Prologo
Prologo
Entro sbattendo la
porta.
Non lo faccio per colpa
della classica crisi di nervosismo, semplicemente non posso farne a meno.
Sono stanco, stufo,
assonnato, affamato.
Un panino a pranzo, lo
stress di tutte quelle ore a spostare pratiche impolverate, e adesso la porta lì
in fondo al corridoio si sta aprendo… no, aspettate, fatemi poggiare la
valigetta almeno…
Strilli acuti. – Papà!
–.
Ecco, come volevasi
dimostrare. Ma oh, scusate, non vi ho presentato la mia bellissima famiglia?
Quattro femminucce, un
maschietto. Sì, ci siamo proprio dati da fare.
Christina, detta Chris,
quattro anni. Annie, quattro anni. Gemelle, sì avete capito bene. Stessi
occhietti azzurri furbi, stessa capigliatura nera…
E stessa vivacità
incontenibile.
Jennifer, sette anni e
mezzo. Capelli rossi, occhi sorprendentemente scuri.
Non so perché.
E poi Jason, l’adorabile
Jason, tre anni. Ha gli occhi verdi, i miei stessi occhi.
E i capelli di sua
madre, con adorabili ciuffetti neri sparsi qua e là.
Li abbraccio tutti,
sollevandoli, facendoli vorticare nell’aria. Sono bellissimi, i miei adorabili
quattro bambini.
Quattro… o forse meglio
dire tre.
Tutti firmati Potter.
Sì, io, Harry Potter,
ormai “fascinoso” ventinovenne, dopo aver gloriosamente sconfitto Lord
Voldemort, ho sposato Ginny Weasley, mettendo su famiglia in pochi anni.
Quattro…
Uhm…
Poggio delicatamente per
terra Jason, che gattona verso una figuretta altra e slanciata, che ha gli occhi
di un verde acqua davvero sorprendente e i capelli neri e lisci.
Janet Potter,
undicenne.
Si avvicina
mordicchiandosi le unghie, con lo sguardo perso nel vuoto. – Ciao pà – mormora,
e mi porge la guancia. Gliela bacio.
Poi, quando si separa e prende in braccio
Jason, le domando: – E mamma? –.
Alza le spalle, quasi noncurante. – Ha preso
la posta, cucinato per te e poi si è chiusa in camera. Ha detto di andare da
lei, quando arrivavi. –
– Va bene – mormoro – bambini, andate a
giocare. Io devo parlare con mamma. –
– E poi giochiamo a ‘dindalò’? – chiede
speranzosa Jennifer.
– Tu sei troppo grande, però d’accordo –
sorrido.
– Sì! – strillano, contenti, poi spariscono,
seduta stante.
Sospiro sorridendo, e mi avvio per il
corridoio.
L’ultima porta dà sulla camera da letto,
dalla quale sono sbucati i miei bambini, e nella quale sono sicuro di trovare la
mia Ginny.
Infatti. È seduta sul letto, si morde le
labbra pensierosa.
Regge una busta con un colore e una
calligrafia strana, spigolosa, molto, molto familiare…
– Ginny? – chiedo, speranzoso.
Alza lo sguardo, incontrando il mio. Ma non
muove un muscolo.
– Ginny? – ripeto, con più delicatezza.
Maledizione, ma perché non risponde? Perché è
rimasta tanto scioccata da una stupida lettera? Che ne sa lei dei veri traumi
psicologici? Ricordo quando ci stabilimmo a casa sua, io, lei e due sue amiche.
Lavoravo già, e quando rientravo, stanco e un po’ depresso, mi imbattevo sempre
in un termosifone. Quando faceva freddo era il paradiso, per me, però, quando
invece tornavo accaldato era il contrario.
Le ragazze avevano comprato una lavatrice.
Sì, e l’adoravano. Litigavano sempre per chi doveva farla funzionare.
Quando poi ritiravano la roba che stendevano
all’aperto la mettevano su un termosifone; ecco, tornare a casa, trovando un
reggiseno o mutandine sotto il naso, non è di certo il massimo.
Che ne sa lei di tutto quello che ho passato
tornando a casa? Che ne sa lei di tutte le energie sprecate a coprire la loro
biancheria intima con asciugamani che poi scivolavano a terra, scoprendo di
nuovo tutto? Che ne sa lei di tutte quelle parole al vento, “Ginny hai un
termosifone tutto per te, così come Clarissa e Jen: perché non lo usate lì?”
(che tra parentesi poi, il loro comportamento era da egoiste, visto che io
appena ritiravo le mie cannottiere e i miei boxer me li stiravo e li riponevo, e
la mattina erano di nuovo freddi)?
E invece no, no e ancora no.
Che cosa l’aveva spaventata tanto? Era una
lettera, niente di che. Quello che ho passato io per due anni interi in casa con
le sue amiche prima di sposarci era poco in confronto allo stupore per quella
lettera? Non credo.
E allora perché non parlava?
Alla fine le ho detto: – Dai, Gin, cosa ci
può essere di tanto spaventoso nella bolletta del telefono? –
Si è girata, guardandomi malissimo. E ti
pareva.
– Scusami – ho mormorato, esasperato – ma se
non parli!? Vorrei sapere cosa c’è scritto in quella lettera entro il 2024. –
Me la porge, mordendosi un labbro. – Leggila.
–
Apro la busta. Le dita mi tremano
leggermente.
Scorro la lettera velocemente, sentendo un
fiume di emozioni scorrermi dentro…
E come in un flashback mi ritrovo di fronte
ad Hagrid, dieci (o forse di più) anni prima…
Mi porge una lettera…
– Allora, Ginny? – le chiedo, mentre
sparecchia.
– Allora cosa? – risponde in un modo che
vuole sembrare sbrigativo e sicuro di sé, ma Ginny la conosco, e so che è
leggermente preoccupata.
– Mandiamo Janet a Hogwarts? –.
Si gira verso di me, posa lo straccio con il
quale sta asciugando il piatto e si siede.
Si prende la testa tra le mani,
massaggiandosi le tempie.
– Gin, scusa se te lo dico, ma questo
comportamento è leggermente ridicolo. – le sussurro, allungando una mano verso
di lei.
Fa un bel respiro profondo, poi mi prende la
mano e la tiene stretta.
– Harry, sai meglio di me quello che sta
succedendo. I Mangiamorte sono stati rimessi quasi tutti in libertà. Ma te la
vedi la nostra bambina… – abbassa la voce – a lezione con il figlio di Draco
Malfoy? –.
– Mica ci sarà il figlio di Draco Malfoy –
obbietto, poco convinto.
Abbassa di nuovo lo sguardo.
– Gin, guardami – dico, con tono deciso.
Obbedisce, sollevando i suoi occhi chiari
verso di me.
Dico: – Sai che Janet è forte, è coraggiosa e
saggia, per avere solo undici anni. Mandiamola, Gin.
Prima, però, le faremo un discorsetto. Le
diremo di stare attenta, molto attenta, di diffidare di chiunque non sembra
affidabile, di avvertire subito qualche adulto appena vede qualcosa di strano…
obbedirà, vedrai, Gin. –
Sorride, ma non è ancora convinta.
– Gin? – mormoro ancora.
– E va bene – sussurra, come quasi a sé
stessa – mandiamo Janet ad Hogwarts. Quanto manca alla partenza? –.
Faccio un calcolo rapido. – Ancora due
settimane, forse di più… –
– D’accordo, avverto mamma e Ron – mormora.
– D’accordo – le faccio eco, anche se in cuor
mio mi chiedo cosa c’entri Ron in tutta questa storia. Molly Weasley passi, ma
Ron…
Boh!
Mi alzo, bevo un bicchiere d’acqua. Mia
figlia, la mia adorata primogenita, è stata ammessa ad Hogwarts! Al solo
pensiero mi brillano gli occhi. Sì, è davvero portata.
Spengo la luce della cucina, mi avvio verso
la sua cameretta.
Socchiudo dolcemente la porta, cercando di
fare meno rumore possibile.
Dal sonno, Janet si muove leggermente,
emettendo un mormorìo senza senso.
Mi avvicino piano. Veder dormire i miei figli
è un privilegio, per me.
Oh, sta sorridendo. Chissà che cosa sta
sognando…
Ancora non gliel’abbiamo detto, lo faremo
presto.
Ma a quanto pare, sarà un anno molto lungo,
quello che verrà.
Ma
tataoooo :D
La gloriosa ç_ç ispirazione è
tornata a farmi visita u______u
Soprattutto dopo aver
compiuto i GLORIOSI (ohèèè x°D) tredici anni ieri ù__ù
Bbeh, che ne dite?
Sinceramente mi ispira O__o
sarà abbastanza lunghetta (anche perché ho intenzione di continuarla u_u).
A voi la parola! :D
Tataooo! :D
La ormai tredicenne
Primavera :D
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