corso quel pericolo assurdo. Pur di salvarla da se stessa,
pur di farle risalire quel baratro nero, pur di non lasciarla sola.
« Non ti ho mai
domandato nulla, Niklaus,» sussurrò sommessamente, posando la mano sulla sua
giubba, appena sotto la spalla destra, in una muta richiesta di lasciarla per
sempre. Era meglio così. Anche se le spezzava il cuore, anche se moriva al solo
pensiero di mandarlo via.
« Nemmeno io,
Astrid, ma ora debbo. È imperativo. Vieni con me.»
« No. Ti prego,
Nik. Lasciami la possibilità di scegliere del mio Destino,» mormorò, negli
occhi la supplica che le obbedisse per una volta sola. Una volta che le sarebbe
costata la vita stessa. Niklaus non avrebbe mai potuto permettere che ciò
accadesse.
« Perché mi
implori? Non ho un’anima che possa accogliere le tue richieste, mio tesoro,»
sussurrò sensuale prima di prendere qualcosa dalla giubba. Aveva già
programmato tutto. Tradimento, ammutinamento. Astrid avrebbe voluto urlarlo in
quel momento stesso, proprio come quando era nella compagnia delle Indie
orientali. Sempre il solito Niklaus. Era lui a condurre i giochi e, se non si
sottostava alle sue regole, si veniva annientati.
« Nik, no, non
farlo,» lo pregò guardando quel pugnale mortifero. Cosa aveva? Prima si sarebbe
lasciata uccidere da suo padre senza alcun rimorso o rimpianto e ora non voleva
che Nik le trapassasse il cuore con quel pugnale che serviva soltanto ad
addormentarla? Perché Nik non era Mikael. Non avrebbe mai sopportato che il suo
Nik la uccidesse, anche solo temporaneamente, perché avevano vissuto tanti di
quei momenti insieme da risultarle impossibile anche solo pensare che riuscisse
davvero a farle del male.
« Ti porterò con
me. Che tu lo voglia o no,» affermò malevolo, perfido, mefistofelico prima
pugnalarla. Nik si allontanò e la guardò nella propria interezza. Del sangue le
stava macchiando il corsetto e il pugnale era un così orribile ornamento su
quel corpo che tanto aveva bramato. Perché l’aveva costretto ad arrivare a quel
punto? Non poteva semplicemente essere al suo fianco? Le vene si gonfiarono e
la sua carnagione divenne grigiastra, poi cadde a terra, producendo un tonfo
sordo. Come una bambola spezzata. La sua Astrid, la sua piccola e dolce Astrid.
Una lacrima gli rigò il volto, ma l’asciugò subito, prima di sorridere e
chinarsi su di lei. Le carezzò la guancia fredda, come quella di un cadavere e
s’accorse che riusciva a desiderarla ancora, « Impossibile come tu riesca a
essere splendida anche da morta, amor mio.»
*Coro finale di
Medea, Euripide.
*Il mio caro
lupo.
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